rp: brian molko

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: PG
AVVISI: Slash, Fluff.
- La mattina del dieci dicembre duemiladodici, Brian apre gli occhi e si ritrova avvolto in un centinaio di strati di coperte calde ma desolatamente solo nel proprio letto. Una tale mancanza di rispetto nei confronti della sua palese vetusta persona non può restare impunita. Peccato che Matthew sia irraggiungibile, e che pertanto a fare le spese per la sua insubordinazione sia tutto il resto del mondo.
Note: Tanti auguri, Brian \*O*/ Sì, lo so, il compleanno di Brian era l'altroieri, ma io ho bisogno di tempo per scrivere, specie da quando non riesco più a scrivere flashfic ed ogni storia approfitta di qualsiasi pretesto per diventare spropositatamente lunga XD
Comunque u.u Niente, in realtà questa fic non nasce da nessuna ispirazione precisa, semplicemente ad un certo punto l'altroieri ho cominciato a sentire Brian parlarmi nella testa come non accadeva da un po', e questo è il risultato ♥
Scritta per la Maritombola @ maridichallenge con prompt #15 (X e Y hanno una relazione a distanza), e sul prompt #41 (Ed è bello) della 500themes_ita.
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Matthew aveva avuto quantomeno la decenza di presentarsi a casa il ventiquattro novembre senza por tempo in mezzo, questo Brian doveva riconoscerglielo. Non che ciò valesse in alcun modo a migliorare la sua posizione, considerando la situazione contingente che eliminava a priori qualsiasi possibilità di attenuanti applicabili, ma era giusto ricordare il particolare, fosse anche solo per darsi un singolo motivo al quale pensare quando l'avrebbe avuto nuovamente per le mani e si sarebbe trattato di decidere se lasciarlo in vita o terminare la sua patetica esistenza.
Il ventiquattro novembre mattina si era puntualmente fatto trovare sullo zerbino rosa a macchie leopardate fucsia che aveva preteso di scegliere personalmente quando avevano affittato l'appartamento ed erano di conseguenza dovuti andare all'IKEA per acquistare la relativa mobilia-barra-articoli di arredamento. Brian - imbottito di antibiotici per cercare di tenere a bada la tonsillite ricorrente contro la quale combatteva ormai da mesi, ed avvolto in una sciarpa arrotolata sei volte intorno al collo ed in una felpa larga almeno un paio di taglie in più rispetto alla propria - l'aveva accolto con la migliore fra le proprie espressioni affatto impressionate, come se, per Matthew, trovarsi lì quella mattina fosse il minimo da fare per non incorrere in qualche orrenda punizione divina coinvolgente mutilazioni e dannazioni eterne, cosa che peraltro corrispondeva al vero. Il suo sguardo di ghiaccio non s'era ammorbidito neanche quando Matt aveva piegato le labbra nel suo solito sorriso un po' triste e carico di scuse, ed aveva sfilato da sotto il cappotto una scatola di cioccolatini al liquore.
"Sorpresa," aveva abbozzato, e Brian aveva inarcato un sopracciglio, scostandosi dall'uscio per lasciarlo passare.
Ad onor del vero, bisognava riconoscere che le successive due settimane (tralasciando l’incidente relativo al Buddha in giada imperiale che era accidentalmente caduto sul piede di Matthew fratturandogli un dito, incidente col quale Brian negava recisamente di avere alcunché a che fare nonostante sia lui che Matthew sapessero perfettamente che non era così) erano state per Brian probabilmente le migliori in un lungo periodo in cui non avevano fatto che succedersi settimane peggiori, e bisognava riconoscere nondimeno che gran parte del merito per questo improvviso ed inopinato miglioramento andava senza dubbio attribuito a Matthew, il quale, preso atto della generica cattiva disposizione del proprio compagno rispetto al mondo circostante, invece di afferrare le proprie rachitiche stampelle e fuggire in Australia col primo volo disponibile, aveva ingoiato il rospo, smesso i panni del frontman di fama mondiale col gesso al piede ed indossato quelli della diligente infermiera devota per prendersi cura del proprio uomo depresso e malaticcio, cosa che, lentamente ma inesorabilmente, era riuscita a disciogliere lo spesso strato di ghiaccio attorno al cuore della Regina Checca delle Nevi, come Dom amava chiamarlo quando si riferiva a lui, rendendolo meno uggioso e più genericamente ben disposto, almeno nei confronti della sua persona.
Naturalmente, al punto in cui si trovava Brian quando, la mattina del dieci dicembre, si risvegliò, sommerso dai sei strati di coperte in differenti tessuti e a differente densità all'interno dei quali Matthew si era premurato di imbozzolarlo la sera prima dopo averlo imbottito di pasticche colorate e vomitevole tè bollente alla pesca nana del Madagascar, niente di tutta questa storia pregressa di amorevoli cure ed affezionate attenzioni aveva più un valore. La parte sinistra del letto era vuota e non c'erano crediti precedentemente accumulati che potessero rendere questa realtà meno offensiva o irritante.
Tirando rumorosamente su col naso, Brian strisciò all'esterno del caldo bozzolo, pentendosene all'istante e decidendo pertanto molto saggiamente di tornare indietro e nascondersi nuovamente sotto le coperte, impegnandosi il più possibile ad aggrottare le sopracciglia ed arricciare le labbra in un broncio impietoso. Lasciando emergere dalle coperte solo un braccio, come fosse un periscopio, recuperò a tentoni il cellulare abbandonato sul comodino e, pur sapendo già perfettamente cosa aspettarsi, provò a chiamare Matthew. La voce femminile impersonale ed anche vagamente antipatica della segreteria telefonica lo invitò gentilmente a riprovare più tardi o lasciare un messaggio dopo il bip, e lui, altrettanto gentilmente, la mandò a quel paese e poi chiamò Helena per la quotidiana telefonata mattutina a Cody. Cercava di andarlo a trovare il più spesso possibile - giornalmente, in periodi come quello in cui non era in tour e neanche impegnato ventiquattro ore su ventiquattro in studio - ma Helena gli aveva espressamente proibito di avvicinarsi a suo figlio - che da lui, oltre alle guance da criceto, aveva ereditato anche la salute particolarmente cagionevole - quando era ammalato.
Ad Helena bastarono venticinque secondi di conversazione per scoppiare in una risata divertita e sussurrargli "Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, vero?". Al colmo del disappunto, Brian tirò su col naso un'altra volta e borbottò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi fra le coperte.
- Cosa te lo fa pensare? - biascicò poi, cercando di sbirciare all'esterno del letto per capire che ore fossero.
- Non lo so, hai sempre quel tono di voce lì, quando sta qualche giorno e poi se ne va. - rise ancora Helena, - Oggi, poi, sembri particolarmente di malumore.
- Be', ti sbagli. - sbottò lui, - Matthew è qui e sta preparando i pancake per colazione. Mi ha promesso di metterci sopra lo sciroppo d'acero e portarmeli a letto, e se sono di malumore è solo perché sto diventando sempre più decrepito e brutto.
Helena rise ancora, divertita. Brian la immaginò scuotere il capo con aria a metà fra l'intenerito e l'incredulo mentre preparava una tazza di latte e cereali per Cody, e si concesse un sospiro stanco e vagamente nostalgico.
- Ovviamente non c'è nulla di vero in quello che hai appena detto. - commentò quindi, mentre Brian sbuffava ancora.
- Niente a parte il fatto che divento sempre più decrepito e brutto. - confermò lui, arreso, fra le risate divertite della sua ex. - Ma la pianti? - la rimproverò, fingendosi molto più offeso di quanto in realtà non fosse, - Hai il cuore di pietra, giuro. Cody?
- In arrivo. - lo rassicurò lei, allontanando la cornetta. "Cody, di' ciao a papà," la sentì raccomandarsi dolcemente col figlio a distanza.
- Papà! - strillò Cody, entusiasta, afferrando il telefono e fuggendo in un'altra stanza come faceva sempre quando parlava con suo padre, geloso di quei momenti d'intimità che solo a fatica riusciva a strappare dalla vita concitata dalla quale Brian non sembrava mai in grado di prendersi una pausa, - Tanti auguri!
- Grazie, piccolo. - rispose Brian in una mezza risata, accoccolandosi meglio fra le coperte, - Pronto per andare a scuola?
- Sì. - annuì lui, e poi Brian lo sentì come interrompersi all'improvviso per riflettere. - Zio Matthew è andato via senza farti gli auguri, vero? - domandò quindi, con l'aria di uno che chiede per scrupolo ma in realtà non ha alcun bisogno di sentirsi confermare a viva voce qualcosa che sa già essere vera.
- Che? - sbuffò Brian, spalancando gli occhi, - Ma da cosa l'hai capito?
- Boh, parli diverso quando se ne va. - rispose Cody con la massima naturalezza. Poi, dissipata la propria curiosità, tornò all'argomento principe della giornata. - Ti ho comprato un regalo! - annunciò felice, - Con la mia paghetta. - precisò con una punta di orgoglio.
- Davvero? - sorrise Brian, rigirandosi su un fianco.
- Sì! - confermò Cody, - Quindi guarisci presto, così posso dartelo.
- Va bene. - annuì Brian, compiaciuto, - Sono curioso di sapere--
- E' una borsa dell'acqua calda! - disse precipitosamente Cody, impaziente di rivelare al padre cosa avesse comprato per lui, - Così puoi dormire al caldo e smettere di ammalarti così spesso. - precisò, compiaciutissimo della propria scelta saggia ed evidentemente brillante.
Brian rise, scuotendo il capo con aria rassegnata.
- Va bene, tesoro. - concluse, - Ora vai a scuola. E ricorda da parte mia a mamma di rispiegarti di nuovo il concetto del regalo e della sorpresa.
- Papà, sei un cretino. - borbottò Cody, offeso, porgendo nuovamente il telefono ad Helena e correndo via per non perdere l'autobus per la scuola.
- Brian? - il sorriso perenne ed evidente nella voce di Helena lo investì come un'onda anomala di tepore improvviso, avvolgendolo tutto e costringendolo a propria volta ad un sorriso simile, - Che gli hai detto?
- Che dovevi rispiegargli il concetto dei regali e della sorpresa.
- Sei un cretino. - rise Helena, - Era solo impaziente di fartelo sapere. Sei contento?
- Estatico, - rispose Brian, accentuando ancora quel tono di offesa che si era ormai del tutto dissipato, - mio figlio mi ha appena confessato di avermi regalato una borsa dell'acqua calda, neanche fossi un nonnetto ottuagenario. Sono così depresso che penso mi trasferirò sul divano a guardare repliche di Dynasty ingozzandomi di cioccolatini.
- Bel modo di festeggiare i quaranta. - concordò Helena in una risata. - Cerca di rimetterti, piuttosto. - aggiunse più dolcemente, - A presto.
Dopo averla salutata, Brian si concesse altri cinque minuti sotto le coperte, prima di cominciare ad accorgersi di tutta quella serie di familiari doloretti ossei che avevano cominciato a tormentarlo recentemente quando si attardava a letto troppo a lungo. Sbuffando contro l'età e contro la ribellione ingiustificata del suo vecchio corpo, si costrinse a scivolare in una lagna infinita fuori dalle coperte, recuperando un plaid a scacchi dalla poltrona vicina e trascinandosi faticosamente verso il divano, fra le rassicuranti morbidezze del quale si lasciò sprofondare con un ennesimo sbuffo contrariato prima di avvoltolarsi la coperta attorno alle spalle.
Chiamare Stef non rappresentava niente di diverso rispetto al passaggio logico immediatamente successivo a tutta questa indecorosa fatica, motivo per il quale Brian si decise a non frapporre più la barriera della propria volontà fra se stesso e la telefonata, ed afferrò nuovamente il cellulare, schiacciando con forza il numero uno ed aspettando che l'autodialer facesse il resto.
- Pronto? - rispose la voce sempre pacata e compassata di Stef dopo non più di un paio di squilli.
- Stef. - cominciò Brian con aria grave, - Mio figlio mi ha comprato una borsa dell'acqua calda per il compleanno.
- Ossignore. - sbuffò Stef, passandosi una mano sulla faccia in segno di anticipata stanchezza rispetto alla conversazione che doveva ancora avere luogo, - Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, vero?
- Che? - sbottò Brian, sconcertato, - Ma cosa c'entra?! Ma mi ascolti? Ti ho detto una cosa molto precisa. Mio figlio--
- Sì, ma è evidente che Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, - insistette Stef, - E tu sei incredibilmente contrariato da questo fatto.
- ...be', sì. - ammise Brian, piegando le labbra in un broncio carico di disappunto, - Sì, se proprio vogliamo dimenticarci che oggi compio mille anni e questo sarebbe già un motivo più che sufficiente per essere contrariato, Matthew se n'è andato senza farmi gli auguri e questo mi rende ancora più contrariato, contento? Come hai fatto a capirlo?
- Non lo so, - rispose Stefan, quasi stupito dalla domanda, come non avesse mai pensato di potersi chiedere una cosa del genere, - E' qualcosa nella tua voce, quando se ne va c'è sempre.
- Ma piantala. - sbuffò lui, - Comunque non c'è. Se n'è andato. Ieri sera! Non ha neanche aspettato la mattina. E' fuggito via nella notte come un delinquente. Potrei denunciarlo.
- Per cosa, lesa maestà? - domandò curiosamente Stefan.
- Zitto! - lo interruppe Brian, urtatissimo, - Non capisci la gravità della situazione?
- Brian, i Muse sono in concerto ad Helsinki, stasera. - cercò di ragionare Stef, mentre Brian lo immaginava pinzarsi la radice del naso e fissare il soffitto con aria supplice, invocando un qualche miracolo che potesse salvarlo dalla successiva mezz'ora di conversazione, - Nonostante i tuoi ripetuti tentativi di sabotare il loro tour attentando alla vita del loro cantante nonché tuo fidanzato usando enormi Buddha di giada come armi contundenti.
- Queste sono volgari illazioni delle quali non mi curerò nemmeno, e comunque poteva anche partire stamattina! - sbuffò Brian, - Ci sono meno di tre ore di volo, da qui a lì. E poi nessuno mi leverà mai dalla testa che abbia fissato la data di ripresa del tour oggi appositamente per non restare con me il giorno del mio compleanno. - concluse con un altro sbuffo offeso.
- ...certo. - sospirò Stef, - Brian, cerca di riflettere un minimo. Hai dimenticato di prendere le tue medicine?
- Impiccati.
- Scherzo. - rise Stef, - No, dai, sul serio. A parte che le date del tour non le decide personalmente Matthew e non poteva certo dire al tour manager "no, guarda, il dieci dicembre no che se non sto a casa per il suo compleanno il mio uomo si sente trascurato". Ma poi, se davvero avesse preferito andarsi a nascondere in Finlandia proprio oggi, potresti biasimarlo?
- ...non mi piace dove sta andando a parare questo discorso. - sentenziò cupamente Brian, tirandosi su la coperta fin sotto al naso, - Penso che riattaccherò, ora.
- Davvero, Brian. - insistette Stefan, sospirando pesantemente ed ignorando del tutto la sua vana minaccia, - Sono almeno due mesi che fai terrorismo psicologico su quel povero disgraziato. Io per primo non ho ancora capito se questi benedetti auguri per questi benedetti quarant'anni li vuoi fatti o no. E se non l'ho capito io, figurarsi se può averlo capito Matthew, che per carità, ha tanti pregi, ma certamente, quando Madre Natura distribuiva la sagacia, era impegnato a mangiare la sabbia nella piscinetta del parco giochi ed è risultato assente.
Brian sbuffò sonoramente, cercando di trattenere l'impulso di ridere causato dall'immagine mentale che Stefan gli aveva appena regalato.
- E' per questo che non mi hai ancora fatto gli auguri? - domandò quindi, - Perché non hai capito se li voglio o meno?
- Ecco, appunto. - sospirò Stef, - Scusa, Brian. Auguri.
- No! - strillò istericamente Brian per tutta risposta, - Non li voglio! Cosa c'è da festeggiare in me che mi trasformo lentamente in Matusalemme?!
- Ma vedi? Vedi?! - strillò anche Stefan, nella voce la stessa sfumatura isterica che colorava anche quella di Brian, - Sono due mesi che ti comporti così! Se provavamo ad organizzare qualcosa per il tuo compleanno sbuffavi subito che non c'era niente da festeggiare, se rinunciavamo ti offendevi perché avevamo rinunciato troppo in fretta e non ti sentivi abbastanza considerato, e ti stupisci davvero che Matthew preferisca fuggire al circolo polare artico piuttosto che restare lì a farsi trattare malissimo solo perché non ti piace invecchiare e puntualmente quando ti accorgi che sta accadendo diventi isterico?!
- Io non sono per niente isterico! – strillò Brian, dimostrando quindi di esserlo eccome, - E sai cosa ti dico? I tuoi auguri ed anche i tuoi rimproveri non richiesti te li puoi anche tenere per te!
- Bene! – strillò anche Stef, - Non chiedo altro! Arrivederci!
- Addio! – rispose Brian, alquanto drammaticamente, prima di interrompere la chiamata con la stessa violenza con la quale avrebbe schiacciato uno scarafaggio orrendo se se lo fosse trovato di fronte sul ripiano della cucina e poi, non contento, lanciando il telefono sull’angolo opposto del divano, augurandosi di non rivederlo mai più.
Tutto quel movimento e tutta quella concitazione avevano avuto un solo effetto sul corpo di Brian, naturalmente negativo, perché non esisteva fenomeno naturale, atmosferico o emotivo che non avesse effetti negativi sul corpo di Brian: gli avevano fatto venire fame. Gorgogliando con estremo disappunto, Brian strisciò giù dal divano, avvolgendosi nella coperta per trascinarsi stancamente in cucina. Aveva bisogno di qualcosa di caldo, morbido e dolce, per cui decise che avrebbe preparato una camomilla ed avrebbe dunque passato la successiva mezz’ora ad inzuppare biscotti finché non fossero diventati morbidi abbastanza da poter essere ingeriti anche dal suo organismo palesemente secolare.
Si fermò sulla soglia della porta, però, notando un bigliettino – in realtà un quadrato di carta strappato da una pagina di un quaderno a quadretti – appeso alla maniglia con lo scotch. Lo staccò per portarlo più vicino al viso e poterlo leggere più agevolmente. Il biglietto, nella calligrafia incasinata ed onestamente indecorosa per un ultratrentenne che Matthew si ostinava a conservare neanche fosse un tratto distintivo della propria personalità, recitava: “Dunque, siccome siamo stati insieme senza praticamente mai vedere nessun altro due settimane e nonostante questo non sono riuscito ad assorbire per osmosi se volessi ricevere gli auguri ed un regalo per il compleanno o meno, io per non saper né leggere né scrivere il regalo te l’ho fatto, però poi sono anche fuggito in Finlandia dove non potrai farmi alcun male se la cosa non dovesse andarti a genio. Scusami, Bri, io ti amo ma amo anche le mie gambe, i miei piedi e in generale tutte le varie parti del mio corpo. Sono fuggito per autoconservazione.
Comunque, il regalo è oltre questa porta. Buon compleanno!”
Inarcando un sopracciglio e sbuffando dal naso, Brian appallottolò il bigliettino e lo ficcò senza riguardi in una delle tasche anteriori della felpa, spalancando la porta della cucina con un calcio e preparandosi a ritrovarsi sotto gli occhi quello che ovviamente sarebbe stato il regalo di compleanno più orrendo che si fosse mai visto da quando l’uomo aveva inventato l’usanza di regalare cose brutte ed inutili alla gente per festeggiare un fatto che non aveva alcun diritto di essere festeggiato, e poi, altrettanto ovviamente, si immobilizzò sulla soglia, gli occhi spalancati, le labbra dischiuse in segno di sorpresa, una miriade di fiori multicolori ad incontrare il suo sguardo ovunque lo guardasse.
- Oddio… - mormorò, muovendo un paio di passi incerti all'interno della stanza, - Oddio.
Matthew aveva spostato il tavolo per la prima colazione al centro esatto della cucina, cosa che, in qualsiasi altro momento, non gli avrebbe fatto guadagnare altro che una strigliata e possibilmente un paio di scapaccioni molto forti dietro la nuca. Non in quel momento, però, specialmente considerato il fatto che, sul ripiano del tavolo, campeggiava il portatile personale di Matthew, aperto ed acceso da chissà quante ore, peraltro. Sullo schermo, un video in attesa di partire ed un altro quadratino di carta a quadretti attaccato con lo scotch, con sopra scritto "pigia play!".
In estatico, quasi ascetico silenzio, Brian prese posto sulla sedia addobbata con un cuscino a forma di cuore che Matthew aveva sistemato proprio davanti al computer ed avviò il filmato. Per i primi tre o quattro minuti non si vedeva altro che Matthew che cercava di spostare il portatile in modo da inquadrarsi in maniera appena passabile, il tutto condito da una sequela di imprecazioni e insulti talmente buffi che, nonostante il mal di gola, Brian non poté fare a meno di ridere di gusto.
Dopodiché, intorno al quinto minuto di registrazione, il vero e proprio video d'auguri ebbe finalmente inizio.
"Ehi. Ciao. Buon compleanno!" diceva Matthew, agitando la manina oltre lo schermo, "Lo so che sei arrabbiato con me, avrei dovuto restare, ma mi facevi paura. Smettila di farmi paura, Brian. Perché devi sempre farmi paura? Ma poi, perché il tuo compleanno deve essere sempre una cosa così complicata? Io invecchio esattamente come invecchi tu, ma non faccio tutte queste storie, ogni anno."
Brian lo osservò interrompersi e poi schiarirsi imbarazzato la gola, come potesse osservarlo aggrottare le sopracciglia in reazione alle sue ultime parole.
"Ma sto andando fuori tema!" riprese a chiacchierare quindi, sollevando entrambe le mani in un gesto esageratamente gioioso. "Niente, dunque. Ho pensato a lungo a cosa regalarti per il compleanno, ma la verità è che sei troppo complicato per me. Okay? Lo ammetto candidamente. Non riesco a starti dietro. Per cui, visto che non ti manca niente e regalarti uno stupido orologio o uno stupido dolcevita mi sarebbe sembrato ridicolo, ho pensato di riempire la cucina di fiori e girarti un video. Anche perché tu gli orologi non li usi che ti danno fastidio al polso, e i dolcevita figurarsi, che metti magliette con lo scollo a v fino all'ombelico anche in pieno gennaio. Ho pensato, magari i profumi dei fiori gli liberano le vie respiratorie - aromaterapia! - e il mio video lo mette di buon umore - Matthewterapia! - per cui mi è sembrata la scelta più sensata," Brian lo osservò arricciare le labbra in una smorfia pensosa e grattarsi il mento con ponderazione, "Mi sovviene adesso che forse non è una scelta tanto sensata, ma mi è sembrata carina, sul momento. Meno male che sono in Finlandia."
- Meno male che sei un cretino e non posso prenderti a pugni perché sarebbe come perpetrare atti di crudeltà contro gli animali! - rise Brian, assestando un colpetto vagamente affettuoso sul fianco del portatile e poi incrociando le braccia sul tavolo ed appoggiandovi sopra il mento per continuare a guardare lo schermo con aria sognante, mentre Matthew continuava a parlare.
"Insomma, niente, volevo solo dirti che sono felice che stai invecchiando. Cioè, sono felice che stiamo invecchiando. Insieme. Nel senso che è una cosa bella ed io un po' l'ho sempre sognata, cioè, invecchiare insieme alla persona che amo. Che saresti tu. E quindi, boh, niente, tutto quello che spero è di riuscire a rendere il tempo che passa una cosa meno brutta per te, come tu la rendi una cosa meravigliosa per me. Ed ora, visto che palesemente non sono capace di parlare come una persona seria, però so cantare come una persona seria, ecco... ecco," biascicò, allungandosi fuori dall'inquadratura per recuperare una chitarra acustica abbandonata lì di lato, "Buon compleanno, Bri."
Avrebbe voluto risparmiarselo, giusto per fingere di possedere ancora un briciolo di dignità e non avere lasciato che lo stupido folletto dagli occhi azzurri del quale s'era innamorato gliela strappasse tutta di dosso, ma per tutti e cinque i minuti che seguirono, e che videro Matthew impegnarsi in una ridicola quanto adorabile cover di Absolute Beginners per voce e chitarra, Brian non riuscì neanche per un secondo a trattenere le lacrime.
Naturalmente, Stef si aspettava la telefonata che lo raggiunse pochi minuti dopo la fine dello spettacolo, motivo per il quale invece di rispondere al telefono col solito laconico "pronto?" trovò più opportuno rispondere con un semplice ed efficace "vai".
- Sono un cretino epocale. - biascicò Brian, ancora impegnatissimo ad asciugarsi le lacrime.
- E questo ormai non stupisce più nessuno. - sospirò pazientemente Stef, - Quanto è bello il regalo che ti ha fatto, da uno a dieci?
- Venticinque. - ammise Brian in un mugolio intenerito.
- Bene. - sorrise Stef, - Allora chiamalo, uomo orribile che non sei altro.
- Ma non risponde, - si lamentò Brian, - ho già provato!
- Dio mio, devi averlo terrorizzato proprio parecchio.
- Sta’ zitto, non ti ho dato il permesso di prendermi in giro. Proverò a mandargli un messaggio. - concluse lui, annuendo a se stesso con palese eccessivo autocompiacimento.
- Ecco, bravo. - rise Stef, - Fammi sapere poi.
- Seh. - concesse Brian, prima di interrompere la chiamata e restare poi in contemplazione della schermata per l'invio dei messaggi per i successivi dieci minuti. La testa ancora confusa dalla commozione e dalla generica esondazione d'amore che stava colpendo il suo povero cervello vecchio e stanco, si arrese con un gemito alla propria incapacità di trovare qualcosa di divertente e-barra-o spiritoso e-barra-o simpatico da scrivere a Matthew, e pertanto si limitò a scrivere "cretino".
Mattew chiamò puntualissimo pochi secondi dopo, e nello schiacciare il tasto verde per rispondere alla telefonata Brian si concesse un sorriso soddisfatto. Si sentiva già meglio.
Spin-off di Wicked Game di Stregatta.
Genere: Commedia, Erotico.
Pairing: TomxBrian.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: PWP, Slash, Spin-Off.
- Qualche tempo dopo la fine della sua pseudo-storia con Brian, Tom si ritrova a Londra nel tentativo di riportare a casa quello scapestrato di suo fratello in viaggio di nozze, e per puro caso incontra proprio l'uomo che non pensava avrebbe incontrato mai più...
Note: *_____* Io amo questa storia. Indipendentemente dal fatto che sia una PWP (perché lo è ç_ç), dal momento che è stata pensata per essere un tributo ad un personaggio che ho amato tantissimo (il Tom di Wicked Game, di Stregatta <3 cui ricordo il mio amore profondo anche in quest’occasione <3), era ovvio che ci tenessi in modo particolare. Stranamente, non mi sembra neanche forzata ed illeggibile come mi capita sempre quando scrivo lemon. È un grande traguardo, sentirmi soddisfatta di una scena simile T_T È che Tomi e Brian in quella storia sono davvero troppo intriganti e sexy per non desiderare di dar loro un finale alternativo che sia anche – ehm – piacevole <3
Spero di non aver deluso nessuno :* Grazie!
PS: La poesia dalla quale sono tratti i versi che aprono la storia, e che le dà anche il titolo, è stata scritta da Gian Pietro Lucini ed è tratta dalla raccolta “Revolverate”. La poesia è splendida e molto smaliziata, non sono altro che le confessioni di un giovane cavaliere di ritorno dalla guerra, ma mi sembrava che questo passo si adattasse particolarmente a quei due, perciò l’ho citato, ed in effetti è da lui che ho preso ispirazione XD
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Before you begin… Questa storia non narra fatti realmente accaduti e non ha alcuna pretesa di ritrarre la reale psiche delle persone dietro ai personaggi usati a puro scopo ludico e non lucroso. Essendo questa fanfiction uno spin-off di Wicked Game di Stregatta, vi invito a leggere quello prima di avventurarvi in questa pur breve storiellina, perché altrimenti potreste non capirci un accidenti o.o Per il resto, badate che il rating parla chiaro e non si risparmia nulla <3 Perciò divertitevi XD


*


Una volta, Stefan gli aveva consigliato di non mettersi mai a giocare coi sentimenti dei ragazzini. “Coi ragazzini”, gli aveva detto, “non importa chi sia il vincitore materiale dello scontro: i vincitori morali sono sempre loro”.
Certo, il caso riguardo al quale il consiglio era stato espresso era sostanzialmente diverso da quello che Brian aveva vissuto nel corso dell’anno precedente, durante le sessioni di registrazione dell’ultimo album a Lipsia. Per dire, quando il consiglio era stato dispensato la prima volta, si era trattato di un adorabile batterista irlandese con una decina d’anni meno di lui; non di un chiassoso chitarrista tedesco che di anni in meno rispetto a lui ne aveva diciassette. Almeno anagraficamente. Perché, quanto a maturità, lo scarto avrebbe potuto sembrare perfino maggiore.
In ogni caso, che il consiglio fosse stato lo stesso per due situazioni differenti, non era granché rilevante.
Quando Stef l’aveva ripetuto, infatti, come la prima volta era stato del tutto ignorato.

La Canzone Del Giovane Eroe


Badate a me:
posso offrirvi una notte d’amore?
L’ozio mi irrita della caserma,
la cavalcata mattutina mi eccita,
il fruscio delle gonne mi snerva;
amare, Signore, è necessario,
come combattere, come… conquistare.




Tom non era affatto cambiato, dopotutto. La qual cosa lo irritava parecchio, in realtà.
Insomma: era sempre stato consapevole del potere delle esperienze sulle persone. Lui era la prova vivente di come le persone inevitabilmente cambiassero in seguito a determinati avvenimenti della loro vita! Era cambiato quando era andato a vivere da solo, era cambiato quando s’era scoperto bisessuale, era cambiato quando aveva messo su i Placebo, era cambiato quando aveva perso il suo primo batterista, era cambiato quando la sua ex s’era quasi suicidata per lui, era cambiato quando aveva rischiato di crepare come un coglione mentre vagava ubriaco per le strade, era cambiato quando s’era visto surclassato da gruppi più giovani all’interno di un genere musicale che riteneva parzialmente proprio, era cambiato quando aveva conosciuto Helena ed era cambiato anche recentemente, dopo aver visto la fine del loro rapporto. Probabilmente, se avesse incontrato per strada il se stesso di vent’anni prima, non si sarebbe neanche riconosciuto. O, se si fosse riconosciuto, si sarebbe dato un bel ceffone. O anche due. Li avrebbe comunque meritati.
Nell’anno appena trascorso, e che li aveva separati, Tom Kaulitz aveva fatto in tempo a riprendersi dalla cotta potenzialmente più disastrosa della sua vita, maturare abbastanza da accettare di essere il testimone di nozze del proprio gemello – e svolgere adeguatamente il compito, a quanto pareva, visto che nessun giornaletto da ragazzine aveva riportato notizie di disastri di sorta, tipo chitarristi che vorticano sul tappeto rosso della sala del municipio dopo essersi attorcigliati nei propri vestiti e impiccati coi propri rasta – e guidare il proprio gruppo all’esplosione di ascolti negli Stati Uniti, cui aveva seguito un breve tour di ricognizione i cui incassi erano stati tanto incoraggianti da dare modo alla produzione di organizzarne uno ben più nutrito per l’anno successivo. Peraltro, aveva pure trovato il tempo di prendere quelle cinque-seimila lezioni di chitarra serie di cui aveva bisogno per improvvisarsi chitarrista quantomenoaccettabile. E riuscire nello scopo.
Insomma, qualcosa doveva essere cambiata, in lui. Qualcosa che non si esprimesse soltanto nel far scorrere più o meno disinvoltamente le mani su un manico di chitarra, o nel non ammazzarsi da solo incespicando emozionato mentre si cerca di raggiungere all’altare il proprio fratello, con le fedi accuratamente nascoste nella tasca dei jeans extralarge cui non si è comunque voluto rinunciare, nonostante l’occasione solenne.
Qualcosa di più sostanziale, di più profondo. Qualcosa che avesse a che fare col modo di affrontare la vita, le persone. Qualcosa nel modo di rapportarsi con loro. Di interagire con loro senza irruenza, con delicatezza ed educazione. Qualcosa di importante.
E invece no.
- Brian!
Nel pub semivuoto e silenzioso, la sua voce risuonava forte e chiara, quasi fastidiosa, sfondando ogni resistenza e piantandosi con prepotenza direttamente nel timpano, costringendo all’attenzione.
Esattamente come l’ultima volta che l’aveva sentita.
Così come identica era l’inflessione tutta speciale con la quale Tom chiamava il suo nome. Non gli capitava così spesso, di sentire il proprio nome pronunciato in modo simile. Non dipendeva solo dall’ammirazione assoluta che provava nei suoi confronti, o dall’indubbia attrazione sessuale che l’aveva costantemente spinto contro di lui per tutto il tempo in cui s’erano frequentati a Lipsia, no. Tom chiamava il suo nome con presunzione. Come se avesse tutti i diritti di far sentire al mondo che lui era l’unico che avesse il potere di pronunciare quel nome nella sua forma più completa, perché della persona che lo portava aveva compreso tutto.
- Tom. – lo chiamò lui, voltandosi a guardarlo e preparando il più perfetto dei propri sorrisi disinteressati mentre lo faceva.
Doveva essere impeccabile. Rivedere Tom, rivederlo in quel modo, inspiegabilmente lo turbava. Ma non poteva lasciare trasparire niente, di quelle emozioni. Niente, o Tom se ne sarebbe approfittato. Lo sapeva per certo, anche se non riusciva a comprendere di cosa il suo cervello stesse cercando di avvisarlo con esattezza, con quell’incessante segnale di pericolo a lampeggiare davanti agli occhi.
- Oddio, mi sembra una vita! – continuò lui, con entusiasmo, prendendo possesso dello sgabello accanto al suo e facendo cenno al barista per farsi portare un boccale della sua stessa birra. – Che hai fatto, in tutto questo tempo?!
- Più che altro mi sono sfinito. – ammise con noncuranza, sorseggiando la bevanda ancora freddissima ed estremamente piacevole, frizzante sulla lingua e sul palato.
- Ho sentito… - ridacchiò Tom, socchiudendo gli occhi come un gatto curioso, - Siete candidati come Best Headliner, quest’anno… è la prima volta, no?
- Ed era anche ora. – sbottò lui, stringendosi nelle spalle, mentre Tom ridacchiava compiaciuto, - Solo che, ovviamente, è un delirio. Perché siamo contro Muse, Linkin Park e i pagliacci di Leto, quindi ovviamente nemmeno mia madre scommetterebbe a nostro favore. – aggiunse con una smorfia sinceramente contrariata, mentre Tom annuiva comprensivo, poggiando il mento contro il palmo della mano – le dita ripiegate a sfiorare distrattamente il labbro inferiore – e il gomito sul legno ruvido e grezzo del bancone.
- Be’, l’ultimo album dei Linkin Park è bellissimo. – argomentò seriamente, riflettendo compito, - Pare che il tour in America sia andato alla grande. E poi sta per partire il nuovo Projekt Revolution, figurati. Però se fossi in te di Leto non mi preoccuperei troppo… - mugugnò, - Quest’anno ha fatto più cinema che altro.
- Ti vedo informato. – commentò con un sorrisetto, inclinando lievemente il capo.
Conosci il tuo nemico! – sillabò lui con competenza, - Siamo contro di loro per il Rock Out. Dei Muse invece non so niente… non mi pareva avessero fatto album nuovi, e a quanto mi risulta sono ancora persi da qualche parte nel mondo in vacanza…
- In effetti è vero, almeno, quando ci siamo sentiti l’ultima volta Bellamy mi ha confermato di essere ancora perso nella giungla australiana col padre. – sospirò Brian, allargando le braccia ai lati del corpo, come per prendere atto di una realtà scomoda quanto incontestabile, - Ma figurati se non mettono i Muse in lizza per un premio alla migliore esibizione live. Potrebbero pure darsi per dispersi per sei anni, e vincerebbero comunque sei premi su sei.
Tom rise ancora, in quel modo del tutto sincero e spontaneo che sempre era riuscito a fargli capire come ridesse per lui, per ciò che diceva, perché lo seguiva, non per compiacerlo e farsi approvare.
- E voi? – chiese, più rilassato, - Niente tour?
- Macchè. – borbottò Tom, contrariato, - Mio fratello sta approfittando del matrimonio con fin troppa disinvoltura. – lo informò, incrociando le braccia sul petto. – È per questo che sono qui. – aggiunse, ringraziando il barista con un cenno quando si ritrovò la birra ghiacciata sul bancone, - Sono venuti a nascondersi qui a Londra, ed io ho pensato di venire a recuperarli prima che David impazzisca del tutto.
- Ah-ha. – annuì lui, con una risatina divertita, - E allora com’è che perdi tempo qui?
Tom affondò nella propria birra, mugugnando una protesta inarticolata prima di deglutire e cominciare a lamentarsi anche verbalmente.
- Mi hanno rifilato un piatto di pasta per cena e poi sono stato gioiosamente sbattuto fuori con la richiesta di tornare solo con un mandato di perquisizione controfirmato da David in persona… che, figurati, mi piacerebbe anche!, almeno potrei sbatterlo in faccia a quel pigrissimo porco che ho per fratello e ridere, ma tornare in Germania al momento è un pensiero che mi uccide…
- Mh… e come mai?
Tom roteò gli occhi.
- Lavoro, lavoro e ancora lavoro! – guaì, - E l’idiota sta in vacanza, perché “tanto la traccia vocale si registra dopo”! Come se fosse una scusante. – si lasciò andare ad una smorfia, bevendo un altro po’ di birra, - Adesso che lo so, prenderò delle misure adeguate. Mi metterò con qualcuno, lo mollerò e poi tornerò strisciando e proponendo matrimoni a destra e a manca dopo aver capito di aver fatto una cazzata, così dopo potrò prendermi una vacanza a tempo indeterminato e sarò felice!
Brian rise, rigirandosi il boccale fra le mani ed osservando un sottile strato di schiuma formarsi sulla superficie della birra.
- Almeno lui ha capito di aver fatto una cazzata, invaghendosi del sottoscritto. – commentò malizioso, strizzando gli occhi.
- Be’, lui l’aveva fatta. – replicò tranquillamente Tom, - Io no.
…bene.
Aveva fatto una stronzata.
Quando, Dio, quando avrebbe imparato che perfino il più piccolo spiraglio può essere letale, di fronte ad individui simili? Individui come Tom, che sanno maledettamente bene quello che vogliono e, purtroppo, sanno altrettanto bene anche come prenderselo, che s’infiltrano fra le pieghe delle parole e le prendono fra le mani, mescolandole tra loro per dare vita ad un impasto dal quale forgiarne di nuove, da utilizzare come armi contro la ritrosia di chi vogliono raggiungere, per esempio.
- Sei del tutto irrecuperabile. – sospirò pesantemente, abbandonando il capo contro il palmo aperto.
- Oh, non farmi passare per un criminale, adesso! – si giustificò Tom, ridendo di cuore, - Non è che avessi pianificato tutto fin dall’inizio! Non sapevo che ti avrei trovato qui, per esempio.
- …che intendi?
- Be’, Bill mi aveva fatto questa lista di pub particolarmente frequentati, e-
- Tom!
E lui rise ancora, chiudendo gli occhi e piegandosi in due, avvicinandoglisi tanto che Brian sentì perfino il profumo della sua pelle.
- Sto scherzando. – lo rassicurò il rasta, sorridendo malizioso una volta tornato dritto. – Non ti stavo cercando, davvero. Volevo solo una birra.
Brian inclinò il capo, sorridendo.
- L’hai avuta. – notò con distacco.
- Sì, certo. Però poi ti ho visto… - s’interruppe un attimo, giusto per dare alla curva delle labbra un’inclinazione ancora più maliziosa, - …e quindi adesso voglio anche te. – concluse, come fosse ovvio.
Brian rise di nuovo.
- Sai, sei esattamente come avevo immaginato. Non sei maturato per niente.
- Scherzi?! – si lamentò il biondo, gravemente offeso, - Ti rendi conto che, quando ho aiutato mio fratello a scegliere lo smoking per il matrimonio, ne ho provato uno anche io?!
- Sì, però poi non l’hai usato…
- Quello non sarebbe stato maturare. – contestò lui con serietà, - Sarebbe stato svendermi!
Brian roteò gli occhi, ridendo ancora.
- Povero Bill! – esalò, sollevando comicamente le braccia verso il soffitto, - Non lo invidio per niente.
- Invece dovresti. – mugugnò Tom, divertito, - Lui s’è liberato di me. Tu non ancora.
- Oh! – singhiozzò Brian, mimando disperazione, - Questo è un colpo al cuore!
- E di certo non vorrai lasciarmi qui da solo, a vagare per strade che non conosco, col rischio che possano rapirmi o derubarmi o torturarmi o farmi chissà che altro!
Brian inarcò le sopracciglia, incredulo ma stuzzicato.
- Non ti starai autoinvitando a casa mia?! – esordì, scoppiando a ridere come un bambino.
Anche Tom sghignazzò un po’, prima di dare al proprio uno sguardo una sfumatura d’intensità che non aveva niente di giocoso, e tornare a guardarlo attentamente.
- Ci sarebbero problemi? – gli chiese seriamente, giocando col piercing al labbro.
Brian si prese qualche secondo, prima di rispondere.
Più per salvare la faccia che per altro.
- No, non credo.

*

Tom gli era letteralmente saltato addosso già in ascensore. Non era stato particolarmente irruento o violento: non l’aveva schiacciato contro il muro, non gli aveva bloccato le braccia, non l’aveva afferrato con forza. Si era semplicemente chinato su di lui, e l’aveva baciato. Aveva chiesto il permesso di scivolargli fra le labbra con discrezione addirittura riverente e, per quanto aveva riguardato altri tipi di contatti fra i loro corpi, non c’era stato altro che una carezza dolce e un po’ impacciata dalla guancia alla base del collo.
Brian l’aveva comunque sentita come una violenza. Un po’ perché sentiva sottopelle di stare commettendo l’ennesimo errore più grande della sua vita – solo uno in più in una lista che andava solo allungandosi, e che sospettava avrebbe continuato a farlo per sempre – ed un po’ anche perché, per quanto Tom non stesse cercando in alcun modo di imporsi fisicamente su di lui, malgrado potesse eccome, in realtà si stava imponendo con fin troppa intensità su tutti i suoi sensi, per non rappresentare un elemento di disturbo.
Ma era un fastidio strano. Era un fastidio che gli pizzicava le labbra e gli accarezzava la lingua. Un fastidio identico al tocco di quel dannato piercing sulla bocca: freddo, straniante, da brivido, ma sensuale ed erotico come poco altro.
Tom baciava bene.
Tom baciava dannatamente bene.
La gavetta fa miracoli. Lui lo sapeva alla perfezione.
Solo quando fu certo del suo assenso, Tom si azzardò a cingerlo alla vita e tirarselo contro, aderendo perfettamente al suo corpo e lasciandogli scivolare con navigata grazia un ginocchio fra le gambe. Se volesse dare una controllatina o se la sua intenzione primaria fosse solo stuzzicarlo una volta di più, Brian non lo seppe mai, perché comunque l’effetto di quel tocco fu devastante.
Niente di esageratamente plateale – non sarebbe stato da lui – ma il singhiozzo strozzato che gli sfuggì dalla gola concedeva a Tom molto più di quanto non desiderasse. E riusciva ad essere, allo stesso tempo, la misura esatta di ciò che voleva dargli e che pretendeva in cambio da lui.
Era strano. Era contorto. Era sporco.
Il sesso lo è sempre.
Tom gli sorrise sulla pelle, ma non era un sorriso di scherno né una vittoriosa presa di coscienza della propria posizione di vantaggio: era un ringraziamento sincero.
Qualcosa del tipo…
- Non pensavo che ce l’avrei fatta davvero, un giorno.
Brian sorrise a propria volta, sollevandogli addosso uno sguardo rovente.
Tom si leccò le labbra, e sullo specchio opaco e bramoso dei suoi occhi poté vedere chiaramente tutti i suoi sensi attorcigliarsi e confondersi in un senso unico: quello che gli permetteva di assaggiarlo, ascoltarlo, inalare il suo profumo, ammirarlo e sfiorarlo insieme. Il senso di Brian. L’espressione palese del suo desiderio.
- Sei stupendo… - gli sussurrò sulle labbra, prima di ricominciare a baciarlo, con passione crescente.
Brian lo lasciò fare, spingendolo al contempo fuori dall’ascensore, verso la porta di casa ed all’interno dell’appartamento, dove Tom non aspettò nemmeno la camera da letto per fermarsi e pretenderlo tutto. Brian lo osservò divertito cercare a tentoni una qualsiasi superficie semirigida alla quale appoggiarlo ed appoggiarsi. Lo osservò trovare il divano e spingerglisi contro nel tentativo di obbligarlo a distendersi sotto di sé.
Oppose resistenza per il solo piacere di sentirlo mugolare, insoddisfatto e implorante, e perdersi con le labbra e le mani sulla superficie della sua pelle, indugiando appena sulla scollatura della maglietta ed oltre l’orlo dei pantaloni.
- Tu godi nel farmi soffrire… - si lamentò Tom a mezza voce, annegando nel suo profumo.
Brian sorrise ancora.
- Solo un po’. – ammise, stringendosi nelle spalle, - Ma so anche essere un bravo bambino, quando voglio.
Tom sollevò gli occhi nei suoi, incerto.
- E vuoi?
Brian ebbe un attimo di esitazione. Non perché si sentisse improvvisamente insicuro, ma perché dannazione, così timido e rassegnato Tom era uno spettacolo indescrivibilmente bello, quasi ipnotico. Il modo in cui torturava il piercing, il respiro mozzo e ansioso a gonfiare il petto sotto l’enorme maglietta, la piega tormentata e sensuale delle sue sopracciglia, l’onda increspata delle labbra piene arricciate in una smorfia spaventata… era tutto quasi troppo bello per essere solo di una persona.
Fu solo un attimo, comunque. Si sporse quasi subito a baciarlo.
- Voglio. – puntualizzò, prima di lasciarsi ricadere sul divano con un lievissimo sbuffo d’aria.
Tom lo seguì, sorridendo felice come un bambino e cominciando immediatamente ad armeggiare con i suoi vestiti per spogliarlo.
Brian provò a propria volta a mettere mano nell’enorme impalcatura d’abiti extralarge che lo avvolgevano, ma la ritrasse presto, confuso.
- Faccio io, faccio io! – lo rassicurò Tom, entusiasta, sfilando in un gesto unico cappellino, berretto e fascia, lasciando la lunga coda di dread a carambolare pesante lungo le spalle e la schiena. Brian si concentrò sul movimento di quelle ciocche bionde e scure. Le osservò risollevarsi, trascinate dalla scollatura della maglietta, e ricadere poi sulla sua pelle nuda, dorata e profumata, tanto liscia e perfetta da far venire voglia di morderla.
Tom chinò il capo per slacciare la cintura che reggeva i pantaloni poco sotto l’orlo dei boxer, e nel movimento alcune ciocche ricaddero sul petto, incastrandosi nel solco fra i pettorali ed inciampando nelle sporgenze spigolose delle clavicole, sfiorandolo appena. Istintivamente, si sollevò a lambire con le labbra lo stesso percorso dei rasta, mentre Tom cercava di darsi un contegno sorridendo lievemente ma non riusciva ad impedire alle proprie mani di tremare spasmodicamente, come desiderasse averne più di due, perché per fare tutto ciò che desiderava quelle che aveva non sarebbero mai bastate.
Brian sorrise a propria volta sul tintinnio della fibbia della cintura che non si decideva a venire via, e sui grugniti sconnessi di Tom, che non sapeva se lamentarsi o gemere di piacere.
- Questo posso farlo anche io… - gli sussurrò addosso, scendendo con le mani a slacciare velocemente la cintura e sfilandola dai pantaloni, mentre Tom si occupava del bottone e della cerniera e, dopo essersi liberato del pesante ingombro dei jeans, sfilava svelto i boxer, premendosi contro di lui come a volergli dare una prova inconfutabile della propria eccitazione.
Brian gli scivolò addosso, lascivo, accogliendo compiaciuto il suo mugolio e le brevi quanto insistenti spinte che gli regalò in risposta. Gli concesse un bacio in premio. E poi un altro, e un altro ancora, fino a che non fu più tanto chiaro chi stesse dando e chi stesse ricevendo, nel serratissimo rincorrersi di labbra e lingue ch’era diventato quello scontro.
Tom scese con le mani lungo i fianchi in una carezza infinita, sfiancante, devota e tremendamente dolce. Brian rispose sollevando le braccia e stringendolo dietro la nuca, invitandolo ad andare avanti mentre giocava a torturare il suo lobo con la lingua.
Tom ristette appena sulle sue natiche, prima d’insinuarsi quasi timoroso nel solco fra di esse, scendendo a sfiorare la sua apertura nell’ennesima carezza devota che lo fece sospirare. S’inarcò e gemette sotto quella lieve pressione sulla pelle ipersensibile, e trattenne il fiato mentre lui portava le mani al viso ed inumidiva la punta delle dita, prima di tornare quieto ad accarezzarlo più intimamente, forzando con premura ma con decisione le naturali resistenze del suo corpo e scavandosi quasi di prepotenza un posto dentro di lui, obbligandolo a chiudere gli occhi ed adattarsi alla nuova presenza con gesti frettolosi ed agitati.
Quando le sue dita cominciarono a muoversi, Brian lasciò perdere il fastidio che ancora provava e socchiuse gli occhi, osservando l’immagine sfocata di Tom attraverso le palpebre. Era ancora bellissimo. Sudato ed ansimante, continuava a pressarglisi addosso, stuzzicando insieme le erezioni di entrambi. Era talmente piacevole che avrebbe quasi desiderato che continuasse semplicemente così fino alla fine.
Ma Tom aveva altre esigenze, lo sapeva. Ed anche lui, ormai, era ben più che semplicemente curioso. Voleva sentirselo dentro, voleva guardarlo muoversi mentre si faceva strada verso di lui, voleva sfiorare i muscoli là dove si tendevano e si stiravano al solo scopo di procurare piacere ad entrambi, e voleva assaggiare in punta di lingua il sapore della sua pelle.
Gli si avvicinò con più decisione, con uno scatto in avanti che costrinse le dita di Tom ad abbandonare il posticino caldo ed umido che s’erano conquistate a fatica. Tom non tardò a cogliere il suo desiderio. Si chinò su di lui, baciandolo profondamente mentre si sistemava fra le sue gambe e sollevava il suo bacino perché aderisse al proprio.
Compiendo lo stesso movimento di qualche minuto prima, portò di nuovo la mano alle labbra, leccandola stavolta per tutta la superficie del palmo, prima di lasciarla scendere a cingere la sua erezione per indirizzarla più facilmente verso di lui.
Gli scivolò dentro con estrema semplicità, quasi senza attrito. Brian lo sentì gemere prepotentemente contro la sua pelle, e gettò il capo all’indietro, provando a trattenere i sospiri mozzati che premevano per uscire dalle sue labbra. Tom si avventò subito sulla sua pelle bianca, trattenendola fra i denti e succhiandola con avidità, spingendosi ora lentamente ora più decisamente contro di lui, dentro di lui, fin quasi a stordirlo, accarezzandolo fra le gambe al ritmo stesso delle proprie spinte, mentre Brian si adeguava, seguendolo in quell’ondeggiare convulso, andandogli incontro quando lui si avvicinava ed allontanandosi quando lui si faceva da parte, cercando di dare regolarità ai loro movimenti e rinunciando al proposito quando le spinte di Tom cominciarono a farsi più svelte e concitate. Lo osservò serrare gli occhi e rovesciare il capo contro la sua spalla, mentre lo afferrava per i fianchi e lo penetrava un’ultima volta, quasi con violenza, prima di venire.
Lo seguì pochi secondi dopo, perché Tom non si fermò, ed anzi, continuò a spingere e ad accarezzarlo finché anche lui non raggiunse l’orgasmo. E poi si abbandonò completamente contro di lui, allacciandolo alla vita e cercando di recuperare un ritmo più regolare per il proprio respiro, mentre allo stesso tempo cercava di inalare quanto più potesse l’odore della sua pelle, per riempirsene i polmoni.
Non fu un movimento ragionato, ma dopo qualche secondo Brian sollevò un braccio e lo passò lievemente sulla sua nuca, prima si lasciarlo scendere a giocare fra le pesantissime ciocche di capelli che gl’ingombravano la schiena, il petto e le spalle.
- Dillo che ti stai pentendo di aver rifiutato fino ad adesso! – furono le prime parole di Tom. Una battuta offensiva condita però da una risata talmente sincera e divertita da non potere in alcun modo risultare seria.
Brian rispose con una smorfia, tirandogli i capelli.
- Adesso sì che sono pentito. Di averti fatto entrare in casa, però!
- Sempre sulle tue, tu… - mugolò Tom, imbronciato, sollevandosi a cercare un bacio, che lui gli negò.
- Dovresti darti una mossa. – suggerì, senza però smettere di trattenere un paio di dread fra le dita, - O non troverai nessuna stanza da nessuna parte.
Tom spalancò gli occhi, scattando a sedere e guardandolo dall’alto con manifesta sorpresa.
- Intendi buttarmi fuori di casa?!
Brian si strinse nelle spalle.
- Ma perché?!
Brian si limitò a ridere.
- Sei ingiusto! Tutto solo in questo appartamento enorme… e mi butti fuori!
- Come fai a sapere che è enorme? Ti sei fermato appena dopo l’ingresso…
- In effetti è vero. – rifletté lui, serio, - Portami a fare un giro!
- Così puoi colonizzare anche il resto della casa? – sorrise ironico, inclinando il capo.
Tom rispose con un sorriso malizioso dei suoi, di quelli che facevano proprio venire voglia di sollevarsi a mordergli le labbra.
- Non arriverò a tanto. – sogghignò furbo, - Comunque, per la prossima volta: si comincia dall’alto. Cappellino, cuffietta, fascia-
- Chi ti dice che ci sarà una prossima volta? – inquisì, inarcando divertito le sopracciglia.
Tom si strinse nelle spalle.
- Nessuno. – ammise, - Lo spero e basta.
Brian sorrise e se lo scostò di dosso, avanzando deciso verso il bagno.
- Trovati qualcosa da mangiare. – gli disse, sparendo in corridoio, - Io torno fra poco.
In coppia con l'armata delle fangirl nella sua interezza è_é
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: BrianxMatt, BillxTom.
Rating: R
AVVERTIMENTI: CrackFic, Language, Slash, RPS.
- Matthew e Brian scendono di casa una mattina, convinti di poter andare a fare una romantica gita in macchina in giro per l'Italia, e invece si ritrovano i gemelli Kaulitz beatamente addormentati sul sedile posteriore. I piani dei due sono rovinati, e fra paesini strani, animali vari ed eventuali, lo zampino del dio del fangirling e tanta umanità varia ed eventuale, se c'è una cosa che non mancherà in questa storia sarà la Demenzialità. Sì, quella con la D maiuscola.
Note: Inserirò un commento quando la storia sarà conclusa ù_ù
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Road Trip
Quando liz se ne esce con idee per scene assurde, Ana dovrebbe fermarla invece di darle corda aggiungendo altre scene altrettanto assurde ogni 10 secondi
…e se poi ci si mette pure la Nai, la cosa degenera oltre ogni limite. Apriti, cielo!


Before you begin… Credetemi, voi avete bisogno di essere avvertiti. Perché voi non volete davvero leggere questo concentrato di demenza gratuita, questo pout-pourri di sconfinata e illimitata idiozia, voi non volete davvero leggere robe che, per quanto sono stupide, somigliano a un anomalo caso di chara bashing innamorato. Voi non volete davvero imbarcarvi in una storia a capitoli così stupida e infinita da non avere un capo né una coda, da non capirci più niente. Non volete davvero, e a dire la verità non volevo neanche io ._. Ma siccome so che, come è successo a me, finirete per finirci invischiati comunque :D precisiamo un paio di cose.
Bill Kaulitz e suo fratello Tom, così come Brian Molko e Matthew Bellamy, non mi appartengono, per quanto la cosa possa essere disgustosamente ingiusta. Io non li conosco, mi limito a venerarli da lontano, e con quello che scrivo non intendo offenderli ma dichiarare loro il mio amore imperituro, per quanto tutto ciò possa sembrare allucinante °_°
Questi quattro, per quanto scriteriati possano sembrare, non fanno NULLA di ciò che narro. Avanti, quello che racconto io è troppo folle anche per loro, credetemi.
E comunque non mi appartengono, si appartengono da soli. Ma la proprietà morale e affettiva è nostra, fangirl <3 Facciamoci sentire! èoé
Ciò detto, io non ho responsabilità. La colpa di questa fanfiction è di Ana. Totalmente. E del dio del fangirling, che deve smetterla di approvarmi, o finirò male.
…sono già finita male, mh?
Buona lettura ç_ç”
(Per inciso, i manager non sono il male ç_ç!!! Sono tutti amabili, io li adoro ._. Alex, Dave, Tom, scusatemi se vi faccio fare sempre parti malefiche çoç Siete dei tatini ç.ç!!!)


PRIMA PARTE
LA PARTENZA
Dove veniamo a conoscenza della cruda verità per la quale i manager sono il male, e dei piani di vacanza estiva di Matthew Bellamy, prontamente mandati all’aria da una gita romantica nell’arcipelago di ew-che-schifo-non-voglio-nemmeno-pensarci.


- Okay… Brian? Mi spiegheresti un’altra volta com’è che ci siamo trovati in questa situazione? – chiese Matthew con aria abbattuta prendendo l’autostrada e accelerando moderatamente per non passare i limiti consentiti dalla legge e, allo stesso tempo, non farsi urlare “lumaca idiota!” dall’orda inferocita di automobilisti italiani in partenza per il weekend.
Brian sorrise gioioso e lanciò un’occhiata tenera ai gemelli Kaulitz addormentati l’uno contro l’altro sul sedile posteriore.
- Oh, Matty… - rispose zuccherino, agitando una mano, - il come è del tutto irrilevante!
- Scusami se dissento! – si agitò Matt, strizzando il volante fra le mani e saltellando sul proprio sedile come se pungesse.
- Non fare così, dai! – lo blandì Brian, accarezzandolo lievemente su una spalla, - Sveglierai i bambini! Avanti, se ti fa piacere ti racconto tutto da capo…
Matthew annuì decisamente, più volte, sterzando a destra per evitare di essere travolto da un camionista in chiaro momento da “devo-essere-dall’altro-lato-del-mondo-in-un’ora-toglietevi-dalle-palle!”.
Brian sospirò e incrociò le braccia sul petto, preparandosi a dire La Frase.
- È stata colpa di Alex… - accennò appena, e questo bastò a Matt perché decidesse di prendere la parola e continuare lui.
- Certo! È sempre colpa di quel diavolo malefico della tua manager! Ora, dico, io non sono nessuno per impedirle di mollare il mio manager che la venerava come una dea!, per mettersi con un tipo uscito dal nulla che si chiama come un formaggio sloveno neanche tanto buono e che guardacaso fa il baby-sitter per una band di adolescenti tedeschi… ma se il rischio dev’essere ritrovarmeli in macchina il giorno in cui ti ho promesso di portarti in giro per l’Italia, addormentati, puliti e profumati come bimbi, affiancati solo da un bigliettino che dice “prendetevi cura di loro fino a quando non saremo tornati, sono bravi!”, allora non ci sto, caro Brian! Alex deve darsi una calmata!
Il frontman dei Placebo sorrise bonariamente, scostando dalla fronte del proprio uomo la frangetta che, nei movimenti concitati che avevano condito lo sproloquio, era ricaduta quasi davanti agli occhi.
- Bravissimo, Matty. Sapevo che non avresti lasciato che mi consumassi la voce. Ma devo dire che nel tuo racconto ci sono delle piccolissime imprecisioni che sarebbe il caso di correggere…
- Sarebbe a dire?!
- Sarebbe a dire che Alex ha lasciato Tom perché Tom ha smesso di essere carino con lei, non perché è un’arpia vampira assetata di sangue e l’ha prosciugato e ora ha deciso che è inutile. Secondo poi, se puoi ricordarti che il cognome di David è uguale al nome di un formaggio, allora puoi anche ricordarti come si chiama per intero. E smetterla di dire che fa il baby-sitter, suvvia, è un manager…!
- Questi fatti sono assolutamente irrilevanti!
- Ecco, vedi? È esattamente quello che ti ho detto io, il come è irrilevante
- Non è il come ad essere irrilevante, sono i dettagli stupidi come le bagattelle amorose fra i nostri due manager e il vero nome di Jost!
- Oh, insomma! – si accigliò Brian, battendo nervosamente un dito sull’interno gomito, - La vuoi piantare di fare tutto questo casino? I bambini si sveglieranno davvero!
I bambini sono due giganti spaventosamente somiglianti ad adolescenti incazzate col mondo!
- …perché diamine il femminile…?
- Perché sono palesemente due donne!
Brian inarcò un sopracciglio.
- Posso capirlo se parli di quello truccato… - disse, indicando Bill con un cenno del capo, - Ma sulla sessualità dell’altro non penso dovrebbero esserci dubbi…
- Hanno entrambi dei lineamenti da donna, quindi sono donne.
- E tu ti vesti da donna, quindi sei donna, e io ho le gambe e un’acconciatura da donna e quindi sono donna anche io?
- Vuoi smetterla di fare precisazioni totalmente inutili?
Brian sbuffò annoiato e cercò di sprofondare nel proprio sedile, gettando uno sguardo distratto alla campagna che scorreva loro accanto.
- …Comunque, - riprese Matt, dopo essersi calmato e aver deciso che no, non era il caso di svoltare per Altopascio, - da dove hai detto che vengono questi Tokio Cosi…?
Tokio Hotel. – precisò Brian con una punta di fastidio, - E sono tedeschi.
- …vedi che sono pazzi?! Sia Alex che quell’altro uomo malefico di Jost! Prendere i suoi protetti e trasferirli dalla Germania a Milano solo per toglierseli di mezzo per poter passare un weekend di passione da qualche parte nell’arcipelago di ew-che-schifo-non-voglio-nemmeno-pensarci!
- In fondo è come se avessero chiesto un favore a degli amici, Matt… - cercò di ammorbidirlo Brian, parlando dolcemente.
- Quando vuoi chiedere un favore a degli amici non lasci il favore sul sedile posteriore della loro auto! E comunque com’è che avevano le chiavi?! Penso che dovrei avere paura! Immagina se- - cominciò, ma non riuscì a finire. Un mugugno lamentoso si sollevò dal retro della macchina, dapprima cupo e basso, poi sempre più acuto, fino ad estinguersi in un soddisfatto mh, e il nuovo giorno – malgrado fossero già le tre del pomeriggio, ma si sa, a quell’ora per i Kaulitz è ancora notte – vide la luce degli occhi castani e perfettamente truccati – nonostante la notte passata – di Bill Kaulitz.
- Che diamine…? – borbottò il ragazzo, ancora stordito dal sonno, guardandosi intorno con gli occhi offuscati. – Tomi…?
- Ungh… - mugugnò il biondo, sollevando appena il capo dalla spalla del fratello, - Noooh, oggi voglio la colazione a letto…
Bill completò la complessa operazione di spalancare gli occhioni proprio nel momento in cui Brian fece capolino dal sedile anteriore, sorridendo felice e radioso per dargli il buongiorno.
- Ciaaao! – cantilenò il leader dei Placebo, agitando una manina smaltata di nero, - Dormito bene?
Il moretto lo fissò.
Lo fissò a lungo.
E poi cominciò a strattonare i capelli del fratello, perché si svegliasse.
- Okay, okay, ho capito, Bill! – si lamentò Tom, svegliandosi a sua volta, mettendosi dritto e agitando le braccia per liberarsi del fratello, - Che cavolo hai?
- Tom. Quello. È… è lui?
- Lui. – articolò confuso,- Lui? Perché, dove siamo?! – strillò Tom, guardandosi intorno e rendendosi conto di non trovarsi nell’albergo nel quale s’era addormentato la notte prima, - Che ci facciamo in macchina?! Chi diav- … Molko…?
- Allora è lui!!! – strillò Bill, arpionando il fratello per un braccio e cominciando a strizzarlo furiosamente, - È lui è lui è lui!!!
Brian rise di cuore, godendo dello sconvolgimento emotivo che aveva provocato nel ragazzo, e si strinse nelle spalle con fare modesto.
- Sì, sono io. E tu devi essere Bill…
- Oddiomio!!! Oddiomio, Tom, mi conosce!!!
Tom continuò a guardare Brian come non riuscisse a credere che fosse vero.
- Sì, ho anche visto un vostro video… tu eri seduto e avevi una macchina da scrivere sulle ginocchia e l’ombretto più ca-ri-no che avessi mai visto! E comunque, chi è il tuo hair-stylist?
- Ossignore! Tom!!! Brian Molko si sta complimentando con me per il mio ombretto e per la mia pettinatura!!! Lo senti?!
- Lo sento, lo sento! – urlò Tom, riprendendosi dallo stato catatonico per risistemarsi il cappellino sulla testa, - Mi sembra incredibile e non capisco ancora che ci facciamo qui, ma mi sembra perfettamente legittimo che cominciate a scambiarvi consigli sul vostro make-up! Figuratevi! – disse, con una punta d’ironia derisoria nella voce. Ironia che Bill non colse, perché si gettò su di lui, urlacchiando come una ragazzina e blaterando “oh, ti adoro quando sei così comprensivo nei miei riguardi!”.
Brian rise di gusto, socchiudendo gli occhi.
- Siete qui perché i nostri manager avevano bisogno di passare un po’ di tempo da soli, e vi hanno affidati a noi. – spiegò pacatamente, - Spero che non vi dispiaccia…
- Dispiacerci?! – gioì Bill, giungendo le mani sotto il mento, - È una cosa fantastica! È una cosa meravigliosa! È tipo il sogno della mia vita che diventa realtà! È… “noi” chi?
Un grugnito adirato si sollevò dal sedile del guidatore, rivelando ai gemelli la presenza di Matt.
- Se conoscete Brian… - disse il frontman dei Muse, trattenendo il fastidio nella voce, e gonfiandosi orgoglioso come un palloncino, - dovete conoscere anche me…
Sia Bill che Tom si sporsero fino a poterlo guardare, e lo fissarono attenti per molti secondi.
Poi tornarono entrambi ai loro posti, e Bill scrollò le spalle.
- È il tuo parrucchiere? – chiese, indicando Matt e riprendendo a guardare Brian, - Sei sicuro di volerti affidare a uno con un taglio simile?
Brian sentì Matt sgonfiarsi facendo esattamente lo stesso rumore di un palloncino, e rise allegramente.
- No che non è il mio parrucchiere, Bill, tesoro, dico, guarda i miei capelli!
- Ehi! – sussultò Matt, ricominciando ad agitarsi, - Non si dice “non è il mio parrucchiere, guarda i miei capelli”!!! Si dice “non è il mio parrucchiere, è il mio uomo e lo amo da impazzire”!!!
- Tom!!! Mi ha chiamato “tesoro”!!! Oddio, è bellissimo! Muoio!!!
- Sì, Bill, sì…
- Amore, non arrabbiarti… dai, dai, “non sei il mio parrucchiere, sei il mio uomo e ti amo da impazzire”…
Elimina quelle virgolette, bastardo!!!
- Oddio, usa le virgolette nella voce!!! Tomi!!! Tomiiii!!!
- Sì, Bill, sì…
- Coooomunque… - la voce di Brian interruppe melodiosa il delirio, mentre una delle sue mani ancora si agitava sulla testa di Matt, accarezzandolo come volesse calmarlo, - Quanti anni avete? – chiese ai ragazzi, gli occhi bene aperti brillanti d’interesse.
- Diciassette! – risposero in coro Bill e Tom, mentre Tom mimava un dieci con le mani e Bill mimava il rimanente sette.
- Aaaawh! – mugolò Brian, - Siete così piccini e carini!!!
- Piccini e carini un corno! – interloquì Matt, fissando con astio un automobilista accanto a lui, evidentemente in vena di botte, - Tu sei piccino e carino! Come fai a dare del piccino e carino a un duo di stangoni di questo tipo?! E per inciso, quello truccato sembra un tuo clone ipervitaminizzato!
- Matt! – sbottò Brian, inorridendo della sua maleducazione, - Ti sembra modo di parlare davanti ai bambini?! Concentrati sulla strada e taci!
Matthew mormorò un’astiosa protesta incomprensibile e mandò a quel paese l’automobilista sfidante, strillando “se hai tanta fretta, passa! E che tu possa incontrare code chilometriche, qualsiasi sia l’uscita alla quale ti stai dirigendo!”.
- Dicevamo… - disse Brian, riportando lo sguardo sui gemelli e scuotendo il capo di fronte alla palese italianizzazione del proprio uomo, - E quand’è che fareste il compleanno?
- Presto! – risposero i ragazzi all’unisono.
- Ossignore, il mio cuore cede! – cinguettò Brian, quasi saltellando sul posto dalla gioia, - Li senti, Matty? Rispondono in perfetta sincronia!
- Sì, sì, certo, è magnifico…
- Ne voglio due uguali!
- Diventa donna e ti giuro che cercherò di darti due gemelli…
- Non mi interessa restare incinto! Sei tu quello che ha i pensieri deviati in questo senso!
- Eh, ma scusa! – sbottò Matthew, trattenendo l’impulso di sfilare un mocassino e lanciarlo in testa a un automobilista palesemente ubriaco davanti a lui (e non perché capisse quanto scorretto fosse lanciare mocassini fuori dal finestrino, ma solo perché i suddetti mocassini Dior avevano appena una settimana di vita e non gli sembrava il caso di mandarli a fare i kamikaze contro una stupida Fiat Panda dell’era paleozoica) – Non pretenderai, chessò, che te li compri!
Lo sguardo innamorato e cuccioloso che Brian gli rimandò indietro fu abbastanza per fargli capire che , decisamente avrebbe gradito che glieli si comprasse.
Lanciò un’occhiata dubbiosa ai gemelli dietro e catturò lo sguardo innocente e gioioso di Bill.
- Voi non siete in vendita, vero? – chiese, sollevando appena un sopracciglio.
- Dobbiamo parlarne con Dave! – pigolarono in coro i ragazzi, inclinando appena il capo e socchiudendo gli occhi per accompagnare un angelico sorriso.
- Oh, che meraviglia!!! – gioì Brian, ricominciando a saltellare sul sedile, - Ci pensi, Matty?! Sarebbe come adottarli!
- …con la differenza che in realtà non avremmo fatto altro che firmare un contratto a vita per possedere le loro anime, le loro menti e i loro corpi. – sentenziò cupamente Matthew, lanciando l’ennesima occhiataccia all’ennesimo automobilista maleducato in cerca di guai.
Sei paia d’occhi gli si fissarono addosso, spaventate.
Brian deglutì.
- Hai un modo orribile di uccidere la poesia della vita! – disse lamentoso, - Tesorini, voi non badategli. Che poi crescete male, andando in giro dicendo che credete negli alieni e che per cantare avete bisogno di tre banane. Non è bello.
I due annuirono simultaneamente, ritrovando il sorriso, e Brian si lasciò andare a tutta un’altra serie di versetti innamorati che Matt non tardò a definire urtanti.
- Ma quanto tempo avete impiegato per imparare a muovervi così in perfetta sincronia? – chiese, col tono di chi è intenzionato a smontare una bella cosa con un inutile sovraccarico di crudele sarcasmo.
- Nove mesi… - cominciò Tom, annuendo deciso.
- …nella pancia di nostra mamma! – concluse Bill, sollevando due dita in segno di vittoria.
Per poco Matt non andò a schiantarsi contro un tipo totalmente pazzo che aveva pensato bene di frenare bruscamente nel mezzo della strada – come lui stesso aveva appena fatto d’altronde.
- Voi due siete gemelli?! – strillò, lanciando loro l’ennesima occhiata sconvolta dallo specchietto retrovisore.
I ragazzi annuirono insieme, mentre Brian lo fissava stupito e commentava “Ma era ovvio, amore, non te n’eri accorto? Hanno lo stesso naso!”.
- Stesso naso un paio di palle, Brian! – sbraitò l’inglese, agitando teatralmente un pugno per aria, - Cioè, sinceramente, a parte questo fantomatico naso, cos’è che vedi di uguale in quelle due facce? Quello truccato è così truccato che per poco non gli si vedono gli occhi…
- Ma i ragazzi non nascono truccati, amore…
- E poi ha i capelli neri!!!
- Le tinte esistono per questo motivo, come entrambi ben sappiamo…
- Per non parlare dei vestiti!
- Amore, nasciamo tutti nudi, eh…
- Ma non importa! – sbottò Matthew, battendo le mani sul volante, - Io continuo a non capire questa situazione! E non capisco che ci facciamo qui! E non capisco per quale motivo i miei piani di passare una bella giornata romantica al mare con te siano saltati, e io sia stato costretto a rendere realtà la menzogna che ti avevo propinato per convincerti a partire-
- Non volevi davvero portarmi in giro per l’Italia in macchina?
Ovvio che no, Brian, io non conosco l’Italia, e non capisco perché questi incompetenti degli italiani continuino ad ostinarsi a guidare a destra quando il resto del mondo civile – il fatto che fosse solo l’Inghilterra non lo toccava minimamente – ha ormai accettato la guida a sinistra come fonte del bene mondiale, ma COMUNQUE tutto questo è secondario, io odio che i miei piani vengano cambiati, e odio dovermi occupare di gente che non conosco, e odioquando mi si ruba del tempo per stare da solo con te, e odio-
- Matt. – lo chiamò Brian, glaciale. Matthew si fermò e lo guardò, un brivido di paura lungo la schiena, - Se continui a blaterare, - sorrise angelico il frontman dei Placebo, stringendosi appena nelle spalle, - odierai anche il mio pugno che si scaraventerà contro la tua faccia senza la benché minima pietà. Ci sei?
Matthew tremò ancora un paio di volte, poi annuì e lanciò un’altra serie di improperi a un paio di automobilisti random, per far capire a Brian che sì, era tutto a posto e lui era ritornato in character.
I gemelli osservarono tutta la scenetta con infantile interesse, e alla sua conclusione si lanciarono un breve sguardo di comprensione e sollevarono entrambi un sopracciglio, in segno di silenzioso ma divertito sconcerto.
Matthew colse il cenno nello specchietto retrovisore e mugugnò.
- In effetti vi somigliate. – confessò, scrollando le spalle, mentre Brian annuiva con decisione.
- E chi è il più grande fra voi due? – chiese Brian, al colmo della curiosità, probabilmente prendendo appunti invisibili per poi costringere una qualche fabbrica sperduta da qualche parte nel meraviglioso mondo della sua mente a crearne due copie identiche per il proprio esclusivo divertimento.
- Io! – disse Tom gioioso, mentre Bill lo indicava, ugualmente gioioso, - Sono più grande di dieci minuti! – proseguì, gonfiandosi orgoglioso come un galletto.
- Oh! E ti prendi cura del tuo fratellino adorato? – continuò Brian, gli occhi ormai ridotti a due pozzi di fangirling.
- Sìsì! – annuirono insieme i gemelli, allargando le braccina e stringendosi amorevolmente a vicenda.
- Awh! E Bill, tesoruccio, tu come ti trovi nei panni di fratello minore? – continuò imperterrito Brian, totalmente dimentico dell’uomo irritato al suo fianco, che peraltro continuava a divertirsi a suo modo minacciando di morte poveri automobilisti in vacanza.
Bill per tutta risposta si lasciò andare ad un risolino dolcissimo, accoccolandosi come una piccola palla di pelo nero riflessato biondo contro la spalla del fratellone.
- Tomi è dolce e tanto tanto paziente! E io lo amo tantissimo!
- Ommamma! – sospirò Brian, brillando estasiato, - Matty, non sono la cosa più canon che tu abbia mai visto?
- Canon?!
I gemelli sorrisero compiaciuti, strizzandosi a vicenda.
- Ce lo dicono spesso anche Gusti, Georg e Dave, anche se non sappiamo cosa significa, ma probabilmente è un complimento! – gongolò Bill, strusciandosi contro la spalla del fratello, mentre quest’ultimo continuava ad annuire convinto.
Brian si lasciò andare a un piccolo applauso d’approvazione, e poi fece per tornare a sedersi composto al proprio posto, ma non ebbe neanche il tempo di girarsi che nel piccolo spazio fra i loro sedili e quello posteriore si diffuse un suono inquietante molto – troppo – simile a un ritornello dei Cradle Of Filth.
Matthew rischiò per l’ennesima volta di causare un disastro di proporzioni enormi, frenando bruscamente.
- Quello era un growl!!! – strillò sconvolto, lanciando occhiate terrorizzate ai gemelli, - Era palesemente un growl!!! Dov’è Dani Filth?! Dovedovedove?! Oddio! Brian! Dovremo disinfettare la macchina! Non voglio che la tappezzeria rimanga impregnata dei rutti di quell’uomo!!!
- …Matt. Calmati. – disse Brian atono, fissandolo come fosse pazzo, - Credo che i bambini abbiano fame.
- …ah. – commentò brillantemente Matthew, mentre i gemelli cominciavano a ballare come bimbi dell’asilo, canticchiando “fame, fame!” sulle note di “ma che bel castello marcondirondirondello”.
- Dovremo trovare qualcosa da dargli… - mormorò Brian, accarezzandosi pensieroso il mento. Poi il suo sguardo si illuminò e sul suo volto si aprì un sorriso vittorioso. – Cos’è che abbiamo trovato in macchina accanto ai bimbi addormentati e al biglietto di Alex e David…?
Matthew rifletté qualche secondo.
- Una specie di valigia?
- Non una specie, Matthew! Una valigia vera e propria! E sopra c’era scritto “da aprire in caso di emergenza”! Sarà sicuramente del cibo!
- Toh. – commentò acido Matthew, - E io che avevo pensato fosse il cambio di pannolino e i vestitini puliti per quando si fossero fatti la pipì addosso…
- Noi non ci facciamo la pipì addosso!!! – si ribellarono i Kaulitz, afferrando i capelli di Matt uno da un lato e uno dall’altro e prendendo a tirare come indemoniati, costringendo il cantante a tutta una serie di sterzate ad alta velocità che gli fecero guadagnare più d’un epiteto ingiurioso dalla fauna automobilistica che lo circondava.
- Suvvia, bambini, state calmi… Matthew, appena trovi un’area di sosta, fermati. È evidente che così non possiamo continuare.
- È evidente sì! – strillò Matt, massaggiando la cute dolorante, - Per questo, appena scesi, li legheremo al guard rail, li lasceremo lì, faremo inversione e torneremo a casa!
- No, Matt, amore, non è questo il piano… - disse dolcemente Brian, socchiudendo gli occhi, e, dal momento che Matthew aveva ripreso ad urlare come un ossesso, ricoprendolo di “non hai capito un accidenti di niente della vita intera, Brian!!!”, lo accarezzò lievemente sul collo e proseguì: - Avanti, vedrai: quando i pancini saranno pieni, i bimbi torneranno tranquilli.
Matthew lo guardò di sbieco, scivolando proprio malgrado contro la sua mano in un gesto morbido e stanco.
- Se non la finisci con questo atteggiamento da mammina… - minacciò lamentoso, - Giuro che ti compro un grembiule con una chioccia disegnata davanti. E poi ti ci imbavaglio.
Dopodichè, ignorando il risolino divertito di Brian e gli infantili gorgheggi dei gemelli, Matt individuò un’area di sosta e accostò, tagliando la strada a un pover’uomo che non chiedeva altro che proseguire diritto come aveva fatto fino a quel momento, e che, seppure incolpevole, ricevette una buona dose di insulti per la sua incompetenza evidente da parte del frontman dei Muse.
Quando la macchina fu ferma, al sicuro nell’area di sosta, col freno a mano ben piantato, solo allora Matthew osò spalancare lo sportello e scaraventarsi fuori dall’abitacolo, come fosse alla ricerca d’aria. Si guardò intorno – i campi coltivati di fronte a lui, brulle colline alle sue spalle, automobilisti indemoniati e disordinati ovunque – ascoltò Brian dire ai bambi- ai gemelli “Mi raccomando, rimanete qua buoni buoni, che noi fra poco torniamo” e desiderò realmente fuggire. Subito. Senza ripensarci.
Notò un autogrill poco distante da dove si trovavano, e pensò di fare una passeggiata a piedi fino a lì per prendere un caffé, magari qualche muffin, una bottiglietta d’acqua e poi mettersi a fare l’autostop – sebbene sulle autostrade italiane fosse inspiegabilmente vietato – per farsi portare al primo aeroporto utile e fuggire, chessò, alle Bahamas… ma il suo piano purtroppo non poté realizzarsi, perché Brian colse il brillio demoniaco e vigliacco nei suoi occhi e lo arpionò per il colletto della maglietta.
Tu vieni con me ad aprire la valigia, Matt. – disse glaciale e inamovibile il frontman dei Placebo, trascinando il proprio uomo disperato e mugolante lungo la strada, come un enorme sacco d’immondizia, - Non posso mica rischiare di rovinarmi lo smalto, se per caso non si apre dicendo “apriti sesamo”.
- Okay. – sbuffò infine Matthew, aprendo il portabagagli e recuperando il borsone che avevano trovato accanto ai ragazzi, - Apriamo questa roba.
La roba, all’interno, era divisa in tre scomparti. Uno, più grande, conteneva delle adorabili tazze da latte a forma di muso di mucca, due cucchiai pezzati bianchi e neri, evidentemente in coordinato con le tazze, due cartoni di latte e un’enorme, mastodontica confezione di corn flakes. “Per quando si svegliano”, recitava la calligrafia spigolosa di Jost, da un foglietto a quadretti tutto spiegazzato.
- Non sono Special K! – si lamentò Brian, sbuffando sonoramente e guadagnando in cambio un’occhiata di disapprovazione da parte di Matt.
Quando la delusione di Brian fu passata, i due si guardarono, ghignando compiaciuti.
Avevano trovato il modo per fermare il growl!
- E qua che altro c’è…? – chiese curioso Brian, adocchiando uno scomparto di media grandezza e forma circolare, all’interno della valigia.
Matthew recuperò il foglietto che usciva da sotto la scatola rotonda riposta nello scomparto, e lesse.
- “Se proprio non riuscite a farli stare zitti”, dice. – recitò atono, rivoltando il foglietto fra le mani, - E nient’altro.
Brian scrollò le spalle a aprì con noncuranza la scatola.
Era ricolma di caramelle gommose.
Entrambi gli uomini rimasero lì a guardare i dolcetti multicolore e multiforma per molti secondi, e infine si limitarono ad annuire comprensivi.
- Questa sarà la chiave della buona riuscita di tutto il viaggio! – gioì Brian, pieno d’entusiasmo. – L’ultimo biglietto dice…?
Matthew lo prese fra le mani e lesse.
- “Da usare solo se davvero non riescono neanche a tenere gli occhi aperti. A vostro rischio e pericolo”… sarà mica una bomba…?
Brian sollevò la tovaglietta che copriva il terzo comparto, rivelando quattro lattine blu e argentate.
- Peggio. – deglutì, - Red Bull.
- Una bevanda energetica?! – strepitò Matthew, inorridendo al punto da fare un passo indietro e rischiare d’essere investito da un bontempone che pensava fosse divertente fare il pelo alle macchine in sosta passando loro accanto a centottanta chilometri orari, - Quei due hanno bisogno di tutto, tranne che di una bevanda energetica!!!
- Mi sa che per una volta hai ragione. – annuì Brian, ricoprendo le lattine, - Ed è per questo che noi non gliele daremo. Mai e poi mai. Adesso prendiamo questa roba e portiamola in macchina, probabilmente fare colazione li calmerà.
Matthew roteò gli occhi, esasperato.
- Brian, amore, per quanto la visione che hai nella tua testa sia spaventosamente simile a quella di due poppanti di sei mesi, quei due giganti non hanno sei mesi! La colazione non li rintontirà al punto da costringerli a dormire, fornirà loro solo più energia, così potranno saltare sui nostri corpi esanimi e ridurci a brandelli!
- Matt-
- E tu sarai pestato dagli stivali coi tacchi di Bill!!!
- MATTHEW, CRISTO! – strillò Brian, afferrandolo per la maglietta e scaraventandolo contro la carrozzeria della macchina, - Adesso datti una calmata! Sono solo bambini! Sono innocenti! Cosa diavolo pensi possano fare?! Sono due angeli! Fino ad ora non ti hanno fatto niente, a parte quando hai dato loro dei piscialletto, eppure tu sei stato scorbutico e isterico dal primo momento!!! Adesso basta!!! Ora torniamo lì dentro, prepariamo loro la colazione e tu ti scuserai per essere stato il mostro che sei stato! D’accordo?!
Brian si interruppe, ansante, stringendo ancora il colletto della maglia di Matt fra le dita.
Lui lo guardò, terrorizzato dal suo sguardo iniettato di sangue, e lentamente posò la mano sulla sua.
- Bri… tesoro… non volevo irritarti tanto… - mormorò dolcemente, cercando di rabbonirlo, - Solo che pensavo di stare un po’ da solo con te ed è andato tutto a farsi benedire… ma hai ragione, hai ragione su tutto, poveri cari, mi sono comportato male con loro… adesso torno dentro e mi scuso, promesso… - gli lanciò una breve occhiata, osservando compiaciuto la furia ormai sparita dalle belle iridi grigioverdi, - Okay?
Brian sorrise, sospirando pesantemente e abbandonandosi contro di lui con tenerezza.
- Sapevo che bastava farti ragionare! – pigolò il leader dei Placebo, mentre Matthew gioiva silenziosamente del pericolo scampato.
- Bene! Mettiamo in pratica i buoni propositi. – asserì l’inglese, voltandosi verso il proprio sportello ancora spalancato, per raggiungerlo e rientrare in macchina, - Ragazzi, volevo dirvi… - cominciò, ma si interruppe quando si rese conto che nessun rumore proveniva dall’abitacolo, il che era assurdo, perché da quel poco che aveva visto gli era sembrato di capire in maniera del tutto inequivocabile che le parole “silenzio” e “Kaulitz” non potessero trovarsi nella stessa frase senza costituire un ossimoro.
- Ragazzi…? – cinguettò Brian, facendo capolino all’interno della macchina, per verificare che fosse tutto a posto, - Oddio, dove sono…?
- …LO SAPEVO!!! – tuonò Matthew, resistendo a stento all’impulso di afferrare la macchina con entrambe le mani, farla roteare sopra la testa e lanciarla lontano (più per evidente impossibilità di compiere l’azione che per altro) – Lo sapevo io, che non c’era da fidarsi! Te l’avevo pure detto! Ma tu no! Tu non capisci! “Sono due angeli”, dici tu!!! Due angeli un piffero, Brian!!! Chissà dove sono finiti adesso?!
Brian uscì dalla macchina e cominciò a guardarsi intorno, apprensivo.
- Oh, ma io li lascio qui! – continuò Matthew, sistemandosi più comodamente sul proprio sedile e rimettendo la cintura di sicurezza, - Eccome se li lascio qui! Che chiamino il loro baby-sitter, se vogliono farsi venire a salvare! Io mi sono rotto! – e così dicendo girò la chiave e mise in moto. – Brian? – chiamò, ma Brian non rispose.
Ma appena Matthew fece per sporgersi dal lato del passeggero, per capire cosa stesse facendo là fuori, immobile come uno stecco in assenza di vento, venne investito da un’enorme quantità di luce brillantissima e dall’immagine del proprio uomo in posa adorante – il viso proteso in avanti, le mani giunte sotto il mento, le gambe unite e dritte, tese come volessero aiutarlo a sporgersi il più possibile verso la scena che stava guardando – che fissava qualcosa che lui non riusciva a vedere.
- Oh, Signore Benedetto… - mormorò, liberandosi nuovamente dalla cintura e riscendendo dalla macchina, - Brian, cosa diavolo…? – ma anche lui non riuscì a continuare. Anche lui, non poté che fermarsi e, semplicemente, restare ad osservare.
Evidentemente, i gemelli Kaulitz erano silenziosamente scivolati fuori dalla macchina mentre loro erano intenti a rovistare fra i bagagli. Evidentemente, aiutati da quei trampoli che avevano al posto delle gambe, erano riusciti a scavalcare sia il guard rail che il muretto che separava la strada dal terreno montuoso. E lì s’erano seduti, in mezzo all’erba e ai fiori di campo, e avevano preso a coccolarsi come leoncini, con fusa e piccoli ruggiti compiaciuti annessi, totalmente dimentichi di tutto il resto.
- Ossignore!!! E adesso chi la paga a quel diavolo di Jost la tassa sul twincest?! Hai idea di quanto sia alta?!
- Maaaaaaatt!!! – strillò Brian, saltellando sul posto, - Ma guardaliiiiiiii!!!
- Disastro! – si lamentò Matthew, portando entrambe le mani ai lati del viso, - Ora chi li smuove più?!
- Ma non voglio smuoverli affatto! – trillò Brian felice, sistemando tutto il necessaire per la colazione in bilico sotto un braccio e organizzandosi per raggiungere i gemelli sul prato.
- Brian! Non ci riuscirai mai! Sei troppo basso per scavalcare il muretto!!!
Ma Brian neanche lo sentiva più. Aiutato da chissà che forza divina – probabilmente dal dio del fangirling, che aveva pensato che unire un Brian Molko alla già tenerissima scena dei gemelli Kaulitz non avrebbe potuto che giovare – era riuscito a raggiungere il prato e ora saltellava come uno stambecco in direzione dei ragazzi, agitando in aria cereali e latte in una pessima e decisamente inquietante imitazione di un’Heidi trentacinquenne maschio, abbigliato con un paio di terrificanti jeans ricoperti di toppe multicolori e una maglietta bianca sulla quale trionfava la scritta “I Love New York”.
- Brian… cosa diavolo stai facendo?! – urlò dalla strada, cercando di riportare la situazione in carreggiata, in tutti i sensi.
- Ooooh, Matty! Smettila di fare il guastafeste! – si lamentò Brian, invece di rispondere, poggiando il necessario per la colazione per terra e prendendo a intrecciare margherite per farne ghirlande con le quali addobbare i gemelli, - In fondo non abbiamo nessuno che ci insegue! Abbiamo tempo! Ah, e… c’è un plaid a scacchi sul sedile posteriore, vieni qui e portalo con te!


OMAKE
Uno stupendo talk-show condotto dalle autrici, con esclusivi collegamenti via satellite in giro per il mondo!
Redatto in stile copione teatrale perché alla liz sinceramente seccava stare lì a scrivere le cose seriamente.


Liz: Buonasera! Siamo qui riuniti per-
Ana: No, neechan, non c’entra… questa è la formula del matrimonio… il matrimonio è più avanti… non spoilerare i lettori…
Nai: Tanto è scema, dico, che ti aspetti…?
Liz: Adesso!!! Non cominciamo. Buonasera cari lettori! Vi presento l’omake! Un omake per il quale fino a dieci minuti fa non avevo il benché minimo straccio di idea, ma fortunatamente poi la mia neechan e la Lemmina mi hanno dato una mano via MSN e adesso so esattamente cosa fare!
Nai: Adesso ho paura.
Ana: No, ma è una bella idea, aspetta che la spieghi…
Liz: È un’idea geniale! Non a caso non è stata mia!
Nai: Tutto si spiega…
Liz: La finisci o no?
Nai: *solleva le braccia e poi si passa due dita sulla bocca come a chiudersela con la cerniera*
Liz: Comunque! Quello che faremo in questo talk-show, da oggi in poi, sarà addentrarci nei meandri misteriosi e scabrosi di questa fantastica storia che siamo sicure avrete amato dal profondo del vostro cuoricino fangirlante…
Ana&Nai: Ma anche no.
Liz: Dico, quando la piantate di sabotarmi è sempre tardi! Bando alle ciance, ecco il primo scoop: uno dei grandi misteri della serie è-
Nai: Quale assurda malattia impedisca a Matthew di capire con uno sguardo che Bill e Tom sono gemelli?
Liz: No. E non parlarne di fronte ad Ana, che lei ne è affetta!
Ana: Allora il mistero potrebbe essere cos’è che spinge i gemelli a comportarsi da decerebrati per i tre quarti della fic – mentre per il restante quarto dormono?
Liz: A parte che questo si scoprirà nel prossimo capitolo, il perché tutti nelle mie fic si comportino da decerebrati per principio è un mistero che non verrà mai svelato. Per esigenze di copione. MA COMUNQUE!!! La vogliamo smettere di dire vaccate?! Sono già dieci pagine, i lettori poi si stufano!!!
Ana&Nai: Ma chi ti vuole?! Fai tutto tu! Prima chiedi e poi ti arrabbi, ma sei normale?!
Liz: Maledizione a me e a quando ho deciso di scrivere questa fanfiction in comunità. Dicevo, uno dei grandi misteri della serie sarà cercare di capire dove diavolo siano finiti Alex e David, scappati in fuga d’amore, e perché l’abbiano fatto. A questo proposito, siamo collegati in diretta con questo luogo misterioso, dove Alex e Dave…
*sullo schermo scorrono immagini idilliche dei due manager che corrono lungo la spiaggia con sottofondo musicale di Asereje*
Liz: REGIA!!! Che c’entra Asereje?! *indica lo schermo* Stanno amoreggiando, serve una canzone italiana degli anni ’60 o peggio!
*la Lemmina dalla regia fa segno di vittoria e mette su Maledetta Primavera di Loretta Goggi, gentilmente suggerita dalla neechan*
Liz: Adesso ci siamo! Alex, Dave, ci sentite?
Alex&Dave: Forte e chiaro!
Liz: Bene! Cosa ci dite di bello?
Alex: *con sguardo sognante* Aaaawh, qua è tutto così meraviglioso! Spiagge chilometriche, sole, hawaiani sexy che ci sventagliano per non farci sudare…
Ana: Quindi siete alle Hawaii!
David: Ovviamente no. Però hawaiani rendeva bene, vero amore?
Alex: Vero amore!
Nai: Bleah!
Alex&Dave: …come sarebbe a dire bleah?
Nai: Io disapprovo! L’ho detto anche alla liz, quando progettava di scrivere questa vac- ehm, questa storia! Alex, è ingiusto che tu abbia lasciato Tom per scappare con- con- con- con un formaggio!!!
Alex&Liz: NON È UN FORMAGGIO!!!
Lemmina (dalla regia): E comunque è un gran bel pezzo di formaggio!
Nai: È comunque scappata con lui!
Alex: *tirando fuori un fazzoletto da talk-show strappalacrime* Ho lasciato Tom perché lui non mi amava più!
Nai: Non ci crederò mai!!! L’ho visto l’altroieri, era un uomo completamente disfatto e-
Liz: Nai, vuoi smetterla di spoilerare i lettori?! Di questo si parlerà nel prossimo omake!
Ana: Ma spiegatemi una cosa… io posso capire che tu, Alex, abbia lasciato Tom, ma dico, sei una donna adulta… fuggire così… senza spiegare niente a nessuno… mollando i gemelli a un paio di genitori snaturati che palesemente non hanno la più pallida idea di come prendersene cura… mi meraviglio di te! E mi meraviglio anche di te, neechan! Perché questa predica la fai fare proprio a me?!
Liz: *scrolla le spalle* Non parlavi da un po’…
Alex: Parli così perché non sai! *morde fazzoletto* Se anche tu avessi avuto Matthew a girarti intorno come un’ape imbizzarrita ripetendo come un pazzo “devi tornare con Tom, devi tornare con Tom, devi tornare con Tom”, anche tu avresti avuto voglia di fuggire in un luogo sperduto e ignoto agli occhi del mondo!
Liz: Aha! Abbiamo scoperto il motivo per il quale i due sono scappati!
Nai: Già. Come al solito Matt ha fatto una vaccata random della quale pagheremo tutti le conseguenze per SECOLI, visti i mille seguiti che volete scrivere di quest’oscenità!
Ana&Liz: Non parlarne come se non c’entrassi niente!
*la Lemmina fa cenno di tagliare dalla regia perché è mezzanotte e quindici e le autrici hanno di meglio a cui pensare che non continuare a dire idiozie a ripetizione*
Liz: La Lemmina ha ragione! È stato un piacere, signore care…
David: Un attimo, dovremmo parlare degli estremi per il pagamento della tassa twincest che-
Liz: ECCO, È PROPRIO ORA DI CHIUDERE!!! Al prossimo capitolo, con nuove, esaltanti rivelazioni!
Nai&Ana: Esaltanti? Avremo mica visto uno show diverso?
Liz: Tacete adesso! Lemmina, sigla!
Lemmina (dalla regia): Tarattattatattà tarattattattà! *copincollata direttamente dalla finestra MSN*

FINE PRIMA PUNTATA
(sul serio)



Dall’autrice… Ed eccoci qui alla fine del primo capitolo :’D Facciamo un po’ di making of, che non fa mai male (anche perché sennò poi rischio di dimenticarlo, e non sarebbe bene X’D). Allora, questa storia, so che morite dalla voglia di saperlo, è nata totalmente per caso, mentre guardavo una buffa gallery su Virgilio, e venivo inondata da decine di immagini lol provenienti da tutta Italia, raffiguranti cartelli stradali idioti et similia XD
Comunque, dopo aver visto tutta ‘sta serie di idiozie, la prima cosa che ho pensato, ovviamente, è stata “Voglio scrivere una fanfiction in cui Brian e Matthew portano i gemelli in giro per l’Italia” X’D Al che mi sono rivolta ad Ana, sperando che, tipo, mi fermasse. Ma lei, essendo il mio seme, non poteva che fomentarmi di più, e perciò invece di fermarmi ha risposto “Posso dare una mano? *_*”, e da lì praticamente la fic è diventata sua X’DDDD Nel senso che io ho dato l’idea e abbozzato la trama, e lei s’è messa a sputare fuori una tale quantità di scenette lol con cui riempire le pagine che, come avrete intuito, da oneshot che era nata la storia è diventata una longfic X’D Una lol-longfic <3
Poi, chiaramente, è degenerata grazie anche al mio cervello e a quello di Nai, c’è da dire X’D Si sono aggiunti dei motivi, s’è perfezionata la trama, sono nate pure le mascotte della storia <3 (che vedrete più avanti XD), si sono aggiunte ALTRE scenette lol e altre persone alle quali devo tanto (la Lemmina, Vale e Bea <3), e alla fine di tutto ciò Road Trip è diventata un’epopea divisa in tanti di quei seguiti e controseguiti che vi confonderete prima di arrivare alla fine di tutto, credetemi X’D Per la gioia vostra e mia <3
(PS: Ci tengo a specificare che scrivo in prima persona perché sono il comandante in capo – altresì detto Führer – dell’armata delle fangirl… ma siamo veramente tante teste dietro questa storia X’D Quindi amateci tutte <3)

Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: PG-13
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Il concerto parigino del Live8 (e soprattutto il tempo passato nel backstage) non potrà svolgersi in maniera tranquilla, se sommiamo alla normale follia di Matthew e Brian anche quella di un fangirlantissimo Bono e cospargiamo tutto con una spruzzata di esasperazione da parte di Dom e Stef! E cosa c'entra il peluche a forma di cane?!
Note: Questa demenza senza il benché minimo senso e priva anche di veridicità a livello storico (la foto che ha ispirato tutto questo non è stata scattata il giorno del Live8 e decisamente Bono non era a Parigi a pulire per terra quando il concerto aveva luogo X’D Per non parlare del fatto che Brian e Matt non erano in luna di miele a Parigi in quel periodo! Erano in luna di miele altrove ù_ù”””) è dedicata ad Eide e IrishBreeze <3 Due ragazze amabili con le quali condivido varie ed eventuali passioni musicali e fangirlanti <3 In particolare, è colpa della prima se l’idea m’è venuta in mente, ed è colpa della seconda se mi sono sentita stimolata a portarla avanti fino alla fine. Quindi, come al solito, io sono del tutto incolpevole ù_ù Prendetevela con loro ù_ù
Ringrazio altresì tutte le altre fangirl che sono rimaste pazientemente in attesa della fine, e che hanno sopportato i miei deliri via MSN (neechan, Juccha, Lemmina <3) e via SMS (Nai <3). Vi lovvo <3
Non odiatemi troppo, eh X’D
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Before you begin… Questa è la dose mensile (mensile? Facciamo anche settimanale… o giornaliera… ç_ç Sono perduta) di lol demente della liz :D Pertanto, niente di quanto descritto in questa storia è reale, e neanche realistico, se è per questo X’D Si fa per ridere, e perdonatemi se per una volta (la modestia dov’è?) fa veramente schifo X’DDDD
I tati non mi appartengono, eh. Nessuno di loro. E non ci lucro su, no no ù_ù Affatto.

Matt, Brian E Il Peluche A Forma Di Cane


Bono si nascose nello sgabuzzino.
Non era un avvenimento che avesse luogo molto spesso, ma la situazione contingente era tale da impedirgli di poter continuare a girovagare libero per gli studi. Edge, da qualche parte, lo stava cercando. E voleva la sua testa.
Il frontman sbuffò, incrociando le braccia sul petto e giocando a prendere a calci una scopa.
Non capiva sinceramente quale fosse il problema del suo chitarrista!
In fondo, non aveva fatto altro che esternare la propria intenzione – neanche, il proprio desiderio – di invitare due comunissimi e normalissimi ospiti al Live8…
Si guardò circospetto intorno. Constatò che l’antiquato chiavistello della porta fosse ben chiuso e poco propenso ad aprirsi e poi tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, cercò un numero in rubrica e chiamò. Attese solo pochi secondi, non più di uno squillo, prima che una voce allegra e trillante rispondesse dall’altro lato della cornetta.
- Ciaaaaaaao Bono!
- Carissimo! – esultò felice il frontman, mettendo una mano sul fianco e accomodandosi su uno scatolone nel mezzo della stanza, - Come va? Ho saputo che sei di nuovo felicemente ammogliato!
- Già. – annuì la voce allegra e trillante, - Lo sai, non sono tipo da privarmi di una relazione per troppo tempo…
- Sì, be’, quando ho sentito con chi stavi mi sono quasi preoccupato… ho temuto, non so, che gli alieni ti avessero rapito durante la notte, per scambiarti con una replica perfettamente uguale a te ma totalmente folle…
- Ah! Attento a non parlare di alieni davanti alla mia nuova mogliettina… non vuoi davvero iniziare questo discorso in sua presenza! – rise la voce allegra e trillante.
- Sì, ho letto qualcosa in giro… - rise a sua volta Bono. – Ma dimmi, dimmi, che programmi avevate per la prossima settimana?
- Mah. – sbottò la voce allegra e trillante, mentre si trasformava rapidamente in una voce dubbiosa e sbuffante, - Siamo qui a Parigi in luna di miele, e…
- Parigi! – gioì Bono, battendo una mano sullo scatolone, - Cosa sentono le mie orecchie!
- …scommetto che stai per proporci un nuovo modo per salvare il mondo. – asserì la voce dubbiosa e sbuffante, mentre un’altra voce, più lontana, annoiata e insofferente, borbottava “ma hai finito con quello stupido telefono?!”.
- Esatto! – annuì Bono. – Avrete sentito che Parigi sarà una delle location dove avrà luogo il Live8, no?
- Ah-ha…
- E quindi, se non avete niente di meglio da fare…
La voce dubbiosa e sbuffante, appunto, sbuffò, e mormorò “aspetta che chiedo”. Dopodichè Bono ascoltò le due voci confabulare per un po’, e dopo qualche secondo la voce annoiata e insofferente si trasformò in una voce allegra e trillante proprio come la prima, e disse “Cantare? Non vedo l’ora!!!”.
- Direi che va bene. – rispose infine la voce dubbiosa e sbuffante, tornando pure lei allegra e trillante, - Ci vediamo lì!
La conversazione venne bruscamente interrotta quando la seconda voce allegra e trillante strappò il cellulare dalle mani della prima e minacciò “ora se non lo spegni lo butto nella Senna!”.
Bono sogghignò, e si preparò ad uscire vittorioso dallo sgabuzzino, meditando di non dire nulla ad Edge fino a quando per lui non fosse stato troppo tardi per poter fare qualcosa per cambiare la situazione.

*

- Che giornata meravigliosa! – strillò Bono Vox, saltellando felice come un coniglio da un lato all’altro del backstage, dando all’enorme stanza gli ultimi ritocchi.
- Perché ho come l’impressione che qualcosa andrà storto e saremo coinvolti in una situazione assurda? – chiese Edge, aiutando il proprio frontman a sistemare la fodera rossa anti-macchia sul divanetto nel mezzo della stanza.
- Non riesco a capire di cosa tu stia parlando. – cinguettò Bono, abbandonando la fodera al suo destino e ricominciando a saltellare allegramente, volando di poltrona in poltrona per verificare la morbidezza dell’imbottitura.
- Sto parlando… - disse Edge, afferrandolo per una spalla e portandolo di fronte all’enorme armadio pieno di assurdi costumi di scena che l’irlandese aveva piazzato su una parete della stanza, - …di quello.
Fra i vestiti faceva capolino in effetti una gigantesca cesta ricolma di giocattoli.
- Ehm. – disse Bono e, non trovando altro di più intelligente da aggiungere, tacque.
Ehm il cavolo. A cosa dovrebbero servire i giocattoli?!
- …portano allegria e colore all’ambiente! – motivò Bono, illuminandosi d’immenso, mentre prendeva una palla a caso e cominciava a farla rotolare sul pavimento.
- …certo. – annuì Edge, fingendo di credergli, - Soprattutto stando chiusi in un cestone qua dentro. Mi convinci proprio, B.
- Oh, insomma! Sono solo giocattoli! Cosa vuoi che significhino?!
- Significano esattamente che c’è qualcosa che non mi hai detto! E voglio sapere cos’è!
- …
- …perché se è quello che temo…
Proprio in quel momento, la porta si spalancò e Brian Molko fece il proprio ingresso trionfale, seguito a ruota da Matthew Bellamy, il suo nuovo ragazzo.
- Siamo un po’ in anticipo! – gridacchiò il frontman dei Placebo, tuffandosi sul divano e lanciando una banana a Matt, che la prese al volo, - Spero non sia un fastidio!
- Figuratevi!!! – gioì Bono, fregandosi le mani, - Siete sempre i benvenuti qui!!! Buon divertimento, spero che la permanenza sia di vostro gradimento! – e, così dicendo, prelevò Edge e lo trascinò nell’altra stanza, richiudendosi istantaneamente la porta alle spalle.
- Ecco, era esattamente quello che temevo! – sbottò Edge, gesticolando, - È da quando è venuta fuori la storia che stanno insieme che mediti di invitarli al Live8 per cantare!!! Lo sapevo che sarebbe successo!
- Ma Edge, scusa! – si lamentò il moro, stringendosi nelle spalle, - Fino a questo momento, ogni volta che si è provato a farli stare insieme nella stessa stanza, si sono ottenuti effetti disastrosi che andavano dallo scoppio della quarta guerra mondiale alla detonazione di una bomba atomica! Permetti che colga l’occasione di una loro possibile civile convivenza per istigarli a suonare per fare qualcosa di buono per il mondo e salvare l’Africa da-
- Tu dici troppe belle parole. – lo interruppe Edge, tappandogli la bocca, - E non ti guardi abbastanza intorno. Quella ti pare una civile convivenza?! – sbuffò, indicando Matt che divorava banane sul divano ripassando i testi assurdi delle proprie canzoni e Brian che faceva di tutto per distrarlo, miagolando intorno a lui e strusciandoglisi addosso.
- …facciamo… “pacifica” al posto di “civile”…? – mormorò Bono timoroso.
- Bah! – concluse Edge esasperato. – Che finirà male lo sappiamo entrambi. Tanto vale prepararsi al peggio e correre ai ripari in caso di bisogno.

*

Al termine della propria esibizione, Matthew Bellamy rientrò felice nel backstage e si accasciò sul Divano Rosso Del Riposo, con un sorriso soddisfatto sul volto. Neanche due secondi dopo, Brian Molko era al suo fianco, e lo guardava con occhi brillanti d’amore e devozione.
- Siete stati fantastici! – commentò il frontman dei Placebo, giungendo le mani sotto il mento, - E tu con questa camicia sei… sei… veramente incommentabile!!!
- Spero in senso buono… - ridacchiò Matthew, stendendosi più comodamente sui cuscini, mentre Brian si arrampicava sul divano e si accoccolava contro di lui.
- Una volta tanto, sì! – rise l’uomo, sistemando i cuscini sotto la testa del proprio compagno e aiutandolo a distendersi meglio. – Adesso che fai?
Matthew aprì appena gli occhi per lanciargli uno sguardo luminoso di gioia e sporgersi verso di lui, baciandolo lievemente sulle labbra.
- La nanna. – rispose, tornando disteso.
- Ma… ma… - balbettò Brian, deluso, - La mia esibizione…
Stefan trattenne Steve dallo sgozzare il proprio frontman, mentre il batterista ripeteva sconvolto “la tua esibizione, Brian…?!”.
- Mi sveglierò in tempo per vederti, tesoro… - lo blandì Matt, sollevandosi ancora una volta per baciarlo sulla punta del naso, mentre Steve strillava e, indicandoli, faceva notare a Stef che “quei due bastardi parlavano come se loro non esistessero affatto!”.
- Ma!!! – continuò Brian, sempre più triste, - Io canto stasera! C’è ancora un sacco di tempo! Mi annoierò!!!
Matthew sorrise ancora una volta, possibilmente più soddisfatto di prima, e non rispose.
- Matt!!! – lo richiamò Brian.
Nessuna risposta.
- …Matt?
Un lieve grugnito annunciò rombando che il frontman dei Muse stava già dormendo e si apprestava anche a cominciare a russare.
- Matt!!! Non ci posso credere!
Con uno sbuffo irritato saltò giù dal divano e si accucciò per terra, le gambe incrociate, fissando Matthew felicemente assopito, abbandonato contro i cuscini, con un sereno sorriso sul volto.
- Oooh… - mormorò, a metà fra la delusione e la tenerezza, - Non riesco neanche ad avercela con lui… è così adorabile… vero Dominic, che è adorabile? – chiese amorevolmente, afferrando il povero batterista che passava di lì e costringendolo a sedersi accanto a lui.
- ALT, Molko! – disse il batterista, alzando le braccia, - Non so cosa diavolo vuoi! – proseguì, - Ma sappi! che nella mia mente assomigli molto al male primordiale! Tipo il serpente di Adamo ed Eva! E, per quanto mi riguarda, potresti tranquillamente essere la sua reincarnazione! – si interruppe, prese fiato, continuò. – Quando Matt mi ha detto che stavate insieme, mi sono opposto! Quando mi ha detto della luna di miele, mi sono disgustato! Quando mi ha detto di oggi, mi sono spaventato, e ho fatto bene!
Brian annuì lentamente, ascoltandolo con attenzione.
- Non mi stai simpatico. – continuò Dom, - Non ti trovo piacevole e non vedo alcuna ragione per la quale dovrei andare d’accordo con te, passare del tempo con te o anche solo restare ad ascoltarti! E quindi ora gradirei essere lasciato in pace. Ci comprendiamo?
Brian annuì ancora.
Poi sorrise.
- Allora? – chiese innocentemente, - Non lo trovi anche tu adorabile?
Dominic si diede una manata sulla fronte.
- No, dico… - cominciò mugugnando, - Tu potrai pure essere enormemente malefico, l’incarnazione del demonio sulla terra e tutto il resto, ma… - lo squadrò da capo a piedi, - insomma, sei parecchio bellino. Sei una specie di emo-barbie piatta, bassa e con i piedi in posizione normale…
- …guarda che-
- No, non credo affatto che la situazione nelle tue mutande sia diversa da quella nelle mutande di Barbie. E comunque, il succo non è questo. È che comunque sei… - lo squadrò di nuovo, - piacente. Ora, vuoi cercare di spiegarmi in poche parole per quale motivo uno come te dovrebbe essere attratto da… - squadrò Matt, - lui?!
Brian ghignò.
- Avevi detto che non avevi alcuna voglia di parlare con me…
- Sì, ma la mia curiosità scientifica sta avendo la meglio. – annuì il batterista, - Quindi?
Brian giunse le mani sotto al mento.
- Ma guardaloooo!!! – disse, indicando il proprio uomo profondamente addormentato, - È la cosa più carina che esista! Quel nasino!
- Enorme!
- Quel visetto!
- Affilato e puntuto come un coltello!
- Quel fisico!
Quale fisico?!
I due si guardarono.
- Sai, Dom… - disse infine il frontman dei Placebo, interrompendo il secondo di silenzio, - Mi conforta sapere che non sei attratto dal suo uomo, davvero. Però non c’è bisogno di farmelo sapere in maniera così rude… mi fai passare per un uomo privo di gusto…
- È quello che sto dicendo! Insomma… guardalo! Ew!
- Sai, non credo che a Matty farebbe piacere sentirti dire cose simili…
- Tanto dorme, chissene.
Brian ridacchiò debolmente e si appoggiò sui palmi delle mani, accomodandosi meglio sul pavimento.
- Comunque in effetti non è del tutto perfetto. – disse, rimirando il quadretto di Matty addormentato, - C’è qualcosa che manca.
- Oh! – ridacchiò Dom, mettendosi in ginocchio, - Lo so io! Un bel paio di baffi!
E, così dicendo, tirò fuori dalla tasca dei jeans un uniposca dorato e si mise a dipingere la faccia di Matt.
- Noooo, cosa fai?! – strillò Brian, portando le mani alle guance e, subito dopo, accorgendosi dell’inutilità del gesto, utilizzandole per qualcosa di più sensato, tipo scacciare Dom come fosse stato una mosca, - Non deturpare il bellissimo volto del mio uomo! – minacciò, e subito dopo afferrò la borsetta, ne estrasse un pacchetto di salviette imbevute e cercò di ripulire il naso di Matt dalle macchie di colore, tra le sonore proteste di quest’ultimo, che continuava a ripetere mugugnando “nooouh, ho sonnoooouh”.
- Brian, si può capire cosa diavolo stai facendo…? – disse Stef, avvicinandosi a lui, attirato dal suo muoversi frenetico attorno all’inglese.
- Dom l’ha sporcato! Io l’ho pulito!
- …ma lascialo in pace! – sbottò il bassista, inorridito, - Non vedi che dorme?!
- E infatti io sto vegliando sul suo sonno.
- Ah, be’. Ovvio.
- Piuttosto, Stef, Stef! Dammi una mano, non capisco!
Stef si sedette al suo fianco, incrociando le braccia.
- Cos’è che non capisci?
- Be’, guardalo! – disse, indicando il proprio uomo, - È bellissimo, su questo siamo tutti d’accordo.
- …
- …Stef?
- Sì, sì, certo, Brian.
- Ecco. Solo che… non so, è come se gli mancasse qualcosa… - commentò dubbioso, grattandosi il mento.
- …come quando manca la ciliegina sulla torta?
- Ecco! Sì! Esattamente!
Stef scrollò le spalle.
- Sta dormendo. – disse, - E quindi non sta mangiando banane. È ovvio che ti sembri strano.
- Lo vedi che non hai capito niente?! Non sto parlando di questo!
- Ma come no? – chiese Stef, assottigliando gli occhi e fissando Matt con interesse artistico, - Guarda che io sono serio, secondo me gli manca la banana…
- …se c’era un doppio senso, Stefan…
- No, no! – si affrettò a difendersi lo svedese, - Dico sul serio… aspetta.
Si sollevò da terra e corse saltellando verso il frigo-bar a pochi metri da loro, lanciando lontano Dominic che, dopo essere sopravvissuto al “battibecco” con Brian, aveva decisamente bisogno di reidratarsi.
Aprì lo sportello e scomparve all’interno dell’elettrodomestico, riemergendone solo quando ebbe trovato ciò che cercava.
- Ecco! – disse, esibendo un’enorme banana matura ma ancora mangiabile.
Si avvicinò al frontman del Muse e posizionò la banana in equilibrio sulla sua testa, per poi allontanarsi di qualche metro e rimirare compiaciuto il proprio capolavoro.
Brian guardò Matt. Poi la banana sulla sua testa. Poi Stef.
- Stefan, mi stai prendendo per il culo, vero?
- Ovviamente. – rispose il bassista annuendo.
- …no, era per capire. Ora puoi sparire, grazie.
- Agli ordini! – sorrise Stef, dirigendosi ridacchiando verso il bagno.
Brian tornò a sedersi per terra, stendendo le gambe davanti a sé e continuando a fissare Matt con disappunto. Non poteva tollerare di trovarlo così imperfetto! Doveva assolutamente risolvere quell’enigma!
Fissò la banana ancora in equilibrio precario sulla sua testa e annuì. Decisamente qualcosa in quel punto gli donava. Ma la banana era del tutto fuori luogo!
- Uff! La gente passando qua davanti potrebbe dire cattiverie tipo “non ce l’ha nelle mutande e quindi se la mette in testa”!
Bono, che andava raccogliendo tutta la spazzatura lasciata in giro per la stanza dagli artisti che attendevano il proprio turno di esibirsi, si sistemò la cuffietta da domestica sulla testa e, dopo aver ascoltato le parole di Brian, gli si avvicinò.
- Bri… - disse comprensivo, - Solo tu potresti arrivare a pensare una bastardata di un tale pessimo gusto… solo tu, e forse anch’io…
- Uffa, Bono!!! Non riesco a venirne a capo! Matty è bellissimo, ma gli manca qualcosa e io non riesco a capire cos’è!
- …la banana non basta?
- No che non basta! Non è appropriata! – e così dicendo, gliela strappò dalla testa con un gesto stizzito e la lanciò nel sacchetto nero che Bono trascinava attaccato alle spalle. – Aaaargh, adesso è ancora peggio!!! Guarda, senza niente sopra è così… spoglio!!!
- Non stiamo parlando di un albero di Natale, Bri… - lo blandì Bono, cercando di calmarlo, - Avanti, dai, lascia perdere questa stupidaggine… vieni con me, ti mostro una bella cosa… - disse, prendendolo per mano e conducendolo gentilmente verso l’armadio, - Vedi, qua dentro c’è un’enorme cesta piena di giocattoli! L’ho preparata apposta per te e Matt, così quando lui si sveglierà potrete giocare insieme! E intanto tu puoi giocare da solo!
- Uuuh! – pigolò Brian, illuminandosi alla vista del cestone, - Sì! Che cosa carina! Grazie Bono!
- Puoi chiamarmi papà! – si commosse l’irlandese, dandogli una pacca sulla testolina.
- Grazie papà! – disse Brian sorridendo, - Ma attento ai capelli!
- Oooh, sei così carino quando fai così! Dai, dai, gioca, che papino ha altro da fare…
- Okay papino! – continuò Brian, accucciandosi per terra accanto alla cesta e cominciando a scavare fra i giochi con aria indemoniata.
E mentre cercava e cercava, d’improvviso lo trovò.
Eccolo, l’addobbo perfetto!
Riemerse dal cestone nel quale era caduto, con i capelli scarmigliati e un piccolo cagnolino di peluche a batterie in mano.
- Yay! – disse felice, - Ragazzi, guardate! L’ho trovato!
Tutti gli artisti presenti si voltarono a guardarlo, attirati dal suo urletto gioioso.
- Non mi dire che hai intenzione di mettergli addosso quel cane! – strillò Dom, inorridito.
- Potrebbe essere un’idea… - commentò Stef, - Almeno si metterebbe il cuore in pace. E lascerebbe in pace noi.
Ignorando tutti quei commenti, Brian trotterellò felice accanto al proprio uomo, posizionò il cane di peluche sulla sua testa e poi lo accese.
Il cane si guardò intorno, piegando il capino a destra e poi a sinistra. Scodinzolò festoso. E poi abbaiò.
- Bau! – disse il cane.
- Awh!!! – dissero tutti, colpiti a morte dalla carineria estrema di quella scenetta.
- Ma che…? – disse Matthew, svegliandosi e sollevando il capo dal cuscino, mentre il cane si reggeva in equilibrio precario sulla sua testa.
- Heh. – sorrise Brian, felice, socchiudendo graziosamente gli occhioni, - Adesso sì che è perfetto!
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: BillxTom, MattxBrian, principalmente, ma ci pieghiamo alle esigenze del lol quando serve XD
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Una raccolta contenente una serie di oneshot demenziali ispirate alle fiabe tradizionali (o della Disney X'D) rivisitate in chiave demenziali con protegonisti Muse, Placebo e Tokio Hotel.
Note: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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Fairytales Gone Bad
1. CAPPUCCETTO BILL
Storia di una bella bimba (?), di suo fratello e delle loro disavventure nella Foresta del Lupo Cattivo

Before you begin… Questa storia è STUPIDA. Ma proprio stra-stupida come non ne vedete da tanto tanto tempo su questi lidi XD In compenso (dicono) è divertente è_é Voi godetevela e fatemi sapere ù_ù
Comunque né i gemelli né Brian né Matthew mi appartengono, ovviamente XD Niente lucro. Solo tanta idiozia XD Veniteci a patti è_é!
Ah, e Brian e Matthew non hanno alcun legame con Tom e Bill °_° Per carità, non sono legati neanche tra di loro!!! Ma le fic AU demenziali permettono questo ed altro, perciò viva le fic AU demenziali *_*!!!

*

C'era una volta una bambina molto carina che viveva un in bel paese con la sua mamma.
Solo che questa bambina si chiamava Bill.
E in realtà era un bambino. Eggià.
E non viveva solo con la sua mamma, ma anche col suo fratellino gemello, Tom, uguale a lui in tutto e per tutto a eccezione del fatto che Tom, be’, al contrario del fratello Tom sembrava maschio. Infatti, che la piccola Bill fosse in realtà un piccolo Bill, era un segreto; anche perché al piccolo Bill piaceva vestirsi da donna, e quindi sarebbe stato faticoso per mamma e Tom spiegare la situazione, se si fosse scoperto che era un maschio.
Comunque.
Un giorno, la mamma dalla cucina chiamò il piccolo Bill, e il piccolo Bill uscì dalla propria cameretta, scese le scale e la raggiunse.
- Che c’è mamma? – chiese, sorridendo allegramente.
- Piccolo Bill! La tua nonna s’è molto ammalata. – disse la mamma con aria grave, - E perciò ho bisogno che tu vada a trovarla a casa e le porti questi biscotti. – concluse, porgendogli un adorabile cestino di canapa intrecciata ricolmo di ogni ben di Dio.
Il piccolo Bill lo guardò come avesse contenuto scarafaggi e poi, arricciando il naso, afferrò una copertina spuntata dal nulla e se l’arrotolò addosso, crollando sul divano poco distante e accendendo la tv con aria distratta.
- Mammaaaah, - disse, con tono lamentoso, - non mi vaaaah!
La mamma, che ben conosceva il suo pargolo, non si arrese di fronte alla sua ritrosia, e si preparò a sfoderare la sua arma più potente: Tom.
- Ma dai, Bill, amore! – cinguettò allegra, afferrando Tom per il colletto della maglietta (mentre lui non si accorgeva di nulla e continuava a suonare la chitarra – o almeno a provarci – come stava facendo prima che sua madre lo prelevasse), - Ti accompagnerà Tomi!
La reazione di Bill non fu immediata, ma la mamma sapeva di non aver sbagliato i propri calcoli. E infatti gli occhi del suo figliolo cominciarono presto a sbrilluccicare come stelline.
“Uuuuh”, pensò Bill, “se prendiamo la strada del bosco saremo soli… potrò stare da solo con Tomi… potrebbe essere un’ottima occasione per farci le coccole!!!”.
Simone osservò il proprio figlio emanare luce come un piccolo sole, afferrare il fratello per la collottola e trascinarlo gioiosamente fuori casa, dopo aver indossato l’immancabile mantellina rossa che gli aveva regalato tempo prima e grazie alla quale tutti la conoscevano come Cappuccetto Bill, e poi ritornò tranquilla alle faccende domestiche.

*

Una volta che furono nel bosco, i ragazzi presero a dilettarsi con le loro attività preferite: mentre Tom riprendeva a fare del male alla propria chitarra, cercando di suonarla, Bill cominciò a vagolare in giro per la selva, ammaliato dai colori dei fiori e dai mille cinguettii diversi degli uccellini che lo circondavano.
- Tooooomiiiii!!! – chiamò entusiasta, roteando su sé stesso come una principessa Disney, - Guardati intorno!!! Non è bellissimo?!
- Mh-hm. – disse Tom, senza neanche sollevare lo sguardo dalle corde, facendo una smorfia crudele a un accordo nato sbagliato.
Bill gonfiò le guanciotte e aggrottò le sopracciglia.
Detestava essere ignorato! Avrebbe solo desiderato che suo fratello gli regalasse un fiorellino! Che lo guardasse, gli sorridesse, gli porgesse una margherita, sfilasse il cappellino, sciogliendo i rasta al vento come un modello in riva al mare e gli dicesse “Bill, sei il ragazzo più bello dell’universo! I miei occhi vorrebbero essere pieni solo ed esclusivamente della tua immagine! Ti voglio bene!”.
Ma no, Tom era troppo impegnato ad amoreggiare quella sua stupida chitarra, per accorgersi di lui! Cosa diavolo aveva quella chitarra in più di lui, in fondo? Era anche stupida! Aveva bisogno di essere suonata, per produrre quel rumore! Mentre Bill era perfettamente in grado di produrre rumore anche senza essere toccato!
Di quella immensa tristezza si accorse un lupo che passava di lì per caso, avvolto in una camicetta molto fashion, con un paio di jeans attillati anch’essi molto fashion, due graziose orecchiette lupose in cima alla testa e una lunga e morbida coda altrettanto luposa ad uscire con naturalezza da un buco sul sedere.
- Ciao, bella bambina! – disse il lupo, avvicinandosi a Bill e fissandolo con occhi bramosi, - Cosa c’è che non va?
Bill sollevò un paio di enormi occhioni castani truccati all’inverosimile, fissandoli in quelli grandi e grigi e altrettanto truccati del lupo.
- Non sono una bambina! – piagnucolò deluso, - Tutti mi scambiano per femmina solo perché sono carino e gracilino e ho i capelli lunghi e i lineamenti delicati e mi trucco e mi vesto da donna! Ma in realtà io sono maschio!
Il lupo lo guardò da capo a piedi, annuendo comprensivo.
- Be’, per me non fa nessuna differenza. – concluse deciso, - Io mi chiamo Brian, e tu?
- Io mi chiamo Bill! – rispose lui, sorridendo felice perché qualcuno lo stava prendendo in considerazione.
- E come mai piangevi? – si informò il lupo, premuroso.
- In realtà non piangevo, ero solo triste, ma evidentemente l’autrice pensava fosse più carino che tu mi chiedessi questo… comunque!!! È colpa di mio fratello Tom! Lui mi ignora! Continua a suonare la sua stupidissima chitarra e non perde neanche un secondo per dimostrare che tiene a me!
Brian lanciò uno sguardo a Tom, che continuava a tentare di suonare senza molto successo, sbagliando gli accordi e saltando le note, e pensò “oh, come lo capisco! Continua a provarci, povero caro, anche se il mondo è contro di te vedrai che un giorno anche tu strimpellerai bene come il sottoscritto!”.
- Signor Lupo! – strillò Bill, sentendosi nuovamente ignorato, e Brian tornò a dedicargli tutta la propria attenzione.
- Oh, povera bamb- ehm, povero bambino! – disse, giungendo le mani sotto al mento, - Che vita triste, la tua! Ecco, tieni un fiorellino! – e così dicendo gli porse una margherita.
- Yay! – gridacchio Bill, commosso, sistemando il fiorellino fra i capelli, - Grazie!
- E adesso che ne dici di divertirci un po’? – propose Brian, malizioso, avvicinandoglisi con fare ammiccante, da bravo lupo famelico.
Bill, però, non era uno sprovveduto! Era ben cosciente degli effetti che la sua persona poteva avere sui lupi famelici come Brian, e perciò si tirò indietro.
- Ti pare che io sia una sciacquetta qualsiasi?! – disse contrariato, - Io ho una dignità! Io non mi svendo così! Io non-
- Vuoi andare a farlo in un posto più comodo, vero?
- Esatto! – concluse Bill, battendosi un pugno sul palmo della mano come se quella fosse l’espressione che aveva sempre cercato durante tutta la propria vita.
- Allora perché non andiamo a casa da tua nonna? – propose Brian, sospirando di sollievo, - Ci liberiamo della vecchia e avremo il lettone tutto per noi!
- Yeeeh! – disse Bill, e poi entrambi, festanti, cominciarono a correre allegramente verso la dimora dell’ignara nonnina, mano nella mano, saltellando gioiosi con gli uccellini che continuavano a cinguettare felici sulle loro teste.
Nel frattempo, Tom aveva smesso di giocare con la sua chitarra e s’era guardato intorno, notando con estremo disappunto che sua sor- ehm, suo fratello era scomparso.
- Bill, tesorino, dove sei? – chiamò, - Vieni fuori, dai, che mamma mi ammazza se- ehm, che mi dispiacerebbe moltissimo se tu dovessi perderti!!!
Ma nonostante i suoi ripetuti richiami, dal folto del bosco non venne nessuna risposta!
Preoccupato, cominciò a vagare per la foresta, fino a quando non incontrò un cacciatore.
- Signore! – lo chiamò, avvicinandosi, - Scusi, sa, non è che per caso ha visto una bella bambina coi capelli lunghi e un cappottino rosso che vagava da queste parti?
- Un cappottino rosso come questo? – chiese a sua volta il cacciatore, facendo un giro su sé stesso per mostrare a Tom il proprio cappottino in tutto il suo splendore.
- Sì, sì! Esattamente come questo! – disse Tom, entusiasta.
Il cacciatore lanciò un urlo.
- Ommioddio! Ragazzo! Tua sorella è in grave pericolo! – disse, allarmato.
Tom si trasfigurò nell’Urlo di Munch.
- Perché in pericolo?! Cosa può esserle successo?!
- Devi sapere… - spiegò tenebroso il cacciatore, - che in questo bosco c’è un lupo maniaco che attacca qualsiasi cosa sia carina e pucciosa!
- E mio fratello è carino e puccioso!
- …ma non era una sorella?
- …be’, più o meno.
Il cacciatore annuì seriamente.
- Capisco. Il lupo ci andrà a nozze.
- È un lupo pervertito?!
- Il più pervertito che si sia mai visto sulla faccia della terra!!! – annuì il cacciatore, che ormai, visto il cappottino, abbiamo capito essere Matthew Bellamy, rabbrividendo, - Devi sapere che anche io… - cominciò a raccontare, ma Tom lo fermò.
- Non credo di voler conoscere i dettagli… andiamo a salvare mio fratello! – affermò Tom con convinzione.
- Sì! – disse Matt, imbracciando il fucile, - Dove possono essere andati?
- Probabilmente sono a casa della mia nonnina! Bill si sarà diretto lì in tutta la sua innocenza, e il dannato lupastro l’avrà seguito!
- Bene! – disse Matthew, - Andiamo! – ed entrambi si mossero verso la casa della nonna, al limitare del bosco.
Frattanto, Bill e Brian erano già arrivati a destinazione, si trovavano proprio di fronte alla porta di casa e stavano intensamente pensando a un modo per sbarazzarsi della nonna, conquistare l’appartamento e fare i loro porci comodi fino a quando sarebbe loro andato.
- Ma tua nonna che tipo è? – chiese Brian, come fosse interessato a scoprire se era una signora compiacente per organizzare un mènage a trois, sfilando celermente dalle spalle di Bill il cappottino rosso, per dimezzare i tempi una volta che fossero entrati.
- Oh, una signora tranquilla! – rispose Bill, mentre cercava anche lui di spogliare Brian sul selciato, - Una di quelle che preparano i biscotti e quando ti guardano dicono “oh, ti sei fatta proprio una bella signorinella!” – disse il ragazzo con uno sbuffo, liberandosi della propria camicia.
- Ah bene! – gioì Brian, facendosi avanti e puntando minaccioso alle labbra di Bill, - Allora non sarà difficile liberarsi di lei.
Bill rispose con un sorrisetto malizioso e soddisfatto, avventandosi sul lupo e scaraventandolo a terra, per poi arrampicarglisi addosso.
- CHI È CHE FA OSCENITÀ SUL TAPPETINO WELCOME DI CASA MIA?! – ululò all’improvviso un vocione, mentre qualcuno spalancava la porta della casa della nonna.
Fu in quel momento che Bill sollevò lo sguardo e vide la sua amata nonnina.
O meglio.
Era ovvio che fosse la sua amata nonnina, perché aveva la sua vestaglia rosa a fiorellini e i suoi occhialini spessi come fondi di bottiglia e la sua cuffietta celeste e le sue pantofole pelose a forma di coniglio e il suo mattarello in mano.
Ma in effetti quella roba non somigliava granché alla donnina gracilina e bassina che Bill ricordava.
- Nonna! – disse stupito, - Che mascelle grandi che hai!
- È perché non sono tua nonna, razza di deficiente, ma David Jost! – tuonò l’uomo, brandendo il mattarello a mo’ di ascia bipenne.
- E che fine ha fatto la mia nonnina? – chiese il ragazzo, mentre Brian, terrorizzato, cercava di fuggire senza riuscirci, dal momento che Bill lo teneva ancorato a terra con tutto il suo peso.
- Me la sono mangiata! – rispose David con un poderoso rutto, - Quella stronza andava in giro dicendo che sfrutto troppo te e tuo fratello! Avesse almeno una minima idea di quanto è difficile fare il mio lavoro!!!
- Oddio, David!!! Ti sei mangiato la mia nonnina!!! Ora come lo spiegherò alla mamma?! – chiese Bill con gli occhi pieni di pianto, cercando di ammorbidire il manager infuriato.
David però si mostrò completamente insensibile ai piagnucolii di Bill, e si limitò a scoccare uno sguardo crudele a Brian, che rabbrividì fino alla punta della coda luposa che gli era stata data in dotazione per la fanfiction.
- E lui chi sarebbe? – chiese il manager incuffiettato, con tono grave.
- Lui è Bri! – sbrilluccicò Bill, ignaro di tutto, mentre Brian continuava a tremare.
- E cos’è che avrebbe intenzione di fare qui? – proseguì impietoso David, incrociando le braccia sul petto.
- Io e lui volevamo farci tante coccole!!! – continuò a sbrilluccicare Bill, senza neanche un pensiero per la testa.
A quel punto, Brian pensò che fosse il caso di scappare, una buona volta, e così lanciò in aria Bill e scattò in piedi, ma non riuscì ad allontanarsi neanche di un passo, perché David lo afferrò per il colletto della camicia fashion che indossava e lo costrinse a rimanere fermo dov’era.
- TU! Dannato pervertito!!! Cos’è che avevi intenzione di fare al mio protetto?!
- Ma nulla! – si giustificò Brian, sorridendo terrorizzato, - Assolutamente nulla!!! Giuro!!! Ho famiglia e cucciolo a casa, sono un lupo rispettabile io, è il moccioso che ha frainteso tutto!!!
- Ma Bri! – piagnucolò Bill, - Quando ti ho chiesto se poi mi avresti sposato, mentre venivamo qui, hai detto “sì certo”!!!
- Perciò avevi anche intenzione di prenderlo con l’inganno!!! – sbraitò Dave, strapazzando Brian qua e là, - Non sai che certi favori si pagano a peso d’oro?! Bill è ancora vergine!!! E poi comunque c’è una tassa speciale da pagare, perché Bill può essere rappresentato in atteggiamenti sconci solo con suo fratello, dal momento che noi abbiamo delle fangirl da soddisfare!!!
Brian stava per inginocchiarsi e chiedere perdono implorando pietà, ma proprio in quel momento un potentissimo acuto fece tremare tutti gli alberi del bosco e la casa della nonna fin nelle sue fondamenta, e il cacciatore Matt e Tom apparvero davanti ai tre litiganti, strillando “Fermi tutti! Nessuno si muova!!!”.
- Ah! Il cacciatore!!! – disse Brian.
- Ah! Tom!!! – disse David, incapace di sopprimere un altro rutto.
- Ah! Che cappottino adorabile!!! – disse Bill.
- Grazie, anche il tuo!!! – sorrise Matt, facendo un altro giro su sé stesso per mostrare il cappotto.
- David! – strillò Tom, accorgendosi del proprio manager, - Che ci fai qui?! E perché sei vestito come mia nonna?!
- Perché me la sono mangiata! – rispose David, - E comunque, invece di indagare sul mio passato, dovresti ringraziarmi! Ho salvato il tuo amato fratello da questo lupo malvagio!
Nel momento in cui le parole “amato” e “fratello” affiancate raggiunsero le orecchie di Bill, il ragazzo ricominciò a brillare.
- Amato… amato… amato fratello…? – chiese il giovane cantante, come in trance, - Che vuol dire amato…?
Proprio in quel momento, Georg apparve su un albero, vestito da scoiattolo, e accese un enorme riflettore retto con delle stampelle metalliche che arrivavano a terra, tenute in piedi da Dom, Chris, Stef e Steve vestiti da coniglietti pacioccosi, che andò a puntarsi direttamente sulla figura di Gustav, appollaiato su un altro ramo e vestito da gufo tedesco (nel senso che aveva addosso un costume tipico tedesco) con un paio d’occhiali finti sul becco, che sollevò un’ala e recitò candidamente:
- Amata o Amato che dir si voglia: il nome ha origine latina con chiaro significato. Questo nome fu molto usato nel Medioevo, come nome augurale per un bimbo molto desiderato e, appunto, amato. Amata si festeggia il 24 settembre in ricordo di Santa Amata vergine e martire. Amato, invece, viene festeggiato il 13 settembre in ricordo di Sant'Amato vescovo di Sens.
- Ebbene sì, Bill. – disse Dave, cercando di riportare il discorso sul serioso andante, - Tuo fratello in realtà è innamorato di te!
Una strana musica ricordante tanto un TA-TA-TA-TAAAAN! si diffuse nell’aria, e Bill intensificò l’attività sbrilluccicante della propria pelle, arrossendo fino alla punta dei capelli e giungendo le mani come in preghiera.
- Oooooh, Tomi!!! Anche io sono innamorato di te!!! – disse entusiasta, gettando le braccia al collo del fratellone.
- Come posso crederti?! – disse Tom, scuotendo teatralmente il capo e causando un uragano col movimento turbinoso dei rasta, facendo così volare via tutti gli animaletti della foresta sopraccitati, - Tu stavi venendo qui a fare sozzerie col lupo!!! Vi abbiamo visti amoreggiare prima che Dave spalancasse la porta!!!
- Ma no, Tom! – disse Bill, abbracciando più decisamente il ragazzo, - In realtà lui era solo un ripiego perché tu mi ignoravi e non volevi regalarmi un fiorellino!!!
- Ehi… - provò a dire Brian, sentendosi trattato come un uomo-oggetto, ma uno sguardo furioso di Dave, accoppiato a un mattarello roteante incombente sopra la sua testa e la bocca del fucile di Matthew puntata contro la tempia lo zittirono.
- Se è così, Bill… - disse Tom, strusciandosi amorevolmente contro il fratellino, - posso perdonarti! Scappiamo insieme dove nessuno potrà ostacolare il nostro amore!
- Oh, sì! – annuì Bill, entusiasta.
- Fate che sia un posto raggiungibile in elicottero. – puntualizzò Dave, sistemandosi la cuffia sulla testa, - Avete un servizio fotografico, domani.
I due ragazzi annuirono responsabilmente, e poi si diressero mano nella mano verso un luogo sconosciuto, per coronare il loro sogno d’amore.
- Be’, il mio lavoro qui è finito. – commentò Dave con un altro rutto, - E la digestione si prospetta lunga e complicata, perciò buonanotte! – concluse, e si rintanò in casa in un fruscio di vestaglie.
Fuori dalla porta rimasero solo Matt e Brian.
- Adesso a noi, lupastro! – strillò Matthew, piantando il fucile in mezzo agli occhi del lupo, - Finalmente potremo chiudere i conti, e io potrò vendicarmi per quello che mi facesti anni fa, rubando la mia innocenza e-
- Oh, avanti! Falla finita! – lo fermò Brian, scostando il fucile con una zampata e rimettendosi in piedi, pulendo i pantaloni fashion sporchi di terra, - Ti è pure piaciuto, quella volta!
- No che non mi è piaciuto!!! – strillò Matt, diventando rosso come il cappottino che indossava, - E poi… e poi… tu mi avevi giurato che sarei stato l’unico!!! – piagnucolò, - E invece sei sempre in giro ad adescare ragazzini compiacenti!!!
Brian sospirò, si sistemò il colletto della camicia e poi pensò di sistemare definitivamente la situazione sfoggiando il più seducente degli sguardi che aveva in repertorio.
- In realtà, Matthew… - disse sensualmente, avvicinandoglisi, - nessuno dei ragazzini che adesco può essere anche solo lontanamente paragonabile a te… il ricordo di quella meravigliosa notte che passammo insieme è ancora vivo dentro di me… ed è lui che mi spinge a cercare di provare ancora quelle fantastiche sensazioni… ma non riesco con nessuno, perché Matt, solo tu sei in grado di farmi sentire in quel modo…
Matthew lo ascoltò parlare e, molto semplicemente, si sciolse.
- Oh… Brian… come ho potuto dubitare di te…? – disse, con voce rotta dalla commozione, - Adesso ricordo il grande amore che ci univa, e com’eravamo felici insieme…!!!
- Esatto!!! – annuì Brian, abbracciandolo, - Perciò riproviamo ancora quelle meravigliose sensazioni! La mia caverna ci aspetta!
- Sì!!! – disse Matt entusiasta, ed entrambi si diressero a braccetto verso la caverna del lupo.
…e tutti vissero felici e contenti.


*


Dall’autrice… Ossignore santo XDDDD Allora, prima di tutto: ogni riferimento a nomi, cose, città, animali, personaggi famosi e persone reali è assolutamente vol- ehm, non voluto, non previsto e non intelligente >_< Davvero, che nessuno si offenda per questa roba, perché è talmente cretina e insensata che sarebbe assurdo farlo XD
Nata perché la Lemmina un giorno è apparsa su MSN e mi ha chiesto “Dai, raccontami una storia!”. E io, per pronto accomodo, ho tirato fuori questa ROBA XD Totalmente improvvisata in chat, eh ù_ù La versione che avete sotto gli occhi al momento, invece, è la storia trasformata in fanfiction seguendo il “copione” della chatlog (ed è in gran parte copiata da quella XD che dire, era venuta bene XD).
Sono inoltre le prove generali del quartetto vincente Brian/Matthew/Bill/Tom che, prima o poi, vedrete ANCHE in una fic vera e propria ù_ù Della quale ho parlato entusiasticamente con circa la metà dei miei contatti MSN e anche con buona parte del resto del mondo, e che si intitola Teenage Angst, e che scriverò presto, anche se non so quando ._.””””
In ogni caso questa storia non è che la prima di una serie di rivisitazioni di varie fiabe che intendo fare XD Aspettatevi (non tanto) presto anche BiancaBill E I Sette Pseudo-Nani e La Bella Bill Addormentata Nel Bosco, per non parlare di Billerentola e Billahontas XDDDDDD
Stay tuned è_é
PS: Si ringrazia con affetto la neechan per avere trovato il titolo della raccolta nel tempo record di due secondi e mezzo X***** E già che ci siamo ringraziamola anche per gli uccellini cinguettanti, per la tassa da pagare al twincest, per il secondo giro su sé stesso di Matt, per il significato della parola amato/amata e per l’effetto dell’uragano sugli animaletti della foresta X’D Neechan, sei un concentrato di lol <3
In coppia con Nainai
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
They Have Trapped Me In A Bottle


Before you begin… Ciao, siamo Nai e liz *_* Ditelo, che siete felici di vederci <3 E questa è la seconda storia che scriviamo insieme e decidiamo di pubblicare dopo Cupid’s. Speriamo vi piaccia altrettanto X3 (anche perché questa è una storia vera!).
Precisazioni del caso: nessuno dei personaggi citati ci appartiene (e dal momento che sono veramente… ma veramente svariati °.° È giusto dirlo XD) e noi non abbiamo niente a che fare con loro se lasciamo da parte il fatto che li amiamo tutti, in un modo o nell’altro è_é Non abbiamo niente a che fare con loro e, per la maggior parte, non hanno mai fatto né faranno niente di quanto descritto in questa storia.
Ovviamente non ci guadagniamo niente >_< Sono solo fanfiction, in fondo ù_ù
Per quanto fanfiction, però, la base di partenza è reale °_° È ambientata fra la fine di luglio e l’inizio di settembre di quest’anno, durante il Projekt Revolution (festival itinerante al quale hanno preso parte band celebri come i Linkin Park, ideatori del progetto, e i My Chemical Romance… e il bello è che avranno tutti un ruolo, in questa storia XD). Siamo state abbastanza scrupolose, ma se c’è qualche cavolata random non badateci troppo >.<
Per quanto sia triste, né Cody né Gaia sono contemplati è_é” In fondo è meglio così, credeteci :D
Buona lettura :*

One:

Ci sono giorni che semplicemente dovrebbero non esistere.
A volte sogno di tracciare una linea rossa sopra questi giorni. Sogno che basti questo – un colpo di pennarello, pescato a caso dentro il cesto della frutta senza che nemmeno sappia come ci è arrivato – per farli sparire ugualmente dai miei ricordi.
Lo sogno.
E generalmente sto facendo proprio come ora. Sto guardando fuori da un finestrino un mondo che va veloce nella direzione opposta.
Sono stanco. Non ho molto altro da dire, molto altro che mi pesi addosso. Sono semplicemente stanco. Come qualunque persona che sia stata costretta per un lungo periodo di tempo a sottoporsi allo stress costante di un lavoro dai ritmi frenetici.
Potrei essere stanco come un manager di impresa, o come un dirigente di industria, o come un professore universitario in giro per congressi. Invece sono stanco come il cantante di una band rock in tour da quasi un anno e mezzo. E questo, per uno strano caso del destino, vale a togliere attendibilità, dinanzi alla gente, al mio stato fisico e mentale. Per questo strano caso del destino, infatti, la gente sembra credere che un musicista rock non possa in alcun modo rivendicare il diritto a qualificare il proprio come “lavoro”. Figuriamoci a riconoscergli “ritmi frenetici” al punto da indurlo a stancarsi.
Di conseguenza, io sono stanco. Davvero. Ma ufficialmente non posso dirlo.
Stefan fa un gran casino quando si lascia cadere pesantemente accanto a me. Il cuscino sistemato sulla panca si abbassa e slitta un po’ sul legno, lui si sistema contro il tavolo e mi gira lo sguardo addosso, anche se io non posso vederlo.
Infatti non lo vedo, ma lo so.
-Hai intenzione di restare con la faccia incollata al vetro finché la tua pelle non si fonderà con il finestrino?
È un’immagine disgustosa. Penso che dovrei dirglielo, ma mi limito a storcere il naso senza muovermi e a mugugnare qualcosa di assolutamente incomprensibile, che vorrebbe essere una protesta risentita.
Sono patetico.
Stefan sospira, si rimette dritto, so che sta scambiando un’occhiata con Steve. Lo so anche perché Steve smette per un attimo di giocare con quelle dannate bacchette e libera la mia mente dall’orrido e ripetuto ticchettio che ha prodotto finora. Presumibilmente Stefan gli sta chiedendo con lo sguardo cosa diavolo devono fare con me. Quasi certamente Steve gli sta rispondendo con un’alzata di spalle.
-Brian!- mi richiama Stefan con una certa urgenza. Mugugno di nuovo una cosa molto simile alla precedente, che stavolta vorrebbe essere un’attestazione di presenza…Il mio vocabolario si sta riducendo incredibilmente in questi pochi minuti.- O.k., senti.- Sento. Ma lui ci pensa su. Si ferma un attimo e raccoglie le idee. Nel frattempo io colgo l’immagine del deserto che sfila contro di noi. Poi il profilo di un altro autobus, leggo il nome del gruppo sulla fiancata quando ci superano. Il deserto ritorna nel mio spazio visivo…- C’è qualcosa che possiamo fare io e Steve per tirarti su di morale?- s’informa Stef alla fine.
-No.- borbotto appena.
La prima parola di senso compiuto da non ricordo quante ore.
Un altro sospiro. Adesso Stefan sta puntando Alex. Lei è seduta nel posto più lontano del tour bus. Si ricambiano lo sguardo, lei scuote il capo dicendogli di lasciarmi perdere. Mi passerà.
Ha ragione lei, è chiaro. Credo che nessuno, a parte i cavalli, sia mai davvero morto di stanchezza.
Solo che Stefan non accetta di lasciarmi perdere. Per lui occuparsi di me è una priorità, una necessità indefettibile. A volte questa cosa mi fa piacere. Altre volte mi sfinisce, esaurendo le mie ultime energie. Come questa volta…
-Senti, Bri.- Tono carezzevole, giusto per farmi sentire che è preoccupato per me e che, quindi, sarebbe carino che io gli dessi quel minimo di attenzione necessario a rassicurarlo. Mi ci sforzo, mi tiro un po’ più su sulla panca, rimetto le spalle in asse con il resto del corpo e stacco la fronte dal finestrino.- Lo so che siamo tutti a pezzi e che non vediamo l’ora di tornare a casa, ma dobbiamo tenere duro ancora un po’.
Borbotto qualcosa che non so nemmeno io cosa sia. Forse un assenso, forse una nuova protesta. Suscito l’ennesimo respiro profondo da parte di Stef. Lui mi guarda, io non alzo il viso ma tanto i suoi occhi li sento anche a metri e metri di distanza, anche quando sto facendo tutt’altro e non ho neppure voglia di voltarmi a sincerarmi che lui sia davvero lì…
C’è questo silenzio che si protrae un po’. Steve ridacchia, Stefan gli sibila di piantarla, aggiunge che è un cretino e che dovrebbe aiutarlo invece di ridere. Steve gli dice che si preoccupa troppo e si alza per andarsi a prendere una birra dal mini frigorifero. Torna indietro con tre bottiglie, ne posa una davanti a Stefan, l’altra me la apre e la allunga verso il mio viso.
-Grazie.- mormoro sollevando gli occhi su di lui mentre prendo la birra dalle sue mani.
Mi sorride come a dirmi che non importa.
-Beh, almeno guarda che bel tramonto.- prova ancora Stefan, cercando invano di scuotermi dalla mia apatia.
Mi volto. Oltre il finestrino si allunga una striscia rosa sull’orizzonte. Una parte del vetro, illuminata direttamente dalle luci del tour bus, mi rimanda il mio volto disfatto.
-Ne ho visti di più belli.- sussurro sollevando la macchina fotografica e fermando il tempo.

***

La fotografia è una “cosa” di Helena.
In una relazione, inevitabilmente, le persone prendono qualcosa le une dalle altre. Io ho preso da Helena molto più di quanto le abbia dato ed alla fine l’unica cosa che le riconosco è questa. Lo penso mentre soppeso la macchina fotografica sul palmo della mano.
Fuori si è fatto tutto buio. Ci sono solo le stelle ed i fari della nostra piccola carovana di autobus e camion ad illuminare la strada che passa attraverso il deserto. Io sono l’unico qui dietro ancora sveglio. Stefan se n’è andato a dormire da poco; Steve sonnecchia su un divanetto, ogni tanto si rigira, apre un occhio e mi brontola qualcosa, poi crolla di nuovo senza pretendere una risposta. Alex è in cabina guida, stava ascoltando musica con l’autista fino ad una decina di minuti fa, ora mi arrivano di tanto in tanto le loro risate e qualche battuta a voce alta. Mi ha chiesto se volevo sedermi con loro, ho risposto che preferivo restare ed andare a dormire anche io.
Helena è uscita dalla mia vita da un po’ ormai.
Helena ed io ci siamo lasciati in modo civile, seduti dentro un caffè, sorridendoci mentre ci dicevamo “addio”.
Ha fatto male lo stesso. Ma non a me.
Io da lei avevo già preso tutto quello che volevo. Il mio nuovo equilibrio, la mia nuova pace interiore, la mia nuova capacità di accettare e di farmi accettare dagli altri.
Lei da me voleva solo una cosa, ma quella davvero non poteva dargliela. Perché io non l’amavo, ed alla fine doveva accorgersene, doveva capire le mie bugie e la mia falsità, nascosta dietro lo zucchero. E dirmi che era finita lì. Com’è finita, infatti.
Sì, sembra strano a me per primo. È stata lei a lasciarmi, lei a dirmi che tra noi non c’era nulla, quando il nulla ero solo io. Il fatto che sia stata lei ha reso possibile che entrambi sorridessimo quando ci siamo alzati da quel tavolo dentro il caffè.
Da allora sono stato felice. Lo ero anche con lei, ma in modo diverso. Quel modo ordinario e pervicace delle storie serie ma senza anima. Lei mi aveva curato, io le ero riconoscente, ero vivo grazie a lei ed ero felice di questo.
Ma è stato solo quando lui è entrato nella mia esistenza che ho capito davvero che fino a quel momento ero sopravvissuto. E basta.
Suona il cellulare. Mi strappa ai ricordi. Poso la macchina fotografica davanti a me sul ripiano chiaro, spingo le dita nella tasca dei jeans e riesco con difficoltà a tirar fuori il telefono. Leggo il nome sul display mentre la suoneria sveglia di nuovo Steve. Solleva la testa e mi guarda, contrariato.
-Digli che non può rompere quando qui sono le tre di notte e noi domani abbiamo un concerto!- sbotta prima di lasciarsi ricadere sui cuscini.
Sorrido. Improvvisamente mi sento meno stanco.
-Matt.- chiamo rivolto alla persona dall’altro immaginario capo dell’apparecchio.
Ridacchia e poi tira un respiro profondo. Come se avesse davvero bisogno d’aria.
…Come se quell’aria fossi io.
-Brian!- esclama alla fine.- Dove sei?- mi chiede subito dopo con urgenza.
Ridacchio anch’io.
-Da qualche parte, in un deserto “x” qualunque, in uno stato a caso degli USA.- riassumo ricominciando a fissare il paesaggio oltre il vetro.
Adesso che è veramente buio riesco a vedere quasi solo il mio profilo. O quello dei mobili, che sembrano arancione sotto la luce artificiale. Vedo il divanetto su cui Steve ha ricominciato a dormire, la bottiglia di birra che Stefan ha mollato a metà. La mia ormai vuota. La macchina fotografica con l’obiettivo serrato ed il laccio logoro che mi ricade addosso oltre il bordo del tavolo.
-Uno Stato a caso?!- ripete Matt.
Sento che ne sta combinando qualcuna. Mi arrivano il rumore dei suoi passi e poi dei suoni sordi, come se spostasse qualcosa che cadendo produce un tonfo leggero. Mi piacerebbe chiedergli cosa sta facendo, ma preferisco aspettare. Matt è un mago, sapete? Sa fare piccole magie. Riesce a fare apparire cose meravigliose dal nulla. Ma se gli chiedi ad alta voce cosa sta facendo e lui ti risponde, allora la magia non funziona più.
I rumori finiscono. Ha una voce allegra ed eccitata quasi quanto quella di un bambino, quando riprende a parlare.
-Sai cosa ho comprato oggi?- mi domanda.
-No…- rispondo io. Alzo una gamba ed incastro il ginocchio contro il tavolo posandoci sopra il gomito.
-Un atlante degli Stati Uniti d’America.- mi spiega.
-Cosa dovresti farci?- chiedo stupito.
-Beh, come cosa?!- sbotta lui, deluso.- Ci seguo le tappe del Festival!
Rido.
-Matt!- lo richiamo.
Mi vengono in mente un centinaio di cose da dirgli, suonano tutte come una sorta di rimprovero. Mi fermo a metà quando mi rendo conto che sono altrettante scuse per non ammettere quanto mi faccia piacere questa sua idea.
Sì, Matt è un mago.
“E questa è una delle sue magie”, penso mentre mi sistemo contro lo schienale della panca e lo lascio continuare senza più contraddirlo.
-Ho preso una scatola enorme di pennarelli colorati…- si ferma e ci ripensa- O.k., i pennarelli li avevo presi per altro in realtà.- precisa.
-Cosa?
-Mah. Volevo fare una specie di disegno da appendere sul palco nelle prossime date, ma è venuto una schifezza!- confessa ridendo.- Allora ho deciso che potevo utilizzarli in un altro modo e, quando ho capito che Dom non apprezzava che ci colorassi i contorni della sua batteria…
-Come diavolo hai fatto a sopravvivergli?!- sbotto ridendo anch’io.
-Semplicemente si è vendicato su una delle mie chitarre!- mi risponde lui.- Ci ha fatto i baffi, Brian! Ti rendi conto?!- mi chiede come se da questo dipendesse la sua vita.- I baffi e poi…tipo…degli occhiali da sole o qualcosa del genere. Insomma, adesso ha una faccia e…
-I pennarelli sono indelebili?- domando io, passandomi le dita sugli occhi per scacciare via quel po’ di stanchezza che rimane. Voglio parlare con lui ancora un po’…
-Ma và!- ritorce lui. Non sembra particolarmente arrabbiato, ma del resto ormai l’ho capito che lui e Dominic hanno un loro linguaggio personale per comunicare, fatto anche di piccoli dispetti da ragazzini.- Ovviamente andranno via comunque, ma chiaramente adesso passiamo tutte le prove ad insultarci vicendevolmente ed a guardarci in cagnesco. Chris e Tom ci odiano già.
-Immagino.- soffio appena, sorridendo. Mi rilassa immensamente sentirlo parlare.- Allora dimmi, quando hai capito che Dom non gradiva la tua arte, cosa hai fatto dei pennarelli?- m’informo.
-Ah sì.- Riacchiappa qualcosa, un altro rumore, probabilmente l’atlante gli era scivolato, perché quando ci batte su la mano riconosco il rumore delle pagine e del cartonato plastificato della copertina.- Ho deciso che potevo segnarci le date del vostro tour. Tipo, in rosso le date del Festival, in blu quelle del tour di “Meds” e, quando andate via da una tappa, ci metto un segno verde. Poi indico anche i giorni che passate in ogni città e…
-Matt.
Si interrompe ed aspetta.
Io prendo fiato. Una. Due volte. Prendo fiato e glielo dico.
-Non dovresti.
Il suo silenzio fa più male di quanto pensassi. Ora so cosa ha provato Helena quel giorno, lo so perché adesso sì che sono innamorato. E quindi so cosa vuol dire avere paura.
-Sei un cretino, Brian.- mi risponde lui con una serietà che gli è totalmente inusuale.
-…già.
Un altro silenzio. Nel vuoto che lascia ci si potrebbero infilare migliaia di pensieri. Ma la mia mente si ostina a non farcene entrare nemmeno uno, perché è come se ciascuno di quelli che si affacciano iniziasse con “se lui non ci fosse…”. Ed io in realtà non voglio nemmeno pensare alla possibilità che lui non ci sia.
-Sai che tra tredici giorni tornerete in Europa?- mi chiede alla fine.
“…tredici giorni…”
-E voi andrete in Australia.- rispondo io.
-No, solo ad ottobre. A settembre siamo in Europa come voi.
-Est Europa.- correggo.- E noi in sala prove.
-Beh, come noi adesso.
Respiriamo con lo stesso ritmo. Qualcosa di terribile se non fosse meraviglioso. E ridiamo nello stesso momento, come due idioti.
-Che schifo di lavoro!- commenta lui per primo.
-Non ti credi nemmeno tu quando lo dici!- ribatto io.
-L’anno prossimo vacanze insieme!- pretende.
-L’anno prossimo si vedrà.- sminuisco.
-Tu non mi ami abbastanza!- protesta lui.
-Non vedo neppure perché dovrei farlo…- ci scherzo io.
-…Vuoi andare a dormire, cretino?! Domani devi lavorare!- sbotta Matt arrabbiato.
“No, Matt. Voglio parlare ancora un po’…”
-Sì, papà, vado a dormire, promesso.- sorrido invece.
-Ecco!
Quando riattacco e guardo di nuovo fuori dal finestrino, mi dico che avrei dovuto chiedergli dove siamo - “Guarda sul tuo atlante, Matt, dimmi se mi vedi” - invece non l’ho fatto, forse per paura che lui me lo dicesse davvero. Che puntasse il dito su un deserto “x” qualunque di uno Stato a caso e mi dicesse “sei qui”. E potesse avere ragione.
-Che ne dici se ora mantieni la tua promessa?
Mi volto verso Stefan, che mi guarda e sorride. Ricambio il suo sorriso e scivolo lungo la panca per uscire da dietro il tavolino.
-A che ora arriviamo domani?
-Alle dieci.- risponde lui sbadigliando.
-Dovremmo svegliare Steve e mettere a letto anche lui.- noto distrattamente, mentre passiamo per raggiungere la zona notte.
-Io non ci provo nemmeno, l’ultima volta mi stavo beccando un cazzotto sul naso!- ricorda Stefan, gettando un’occhiata a Steve.
-Questo perché lui ha aperto gli occhi e si è ritrovato il tuo brutto muso davanti. Invece, se lo sveglio io…- comincio ad argomentare con saccenteria, ma badando a tenermi lontano dal nostro batterista.
Stefan mi manda cortesemente a cagare e si infila risoluto nella propria cuccetta. Mi stendo anch’io e fisso il tettuccio del tour bus.
-Stefan.- chiamo. Lui brontola qualcosa per farmi capire che mi ascolta.- Che cazzo ci facevi ancora sveglio?- domando.
-Mi assicuravo che non cercassi di strozzarti con il laccio della macchina fotografica.- sospira girandosi verso la parete- Ed ora dormi, Brian! Dannazione a te!
Ridacchio e lo imito, arrotolandomi nelle coperte.
-‘Notte, Stef.
-‘Notte, insopportabile scocciatore dell’esistenza altrui.- mi risponde, prendendosi immediatamente una cuscinata addosso.
-Stronzo!- gli strillo contro.
-Fanculo!- ritorce lui restituendomi il favore.
-Volete dormire?!- strepita Steve, svegliandosi di botto e ripiombando nell’incoscienza quasi nello stesso momento.
-Come accidenti ci riesce secondo te?!- protesto fissando sconvolto Steve riprendere a russare come se niente fosse.
-Non è umano, è evidente.- afferma Stefan, annuendo convinto.- Ora, però, ti prego, Brian, dormiamo davvero!- m’implora, lasciandosi ricadere sul materasso.
-Sì sì.- borbotto stendendomi di nuovo anch’io.
-E dì a Bellamy di chiamarti di giorno, se ci riesce.
-Mi chiama quando vuole.
-Sei una ragazzina.
-E tu sei stronzo.
-Lo hai già detto.
-Beh, volevo ribadirlo.
-Se non dormite, giuro che vengo lì e vi “addormento” io.- s’intromette Steve.

***

Sedevo sul fondo del backstage. Avevamo appena finito di esibirci, ero felice di come fosse andata, ancora assordato dalle urla dei fan sotto il palco, sereno dopo che la mia storia con Helena era finita appena quattro giorni prima.
Stefan e Steve erano spariti da qualche parte. Dopo i concerti hanno ognuno il proprio rituale. Stefan ama continuare il bagno di folla, raggiungendo i fan per le foto, gli autografi, i complimenti a voce e tutto quanto ne consegue. Steve doveva essere corso a chiamare la moglie e la figlia.
Io non avevo niente da fare. Quattro giorni prima sarei stato attaccato ad un cellulare anch’io, ma in quel momento potevo starmene seduto a terra, contro le casse della strumentazione, con il cellulare effettivamente in mano e nessuno da chiamare.
Helena mi aveva fatto un regalo enorme. Fino a prima di lei questa mia condizione mi avrebbe gettato nello sconforto… in quel momento dentro di me c’era invece solo una luminosità calda e profonda.
Mi venne incontro direttamente dalla zona del palco. Aveva le mani in tasca e sorrideva, teneva gli occhi fissi su di me, quasi volesse farmi capire che mi cercava, che era proprio me che voleva. M’incuriosì, fino a quel momento non ci eravamo mai nemmeno scambiati due parole. Ero convinto che ci stessimo evitando, una di quelle convinzioni silenziose che si creano e che ci portano a parlare di “taciti accordi”. Il nostro accordo avrebbe dovuto prevedere che ognuno di noi due ignorasse l’altro. Lui lo stava per violare.
Si fermò davanti a me e mi guardò senza sfilare le mani dalle tasche dei pantaloni. Io ricambiai il suo sguardo ed attesi.
Quando parlò non mi sembrò davvero che avesse violato alcunché.
-Complimenti.- mi disse.
-Grazie.
-È stata un’ottima performance.
Mi strinsi nelle spalle, ripetere “grazie” era privo di senso. Non c’era ironia nella sua voce, non provavo alcuna avversione o fastidio nel rimanere seduto a parlare con lui. Già questo mi stupì.
-Noi ci esibiamo tra poco.- Lo sapevo, annuii.- Resti a guardarmi?
Rimasi sbigottito. Aprii la bocca annaspando. Lui mi fissava con un candore tale da darmi il capogiro e nemmeno si rendeva conto – credo – di quanto assurdo fosse quello che mi aveva appena domandato.
Sarebbe stato già tanto se lui mi avesse chiesto di rimanere per sentire loro. Ma mi aveva appena chiesto di rimanere a guardare lui. E nel farlo mi aveva fissato con la stessa espressione che io usavo da bambino, quando correvo da mio padre a mostrargli i voti presi a scuola, in cerca della sua approvazione.
In quel momento capii che, tutte le volte che Matthew Bellamy aveva detto di stimare me e la mia band, non aveva mentito. A differenza mia.
Che, quando gli avevo consegnato il premio agli EMA del 2004 e lui mi aveva abbracciato per ringraziarmi, non aveva mentito. A differenza mia.
…che, quando mi aveva fatto i complimenti poco prima, non aveva mentito.
Ma lì nemmeno io nel dirgli “grazie”.
Fu il senso di colpa a farmi accettare di restare. Provavo una vergogna terribile al pensiero di quanto ero stato meschino fino a quel momento. Guardai la sua esibizione, mi fermai anche dopo, quando mi invitò ad andare con lui al party che si teneva dopo il concerto; mi fermai con lui anche al party, mentre tutti gli altri intorno ci guardavano come se fossimo impazziti. E forse lo eravamo. Io rimanevo al suo fianco, lo ascoltavo parlare a raffica come il suo solito, e per una volta – la prima in questa assurda storia – non ne trovavo la voce sgradevole, il tono spiacevole, le parole stizzenti. Trovavo la sua presenza confortante.
So che non fu l’alcool – come mi giustificai il giorno dopo con Steve e Stefan – a farmi accettare il suo invito a casa. So che ero perfettamente padrone di me, mentre lo guardavo balbettare qualche scusa ridicola sul fatto che voleva il mio parere su alcuni lavori incompiuti. E so che ero perfettamente padrone di me anche quando acconsentii, ben sapendo che si stava nascondendo, ed anche male, e che i suoi occhi azzurri finivano per tradirlo più della sua incapacità di mentire.
Per questo, e per rendergli più facile il resto, fui io a baciarlo quando arrivammo a casa sua e lui ebbe richiuso la porta dietro di noi.
Ricordo che mi disse impacciato che non aveva mai fatto sesso con un uomo. Lo disse subito, ed io risi divertito da questa sua sincerità e dal fatto che riuscisse a mettere nero su bianco quello che voleva senza esserne veramente imbarazzato. In fondo a parte il mio bacio non avevo ancora ammesso di avere voglia di lui. Potevo tranquillamente prenderlo in giro, mollarlo lì ed andarmene. Lui non ne aveva paura. O più semplicemente, a differenza della maggior parte delle persone comuni, lui era disposto a rischiare di essere sincero.
Non posso davvero negare che fu questo a conquistarmi. Se lui fosse stato appena meno sincero, appena più interessato, quella notte sarebbe rimasta solo un episodio della mia vita, come negli anni se ne erano succeduti tanti. Ma Matthew Bellamy era quello che io vedevo e quello che vedevo mi aveva già strappato l’anima.
Mi si avvicinò quasi con timore, guardandomi attentamente, come non sapesse neanche cosa aspettarsi da me. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando cademmo con un tonfo pesante sul letto – senza spingerci, senza fretta, sfiorammo il materasso con le gambe dopo aver vagato alla cieca lungo tutto il corridoio e buona parte della camera da letto, e semplicemente ci lasciammo cadere lì come foglie – continuò a guardarmi a quel modo sbottonando la mia camicia, scivolandomi addosso con i polpastrelli, sfilando la cintura dai jeans dopo averla sfibbiata. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando rimasi completamente nudo fra le sue mani, come avesse paura che potessi improvvisamente trasformarmi in qualcos’altro o scomparire in una nuvola di vapore.
Continuò a guardarmi e lo guardai anch’io. E quando i suoi occhi incontrarono i miei, lui sorrise appena, imbarazzato, chiedendomi se mi stesse dando fastidio, se fosse troppo lento o troppo veloce. Capii che voleva essere rassicurato, ma non potevo realmente dirgli che nonostante i movimenti maldestri era così perfetto da farmi pensare avesse studiato quei momenti nel dettaglio per fare in modo che si adattassero perfettamente ai miei desideri.
Adoravo che mi guardasse in quel modo, adoravo che i suoi occhi irradiassero quel tipo di venerazione che riservi alle cose nuove che trovi stupende al punto da toglierti il fiato. Adoravo che mi toccasse piano, lievemente, come fosse spaventato.
…adoravo che mi toccasse.
E no, non potevo dirglielo, perché erano solo dieci ore e qualcosa che ci conoscevamo. Ed anche se per lui non sembrava passato troppo poco tempo per mettersi nelle mie mani in quel modo, per me era ancora troppo, troppopresto.
Mi limitai a sollevarmi sui gomiti e baciarlo, attirandolo a me con una mano sulla nuca, sperando che decidesse di lasciare da parte le insicurezze e si lasciasse un po’ andare.
Lo fece.
Affondò con un sospiro sollevato il viso nell’incavo fra il mio collo e la mia spalla, baciandomi lievemente in una scia bagnata e morbida che viaggiava verso il petto. Sembrava stesse seguendo una mappa ideale, toccando tutti i punti più sensibili del mio corpo, come volesse registrare le mie reazioni e imparare a muoversi nel modo giusto.
Come si stesse preparando ad altre milioni di volte.
E nessuno dei sospiri che mi sfuggirono dalle labbra, nessun ansito, nessun gemito, nessun movimento improvviso del mio corpo, nessun accenno di spinta verso di lui, niente fu falso, non simulai niente, non forzai nulla solo per compiacerlo; e quando mi morsi le labbra per non urlare, fu solo perché se non l’avessi fatto avrei urlato davvero; e quando mi aggrappai alle sue spalle per non cadere, fu solo perché se non l’avessi fatto sarei caduto davvero; e quando lui mi si strinse addosso, e chiamò il mio nome mentre veniva, io chiamai il suo. E non fu perché durante il sesso sono cose che si fanno. Fu perché lui era lì. E stava godendo per me, con me, dentro di me. Ed io facevo lo stesso. E ringraziarlo – per tutto, tutto – era davvero il minimo che potessi fare.

***

Vedevo i suoi occhi. Erano limpidi al punto da risplendere anche al buio. La luce della luna filtrava dalla finestra spalancata e lui mi guardava, perché quell’azzurro chiaro e brillante era fisso su di me. Mi guardava, appoggiato con i gomiti al cuscino, il busto sollevato, mi studiava come se fossi stato un’insolita opera d’arte caduta sul suo letto…
-…cosa?- mormorai alla fine.
Sorrise, penso, perché il suo sorriso fece un rumore divertente, come uno sbuffo leggero di fiato. Per un momento gli occhi si chiusero e poi tornarono a guardarmi.
Ma non mi ripose.
-Matt.- chiamai a bassa voce, sorpreso io per primo di come fosse stato facile prendere confidenza con un diminuitivo. Come se fossimo amici da sempre. Amanti da tutta la vita. Respirai e sollevai lo sguardo a ricambiare il suo attraverso la penombra. Mi chiesi se anche i miei occhi riuscivano ad essere così limpidi al buio- Che intenzioni hai adesso?
Non so perché glielo chiesi, ma immagino avesse a che fare con la consapevolezza che lui non sarebbe mai riuscito a rivolgermi quella domanda. La mia risposta la conoscevo già, volevo che tutto quello fosse più di una notte. La sua mi rigirava in testa dandomi un leggero capogiro, come se avessi le vertigini e rischiassi da un momento all’altro di cadere giù.
-Serie.- mi rispose lui come se stessimo discutendo di una cosa perfettamente ordinaria. Del tempo. Del tour. Dei progetti per il giorno dopo. Poggiò la guancia su una mano e mi fissò con il viso inclinato, aspettando.
Divenne urgente assicurarmi che avesse capito davvero.
-Sai di cosa sto parlando, Matthew?- ribadii, sentendo il mio tono alzarsi impercettibilmente, dandomi l’esatta misura dell’ansia che mi agitava. Annuì per interrompermi, ma non lo feci lo stesso.- Sto parlando di stare insieme. Sto parlando di sopportarci l’un l’altro ogni volta che uno di noi due starà male, che avrà voglia di urlare, di rendersi impossibile ed insopportabile. Sto parlando di dormire assieme e svegliarsi assieme la mattina dopo, sto parlando di imparare a capirsi anche quando non si parla, di riuscire ad intendere i silenzi anche quando si fanno pesanti, di superarli nonostante non se ne abbia la voglia. Sto parlando di dire al mondo che tu sei me ed io sono te, di ammetterlo davanti ai nostri amici, di farlo accettare a loro ed a chiunque altro e…
-Stai parlando troppo.- mi mormorò lui, piano.
Lo disse in un modo tanto quieto da zittirmi. Un tono fioco e sottile, che non perse di forza per essere così labile, ma acquistò di gentilezza e di delicatezza nell’infilarsi tra le mie paure ed i miei dubbi.
Sentii un nodo serrarmi la gola comunque, e somigliava fin troppo ad un pianto trattenuto.
-Tu mi hai chiesto che intenzioni io abbia, ed io posso risponderti solo su questo.- mi spiegò pacatamente lui- E ti rispondo che le mie intenzioni hanno a che fare con il non lasciarti uscire da qui per non tornare più.- ammise stringendosi nelle spalle- Il resto non lo so, Brian, e nemmeno me lo chiedo ora come ora.
Vorrei chiedermelo io per tutti e due…
Ed invece rimasi a fissarlo, le labbra schiuse su una frase che non ho mai detto. E, invece di chiedermelo per entrambi, ho smesso del tutto di farlo.
Ricordo che il mattino dopo quando mi svegliai ancora tra le sue coperte, lui era già uscito. Lo scoprii dopo un po’, quando tornò in camera da letto, vestito di tutto punto, con un vassoio e con i croissant appena sfornati ancora in un pacchetto. Risi, perché mi sentivo idiota nel ritrovarmi ad avere un uomo che mi portava la colazione a letto. Lui rise con me, rendendosi conto che era davvero ridicolo. Ma poi c’era una confusione terribile su quel vassoio, le tazze del caffè rischiarono almeno un paio di volte di cadere e Matt aveva dimenticato – grazie al cielo – sia i fiori, sia la spremuta d’arancia o la marmellata con le fette biscottate, e tutto questo bastò a rimettere le cose in ordine, mentre mi tiravo a sedere e lui si metteva di fianco a me, incrociando le gambe come un bambino e posando il vassoio tra noi.
Non ricordo, invece, di cosa parlammo. Sciocchezze, penso. E già pensare questo mi basta, e non riesco a ricordare altro. Mi basta perché era l’inizio della nostra abitudinarietà, la confidenza che si crea nelle coppie un pezzo alla volta e che è fatta anche di discorsi futili dimenticati subito dopo che si esce dalla porta di casa.
Quando uscii dalla porta di casa sua quel mattino, lui era con me.
Doveva andare agli Studi della Universal, ci salutammo sul portone ed io presi un taxi per farmi riaccompagnare. Sorridevo ancora quando scesi dall’auto ed attraversai la strada.
-Brian!
Sollevai lo sguardo, abbastanza stupito. E se già dovevo trovare assurdo sentire la voce di Stefan a quell’ora del mattino davanti casa mia, fui ancora più stupito quando me li ritrovai lì entrambi. Stef a braccia conserte sul petto e con un’espressione tutt’altro che amichevole in faccia e Steve che mi guardava divertito.
-Che accidenti ci fate qui?- chiesi d’istinto.
-Che accidenti ci facevi tu fuori casa?!- strillò Stefan furioso- E perché diamine sei vestito come ieri?! E soprattutto, dove accidenti sei finito ieri?!
Sbattei le palpebre, realizzando che era palesemente preoccupato per me.
-Stef, ho trentacinque anni…- feci notare.
-E non sei capace di badare a te stesso, è evidente!- strepitò lui senza neppure ascoltarmi.- Ti abbiamo cercato tutta la notte! Eravamo in pensiero per te! Potevi almeno…che so! fare una telefonata! O quanto meno rispondere al telefono!
Tirai fuori dalla tasca del cappotto il cellulare e mi accorsi che effettivamente mi avevano chiamato più volte.
-Ahah- registrai indifferente.- Sono vivo. Posso andare a dormire?- chiesi educatamente.
-Avresti già dovuto essere a dormire!- ci tenne a specificare lui.- Avresti dovuto aprire la porta in pigiama, urlare contro di noi che le dieci del mattino non sono un orario accettabile per essere svegliati e poi invitarci ad affogarci in un caffè!
-Hai di me una visione orribile.- notai perplesso.
-Non c’entra!
Scrollai le spalle, infastidito dal protrarsi inutile di quella discussione.
-Comunque io sono già affogato in un caffè per stamattina.- ammisi semplicemente, tirando fuori dalla tasca anche le chiavi per aprire il portone.- A casa di Matt.- specificai.
Stefan mi fissò come se non potesse credere che fossi proprio io, vivo, vegeto ed in carne ed ossa, davanti a lui. Steve si accodò a lui per un momento. Poi scoppiò a ridacchiare come un ragazzino – ed io lo seguii praticamente subito – e commentò.
-Allora era vero…
Stefan si voltò verso di lui, continuando a mantenere la stessa espressione sconvolta.
-Non dire “allora è vero” come se fosse una cosa normale…- lo pregò in un soffio strozzato.- Brian!- chiamò poi, voltandosi. Sbuffai e mi feci spazio per andare ad aprire- Cos’è questa storia? Vi hanno visti tutti al party ieri sera, ma io non posso credere che davvero tu e Bellamy…- non finì la frase, come se la sola idea fosse inconcepibile. Aprii il portone appoggiandomici con la schiena e li guardai, invitandoli silenziosamente ad entrare- Insomma, voi due vi odiavate fino a ieri!-mi ricordò alla fine.
Ci pensai su, spingendo il portone finché non urtò contro il muro, e rimasi lì appoggiato aspettando che loro sfilassero davanti a me.
-No, ci sbagliavamo tutti su quello.- spiegai quindi.
Steve rise di nuovo, facendo risuonare tutto l’atrio del palazzo, provai a dirgli di piantarla, ma siccome lo feci ridendo anch’io non servì a molto. Stefan invece mi guardò. Mi guardò attentamente per un bel po’ di tempo. Poi non disse più nulla e seguì Steve fino all’ascensore.
 

***

 
Nota di fine capitolo della Nai:

…bah.
E’ il concetto che credo renda meglio il perché di questa storia.
Giusto per dovere di cronaca, comunque, dico subito che il titolo è rubato a parte del titolo – chilometrico – con cui il Sig. Molko ha identificato una “graziosa” rassegna fotografica da lui realizzata durante il tour.
Il titolo completo è perfino più deprimente del pezzetto scelto! ^_^
Al momento l’unico “perché” della scelta è dato dal fatto che mi piacesse l’idea di un Brian Molko che dichiara al mondo di essere stato preso in trappola in una bottiglia. Come un genio o un folletto.
Ma sto divagando e, siccome devo lasciare spazio alla Liz per la sua nota di fine capitolo, mi interrompo qui.
Spero che vi sia piaciuto, avevo bisogno di zucchero e questa storiella a capitoli – leggera ed inconsistente – è zucchero e poco altro. Un po’ di sano romanticismo ogni tanto fa bene al cuore *_*
Inoltre sono così felice che la Liz abbia deciso di assecondare questa follia e collaborare alla sua realizzazione che penso piangerò di gioia (ç_ç) e desidero dichiararle pubblicamente il mio eterno amore!!!
Detto questo. Un bacio ed al prossimo capitolo!

Nota di fine capitolo della liz:

…amore a parte è___é Anche io sono molto felice di aver assecondato questa follia e…
…anzi, no, amore a parte il cavolo: questa storia È amore <3 È tipo la personificazione dell’amore romantico come lo intendo io nei miei sogni di gloria *.* Ed è fantastico che la Nai sia riuscita a partorire una cosa simile… peraltro tutta da sola <_< Non credetele, quando mi dà i meriti: la maggior parte delle volte mi arrogo meriti non miei perché lei scrive cose talmente belle che poi mi ispirano a scriverci su dando il massimo ù.ù *sì, in questo consiste il mio aiuto*
Comunque, comunque. Anche se ancora non si vede, per i capitoli futuri avrete di che odiarmi *-* *risata malvagia*
*scompare in dissolvenza*

Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico, Triste.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: NC-17
AVVISI: AU, Lemon, OC, Slash.
- Del giorno in cui suo padre è andato via di casa, Matthew ricorda solo che era estate, che sua madre piangeva, che piangeva anche la televisione e che lui voleva un jukebox. Da quel momento, la sua vita è stato un inseguirsi di vuoti, nel disperato tentativo di evitare di prendere atto di un problema che non c'è ma forse dovrebbe esserci. O forse non dovrebbe esserci e invece c'è. Il successivo momento di non-vuoto è Brian. E Matthew che comincia a imparare che il problema non è tale solo se lo vedi. Lui c'è comunque. Sta a te affrontarlo.
Note: WIP.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
MAKE-UP FOR BOYS
CAPITOLO 1
BUBBLER

Avevo quindici anni, quell’estate. Mamma piangeva nella stanza accanto alla mia. Alla TV, che era rimasta accesa per tutto il giorno, un uomo cominciò a piangere a bassa voce. Disteso sul letto, fissando il vuoto, pensai che il pianto di mia madre e quello dell’uomo alla TV si componessero in un duetto veramente meraviglioso. Poi, all’improvviso, il soffitto divenne grigio ed io pensai “Voglio un jukebox”.
Questo è tutto quello che ricordo della giornata in cui mio padre andò via di casa.
Mia madre mi ha raccontato molte cose, di quel giorno. Di avermi chiamato in salotto, di avermi detto di accomodarmi in poltrona mentre lei e papà continuavano a fissarmi dall’alto, semplicemente terrorizzati perché non avevano la minima idea di come gestirmi. Mi ha raccontato che mio padre prese la parola e disse “Matt, io e tua madre abbiamo deciso”, e che lei lo interruppe puntualizzando che era stato lui a decidere tutto, e che quasi scoppiarono a litigare davanti a me perché mio padre cominciò a sindacare su cosa trovava giusto far sapere “al bambino” mentre mia madre giustamente obiettava che per “il bambino” la cosa migliore sarebbe stata continuare ad avere un padre e non uno stronzo che va via di casa.
Mamma mi ha raccontato anche che, a quanto pare, dopo la scenata io semplicemente mi alzai e tornai in camera mia. Papà raccolse la propria roba ed uscì, e lei si rintanò in camera da letto. Quella che era stata la loro camera da letto, e che da quel momento in poi sarebbe rimasta per me la sua camera da letto, nonostante i numerosi uomini che si sono succeduti nell’occupare la metà di lettone che non è più di mio padre da oltre vent’anni.
Tutto questo susseguirsi d’eventi non è che uno sterile racconto. Io non ne posseggo immagini. Non ne ho ricordo. Potrebbe anche non essere mai successo.
Tutto quello che ricordo resta l’incrocio di quei pianti.
E il desiderio di avere un jukebox.
*
Ne parlai a mia madre solo molti mesi dopo, quando, nell’ingenuità egoistica della mia gioventù, credetti che, dal momento che aveva smesso di piangere ogni giorno, “le fosse passata”. Un giorno lei passò a prendermi da scuola, io mi sedetti tranquillamente nel posto del passeggero al suo fianco e le dissi che mi sarebbe piaciuto avere un jukebox.
Lei staccò appena gli occhi dalla strada, solo per qualche secondo. Giusto il tempo di voltarsi, incontrare il mio sguardo serio e pacato e tornare a fissare l’asfalto.
- Non avrei neanche idea di dove andartelo a comprare. – disse sinceramente, stringendo la presa sul volante, - Non potresti desiderare un IPod come tutti i ragazzi della tua età…?
Ridacchiai lievemente, coprendomi la bocca con una mano.
- Fa nulla. – dissi, scrollando le spalle.
In realtà faceva.
Erano passati all’incirca quattro o cinque mesi da quando mio padre era andato via, e quello del jukebox in camera era stato l’unico pensiero fisso a tenermi compagnia.
Non era come se fossi “stato male”. Non ero “stato male”. Ero rimasto tranquillo, ero tutto sommato rilassato. La partenza di mio padre per l’Australia – appena tre settimane dopo la sua uscita di casa – non mi aveva sconvolto. Il pensiero di non poterlo più rivedere se non per fantomatici viaggi di vacanze estivi che sapevo non si sarebbero mai verificati, non mi turbò affatto.
Mio padre cantava in una band piuttosto famosa a livello internazionale, ero abituato a non vederlo. Ero abituato al pensiero che non ci fosse. Ed ero abituato al pensiero che potesse trovarsi dall’altro lato del mondo rispetto a me, senza che questo dovesse procurarmi particolari traumi. Era una condizione del tutto normale. L’unica cosa che era cambiata era il rapporto fra lui e mia madre. Perché quel rapporto, in effetti, un tempo c’era stato. Quello fra me e lui, invece, era sempre mancato.
Ciononostante, malgrado il mio stato d’animo non potesse dirsi “sofferente”, di sicuro non ero rimasto lo stesso. Avevo progressivamente perso interesse per qualsiasi cosa mi stuzzicasse prima. Non era stata una cosa intenzionale – neanche me ne rendevo conto, a dirla tutta. Suonicchiavo il piano – e non lo toccai più, se non per una volta, ma il solo contatto con i tasti d’avorio mi infastidì al punto da convincermi a non provarci mai più. Scrivevo racconti – ma smisi. Ogni tanto disegnavo – non era mai stato un passatempo fisso, ma smisi anche con quello.
Passavo le mie giornate ad ascoltare musica. E non era solo una questione di udito. Potevo trascorrere interi pomeriggi ad esaminare le copertine dei CD, facendovi scorrere sopra la mano alla ricerca di imperfezioni nel cartone, o, se l’artwork era in rilievo, a saggiarne colli e valli per imprimerne la forma nei polpastrelli. Io e la musica avevamo un rapporto molto fisico. Mi sarebbe davvero piaciuto poter avere un jukebox, sarebbe stato il regalo perfetto, il giocattolo perfetto.
Chiaramente allora non la vedevo in questi termini.
Un jukebox non sarebbe stato un giocattolo, sarebbe stato l’altare del personalissimo santuario che avrei costruito in camera.
Ma quando sei adolescente vedi tutto in maniera talmente distorta che a ripensarci dopo ti dai i brividi da solo. Non hai percezione chiara di niente. È tutto esageramene grande. O esageratamente piccolo.
Io sapevo di avere un problema. O meglio, sapevo che avrei dovuto averlo. Avrei dovuto sentire il bisogno di parlare con qualcuno di ciò che provavo, di ciò che l’assoluta mancanza di mio padre significava in quel momento, di ciò che aveva sempre significato, in qualche luogo oscuro della mia testa.
Ma questo problema, in effetti, mi sembrava esageratamente piccolo. Insignificante.
Al contrario, la fissazione per la musica era enorme. Si gonfiava, come una spugna, occupava tutto lo spazio nella mia testa. Dom continuava a ripetere che avrei dovuto lasciarne un po’ anche per il cervello, quando cercavo di spiegare come lo sentivo. Chris si limitava a ridacchiare sotto i baffi, mandandolo su tutte le furie.
Potevo capire la paura di Dom. Avevo già stressato incredibilmente lui e Chris perché imparassero a suonare rispettivamente batteria e basso, dal momento che avevo intenzione di mettere su una band. Era stato molto felice nel momento in cui io avevo perso interesse nell’idea, ma ora quel ritorno di fiamma lo metteva in agitazione, aveva come il presentimento che da un momento all’altro avrei potuto investirlo di nuovo con quell’idea strampalata, e che lui non sarebbe stato in grado di sottrarsene.
Poverino.
Se penso a com’è finita, aveva ragione lui.
Ma non sarebbe successo prima di un altro anno, almeno, e il filo di pensieri che sto seguendo non è ancora arrivato a quel punto. Manca un tassello fondamentale.
Manca Brian.
Devo arrivare prima a lui.
Quando sarò arrivato a lui, arriverà anche il resto.
*
Il jukebox continuò a tormentarmi. Mia madre lo sapeva e sbuffava, e io passavo il tempo ad osservare immagini su internet, cercando qualcosa che potesse andare bene col disegno assurdo della mia carta da parati gialla e arancione.
Poi un giorno tornò a casa, irruppe in camera mia e mi trovò disteso sul letto ad osservare curioso la copertina di una rivista musicale random. Io mi voltai a guardarla, e le vidi passare negli occhi una quantità enorme di cose. Prima di tutto che in quel momento avrei dovuto studiare, e che quindi adesso era indecisa se dirmi o meno ciò che pensava. Poi che probabilmente quello che stava per dirmi avrebbe soltanto incasinato ancora di più la situazione. E infine che be’, io sembravo tenerci, e quindi così sia.
- Pensi ancora di volere quel coso?
Scattai a sedere, abbandonando la rivista sul copriletto.
- Me ne hai comprato uno?
Lei sospirò.
- No. – confessò abbassando lo sguardo.
- Oh. – dissi io, demoralizzato, imitandola.
- Però ne ho visto uno in quella creperia che c’è in Saint James street… - aggiunse, scrollando le spalle, - Puoi provare a parlare con il proprietario… magari te lo vende.
Ora, so che può sembrare idiota. Ma la mia giornata veramente cambiò sapore, colore e odore, in quel momento. Era la prima volta che mia madre mi dava una piccola speranza in quel senso, e dannazione, non avevo mai visto un vero jukebox, prima di allora!
Volai fuori di casa e la metropolitana mi portò, caotica e ordinaria come al solito, fino a destinazione.
La creperia era in realtà un piccolo bar. All’esterno aveva un giardinetto piuttosto grande, ricolmo di tavolini, mentre all’interno c’era solo la cassa, un bancone sempre stracolmo di panini e un ripiano enorme per fare le crepes, spalleggiato da un grandissimo frigorifero e da tutta una serie di scaffali contenenti ingredienti di ogni tipo.
Il jukebox era in fondo.
Spento, inutilizzato da chissà quanto tempo.
E bellissimo.
I colori scivolavano dal rosa al giallo passando per tutte le tonalità intermedie, il che gli dava un aspetto psichedelico davvero affascinante, ed era una riproduzione fedelissima di un modello che avevo visto online, il Bubbler, praticamente il jukebox più famoso della storia della musica.
Lo amavo.
Lo amavo, lo amavo e lo volevo.
- Prego. – disse una voce alle mie spalle, e io mormorai “il jukebox” prima ancora di voltarmi.
Quando lo feci, però, ripiombai nel silenzio. Davanti a me si stagliava un uomo non troppo alto ma decisamente robusto, che mi fissava sorridendo in un modo che probabilmente a lui doveva sembrare aperto e conciliante, ma in realtà era quantomeno spaventoso.
- Buonasera… - borbottai incerto, torturando gli orli delle tasche dei jeans fra le dita.
- Buonasera! – rispose lui entusiasta, restando in attesa della mia ordinazione.
Io mi guardai intorno e gli chiesi un panino.
- Un panino come? – insistette lui, senza capire che non si trattava d’altro che di una scusa.
Scrollai le spalle e buttai fuori un “cotoletta e patatine” poco convinto, preparandomi a spendere quella sterlina e mezzo e buttarla nell’immondizia appena uscito da quel posto.
Il tizio mi rifilò un panino enorme. Uscivano patate, pezzi di carne e foglie di lattuga da ogni lato. Mi sedetti al bancone del bar, su uno sgabello, e lo poggiai sul piattino che mi aveva passato, cominciando ad esaminarlo per togliere tutto ciò che non mi convinceva. A cominciare dalla lattuga.
- Pensavo… - dissi, dopo un’enorme serie di incertezze, senza riuscire a sollevare lo sguardo dal panino che stavo crudelmente sezionando, - …il jukebox è in vendita?
Lui posò nel lavandino il bicchiere che stava lavando e mi fissò.
- Perché? – chiese curioso. Il suo tono mi costrinse ad alzare gli occhi e guardarlo a mia volta.
- Io lo comprerei. – dissi serenamente, ripetendomi che la sola vista di Bubbler era abbastanza per ridarmi coraggio.
Lui continuò a scrutarmi con attenzione, prima di ridacchiare nervosamente.
- Mi dispiace, ragazzino, il Bubbler non è in vendita.
Il Bubbler.
Cioè era un modello originale?!
- Era tipo di mio nonno. O qualcosa del genere. Capiscimi, - disse sbuffando, - non è che a me interessi, te lo darei pure gratis, ma non sono io il proprietario, qui.
- No…? – piagnucolai indecentemente, giocando con la lattuga unta di maionese nel piatto.
- No. È tutto di quel vecchiaccio di mio padre. – spiegò con astio, - Credimi, se potessi cambierei praticamente il novanta per cento di tutto quello che c’è qui dentro. – borbottò, accompagnando le parole con ampi gesti delle braccia e schizzandomi d’acqua su tutta la faccia.
- E non c’è proprio niente da fare…? – chiesi io, asciugandomi il viso con una manica, cercando di non mostrarmi infastidito, - Vorrei davvero quel jukebox, ci penso da mesi…
- Mmmh. – mugugnò lui, pensieroso, - Senti, io qui devo fare tutto da solo. Il che in genere non è particolarmente faticoso, perché per la maggior parte del giorno questo posto è semivuoto. – illustrò con uno sbuffo annoiato, - Solo che da queste parti c’è una scuola, e quindi all’uscita d’improvviso mi ritrovo invaso da stupidi adolescenti che… - mi lanciò un’occhiata, - Be’, da ragazzini come te.
Non riuscivo a capire dove volesse andare a parare, perciò mi limitai ad annuire incerto e fissarlo ammirato.
- Quindi, tu vuoi il Bubbler. Io voglio una mano d’aiuto. Possiamo risolvere!
M’illuminai. Pensai che volesse propormi un accordo del tipo “lavori qui a pieno regime pulendo i cessi per due mesi e alla fine il Bubbler sarà tuo”, ed ero già pronto ad accettare con slancio, quando lui disse “Vieni a lavorare con me! Così potrai stare col Bubbler tutto il tempo che vorrai!”, ed io ero così preso da tutti i miei sogni di gloria che quasi neanche me ne accorsi, e accettai lo stesso.
Quando me ne resi conto, era troppo tardi.
- Aspetta. – balbettai, - Intendi lavorare qui a tempo indeterminato…?
Lui annuì tranquillamente.
- Ma è illegale! – protestai agitato, - Ho quindici anni!
- Basterà l’autorizzazione dei tuoi. – risolse lui semplicemente, con una scrollata di spalle.
- Ma… - cercai altro da dire, e non trovai niente. Lanciai un’occhiata a Bubbler, nell’angolino buio. Così, ricoperto di polvere e abbandonato a sé stesso, faceva veramente tristezza. – D’accordo. – annuii, - Ma ad una condizione.
Il tipo sorrise furbo.
- Lo rivuoi funzionante, eh?
Annuii ancora, con più decisione.
- E sia. – concesse lui, - Per quello che m’importa. Ma te ne occuperai tu, ok?
- Sì!!! – risposi entusiasta, scattando in piedi e rischiando di scivolare in terra dallo sgabello, - Certo che sì!
Un Bubbler originale sotto la mia unica e totale responsabilità!
Il mondo era un luogo bellissimo.
Fu così che venni assunto al Cafe Creperie.
Tom Kirk, il mio datore di lavoro, l’uomo che avevo incontrato quel giorno, decise che avevo un talento per le crepes alla nutella e mi mise a fare solo quello. Lo feci per mesi. Ogni giorno uscivo da scuola e mi fiondavo al locale; lì rimanevo ore: preparavo crepes per i miei stessi compagni di classe – che da quando avevano saputo che lavoravo lì avevano deciso di approfittare di me come mai avevano fatto prima, sperando in qualche sconto che il comportamento burbero di Tom mi salvò dal negare, dal momento che lo negava già lui più che bene – e rimiravo il mio Bubbler luminoso e colorato che mangiava vecchi dischi dei Beatles e di musica ballabile varia ed eventuale che naturalmente mi disgustava, ma non era quello il punto.
Fu così improvviso che è quasi assurdo pensarci.
Passai dal niente al tutto in un paio di giorni.
Dai pomeriggi noiosi riverso sul letto e fissare per la milionesima volta la copertina di Diamond Dogs a quelli pieni di chiacchiere e scherzi dietro il bancone della caffetteria, con Dom e Chris che cercavano di infilare le dita nel barattolone di Nutella da tre chili che tenevo su un tavolino lì a fianco e le ragazze che mi imploravano per un pezzettino di crepes gratuito.
Penso che in assoluto quella fu l’esperienza che più mi aiutò a risolvere il “problema” che non avevo ma che decisamente avrei dovuto avere. Anche se è stupido dirlo in questi termini.
Comunque sia, mi aiutò anche a non accorgermi di tutta una serie di cose delle quali, però, sarebbe stato utile prendere coscienza prima. Per dirne una, l’abitudine di mia madre di cambiare uomo ogni due-tre mesi senza nessun motivo apparente. Il continuo viavai di tizi sconosciuti dalla sua camera da letto. La sua tristezza.
Dal momento che non me ne accorsi, non riuscii ad accorgermi neanche di quando tutto questo finì. Mia madre ricominciò a rifiorire. Il viavai scomparve del tutto. E lei riprese ad uscire di sera.
Non mi accorsi di niente. E così, quando si presentò in camera mia e, imbarazzata come una ragazzina, mi confessò che le sarebbe piaciuto farmi conoscere “una persona speciale”, non ebbi immediatamente una percezione chiara di ciò che stava succedendo. Mi limitai a guardarla come se fossimo idioti entrambi e le chiesi chi fosse.
- Si chiama Brian Molko. – gorgogliò lei gioiosa, - S’è trasferito qui qualche mese fa, è un mio collega.
Allora cominciai a subodorare qualcosa. Non capii, ma mi sembrò che qualcosa da capire ci fosse. Il che non era mai stato del tutto automatico, per me.
- Ci vediamo da un po’… - continuò mia madre dolcemente, - Sai Matt, so di aver fatto tanti errori, con gli uomini, in quest’ultimo periodo… - errori dei quali io non ero a conoscenza, e per i quali non sentii il bisogno di perdonarla, - …ma credo davvero che lui sia quello giusto. – quello giusto, disse, me lo ricordo, disse proprio così, - E ci terrei a fartelo conoscere.
Rimasi lì, seduto alla mia scrivania, incerto sul da farsi. Annuii, lei lo prese come un “ok” ed uscì.
Io pensai solo che da quel momento in poi avrei avuto un “padre” per casa.
Non mi sembrò tanto diverso dall’idea di comprare un nuovo vestito o, chessò, un cucciolo di cane.
Preparai lo zaino per il giorno dopo, spensi il pc, infilai le cuffie dell’IPod che avevo finito per farmi comprare comunque nelle orecchie e mi misi a letto.
Mamma preparò l’incontro col signor Molko per il giorno dopo. Si informò sui miei orari scolastici, sui miei orari lavorativi, e quando le assicurai che sarei tornato a casa solo per cena lei annuì e disse “perfetto”.
Quando rincasai, il signor Molko era già lì.
Era un uomo sulla quarantina, sembrava decisamente più vecchio di mia madre e dimostrava certamente più anni di quanti non ne avesse in realtà. Corti capelli brizzolati, limpidi occhi celesti e un sorriso affascinante. Modi da galantuomo. Abbigliamento impeccabile. Mi salutò chiamandomi “Matt” e mi disse che gli faceva molto piacere conoscermi, che ero “esattamente come Marylin mi aveva descritto” e che gli sembravo un ometto simpatico.
Gli risposi che anche lui mi sembrava un ometto simpatico, e lui rise di gusto.
Risi anche io.
E rise mamma.
Ci sedemmo a tavola e mangiammo i pomodori ripieni che mamma aveva preparato con cura per tutto il pomeriggio, perché la salsa tonnata fosse densa e non sapesse troppo di maionese, e perché il mais non uscisse dai bordi, cadendo sul piatto. Divorammo tutto, antipasto, primo, secondo e contorno. Quando arrivammo al dolce – budino al cioccolato. A mamma non piaceva, ma si ostinava a dire fosse un dolce divertente. Io lo amavo, questo mi bastava. – sapevo già tutto quello che c’era da sapere sulla vita del signor Molko. Che era americano. Che era divorziato. Che aveva due figli ma stavano negli Stati Uniti.
E soprattutto che amava mia madre.
Mi bastò.
*
Non bastò al signor Molko, però. Per quanto mia madre cercasse di convincerlo a “non andare troppo di fretta” e “fare le cose con calma”, lui non volle sentire ragioni. Le chiese di sposarlo e lei accettò ma lo implorò di darle tempo. Lui annuì e disse che “tanto non correva loro dietro nessuno”, e che comunque avrebbe gradito che Junior fosse lì, quando si fossero sposati, quindi dovevano aspettare che arrivasse.
Io assistetti a quel discorso imburrando una fetta biscottata alle nove di una domenica mattina. Quando sentii la parola “Junior” d’improvviso gli sbuffi di burro che non riuscivo ad appianare persero interesse e sollevai lo sguardo.
- Junior…? – sillabai incerto, poggiando il coltello sul tavolo e allungando una mano verso il barattolo di marmellata.
- Oh. – rispose il signor Molko, sorseggiando il proprio caffé. E li si fermò.
- No, non gliene ho parlato. – disse mia madre, annegando lo sguardo nel cesto di biscotti in mezzo alla tavola.
Il signor Molko annuì compitamente.
- Non preoccuparti, Mary. – le sorrise, conciliante, - È meglio se a dirglielo sono io.
- Dirmi cosa? – insistetti, un po’ nervoso, aprendo il barattolo e affondando il coltello nella conserva.
Il signor Molko sospirò.
- Matt, tu sai che ho due figli, no?
Annuii, spalmando la marmellata sulla fetta e osservando il burro colorarsi di rosa.
- Ecco, io e tua madre – e mi accorsi che mamma non si lamentò, non negò, sorrise e basta, - pensiamo sarebbe una bella cosa se potessimo essere… più come una famiglia vera.
Addentai la fetta, continuando a guardarlo.
- Mio figlio minore, Brian, ha la tua stessa età.
Risi.
- Ha il tuo stesso nome! – commentai divertito, - È la prima volta che vedo una cosa simile dopo Indiana Jones!
Lui rise con me, continuando a bere il caffé.
- Abbiamo pensato di farlo venire qui. E vivere tutti insieme. – confessò tranquillo, - Speriamo che per te vada bene.
Finii la mia fetta biscottata, bevendoci su un po’ di latte caldo.
L’unica cosa che mi colpì, in quel momento, fu che lui e mia madre si consideravano un’unica entità pensante in sincronia, e che mi dispiaceva non essere parte di quel groviglio caldo e accogliente che la loro unione mi sembrava.
Sorrisi.
- Certo che mi va bene.
*
Passò solo una settimana. Il signor Molko chiamò gli Stati Uniti solo una volta, e più che chiedere ad un figlio di trasferirsi da lui sembrava stargli dando ordini. Non fu brusco, non fu perentorio, non fu neanche fastidioso, almeno non per me. Fissava il muro, parlando al cellulare, e disse al ragazzo dall’altro lato dell’oceano “Sto per risposarmi. Ovviamente voglio che tu venga a stare con me”.
Non credo che il ragazzo dall’altro lato protestò.
Il successivo sorriso del signor Molko non era il tipo di reazione che si ha quando si deve cominciare un litigio per convincere qualcuno delle proprie ragioni… era la reazione che si ha quando si sa di averla comunque vinta.
In ogni caso, la domenica successiva eravamo all’aeroporto. Io mi guardavo intorno con aria curiosa e mia madre si mordicchiava le unghia, ansiosa, mentre il signor Molko si sollevava sulle punte per superare un gruppo di giganti scandinavi in arrivo nella piovosa Inghilterra probabilmente per una partita di calcio.
Successe tutto in due secondi.
Due davvero.
Io adocchiai un manifesto con sopra la pubblicità di un nuovo panino di McDonald’s, decisi che lunedì avrei ucciso Tom e sarei fuggito al primo locale disponibile per mangiarlo, e quando tornai a guardare l’atrio della sala arrivi lo vidi.
Quasi contemporaneamente, il signor Molko sollevò un braccio e disse “Brian!”, ridendo felice come un bambino.
Furono due secondi.
So che è banale, so che è stereotipato, ma furono i più lunghi della mia vita.
Era una ragazzina.
Bassa e magra.
Con uno strano casco di capelli scuri e spettinati sulla testa.
Una maglia nera stretta con le maniche più lunghe dell’universo.
Una gonna.
Un paio di collant.
E un paio di anfibi.

Brian.
Si avvicinò sbuffando, ed io seguii il movimento delle sue labbra. Sembrarono arrotondarsi e gonfiarsi in una piccola morbida palla, increspandosi come le onde del mare.
Rosse, piene e leggermente umide.

Non mi degnò di uno sguardo. Si limitò a scrutare con malcelato odio il proprio padre, lanciando la valigia ai suoi piedi e mettendo una mano sul fianco.
- Contento? – sputò fuori, velenoso.
- Junior, ti prego… - mormorò il signor Molko, roteando gli occhi.
- Avresti almeno potuto costringere anche Barry a venire. – continuò il ragazzo, senza interessarsi a nient’altro che non fosse il proprio genitore.
- Barry ha una famiglia e dei figli, Junior… - rispose lui, prendendo la valigia da terra e rimettendola dritta sulle rotelle.
- Piantala di chiamarmi Junior. È meschino che tu lo faccia solo perché sai che mi infastidisce.
Il signor Molko ghignò apertamente.
- Posso presentarti la mia compagna, o la sbranerai?
- Non ne avrei motivo. – rispose Brian con un sospiro, socchiudendo gli occhi. Solo allora sembrò cominciare a guardarsi intorno sul serio. E, prima di guardare mia madre, lanciò un’occhiata alla propria sinistra e mi sfiorò. Non diede neanche segno di accorgersi della mia presenza… ma che mi vide lo so.
Perché sentii i suoi occhi addosso, e quegli occhi non guardano mai in maniera lieve, non sono mai leggeri, non sono mai discreti. Sembra vogliano spezzarti in due ogni volta che ti si posano sulla pelle.
L’incontro fra Brian e mia madre fu quanto di più esilarante successe quel giorno. Era ovvio che lo trovasse adorabile da guardare, ma che avrebbe preferito mille volte poter rimanere solo a guardarlo senza necessariamente doverselo portare in casa. In fondo, posso capirla. Lui non era esattamente il tipo di adolescente maschio nel pieno delle proprie facoltà fisiche e mentali che immagini verrà a bussare alla tua porta. Era decisamente atipico, e non solo sembrava fiero di esserlo, sembrava anche uno di quei casini ambulanti impossibili da sbrogliare.
Questo fu il motivo per cui mia madre ne fu terrorizzata e si comportò con lui come se Brian fosse una principessina d’altri tempi e lei la dama di corte incaricata di farle compagnia. Mi chiedo ancora come sia riuscita a resistere all’impulso di aprire per lui la portiera della macchina.
Mamma non era abituata ad avere il controllo delle cose, ma era sempre lei a perderlo. Non qualcun altro a sottrarglielo. Cosa che invece Brian sembrava del tutto intenzionato a fare.
Comunque per me fu abbastanza semplice. Mi limitai ad osservare quello scricciolo in azione, trattenendo a stento le risate per tutte le occhiatacce che lanciava al signor Molko e tutte quelle che si sforzava di non lanciare a mia madre.
Fu semplice, fino a quando il signor Molko non distrusse tutto con l’uscita più infelice della giornata.
- E lui sarà il tuo nuovo fratello. – disse, mettendomi un braccio attorno alle spalle e spingendomi verso Brian.
Lui mi guardò.
Inequivocabilmente. Per molti secondi.
Socchiuse le palpebre, e il suo sguardo divenne veramente cattivo.
Catalizzò su di me tutto l’odio che provava e incrociò le braccia sul petto.
- Io ho un solo fratello. – sentenziò secco, - Tu chi saresti?
Deglutii.
- Matthew. – risposi incerto.
Lui roteò gli occhi e scosse il capo come a dire “sì, be’, chissenefrega” e poi si allontanò senza più calcolarmi.
Finì così, praticamente. C’infilammo velocemente in macchina e prendemmo l’autostrada per tornare a casa.
- Non sei felice di essere in Inghilterra…? – chiese incerto il signor Molko, fissando il figlio riflesso nello specchietto retrovisore.
Brian si rincantucciò nell’angolino più lontano da tutti nel sedile posteriore, le braccia ancora strette e serrate sul petto e l’espressione più schifata che avessi mai visto in faccia a qualcuno.
- Non potrà essere peggio di casa. – borbottò impietoso, prima di ripiombare nel silenzio.
*
[Cercai di non calcolarti affatto.
Cercai di non calcolare nessuno, perché sinceramente speravo di fare uscire di testa mio padre prima che ci fosse bisogno di abituarmi a una convivenza con degli estranei. Speravo mi avrebbe rimandato a casa. Speravo che entro la fine della settimana successiva sarei tornato negli Stati Uniti. Alla mia vita schifosa. Che però quantomeno era prevedibile.
Speravo in un mucchio di cose, l’unica cosa in cui non speravo eri tu.
Il che dimostra che ho sempre avuto scarso intuito per le scommesse.]

continua…


Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: NC-17.
AVVISI: Slash, Lemon.
- Matthew, preoccupato dal collasso di Brian durante un concerto in quel di Osaka, una volta saputo che il suo ragazzo sta riprendendosi a Londra, passa a fargli un saluto.
Commento dell'autrice: La colpa è interamente di Fae e del collasso che ha colpito il povero Brian mentre cantava in Giappone D: Povero coccolo. Storiellina per esorcizzare la cattiva sorte (ogni tanto funziona; ogni tanto no XD) e per giocare un po’ con questi tatini, che mi mancavano.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
TRE PROS AND CONS OF GORGONZOLA CHEESE
20 Rooms / 001 Cucina @ PWP Fest (Kinks&Pervs)
RPF Cantanti @ Fanworld.it Pigiama Party

Brian mugolò di fastidio quando la luce della stanza si accese, colpendolo in pieno volto.
- Nooo… - biascicò esausto, nascondendosi al di sotto delle lenzuola, - È ancora presto, i dottori hanno detto sei settimane e sei settimane non finiscono prima di altri quarantuno giorni e dodici ore…
- Brian! – tuonò la voce di Matthew, inondando l’intero ambiente e costringendo Brian a tapparsi le orecchie, pressando forte le mani ai lati del viso, - Ma cosa diavolo ti è successo?!
- Non… urlare… ti prego… - mugolò lui, rivoltandosi stancamente fra le coperte, - Sto male…
- Il Giappone è sempre la causa di ogni male! – asserì risoluto Matthew, afferrando il lenzuolo e strappandoglielo di dosso con la delicatezza di uno scaricatore di porto che si fosse svegliato col piede peggiore in assoluto, quel mattino, - Ho dei pessimi ricordi di quella terra. Sballo dissennato fino alle cinque del mattino, donne ovunque il cui unico scopo sembrava venire a letto con me, droga, alcool, ro-
- Quando comincia la parte negativa? – chiese Brian, ancora steso sul letto, osservandolo con aria supponente.
Matthew aggrottò le sopracciglia, deluso.
- È cominciata quando ho cominciato a parlare di sballo, Bri. – precisò, - Posso solo immaginare come tu abbia passato i giorni prima del collasso, per ridurti in questo stato!
- Non sono in nessuno stato, Matt. – sospirò Brian, cercando di sorridere conciliante mentre si metteva seduto e poggiava i piedi a terra, cercando a tentoni le proprie pantofole, - Vedi? – cinguettò incoraggiante, alzandosi in piedi e vagolando a caso per la stanza, - Sto in piedi, posso muovermi senza svenire e se devo dirti la verità ho anche un po’ di fame. Per cui apprezzo che tu sia venuto a controllare come sto, ma puoi anche tornare al tuo lavoro. – concluse, muovendosi disinvoltamente verso la cucina.
- Ma! – cerco di fermarlo Matthew, andandogli dietro, - Ho preso il primo aereo, appena ho saputo!
- Ma! – gli fece il verso Brian, roteando gli occhi prima di spalancare il frigo e immergersi al suo interno, fra pacchetti e pacchettini di svariate forme e dimensioni, alla ricerca di qualcosa da mangiare, - Chi te l’ha chiesto?
Offeso, Matthew si ritrasse di qualche centimetro.
- …simpatico. – commentò acido, incrociando le braccia sul petto.
- Sì, eh? – ghignò Brian, riemergendo dal frigorifero con un sandwich al formaggio fra le mani.
- Come un calcio nelle palle, più o meno. – annuì Matthew, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, - E quello ti fa malissimo, comunque, è pesante da digerire! Tanto vale, non so, che torni da Gaia a prendere quello che è rimasto della peperonata di sua zia, così quantomeno se devi morire lo fai con un sorriso sulle labbra e mangiando qualcosa di più glorioso di un dannato panino con del dannato cos’è quello?
- Gorgonzola. – rispose Brian, scrollando le spalle e portando il panino alla bocca.
- Ma neanche per idea! – urlò Matthew, raccapricciato, strappandoglielo dalle mani, - Tu non mangerai questa schifezza, lo sai che c’è la muffa dentro?!
- Sì, Matthew, lo so. – grugnì l’uomo, allungando una mano a cercare di recuperare il panino, - Mi piace, è commestibile, un po’ di gorgonzola non ha mai ucciso nessuno, ti spiacerebbe ridarmelo, adesso?
- Mi spiacerebbe moltissimo! – s’impuntò lui, la voce quasi stridula, - Tu non ti curi abbastanza! Non ti riguardi! Sei completamente sregolato e questi sono i risultati, e-
- E non intendo continuare ad ascoltare una paternale simile da te che sei notoriamente uno degli esseri umani più fuori di testa abbiano mai calcato questa terra, Dio mio, Matthew! – strillò Brian, spintonandolo lateralmente e dimostrando di non essere poi così esausto come Matt aveva creduto in principio, per poi dirigersi risoluto verso la camera da letto, fumando come una teiera prossima allo scoppio.
- Brian! – lo richiamò Matthew, afferrandolo per un polso e riportandoselo vicino, notandolo molto più arrendevole di quanto non fosse in genere, e quindi dicendosi che okay, probabilmente era stanco davvero. – Bri… - ripeté più dolcemente, appoggiando la fronte contro la sua e spingendolo piano contro lo sportello chiuso del frigorifero, accarezzandogli lento la nuca, - Senti, mi dispiace. – sussurrò sulla sua pelle, cercando le sue labbra per un bacio lievissimo, appena accennato, - Ero solo preoccupato. Sei… voglio dire, le immagini hanno fatto il giro del mondo, sei collassato nel mezzo del palco. Ero fuori di me.
- Me ne sono accorto. – borbottò Brian, ricambiando con scarsa convinzione i suoi baci, - Ma non sono mica morto. Mi vedi, no? Vivo e vegeto.
- Idiota. – rispose semplicemente Matthew, chinandosi di qualche centimetro e catturando più decisamente le sue labbra, spingendolo ancora contro il frigo.
- Matt...? – cercò di chiamarlo Brian, incerto, piegando il capo per accogliere le sue labbra mentre scivolavano lente lungo la curva bianchissima del suo collo, un po’ ruvida a causa della barba non rasata da qualche giorno, - Che…
- Mi sei mancato. – rispose sbrigativamente Matthew, avvolgendogli le braccia attorno alla vita ed introducendo le dita oltre l’orlo della maglia, a sfiorare la pelle morbida dei fianchi e della pancia, - Dio, Bri…
Brian rispose chiamandolo a propria volta in un sospiro sottilissimo, sollevando entrambe le braccia a cingerlo al collo e spingendosi in alto col bacino per strusciarsi lento contro di lui. Matthew arpionò con forza l’elastico dei pantaloni del suo pigiama, spingendoli verso il basso e sorridendo compiaciuto contro le sue labbra quando Brian, docile, sollevò una gamba e poi l’altra per agevolare i suoi movimenti.
- Sverrò. Sicuro. – sorrise anche Brian, quando Matthew lo sollevò contro lo sportello, spingendolo a serrare le cosce attorno ai suoi fianchi e reggendolo per un fianco mentre, con la mano libera, si disfaceva dell’impaccio della cintura e della zip dei jeans, - Sei un pessimo infermiere.
- E un ottimo amante. – rispose sicuro lui, mordendogli il labbro inferiore.
- E un pessimo modesto. – rise Brian, perdendosi nei tocchi brevi di Matthew lungo la sua spina dorsale, - Ma va bene così. – ammise, chiudendo gli occhi e schiudendo le labbra per offrirsi ad un altro bacio.
Matthew stava già spingendosi contro e dentro di lui con la solita forza, con la solita foga, meno di un minuto dopo. Perso fra la sensazione fredda e quasi fastidiosa del metallo del frigorifero contro le spalle e quella decisamente più calda e piacevole del corpo di Matthew schiacciato addosso davanti a sé, contro il petto, contro i fianchi, sotto la stretta saldissima delle sue gambe, Brian si inarcò e gemette il suo nome più volte, in ogni carezza e in ogni bacio a fior di labbra, sussurrandogli il proprio piacere sulla lingua quando, venendo dentro di lui e stringendolo con forza fra le dita per portarlo a sua volta all’orgasmo, Matthew si sporse verso di lui reclamando l’ennesimo bacio umido e profondo, fra un morso e l’altro.
Ringraziò che Matthew avesse abbastanza forza nelle gambe da continuare a sorreggere lui e se stesso, perché se fosse rimasto in piedi sarebbe sicuramente crollato per terra, e il suo collasso non sarebbe stato poi molto diverso da quello che aveva tanto spaventato Matthew in video. Lentamente, gli lasciò scorrere le dita fra i capelli arruffati, ravviandoli sulla fronte e sulla nuca ed osservando come, madidi di sudore, si appiccicassero alla sua pelle chiara e un po’ arrossata dalla fatica e dalle sue carezze.
- Ora però mi riporti a letto. – gli mugolò in un orecchio, col tono lamentoso di una principessa insoddisfatta. Matthew roteò gli occhi, sbuffando annoiato contro la sua spalla.
- Viziato. – lo rimproverò, stringendolo con forza fra le braccia e cercando di camminare in modo da non dover perdere i pantaloni per strada, mentre lo riconduceva in camera, - Quanto hai detto che durerà ancora la vacanza?
- Quarantuno giorni, - rifletté Brian, risistemandosi mollemente fra coperte e cuscini, - e dieci ore, più o meno. – completò con una risatina. – Resti?
Matthew scrollò le spalle, stendendosi al suo fianco sul materasso ed allungandosi a recuperare il telecomando perso fra i cuscini, per accendere il televisore.
- Qualcuno dovrà pure impedirti di mettere in bocca altre schifezze.
Brian rise, senza cogliere l’opportunità per la battuta cattivissima che s’era appena formulata nella sua mente. Poi, l’aria della stanza si riempì delle risate preregistrate di una vecchia commedia inglese che Matthew sembrava adorare alla follia, e presto anche la stanchezza tornò a farsi sentire, solo che, fra le risatine idiote di Matt e quelle altrettanto idiote del pubblico della commedia, sembrava molto più facile da affrontare.
Genere: Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: PG-13.
AVVISI: Boy's Love, Drug.
- Indietro fino al 1998. Fino al ventiquattro ottobre di quell'anno. Ad un concerto alla Brixton Academy che cambierà per sempre la vita di Matthew. Per raccontare la storia quasi vera di un plettro apparso nel posto sbagliato in un momento in cui nessuno se lo sarebbe aspettato.
Commento dell'autrice: Okay, io in realtà volevo scrivere una storia PG che, oltre a parlare del plettro, ovviamente, parlasse di letti. E questo perché la gen!week su Fanfic_Italia richiedeva esattamente una cosa del genere. Io, giuro! XD, sono partita con quelle intenzioni. Però, non ho capito perché, all’improvviso la fic s’è ribellata XD Matthew ha cominciato ad indulgere nell’uso di droghe allucinogene neanche tanto leggere e Brian ha deciso di diventare una zoccola XD Quindi, insomma, mi so no ritrovata con una PG-13 che in realtà si salva dall’R solo perché sul finale Brian ritrova la decenza perduta.
Credit doverosi: la trama di questa storia non è mia ma di Nai XD Che l’ha tirata fuori dal cappello quando le ho detto che io non avevo nulla su cui basare la storia. Cioè, veramente, me l’ha raccontata in due minuti contati. Poi io ho aggiunto il Mollamy, e da lì è nato questo.
Che, sinceramente, mi piace un casino XD *immodestia rulez*
Spero sia così anche per voi <3
PS: Ah, Andy è mio °_° L’ho inventato secoli fa XD Però in realtà Matt ci ha convissuto davvero con uno spacciatore, proprio nel periodo che racconta questa storia. Io ho inventato solo nome e caratterizzazione ^^
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THE WIZARD
the almost true story of a necklace pick

A voler trovare la cosa più importante gli fosse accaduta nel corso dell’anno in assoluto più pieno e scombinato della sua intera esistenza – un 1998 che era suonato come una fuga, una rivoluzione ed un ritorno alle origini tutto insieme – probabilmente avrebbe indicato il concerto alla Brixton Academy dei Placebo, in un ventiquattro ottobre da brivido per quanto era freddo e piovoso e deprimente.
Non tanto per l’aria che aveva respirato – quella dell’eccitazione simultanea di migliaia di persone chiuse dentro la forma tondeggiante del teatro – e forse, a dire la verità, neanche per Brian.
Ma perché quella era stata l’occasione in cui aveva deciso – deciso davvero – che quella lì sarebbe stata la sua vita. Su un palco. A sgolarsi. E basta.
Fino a quel momento – fino a quando ancora stava a Teignmouth – la musica era stata un pretesto. Un pretesto per urlare. Un pretesto per esprimersi. Un pretesto per sopraffare gli altri. Un pretesto per farsi amare. Un pretesto per un complimento. Per i baci delle ragazze nel cortile dietro la scuola. Per le carezze distratte della mamma e per l’incoraggiamento silenzioso di Paul. Un pretesto per ripensare a suo padre e sentirsi superiore. Un pretesto per quattro risate in compagnia ed un pretesto per assaggiare in punta di lingua la sensazione fisica dell’intreccio delle note in armonia nell’aria spessa ed umida del garage di casa di Chris.
La musica era il pretesto.
L’obiettivo era la fuga.
In quell’istante – trasferito a Londra da un paio di mesi e con un mondo nuovo in perenne movimento davanti agli occhi – lo era ancora. La musica era ancora il pretesto. Ma visto che non era più tanto chiaro quale fosse l’obiettivo, lui cercava di non pensarci.
Viveva in un trilocale squallidissimo proprio sopra a un sexy shop. Andy, il coinquilino di fortuna che aveva accettato di prenderselo in casa dall’oggi al domani, spacciava roba pesante pure per lui che in genere con le droghe pesanti, a livello ideologico, andava perfino d’accordo. Londra era stupenda, ma enorme e spaventosa. Dom viveva in centro con una zia di famiglia. Chris faceva la spola da Teignmouth alla City ogni giorno, viveva da pendolare perché al solo pensiero di allontanarsi da Kelly stava fisicamente male. Tom, neanche a dirlo, si lamentava già abbastanza della loro presenza quando era costretto a lavorare con loro, figurarsi tirarseli appresso anche in altri momenti.
L’obiettivo non si capiva più quale fosse, ecco.
Perché il risultato, alla fine della giornata, dopo ore sfiancanti in sala di registrazione e pomeriggi buttati nella noia ed in un’insana e immotivata nostalgia di casa, era una casa squallida ed un letto vuoto.
E Matthew Bellamy solo e sperduto fra le lenzuola.
*
Il ventiquattro ottobre, nella girandola di luci suoni colori ed odori che gli era vorticata attorno dentro la Brixton Academy mentre Brian Molko – in bianco immacolato sul palco – cantava piano e con aria affranta senza di te non sono niente, era cambiato tutto.
I Placebo gli piacevano perché la loro musica – confusa, insistente, il carillon di una novella morbosa e decadente che attutiva i suoi sensi, disinnescandoli uno per uno – parlava direttamente ad una parte di sé nascosta in profondità dietro la facciata da ragazzino entusiasta che si trascinava stancamente dietro in quei mesi. Era la sua parte più debole: la voce di Brian la spogliava da ogni difesa e la riportava alla luce con una semplicità quasi urtante.
Matthew, arreso alla cantilena sensuale delle sue labbra, lo lasciava fare senza sensi di colpa. Beveva ogni sillaba di quelle poesie sghembe e trascinanti, fino a perdercisi dentro.
I Placebo gli piacevano.
Davvero.
Erano un po’ il suo negativo – perché se c’era qualcosa, una sola cosa, che poteva dire per certo, era che mai nella sua vita avrebbe realizzato musica simile – ma lo completavano. Erano lui in modi tutti misteriosi.
I Placebo gli piacevano.
Qualche volta, alla sera, nel letto, non era neanche tanto solo.
*
Il ventiquattro ottobre, comunque, non lo era affatto. Non era solo. Non lo era a livello teorico e non lo era a livello fisico e non lo era neanche a livello emotivo, perché, appunto, c’era Brian. C’era Brian sul palco, vestito di bianco come un angelo del paradiso, che cantava l’amore finito di You Don’t Care About Us con un’espressione talmente altera e disgustata da farti sentire in colpa. Era la stessa persona che inarcava le sopracciglia, abbracciava la chitarra e si scioglieva nell’urlo straziante di un amore in dirittura d’arrivo su Ask For Answers. Ed era ancora lo stesso che sembrava fissarti con rabbia e gettarti addosso la furia vindice di una canzone che non aveva bisogno di avere un testo sensato per darti i brividi, perché Every You Every Me era perfettamente riassunta dalla consistenza del suo titolo: era la cosa più vaga del mondo ed era anche la più precisa; diretta a te. Da me. Dal centro del mio cuore al centro del tuo.
Il ventiquattro ottobre 1998, Matthew non aveva solo Brian e la musica e quasi cinquemila persone, a fargli compagnia. Andy gli aveva dato qualcosa, prima di lasciarlo di fronte all’Academy. “Perfetto per i concerti”, gli aveva detto con un sorriso enigmatico.
Matthew gli aveva chiesto un aiuto. Un incentivo. Un po’ di coraggio.
“Vorrei provare a conoscerlo…”, aveva annunciato con aria affranta.
Parlava di Brian.
Andy l’aveva guardato senza mascherare neanche in parte lo stupore e un vago senso di fastidio.
Quello?”, gli aveva chiesto incredulo. Poi aveva sospirato e scosso il capo. “Ti servirà ben più di un’iniezione di coraggio, mio caro leone codardo”, l’aveva preso in giro, passandogli una bustina dal contenuto inequivocabile.
Matthew aveva buttato giù con un bicchiere d’acqua ed aveva pensato “Tanto vale”. Aveva sollevato lo sguardo, inumidendosi le labbra. “Come si chiama?”, aveva chiesto, indicando le due pillole colorate rimanenti nel pacchetto.
Andy aveva sorriso tranquillamente.
Speed”, aveva risposto, divertito. “Significa che devi darti una mossa”. E l’aveva spinto verso la porta.
Uscendo di casa, Matthew s’era ripromesso che no, quella notte nel letto non sarebbe stato solo proprio per niente. L’avrebbe raggiunto a qualsiasi costo. Gli avrebbe parlato a qualsiasi costo. L’avrebbe portato con sé. A qualsiasi costo.
Se io sono il leone codardo, tu devi proprio essere il mago di Oz, Brian.
*
Gli sarebbe piaciuto che le anfetamine continuassero ad avere effetto sulla sua mente almeno fino all’alba del venticinque ottobre, ma già alla fine del concerto sembrava tornato tutto sui soliti vecchi binari.
Perso in mezzo ad una folla incerta fra l’andarsene ed il restare per sempre, vagava confuso dal fronte del palco al centro della sala, cercando di trovare un varco per il backstage. E non sembravano essercene da nessuna parte. Peraltro, le due aree ad accesso ristretto ai lati del palco erano ancora piantonate da quattro individui alti e grossi almeno il doppio di lui. E per quanto Brian potesse essere un obiettivo allettante, morire per il mago di Oz sembrava davvero troppo. Per un leone codardo, superava ogni limite di razionalità.
Era ancora il ventiquattro ottobre, insomma. Il profumo dolciastro di Brian, misto all’aroma acre del suo sudore, si sollevava dall’asciugamano che era riuscito ad afferrare dopo l’encore e galleggiava nell’aria tutta attorno a lui. C’era ancora l’eco vagamente triste della sua voce a rimbombare nel teatro. O forse solo nelle sue orecchie.
Le bodyguard lanciarono un’ultima occhiata all’auditorium ormai semivuoto e poi si allontanarono con discrezione, quasi percepissero la propria stessa presenza come un disturbo.
Era il momento.
Matthew si avvicinò ad una rientranza alla sinistra del palco ed imboccò un corridoio stretto e nerissimo – tutte le luci erano già spente, come se, una volta passati i Placebo, non ci fosse più bisogno di illuminare alcunché – e quasi claustrofobico. Il corridoio si biforcò presto in due corridoietti perfino più angusti. Uno dei due si perdeva nel buio. L’altro, invece, terminava con luci e risate festose. Lo percorse velocemente, affacciandosi pochi secondi dopo su una stanzetta privata che ospitava, oltre ai Placebo, un ristretto numero di fan – probabilmente del fan club ufficiale – ed i tecnici di scena.
Brian rideva serenamente mordicchiandosi l’unghia di un pollice, e tratteneva in bilico fra le dita una sigaretta ed un bicchiere di birra.
Matthew deglutì.
E s’infilò nella mischia.
*
Non avrebbe più dimenticato quel ventiquattro ottobre, anche perché dimenticare l’occhiata con cui l’aveva omaggiato Brian una volta identificatolo come membro esterno a quella che, in fin dei conti, era una ristrettissima cerchia di amici e conoscenti, non era certo di quelle occhiate che ti passano addosso in un soffio e finiscono nel dimenticatoio già il minuto successivo.
Tutt’altro.
Brian l’aveva squadrato con aria critica per una quantità indefinita di minuti, restando sulla difensiva – circondato, cioè, da Stefan, Steve ed un ragazzo che il cartellino sulla maglietta battezzava Levi – ed indicandolo di tanto in tanto ai propri compagni di band con sfacciati cenni del capo.
Mortalmente imbarazzato – e totalmente dimentico del fatto che il leone codardo il coraggio ce l’aveva già, doveva solo ripescarlo nella parte più profonda del suo cuore – Matthew era rimasto immobile, attaccato alla parete, le mani strette con forza attorno all’asciugamano e lo sguardo basso e colpevole di chi sa di aver fatto una cazzata ma si sente troppo in difetto pure per cercare di porvi rimedio.
Brian s’era avvicinato con naturalezza pochi minuti dopo. Matthew non aveva avuto bisogno di alzare lo sguardo per capire che si trattava di lui: il profumo non mentiva.
- Mi sa che hai qualcosa di mio. – aveva detto la sua voce un po’ nasale, venata di un’ironia più divertita che realmente infastidita.
Solo allora s’era azzardato a ricambiare quegli occhi.
- …questo? – aveva chiesto, sollevando l’asciugamano con una mano ed indicandolo con l’altra, - Lo rivuoi?
Brian aveva riso ad alta voce, e sembrava pure un po’ compiaciuto.
Era bello da morire.
I capelli pettinati all’indietro erano ancora talmente bagnati che sembrava fosse appena uscito dalla doccia. Il trucco disfatto portava i segni del concerto appena terminato. Soffriva la fatica di quel movimento nello stesso modo in cui avrebbe sofferto quella di un amplesso.
- No, tienilo pure. Te lo sei guadagnato. Ci vuole coraggio ad imbucarsi nel backstage.
Eccolo qui, il leone coraggioso. Il mago di Oz ce l’ha fatta ad accontentarlo.
- Io non volevo disturbare… - aveva preso a parlare come in trance, senza neanche accorgersene, - speravo che potessi farmi un autografo, ecco. I Placebo mi piacciono tantissimo, e tu sei… Dio, fantastico! Tra l’altro sai che anch’io suono la chitarra? Sono ancora un po’ inesperto, nel senso, non è che abbia mai davvero imparato a farlo, però ci provo, ecco, e-
- Mio Dio, ragazzino! - aveva riso ancora Brian, agitandogli comicamente le braccia davanti al viso, - Frena un po’, eh? Te lo faccio, l’autografo. – aveva sorriso conciliante, tendendo le mani verso di lui, - Hai una penna?
Il silenzio imbarazzato e imbarazzante che seguì la sua domanda venne accolto con un risolino un po’ intenerito e un po’ sinceramente divertito da parte dell’intera stanza, che osservava la scena con la stessa curiosità con la quale si sarebbe approcciata ad una rappresentazione teatrale.
Brian rise con tutti gli altri, scuotendo il capo.
- Farai a meno dell’autografo. – commentò, stringendosi nelle spalle.
Matthew non riuscì a trattenere una smorfia delusa, e Brian rise ancora.
- Oddio, se fai così non posso certo lasciarti andare a mani vuote. – aggiunse, cominciando a rovistare freneticamente nelle tasche dei jeans immacolati che indossava. – Ecco! – esultò, quando ebbe trovato ciò che cercava, - Tieni questo. Ti sarà sicuramente più utile di un asciugamano sporco con un nome scarabocchiato sopra.
Fra le dita dalle unghia laccate di nero ormai rovinato, c’era un plettro, nero anch’esso.
Matthew tese la mano e lo afferrò.
Fuori dall’Academy, Andy lo aspettava in macchina. Lo riaccompagnò a casa, si assicurò che raggiungesse sano e salvo l’appartamento al primo piano e poi uscì per il solito giro di consegne notturne del finesettimana.
Matthew piombò sul materasso senza neanche spogliarsi, esausto e disfatto per com’era. In qualche modo, col plettro sul cuscino e la voce di Brian ancora nelle orecchie, il letto sembrava meno vuoto che mai.
*
Il quindici luglio del 2008 non sembrava avere niente di neanche vagamente simile a quello sconvolgente ventiquattro ottobre. Le date erano diverse, i mesi erano diversi, era diverso il clima – perché Città del Messico grazie a Dio non è Londra – a separare quei due giorni c’erano ben dieci anni e, peraltro, non era nemmeno sabato.
Qualcosa ad accomunare il passato ed il presente, però, c’era.
Era lo sguardo di Brian. Brillante dello stesso stupore vagamente divertito di dieci anni prima. Anche se la situazione in sé era completamente differente: alla Brixton Academy s’era intrufolato come un ladro; in quel vecchio pub di periferia, invece, non c’erano segreti: solo la coincidenza di un incontro fortuito che dimostrava chiaramente quanto ironica e stronza potesse essere la vita, quando ci si metteva d’impegno.
Brian e Matthew non si vedevano dal 2004. Da un EMA troppo amaro per ricordarlo con piacere. L’EMA dei sorrisi affettati e dei ringraziamenti al veleno. L’EMA degli abbracci come tenaglie e delle occhiatacce truci nel backstage. Un EMA che nessuno voleva: perché Brian di certo non voleva consegnarlo e Matthew non è che ci tenesse poi così tanto, a riceverlo. Un EMA che comunque era arrivato e non aveva fatto altro che spargere sale su una ferita mai cauterizzata.
Non è bello ridurre a brandelli il più bel ricordo che hai.
Non è bello superare il tuo idolo e costringerlo a premiarti.
Non è bello per lui che viene superato e non è bello per te che perdi tutti i tuoi punti di riferimento.

Quello del 2004 era stato un EMA che non era andato davvero giù a nessuno. Era nell’aria fin dall’uscita di Absolution. Era rimasto sospeso come particelle di gas venefico. S’era intrufolato nei loro polmoni e li aveva avvelenati tutti, tant’è che Brian aveva subito preso a parlar male dei Muse – probabilmente perché già subodorava cosa gli sarebbe toccato fare qualche mese dopo.
Matthew aveva cercato di mettere qualche pezza qua e là, sganciando attestati di stima che facevano ridere i giornalisti – gli stessi che poi raccoglievano la merda quando intervistavano quell’altro – ed irritavano a morte Tom, che proprio non riusciva a capire come si potesse tollerare tanto disonore. Rassicurazioni di facciata: dichiarava candidamente di essere in ottimi rapporti con Brian, mentre lui continuava a ripetere di considerare i Muse come una specie di piaga infetta in seno all’alternative rock inglese.
Praticamente un disastro.
Gli EMA non erano serviti a chiarirsi. La tensione a Roma era stata tanta da impedirgli perfino di scambiare quattro chiacchiere. Tra loro sembrava scorrere elettricità pura. Niente di particolarmente rassicurante. Abbastanza spaventoso, anzi, da costringere Tom a prendere delle contromisure adeguate – placcandolo appena sceso dal palco per portarlo il più lontano possibile dal posto di Molko, anche se l’organizzazione era stata tanto gentile da sistemarli praticamente a due tavoli di distanza l’uno dall’altro.
Da quel giorno in poi, s’erano evitati. Per il Reading nel 2006 avevano scelto due giornate diverse. Perfino quando sembrava inevitabile dovessero proprio incontrarsi – come al Live8, per esempio – erano riusciti a sistemare voli ed orari per non doversi sfiorare neanche casualmente.
Il piano era riuscito talmente bene che, per tutti gli ultimi quattro anni, Matthew aveva saputo qualcosa dei Placebo solo grazie ad MTV ed al sito ufficiale.
Quel quindici luglio, comunque, dei suoi trascorsi da fan non sembrava interessare molto agli occhi glaciali di Brian che lo squadravano ironici dall’altro capo del bancone.
Sollevò una mano distratta, accennando un saluto col mento.
Brian sorrise.
Matthew sospirò e si alzò in piedi, raggiungendolo.
- Be’? – chiese, dimenticando completamente che la prima volta che l’aveva avuto così vicino aveva faticato perfino a respirare, - Che diavolo ci fai in Messico?
Brian si rigirò un po’ il boccale fra le mani, sorridendo enigmatico mentre ponderava la possibilità di rispondere o di lasciarlo lì a marcire nell’imbarazzo di un approccio fallito. Poi si strinse semplicemente nelle spalle e mandò giù un sorso di birra.
- Ho accompagnato Stef. – lo informò, - È qui a fare promozione con gli Hotel Persona.
- Ma guarda. – ghignò sardonico lui, incrociando le braccia sul petto, - Mi era sembrato di capire l’avessi già richiamato all’ordine. La questione dei tempi del tour inconciliabili con quelli di registrazione del nuovo album…?
Brian aggrottò istantaneamente le sopracciglia, posando il boccale sul bancone con un tonfo secco.
- Sono slittati. – rispose brutalmente, senza degnarlo di un’altra occhiata.
Matthew chinò il capo, improvvisamente indisposto dalla sua freddezza.
- …e lui dov’è? – si azzardò a chiedere timoroso.
- In albergo.
- E come mai non sei con lui?
- Perché quando uno sta col proprio ragazzo nella propria camera non ha bisogno di un amico rompipalle a girargli intorno. Ed ora l’interrogatorio è finito o no?
Matthew si morse un labbro e guardò altrove.
- Non sapevo che Stefan stesse con qualcuno.
- Sì, be’, - scrollò le spalle Brian, - lui non mente mai. Quando dice che gli piacciono gli uomini latini, è perché ha già un uomo latino che gli piace per le mani.
Matt ridacchiò a bassa voce, scuotendo il capo.
- Ho un’altra domanda. – sussurrò poi, infilando una mano in tasca.
- Una sola, Bellamy. – rispose Brian con un sospiro, - E se mi chiedi se sto con qualcuno al momento, giuro che ti prendo a pugni.
- Figurati. Che sei impegnato lo so. Non ho creduto alle voci che ti davano in rotta con Helena.
- Che bravo bambino sei. – rise amaramente Brian, mandando giù un altro sorso di birra, - Forse invece avresti dovuto.
- …Brian-
- Questa domanda?
Matt s’inumidì le labbra e tirò fuori dalla tasca il ricordo più importante della sua vita. Sembrava incredibile che fosse racchiuso in un triangolino di plastica nera.
- …l’hai fatto bucare… - commentò Brian, fissando il plettro con un’aria a metà fra lo stupito ed il commosso.
Devi aver bevuto tanto, eh?
Sarai mica anche tu un leone codardo in cerca del suo mago personale?

- Volevo metterlo alla collana, come un ciondolo. – spiegò annuendo e rigirandoselo fra le dita, - Però non sapevo come l’avrebbe presa Gaia, e sinceramente non avevo voglia di stare lì a sottostare all’interrogatorio del secolo per…
- …per?
- …per niente.
Brian annuì, evitando i suoi occhi.
- Giusto. – commentò, quasi compiaciuto. – La domanda qual era?
Matthew sorrise e posò il plettro sul bancone, fra loro.
- Perché? – chiese quindi, cercando e trovando i suoi occhi e perdendocisi contro la propria volontà.
- Perché? Un po’ vaga, come domanda. – lo prese in giro Brian, ghignando cattivo.
- Perché odi i Muse. Perché odi me. Perché hai detto di voler bruciare i nostri CD?
Brian rise e si lasciò andare con la schiena contro la spalliera della sedia, gettando indietro il capo.
- Come sei infantile, Bellamy. – rispose, asciugando una lacrima di ilarità pura dall’angolo di un occhio, - Non ti sei proprio mosso da quando ci siamo incontrati per la prima volta, eh?
Matthew si strinse nelle spalle, abbassando imbarazzato lo sguardo e ritirando il plettro facendolo scivolare sul ripiano in legno.
- Forse. – concesse in un borbottio vagamente offeso.
Brian sorrise con un cenno di tenerezza che lui non poté proprio ignorare.
- Mettilo alla catenina. – disse poi, sporgendosi a sfiorarlo con due dita, - Ho il biglietto per domani all’Arena Monterrey, sai?
Matthew sollevò lo sguardo e lo trovò già in piedi. Spaventato dalla possibilità di poterlo perdere senza – senza cosa? Forse era meglio non pensarci – si alzò a propria volta con uno scatto quasi isterico.
Brian rise. E Matthew rise con lui.
Poi cercò di guardarlo senza arrossire come un deficiente e gli chiese un passaggio in hotel. Sperando che, almeno per quella sera, il suo letto potesse sembrare pieno per un motivo valido.
*
Il sedici luglio 2008 era cominciato da un’ora scarsa, quando le sue labbra erano riuscite finalmente ad assaggiare il sapore che inseguivano da più di dieci anni. Il tourbus sarebbe partito per le otto ed il soundcheck a Monterrey cominciava alle quattro. Avrebbe dovuto preoccuparsi di riposare per bene, visto che quella era la prima data dopo la pausa ed avrebbe anche dovuto tirare fuori dal cappello qualche riarrangiamento convincente per Space Dementia e Dead Star, ma non avrebbe potuto interessarsene di meno.
Il sapore di Brian era identico a come l’aveva sempre immaginato. Salato e prepotente. Da invasione. Un profumo da combattimento. Di quelli che mettono subito in chiaro chi è che comanda.
A lui piaceva. Quel profumo, come la musica dei Placebo, parlava ad una parte nascosta di lui. La parte che nel farsi condurre, nel farsi dominare, nel farsi trascinare in un abisso di sensualità, godeva profondamente. Una parte che tendeva a dimenticare, perché la routine della rockstar non è poi tanto diversa dalla routine delle vacanze passate a pescare sotto casa, ed è una routine che uccide la voglia di provare qualcosa di nuovo. Uccide la voglia di metterti consapevolmente nelle mani di uno sconosciuto dalla voce assassina. Un uomo che un tempo credevi di conoscere e che ti rendi conto di non aver mai conosciuto per niente.
Quando si separarono l’uno dall’altro, avevano il fiatone. La fronte di Brian scottava contro la sua ed il suo respiro s’infrangeva contro le sue labbra in sbuffi ansiosi e sconnessi.
- Okay, basta così. – lo sentì sussurrare, rimettendosi in piedi.
Ancora confuso, rimase disteso sul letto a fissarlo dal basso. Nella stessa posizione di svantaggio nella quale era rimasto per tutto il tempo.
- Tu sei fidanzato, Bellamy. E non è vero che io ed Helena ci siamo lasciati. Non credere mai nel gossip, ti prende in giro.
- Né più né meno di quanto abbia fatto tu fino ad ora. – scoccò infastidito, portando una mano a risistemare per quanto possibile i capelli scarmigliati.
Brian rise sommessamente.
- Esatto. – aggiunse con un pizzico di crudeltà. – Il plettro mettilo davvero, però. – lo avvertì prima di uscire dalla stanza, - Dicevo sul serio, riguardo al biglietto per domani.
Non fa alcuna differenza.
Forse Andy si sbagliava. Non sono il leone codardo: sono lo spaventapasseri senza cervello.
E da questo non mi possono salvare neanche le anfetamine.

Rimase immobile ad osservare il soffitto per un sacco di tempo, finché le palpebre non diventarono troppo pesanti e la testa cominciò a ciondolare pericolosamente da un lato all’altro del materasso. Poi si tirò su, si sistemò fra le coperte e, senza neanche finire di spogliarsi, allargò gambe e braccia e poggiò il capo sul cuscino.
In fondo, per riempire un letto, una persona era più che sufficiente.
Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: BrianxMatt, accenni lievissimi di DomxMatt.
Rating: PG-13.
AVVISI: Boy's Love.
- I trent'anni sono un traguardo importante nella vita di un uomo. Brian Molko ne è perfettamente consapevole, ed è per questo che per il compleanno di Matthew vorrebbe organizzare qualcosa di molto speciale...
Commento dell'autrice: Buon compleanno, Matt ;O;!!! *si riprende* In realtà, questi trent’anni il nostro amato frontman li ha fatti *calcola* tipo una settimana fa *piange* Ma sono riuscita a concluderla solo oggi >.< Scusami, Matty, non volevo, è stata colpa del porno Kaulitzest çOç!
Comunque. Non fosse stato per il forum di MuseLive.com, questa roba non avrebbe visto mai la luce. Nel senso che, nel topic degli auguri a Matt, a un certo punto uno ha postato l’immagine di una tortina verde con alieno & navicella spaziale XD ed io non ho proprio potuto fare a meno di cogliere la palla al balzo e… creare questo, ecco XD
Che poi, non ho senso: una fic per fare gli auguri a Matthew, e il protagonista è Brian. Ma si può? Ho ragione quando dico che in realtà il mio gruppo preferito sono i Placebo, è solo che non l’ha ancora capito nessuno – me stessa compresa.
Ovviamente – precisazioni inutili – il Goldsmith College è la scuola d’arti drammatiche che ha frequentato Brian a Londra. (Peraltro, lolliamo insieme: il sito cita fra gli allievi famosi chiunque tranne lui, povero tato!). Ed Andy, come al solito, esiste – perché è vera la convivenza con uno spacciatore nei nel primo anno londinese di diciottenne!Matt – ma non si chiama veramente Andy. È solo che nella prima fic in cui l’ho usato l’ho chiamato in questo modo, ed io, be’, sono una donnina fedele XD
Nient’altro da dire è.é Vedete che il Mollamy non l’abbandono mai? Non preoccupatevi <3 Spero che abbiate gradito la storia! :*
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ALIEN-SHAPED CAKE

Per trovare una spiegazione razionale alla propria coesistenza con Brian Molko nella cucina in finto marmo di quell’anonimo appartamentino londinese, Chris dovette andare indietro con la memoria di molti giorni.
Dovette risalire, precisamente, ad una settimana prima.
Anche quel giorno si trovava con Brian, ma non era solo – con loro c’era anche Dom – e stava in un altro luogo – il proprio ordinatissimo salotto.
- È che vorrei organizzare una bella festa. – aveva mugolato in quell’occasione proprio Brian, arrotolato come gli si confaceva su una poltrona scamosciata bianco panna che, lo sapeva, Kelly avrebbe vendicato con la furia di un mohicano, - I trent’anni sono importanti.
- E tu lo sai bene, - aveva sibilato stizzito Dom, che, probabilmente, avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto ed impegnato in qualsiasi altra faccenda, piuttosto che in quel salotto a parlare col fidanzato del proprio migliore amico del quale era inspiegabilmente e ferocemente geloso, - visto che li hai già passati da un pezzo.
- Ma che dici?! – aveva ribattuto Brian, saltando sulla poltrona come l’avessero punto con uno spillo e piantando con forza i tacchi squadrati degli stivaletti nella morbida imbottitura lanuginosa, - Lo sanno tutti che devo compierli l’anno prossimo!
- Seh. – aveva sospirato il batterista, roteando gli occhi, - È da cinque anni che devi compierli l’anno prossimo.
Brian non aveva raccolto la provocazione ed era tornato a rivolgere l’attenzione solo a Chris, come faceva sempre quando si sentiva incompreso. Chris aveva sospirato e l’aveva accontentato con un sorriso partecipe e curioso. Ormai le dinamiche di quel destrutturato gruppo che erano diventati da quando i Placebo erano entrati nelle loro vite erano così precise ed ovvie che riusciva a trovarle perfino noiose.
Lo sarebbero state, probabilmente, se non fossero state anche piuttosto rassicuranti.
- Insomma, una cosa informale. – aveva continuato Brian, annuendo, - Non voglio mica affittare Buckingham Palace e chiedere alla vecchia di presenziare e farlo cavaliere. Però mi serve il vostro aiuto…
Dom aveva incrociato le braccia sul petto ed aveva sbuffato come un bambino di tre anni, mentre Brian spiegava il proprio piano malefico nell’approvazione di Chris, che continuava – per proprio conto – ad annuire compitamente, prendendo nota.
In seguito a questi eventi, Brian aveva saggiamente pensato che fosse più utile tenere al proprio fianco l’uomo che lo sopportava, rispetto a quello che non lo tollerava.
Perciò, in definitiva, a Dom era toccato tenere fuori Matthew per tutto il pomeriggio adibito alla preparazione del party – con suo sommo gaudio – ed a lui, invece…
…a lui era toccato tenere compagnia a Brian mentre, in quella preparazione, finiva immerso fino al collo.
E non immaginava neanche in che guaio si fosse cacciato.
- Non trovi anche tu che sia bellissima? – stava appunto pigolando il frontman dei Placebo, quando Chris riuscì a distaccarsi dal tunnel dei propri ricordi abbastanza da dargli ascolto.
Le mani giunte sotto il mento ed uno sguardo brillante d’amore sul volto, Brian fissava ammirato un’enorme torta multistrato ricoperta letteralmente da cima a fondo di lucida glassa verde.
Chris dubitava perfino fosse commestibile.
- È… - si sforzò di rispondere, cercando furiosamente le parole per rendere il commento in modo che non suonasse drammaticamente offensivo come… be’, come in effetti era. - …particolare. – concluse quindi, annuendo soddisfatto per la propria prontezza di spirito.
Brian gli lanciò un’occhiata dubbiosa, e Chris deglutì, terrorizzato.
Accidenti.
- Particolare? – chiese ansioso il frontman, voltandosi a guardarlo ed assediandolo fisicamente, facendoglisi vicino e minaccioso in maniera quasi intollerabile, - Cosa intendi per particolare? Stai cercando di dire che è brutta? Che non ti piace? Che non piacerà a Matt?
- N-No… - ansimò Chris, tirandosi indietro. Avrebbe dovuto essere più cauto. Mai mentire ad una donna. - Particolare vuol dire particolare… - arrangiò celermente, - Nel senso, non è comune vedere una torta ricoperta di glassa verde, ecco, è… una scelta coraggiosa!
Brian sembrò soddisfatto dalla spiegazione. Si tirò indietro con un sorriso radioso e tornò ad affaccendarsi intorno alla torta, per procedere all’operazione successiva: distribuire palline di zucchero argentato sui bordi come si fosse trattato di luci direzionali su una pista d’atterraggio.
- Brian… - riprese il bassista, chinandosi ad osservare l’intricato disegno delle palline, - C’è un piano, dietro tutto questo?
Lui lo sferzò con un’altra occhiata poco convinta.
- Stai di nuovo cercando di dire che non ti piace?
- Ma no, assolutamente! – si affrettò a negare, - È ancora una scelta molto coraggiosa, ma… ecco, mi piacerebbe comprenderne i dettagli.
Brian sospirò come non riuscisse proprio a concepire la sua ottusità.
- È ovvio che tu non capisca. – spiegò pazientemente, - Non hai ancora visto la ciliegina.
Chris inarcò le sopracciglia, dubbioso.
- Non so se il color ciliegia starà bene con questa tonalità di verde… e va bene che Dom dice che qualsiasi cosa, vista dalla giusta angolazione, può sembrare fucsia, ma anche in quel caso non so se-
- Parlavo di una ciliegina metaforica. – sospirò ancora Brian, arricciando le labbra in una smorfia di profonda delusione, - Sto aspettando che Stef me la porti.
A questo punto, c’è solo da preoccuparsi, pensò distrattamente Chris, mentre osservava Brian ritoccare la traiettoria delle palline con scrupolosità perfino eccessiva.
Fortunatamente, l’attesa non durò troppo a lungo, perché pochi minuti dopo il particolarissimo campanello che imitava il muggito di una mucca nonché il tintinnio del suo campanaccio – che Matt aveva preteso di installare in un pomeriggio di folle passione per il fai-da-te – annunciò ai due l’arrivo di qualcuno, e quel qualcuno era appunto Stef. Stef che stringeva fra le mani una scatola bianca di medie dimensioni, ed aveva sul viso un’espressione abbattuta, confusa e stanca che Chris non faticò a riconoscere come un riflesso perfetto della propria.
- Brian, non chiedermelo mai più! – furono le prime parole dello svedese quando si fece strada all’interno dell’appartamento, dopo aver salutato Chris con un mugolio di sofferenza repressa, - Sono serio, la prossima volta ti uccido.
Chris lo osservò entrare, sinceramente perplesso, e poi gli si avvicinò per liberarlo dall’ingombro del pacco mentre sfilava la giacca e la posava su una poltrona.
- L’hai trovato? – fu l’unica, cinguettante risposta di Brian, mentre irrompeva in salotto portandosi dietro il profumo dello zucchero e della crema al cioccolato con la quale aveva farcito la torta.
- Trovato? Non direi. – rispose l’uomo, piantandosi di fronte al compagno di band con le mani sui fianchi e le gambe semidivaricate, in una piccata espressione di rimprovero, - Le cose trovate si trovano, appunto, non ti costringono al suicidio mentale per guadagnartele. Diciamo che il modo più preciso di dirlo è “ho minacciato il commesso perché me lo facesse su misura e dal vivo”. Ecco, questo rende.
Brian agitò disinteressato una mano davanti al viso ed informò il proprio bassista che stava utilizzando troppe parole per poter essere davvero ascoltato.
- Perciò dimmi solo dov’è il pacco e facciamola finita.
Stefan sospirò ed indicò la scatola bianca ancora fra le braccia di Chris, prima di lasciarsi andare con evidente disperazione su un divano a caso, coprirsi gli occhi con un braccio e annunciare a gran voce di stare schiacciando un pisolino.
Brian non gli augurò neanche un buon riposo: si diresse – come sempre minacciosissimo – verso Chris e gli strappò il pacco di mano, poggiandolo sul tavolo e scoperchiandolo con velocità inaudita.
- Eccolo!!! – esultò poi, al colmo della felicità, - Oddio, è ancora più bello di quanto non sperassi!!!
Mentre Stef mugugnava un’imprecazione random dal divano, Chris si avvicinò curioso e sbirciò quasi timidamente all’interno dell’involucro, per sincerarsi del contenuto.
Di fronte a lui si stagliava una statuina di zucchero a forma di tipico alieno verde che stazionava immobile in piedi accanto ad un’altra statuina, a forma di navicella spaziale, bianca e rossa.
Il tutto era grande abbastanza per coprire interamente la grandezza dell’ultimo strato della torta che, con tanto amore, Brian aveva preparato per il suo Matt.
- …allora c’era questo, dietro. – constatò incredulo, la gola secca ed un incipiente mal di testa a farsi strada fra i neuroni.
- Sì! – annuì allegro Brian, - Adesso sbrigati, aiutami a portarlo di là, voglio che la torta sia pronta quando cominceranno ad arrivare gli invitati!
- …invitati? – si ritrovò a chiedere soprappensiero, mentre aiutava Brian a trasportare la scatola in cucina con la massima cura, - Che invitati, scusa? A parte Matt e Dom siamo tutti qui…
Brian lo sferzò con l’ennesima occhiataccia disapprovante della giornata. Probabilmente stava pure cominciando a pentirsi di averlo scelto come collaboratore onorario, chissà.
- Non essere ridicolo, Chris. Ho detto che sarebbe stata una festa informale, mica deprimente.
- …e questo significa…?
- Aaah, non preoccuparti! – borbottò, afferrando la navicella e posandola con cura in cima alla torre di pan di spagna glassato, - Pochi amici intimi. Alex, Tom, Steve, cose così.
Chris annuì dubbioso e si dedicò ad aiutare Brian nella complicata operazione di piazzare il piccolo alieno verde accanto alla navicella senza distruggere quanto faticosamente creato fino a quel momento, e fu proprio in quell’istante che la mucca muggì annunciando l’arrivo dei primi ospiti.
- Stef, tesoro, ti dispiace andare tu? – chiese Brian con tono falsamente dispiaciuto, - Qui siamo un po’ occupati…
Stefan, nell’altra stanza, grugnì qualcosa di indefinito ma si alzò comunque, andando ad aprire la porta e facendo gli onori di casa.
Impegnato com’era nel posizionamento dell’UFO zuccherino, Chris non riuscì a farsi una chiara idea di cosa stesse succedendo. Fu forzato a realizzare tutto, però, quando Stef li raggiunse in cucina e dichiarò candidamente che David era arrivato e si stava chiedendo dove fossero tutti.
A quel punto, Chris si ritrovò obbligato a sollevare lo sguardo e fissare Brian con aria smarrita.
- David chi? – chiese incerto.
Brian si strinse nelle spalle e ridacchiò debolmente.
- Oh… David Bowie. – rispose timido, - Non potevo certo lasciarlo fuori, su! – aggiunse poi, come fosse una giustificazione.
Chris spalancò la bocca e fece per chiedere qualcosa. Poi la richiuse e rifletté un altro paio di secondi. Ed infine decise che sì: per quanto la verità potesse fare paura, urgeva chiarirla.
- Brian, chi altri hai invitato con precisione?
Brian si mordicchiò un labbro e fece finta di pensarci su.
- Solo un paio di amici comuni. Micheal Stipe, Robert Smith, Gerard Way, Chester Bennington, Bono Vox…
L’elencò continuò per un altro paio di minuti. Ed alla fine, fu chiaro che, almeno per un particolare, Brian era sempre stato sincero: non aveva invitato la Regina. In compenso, però, era proprio l’unica che mancasse.
Quando i due riemersero dalla cucina – solo nel momento in cui la torta fu, a parere di Brian, del tutto perfetta – il salotto era pieno e Stefan s’era tramutato in una specie di maggiordomo borbottante acredine e risentimento.
- Ti ucciderò. Lo so che ti ucciderò. – andava mugugnando mentre continuava a rispondere al citofono ed aprire la porta ad intervalli regolari di tre secondi.
Perso in mezzo a quel delirio di volti conosciuti, sorridenti ed allegramente chiacchieranti, Chris si sentì, per la prima volta nella propria vita, così irrimediabilmente confuso da dimenticarsi perfino come si chiamasse, quali fossero le proprie origini e cosa stesse facendo in quel posto.
- Allora io andrei… - sussurrò poco convinto a Brian, mentre faceva per raggiungere la propria giacca sull’attaccapanni.
- Ma che stai dicendo?! – strillò lui, afferrandolo per la collottola e tirandoselo dietro, - Matthew sarà qui fra pochi minuti! Dove credi di andare?!
Ah, già… Matthew. I trent’anni. La festa, realizzò finalmente, a fatica, mentre la mucca muggiva per la trecentesima volta.
- Dev’essere lui! – gioì Brian, saltellando sul posto e trascinando in quella strana danza un povero Chris del tutto inerme, - Forza, nascondetevi!
Gli ospiti si guardarono l’un l’altro confusi ed un po’ incerti, ma ubbidirono. In pochi secondi, ogni anfratto del piccolo salotto di casa fu occupato ed utilizzato come tana dalla quale sbucare fuori al momento opportuno.
Quando il risultato fu soddisfacente, ed ogni lembo di tessuto ribelle fu rintuzzato negli angoli alla meno peggio, Brian ridacchiò e si diresse giulivo verso la porta.
- Tesoro, sei tornato! – mugolò felicemente, sollevandosi per baciare Matt in punta di labbra, - Andato bene lo shopping?
Matthew annuì distrattamente ed entrò in casa, guardandosi intorno con aria cupa mentre Brian “dimenticava accidentalmente” la presenza di Dominic e gli chiudeva la porta sul naso, guadagnandosi in cambio un appellativo poco lusinghiero.
- Come mai così triste…? – indagò quindi il moro, avvicinandosi titubante ed aiutando Matthew a liberarsi della leggera giacchetta di cotone che indossava.
- È che per tutto il pomeriggio Dom non ha fatto che ripetermi “compra questo, compra quello, è il tuo compleanno, te lo meriti”… - mugugnò l’inglese, stringendosi nelle spalle e distogliendo lo sguardo, - Solo che io non ce l’ho mica tutta questa voglia di festeggiare. Insomma, trent’anni sono così tanti
Brian fece un passo indietro, scioccato. Dom ristette sulla soglia e spalancò gli occhi, come chiedendosi se fosse proprio vero ciò che aveva appena sentito.
Da ogni singolo divano, poltrona ed anfratto nascosto della stanza, si alzò un riecheggiante quanto spaventoso “oh” di stupore e vaga disapprovazione.
- …che razza…? – biascicò Matt, guardandosi intorno spaesato, - Brian, che era quel rumore?!
Ma Brian non ascoltava. Testa bassa ed occhi ardenti di rabbia, fissava il proprio uomo come se la sua prima intenzione fosse caricarlo con una testata degna del più potente toro da corrida dell’intera Spagna.
- Perciò trent’anni sarebbero tanti, eh…? – bisbigliò crudelmente, stringendo i pugni.
- …Bri, cosa… - accennò Matt, turbato da quel repentino cambio d’umore, - Cosa ho detto di sbagliato…?
Brian sbuffò e si rimise dritto, intrecciando le braccia sul petto.
- Nulla. – rispose, gelido, - Figurati.
Poi si girò, raggiunse l’attaccapanni, recuperò un giubbino a caso – era di Matt, ma non sembrò saggio farglielo notare – afferrò un berretto ed un paio di occhiali da sole e si diresse a passo deciso verso l’uscita.
- Goditi la torta. – sibilò acido, prima di andare via.
Fu in quel momento che David Bowie trovò appropriato affacciare la testolina bionda da dietro un divano, sorridere timidamente e – dopo aver osservato Matthew scattare indietro e strillare neanche avesse voluto ucciderlo – sussurrare un imbarazzato “Be’, sorpresa!”, in seguito al quale i mobili presero vita e si misero a partorire persone come madri evangeliste, lasciando il povero inglese ingolfato nel panico più nero.
- Quell’essere incommentabile del tuo uomo, - trovò opportuno informarlo Dom, mentre tutto intorno fiorivano occhiatacce disapprovanti e sguardi diffidenti, - ti ha organizzato una festa di compleanno a sorpresa. Potevi almeno evitare di rovinargli tutto dandogli del vecchiaccio!
Matthew spalancò gli occhi e cercò confusamente la rassicurante figura di Chris in mezzo alla folla, come se Dom lo stesse attaccando con troppa violenza per potersi difendere e lui avesse bisogno di un cavaliere senza macchia e senza paura che potesse proteggerlo adeguatamente. Chris, in effetti, rispondeva in pieno alla descrizione.
- Io non gli ho detto che è un vecchiaccio! Ma che hai sentito?! – sbottò infatti alla volta del proprio batterista, quando Chris fu abbastanza vicino da potersi nascondere per metà dietro le sue spalle ampie e robuste.
- È come se l’avessi fatto. – scrollò le spalle lui, - Gli hai detto che trent’anni sono già troppi.
- Ma che cazzo, lui li deve ancora fare! Anzi, sono io che mi sento a disagio nei suoi confronti, per essere ben un anno più vecchio di lui! – rispose Matt, sempre più agitato, aggrappandosi alle spalle di Chris ed usandole a mo’ di trampolino per saltellare istericamente sul posto.
A quel punto, perfino Chris – generalmente bonario nei confronti di un frontman che sapeva essere, in fondo, innocentemente e tenacemente ingenuo – non poté fare a meno che unirsi allo sguardo colmo di allucinata incredulità di Dominic, e si mise a fissare Matthew oltre la sua spalla, con aria inquisitoria.
- Ma parli sul serio? – chiese a bassa voce, mentre, tutto attorno, gli invitati riprendevano la classica routine festaiola di chiacchiere e risate.
Matthew regalò anche a lui l’occhiata del cucciolo innocente, ed inclinò il capo – come a dare maggior valore alla propria incolpevole idiozia.
- Che intendete dire? – aggiunse, come se già il quadretto non fosse abbastanza deprimente.
- Intendiamo dire che il tuo uomo i trenta li ha passati da un bel pezzo! – sbraitò Dom, agitando un pugno bellicoso nella sua direzione, - E non posso credere di stare dicendo qualcosa in sua difesa, ma tu decisamente non te lo meriti, eccheccazzo! – concluse infuriato, prima di voltarsi indietro e cominciare a sbottare rabbia e insofferenza verso la cucina, trotterellando isterico come uno scoiattolo ingiustamente deprivato delle ghiande che con tanta fatica aveva raccolto per tutta l’estate.
- …Chris…? – chiamò debolmente Matthew, osservando il biondo allontanarsi e cominciando a temere seriamente per la propria vita.
Il bassista gli sorrise condiscendente e gli batté un’amichevole pacca sulla spalla.
- Nessuno te ne fa una colpa. – mentì, perché Matthew sapeva che tutti, dannazione, gliene stavano facendo una colpa, - È normale che tu non l’abbia capito, Brian non dimostra la sua età e, se può, mente pure in merito. – scrollò le spalle, simulando un’indifferenza che avrebbe dovuto tranquillizzarlo ed invece lo mandò ancor più in paranoia, - Però, insomma, Brian ha trentacinque anni. Ne fa trentasei a dicembre.
…e lui gli aveva detto che trent’anni erano già troppi.
Trent’anni! Troppi!!!
E viene fuori che lui ne ha trentacinque!!!

In apparente stato di morte cerebrale, Matthew fissò Chris, le lacrime agli occhi e il labbro tremulo.
- Dimmi che non è vero. – biascicò indecentemente, scrollando incredulo il capo.
Impietosito, Chris si strinse nelle spalle, e probabilmente provò anche a ritrattare tutto e far finta di niente, ma era un uomo troppo onesto per riuscirci in maniera convincente, perciò Matt lo fermò con un breve cenno del capo e fissò attentamente le punte delle proprie scarpe per un enorme periodo di tempo, come a cercare nei ghirigori dorati che impreziosivano la punta nera la risposta a tutti i drammi della sua esistenza.
Frattanto, Dom s’era affacciato dalla cucina reggendo la torta fra le braccia con aria frettolosa.
- Visto che c’è, vediamo se è commestibile. – annunciò compitamente il batterista, planando agilmente in mezzo al fittissimo dialogo che Bono e Chester stavano intrattenendo di fronte al tavolo e poggiando l’enorme vassoio rotondo proprio fra di loro.
- Coraggio, Bells. – cercò di consolarlo Chris, stringendolo compassionevole attorno alle spalle, - Tornerà, chiarirete e domattina sarà tutto a posto. Andiamo a mangiare, almeno potrai fargli i complimenti per com’è bravo a cucinare i dolci! – propose incoraggiante. Poi si fermò e rifletté brevemente, arricciando le labbra in una smorfia poco convinta. – Be’, forse. – concluse saggiamente, annuendo come a darsi ragione da sé.
Matthew seguì l’amico fin davanti al tavolo e lì rimase per qualche secondo ad osservare contrito la splendida torta che gli si parava di fronte. Verde dalla punta alla base, cosparsa di palline di zucchero lucenti come perle e sormontata da una splendida scultura in zucchero raffigurante un piccolo alieno verde nell’atto di scendere dalla propria astronave per esplorare quel meraviglioso pianeta di pan di spagna e cacao.
Allungò una mano, come a voler verificare quella meraviglia fosse vera. Ma poi si ritrasse, e sorrise furbo.
Aveva avuto un’idea migliore.
*
Brian lo conosceva benissimo. Nel corso degli ultimi due anni passati insieme – e di insieme si poteva parlare, nonostante i tour, i viaggi e i continui impegni di lavoro, perché la verità, molto semplicemente, era lui e Brian fossero stati del tutto inseparabili nelle occasioni in cui stavano insieme, e continuamente tendenti l’uno verso l’altro anche quando stavano separati – Brian aveva imparato a memoria ogni sua passione, ogni suo divertimento, ogni sua opinione. Tutto ciò che lo faceva ridere e arrabbiare e disperarsi. Tutto ciò che gli piaceva e tutto ciò che odiava. Perfino le parole esatte per farlo star meglio quando stava male, e quelle per riportarlo a terra quando cominciava un’improbabile quanto fuori luogo scalata per la conquista del Paradiso.
“Perché – l’hai detto tu, no, Matt? – per entrare in Paradiso devi pagare un prezzo che non sei disposto a concedere.”
E nello specifico, ogni santa volta, voleva dire “Torna giù, piccolo, che sei bravo, bravo davvero, ma non sei ancora diventato un dio, né mai lo sarai, perché cose del genere proprio non esistono”.
Brian, con lui, non era stato prudente. Non s’era comportato come la maggior parte delle persone giunte all’apice di una brillante carriera ed alla metà di una triste vita. Non aveva trattenuto niente per sé, non era stato avaro d’emozioni – né nel darle né nel pretenderle – e non aveva evitato alcun momento spendibile insieme.
Al punto che sì: anche Matthew lo conosceva alla perfezione.
L’enorme edificio principale del Goldsmith College, immerso nella notte ambrata di luci di Londra, rendeva perfettamente onore alla propria essenza di vecchio maniero ottocentesco. Letteralmente ricoperto d’edera e fronteggiato da uno sterminato prato verdissimo ed umido di brina, era perfino inquietante. Al punto che Matt esitò nell’addentrarsi alle sue spalle alla ricerca della nicchia fra gli alberi del cortile interno che sapeva essere il luogo preferito di Brian.
Lo individuò subito: la giacchetta multicolore che aveva comprato secoli prima da Harrod’s, e che lui aveva distrattamente preso con sé prima di uscire, spiccava curiosamente nel verde scurissimo degli alberi nella notte. Era così piccolo – accucciato su una panchina, lo sguardo fisso nel vuoto ed il mento affondato fra le ginocchia – che non sarebbe stato strano prenderlo per un bambino che avesse perduto la mamma e non sapesse dove andare.
La verità di Brian era che non importava quanti anni avesse, perché era rimasto piccolo dentro. Non immaturo né egoista e capriccioso alla maniera sciocca dei bambini, ma insicuro e fragile come se la parte più pura di lui si fosse dibattuta negli anni per preservarsi integra comunque e nonostante tutto, e alla fine ce l’avesse pure fatta.
- Per quello che può valere, - sussurrò con un sorriso tenero, sedendosi al suo fianco e poggiando fra i loro corpi un piatto con l’ultimo piano della torta e la statuetta che le si accompagnava, - non sapevo che avessi più di trent’anni.
Brian si lasciò andare ad un ghigno amarissimo, senza guardarlo ma sciogliendo leggermente le gambe.
- Lascia perdere. – gli disse atono, - Non è davvero importante.
Matthew sorrise, accomodandosi meglio contro lo schienale della panchina ed indicando distrattamente la torta fra loro.
- È stato un pensiero carino. – commentò, - Grazie.
Brian rise a bassa voce e scosse il capo, rimettendo i piedi a terra.
- Ti ho detto che non importa. – lo rassicurò, rassegnandosi finalmente a guardarlo, - Non c’è bisogno che tu mi faccia i complimenti per farti perdonare. Non ce l’ho con te.
Matthew sorrise ancora e si sporse verso di lui, arrivando fino ad un centimetro dal suo viso e fissandolo intensamente negli occhi.
- …è vero. – constatò, tirandosi indietro, un po’ stupito. – Non sei arrabbiato.
Brian scosse il capo e si appoggiò a propria volta allo schienale.
- Sono solo uno stupido. – rispose in un soffio.
Matthew ridacchiò e gli fece passare un braccio attorno alle spalle, attirandolo a sé.
- Sì, lo sei. – annuì, - Ma ti amo anche per questo.
- Questo non mi lusinga granché. – borbottò Brian, fingendo un broncio infantile, - Mi piacevi di più in versione penitente.
Matt rise ancora, stringendolo con calore.
- Sai cosa ho pensato la prima volta che ti ho visto? – gli chiese poi, sfiorandogli la guancia con un bacio, - Non quando ci siamo conosciuti. Molto prima. Proprio la primissima volta.
Brian si adagiò contro la sua spalla e sospirò brevemente, prima di negare con un lento cenno del capo.
Matthew sorrise.
- Era il mio primo anno a Londra. Non avevamo i soldi per comprare un appartamento tutti insieme, dico, io, Chris e Dom, perciò abbiamo affittato delle stanze in giro. Ed io stavo con un tizio, Andy, faceva lo spacciatore ma era uno sfigato. – scrollò le spalle, - Uno si aspetta sempre che quelli che lavorano in quel ramo siano ricchi sfondati, ma Andy era tristissimo, stavamo praticamente in un bilocale che era uno sputo ed avevamo un televisorino minuscolo in cucina che-
- Matthew! – ridacchiò Brian, spostando la torta altrove per potersi sistemare meglio sul sui corpo, - Questo discorso va a parare da qualche parte?
- Ci sto arrivando. – rise lui, stringendolo a sé, - Insomma, una mattina facevo colazione e guardavo MTV. Ed è passato il video di Teenage Angst.
- Mio Dio! – rise forte Brian, allungando una mano a cercare le dita di Matt per stringerle e giocarci un po’, - Se è davvero la prima impressione, quella che conta…!
- Be’, - lo interruppe Matthew, affondando nell’incavo del suo collo, - per me è stato così.
- …ed è stata disastrosa? – inquisì lui, cercando i suoi occhi.
Matt scosse il capo.
- Ho pensato che tu fossi una creatura da un altro pianeta. – raccontò con aria sognante, - Sembravi troppo perfetto per venire dalla terra. E poi, sinceramente, non ero neanche sicuro al cento per cento di sapere cosa in effetti tu fossi. – ridacchiò sommessamente, - Perciò, siccome il fatto che tu potessi essere un maschio mi turbava tanto quanto quello tu potessi essere una donna, mi limitai a pensare che dovevi essere proprio un alieno.
- …un alieno.
- Sì. – rise lui, - Negli angeli non ho mai creduto.
- …okay. – sospirò lui, arrendendosi, - Quindi?
Matthew scrollò le spalle.
- Niente. – sbuffò, - Cioè, è una cosa stupida, e dopo una settimana l’avevo già dimenticata. Però, quando poi ci siamo conosciuti, me lo sono ricordato.
Brian sollevò gli occhi nei suoi e se ne lasciò catturare.
- E? – lo incitò impaziente.
- Ed era vero. – annuì Matt senza esitazioni, - Sei troppo perfetto per venire dalla terra. Confessalo, sotto questa maschera c’è un faccino verde e bitorzoluto! – lo prese in giro, tirandogli una guancia.
- …ma piantala! – sbottò Brian, offeso, trincerandosi dietro un broncio di circostanza e nascondendosi dietro l’intreccio della proprie braccia sul petto, dandogli le spalle, - Sei una merda.
Matthew ridacchiò e tornò a nascondersi contro la sua pelle, respirandogli addosso.
- C’è una vocina dentro di me che non fa che ripeterlo. – sussurrò sul suo collo, dandogli i brividi, - Se ti amo tanto, forse è anche un po’ per questo.
- …perché sono un alieno? – mugugnò lui, più per evitare l’imbarazzo che per reale curiosità.
Matthew strizzò gli occhi e si sporse a baciarlo sulle labbra.
- …d’accordo. – borbottò Brian, quando si furono separati, - Ma almeno l’hai assaggiata? – mugolò, indicando la torta dimenticata sul bordo della panchina.
Matt scosse il capo.
- Speravo di mangiarla insieme.
Brian sorrise ed annuì.
- Ma l’alieno lo mangio io! – precisò, afferrando l’omino verde e mettendone velocemente la testa in bocca.
Matthew fece una smorfia delusa e gli si chinò ancora addosso, addentando i piedi dell’omino e staccandoli in un morso.
- Facciamo a metà, no? – chiese poi, facendo ballare i piedini verdi fra le labbra.
Brian sospirò pazientemente, scuotendo il capo, simulando un’esasperazione che era quanto di più lontano dal suo stato d’animo esistesse in tutto il mondo.
- Facciamo a metà.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: R.
AVVISI: Language, OC, What If?.
- "Niente da fare: sarebbero piovute rane, prima che quell’uomo si rassegnasse ad assumerlo."
Commento dell'autrice: Chi mi conosce lo sa: io vivo di gossip <3 Il pettegolezzo ha su di me effetti strepitosi <3 Per dire, mi porta al fangirling sconsiderato. E lo sappiamo tutti qual è la principale conseguenza del fangirling sconsiderato: la scrittura compulsiva, ovviamente!
È esattamente ciò che è successo con questa storia che, personalmente, amo alla follia, nonostante mi renda conto di quanto sia ideologicamente opinabile. Davvero, lo so! Ma quando, sulla community di SuckerLove.com ho letto di questa news (poi smentita) secondo la quale non solo i Placebo avevano trovato un nuovo batterista col quale stavano registrando il nuovo album, ma questo nuovo batterista era addirittura un ventenne!!!, ho cominciato a fantasticare furiosamente su quello che avrebbe potuto essere uno scenario plausibile nel quale questo dramma s’era consumato, ed è venuto fuori Andrew <3 Che, povero tato, è sì un coglioncello, ma non si merita tutto ciò che ha passato XD Soprattutto perché io l’ho amato fin dal primo momento çOç
Comunque. Io mi sono divertita troppo XD Anche se so che, concettualmente, è pure un tantino deprimente, come fanfiction. Voi cercate di non pensare a Steve T_T *piange* e vedrete che andrà tutto meglio >.<
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FROGSTORM

Alex entrò in ufficio con un enorme sorriso sulle labbra. Sembrava tanto soddisfatta del proprio operato che, malgrado la situazione fosse tutto meno che allegra, perfino Brian si sentì abbastanza fiducioso da sorridere a propria volta.
- Ho una splendida notizia! – annunciò la donna, prendendo posto sulla propria poltrona, dietro l’enorme scrivania in mogano lucido.
Brian ritirò le gambe sull’altra metà del divano tanto grande da sembrare vuoto nonostante lui ne occupasse almeno la metà, disteso e scomposto fra il bracciolo ed il cuscino com’era, e Stefan si accomodò sulla poltrona nell’angolo opposto, intrecciando le dita sul petto.
- Quindi? – chiese il frontman, inarcando curioso le sopracciglia.
Il sorriso della manager si fece più ampio.
- Possiamo scegliere noi il batterista! – esultò, socchiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle.
Il sorriso sul volto di Brian scomparve in un istante, mentre tornava a mettere istantaneamente i piedi a terra e si sporgeva in avanti verso la donna, come non potesse credere a ciò che aveva appena sentito. Stefan chinò il capo sul palmo aperto, sbuffando disapprovazione.
- Alex. – sibilò gelido Brian, stringendo la presa delle dita sul bracciolo con un movimento quasi isterico, - Ti ho mandata ad obbligare la produzione a concederci una proroga, te lo ricordi?
L’espressione della donna non subì la minima variazione.
- Certo che me lo ricordo, Brian. – disse zuccherina, spingendosi lentamente avanti e indietro sulle rotelle della poltrona, come stesse solo giocando, - Ma, come avevo ampiamente previsto, il direttore mi ha riso in faccia e mi ha sventolato il contratto sul naso, minacciando di strapparlo seduta stante. – si concesse un sospiro, rilassando le spalle e fermando anche il movimento cigolante della sedia, - Almeno sono riuscita a convincerlo a lasciare a noi la scelta del nuovo batterista. È un’enorme concessione.
Brian spalancò la bocca, pronto a strillarle addosso una qualsiasi cosa, anche solo per sfogare l’irritazione, ma Stefan lo fermò con un breve gesto della mano ed un sospiro incerto.
- Significa… - accennò il bassista, lanciando un’occhiata dubbiosa alla manager, - che dobbiamo cominciare ad organizzare i provini?
- Esatto. – annuì lei, - E raccogliere le cartacce che sicuramente tappezzano il pavimento di casa di Brian, per vedere se fra gli appunti emo che ha preso da quando Steve è andato via c’è qualcosa di vagamente utile per l’album nuovo.
- Questo è offensivo. – sbottò il frontman, mentre Stef si arrendeva all’evidenza per la quale era inutile cercare di salvare Alex da un litigio furioso con Brian, perché un litigio furioso era esattamente ciò che quei due volevano e stavano cercando da… mesi, ormai.
- No, questa è la verità. – scoccò Alex, secchissima, incrociando le braccia sul petto, - È probabile che la maggior parte delle cose che hai scritto sia del tutto cestinabile. Non te ne faccio una colpa, Brian, so che non sei abituato a lavorare così. Ciononostante, è tutto quello che abbiamo. D’altronde, - continuò, riflessiva, - penso che nessuno là fuori si aspetti che il prossimo album dei Placebo sia una pietra miliare della storia della musica. Sicuramente non se lo aspetta la critica, e molto probabilmente non se lo aspettano neppure i fan. – si interruppe e scrollò le spalle, sistemando con un gesto stanco i lunghi capelli ricci dietro le spalle, - Perciò, diamoci semplicemente da fare e vediamo cosa viene fuori.
Dal momento che difendersi avrebbe implicato il dover mentire, e dal momento che mentire necessitava di abbastanza presenza di spirito per orchestrare una storia verosimile e che, soprattutto, potesse reggere il peso dell’azzurrissimo sguardo indagatore di Alex, e dal momento, infine, che lui questa presenza di spirito non se la sentiva proprio, né addosso né dentro, Brian decise di tornare ad arricciarsi sul divano, ritirando le gambe sotto il sedere ed incassando la testa nelle spalle quasi fino a fare scomparire il collo, prendendo a fissare il vuoto con aria ostile.
- Oh, avanti. – borbottò Alex, sospirando, - Sapevi che prima o poi sarebbe successo. Non potevi mica rimanere in eremitaggio per tutto il resto della tua vita! Un batterista nuovo vi serve.
- Se me l’avessi detto prima, - scattò il cantante, squadrandola astioso, - avrei accettato l’offerta di Dave ed avrei risolto così! La sola idea di mettermi a fare dei provini mi snerva a morte!
- Brian… - sospirò Stefan, massaggiandosi la fronte, - Dave Grohl palesemente ama te più della propria donna, perciò era ovvio che, vedendoti depresso com’eri, si offrisse di aiutarci con le registrazioni… ciononostante, quell’uomo ha più progetti collaterali in corso che capelli sulla testa, e, per inciso, di capelli sulla testa ne ha un mucchio, perciò-
- Perciò quando cominci a parlare così tanto è perché stai cercando di distrarmi. – sibilò Brian, spostando uno sguardo sempre più infuocato dalla manager al bassista, - Ora, siccome non sarà facile distrarmi dalla rabbia che sto provando, lascia perdere e pensa ad organizzare questa stronzata, perché, per inciso, tutto ciò che io farò sarà guardare i batteristi sfilarmi davanti agli occhi e dire che non ne voglio sapere niente.
- Il che sarebbe anche un vantaggio, - commentò Alex con sufficienza, - dal momento che nelle mie previsioni già ti vedevo insultarli tutti uno per uno consigliando loro di darsi all’ippica.
Brian rispose con una prevedibile imprecazione e scattò nuovamente in piedi, dirigendosi spedito verso la porta.
- Domani alle otto del mattino, Brian. – scoccò impietosa la manager, senza neanche osservarlo uscire dalla stanza, - Cerca di evitare di obbligarmi a venirti a prendere a casa.
*
D’accordo. Doveva ammettere di conoscere i Placebo solo per sentito dire. Doveva ammettere di essere venuto al provino solo per disperazione e senza neanche essersi adeguatamente preparato prima. Doveva ammettere pure che magari non era stata un’idea geniale, quella di partecipare solo perché sua madre l’aveva minacciato di buttarlo fuori a calci – lui e la batteria, ovviamente – se non avesse trovato un ingaggio serio entro la fine del mese. Sua madre era una donna impietosa, e soprattutto non aveva mai tollerato la scelta che aveva fatto, di abbandonare il college per mettersi a fare il batterista di una band che s’era sciolta prima ancora di arrivare ad una demo, ma nonostante questo probabilmente non era stata una buona idea seguire gli ordini e presentarsi senza pensarci meglio.
Ammetteva tutte le proprie colpe e se ne pentiva, davvero.
Ciononostante, lo sguardo astioso e scandalizzato con cui lo stava investendo Brian Molko in quel momento era del tutto offensivo e inappropriato.
- Io sono… - abbozzò incerto, prendendo posto sullo sgabello dietro la batteria.
- Lascia perdere. – scoccò secchissimo Molko, con un vago gesto di disinteresse, - Non ce ne facciamo niente, del tuo nome, se non ti assumiamo.
Spalancò gli occhi.
In che cazzo di posto era finito?
La bionda seduta al fianco di Brian – presumibilmente la manager, visto che l’unico altro essere umano presente in quella stanza era il bassista, di cui non sarebbe riuscito a ricordare il nome neanche se ne fosse andato della propria vita – non mostrò alcun segno di stupore per la sgarbata uscita del frontman.
Questo era preoccupante.
Stava palesemente a significare che, da quando i provini erano cominciati – ed era logico supporre fossero cominciati presto, visti i profondi segni di stanchezza sui volti dei tre – quello era stato un comportamento standard.
Erano le sei del pomeriggio.
Anche a voler essere cattivi ed ipotizzare avessero cominciato a lavorare verso le nove e mezza, si trattava comunque di più di otto ore di quella routine.
Deglutì e si strinse nelle spalle.
Aveva come la vaga impressione di non avere nulla a che fare col tipo di universo nel quale stava forzosamente cercando di intromettersi, e d’altronde gli pareva pure che i Placebo non avessero granché da spartire con i Children Of Bodom, coi quali, invece, si sentiva parecchio più affine, ma, fanculo al genere musicale, lui era un bravo batterista. Avrebbe fatto vedere a quel dannato arrogante cos’era in grado di fare, si sarebbe meritato quell’ingaggio, avrebbe guadagnato abbastanza da costringere sua madre a complimentarsi con lui e poi sarebbe uscito da quel disastro indenne, ed avrebbe potuto ricominciare a fare ciò che amava – cioè pestare felicemente la batteria – almeno per altri due o tre mesi.
- D’accordo. – borbottò, sistemandosi sullo sgabello e tirando fuori dalle tasche posteriori dei jeans le bacchette.
Di fronte lui, Brian ebbe un sussulto e strinse le labbra.
- …cosa c’è? – chiese, incerto. Ormai si aspettava qualsiasi tipo di imprevisto.
Brian si riprese subito.
- Nulla. – rispose gelido.
- Sei il primo che fa questa cosa con le bacchette. – intervenne a quel punto il bassista, sorridendo appena. La sua voce era dolce e morbida. Tremendamente rassicurante. – Gli altri che abbiamo visto hanno semplicemente usato quelle lì. – disse, indicando con un cenno del capo le anonime bacchette di plastica posate a fianco della cassa principale, - Il punto è che il nostro ex batterista prendeva le bacchette alla stessa maniera, e quindi ovviamente Brian è turbato. Tu scusalo, per questo e per tutto il resto, e vai avanti.
Si limitò ad annuire, vagamente confuso, mentre Molko sferrava un’occhiataccia tremenda alla volta del proprio bassista, e digrignava i denti.
Ok, non c’era nulla di cui dovesse avere paura. Se pure quella specie di nano carnivoro avesse provato a divorarlo, il gigante buono sarebbe stato dalla sua parte.
Si chinò distrattamente verso le bacchette per terra, poggiando le proprie sulla pelle del tamburo, e le prese fra le mani, rigirandosele fra le dita.
- Avete visto un mucchio di incompetenti, oggi. – borbottò, - Bacchette di plastica, bah. Io le mie me le porto sempre dietro. – sorrise, - Sono speciali. E non mi riferisco solo alla decorazione a spirale. – li informò orgoglioso, scaricando nuovamente le bacchette di plastica per terra, per riprendere le proprie e mostrare loro la lunga striscia di vernice blu che, partendo dalla punta lievemente arrotondata, raggiungeva l’estremità inferiore di entrambe le bacchette avvolgendosi attorno all’intera superficie. – Le ho richieste io, proprio così. Ho scelto la qualità del legno, disegnato la forma ed abbozzato la spirale. – sorrise lievemente, lasciando loro addosso un’istintiva ed affettuosa carezza, - Sono cose molto personali. Lo strumento del batterista non sono i tamburi, sono le bacchette.
Il bassista gli sorrise comprensivo, mentre Molko voltava altrove lo sguardo, intrecciando annoiato le braccia sul petto, e la manager annuiva interessata.
- Bene, allora. – disse proprio la donna, accavallando soddisfatta le gambe, - Facci vedere cosa sai fare.
Per far vedere loro ciò che sapeva fare veramente, tanto per cominciare avrebbe avuto bisogno di una batteria più completa, o almeno del doppio pedale, ma non era uno stupido: da ciò che sapeva dei Placebo aveva più o meno inquadrato il loro genere musicale – anche se, sinceramente, non riusciva a ricordare nemmeno un titolo delle due o tre canzoni che doveva comunque avere ascoltato. Non poteva certo uscirsene con un qualche ritmo pesantissimo che li avrebbe portati a fissarlo con disgusto e stabilire non fosse lui ciò di cui avevano bisogno. Doveva far vedere loro qualcosa di speciale, sì, ma senza esagerare.
Gli vennero in mente solo i Rush. O Baterista era una composizione convincente. Abbastanza complessa ma facilmente ascoltabile e, soprattutto, affatto presuntuosa.
Sì, sarebbe andato con quella.
Gli sguardi soddisfatti che riuscì ad intendere di sfuggita sui volti del bassista e della manager, mentre suonava, lo rassicurarono molto, in quel senso: aveva fatto la scelta giusta. Guardò Brian solo per un millisecondo fra un passaggio e l’altro, e vide né più né meno di ciò che si aspettava: un’espressione del tutto indifferente, un paio di braccia strette con palese irritazione su un petto talmente immobile che dava quasi l’impressione il suo possessore non avesse neanche bisogno di respirare per sopravvivere e due sopracciglia esageratamente inarcate a palesare un profondissimo quanto malcelato senso di disturbo che non poteva essere causato solo dal fatto che evidentemente lo sopportasse a stento, ma doveva avere dei motivi più profondi. Doveva partire da chissà quando. Essersi formato per chissà che cosa.
Niente da fare: sarebbero piovute rane, prima che quell’uomo si rassegnasse ad assumerlo.
Poteva anche prendere ed andarsene. Stava solo sprecando tempo.
Fu con una più che giustificata dose di sconfitta rassegnazione che, dopo aver terminato il proprio assolo, si abbatté contro il tamburo, in attesa della condanna.
Neanche i timidi applausi del bassista e della manager lo consolavano più: la loro posizione geografica – con Brian al centro, che pareva perfino più austero di un vecchio magnate di una qualche storica major – così come le loro espressioni incerte e la cura che mettevano nel non sbilanciarsi con i commenti, indicavano palesemente che non erano loro a comandare. E non solo: non comandavano e la loro opinione valeva pure poco.
- Bene. – concesse infine Brian, gelido e impietoso. – Bravo. Ma suppongo tu sappia che non stai facendo un provino per entrare in un gruppo prog. Perciò potevi anche evitare tutto questo sfoggio di presunzione, visto che vogliamo una batteria che serva la nostra musica, non che debba costringere la nostra musica a modificarsi per servire lei.
Serv…!
- Ehi, io non-
- Brian, per favore. – lo interruppe la bionda, voltandosi a guardare il cantante, - Cerca di contenerti. Stava solo cercando di fare buona impressione!
- È la mia band. – rimarcò Brian, fissandola con astio, senza il minimo filtro, - È sempre stato così, abbiamo sempre fatto la mia musica, e non ho intenzione di mettermi alle dipendenze del primo sbarbato di turno solo perché sa suonare i Rush e la cosa lo rende megalomane.
Lui spalancò gli occhi.
- Se avessi voluto vantarmi, avrei fatto ben altro, stronzo! – saltò in piedi, pestando con forza le bacchette sul tamburo, - Ed io che ho anche sprecato due preziosissimi minuti della mia vita a cercare di pensare a qualcosa che potesse farvi contenti! Vaffanculo, non so neanche che ci sto a fare, qui!
- In effetti me lo sto chiedendo anch’io. – ghignò crudele quell’orrore di nano malefico, accavallando oziosamente le gambe, - È evidente che non sei ciò che stiamo cercando.
- Perché è evidente che preferite avere delle merde qua dietro, piuttosto che uno con le palle che sappia dare una direzione alla musica! – s’infuriò lui, calciando con violenza le bacchette di plastica lontano da sé, - La batteria è l’anima del ritmo! Una batteria incerta o priva di personalità è del tutto inutile, anzi, toglie spirito alla musica! Se è questo, quello che volete, allora è ovvio che io non sono la persona più adatta!
Il ghigno di Brian non soffrì della minima incertezza. Si fece, anzi, perfino più ampio e soddisfatto.
- Non so per che tipo di zotici abbia suonato tu fino a questo momento, ma al mio paese non c’è nessuno strumento che regni sugli altri, come cavolo ti chiami.
- Mi chiamo-
- Non mi interessa. – proseguì lui, scuotendo il capo, - Non mi interessava all’inizio quando non sapevo ancora se ti avrei preso o meno, figurati se m’interessa adesso che so per certo che non ti prenderò.
Figlio di puttana!
- Sono io che non lavorerò per te neanche se m’implorerai in ginocchio!
- Perfetto, allora i nostri interessi coincidono. – sorrise più apertamente Brian, socchiudendo gli occhi ed inclinando il capo, - Perché vedi, gli strumenti lavorano assieme. Si chiama armonia per un motivo ben preciso. Non abbiamo bisogno di nessun invasato portatore sano di fanatismo.
- Brian, adesso smettila… - mormorò il bassista al suo fianco.
- Perché? – insistette lui, scrollando le spalle, - Sto mettendo i fatti per quelli che sono. È ovvio che è un fanatico della batteria.
- È lo strumento che suona, Brian, diavolo! – gli fece notare la manager, spalancando gli occhi, - Anche tu sei un fanatico delle chitarre! Ti prego!
Il cantante si limitò a roteare gli occhi e sospirare esasperato, come se nessuno in quella stanza fosse in grado di comprendere ciò che stava dicendo.
- Avevi detto che tutto ciò che avresti fatto sarebbe stato dire che non ti interessava niente. – bisbigliò ancora la donna, delusa, - Non dovevi fare ostruzionismo in questo modo.
- Perdonami se penso al bene della band.
- Ed è quello che stai facendo? – sibilò secco il bassista.
Brian neanche rispose.
Incerto, lui rimase fermo dietro la batteria, ad inumidirsi le labbra e stringere furiosamente le bacchette fra le dita.
Le alternative, a quel punto, erano due: lasciarsi sconfiggere da quella persona orrenda e tornare a casa nel disonore, pronto ad affrontare sua madre, oppure persistere, restare lì e… farsi sbranare sul serio, probabilmente.
Sospirò e tornò a sedersi sullo sgabello, allentando la presa sulle bacchette.
- Ok. – disse incerto, - Abbiamo cominciato col piede sbagliato. Mi dispiace. Mettetemi alla prova, chiedetemi di suonare ciò che volete. Vi assicuro che sono la persona adatta, ve lo giuro.
Suonava patetico. Suonava patetico ed era pure falso, cazzo, lui non stava sbagliando. Aveva fatto tutto per bene. Era quel bastardo che, evidentemente, un batterista non lo voleva proprio.
Sul volto del bassista si aprì un breve sorriso speranzoso, mentre la manager, dall’altro lato, scuoteva lentamente il capo, del tutto sfiduciata. Brian, nel mezzo, lo fissava senza pietà, altero e granitico.
- Bene. – sganciò lì, come una bomba, - Come vuoi. Accennami la batteria di Black Eyed.
…cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Ecco. Quel dannato principe sul pisello sarà pure stato uno stronzo, ma lui era e restava comunque il coglione che s’era presentato al provino senza neanche prepararsi prima. Certe cose si pagano. Si pagano sempre.
Merda.
Sua madre non faceva che ripeterglielo. Il mondo del lavoro – qualsiasi lavoro – è una giungla. O sei perfetto sotto ogni punto di vista o sei fuori. Perché se solo mostri una sbavatura, gli sciacalli che ti concedono di lavorare alle loro dipendenze cominceranno a pensare di poter trovare qualcosa di meglio. E dietro di te la lista è lunga. C’è solo da scegliere.
Cazzo. Cazzo. E cazzo.
- Io… - deglutì forzatamente, - ecco, non è che ce l’abbia molto presente, in questo momento…
Dio, non aveva neanche la più pallida idea di cosa fosse!
- Be’, dai, non è di un album recentissimo… - lo incoraggiò la manager, cercando di sorridere conciliante, - Perché non ci fai One Of A Kind?
Dio! Dio! Andava sempre peggio! Dannazione!
- Non è stato un singolo, magari non l’ha sentito. – biascicò a quel punto il bassista, nell’estremo tentativo di aiutarlo, - Avanti, fai Infra-Red e la chiudiamo qui.
Oh. Eccome se la chiuderemo.
- …non la conosci?
Non poté fare altro che abbassare lo sguardo e scuotere il capo. Ritornato indietro ai tempi del liceo, si sentiva colpevole come quando la McKinsey, la sua professoressa preferita, gli faceva scivolare sotto il naso il questionario di letteratura inglese e scuoteva angosciata il capo, come a dire “eccolo qui, il mio più grande tormento ed il mio più inglorioso fallimento!”.
Cavolo.
Era andato tutto storto.
- Adesso non fai più tanto il presuntuoso, eh? – scoccò la fastidiosissima voce acuta e nasale di quell’uomo intollerabile, - Adesso sono finiti i grandi discorsi, mh?
- Brian, non infierire… - mormorò il bassista, massaggiandosi la fronte.
- Non infierire?! – strepitò lui, furioso, - È lui che sta infierendo! Su quel poco di pazienza che mi è rimasta!
L’intera sala rimase silenziosa come fosse stata vuota, per molti minuti. Imbarazzato ed umiliato, lui non poté che rimanere immobile al proprio posto a fissarsi le punte delle Converse sdrucite, perfette per la testa di cazzo che era. Merda. Era proprio il prototipo perfetto del cazzone. Quel bastardo di Molko doveva averlo intuito subito, ecco tutto. Non sarebbe stato neanche difficile. Trovava addirittura incredibile l’essere riuscito a non sputtanarsi fino a quel momento! Aveva tenuto duro molto più di quanto non ci fosse da aspettarsi!
E adesso, a quello stronzo, aveva dato tutte le ragioni del mondo per continuare a insultarlo per sempre. E probabilmente aveva perso sul serio qualsiasi possibilità di essere assunto. E si sentiva addosso lo sguardo deluso di quel bassista di cui, accidenti, gli sarebbe pure piaciuto riuscire a ricordare il nome, così almeno avrebbe potuto ringraziarlo come meritava, visto che, per parte sua, s’era comportato molto meglio di quanto non dovesse.
- Benissimo. Me ne vado a casa. – disse lapidario Molko dopo un po’, - Tanto è palese che ormai questo coglione è ko. Alex, domani torni alla EMI e pretendi una proroga. Punto.
S’era alzato – aveva sentito la sedia strisciare piano contro il pavimento in marmo misto – ed aveva cominciato a camminare quietamente verso l’uscita – poteva sentire il lieve ticchettio dei tacchi bassi di quelle elegantissime scarpe lucide e nere che indossava – e lui non aveva potuto permetterglielo. Aveva sentito nel profondo che, malgrado tutti gli errori di cui doveva per forza farsi carico, non poteva fargliela passare liscia. Perché l’umiliazione gli bruciava troppo forte sotto la pelle, e pure sotto le ciglia. Pericolosamente.
Non aveva mai pensato di non essere più un ragazzino, in fondo.
Era un’altra cosa che sua madre gli ripeteva spesso. Sua madre, ma anche suo padre, che pure era un po’ più morbido, e perfino i suoi amici, che in teoria avrebbero dovuto essere in tutto e per tutto uguali a lui. Sei infantile. Non sei mai cresciuto. Sei ancora un bambino.
Aveva voglia di piangere, e non riusciva a non vergognarsene. Non riusciva neanche a farsela passare, però.
- Tu… - mormorò, alzandosi finalmente in piedi, - sei una merda. In queste condizioni non è possibile lavorare! Non puoi pretendere che uno si metta a lavorare per te, se lo obblighi a stare sotto pressione fin dal momento in cui ha la sfiga di passarti sotto agli occhi! – cercò di prendere un respiro. Non gli riuscì. Esalò un singhiozzo spaventoso e continuò semplicemente a urlare, - Dovresti… fanculo… chiuderti in una fottuta stanza senza porte e senza finestre e restare lì per sempre, tanto nel mondo civile non hai molte possibilità di essere veramente ascoltato, se ti comporti così! Almeno, se scomparissi e basta non costringeresti le persone a… a doverti per forza tollerare, o a scusarsi per te! – si interruppe ancora. Era sull’orlo delle lacrime. Era disgustoso. Dio!, doveva uscire immediatamente da quella stanza! – Non lo voglio, questo lavoro di merda! Tienitelo pure! Solo, ti conviene imparare a suonare sul serio, perché non troverai proprio nessuno che voglia farlo per te!
Uscì così. Senza salutare. Senza scusarsi. Senza neanche guardarsi indietro.
Improvvisamente, perfino tornare a casa a mani vuote sembrava un’alternativa plausibile.
*
Brian rimase a fissare la porta con le sopracciglia inarcate, come se non riuscisse proprio a capire cosa diavolo fosse preso a quel dannato ragazzino, per una quantità indefinibile di tempo.
Poi tornò semplicemente a sedersi, accavallando le gambe ed intrecciando le braccia.
- Certo, non gli si può dare torto. – commentò a quel punto Alex, sbuffando pesantemente.
- Prego? – scoccò lui, acidissimo, lanciandole un’occhiataccia cattiva.
- Mi hai capita perfettamente. – si limitò a notificare lei, senza neanche degnarsi di ricoprirlo del disappunto che avrebbe meritato, - L’hai trattato peggio di tutti gli altri.
- Probabilmente perché ha visto che era davvero bravo e correvamo davvero il rischio di assumerlo. – scoccò Stefan, sollevandosi in piedi come se il solo stare seduto accanto a Brian lo infastidisse.
- Prego?! – ripeté il cantante, sempre più incredulo.
- È bravo. – rimarcò lo svedese, stringendosi nelle spalle.
- Tu scherzi, forse! – strillò lui, alzandosi a propria volta, - Non sa le canzoni!
- Può sempre impararle.
- Ma soffre di gravi influenze metal, dai! Lo si sentiva chiaramente, anche se ha fatto di tutto per nasconderlo! Non capisco come faccia a piacerti!
- È palesemente un bravo ragazzo, Brian, nonché il migliore fra tutti quelli che abbiamo sentito oggi. Ecco come fa a piacermi. – concluse brevemente l’uomo, infilando le mani nelle tasche.
Brian sbuffò con manifesto fastidio e, dopo aver borbottato qualcosa sull’evidente incompetenza di chiunque lo circondasse nel raggio di cento chilometri, aveva ripreso a pestare i piedi verso la porta, con la chiara intenzione di uscire per non tornare mai più.
Stefan l’aveva afferrato per un braccio e riportato al suo posto con una facilità disarmante. Come fosse stato di carta.
- Non lo troverai un altro che suoni come Steve. – gli scoccò a bruciapelo, fissandolo negli occhi quasi con rabbia, - Un altro con cui far funzionare lo stesso tipo di chimica e la stessa perfetta sincronia, non lo troverai mai.
Brian cominciò a divincolarsi. Sul viso, lo stesso sguardo sconvolto di chi si sente oltraggiato fin nell’onore. Stefan lo trattenne immobile davanti a sé.
- Devi ficcartelo in testa. – insistette, duro e freddissimo esattamente com’era stato Brian fino a quel momento, - È rimasto tanto a lungo proprio per questo, per la chimica. Per il legame strettissimo che c’era fra tutti noi. Ma s’è infranto, Brian. Non c’è più un cazzo. Perciò piantala coi giochini da bambino tradito e datti una regolata. Non hai più quindici anni.
- Stefan-
- Soprattutto, io non sono disposto a tollerare oltre questo tuo atteggiamento. – continuò il bassista, senza lasciargli tempo di rispondere. – Sta a te decidere del futuro dei Placebo. Metti la testa a posto, o vado via anch’io e risolviamo così. Fine.
Brian spalancò gli occhi. Dietro di lui, Alex cercò di farsi invisibile, scomparendo nella gonfissima giacca in piuma d’oca che aveva già indossato.
Doveva essere la prima volta in più di dieci anni che Stefan si facesse sentire in quel modo.
- Mi stai minacciando…? – esalò appena il cantante, fissando sgomento il proprio bassista.
Lui, dal proprio canto, si limitò a sorridere.
- Sì. – rispose sbrigativo, lasciandolo finalmente andare.
Brian si massaggiò distrattamente il braccio, senza interrompere il contatto visivo con Stef – neanche avesse paura che dovesse d’improvviso svanire non appena l’avesse perso di vista.
Poi, d’improvviso, sospirò e puntellò le mani sui fianchi, sporgendo il bacino con aria infantile.
- Suppongo di dover cedere. – borbottò alla fine, seccatissimo, - Non posso mica mandare tutto a monte dopo aver faticato tanto.
Stefan inarcò le sopracciglia, fissandolo un po’ incredulo ed un po’ rassegnato – come se lo fosse aspettato da sempre.
- Inutile. – sbottò Alex, esalando un sospiro di pura rassegnazione, - Ci sono cose delle vostre teste che non riuscirò mai a comprendere.
I due si lasciarono andare ad una breve risatina, voltandosi a guardarla come volessero scusarsi.
- Comunque sia, Brian, hai fatto il casino ed ora lo risolvi. – proseguì perentoria la manager, indicandogli la porta.
- …ovvero? – chiese il cantante, incerto.
- Be’. – annuì Stef, competente, - Tu l’hai buttato fuori. Ora ti tocca riprenderlo. Poco da fare.
- Cosa?! – strillò Brian, spalancando gli occhi, - Mai e poi mai!
Per convincerlo, a Stef bastò inclinare il capo.
*
Pioveva. Dannazione pure al Padreterno che proprio aveva deciso di smontargli l’intera esistenza.
Barricato all’interno dell’ingresso degli studi, si buttò addosso al distributore automatico al quale aveva preso il caffè e continuò a sorseggiare quella schifosissima spremuta di niente che riempiva il bicchierino, provando almeno a riscaldarsi le mani – con poco successo, visto che l’orrida brodaglia era pure inesorabilmente tiepida.
Che schifo di giornata.
Che schifo di vita.
E che schifo di caffè. Fanculo.
- Se hai bisogno di un ombrello, al limite te ne presto uno io.
Merda.
Ma non poteva proprio rassegnarsi a lasciarlo in pace, quel terribile topo da combattimento?!
- Non ti preoccupare. – ringhiò, stringendo il bicchierino fra le dita fino a sentirlo scricchiolare, - Ora me ne vado.
Brian sospirò rassegnato, e lui si voltò a guardarlo col migliore dei suoi pigli infuriati. Era passata perfino la voglia di piangere. Adesso aveva solo un bisogno incredibile di mettergli le mani addosso e lasciarlo pesto e sanguinante sul pavimento. Tanto, non avrebbe potuto nuocere alla sua carriera più di quanto non avesse già fatto fino a quel momento.
Sperò che Brian gli leggesse tutto questo addosso e decidesse saggiamente di abbandonarlo finalmente al proprio destino che, per quanto triste, avrebbe sicuramente preso una notevole piega verso l’alto, quando lui fosse sparito.
Brian, però, non sembrava intenzionato ad andarsene.
- Sembra che invece dovrai tornare indietro. – disse, atono com’era stato sempre da quando l’aveva visto, - E firmare un contratto. Almeno per i prossimi sei mesi.
…ok.
Era un masochista? Gli piaceva farsi maltrattare? O che?
- …eh?
- Sia ben chiaro. – ci tenne a precisare il cantante, piantandogli un indice fastidiosamente puntuto proprio nel centro del petto, - Fosse per me, ti rispedirei a succhiare omogeneizzati da un cucchiaino a forma di pecora. Ma – sospirò teatralmente, - sembra che tu sia piaciuto agli altri. E, in generale, avresti potuto essere peggio di quanto in effetti tu sia. Perciò poche storie e seguimi.
Ancora incredulo, si limitò ad annuire meccanicamente.
Pioveva ancora, sì, ma non erano mica rane.
Perciò poteva essere solo uno scherzo di dubbio gusto. O un dannato miracolo.
Forse, il Padreterno non lo odiava poi così tanto.
All’interno dell’enorme sala dei provini, il bassista e la manager lo attendevano trepidanti, armati di un sorriso incoraggiante che sembrava comunque ancora un po’ incerto.
- Bene! – disse la donna, entusiasta, andandogli incontro con fare condiscendente, - Vedo che Brian ce l’ha fatta a riportarti indietro senza sentire il bisogno di sbranarti per i corridoi. È un buon inizio!
Brian si limitò a sbuffare e lasciarsi ricadere sulla propria sedia, senza la minima grazia.
Il bassista gli si avvicinò, tendendogli conciliante una mano.
- È un piacere averti fra noi…
- …Andrew. – completò lui, deglutendo confuso. Non gli pareva vero essere finalmente riuscito a presentarsi. – Andrew Connelly. Piacere. E grazie mille per tutto quello che hai fatto per me…
- …Stefan. – rispose a propria volta lui, ridendo divertito, - Olsdal. Non lo ricordavi, vero?
Imbarazzato, lui distolse lo sguardo, ma il bassista scosse energicamente il capo e gli concesse una poderosa pacca sulla spalla.
- Non ce l’ho con te, figurati. – lo rassicurò, - Farai un mucchio di sacrifici per adattarti, nei prossimi mesi. Mi considero già abbondantemente ripagato!
Andrew ringraziò con un sorriso mesto, lanciando un’occhiata di sfuggita a Brian, che continuava a ruminare acredine dalla propria scomoda seggiolina nel mezzo della stanza.
Magari non sarebbero piovute rane, ma Dio… per fare funzionare quella cosa ci sarebbe davvero voluto un miracolo.
Genere: Comico.
Pairing: MattxBrian
Rating: NC-17.
AVVISI: Language, Slash.
- Matthew Bellamy e Brian Molko si risvegliano d'improvviso nel letto di Brian e cercano di fare luce sulla loro strana situazione.
Commento dell'autrice: *sghignazza* Ah! XD Lol. Ho cominciato a scrivere questa storia verso le sei, dopo un pomeriggio passato in ufficio da mia madre a cercare di rimettermi in pari con le faccende internettiane dalle quali sono forzosamente tenuta lontana causa Telecom lassista. L’ho finita… mah. Venti minuti dopo? XD Copincollandola furiosamente alla Nai e continuando a sbraitare “MWHA! Non li trovi anche tu amabili? *_* Non so chi amare di più!!!”.
In effetti, e mi pare di averlo già detto in passato, io soffro di una strana sindrome che mi obbliga fisiologicamente a scrivere roba Mollamy quando mi svago da troppo tempo con altro. Nello specifico, e suppongo l’avrete notato, ci sono andata giù pesante con roba varia ed eventuale sui Tokio Hotel, nonché qualche originale, ultimamente, perciò Brian e Matthew sono finiti un po’ indietro – complice la Nai che svarionava su altre cose ancora perdendo passione! Ah, cattiva!
Comunque sia, mentre ero in chat appunto con Nai ho cominciato a sbottare che m’era venuta in mente un’immagine definitivamente Mollamy ed era un problema, perché adesso volevo scriverla. Lei ha risposto che non era necessariamente un problema. Perciò l’ho scritta XD
Comunque: è breve, lol, del tutto spensierata e senza senso. Il che motiva il titolo ma non giustifica il fatto io abbia sentito tanto il bisogno di metterla su carta, ecco XD Beccatevela e compiacetevi, che io torno dai miei criceti pervertiti *-*!
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POINTLESS BABBLING

- Tutto questo ha un senso?
Matthew girò lo sguardo sulle pareti della camera sconosciuta al centro della quale giaceva, inerme e stanchissimo, su lenzuola spiegazzate e tiepide che erano pure molto meno morbide di quanto non avesse immaginato.
- Ha un senso che a chiedermelo sia proprio tu? – chiese, evitando la vista dell’uomo sdraiato al proprio fianco, - Ti ricordo che siamo a casa tua.
- Se è per questo, Bellamy, abbiamo anche appena finito di scopare. Ora, vogliamo continuare l’elenco dei particolari ovvi ancora a lungo?
Si morse un labbro, incerto.
- Brian-
- No. Niente Brian. – disse lui, perentorio, - Non devi per forza chiamarmi per nome. È strano.
Forzando i muscoli del collo, riuscì a voltarsi abbastanza per scorgere il suo profilo.
- Strano? – chiese, con aria confusa, - Strano?!
Brian sospirò, socchiudendo gli occhi.
- Non pretendo che tu capisca. – sbottò laconico, - Ubbidisci e basta.
- …guarda: non mi interessa neanche sapere cosa tu ti sia messo in testa. Però vorrei capire cosa diavolo c’era nella mia quando ho accettato di sottopormi a questo disastro! – si lamentò, pur senza riuscire a muoversi di un centimetro. Quelle dannate lenzuola sembravano intrappolarlo al materasso.
Brian inarcò le sopracciglia con aria inquisitoria.
- Ti pare di aver accettato qualcosa? – chiese a bassa voce, quasi assente, - Io non ricordo di avere accettato nulla…
Sembrava così assorto… perfino sincero, in tutto il proprio smarrimento.
Matthew digrignò i denti.
- Sapevo che prima o poi sarei finito con uno psicopatico. – borbottò fra sé, - Dom me l’aveva detto. Così si finisce a scopare in giro! Che poi un maniaco ti rapisce, ti stordisce di vaccate, poi ti sevizia e ti fa fuori!
Brian si lasciò andare ad un mugolio infastidito, sollevando un braccio con uno sforzo che parve titanico e massaggiandosi lentamente la testa.
- Ho bevuto troppo, Bellamy. – lo rimproverò, - Abbi un po’ di rispetto.
- Rispetto! – sillabò Matthew, indignato, - Devo ricordarti che da quando abbiamo riaperto gli occhi mi stai trattando come una qualsiasi scopata del venerdì notte?
Brian si voltò finalmente a guardarlo. L’espressione del suo viso era spaventosa.
- …ok. Tecnicamente lo sono. – ammise Matthew, annuendo compito, - Ma sono anche Matthew Bellamy, perdio! Sarò pure una scopata del venerdì, ma decisamente non una qualunque!
- …e dai a me dello psicopatico. – commentò Brian, - Ti ascolti quando parli?
- Quasi mai. – rispose immediatamente lui, - Sono convinto sia dannoso per l’autostima. Si finisce sempre per dire un mucchio di cazzate che poi irrimediabilmente-
- Appunto. – lo interruppe, già esasperato, - Ma sei sempre così logorroico?
- Mia nonna mi diceva sempre che-
- No, non voglio veramente sapere cosa ti diceva tua nonna, Bellamy.
- Eh! – sbottò Matthew, irritato, - Ma se continui a interrompermi non potremo mai avere un dialogo equilibrato!
Brian tornò a guardarlo, del tutto incredulo, per la seconda volta nello spazio di pochi minuti.
- La tua mente funziona come quella dei pesci rossi. – constatò con stupore quasi scientifico, - A intervalli di trenta secondi. Vivi, dimentichi, ricominci. Come puoi pretendere un dialogo equilibrato nella situazione in cui siamo?! – sbottò quindi, alterato.
Matthew scrollò le spalle, guardando altrove.
- Stavo solo provando a trarre da tutto ciò qualcosa di buono. – si giustificò.
- Per quanto mi riguarda, - sospirò Brian, allungandosi verso il comodino per raggiungere il pacchetto di sigarette, - ho già tratto tutto ciò che m’interessava trarre. Credo. Per caso, prima di arrivare qua, mi hai fatto un pompino? No, perché non ricordo bene, e in questo caso-
- Brian!!!
- Ti ho chiesto di non chiamarmi per nome, per carità!
- Ah, certo, tu puoi chiedermi impunemente se ho elargito pompini a destra e a manca lungo la strada verso casa tua, ma io non posso chiamarti per nome! Questo ha molto senso, guarda!
Brian lo guardò ancora. Matthew si ritrovò a pensare che gli sarebbe piaciuto che si saziasse una buona volta, di quelle occhiate derisorie, e la piantasse.
- Tu non sai proprio come funzionano queste cose, vero?
Matthew aggrottò le sopracciglia, guardando altrove.
- Col cavolo. – sbottò, - Se stai insinuando che non scopo, ti sbagli di grosso. – affermò piccato, - E’ che in genere ho a che fare con gente più normale!
- Primo: non stavo insinuando tu non scopassi. Non so come possa esserti venuto in mente, visto che non stavo parlando di sesso. – spiegò Brian, con la pazienza di un maestro di scuola elementare, - Secondo: io sono una persona normalissima. Siamo nel bel mezzo di una normalissima interazione da scopata casuale. E tu non sai che pesci prendere. Scusa se ne prendo nota.
- …no, senti. – argomentò a quel punto Matthew, - Forse sei tu che non capisci. Io apro gli occhi e mi sento chiedere se il fatto di trovarmi in un letto che non è il mio con un uomo che conosco solo perché mi odia abbia un senso. Ammetterai che è una cosa quantomeno destabilizzante!
- Bellamy, scusa se te lo chiedo così a bruciapelo: da quando ti sei svegliato, il pensiero di alzarti, rivestirti ed andartene, come avrebbe fatto una qualsiasi persona normale nella tua situazione, ti ha anche solo sfiorato vagamente o era una mia pia illusione?
- Ma no! Quando uno si ritrova nel mezzo di una situazione incomprensibile, deve per forza-
- Ok. Pia illusione.
Matthew sbuffò ed arricciò le labbra in una smorfia offesa, sforzandosi perfino di intrecciare le braccia sul petto e lasciando perdere subito dopo: la posizione distesa non si prestava bene alle pose plastiche.
- Mi lascerai, prima o poi, concludere un concetto, o – ironizzò pungente, - è una mia pia illusione?
Brian si voltò a guardarlo, sorridendo orgoglioso.
- Pia illusione, Bellamy. – disse trionfante, - E non offrire così il fianco, è patetico.
- Oh, d’accordo! – sbottò Matthew, provando a svoltolarsi dalle coperte per poi riavvoltolarsi in una posizione che gli consentisse di dare le spalle a Brian, - Allora me ne sto zitto.
- No, no! – rispose lui, ridacchiando, - Come potrei resistere alla tentazione di prenderti in giro? Troppo succulenta! Parla pure.
Matthew si svoltolò nuovamente, guardando l’uomo con aria disgustata e attonita.
- Ma sei un essere umano orrendo! – balbettò, allucinato, - Anzi, non sei neanche un essere umano!
Brian roteò gli occhi, accendendo finalmente una sigaretta e portandola alle labbra con un movimento annoiato.
- E quindi? – chiese, - Resti e ti ostini a rompere i coglioni o ti rassegni e fai un favore a tutti andandotene?
Matthew aggrottò le sopracciglia, gonfiando le guance come uno scoiattolo.
- Se ti aspetti che ti renda la vita più facile, Molko, ti sbagli di grosso! – sbraitò, neanche stesse arringando una folla di rivoltosi.
- Almeno hai imparato a chiamarmi come si confà a due sconosciuti. – sospirò il moro, alzando gli occhi al cielo, - Fammi capire: devo tirare fuori un asciugamano pulito e prenderti un pigiama?
- Ti prego. – sospirò Matt, cercando di mostrarsi all’altezza, - La sola idea mi uccide. No, no, - rifletté poi, sorridendo furbo come un bimbo dispettoso, - penso che per ora rimarrò qui a rigirarmi fra le coperte, se a te non dispiace.
- Mi dispiace moltissimo, visto che è esattamente quello che vorrei fare io e che la tua presenza mi impedisce di realizzare. – commentò Brian, ben deciso a non lasciargli spazio di alcun genere, - Ma figurati, resta pure. I miei genitori mi hanno educato a mostrarmi cortese con gli ospiti, perfino quelli indesiderati.
Niente da fare. “Interagire così non è affatto soddisfacente!”, pensò Matthew in un rigurgito di indesiderata razionalità, che scomparve così com’era venuto nel momento stesso in cui una magnifica idea su come movimentare il dialogo fece capolino fra i suoi pensieri confusi.
- Se ti dispiacesse davvero la mia presenza, - borbottò supponente, - mi avresti già mandato via.
- Ti sarà sicuramente sfuggito, - rispose Brian, guardando altrove, - ma ci ho provato. E tu hai finto di non capire.
Matthew ghignò soddisfatto, voltandosi su un fianco per osservarlo meglio.
- Oh, avanti. – argomentò mellifluo, - Non si buttano fuori le persone a parole. Si prendono e si sbattono fuori a calci.
Brian lo guardò, dissimulando una consistente dose di disgusto.
- Ti sembro il tipo da calci?
- Ti sembro il tipo da crederci?
Sul volto di Brian si aprì un sorriso dapprima minuscolo, poi sempre più soddisfatto e, di conseguenza, spaventoso.
Si voltò anche lui su un fianco, fronteggiando Matthew con sano spirito di competizione.
- Ma tu guarda che esserino grazioso e interessante abbiamo qui. – cinguettò, - Ci metti un po’ di tempo, a scaldarti, ma poi funzioni bene. Come stanotte, quindi.
- Certo. – ridacchiò Matthew, guardandolo con pietà, - Non ti ricordavi neanche se ieri ti ho fatto un pompino o meno, e pretendi che adesso io mi beva questa tua reminiscenza improvvisa di com’è stato stanotte?
- Cielo! – rise anche Brian, avvicinandoglisi impercettibilmente, - Di bene in meglio! – commentò soddisfatto. – Non ti ha sfiorato il pensiero che potessi averti chiesto del pompino apposta per metterti in imbarazzo, così come poi è effettivamente successo?
- Oh, mio Dio! – ironizzò lui, portando comicamente una mano alla fronte, - Come potevo mai prevedere qualcosa di così eccezionalmente furbo? La tua mostruosa intelligenza mi turba!
Brian rise ancora, avvicinandosi al punto da sfiorarlo con le gambe.
- Sei spassoso. – commentò come si fosse trattato di un film appena visto al cinema, - Rifammi un po’ quella posa da vergine che sviene?
Matthew riportò la mano alla fronte, gettando indietro il capo.
- Così? – chiese sghignazzando.
- Sì, esatto. – rise Brian, - Mi dispiace solo non avere una macchina fotografica, giuro!
- Mi dispiace, sono spettacoli cui si assiste una volta sola. – lo prese in giro Matt, mandandogli un bacio volante, - Perciò imprimiti bene questo bel faccino nella mente, perché non lo rivedrai più.
- Oh, che peccato! – mugolò lui, inarcando giocosamente le sopracciglia verso il basso, - Eppure sei a buon mercato, per essere uno spettacolo unico…
- Non ti ho ancora presentato la parcella, Molko. – precisò lui con un sorriso smagliante, - Non si può mai sapere.
- No, in effetti no. – annuì lui, serio, - Con tutte le tasse sui beni mobili e immobili che ci sono al giorno d’oggi… ma tu in che categoria rientri? Sei come quelle eredità pallosissime che la zia Petunia poteva risparmiarsi di lasciarti in dono o sei un bene di lusso?
- …non ho capito bene chi sia zia Petunia, ma mi ritengo abbastanza lussuoso, in ogni caso. – concluse Matt con uno sbuffo competente.
Rimasero immobili in un attimo di silenzio che sembrò durare secoli, ed al termine del quale si sciolsero entrambi in tali e tante risate che le lenzuola si sfilarono dagli angoli del materasso e presero a intrappolarli, mentre loro rotolavano, in una specie di morbido nido dell’ilarità dal quale, in effetti, faticarono entrambi ad uscire. Fu per questo che, da un lato, districarsi dalla massa di coperte fu piuttosto difficile. E, dall’altro lato, fu difficile anche smettere di ridere.
- Be’. – disse alla fine Matthew, scrollando le spalle ed alzandosi in piedi, - Allora magari io vado. Mi sembra che l’abbiamo trascinata abbastanza a lungo, no?
Brian annuì, ridacchiando ancora.
- Non è stato così male, comunque. – ridacchiò anche Matt, recuperando i pantaloni ed infilandoli con studiata lentezza.
Brian si soffermò a guardarlo per qualche secondo, prima di sorridere distrattamente.
- Ti va un caffè? – chiese alla fine, lasciando andare il capo contro il palmo aperto.
Matthew lo fissò, vagamente stupito.
- …tutto questo ha un senso? – chiese curioso e vagamente ammiccante, stringendosi nelle spalle.
Brian rise e si distese nuovamente sul materasso.
- Deve per forza?
Genere: Introspettivo.
Pairing: MattxBrian (se proprio si vuole vedere... ma in realtà neanche tanto O.ò)
Rating: PG
AVVISI: Nessuno.
- Nella notte che segue gli EMA del 2004, Brian Molko vaga per una Roma cristallizzata nel freddo e riflette...
Commento dell'autrice: Scritta in due orette circa, intesa come regalo di San Valentino nei confronti della mia adorata Nai, che mi ha fatto un regalo stupendo e quindi si meritava una ricompensa adeguata. Ora, io non so se il risultato soddisfi le aspettative, ma so che a questa storia ci teneva tanto quanto me XD Perciò è per lei. Anche perché l’ho scritta praticamente a suo gusto :D
Anyway, il motivo per cui ho scritto questa storia – oltre quanto detto all’inizio – risiede nel “molto bello” in italiano di Brian. Nella cronaca di cui vi parlavo nelle note iniziali (e che potete trovare qui), viene riportato proprio questo episodio – quello delle fan con Brian, intendo – esattamente come l’ho descritto. L’unica cosa che non corrisponde a verità è l’incontro con Matthew XD Almeno credo: perché se un gruppo di fan è riuscito ad incontrarli entrambi nella stessa sera, non vedo per quale motivo non avrebbero potuto incontrarsi anche loro due :D
PS: Mi sa che Bono non c’era proprio, nel 2004. Mi prendo una licenza, perché Robert Smith, che invece c’era eccome, non sarebbe stato la stessa cosa e non mi avrebbe permesso la battuta col riferimento sessuale XD
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MOLTO BELLO

“Ovviamente ti accompagnerò”.
Stef era stato molto carino a dirgli una cosa come quella. Non se n’era stupito, perché Stef faceva della gentilezza un po’ la propria politica generale, però non è che gli avesse fatto molto piacere, in realtà.
Era stato invitato a premiare il vincitore nella categoria Best Alternative Act agli European Music Awards di quell’anno. E non ci voleva esattamente un genio per capire che, col fantastilione di copie di Absolution vendute in tutta Europa, ad aggiudicarsi l’ambito globo molleggiato in finto argento sarebbero stati i Muse.
Avrebbe tranquillamente potuto rifiutarsi. Se gli idioti dell’organizzazioni avessero chiesto una motivazione per quel rifiuto, avrebbe potuto inventare una scusa qualsiasi. Una bronchite – lo sapevano tutti che ci soffriva – impegni lavorativi – sapevano tutti anche che, se c’era una cosa che non gli mancava mai, quella era il lavoro – problemi familiari, qualsiasi cosa. Steve e Stef l’avrebbero senz’altro sostenuto, ed anche Alex non avrebbe fatto grandi storie al pensiero di risparmiare al proprio pupillo un’umiliazione in diretta in mondovisione.
Avrebbe potuto rifiutare, ma non l’aveva fatto.
E non l’aveva fatto per un semplice motivo. Lo stesso, semplicissimo motivo che gli impediva di essere felice per l’offerta di aiuto da parte di Stefan.
Ovvero: aveva trent’anni suonati, cazzo. Era offensivo che ci si preoccupasse ancora delle sue possibili reazioni di fronte a quella che era una realtà conclamata da un pezzo. Una realtà che, peraltro, non aveva neanche a che fare principalmente coi Muse stessi, ma con un pensiero ben più ampio – e, per questo motivo, anche ben più accettabile.
I Placebo piacevano agli adolescenti – quelli che non avevano ancora la corteccia cerebrale intaccata da dosi troppo massicce di metallo, almeno – ed a qualche trentenne in vena di revival degli anni d’oro. Punto.
Sì, c’era stato un periodo della sua vita in cui s’era illuso di qualcosa. Delle stesse cose sulle quali si illudono tutti, probabilmente. Di essere universalmente amato – o universalmente odiato, potevano essere soddisfacenti entrambe le ipotesi – di restare un mito incrollabile nei decenni, un’icona assoluta, uno di quelli che poi, in vecchiaia, vengono chiamati ad insegnare la tecnica della musica nei conservatori.
Non era arrivato a questo livello – ed era ancora troppo giovane per verificare l’ipotesi del conservatorio – ma non era neanche il primo idiota sulla piazza. Nel suo piccolo, aveva raggiunto dei risultati consistenti. Lo riconoscevano per strada, era ricco, era stimato da gran parte della “gente che contava” – ed odiato da tutti gli altri, cosa che sì, era molto soddisfacente – e non doveva andare svendendo biglietti per fare il tutto esaurito negli stati più importanti d’Europa.
Per certi versi, era perfino motivo d’orgoglio essere stato chiamato a premiare il gruppo vincitore in quella categoria. Significava, in un certo qual modo, che lui era ritenuto un’autorità in quell’ambito.
Ciò detto, era perfettamente in grado di controllare le crisi. Aveva sempre controllato ogni crisi, sia nella vita pubblica che nella vita privata. Non c’era motivo di lasciare che un gruppo di eterni adolescenti recentemente promossi a ruolo di idoli delle masse riuscissero a mettere in discussione la sua lapalissiana capacità di gestirsi.
Perciò, sarebbe andato a premiare Matthew Bellamy e i suoi amichetti d’infanzia. E sarebbe stato grandioso. Anche da solo.
Era per questo che aveva gentilmente declinato l’invito di Stefan e, un paio di giorni dopo, era partito per Roma.
“Ma sei sicuro di essere pronto?”, gli aveva chiesto il bassista, sinceramente preoccupato, inarcando un sopracciglio inquisitore. Lui aveva candidamente risposto che non c’era niente per cui prepararsi. E doveva essere stato abbastanza convincente, perché Stef non aveva insistito oltre.
Era per tutti questi motivi che in quel momento, arricciato su una scomoda poltroncina dell’affollata hall dell’albergo in cui l’organizzazione l’aveva sistemato, all’una e mezzo del mattino, non riusciva a capacitarsi dell’orribile congestione di sensazioni confuse che si aggrovigliava nel suo petto, all’altezza dei polmoni, rendendogli difficoltosa perfino la respirazione.
La premiazione era terminata da un’oretta. Lui aveva fatto la propria brava figura di merda – sembrava non ci fosse niente che andasse per il verso giusto, quella sera: Amy Lee che sbagliava l’ordine delle tre parole in croce che doveva dire, il suo microfono che decideva per uno sciopero non autorizzato proprio nel momento in cui lui doveva usarlo, gli obiettivi delle telecamere che rimandavano al mondo intero l’immagine della sua smorfia di falsissimo stupore mentre i Muse scendevano dalla platea per raggiungerlo sul palco e gli abbracci impacciatissimi che aveva seminato a destra e a manca, compreso quell’idiota di Bellamy che gli si scagliava addosso neanche fosse il suo migliore amico giusto per sillabargli un velenosissimo grazie mille direttamente all’orecchio – e poi aveva capito che continuare a darsi per vivo in giro per la città non avrebbe di certo giovato alla sua immagine, né tantomeno l’avrebbe aiutato a recuperare i punti persi durante lo spettacolo.
Aveva rifiutato pacatamente ma con fermezza le insistenti avance di Bono Vox – l’unico uomo in grado di far sembrare un invito ammiccante anche un “andiamo a sfondarci di birra da qualche parte!” – e s’era rintanato in albergo, abbandonandosi su quella poltroncina in attesa che arrivasse l’ispirazione giusta per decidere se andare a dormire o dedicarsi allo svuotamento coatto dei banconi del bar accanto al ristorante.
Fuori dall’hotel, oltre le ampie vetrate che separavano l’ingresso dal mondo esterno, Bellamy e compagnia erano appena scesi da un enorme bus argentato. Intabarrati in una quantità indefinibile di cappotti, sciarpe e cappelli, trascinavano stancamente le loro valige e cercavano di tenere in equilibrio i premi ricevuti sulle mani libere – ma non sembravano neanche tenerci troppo, dopotutto.
Sbuffò un grugnito di disapprovazione per tanto infantile disinteresse, e sollevò le spalle, incrociando le braccia sul petto quasi fino a nascondercisi dietro, continuando ad osservare la scena.
Eccoli che si allontanavano dal veicolo, eccoli che si fermavano un secondo per aiutare il cantante a capire come portarsi dietro tre valige utilizzando le uniche due mani che aveva a disposizione per uno stupido scherzo della Natura – la cui grave mancanza era stata non avere previsto che lui potesse nascere umano, sì, ma anche patologicamente narcisista – e poi voltarsi d’improvviso verso un gruppo di ragazzine saltellanti che sì, davano decisamente l’idea di essere molto felici dell’inaspettato colpo di fortuna.
Sui visi del batterista e del bassista – ai quali, alla fine, erano toccate le valige in eccedenza – si poteva chiaramente leggere un’ombra di stanchezza neanche tanto discreta, ma Bellamy sembrava ancora fresco come una rosa, e si intratteneva a parlottare con le fan, dispensando sorrisi, autografi e fotografie.
Non c’era niente di umano, in quel comportamento. La Natura avrebbe dovuto farlo nascere scimmia.
Frattanto, l’ispirazione non arrivava. Non restava molto altro da fare, se non afferrare il cappotto abbandonato sul bracciolo della poltrona, avvolgercisi dentro, nascondersi dietro un paio di occhiali da sole ed un cappello ed approfittare della momentanea baraonda per allontanarsi da quel luogo, andare alla ricerca di Bono e chiedere direttamente a lui se l’invito fosse ancora valido o meno.
Roma era avvolta in una coltre di gelo, e la totale assenza di persone per strada la faceva sembrare abbandonata, molto più simile ad una riproduzione in ghiaccio in scala reale che non ad un vero e proprio centro abitato.
Lui adorava quella città. Era così elegante ed austera… gli ricordava incredibilmente l’enorme villa nella quale aveva vissuto da piccolo, in Lussemburgo. C’erano davvero pochissimi ricordi piacevoli gli restassero di quel periodo della sua vita, principalmente a causa di suo padre, doveva ammetterlo, ma c’era anche da dire che, in quella villa, suo padre, ai tempi ancora tremendamente impegnato col proprio lavoro, aveva trascorso davvero pochissimo tempo. E questo aveva dato modo a lui di godersi un sacco di tempo a saltellare dalle coccole della propria madre, alla servile gentilezza delle numerose tate, fino all’affetto giocoso che da sempre l’aveva legato a suo fratello Barry. Il tutto mentre correva spensierato per corridoi giganteschi tappezzati di moquette rossa che sembrava non dover finire mai, ed altissimi scaloni in marmo fiancheggiati da corrimano lucidissimi sui quali lasciarsi scivolare fra le urla isteriche delle cameriere.
Roma era ancora così, per lui, nonostante le numerose volte in cui vi si era trovato – per vacanza e per lavoro – avessero ormai cancellato del tutto l’alone di mistica novità che l’aveva ammantata la prima volta che l’aveva vista.
Per omaggiare quella stranissima e romantica nostalgia che lo stava invadendo, nonostante tutte le cattive sensazioni delle quali si sentiva ancora, suo malgrado, ripieno, si concesse un giretto per il centro. Sostò a lungo di fronte al Colosseo, perdendosi estasiato nei propri pensieri e nelle suggestive immagini che fornivano le luci dei lampioni tutti intorno, passando attraverso le volte in pietra ora integre, ora irrimediabilmente corrotte, dandogli l’idea di trovarsi immerso in un oceano di luce, a guardare dal basso un antichissimo ponte fatato.
Erano tutte stupidaggini, ma gli facevano compagnia e lo consolavano.
C’era anche molto freddo, però, perciò fu quasi naturale, passate più di due ore, cominciare a ritornare verso la civiltà e fare un giretto nella zona più animata – quella ripiena dei pub all’interno dei quali, lo sapeva, erano stati organizzati i vari after-party.
Entrò in un locale che l’aveva attirato per via della luce rossa e calda che si irradiava dalle finestre che davano sulla strada, sperando di essere fortunato e trovarci dentro Bono. Ma di lui nessuna traccia.
Sospirò, afferrando uno sgabello e sedendosi al bancone del bar, per poi afferrare distrattamente un menu e cercare di capire cosa ordinare dal mucchio. Non si sentiva granché in vena di alcolici pesanti, sinceramente. Aveva già bevuto abbastanza durante la premiazione, era già quasi completamente afono – e girovagare per una Roma mai così incredibilmente invernale non doveva aver giovato, in quel senso – e non aveva alcuna voglia di ritrovarsi il giorno dopo con l’ennesima bronchite e le urla di Alex nell’orecchio, mentre cercava di contrastare l’organizzazione di MTV che gli spiegava che non poteva certo pagare il suo alloggio in albergo finché non fosse guarito, “non siamo mica la Caritas, signor Molko”.
Stava comunque per cedere alle lusinghe del brandy e della crema al cioccolato bianco, ordinando un Alexander, quando qualcuno si avvicinò alle sue spalle, prese possesso dello sgabello affianco al suo ed ordinò per entrambi una birra italiana.
La voce affannata e profondissima, in grado di disintegrare, nella complicata operazione del parlare, fino a tre parole su quattro, non aveva bisogno di presentazioni.
Matthew Bellamy sedeva accanto a lui e sorrideva serenamente, agitando una mano a mezz’aria in segno di silenzioso saluto.
- Buonasera anche a te. – disse sarcastico, incrociando le braccia sul bancone, - Se capisci la mia lingua. O devo esprimermi a gesti?
Matthew rise apertamente, strizzando gli occhi e sbottonando con disinvoltura il cappotto, per poi appoggiarlo senza la benché minima cura sul bancone, disinteressandosi totalmente delle macchie di bagnato che insozzavano il marmo verde che lo rivestiva.
- Mi fa piacere vederti qui! – disse l’inglese, entusiasta, battendogli una mano sulla spalla, - Credevo che non avremmo avuto occasione per parlare, oggi!
Lui sorrise vago, inarcando le sopracciglia.
- Congratulazioni. – concesse, osservando quasi con soddisfazione l’enorme sorriso che si aprì sul volto dell’altro uomo nel sentire quelle poche lettere, - Vi è andata piuttosto bene.
- Mai visti tanti premi tutti assieme in vita mia! – esultò Bellamy, sinceramente stupito, stringendosi nelle spalle, - E dire che fino al duemilauno sembravamo destinati a restare un fenomeno di nicchia!
- Ognuno passa il proprio momento di gloria. – commentò lui, ringraziando il barista con un cenno quando portò loro le birre ghiacciate, - Che ci fai già qui? Potrei giurare di averti visto arrivare in albergo non più di…
- …saran passate tre ore. – si stupì lui, spalancando gli occhi di un celeste così genuinamente limpido da sembrare vuoto, - Non dirmi che sono arrivato troppo tardi e sei già ubriaco!
- No, sono appena arrivato anche io. – lo rassicurò Brian, sollevando la bottiglia per un brindisi, che Matthew concesse lasciandola tintinnare contro la propria senza neanche chiedere il motivo.
- Dì un po’… - riprese, dopo aver sorseggiato un po’ di birra, - Non ti sarai mica offeso?
- Mh? – chiese lui, incapace di trovare un solo motivo che fosse valido per il quale avrebbe dovuto essere irritato, quella sera.
- Be’, per quando ti ho ringraziato, sul palco. Dom mi ha fatto notare che il mio comportamento è stato un po’ irruento. Sai, l’abbraccio e tutto. Ad Amy Lee abbiamo appena stretto la mano, ecco. – si prese un secondo per ragionare, mordicchiandosi l’interno della guancia e guardando altrove, come stesse cercando di ricordare esattamente le parole del proprio batterista, - Insomma, lui ha detto che siccome è notorio che fra le nostre due band non corra buon sangue, forse sono stato un po’ troppo espansivo. E ha detto anche che questo avrebbe potuto essere interpretato come una presa in giro. E che quindi forse tu ti eri offeso.
Ascoltò il monologo fino alla fine, limitandosi a mostrare un’espressione incerta e vagamente incuriosita.
Era stato irritato dal comportamento di quei tre, sì, ma più che offeso s’era sentito quasi invaso. Sì, invaso rendeva bene. Invaso da un entusiasmo, il loro, che non avrebbe affatto dovuto appartenergli, ma che pure sembrava così spontaneo da risultare contagioso. E poi era vero che ad Amy Lee avevano appena stretto la mano, e che diamine. Perché a lui erano toccati gli abbracci? Cos’era lui, la donna del gruppo?
- Figurati. – rispose in un soffio, ben cosciente di non poter esternare nessuno dei pensieri che gli stavano attraversando la mente.
Frattanto, Matthew aveva annuito come non l’avesse nemmeno ascoltato, ed aveva ripreso a parlare.
- Sapevo che non potevi essere così infantile. – aveva commentato, dimostrando invece di averlo ascoltato perfettamente, - L’avevo detto io, a Dom. Peraltro, anche questo fatto del cattivo rapporto fra le nostre band, non è che mi sia tanto chiaro. Insomma, io l’ho sempre detto che i Placebo mi piacciono. Quando ho sentito che avevi parlato male di noi, mi sono messo a cercare sul web, ma non ho trovato nulla…
- Una volta… - deglutì lui, disorientato dalla valanga di parole dell’inglese, - ho detto che mi sarebbe piaciuto bruciare un vostro album.
- Che?! – strillò Matthew, spalancando gli occhi ed arricciando le labbra in un mezzo sorriso sconvolto, - Perché?!
Lui fece spallucce.
- Sembrava esattamente quello che il conduttore si aspettava. – rispose, a mo’ di spiegazione sensata, - Insomma, era lì che mi chiedeva “che ne pensi di questo, che ne pensi di quest’altro”… quando ho detto qualcosa di poco carino nei confronti di Ville Valo s’è entusiasmato parecchio, perciò ho pensato fosse quello “lo scopo del gioco”…
- …che modo fantastico di dirlo! – rise Matthew, stringendosi il ventre fra le braccia, - Se non ti piacciamo puoi dirlo, non mi offendo mica.
- Ho ascoltato solo i singoli. – sbuffò lui, sorseggiando la birra, - Non sono solito farmi opinioni musicali per così poco.
Matthew rise ancora, imitandolo nel bere.
- Allora non ti è servita un’opinione per spalancare occhi e bocca sul palco, mentre Amy Lee annunciava la nostra vittoria, prima!
- …coreografico, eh?
- Sì! E ridicolo, anche! – lo prese in giro, - Sembravi un po’ un pesce, se devo dire la verità.
Brian fece una smorfia, indietreggiando di qualche centimetro e stringendosi nelle spalle.
Sembrava andare tutto bene. Peccato. Avrebbe dovuto ricordare prima che stava avendo a che fare con un ragazzo che stava vedendo il successo – quello vero – per la prima volta, e che quindi si sentiva in diritto di trattare con malcelata sufficienza tutto il resto del mondo.
- Potevi anche risparmiarti la sincerità. – rispose duramente, poggiando la birra sul bancone con uno scatto secco.
Matthew ebbe un momento d’esitazione, che impiegò facendo oscillare la bottiglia sul ripiano, reggendola per il beccuccio.
- Mi dispiace, non volevo offenderti. – si scusò poco dopo. – Tra l’altro, quando sono sceso dalla platea e ti ho visto a pochi metri da me, non ho più pensato che mi sembravi ridicolo.
- Ah, no? – insistette Brian, guardandolo con indifferenza.
Matthew scosse il capo, tornando a sorridere sinceramente.
- Ti ho trovato bello. – disse a bassa voce. E poi sorrise più apertamente, ed aggiunse qualcosa in italiano. – Molto bello.
Lui riconobbe la lingua ed anche l’espressione, non era la prima volta che la sentiva. Ma era stanco – tremendamente stanco – brillo – ormai quasi ubriaco – ed anche abbastanza triste, e non la connesse ad alcun significato che gli fosse familiare.
- Sarebbe a dire? – chiese, vagamente imbarazzato per via del complimento che aveva comunque intuito fra le parole di Matthew.
- Sarebbe a dire che mi piaci molto. – aggiunse lui, perfettamente a proprio agio. – Sei elegante, quando ti muovi… intendo, quando non fai il buffone. – sbuffò una risatina che Brian si ritrovò ad inseguire con la propria vocetta malandata, suo malgrado, - E hai dei lineamenti incredibilmente affascinanti. – sorrise ancora, arrossendo lievemente, - Scommetto che sei bellissimo anche senza trucco. – sussurrò, sollevando una mano fin quasi a sfiorargli una guancia. Ma poi si fermò, abbassando repentinamente lo sguardo. – Ed io invece devo essere completamente ubriaco, per dire cose simili. – concluse, tornando a nascondersi dietro la bottiglia di birra, come se quanto aveva appena detto fosse stata solo un’illusione.
Brian deglutì, cercando di riprendere a respirare normalmente.
- Grazie. – disse incerto, per quanto si rendesse conto quella fosse una risposta abbastanza stupida, nonostante fosse anche l’unica possibile. – Forse adesso è meglio che vada.
Matthew annuì comprensivo.
- Scusa. – aggiunse, - Non volevo metterti in imbarazzo.
Brian scosse il capo ed agitò una mano, ma non disse una parola perché sì, era davvero in imbarazzo.
Saltò giù dallo sgabello, facendo per infilare le mani in tasca e tirar fuori il portafogli, per pagare la propria metà di conto, ma Matt lo fermò con un gesto deciso, si alzò in piedi al suo fianco e lo salutò con un abbraccio identico a quello che s’erano scambiati sul palco degli EMA, ma molto più caldo, lungo e, per certi versi, intimo.
Brian ebbe tutto il tempo di girare attorno uno sguardo confuso, alla ricerca di un qualche motivo per sentirsi ancora più in imbarazzo di quanto già non fosse – come qualcuno che li stesse spiando e stesse ridendo di loro, per esempio – ma tutti gli avventori, compresi i pochi volti noti, tra i quali anche Bono Vox, che doveva essere arrivato da poco, sembravano impegnati a ridere e scherzare per conto proprio, e non badavano affatto a loro due, che continuavano a stringersi in maniera un po’ impacciata proprio davanti all’affollato bancone del locale.
- Mi piacerebbe rivederti, se per te non è un problema. – gli sussurrò velocemente Matthew. Il suo fiato caldo gli sfiorò il collo, ed a Brian non sembrò niente di particolarmente velenoso. Al punto che fu obbligato a chiedersi se quello che aveva sentito sul palco, invece, lo fosse, o se fosse stato tutto un parto del proprio risentimento.
Si separò da lui. Sorrise ma non rispose, e Matthew non sembrò stupirsene particolarmente.
Si salutarono con un altro cenno della mano e lui uscì dal locale, immettendosi nuovamente nell’aria gelida della città di notte, che gli raffreddò le gote e la punta del naso fino a dargli l’esatta misura di quanto l’abbraccio di Matt l’avesse imbarazzato.
Almeno, aveva risolto il problema dell’ispirazione: la sua musa non faceva che ripetergli fosse decisamente il caso andasse a dormire, una buona volta.
Tutte le sue buone intenzioni, però, vennero sabotate da un gruppetto di fan che, nel suo comprensibile stupore, lo circondarono all’improvviso, cominciando a tirare fuori dagli zainetti le macchine fotografiche ed i diari da farsi autografare.
- Niente foto, per favore. – riuscì a malapena a rantolare, cercando di schiarirsi la voce con risultati poco soddisfacenti. Poteva solo immaginare lo stato pietoso in cui doveva trovarsi, e decisamente quello non era un ricordo di sé che volesse lasciare ai posteri, neanche se si trattava dei nipotini dei suoi fan.
Una delle ragazze che componevano il gruppo se ne separò, avvicinandosi a lui un po’ titubante. Stringeva fra le braccia un involtino di pezze bianche, lievemente macchiate di tempera nera, ed era rossa come un pomodoro, nonostante il freddo.
Quando stese le braccia, tendendogli l’involto, lui lo prese con una lieve esitazione, e ne denudò il contenuto: un suo ritratto. Fatto a mano.
Sconvolto, tornò a guardarla, boccheggiando.
- È fantastico! – disse in inglese, cercando di farsi capire più coi gesti che con le parole, viste le condizioni ormai disastrose in cui versava la sua voce, - Davvero, è uno dei regali più belli che mi abbiano mai fatto!
La ragazza sorrise ed annuì incerta. Non sembrava averne capito molto, e d’altronde erano quasi le quattro del mattino e sembravano un po’ tutti rintontiti dal sonno. Lui compreso.
Lanciò un’occhiata all’interno del locale, dove ancora Matthew sorseggiava la propria birra, ormai solo, e poi tornò a guardare la ragazza, cercando di sorridere serenamente.
- Molto bello. – ripeté in italiano. E quando la ragazza spalancò gli occhi e, commossa, si lanciò in un’infinita serie di ringraziamenti in un inglese impacciato ed abbastanza cacofonico da risultare perfino carino, seppe di aver fatto centro.
Nessuno scattò foto. In compenso, concesse una quantità inenarrabile di autografi.
Dopodichè, la musa insistette fosse proprio il caso di tornare in albergo. E lui si sentì in un momento talmente soddisfatto che ubbidì senza pensarci troppo.
Fanfiction a cui è ispirata: The Bitter End di Stregatta.
Genere: Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: NC-17
AVVISI: Angst, Slash, Spin-off.
- Passato un anno dal giorno in cui Brian ha deciso di troncare la strana relazione che lo legava a Matthew, la parola a quest'ultimo, per spiegare ragioni e sentimenti. Se di cose simili si può parlare.
Commento dell'autrice: Certo, mi rendo conto che per essere una shot conclusiva di una saga è abbastanza frustrante XD Ma quei due sono due stronzi: vi pareva che potessero darci una qualche minima soddisfazione? XD Per quanto mi riguarda, in The Bitter End, Stregatta è stata fin troppo buona! è_e
Il mio motto, mentre scrivevo questa fic, è stato: se dobbiamo essere cattivi, siamolo almeno fino in fondo e appassionatamente. Solo che, seguendo alla lettera questo principio, purtroppo è venuta fuori una roba vagamente incompleta, crudele, esibita, fine a sé stessa e anche vagamente compiaciuta °_° A parte lo stile usato per la narrazione, per il resto, infatti, è molto diversa da The Great Pretender. In un certo senso, naturalmente, doveva essere così. Perché Brian e Matthew, pur essendo due uomini piuttosto incattiviti, sono comunque fondamentalmente diversi. Non potevo ignorare quella nota di crudeltà gratuita cui sia Stregatta che io avevamo accennato nelle altre storie *-* Andava approfondita è_é Matthew ne viene fuori comunque maluccio, ma ehi, almeno ha spiegato le proprie ragioni >____ Grazie per aver seguito fino a qui *-* E… se volete dare un ulteriore seguito alla saga dei bastardi… siete le benvenute X’D *tifa per una neverending story*
Per il titolo si ringrazia l’omonima canzone degli X-Japan <3 fedeli compagni di tante avventure fanficcose *-* Che poi è anche bellissima. E contiene una delle linee di piano più belle che siano mai state composte… <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
UNFINISHED

Da quando hai tradito Gaia la prima volta, a Dominic non hai più raccontato niente delle tue cosiddette “avventure”. Non l’hai più fatto perché l’occhiata che ti ha lanciato quell’unica volta ti è bastata per capire cosa stesse pensando di te e del tuo modo di agire. Lui ha sorriso, è stato comprensivo, mentre raccontavi ti ha dato perfino ragione. Ma tu lo conosci da una vita e sai che, nonostante ti sia rimasto accanto, in realtà per te ha provato solo una considerevole dose di indignazione e disgusto.
Perciò, di tutte le decine di persone senza faccia che si sono susseguite nel corso dei tuoi sette anni con Gaia, nonché di tutti gli altri che poi ne hanno preso il posto negli ultimi due anni senza di lei, Dominic non sa nulla. Nomi, circostanze, nottate spese da te o da loro. Niente di niente. Persi nella polvere.
Chiaramente, non sa nulla neanche di Brian. Non ne sa nulla perché quando l’hai avuto la prima volta stavi ancora con Gaia, e non ne sa nulla perché quando avete cominciato la vostra strana relazione, dopo che Gaia era sparita, a te aveva fatto più comodo tacere.
Se non altro perché ti sarebbe dispiaciuto osservare riflessa negli occhi di Dom di nuovo quella sfumatura di irritazione manifesta eppure arginata entro i confini di un affetto che, lo sai, neppure le peggiori nefandezze potrebbero estinguere.
È lo svantaggio di conoscersi da tanto tempo, dell’essere importanti l’uno per l’altro come fratelli se non di più: se pure non riesci a condividere le scelte dell’altro, ciò che condividi, che non puoi fare a meno di condividere, è l’altro stesso. La sua persona.
Date le circostanze, dunque, non ti stupisce che adesso Dominic ti fissi perplesso dall’altro lato del tavolino del pub in cui state bevendo birra da una mezz’oretta.
- ‘Cazzo t’è preso? – borbotta, battendo lievemente il boccale sul ripiano in legno per attirare la tua attenzione.
Tu stacchi gli occhi dal corpo di Brian e lo guardi.
- Niente. – affermi, scrollando le spalle. – Perché?
- Fa’ un po’ tu, ti sei ipnotizzato a fissare il vuoto.
Gli occhi di Dominic, probabilmente neanche l’hanno registrata, la sua presenza. Non l’hanno registrata perché Brian Molko per Dominic Howard ha la valenza di un complemento d’arredo. C’è, ma non sembrerebbe strano se non ci fosse. C’è, ma non è necessario pensarci su. C’è, ma non è importante notarlo.
Non è strano incontrarlo, perché in fondo siete a Londra, in un pub molto frequentato da quelli come voi, e quindi non è affatto inspiegabile la sua presenza nel fondo del locale, mentre sorseggia un drink e fuma distrattamente una sigaretta, passandosi stancamente una mano sulla fronte mentre il suo batterista cerca di parlargli e gli gesticola davanti come un bambino in cerca d’attenzione.
Dominic non lo sa – e se lo sapesse probabilmente metterebbe da parte la facciata da connivente, più che da amico, che mostra con te da quando ha scoperto che sei un bastardo traditore, e ti costringerebbe a uscire da questo locale strisciando – ma tu con quell’uomo hai un conto in sospeso. Perché tu con quell’uomo ci sei stato. E alla fine sei stato mollato.
Oh, non che tu l’abbia messa in questi termini, nel periodo in cui vi frequentavate, certo che no. La versione ufficiale, quella in cui credevi – quella che, in fondo, rispecchiava la più nuda verità dei fatti – era che vi scopavate a vicenda perché ogni volta che vi trovavate vicini o che i vostri sguardi si incrociavano vi eccitavate in maniera veramente indecorosa. Ma poi ci hai riflettuto, e hai anche capito che “la nuda verità dei fatti” non è che una semplificazione degli stessi. E le semplificazioni, lo sai, sono stratagemmi sciocchi che gli esseri umani utilizzano per rendere più accessibili cose che, se viste nella loro più vasta e sensata complessità, non vorrebbero vedere neanche da lontano.
La tua relazione con Brian Molko era quel tipo di cosa. Una cosa che non avresti voluto vedere neanche da lontano, se l’avessi presa per l’enorme garbuglio che effettivamente era. Un rapporto patologicamente ossessivo in cui l’ostinazione spesso prendeva il posto del vero desiderio. Un rapporto in cui era più importante soggiogare l’altro fra le lenzuola che non godere del piacere che riusciva a darti. Un rapporto in cui contavano di più le ferite che riuscivate a scoccarvi con le chiacchiere fra una scopata e l’altra, che non le scopate stesse.
Era molto più comodo che Brian restasse “quello con cui scopavi”.
In realtà era quello con cui stavi.
Che la vostra relazione fosse malata o meno, sempre di relazione si trattava.
È comodo prendere la verità per sommi capi, senza approfondirla. Tu l’hai tenuta per gli angoli, come un lenzuolo sporco, per tutto l’anno in cui vi siete frequentati. Poi lui s’è reso conto dello schifo in cui vi trovavate prima di te, e ti ha lasciato.
La bruciatura non t’è mai passata. Ecco perché adesso lo guardi e ti sembra che potresti sbranarlo con gli occhi.
Ma Dominic non lo sa, perciò chiede.
E tu non vuoi dire cosa c’è sotto, perciò assecondi un pettegolezzo.
- Hai visto chi c’è? – domandi piatto, indicando Brian con un cenno del capo.
Dom mugugna un’inarticolata richiesta di spiegazioni e si volta nella sua direzione, allungando il collo per adocchiarlo meglio.
- Ha! – sbotta poi, mentre gli occhi gli s’illuminano di una strana luce infastidita, - Toh! La merda!
Dominic non è uno che serbi rancore a lungo. Ma per Brian ha sempre fatto un’eccezione. Forse perché ha sempre trovato indecente che uno come lui, facendo quello che fa lui, potesse azzardarsi a mettere bocca sulla musica che fate voi. E che rappresenta indiscutibilmente la cosa più importante che esista per Dom.
Ghigni divertito e ti stringi nelle spalle.
- Inaspettato, vero? – borbotti ironico.
- Vuoi andare via? – ti chiede lui, inarcando le sopracciglia.
Già. Perché in teoria tu dovresti voler stare a chilometri da Brian Molko.
Sì, anche se in pratica in realtà vorresti chiuderti con lui nella prima camera da letto disponibile.
- Nah. – scuoti il capo, - È arrivato il momento di regolare i conti.
Ti alzi in piedi, e Dom solleva il boccale nella tua direzione, facendoti i propri auguri.
- Cerca almeno di non farti pestare. – rimbrotta, affondando il naso nella birra, - Sarà pure più basso di te, ma in confronto a lui tu sei un fuscello.
Ridacchi e continui a dirigerti con naturalezza verso il suo tavolo.
A un paio di metri di distanza lo senti sbottare isterico che, di ciò che il suo batterista cerca di spiegargli da almeno mezz’ora, non gli frega un cazzo.
I lineamenti del suo volto sono tesi, gli occhi sono arrossati dal fumo e lui è così irritato che sembra lanciare scariche elettriche nell’aria intorno a sé. Potrebbe fulminare qualcuno. E tu lo conosci poco ma hai come l’impressione che la persona che vorrebbe fulminare si trovi proprio lì davanti a lui.
Batti un colpetto sulla sua spalla e lui si volta a guardarti repentinamente, mentre anche gli occhi del batterista si posano su di te in un misto di stupore e incredulità.
Gli occhi di Brian invece dipingono tutt’altro quadro. Un quadro di paura e smarrimento. Il quadro esatto di chi avrebbe potuto pensare a tutto meno che a quella eventualità. Il quadro esatto di chi, nel momento in cui l’eventualità diventa realtà, si dà dell’idiota: perché avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto evitarlo e non c’è riuscito. Peggio, non ci ha proprio neanche provato.
- Hai due minuti? – gli chiedi gentilmente, indicando la porta del locale con un pollice.
È evidente lui non sappia cosa fare. È evidente lui si alzi in piedi solo perché sospinto da una strana curiosità che è poi esattamente lo stesso motivo per cui ti segue fuori dal pub senza spiccicare una parola.
- È passata un’eternità. – constati con un breve sorriso mentre passeggiate fianco a fianco sul marciapiedi, le mani ficcate a fondo nelle tasche dei cappotti e il mento affondato nelle sciarpe. Siete vestiti praticamente allo stesso modo, lui in bianco, tu in nero. Trovi questa coincidenza semplicemente stupenda, anche se non sapresti spiegarne i motivi.
- Non abbastanza, per quanto mi riguarda. – sibila Brian, astioso, scoccandoti un’occhiata glaciale almeno quanto il vento che vi sferza contrario per la strada.
- Come sei cordiale. – commenti sarcastico, - Sai, quasi la dimenticavo, la tua proverbiale gentilezza.
Brian sospira, socchiudendo gli occhi e fermandosi all’improvviso in mezzo al marciapiedi.
Per la strada ci siete praticamente solo voi. Voi e le rare macchine che macinano lentamente centimetri su centimetri d’asfalto, guidate da automobilisti terrorizzati dalla possibilità di incontrare ghiaccio mortale sotto le ruote.
Ti fermi al suo fianco e lo guardi.
- È stata una giornata di merda, Bellamy. – sbotta lui, infastidito, - Quindi, se hai veramente qualcosa da dire, parla. Altrimenti, la strada per andare a fanculo la conosci.
Decidi senza troppi pensieri di ignorare quella che, in fondo, non è che una richiesta di pietà, e sfoggi un sorrisetto furbo.
- Mi ci hai mandato tante di quelle volte che ormai la sento un po’ come l’unica via possibile, con te! – ridacchi divertito.
Lui ti guarda per qualche secondo, come chiedendosi se tu stia facendo sul serio. Poi qualcosa nei suoi occhi cambia. Probabilmente realizza che sei effettivamente stronzo come ricordava, e abbassa lo sguardo, rassegnato.
- Cos’è che vuoi? – chiede, riprendendo a camminare.
- Volevo solo sapere come ti andava la vita. Lavoro, amici, amore…
- Tutto perfetto, grazie mille.
- Mi fa piacere. – sorridi sereno, - So che adesso stai con Helena Berg, e che è anche in dolce attesa…
- Ci siamo lasciati. E la gravidanza è stata una montatura dei giornali. – ti solleva addosso uno sguardo brillante e un ghigno sicuro, tale e quale a quelli che sfoggiava spesso con te quando vi vedevate. Ti fa piacere rivederlo così, è un po’ come ritrovare un pezzo di passato perduto, - Ti pare che se stessi ancora incatenato e con un moccioso in arrivo potrei dirti che è tutto perfetto?
Scoppi a ridere. Non vorresti ma lo fai comunque, e devi quasi tenerti lo stomaco per il gran divertimento.
- Adesso sì che sono sicuro che stai bene! – commenti, piacevolmente sorpreso, mentre anche Brian si lascia andare ad un sorriso vagamente sincero e tu capisci che queste battutine, queste beccate provocatorie, questo innocuo gioco al massacro senza regole che avevate messo su due anni prima, ti era un po’ mancato. E probabilmente anche a lui.
- Dovresti trattare meglio il tuo batterista, comunque. – consigli con aria disinteressata, imboccando una strada secondaria nel momento in cui vedi il marciapiedi riempirsi di gente, - Se continui a ignorarlo come hai fatto poco fa, finirà che ti mollerà come il primo.
Brian si lascia andare ad un sorriso storto e inquietante, sbuffando una mezza risata.
- Il primo batterista l’ho buttato fuori io. – precisa con presunzione, lanciandoti l’ennesima occhiataccia della serata, - Comunque mi fa piacere notare che non hai perso l’abitudine al giudizio facile.
- Parli proprio tu! – protesti divertito, - Non hai fatto che sparare sentenze su di me dalla prima volta che mi hai visto! Anzi, in realtà già da prima…
- Ma avevo ragione su tutto.
- Sicuro?
- Certo. Io ho sempre ragione.
- Ah-ha. – annuisci, - E dimmi, quando mi hai mollato… avevi ragione anche allora?
Lui ti guarda, e per un solo secondo riesci a scorgere nel fondo delle sue pupille una nota di panico che proprio ti mancava, nell’enorme campionario di occhiate di Brian che hai custodito gelosamente in un baule nel fondo della memoria nel corso degli ultimi dodici mesi.
Realizzi: lui non ci ha riflettuto, su quello che siete stati. Lui ha continuato a trincerarsi dietro la verità più facile.
- Siamo stati insieme? – chiede infatti, sarcastico, - E quando?
Tu sorridi, abbassando lo sguardo sul ciottolato che state percorrendo, a zonzo per i vicoli del centro di Londra.
- Eppure mi pare di ricordare un periodo della nostra vita in cui abbiamo condiviso il letto, Molko.
- Esatto. – ribatte lui seriamente, - Il letto e nient’altro.
- Che tristezza! – sospiri allora, inarcando giocosamente le sopracciglia verso il basso, - E i mobili della cucina, il divano del salotto, la vasca da bagno…
- Oh, be’, scusa. In effetti hai ragione. Stilerò un elenco di ogni centimetro sul quale abbiamo scopato e poi lo leggerò ad alta voce, così nessuno dei nostri appartamenti si sentirà offeso. Contento?
Ridacchi.
- Sei un po’ troppo acido per essere uno che ha una vita perfetta.
- Sei tu che mi rendi acido. – si ferma un secondo, adocchiando distrattamente la neve che comincia a cadere intorno a voi. – E mi fai ritrovare la parlantina. – aggiunge cupo.
Dovresti ghiacciare, ma in realtà non senti neanche freddo. Questa capacità di scaldarti internamente è sempre stata una prerogativa del corpo di Brian. Forse è per questo che con lui hai insistito tanto. Che hai cominciato la relazione, invece di aspettare e vedere se sarebbe stato lui a cominciarla. L’hai fatto tu, perché Brian non era una certezza. Non era scontato che decidesse di vederti una seconda, una terza, una quarta volta. Non era scontato ma tu lo volevi, e perciò l’hai preteso e ottenuto.
Sai anche dove sta la differenza con gli altri: lui non è stata la prima persona che hai preteso e ottenuto, ma è stato il primo per cui hai combattuto.
E forse è proprio questo che ti infastidisce tanto. Sì, ti indispone aver combattuto per qualcosa ed esserti ritrovato alla fine con niente in mano. Brian non ha perso la propria lucidità, durante la vostra relazione. Tu invece sì. Hai creduto che non sarebbe mai scappato, che la maglia di sesso e cattiveria che avevi tessuto attorno a lui fosse abbastanza forte e fitta da stringerlo senza scampo. Ma ti sbagliavi. E forse eri troppo stordito dal suo profumo per accorgertene.
Il profumo di Brian è lo stesso anche adesso. È lo stesso, anche se si porta dietro un anno di rabbia. È lo stesso, perché l’anno che per te è stato un anno di rabbia, non lo è stato per lui. E perciò lui è ancora intatto. Esattamente come lo ricordavi.
Lo stringi contro un muro e non t’importa se siete per strada. Se qualcuno potrebbe vedervi. Se c’è un freddo che ti gela le ossa. Lo stringi al muro e lo baci profondamente, ansimando sbuffi di fiato che si condensa sulla sua pelle. E lui ti sorride fra le labbra, e sbuffa anche lui, ma del suo respiro tu non lasci andare neanche una goccia.
- Ti sono mancato…? – chiedi sarcastico, separandoti da lui e sfiorando con le labbra il profilo del suo volto.
- Se ti dico di no, ci credi? – ghigna lui senza aprire gli occhi, sollevando appena il viso e tendendo la pelle del collo in attesa che tu possa scenderle addosso, assaggiandola. Scuoti il capo, strofinando il naso contro il suo in un gesto volutamente infantile e capriccioso, - Eppure sarebbe la verità. – commenta secco lui, - Non mi sei mancato affatto. Almeno, non dopo i primi giorni…
- Tutta questa sincerità mi ucciderà. Seriamente, rischi di mandarmi in overdose, non sono abituato.
- Non fare sarcasmo.
- E tu non parlare troppo.
Ti chini ancora su di lui. Sei rude, lo sei sempre stato, e lui non si stupisce quando ti sente infilare una mano sotto il giaccone, alla ricerca della pelle sotto gli abiti. Ha solo un lieve tremito quando sente addosso le tue dita ghiacciate, ma non si discosta e non ti ferma. Si lascia baciare, si lascia stringere, si lascia accarezzare.
- Tu mi sei mancato…
- Adesso sei tu che parli troppo.
Sorridi e torni a baciarlo, slacciando la fibbia del cappotto e strappandoglielo di dosso, per poi gettarlo per terra.
- Sei pazzo? – ride lui mentre ti osserva fare lo stesso col tuo, - Si muore di freddo…
- Ti scaldo io. – lo rassicuri sensuale, succhiando avidamente la pelle tenera sotto il suo orecchio.
- Sì, ma gli altri vestiti lasciameli addosso… - annuisci distrattamente, sfibbiandogli i pantaloni, - …e non ti spogliare neanche tu, non ti voglio sulla coscienza.
- Non sono coglione a questo punto.
In realtà stai mentendo.
In realtà lo sei eccome.
Lo sei già solo per il fatto che adesso sei in un vicolo buio e nascosto, privo perfino di finestre sui muri dei palazzi, che si imbianca di neve in una serata invernale che più fredda non avrebbe potuto essere, e stai schiacciando Brian Molko contro una parete in cemento armato, per scopartelo.
Lo sei per il fatto che non sai imparare dai tuoi errori, e che per questo stai sempre male a livelli disumani. Talmente male che il dolore supera la soglia di sensibilità. Talmente male che è come quando metti la mano sotto il getto d’acqua bollente al punto da sembrarti ghiacciata. Talmente male che per non sentirti peggio fai ogni genere di nefandezza e tratti gli altri come accessori del tuo piacere, nel tentativo di lenire il dolore anche se sai bene – perché lo provi sulla pelle ogni dannatissima volta – che non servirà neanche per un cazzo.
Sei un coglione.
Non hai cervello.
E non hai dignità.
E forse è per questo motivo che, quando senti Brian venirti tra le mani, decidi che è il momento di prenderti una pausa dalla tua stessa idiozia. È il momento di cambiare giro. Solo per un po’.
Ti conosci, sai che tornerai a comportarti come prima. Perché come tutte le brutte abitudini ormai è un vizio. Sai che prima o poi riprenderai. Come si sa che chiunque smetta di fumare un giorno ricomincerà. Come si sa che chiunque si disintossichi dalle droghe un giorno riprenderà a farsi.
Perché quando cose del genere ti entrano in circolo, si sostituiscono al sangue e ti fanno esplodere il cervello, è verso di loro che continui a tenderti.
Perché magari ti fanno male ma almeno è qualcosa.
Almeno senti qualcosa.
Ma intanto ci provi, a venirne fuori.
Ci provi e ti rassicuri col fatto che poi tornerai quello di prima.
Qualche mese di vacanza non potrà che farti bene, no…?
- È stato solo un episodio. – gli sussurri nell’orecchio senza permettergli di voltarsi a guardarti. Trema come un pulcino, perché adesso che non scopate più il freddo si sente eccome. Fin dentro. – Non pensare che voglia tornare con te.
Lui sbuffa una risata sarcastica.
- Quanto sei stronzo. – afferma scrollando il capo. – Sei davvero peggio di quanto pensassi, Bellamy.
E dire che non ti conosce.
Se ti conoscesse, forse allora…
…ma il suo parere non avrebbe comunque alcuna validità.
- Addio, Brian. – sorridi. – È bello trovarsi dall’altra parte della barricata, per una volta?
Lui ha un attimo d’esitazione. Prova a voltarsi per guardarti, ma cambia idea all’ultimo minuto.
- Che intendi dire? – sussurra incerto.
Tu sorridi cattivo sulla sua pelle e gli mordi il collo. Così, senza un perché. Non vuoi neanche fargli male, e infatti addosso non gli resta nemmeno un segno.
- Niente. – rispondi spiccio, separandoti da lui e chinandoti per recuperare il cappotto da terra.
Per un attimo, mediti se sia il caso di prendere anche il suo e metterglielo sulle spalle.
Il solo fatto che tu ci stia pensando su indica però che non vuoi davvero farlo.
E lasci perdere.
Fanfiction a cui è ispirata: The Show Always Must Go On di Stregatta.
Genere: Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: NC-17
AVVISI: Angst, Slash, Spin-off.
- E' un tipico pomeriggio invernale inglese. Brian Molko sta buttato sul divano come una pezza vecchia e si annoia. Questo, almeno, fino a quando non riceve una telefonata da un "conoscente"...
Commento dell'autrice: …no, io amo, semplicemente amo quando le storie mi sfuggono così di mano <3 Che poi, no, aspettate: che questa storia sarebbe stata così, per sommi capi (ovvero bastarda e vagamente compiaciuta della propria sfacciata crudeltà XD), l’ho sempre saputo ù.ù Nel senso che proprio è nata seguendo la scia di malessere quasi fisico in cui mi aveva lasciata leggere Show. Con quella storia ho avuto un rapporto complesso, perché l’ho amata ma mi ha messo anche di fronte a un Matthew che ho faticato a maneggiare XD La classica cosa da trattare coi guanti. Io un Matt così non avrei mai pensato di buttarlo giù o.o E invece, manco a dirlo, è una figata T^T Guardatelo, è bellissimo!!! *abbraccia*
Quello che non mi aspettavo, della storia, era che venisse fuori così introspettiva O.O Ne sono nate riflessioni del tutto slegate dal progetto originale (riassumibile in: Matt è stronzo e figo e siccome Brian è altrettanto stronzo e figo devono scopare è______é!!!), che peraltro mi piacciono pure. Per dire, tutto il pezzo in cui Bri riflette sullo sfarzo del palazzo di Matt e sui propri nonni XD Oppure la questione dei letti grandi… sono cose particolari e anche piuttosto inedite. Di quelle che proprio ti piace buttare giù.
Che poi ultimamente mi rendo anche conto che rompo il cazzo, con l’introspezione X’D Ormai scrivo solo robe incapaci di staccarsi dal filo di pensieri del protagonista T.T Sono perduta, dovrei ricominciare a leggere di più, se continuo così finirò col farmi il verso da sola :\ *lo dice perché sa che Nai si infurierà e comincerà a prenderla a parolacce*
Riguardo la narrazione non ho molto da dire. È uno stile che non uso spesso (mi pare di averlo usato solo una o due volte in tutta la mia storia di fanwriter… la prima volta ero pure troppo piccola, mi sa X’D La seconda è stata in Labyrinth – e sinceramente è stato il ricordo di quella a farmi provare questa via adesso XD), e la motivazione che ho tirato fuori al telefono con Nai per giustificarla è stata: è una storia banalissima! Ciò che succede è banalissimo! Loro sono banalissimi! Dicono cose banalissime! Perciò almeno lo stile lo faccio meno noioso, così forse questa fic avrà una sua validità èoé Voi che dite? XD
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THE GREAT PRETENDER

È un tipico pomeriggio invernale inglese. Reso scuro da una fitta cappa di nubi basse color grigio topo e freddo, freddo ghiacciato, di quello che ti prende e ti si infiltra sotto la pelle, fra i muscoli e i tendini, e poi raggiunge le ossa, e ti sembra quasi che le ferisca, sferzandole impietoso mentre cerca di trasformarle in cristallo prima di ridurle in mille pezzi. Il freddo doloroso che porta il vento, quando ti si accanisce contro e cerca ti tagliarti la pelle del volto, screpolandoti le labbra e irritando il naso.
Prima che lui ti chiamasse, era anche un noioso pomeriggio invernale inglese. Gettato sul divano come un panno vecchio, guardavi annoiato la televisione senza che t’importasse realmente di cosa stava cercando di comunicarti, e giocavi distratto tra le pieghe un po’ rovinate di un cuscino, meditando sulla possibilità di cambiare la tappezzeria in tempi brevi o lasciar perdere fin quando non fosse stato impossibile ignorare ancora il problema.
Poi ha squillato il telefono, l’hai sollevato e hai visto lampeggiare sul display un numero sconosciuto che ti ha fatto presagire guai. Hai risposto – se non altro perché sai che la tua manager tende a chiamarti con numeri non propri quando sa che non risponderesti se vedessi il suo, e sai anche che ignorarla una volta può andar bene, ma il menefreghismo prolungato porta solo una quantità enorme di guai.
Non eri preparato.
Non eri affatto preparato alla voce di Matthew Bellamy dall’altro lato dell’apparecchio.
Non hai faticato a riconoscerla, quella voce. Un po’ perché l’hai sentita strillare alla radio di stelle, buchi neri e rivelazioni non più di un’ora fa. Un po’ perché ricordi ancora benissimo – troppo bene – la sensazione spaventosamente fisica di quella voce a lambirti la pelle del collo in caldi sbuffi di fiato vagamente umidi.
- Ciao. – hai salutato, confuso, stringendo il cellulare fra le mani.
Lui ha riso.
- Non ti ricordavi di avermi dato il numero? – ha chiesto con aria da sbruffone.
- Certo che lo ricordavo.
- Allora non credevi che avrei chiamato…
Già. Ma non l’hai detto.
Qualche secondo di silenzio. Non uno di più né uno di meno rispetto al necessario. Non fossi stato così dannatamente incasinato da non sapere quasi più neanche il tuo stesso nome, ti saresti complimentato con lui per la scelta dei tempi.
- Ti va di riprendere la discussione che abbiamo lasciato a metà a casa di Way? – ha proposto lui con noncuranza.
Tu hai sbuffato sonoramente.
Non ricordavi di aver lasciato in sospeso nessuna discussione. L’odore del suo sudore, della sua eccitazione, del suo orgasmo, li riporti alla mente con una facilità impressionante. Con la stessa facilità con la quale ricordi i tuoi. Quindi, che fra voi due non c’è niente di sospeso, lo sai.
A meno che lui non si riferisca a quell’altra strana questione.
Quella dell’approfondire. Magari su un letto.
Anche quella la ricordi.
Ma fai a gara con te stesso per ricacciarla in fondo alla mente da quando l’hai sentita.
- Non vedo a che pro.
Matthew Bellamy ha riso.
E tu ti sei sentito offeso a morte.
Questo lo sai perché la tua pelle s’è tesa tutta in un’unica volta, e hai scoperto i denti in un sorriso sarcastico e infastidito. Lo schermo del televisore, in un brandello di nero fra una pubblicità e l’altra, ti ha rimandato addosso un riflesso spaventoso. Sorridi in modo così orribile solo quando sei veramente offeso.
Non gli hai dato modo di accorgersene.
- Sei interessante. – ti ha detto lui, quasi con curiosità scientifica, - Mi andrebbe di conoscerti meglio.
E allora hai riso tu.
La verità è, in questo momento come quaranta minuti fa, quando reggevi un cellulare fra le dita e fissavi il vuoto con aria sarcastica, che quest’uomo ti stuzzica. Che per anni hai avuto di lui un’idea ben precisa, un’idea colorata di stupidità, sbadataggine, stravaganze e sottomissione. Che poi lui ti si è presentato davanti con prepotenza e hai scoperto che in realtà, dell’idea che avevi di lui, restava ben poco di reale. Quasi niente.
E quindi.
Ora sei davanti al portone di un enorme palazzo a vetri dall’aria sciatta e falsamente elegante. Cerchi il nome sul citofono e pressi il pulsante appena lo trovi, senza esitare neanche un attimo.
È curiosità, solo curiosità, quella che vuoi soddisfare.
Lui apre e sillaba “decimo piano” senza neanche chiederti di identificarti.
È un punto a tuo favore, ti sta aspettando con trepidazione.
Segna un punto anche lui, però: è totalmente a proprio agio.
E anzi, gioca in casa.
Inghilterra-Lussemburgo: due a uno.
Sospiri, immettendoti nell’atrio del palazzo, e mentre ti guardi intorno ti ripeti che i tuoi nonni avevano ragione ad insistere sul fatto che non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina. Non li hai mai ascoltati – se l’avessi fatto, non avresti cominciato a truccarti e fare la puttana sui palchi di mezzo mondo, probabilmente – ma ora, lanciando occhiate severe al puro, sfavillante sfarzo che ti circonda, sai che avresti dovuto. Quello che all’esterno sembrava uno di quei palazzi moderni pronti ad esibire un’opulenza megalitica quanto inconsistente, è in realtà un palazzo semplicemente ricco. E basta.
Scrolli le spalle ed entri in ascensore, sforzandoti di non dar troppo peso alla lucidità perfetta dei bottoni dei piani – intonsi come mai toccati – e alla nitidezza della tua immagine riflessa nell’enorme specchio parietale di fronte a te.
Per compensare tutta l’austera perfezione di quanto ti circonda, la corsa dell’ascensore è abbastanza lenta da permetterti di pentirti più o meno un milione di volte dell’aver ceduto a quell’istinto assurdo – e che ora riconosci come suicida – portandoti fino a lì.
Lui ti aspetta sulla soglia di casa, mollemente poggiato contro lo stipite della porta. Sorride come potrebbe sorridere un gatto con un topo fra le mani. Sorride perché è convinto di averti messo in trappola. Tu sai che non è vero, o almeno lo speri, e questo ti aiuta a sorridere a tua volta, piantando una mano su un fianco e chiedendogli se intende farti entrare o lasciarti lì sul pianerottolo a farsi guardare mentre rimane immobile in posa plastica. Provi a metterlo a tacere definitivamente con un’uscita di cattivo gusto – “non sono mica un fotografo io, Bellamy, e se ci tenevi tanto a fare lo splendido ci si poteva vedere fuori, da qualche parte” – ma lui vanifica tutti i tuoi sforzi mettendosi sonoramente a ridere proprio nel bel mezzo della frase. La tua voce si smorza e poi cade nel silenzio, e tu ti senti in imbarazzo.
Era una cosa che non succedeva da moltissimo tempo.
Anzi, erano due cose che non succedevano da moltissimo tempo. Perché oltre all’imbarazzo c’è anche il fatto che ti ha zittito. E questo probabilmente non è mai successo.
Si scosta comunque dalla porta di casa e ti lascia entrare. Tu fai finta di non notare che il suo appartamento è enorme e bellissimo, completamente diverso da come l’avevi immaginato – sì, perché hai anche perso tempo ad immaginarlo, mentre ci arrivavi.
Non è disordinato, non è ipercolorato, non ha un aspetto personale.
È un meraviglioso, freddissimo appartamento da scapolo per scelta. Anche un po’ maniaco della pulizia, a dirla tutta. Oppure semplicemente dotato di stuoli di domestiche. Non riesci a scorgere un granello di polvere da nessuna parte.
- Vivi solo? – chiedi, addirittura stupito, mentre lui ti fa strada in cucina, una cucina moderna, nera e lucida con le rifiniture bianche, gigantesca, e poi ti prega di accomodarti mentre prepara il caffé.
Non risponde alla tua domanda, ti lascia lì a languire nel dubbio, col terrore irrazionale di vedersi spalancare la porta d’ingresso sulla sua ragazza che torna a casa dopo una massacrante giornata di lavoro o chissà che altro. Chiaramente, sai che è impossibile. Non ti avrebbe mai invitato se ci fosse stata quella possibilità. A meno che le sue intenzioni non fossero ancora peggiori di quelle che immagini. E a questo proprio no, non vuoi pensare.
Quando lui si siede davanti a te, allungandoti sul tavolo una tazza colma di caffè annacquato, cerchi di ricordare il nome della sua donna. E ci riesci.
- Credevo vivessi con Gaia. – consideri, fingendo un disinteresse che proprio non ti appartiene.
Lui ride, e tu cominci a odiarlo, il suono di quella risata. È fastidiosa, acuta e sguaiata. Sembra prenderti per cretino. Dovrebbe essere proibito ridere così, è maleducato.
- Non viviamo insieme. – ammette lui, sorseggiando il caffè, - Non l’abbiamo mai fatto. È una delle cose sulle quali sono sempre stato chiaro, con lei.
Ghigni. Ti ha offerto il fianco per una battuta acida. L’ha fatto consapevolmente, e tu sai che non dovresti approfittare ma l’occasione è troppo ghiotta per lasciartela sfuggire.
- I tradimenti sono un’altra questione sulla quale sei sempre stato chiaro? – chiedi tagliente, compiacendoti nel vedergli spuntare una smorfia di fastidio sulle labbra che ti dice che, per quanto se lo aspettasse, vederti affondare nel suo ego con noncuranza l’ha irritato.
- Non sono argomenti che si trattino, con la propria ragazza.
- Non sono argomenti che sussistano, in genere, quando stai con qualcuno.
- Oh-ho. Non ti facevo così puritano.
- Non puritano. Solo assennato.
Le battute lapidarie sono sempre state il tuo forte. Sei bravo coi discorsi lunghi e articolati, ma sei ancora più bravo quando si tratta di zittire qualcuno con tre parole in croce. Ci riesci sempre.
Ecco, è così che deve andare.
Tu zittisci lui, non il contrario.
Bellamy non ride più e non dice una parola. Affonda nella propria tazza e medita, mentre anche tu sorseggi il caffé con aria vittoriosa.
- Con Gaia siamo agli sgoccioli. – mormora, senza sollevare gli occhi, - Anzi, direi che goccioliamo già da un bel po’.
Sei tu a ridere adesso.
- Se la situazione è così disastrosa, perché non la lasci?
Lui scrolla le spalle e poggia la tazza sul tavolo.
- Non ho fatto niente per mettermi con lei, non vedo perché dovrei fare qualcosa per lasciarla.
- Ovvero?
- Ha deciso sempre tutto lei. – sbuffa, vagamente annoiato, - Prima o poi mi lascerà anche.
- Comodo. Così ne esci sempre bene. Tanto, nel frattempo, fai il cazzo che vuoi.
Solleva lo sguardo e ti fissa con interesse. Ha dei begli occhi, chiari e luminosi. Di quelli che potresti scambiare per sinceri e trasparenti. Di quelli che è facile prendere per tali. Li conosci, gli occhi di questo tipo: sono uguali ai tuoi. C’è la stessa sfacciata sincerità superficiale. Che, appena scavi un po’ più a fondo, si disperde come uno sbuffo di fumo. Gli occhi di Bellamy, così come i tuoi, sono fondamentalmente torbidi. Come l’acqua bassa dei fiumi; che, quando affondi la mano e sollevi il fango del letto, si colora di sporco.
- Stai cercando di farmi sentire in colpa? – chiede, vagamente incredulo, sorridendo appena.
- No. – affermi con supponenza, - Ti conosco meglio della tua donna. So che sarebbe inutile.
Bellamy ride di nuovo, ma stavolta non riesci a sentirti offeso come prima.
Anche perché questa risata sai di essertela tirata addosso.
- Non mi conosci affatto. – ti informa Matthew, come non fosse consapevole del fatto che lo sai già.
Tu posi la tazza e ti alzi in piedi.
- Comunque so quello che mi interessa sapere. Cioè che sei proprio la persona di merda che mi aspettavo di trovare. Anzi, probabilmente sei peggio. – ti prendi una pausa, scivolando a lungo addosso alla sua espressione indifferente, macchiata da un sorriso furbo e compiaciuto che davvero stona con ciò che gli stai dicendo. – E io scelgo meglio i miei amanti. – continui impietoso, - Non scopo con chiunque.
Lui non si scompone. Gioca un po’, facendo ruotare la tazza sul piattino.
- Io però non sono chiunque. – dice poi, continuando a guardarti.
E negli occhi riesci a leggerglielo. Occhi così li può interpretare solo uno che li ha uguali. E li usa nello stesso modo.
Il desiderio che ha di te lo puoi leggere chiaramente. Senti che farebbe carte false per averti. E questo ti dà un vantaggio non indifferente, anche se non sai quanto ti sarà tornato utile alla fine di questa giornata.
- Sì che lo sei. – argomenti tranquillo, ricambiando il suo sguardo, - Sei proprio chiunque. Del tutto uguale agli altri stronzetti convinti di poter sputare in faccia al mondo solo perché hanno effettivamente le palle per farlo. Le palle non ti rendono meno ridicolo, Bellamy. E neanche meno banale. Solo più volgare.
Sorridi. Sei soddisfatto del decorso della discussione. Ne stai uscendo vittorioso. Ne stai anche uscendo con la bocca talmente piena di sentenze – banali quasi quanto Bellamy stesso – che quasi avresti voglia di chinarti e vomitarle... ma in ogni caso ne stai uscendo in trionfo.
Inghilterra-Lussemburgo: direi due a tre.
Quello che non hai considerato, è che il fischio finale della partita non è ancora arrivato. Nel silenzio dell’enorme appartamento di Matthew Bellamy, risuonano solo i vostri respiri e il rumore bassissimo dei tuoi passi sul pavimento in marmo misto. Niente che somigli anche solo vagamente al gong di un campanello alla fine di uno scontro.
E dire che dovresti saperlo, che nella vita il gong finale non arriva mai finché muori. Perché non puoi impedire a un’altra persona di aggiungere parole alle tue, e non puoi impedirle di muoversi.
Ed è esattamente quello che Matthew fa. Si alza in piedi e ti raggiunge velocemente, avanzando quasi con rabbia. Senti che ha perso tutta la sua flemma, tutta la sua pazienza, anche tutta la sua sicurezza. Nei suoi occhi ormai c’è solo il desiderio che prova nei tuoi confronti. Il suo sguardo non riflette niente. È una pozza priva di senso. Ti stringe allo stomaco, ti dà il tormento per un’infinita serie di secondi, e poi ti serra la gola nel momento esatto in cui lui solleva le braccia e, piantandotele sulle spalle, ti inchioda al muro con un colpo sicuro e doloroso.
- Non ho bisogno di nessuno che venga in casa mia a dirmi chi sono. – ti informa perentorio, chinandosi sulle tue labbra senza neanche sfiorarle, - So esattamente chi sono. La tua analisi precisa potrà pure essere esatta, ma non tiene conto di un fattore importante.
Stretto alla parete e privo di fiato, ti costringi a parlare per pura forza di volontà.
- Sarebbe?
- Che se non ti ho scopato su quella fottuta terrazza è stato solo perché volevo scoparti su un fottuto letto.
Non sai se sia il suo modo di usare le parole. Non sai se sia la sua voce, bassa e cattiva contro la tua pelle accaldata e sensibile. Non sai se sia la luce criminale di quegli occhi, che t’investe senza riguardo, gettandoti addosso una voglia tale che quasi non riesci a controllarla. Quello che sai, è che ora comprendi alla perfezione il desiderio di Matthew. Te l’ha passato come un virus. Si sta facendo strada dentro di te e dà vita a focolai di malessere bruciante come febbre. Nel petto, nelle ginocchia, nei lombi.
- Se non era chiaro prima, te lo esplicito adesso: non scopo con gli stronzi.
Lui sorride – no, non sorride: tira un ghigno crudele sui denti – e stringe la presa sulle spalle.
- E io non mi faccio scappare qualcosa che voglio. Soprattutto quando ce l’ho fra le mani.
Non sai cosa aggiungeresti per contraddirlo. Non ne hai la minima idea, forse soprattutto perché a contraddirlo non ci pensi più, mentre ti si spinge addosso, affondando con la lingua nella tua bocca e stringendoti con una mano alla nuca per avvicinarti il più possibile. Tra l’altro, contraddirlo non avrebbe senso, dal momento che stai per scoprire di aver mentito – perché stai per scopare con uno stronzo – mentre lui sta per segnare in un colpo tutti i punti che lo porteranno alla vittoria finale. Con uno scarto enorme.
Eppure ti lasci condurre senza ritrarti lungo un corridoio infinito che non guardi perché tieni gli occhi ostinatamente serrati, e ti lasci gettare senza fare storie su un letto morbidissimo e spaventosamente grande, di quei letti che a persone come te fanno paura e che invece appagano persone come lui. Ampi spazi vitali e nessun obbligo di condivisione se non per scelta personale. Tu sulle scelte personali non hai mai contato, perché sai che, quando possono scegliere, trattandosi di te le persone scelgono di allontanarsi. È impensabile, e ti fa rabbia, che con Bellamy questo non succeda. Lui meriterebbe la solitudine molto più di quanto non la meriti tu.
La cosa ancora più urtante è che probabilmente lui è anche, effettivamente, molto più solo di te.
Però a lui piace, mentre tu lo odi.
Il che ti fa pensare che lui abbia sviluppato la propria attitudine con un successo decisamente maggiore del tuo.
Le sue mani si insinuano sotto il tuo maglione e divorano la pelle centimetro su centimetro, pressano talmente a fondo che sembra vogliano scavare fino a raggiungere i nervi e toccare direttamente quelli. Vuole sentirti ansimare, vuole sentirti tremare, vuole sentirti tendersi contro di lui e implorarlo di darti di più. Tu gli concedi tutto tranne le preghiere, sai che il sesso è un gioco e che una volta finito non ne rimane niente. Sai che, dei mugolii ai quali ti stai lasciando andare mentre sfiora con un ginocchio la tua erezione attraverso i jeans, non si ricorderà più nessuno. Sai che lui è troppo intelligente per tirarli fuori come argomento di conversazione quando avrete finito di scopare. Sai anche che, nel caso l’avessi sopravvalutato e lui fosse in realtà più stupido di quanto non pensi, se ne parlasse potresti metterlo al suo posto con un sorriso sarcastico – e quello non faticherebbe a interpretarlo.
È per questo che lo accontenti. È per questo che sussurri il suo nome direttamente nelle sue orecchie, è per questo che ti lasci andare a un concertino di sì e incitazioni che suonano più come incoraggiamenti che come attestazioni di desiderio. Lui stringe fra le mani e fra i denti qualsiasi cosa finisca loro in mezzo, e ringhia come un animale, soffiando sulla tua pelle e lasciandole addosso baci talmente caldi e bagnati da sembrare lava.
Ti affonda dentro senza riguardi, e tu sai che lo scontro è almeno pari. Perché lui ti desidera molto più di quanto tu desideri lui, però per lui quello che state facendo vale molto meno di quanto valga per te.
È un compromesso accettabile.
Ansimi e ringhi anche tu, stringendolo fra le braccia, gettandoti a peso morto sul materasso che comincia a intiepidirsi per il calore dei vostri corpi e lasciando che sia lui a guidare, che sia lui a modellarti secondo il proprio desiderio, che sia lui a spingere, che sia lui a stabilire le posizioni e il ritmo. E quando vieni, lo fai con discrezione, per non dargli soddisfazione. Ti copri gli occhi e mugugni appena, un suono quasi impercettibile. Lui ne è indisposto, vorrebbe farti urlare perché ti vuole al punto da desiderare di lasciarti addosso un segno indelebile, e tutti sanno che non sono i graffi le cose che rimangono del sesso, e non sono neanche i morsi e i succhiotti, ma gli orgasmi. Un orgasmo epocale non te lo dimentichi più finché vivi, e il tuo, dannazione, lo è stato, ma lui non lo saprà mai.
Mentre viene, lui ti azzanna alla giugulare come un predatore. Stringe quasi volesse strapparti la carne di dosso e divorarti. Però non ti abbraccia, e anzi si discosta subito, prima ancora di aspettare di riprendere fiato. Cade sul materasso di schiena, le gambe semidivaricate e la testa sul cuscino, un braccio ancora incastrato dietro la tua schiena, e senti scemare il suo interesse respiro dopo respiro, come fuggisse via dal suo corpo accompagnando ogni particella d’ossigeno.
Se non ha aspettato lui, tanto meno lo farai tu. Ti assicuri solo di essere in grado di reggerti sulle gambe e poi salti in piedi, andando alla ricerca dei tuoi vestiti e indossandoli uno a uno con sicurezza. Lui ti guarda, l’espressione indecifrabile, rimanendo immobile dove si trova.
Quando hai finito di rivestirti, recuperi anche il cappotto e ti fermi un attimo a fissarlo.
- Spero che quello che abbiamo fatto non ti faccia pensare che io abbia cambiato idea sul tuo conto.
Suona come un’estrema e blandissima difesa, ma dovevi dirlo. Devi assicurartene. Sai che non mentirà, non ne avrebbe motivo ed è talmente pieno di sé da non averne neanche bisogno.
- Non mi aspettavo niente del genere. – confessa ridendo.
La risata è sempre la stessa. Non sai davvero come fai a sopportarla. Probabilmente ti aiuta solo la consapevolezza che a minuti sarai fuori di lì e quel gioco assurdo non avrà più modo di ripetersi.
Perché. Non. Si ripeterà.
Non lo farà.
- E cosa ti aspettavi? – chiedi acido, gettandoti la giacca su una spalla.
Lui si rigira fra le lenzuola, abbandonandosi languidamente su un fianco e guardandoti. Sulle labbra, un sorriso pericoloso che ti scarica addosso brividi e paura al punto da farti pensare di essere tornato ammalato proprio come prima.
Che non si ripeterà è ancora una certezza.
Lo è, vero?
- Ne riparleremo quando tornerai.
Fanfiction a cui è ispirata: "Try Something New" di Happy.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt, BrianxHelena, MattxGaia.
Rating: R - probabile futuro NC-17.
AVVISI: Angst, RPS, Spin-off, Incompleta.
- Un anno è passato dall'ultima volta in cui Matt e Brian si sono visti. Un anno, e sembra non sia cambiato niente. Un anno, e in realtà c'è stata una rivoluzione, dentro di loro. Rivedersi è davvero la cosa giusta? Matt non lo sa. Sa solo che non può fare a meno di vagare per Hyde Park sperando di incontrarlo.
Commento dell'autrice: Se ne parla alla fine è_é
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TRY SOMETHING BETTER
CAPITOLO 1
SLEEPING WITH GHOSTS

“Don’t waste your time
Or time will waste you”
Muse – “Knights of Cydonia”


In effetti s’era sempre sentito un po’ in colpa per quello che aveva combinato a dicembre, l’anno prima. S’era sempre sentito un po’ in colpa e s’era sempre sentito anche un po’ – molto – vigliacco per quella fuga repentina e ingiustificabile, pretesa e ottenuta con tanti di quegli allucinanti strepiti che aveva sempre avuto paura che Tom e i ragazzi, da quella volta, avessero maturato nelle loro menti un’idea di lui in versione pazzo isterico che di sicuro non giovava alla sua autostima. Se ne accorgeva ogni volta che, ad esempio, Dom o Chris gli facevano un suggerimento a riguardo di qualcosa che avesse scritto: si avvicinavano sempre con timore, premettendo sempre che trovavano il suo lavoro fantastico, prima di dire quello che avrebbero preferito cambiare.
Anche Tom aveva difficoltà a parlare con lui. Al punto che ogni tanto, quando aveva bisogno di fare un qualche cambiamento nelle date dei tour o delle uscite dei singoli, neanche glielo diceva. Si limitava a farlo e poi avvicinarlo con cautela, offrirgli una cena o qualcosa di simile e mormorare “Adesso non ti arrabbiare, Matt, ma ho dovuto modificare questo, questo e quest’altro…”, ricevendo puntualmente in risposta uno stupito “Perché dovrei arrabbiarmi, scusa? Se hai deciso così avrai avuto un motivo, e poi il manager sei tu, sei tu che devi occuparti di queste cose, il mio lavoro è un altro…”, al quale, spesso, seguiva un sorriso imbarazzato e un “No, ma era per essere sicuro che non ti saresti infastidito”, che lui poteva spiegare solo ed esclusivamente come uno strascico della furia che l’aveva preso quando s’era trattato di tornare in studio a registrare coi Placebo.
Né Tom, né Dom, né Chris avevano mai capito. Anche perché, sul momento, sì, non l’aveva presa benissimo, aveva pregato un po’ tutti gli déi dell’universo perché gli concedessero di sfuggire a quella tortura, e s’era lamentato, e aveva protestato, ma era anche eccitato, era anche emozionato, e non vedeva l’ora, dannazione a lui, non vedeva l’ora di rientrare in studio e registrare di nuovo, non… non vedeva l’ora di rivedere Brian…
Per settimane aveva collezionato idee e spunti. E per settimane, i suoi amici avevano assistito stupefatti allo spettacolo sconvolgente di lui che rientrava in albergo, afferrava il cellulare, si gettava sul letto e chiamava Brian, improvvisando conversazioni del tipo “Ho visto questa scena fantastica oggi, per strada, dobbiamo assolutamente infilarla da qualche parte nello studio album, poi!”. Li avevano ascoltati chiacchierare per ore intere con toni che a volte sfioravano il romanticismo, e vagavano da un isterico “Molko, piantala, una buona volta, di dire porcate!” a un trasognato “Sì, anche tu mi manchi… un po’…”, sussurrato a stento, buttato fuori a fatica, coprendo la cornetta con una mano nella speranza che non sentisse nessuno.
Scene quasi surreali.
Cose di cui si vergognava da morire.
Per circa un mese avevano dovuto credere che fra loro ci fosse davvero qualcosa. Che stessero pensando a metter su famiglia o chissà cos’altro.
Dio.
E poi era successo qualcosa. Qualcosa che perfino Tom, malgrado sentimentalmente fosse l’uomo più ottuso del mondo, aveva dovuto capire perfettamente. Ovvero era arrivata Gaia.
Gaia l’aveva… l’unico termine che gli veniva in mente e che potesse, anche se molto vagamente, descrivere la sua situazione, era “sconvolto”. Gaia era stata un vero e proprio tumulto.
Era una loro fan. L’aveva letteralmente assalito all’ingresso dell’albergo nel quale alloggiavano, rischiando di farsi ammazzare dalle guardie del corpo e uscendo dalla rissa con una spalla lussata. Ancora dolorante, quando i ragazzi della security l’avevano sollevata e, comprendendo di aver calcato un po’ troppo la mano, l’avevano adagiata su una panchina, chiamando un’ambulanza, la prima cosa che lei aveva mormorato, appena lui le era andato vicino per assicurarsi che fosse ancora viva, era stata “Sono felice di averti potuto vedere così da vicino…”. E quando lui, ridacchiando, le aveva risposto “Hai rischiato grosso… la prossima volta che tenti di avvicinarmi sta’ più attenta…”, lei, sempre sorridendo, nonostante la smorfia di dolore che le sconvolgeva le labbra, aveva detto “Se potessi vederti ogni mattina nel mio letto non dovrei più temere per la mia vita”.
Lui era arrossito, sentendosi nello stesso momento attaccato e già sconfitto.
In quel preciso istante aveva capito che era lei, la donna che cercava. Non sapeva nemmeno il suo nome, conosceva soltanto il suo caschetto biondo, i suoi occhi verdi, la sua pelle chiara e il suo fisico minuto. Non conosceva la sua età, non sapeva nulla della sua vita, ma lei era quella donna, la donna di cui aveva spesso parlato a Dom con aria sognante, la donna per lui.
E lei gliel’aveva confermato riapparendo davanti all’albergo il giorno dopo, col braccio ingessato e un adorabile sorriso sul volto.
“Mi chiamo Gaia”, aveva detto, porgendogli la mano, “Scusa se ti do la mancina”.
“Niente”, aveva detto lui, rispondendo al saluto. “Posso invitarti a bere un te? Sai, per scusarmi del comportamento delle mie guardie del corpo, ieri…”.
Lei aveva sorriso ancora, e lui l’aveva trovata angelica.
“Certo che puoi. E sei già scusato, comunque”.
Era cominciata così.
E nessuno ci avrebbe scommesso su un centesimo.
Nessuno tranne lui, ovviamente.
Un mese dopo, già convivevano. Lei era giovane, molto giovane, aveva appena diciannove anni, ma i suoi genitori erano due persone molto aperte, avevano semplicemente preteso di conoscerlo e sottoporlo a un interrogatorio di un paio d’ore, dopodiché avevano spalancato le braccia e gli avevano affidato la loro bambina con un gioviale sorriso sul volto.
Era stato in quel momento che lui aveva cominciato ad avere paura.
Mancava solo un mese a dicembre. Mancava solo un mese al momento in cui avrebbe rivisto Brian.
E sapeva, perché lo sentiva continuamente, perché parlavano continuamente, sapeva che Brian non era cambiato di una virgola, così come non erano cambiate di una virgola le sue idee su di lui, su di loro.
Ed erano un pericolo.
Perché la sua storia con Gaia era ancora una bambina, era appena nata, era così minuscola e indifesa che lui sentiva il bisogno fisico di proteggerla, avvolgerla fra le sue braccia e impedire al mondo esterno di intromettersi e rovinare tutto.
Ci teneva troppo, per permettere a un altro terremoto di buttare a terra le fondamenta della sua nuova casa.
Perciò, a dicembre aveva semplicemente fatto esplodere un casino. Aveva gridato e strepitato, aveva affermato con convinzione che non gli interessava più nulla di lavorare di nuovo coi Placebo, che la produzione poteva andare a farsi benedire, che non gliele fregava nulla del contratto e poteva anche stracciarlo davanti a tutti, che voleva concentrarsi su sé stesso, che voleva preparare i nuovi pezzi per il nuovo album, che, in definitiva, non se ne faceva più niente.
Avevano protestato un po’ tutti, com’era stato ovvio fin dall’inizio. Dom, soprattutto, s’era infuriato, e avevano litigato come i pazzi per la prima volta dopo tanto tempo. A Dom, come lui stesso gli aveva detto, non fregava niente di quali fossero i suoi problemi personali, non avrebbe dovuto permettersi di impedirgli di passare un altro po’ di tempo con Stefan. E quando lui, protestando, gli aveva detto che comunque di Stefan non gli era mai davvero fregato niente, Dom l’aveva guardato con disgusto e gli aveva semplicemente detto che della vita non capiva un cazzo. Dopodichè l’aveva snobbato per qualcosa come tre settimane e alla fine era crollato e l’aveva “perdonato”.
Lui s’era sentito una bestia insensibile per tutto il tempo.
Soprattutto quando ignorava le chiamate di Brian che tempestavano il suo cellulare.
Ma non era disposto a cedere. C’era troppo in palio. E lui era sempre stato un tipo tenace.
Però, ecco, migliaia di volte, durante quel periodo orribile, avrebbe voluto prendere i suoi amici per le spalle, scuoterli violentemente e urlare “non è che la cosa mi faccia piacere, accidenti a voi, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un contratto, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un rapporto, non è che mi piaccia pensare che non rivedrò Brian mai più, solo ho una paura fottuta che questo possa distruggermi la vita, com’è che non lo capite?, com’è che non lo vedete?, PERCHE’, CAZZO, NON VE NE ACCORGETE?!”.
E forse era per questo che, quando aveva saputo che i Placebo avrebbero preso parte al mega-concerto organizzato a Hyde Park, aveva colto la palla al balzo e, mentendo a chiunque, ci era andato. Gaia non aveva sospettato niente, ma di lei non aveva effettivamente motivo di preoccuparsi, perché quella ragazza si fidava di lui come fosse stato suo padre. Dom, probabilmente, aveva sospettato qualcosa. Infatti gli aveva sussurrato malignamente “Tanto se vai lì ci vediamo, perché io ci sarò sicuramente”.
Fortunatamente, Dom non s’era fatto sfuggire nulla con Gaia. Quello sarebbe stato un problema non indifferente, da risolvere.
Cavolo, poteva vedersi. Poteva vedersi vagare sperduto fra i gruppetti di persone intenti a chiacchierare in attesa dell’inizio dello show. Si prospettava una manifestazione musicale di proporzioni cosmiche, avrebbero partecipato tanti di quei gruppi, tra vecchie guardie ed esordienti, che non riusciva neanche a ricordare tutti i nomi.
Anche se be’, in realtà non è che ci avesse realmente provato a memorizzarli, tutti quei nomi. I suoi occhi avevano individuato i Placebo fra i tanti e il suo cervello aveva provveduto a isolarli dalla massa e cancellare tutto il resto, così non è che fosse rimasto molto spazio per i nomi degli altri.
…era semplicemente patetico.
Era lì per vedere Brian, questo era chiarissimo perfino per lui, che pure aveva cercato di ignorare quella verità per tutto quel tempo, che pure aveva cercato di convincersi fosse solo curiosità, voler vedere come stesse, come se la passasse…
Non voleva incontrarlo, gli faceva ancora troppa paura, ma vederlo, quello sì, anche solo da lontano, anche solo intravederlo, anche solo-
- Carino.
Oddio.
Si congelò sul posto, stringendo i pugni e sentendo un brivido scendergli lungo la schiena fino a fargli tremare le gambe.
Oddio.
*
Qualche minuto prima.

Non che fosse inquieto.
E non che sperasse in qualcosa, ovviamente.
Però Dominic l’aveva chiamato in gran segreto e gli aveva detto che sospettava che Matt pensasse di andare al concerto, magari senza farsi vedere, e allora gli sembrava ovvio provare un attimino d’agitazione in prospettiva, o no?
Insomma.
Matt era… era rimasto una parentesi, nel suo passato. Una parentesi che non si era mai chiusa.
E faceva male, ecco. La situazione sospesa, il pensiero che potesse essere ancora sospesa anche nella testa di quel dannato stupido, oltre che nella sua…
Il desiderio di lasciare che tutto si esaurisse nel tempo passato e sprecato, e quello contrastante e altrettanto forte di tenere il ricordo fisso nella mente, per non perderlo mai di vista.
Scosse il capo, massaggiandosi le tempie con due dita.
È mai possibile essere così emotivi?, si disse, sconsolato, scuotendo il capo come a volerlo svuotare da tutti i pensieri.
Doveva uscire da quel dannato umore. Doveva uscire da quella dannata ragnatela di ricordi e soprattutto doveva smettere di vagare per il parco sperando di beccare Matt in mezzo alla folla.
Cercarlo lo faceva solo stare male. Lo riempiva solo di pensieri riguardo a come si era sentito durante l’anno, e quello che aveva passato, e…
Insomma, era stata sua la colpa. Tutta di Matt. Lui si era limitato a comportarsi come sempre, era sempre stato il solito Brian.
Per quanto poteva immaginare potesse essere stato questo a convincere Matthew a comportarsi come aveva fatto.
Ma aveva fatto in modo che nessuno si preoccupasse per lui, durante quei lunghissimi dodici mesi. A Stef e Steve non aveva voluto dire niente, aveva continuato a comportarsi con naturalezza senza lasciar sospettare come si sentisse in realtà. Con Helena non aveva voluto neanche accennare alla cosa, e anche con Alex non aveva avuto voglia di parlare, sebbene lei fosse stata l’unica a immaginare che tutta la sua allegria non fosse altro che di facciata.
Dannate donne, sempre così sensibili.
Ma lui era sempre stato così, in fondo, no? Preferiva tenersi tutto dentro e sorridere, di giorno, e dormire coi suoi fantasmi la notte. Magari affondare nel cuscino e respirare con forza, fino a farsi dolere i polmoni, strizzando gli occhi fino a vedere macchie bianche vorticargli dietro le palpebre, e poi riaprirli e guardare il buio, e trattenere le lacrime a stento o non piangere affatto, e stringere i pugni attorno al lenzuolo ripetendosi “passerà, passerà”, sapendo perfettamente che non sarebbe mai passata, perché i fantasmi ti si attaccano alla pelle, sono come il tempo, che passa e ti rimane ancorato alle spalle, e ne senti il peso, giorno dopo giorno, e senti il rimpianto dei giorni perduti e ti fa male anche se sei fortunato e trovi qualcuno che ti consoli.
Lui era stato fortunato, in fondo. Aveva trovato Helena. E lei era stata fantastica, e comprensiva, e permissiva, e lui era convinto, fermamente convinto che fosse la compagna perfetta, l’unica possibile. E poi lei gli aveva dato Cody, e Cody era semplicemente la cosa più… più grandiosa che avesse mai pensato di ricevere in dono dalla vita.
Adesso era un padre, era un uomo quasi sposato, era tutto sommato contento. Era maturato, dall’anno prima.
Eppure non riusciva a lasciarsi quello che aveva vissuto alle spalle.
Non sarà una volta sola, aveva pensato dopo quell’unica notte insieme, e invece era esattamente quello che era rimasto. Un errore. Un episodio isolato nella vita perfetta e razionale di Matthew Bellamy; un episodio isolato, e neanche l’ultimo di una lunga serie, anche nella vita caotica e assurda di Brian Molko.
Un bruscolino di polvere.
Un’invisibile crepa nella parete.
Un niente.
E poi sollevò lo sguardo. Lo fece vagare sconsolato fra le migliaia di facce sconosciute che sembravano troppo impegnate ad aspettarsi di vederlo sul palco per guardare oltre ai suoi occhiali da sole e al berretto che indossava e alla sciarpa che gli copriva per metà il viso, e accorgersi che era lui. Lo fece vagare fra gli alberi di Hyde Park, fra le aiuole ben curate e pulite, così tipicamente inglesi, e gli ampi spazi di terreno mattonato, e poi lo fece vagare su, perdendolo nel cielo plumbeo che sembrava nero attraverso le lenti degli occhiali, e quando lo riportò giù Matt era davanti a lui, voltato di spalle, e camminava spedito guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno, e a lui sembrò per un attimo di impazzire di gioia, e si sentì sudare freddo mentre tra i suoi occhi e tutto il resto germogliavano le parole cerchi me?, cerchi me?, dimmelo, se cerchi me, Dio, ti prego, fa che cerchi me…
Tirò un respiro profondissimo. Rilasciò l’aria dalle labbra, e quella si condensò in vapore e si sparse davanti a lui, rendendo l’immagine di Matt opaca e sfumata – che ironia – proprio come quella di un fantasma.
E poi prese di nuovo fiato, e cercò di sorridere.
- Carino. – disse, e fu abbastanza perché Matt si congelasse sul posto, stringendo i pugni e voltandosi a guardarlo.
*
Non lo individuò subito, quando si girò. Ma era sicuro che fosse lì, doveva essere lì, non poteva esserci soltanto la sua voce, perciò guardò meglio e lo vide. Sì, il nanetto imbacuccato in un lungo cappotto nero, con la sciarpa quasi annodata intorno al viso come un terrorista, e i capelli coperti da uno sciocco berretto bianco e nero, doveva essere Brian.
Non sapeva cosa dire, ma non poteva rimanere zitto, perciò sputò fuori un saluto, faticando enormemente per ricordare il giusto ordine delle lettere nella parola “ciao”.
Brian… sembrava a suo agio. Non poteva vedere l’espressione del suo viso, ma la postura del suo corpo – le gambe leggermente divaricate, le mani mollemente abbandonate nelle tasche del cappotto, le spalle sciolte e distese – e in generale la sua disinvoltura naturale e il tono pacato e quasi divertito con cui l’aveva chiamato, lasciavano intendere proprio quello.
Che per lui fosse tutto a posto.
Che incontrandosi dopo un anno lui potesse chiamarlo ancora in quel modo senza sembrare inopportuno.
Questo lo irritava.
Cercò di mostrare indifferenza, mentre il suo cervello ribolliva.
- Che coincidenza. – disse atono, guadagnandosi in cambio una risata tonante da parte di Brian.
- Coincidenza? – chiese l’uomo, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso e guardandolo da sopra le lenti, - Hai uno strano modo di intendere le coincidenze, tu.
- Se credi che ti stessi cercando, sbagli di grosso. – replicò, incrociando le braccia sul petto.
- Sì?
- Sì. Cercavo Dom, so che doveva venire.
Ancora, Brian rise forte.
- Se credi che lui o Stef siano ancora nei paraggi, dato che la prima cosa che hanno fatto rivedendosi è stata saltarsi addosso, allora sei tu quello che sbaglia di grosso. – disse sorridendo candidamente.
Lui si diede dello stupido. Avrebbe dovuto immaginare che una scusa simile non avrebbe funzionato, viste le circostanze.
Rimasto senza parole, totalmente incapace di reggere lo sguardo di Brian – cazzo – fissò la punta delle sue scarpe per una serie infinita di secondi.
Poi l’odore, la consistenza e la temperatura dell’aria attorno a lui cambiarono, e ancora prima di alzare lo sguardo lui seppe che Brian gli si era avvicinato.
- Posso offrirti una birra? – gli chiese l’uomo, gli occhi nuovamente coperti dagli occhiali, scrollando le spalle.
E lui sapeva che era un pericolo avvicinarglisi tanto.
Sapeva che era un pericolo, stare con lui.
E sapeva che era un pericolo anche bere qualcosa con lui.
Ma accettò senza pensarci neanche una volta.
*
Non voleva dargli l’idea che si fosse tenuto informato sul suo conto, durante quell’anno di assenza, perciò non poteva mica cominciare a chiedergli cose del tipo “Allora, ho sentito che finalmente stai mettendo la testa a posto! Com’è essere padre?” sperando che lui pensasse fossero solo informazioni sentite casualmente alla tv o intraviste di sfuggita su un giornale scandalistico.
Brian era scandalosamente portato ad osservare gli avvenimenti come se tutto avesse un perché.
Non ammetteva l’esistenza della casualità.
E Matt sapeva che mentre sorrideva sereno sorseggiando innocente la sua birra, in realtà stava pensando che se si erano incontrati era soltanto perché entrambi lo volevano fortissimamente, e che se lui aveva accettato di farsi offrire la birra era soltanto perché aveva voglia di stare con lui.
Non aveva pensato neanche un momento che avessero potuto incontrarsi per caso e che lui avesse accettato perché non vedeva per quale motivo non avrebbe dovuto.
No, decisamente, se gli avesse chiesto una qualsiasi cosa sulla sua vita privata Brian avrebbe pensato immediatamente che lui si fosse messo a raccogliere informazioni sul suo conto, ritagliare articoli di giornale e fotografie e costruire un altarino alla sua memoria – con candele e tutto – nel seminterrato di casa sua.
Cosa che effettivamente era stato tentato di fare, più di una volta.
Potenza della nostalgia.
Mentre rimuginava su cosa fosse giusto fare e cosa invece dovesse ricordarsi di non fare mai e poi mai, semplicemente Brian terminò la sua birra, sorrise e chiese “Allora, ho sentito che ti sei fidanzato. Sei felice?”.
Lui lo guardò, attonito, la labbra ancora dischiuse e il boccale a mezz’aria davanti al viso.
- Che vuol dire se sono felice?
Lui inarcò le sopracciglia, stringendo le labbra.
- E’ una domanda come un’altra. No?
- Sì, voglio dire… certo che sono felice! Amo la mia ragazza!
Brian sorrise.
- Vedi che non è difficile rispondere?
Che cosa diavolo gli stava succedendo? Non era mai stato così gentile, così ossequioso…
…così distaccato.
Odiava quel sorriso lontano. Odiava quelle domande di circostanza.
E odiava la consapevolezza che se Brian poteva permettersi senza troppi problemi di chiedergli se fosse veramente felice e come stesse con la sua ragazza era perché, evidentemente, lui l’aveva superato, quello che era successo fra loro.
E quindi, forse, in definitiva, quello che pensava troppo, fra loro due, era proprio lui.
Quello ancora spaventato.
Quello ancora attaccato al passato.
Quello ancora in- Dio, era lui, quello.
Abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole nei confronti di tutto il mondo.
- Allora, chi sei venuto a vedere? – chiese Brian tranquillamente, con curiosità, - I Genesis? La reunion sta facendo parlare di sé. Pare che andranno in tour, dopo questo concerto.
- Mh… - disse lui, poco convinto, mentre metabolizzava la sensazione che, con tutto il rispetto per Collins e compagnia, con Brian là davanti dei Genesis gli fregava meno di niente.
- E’ proprio vero che il tempo rinvigorisce i legami, quando sono sinceri, no?
Spalancò gli occhi.
Eccola.
Eccola, eccola, eccola!
La mazzata.
Doveva arrivare, prima o poi.
Stupido, deficiente lui che aveva creduto di averla passata liscia.
Il tempo rinvigorisce i legami sinceri, sì.
E distrugge tutti gli altri.
Capito l’antifona, Brian.

Ora era tutto molto più chiaro, e molto più doloroso.
Brian non era semplicemente passato avanti. Non aveva conservato il ricordo del tempo che avevano passato insieme immergendolo in un barattolino di dolce malinconia. Aveva camminato sui suoi ricordi, pestandoli e riducendoli in brandelli, e poi aveva messo quanto rimasto sott’odio, e lì l’aveva lasciato, a marcire, fino a quel momento.
Ecco cosa c’era dietro ai suoi sorrisi sereni, dietro al suo cortese distacco, alle sue fredde premure.
Quintali, quintali e quintali di schegge di rancore a saltellare impazzite nella sua mente, conficcandosi ovunque.
- Be’, chiunque tu sia venuto a vedere, - concluse Brian alzandosi in piedi, - spero tu rimanga anche fino all’esibizione dei Placebo.
In realtà aveva già visto chi voleva vedere.
Fin troppo.
E se Brian l’avesse saputo gli avrebbe detto tranquillamente che allora poteva andare via.
Ma lui non disse niente, si limitò ad annuire. Brian rispose con un sorriso e poi si voltò per uscire dal locale.
Resistette all’impulso di richiamarlo solo fino a quando non lo vide sulla soglia della porta.
- Brian! – disse a voce alta, attirando gli sguardi degli altri clienti e rimettendoli tutti ai loro posti con una serie di occhiatacce torve.
- Sì? – chiese lui, voltandosi e sorridendo cortesemente.
Matt si sentì avvampare.
- Canterai… canterai la nostra canzone? – chiese infine, imbarazzato, fissando il pavimento.
Brian scoppiò a ridere così forte che lui pensò di aver fatto una battuta.
- Mio Dio, Bellamy: no!

In coppia con Nainai.
Genere: Romantico, Comico, Erotico.
Pairing: BrianxMatthew
Rating: NC17
AVVERTIMENTI: Language, Lemon, RPS.
- Brian non ha la febbre. Brian sta morendo di febbre! Ma quello stupido idiota del suo uomo, Matt Bellamy, sembra non curarsene, e sembra importargli solo dello stupido premio fasullo che gli consegneranno in televisione da lì a pochi minuti! E quindi, cosa potrebbe esserci di meglio da fare che non cercare di tenerlo a casa lamentandosi...?
Commento dell'autrice: L'idea di questa fanfiction è stata di Nai ù_ù E in effetti ha cominciato lei a scriverla, e per molti versi la fanfiction è ancora totalmente sua XD Anche perché, a conti fatti, lei ne ha scritto molto più di me :O Il mio ruolo, all'interno di questa storia, è stato darle un titolo (utilizzando un'adorabile canzone dei Gym Class Hero <3) e un bel pezzetto porno XD che è tipo la cosa più ESPLICITA che io abbia mai scritto fino ad ora ù_ù E per questo la amo XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
ATTENZIONE: il seguente scritto non è stato redatto né pubblicato a scopo di lucro, i personaggi ivi utilizzati, pur portando il nome di persone vere, sono solo personaggi e NON fanno alcuna delle cose qui raccontate (non lamentatevi con noi), non intendiamo offendere nessuno con quanto qui scritto e siamo abbastanza sane di mente da renderci conto da sole che sono giochi per bambini e non cose serie.
A parte questo bla bla bla, aggiungete un po’ tutte le rassicurazioni di cui sentite la necessità U_U

L’Easily Forgotten Love e, più precisamente, i suoi membri Lisachan e Nainai, sono lieti di presentarVi:

Cupid's Chokehold


-Trentanove e mezzo. Però!- Matthew buttò il termometro sul comodino e lo guardò.- Direi che hai la febbre, Brian.
Lui arricciò il naso. Aveva le guance rosse e gli occhi lucidi, e questo, insieme con i capelli che sfoggiavano l’ennesimo taglio asimmetrico da donna, ma privo di forma dopo le ore passate sotto le coperte a sudare, e gli ricadevano sul viso in ciocche improponibili, contribuiva a dargli l’aria di un moccioso imbronciato. In generale era…carino, pensò Matt Bellamy sorridendo. Fu un grosso errore.
-So benissimo di avere la febbre!- ruggì Brian Molko, affatto intenerito alla vista di quel sorriso.
Incrociò le braccia sul petto e lo fissò con un tale sguardo omicida che Matt pensò per un momento che sarebbe davvero riuscito a dargli fuoco. Però non si mosse, seduto ancora al suo fianco sul grande letto che occupava la loro camera nell’appartamento che condividevano a Londra. Troppo di rado, si disse vagamente l’inglese, per poi tornare a spostare l’attenzione sul proprio compagno.
-Sei tu – e qui rimarcò quella parola come se stesse sputando fuori un insulto.- che sembri ignorare le mie condizioni e ti prepari ad abbandonarmi qui da solo e bisognoso di cure!
Matthew sospirò pesantemente.
-Vado via solo per qualche ora, Bri, basta che resti buono buono a letto, a riposare, e non te ne accorgerai nemmeno.- tentò di farlo ragionare.
Ma fu inutile, l’unica cosa che ottenne fu che Brian cominciasse ad agitarsi come un pazzo appena lui si alzò per tornare al tavolo da toilette e finire di preparasi.
-Tu non mi ami! Se mi amassi riterresti stare con me mentre muoio più importante di ogni altra cosa!!!- strillò il cantante dei Placebo, irritando la povera gola già messa a dura prova dalle placche della febbre.
Terminò la propria invettiva con un colpo di tosse e, sfinito, si lasciò ricadere sul cuscino, dardeggiando da lì contro il povero Matthew.
-Non stai morendo.- ribatté ragionevole quest’ultimo.- Hai solo l’influenza.
-Ed il mal di gola!- ribadì Brian, con una tale espressione sconvolta da far credere che questo avrebbe davvero potuto segnare la sua fine.- E tu sei un insensibile mostro!- aggiunse poi per sicurezza, mettendo da parte l’aria sconvolta per tornare ad adottare lo sguardo di fuoco assassino.
Matthew si concesse un secondo sospiro pesante, ma non si voltò mentre sistemava la camicia e, allo specchio, si assicurava di essere finalmente pronto per uscire.
-Bri, tesoro, cerca di capire.- tentò comunque di spiegarsi, mantenendo quel tono controllato.- Devo lavorare, non lo faccio per divertimento.
Ovviamente questo suo palese disinteresse non poteva che montare alla testa di Brian, che a quel punto non trovò di meglio che saltare fuori dalle coperte come una biscia e scagliarglisi contro più di quanto non stesse già facendo dal proprio “letto di dolore”.
-COME OSI DIRE CHE DEVI LAVORARE!!!- gli ruggì contro inferocito. Matt lo guardò, sollevò le braccia portandole ai fianchi ed attese.- DEVI SEMPLICEMENTE ANDARE…IN QUEL POSTO A FARTI DARE UN PREMIO CHE TU E QUELLA PATETICA IMITAZIONE DI BAND ROCK NON MERITATE AFFATTO!
-Ma non avevi mal di gola?
Brian s’interruppe, fissandolo come se non riuscisse davvero a capacitarsi. Lui stava morendo, era chiaro…era lampante! Ed il suo uomo sembrava completamente insensibile a questa cosa! Ed aveva mal di gola! E Matt lo abbandonava per…
-E’ una premiazione televisiva, Bri.- ricominciò Matthew, avvicinandoglisi ed approfittando di quel momento di totale smarrimento per prenderlo gentilmente per le spalle, farlo voltare e ricondurlo verso il letto.- Durerà forse un paio di ore,- ribadì con dolcezza, facendolo stendere e sistemandogli le coperte.- tante chiacchiere,- aggiunse scostandogli i capelli dalla fronte e controllando la sua temperatura.- tante idiozie, un premio assolutamente privo di senso dato sulla scorta dei soldi pagati dalla Warner al canale televisivo,- proseguì amabilmente rimboccandogli lenzuola e coperte e sorridendogli.- poi mollo tutto e scappo via per tornare da te.- promise.- Non resto nemmeno per il party dopo lo show.
Brian lo guardava. Matt si illuse per un momento che potesse aver capito o, almeno, essersi arreso all’idea che lui dovesse necessariamente uscire. Ma poi riconobbe il lampo che attraversò gli occhi dell’altro e che diede una luce assolutamente folle agli occhi chiari e si preparò ad un nuovo scoppio d’ira violenta.
-…tu- iniziò Brian con una calma sibilante che fece venire i brividi a Matt, tanto bene ormai la conosceva.- ti sei messo schifosamente in tiro!- terminò in un ruggito il leader dei Placebo.
Bene. Di tutto il suo discorso non aveva sentito una parola, ma del vestito di Matthew aveva registrato anche la piega dei pantaloni ed il colore dei bottoni della giacca rossa. Matt resistette per miracolo all’impulso di infilare le dita tra i capelli in un gesto sconfortato, si ostinò a tenerle serrate contro i fianchi e mantenne un’aria tranquilla, nonostante l’esasperazione che sentiva risalire dallo stomaco.
-Bri, io sono in ritardo.- si decise a far notare.- Dovevo essere in quei dannati Studi circa un’ora fa e sono ancora qui a perdere tempo con te.
Si rese conto da solo del madornale errore appena commesso, per cui non si stupì troppo di vedere Brian saltare su fuori dalle coperte un’altra volta e cominciare, in piedi sul letto, a rovesciargli addosso tutti gli insulti che potevano venirgli in mente.
-PERDERE TEMPO CON ME?! BELLAMY!!! IO STO MALE E TUUU- e qui gli puntò contro il dito in un gesto teatrale.- MI ABBANDONI!!!
Matthew lo guardò. Contò fino a trenta, prese fiato, si rilassò e gli sorrise.
-Brian, tesoro, potresti rimetterti sotto le coperte e stare buono per queste due fottutissime ore?- domandò con calma.
-Non ho alcun bisogno di stare sotto le coperte! Sto benissimo!- ribatté Brian, incrociando le braccia sul petto in un chiaro tentativo di farlo impazzire del tutto.
-Non stai per nulla “benissimo”!- ringhiò Matt, costretto ad arrampicarsi sul letto a sua volta per afferrarlo e rimetterlo giù a forza.- Hai la febbre alta, la gola rovinata e la messa in piega sfatta!- elencò stringendogli le coperte intorno al corpo per assicurarsi che non fuggisse ancora.
-Cosa diamine c’entra la mia messa in piega?!- scattò Brian, divincolandosi inutilmente.- Io sto benissimo! E starei meglio se tu e quei due idioti dei tuoi amici non aveste ricevuto immeritatamente quel premio! E tu non fossi un verme traditore fedifrago che si mette in tiro per andare alle premiazioni! E…
Matt gli tappò la bocca con un bacio. Brian soffocò, protestò ancora qualche istante e poi, semplicemente, smise e ricambiò il bacio. Siglandolo con un’occhiataccia appena Matthew si staccò da lui per tirarsi dritto.
-Io vado, tu stai qui buono e non farmi preoccupare.- redarguì per l’ultima volta il frontman dei Muse, tirando la giacca sul petto e sistemandola prima di lasciare la stanza.
Brian rimase a rosolarsi nella stizza e nel calore confortante delle coperte fino a che non sentì i passi di Matt lasciare l’appartamento e la porta richiudersi, poi tirò via lana e lenzuola con un calcio e si alzò.
A piedi nudi si trascinò fino al divano nel salotto. Si arrotolò tra i cuscini, prese il telecomando, accese la TV mettendo il volume al minimo ed allungò una mano a recuperare il cordless sul tavolino lì accanto. Compose il numero, avvicinò il telefono all’orecchio sollevando il telecomando per fare zapping, ed attese il segnale dall’altro lato della linea.
Una voce pacata e modulata, decisamente piacevole, gli rispose dopo un paio di squilli. Brian la riconobbe ed arricciò il naso con aria disgustata.
-Non voglio parlare con te, piattola!- sbottò dando voce al proprio fastidio. Ed ordinò subito dopo- Passami il mio Stefan!
Uno sbuffo, il telefono passò di mano e Brian sentì la stessa voce pacata e modulata annunciare “E’ Brian, mi ha chiamato “piattola” e vuole parlare con il suo Stefan”, poi Stefan gli rispose.
-Ciao, Brian.- salutò la voce del bassista- Potresti, per favore, evitare di chiamare “piattola” Vin?- s’informò con cortesia.- Questa cosa non aiuta la mia relazione.
-Lui è una piattola.- liquidò in fretta Brian.- Ed io sto morendo.- annunciò lapidario.
Stefan sospirò all’incirca allo stesso modo di Matt per tutta l’ora precedente.
-Sto arrivando.- concesse rassegnato.
Brian lo sentì voltarsi verso Vincent e dirgli “Devo andare a salvare Brian da una delle sue solite crisi di idiozia acuta” e la cosa lo indispettì ancor più di quanto non fosse.
-NON E’ UNA CRISI DI IDIOZIA!- gli gridò attraverso il telefono- HO IL MAL DI GOLA!
Poi buttò giù e, bestemmiando contro il fatto che nessuno lo amava in quel freddo e crudele mondo, si rincantucciò meglio sul divano e riprese a fare zapping.
Quando il campanello suonò, la trasmissione a cui partecipava Matt era già iniziata da circa una decina di minuti. Brian gettò un’occhiata trasversale alla porta e poi allo schermo e si decise ad alzarsi per andare ad aprire, ritrovandosi davanti un pacatissimo Stefan che lo squadrò da capo a piedi e lo spinse nell’appartamento.
-Sei a piedi nudi.- notò immediatamente lo svedese.
Brian arricciò il naso. Trotterellò verso il divano e tornò a rannicchiarsi ritirando le gambe sotto il corpo e fissando malevolo il nuovo arrivato.
-Non dirmi cose che già so! Mi è bastato Matt ed il suo “hai la febbre”! Certo che ho la febbre! Sto morendo!- attaccò subito a lamentarsi.- Ma a lui questo non sembra interessare affatto!- affermò mentre recuperava il telecomando ed adocchiava Matt, appena inquadrato dalla telecamera, tra il pubblico della trasmissione. Alzò il volume e continuò imperterrito- Lui preferisce starsene lì a farsi…adorare senza motivo da folle di ipocriti, che restare qui a prendersi cura di me…
Mentre il suo cantante continuava imperterrito la propria invettiva, Stefan richiuse la porta dietro di sé, si liberò del cappotto e si guardò intorno facendo mente locale su quello che era necessario e più urgente fare. Brian stava ancora elencando in modo circostanziato tutti gli elementi che gli permettevano di affermare con sicurezza che Matthew non lo amava affatto ma si divertiva solo a scopare con lui, che lo svedese entrava nella stanza da letto, recuperava il termometro ed una coperta e tornava nel salotto.
-Metti questo.- ordinò passando il termometro a Brian dopo averlo abbassato.
-Io ho il mal di gola e lui meglio di chiunque dovrebbe sapere che razza di tragedia sia!- proseguì intanto Brian, facendo come Stefan gli aveva chiesto e sistemando il termometro al sicuro sotto il braccio.- Ma invece di restare al mio fianco e piangere con me è lì!- Ed indicò lo schermo puntandolo con il telecomando. Stefan gli buttò un’occhiata distratta e tornò a voltarsi, ripiegando la coperta intorno al corpo di Brian. Lui lo lasciò fare, spostandosi docilmente per permettergli di rimboccargli la lana e lasciando ricadere le braccia sul soffice con un suono ovattato. Ed intanto continuò a parlare senza interruzioni.- Ti rendi conto? È…è la cosa peggiore della mia vita! Non sono mai stato così palesemente poco amato! Lui è lì con quei due…idioti accanto, che ridono tutti e tre come degli ebeti e fanno…”ciaociao”! con la manina alla telecamera!
-Sì, certo, è un’indecenza Brian.- affermò Stefan atono.- La teiera è al solito posto, vero?- s’informò poi procedendo verso la cucina.
-Sì.- rispose Brian e, quando si accorse che lo svedese era sparito oltre la porta, proseguì nella “filippica” alzando il tono di voce per essere certo che lo sentisse.- Che poi! Non so se ti rendi conto? Hanno premiato i Muse per il loro ultimo album! Ma stiamo scherzando?!- gridò.- Tu hai sentito il loro ultimo album?!- pretese quindi di sapere.
Stefan lo assecondò, mentre versava l’acqua nel bollitore e lo metteva a riscaldare sul fuoco.
-No, Brian, non l’ho ancora sentito, perché?- Cercò due tazze nella credenza ed il the nel mobile affianco.
-Perché è una lagna! È ossessivo, ripetitivo, palloso, noioso, stizzente!!! E Matt…urlacchia più del solito! Dio, quell’uomo è insopportabile!
Stefan si disse che quanto ad uomini insopportabili lui cominciava ad avere un’ampia esperienza e poteva affermare con quasi totale certezza che gli “urletti” di Matt in sala di registrazione erano decisamente molto lontani dal farlo classificare come “uomo insopportabile”. Si concesse un nuovo sospiro, ma non obiettò e continuò ad ascoltare mentre Brian asseriva che per lui “quella dannata mania di Matthew di svegliarlo all’alba solo per fargli sentire la roba che aveva composto, era un chiaro ed evidente segno di quanto desiderasse in cuor suo ucciderlo per togliere di mezzo un rivale!” E questo dimostrava - a detta di Brian, incontestabilmente - che non lo amava affatto, ma era tutta una manovra per eliminare lui ed i Placebo dalla scena musicale.
Stefan finì di preparare il the e tornò nel salotto, dove Brian sedeva nell’identica posizione in cui lo aveva lasciato, continuando a fissare la televisione con uno sguardo acceso e vivo che la febbre tendeva a rendere assolutamente folle ed ossessivo. Si sedette accanto a lui, posò una delle due tazze sul tavolino al proprio fianco, passò l’altra a Brian e si fece restituire il termometro.
Bene, quasi quaranta. Stava davvero male alla fin fine.
-Quindi,- riprese Brian dopo il primo sorso di the bollente, mandandolo giù e constatando che non era così spiacevole e leniva almeno in parte il dolore che sentiva alla gola.- concorderai con me che si tratta di una mera operazione commerciale. Quel premio non lo hanno vinto perché sono bravi!- affermò sinteticamente Brian, alzando ancora visto che la tizia alla TV aveva appena annunciato l’esibizione dei Muse- Lo hanno dato a loro perché così doveva essere nel “balletto” delle majors discografiche!
-Certo, Brian.- concordò brevemente Stefan, appropriandosi della propria tazza e disponendosi a seguire anche lui la band alla televisione.
Matt, Chris e Dom raggiunsero il palco approntato per loro e si sistemarono agli strumenti musicali. Stefan si accorse del fatto che Brian, con la scusa del continuare a bere il proprio the, sembrava aver deciso di acquietarsi un momento, si voltò a guardarlo e lo vide concentrato ed attento, gli occhi puntati su Matt che raggiungeva il microfono, dopo aver imbracciato la chitarra, e lo sistemava con pochi gesti esperti. Sorrise, voltandosi di nuovo allo schermo e sentendo le prime note della canzone rombare nello Studio gremito di pubblico. Per essere una mera operazione commerciale, sospirò lo svedese già dopo le poche note iniziali, era davvero ben fatta.
-Dio!- sentì sibilare alla voce di Brian.
Lo guardò di nuovo, sedeva ancora con gli occhi fissi sullo schermo, il busto spostato leggermente in avanti e le dita serrate intorno alla tazza. Aveva un’espressione indecifrabile, una via di mezzo inspiegabile tra cipiglio offeso ed una sorta di adorazione stizzita. Stefan inarcò un sopracciglio perplesso, guardò nuovamente Matt, registrò il fatto che stava facendo un’esibizione ottima – anche migliore del solito – registrò anche che quella sera era decisamente… “splendente” - se poteva permettersi un’espressione simile - e si domandò cosa esattamente stesse dando tanto fastidio a Brian.
-Dio!- ribadì lui intanto, sporgendosi ancora così avanti che Stefan temette di doverlo riafferrare prima che cadesse a terra.- E’ disgustoso! È così disgustosamente in tiro che mi stupisce non lo abbiano arrestato per offesa al pubblico pudore!- inveì alzando progressivamente il tono.
Ah, ecco cos’era che gli stava dando fastidio.
Stefan sospirò, posò la propria tazza di the, allungò una mano e riportò Brian seduto contro lo schienale del divano.
-Sì, Bri.- concesse nel frattempo.
-Guardalo!- indicò lui, agitandosi come impazzito- No, dico! Guardalo! È lì che si struscia sul microfono, che fa l’idiota, che ansima e mugola e…
-Non sta scopando davanti alle telecamere, Brian.- lo interruppe Stefan preoccupato dalla piega che stavano prendendo i pensieri dell’altro.
-Oooh, ma ci manca poco!- ribatté lui con aria saccente. Indicando ancora lo schermo con un gesto ampio e teatrale.- Lo conosco io! E lui lo sa! Si è messo in tiro sapendo che lo avrei guardato! Si è messo in tiro perché è una…puttana!- asserì, ormai urlando.- Si è messo in tiro per uscire senza di me!!!- concluse quindi in modo isterico.- Dio! Lo ammazzo! Lo ammazzo con le mie mani! Lo…
-Brian!- scattò Stefan, seccato, quando lui, agitandosi, finì per sparpagliare ovunque schizzi di the bollente.
L’altro lo ignorò. Ma smise comunque di muoversi a casaccio e ricadde contro lo schienale, riprendendo a bere e a fissare malevolo lo schermo. Stefan si accorse che aveva adottato l’aria imbronciata delle grandi occasioni, quella da cucciolo infuriato che sfoggiava con lui o con Matt quando pretendeva la loro attenzione esclusiva. Beveva dalla tazza e gettava sguardi feroci allo schermo. La voce di Matt riempiva il silenzio tra loro e Stefan ne registrava le variazioni perfette, osservandole riflesse nell’ammirazione che Brian non poteva nascondere neppure dietro la propria stizza.
Si ritrovò a dirsi che Brian era proprio innamorato. Perso. Quanto tempo era che non lo vedeva così preso da qualcuno? Probabilmente l’ultima volta era stata con lui. Sorrise. Gli faceva piacere vederlo così, anche se si riduceva a vagare per casa a piedi nudi, con la febbre a quaranta, in cerca della persona che amava. E poi Matt si sarebbe preso cura di lui, lo sapeva.
-Da non crederci, ti giuro! Io non ci credo!!!- riprese a borbottare Brian appena la voce della chitarra si fu spenta in un riff graffiante. La presentatrice si avvicinò sorridendo sui tacchi alti e Brian strinse gli occhi e la fulminò con uno sguardo semplicemente feroce.- E’ una zoccola! Vedi! Vedivedivedi!!! – ribadì sempre più esaltato. Stefan scattò a togliergli dalle dita la tazza ormai semi vuota e Brian gliela lasciò per poter avere le mani libere e riprendere ad indicare con foga la televisione.- E’ una zoccola!-gridò voltandosi verso lo svedese per poter avere conforto da lui.
-Chi dei due, Brian?- s’informò Stefan gettando un’occhiata allo schermo, su cui la tipa aveva appena terminato di scambiarsi un bacio affettuoso con Matt, dopo che il pubblico lo aveva richiesto a gran voce.
-MATTHEW!- ruggì Brian al colmo dell’isteria.
-Certo, Brian- concordò pazientemente Stefan sistemando con cura la tazza e voltandosi poi a rimboccargli nuovamente la coperta, che l’altro aveva fatto cadere.
Brian si lasciò andare ad uno sbuffo di furia assassina e di totale resa e si lasciò ricadere per l’ennesima volta contro il divano, riprendendo a fissare la televisione e concedendo all’amico altri trenta secondi di pace per le orecchie.
Stefan li impiegò per alzarsi ed andare a cercare la tachipirina nel mobile dei medicinali, tornò con sciroppo e cucchiaio e si sedette in attesa del momento migliore per somministrare il farmaco a Brian, leggendo intanto con pazienza le indicazioni del dosaggio.
La presentatrice stava spiegando le ragioni per cui avevano deciso di assegnare il loro premio ai Muse e Matt la ascoltava sorridendo sicuro di sé, con un’espressione talmente serena e padrona da riuscire a dargli un fascino tutto particolare.
Eh, sì, notò infine lo svedese guardandolo appena, si era proprio messo in tiro.
-Gli piace andarsene in giro senza di me, eh!- esclamò Brian al suo fianco, sorridendo cattivo.- Lo diverte stare lì a fare il bagno di folla, a ricevere premi che non si merita affatto, a sentirsi amato da tutti! Non gli è nemmeno saltato per testa che potevo esserci qui io a morire, che magari tornando a casa non mi avrebbe più trovato…
-Hai l’influenza.- provò ad interromperlo Stefan, alzando il viso dal foglietto illustrativo.
E Brian proseguì senza nemmeno accorgersene.
-…o peggio! Mi avrebbe trovato, ma riverso a terra, ucciso dalla febbre e dal mal di gola! Morto triste, solo e depresso per causa sua!- tratteggiò il cantante mostrando anche una certa cura nel dettaglio.- Ma cosa gliene importa a lui?! Lui avrebbe avuto il suo premio! Avrebbe avuto il suo “bacetto” dalla zoccoletta in tacchi alti! Avrebbe avuto…
Nel frattempo la tipa, che aveva terminato il proprio discorso, lasciò il microfono, sollevò e si avvicinò a Matthew per consegnarglielo. Lui le sorrise di nuovo, lo accettò e ottenne a sua volta un microfono per poter ringraziare.
-…avrebbe avuto la sua folla festante! Poi, io non ci sarei più stato ma, dico, vuoi mettere! Lui avrebbe mosso un altro passo sul gradino della popolarità! – sbottò Brian ignorando bellamente che la scalata ai gradini della popolarità i Muse l’avevano iniziata già molto prima di quella sera.
Mentre Matt sciorinava i propri ringraziamenti, Brian sciorinava le proprie lamentele. Con la stessa aggraziata nochalance.
-Che non è che nemmeno chiedessi tanto, mi sarei accontentato di vederlo almeno interessato a me! Di vederlo esitare e chiedermi “Bri, sei sicuro di poter restare qui da solo? Non preferisci che io rimanga?”. Io gli avrei detto che non c’era bisogno, che doveva lavorare e che sarei senza dubbio riuscito a resistere per quelle due ore, anche se mi sarebbe costato molto.- spiegò con ragionevolezza il leader dei Placebo. E Stefan non dubitò nemmeno un istante che sarebbe gelato all’Inferno prima che Brian mostrasse una tale lucidità ed una simile maturità quali quelle descritte. Ma ovviamente non lo disse.- Anche se, voglio dire, per ricevere un premio che non ti meriti e che non vale niente…potevi anche rinunciare e mandarci i due idioti da soli! Ma la verità incontestabile è che io valgo meno di quell’orrore di metallo lucido che sta reggendo tra le mani tanto tronfio! Che preferisce quell’obbrobrio…che ora pretenderà anche di sistemare qui in casa! a me! Che…- Matt sollevò effettivamente l’obbrobrio, fissò la telecamera conta tanta intensità che i suoi occhi blu parvero lì, davanti a loro, e non a chilometri di distanza e nascosti dietro uno schermo, e dedicò la propria vittoria al “suo cucciolo, che era a casa ammalato invece di essere lì con lui in quel momento, ma che gli mancava in ogni istante in cui non poteva essere al suo fianco”.
E Brian si sciolse.- …che è la cosa più adorabile del mondo…- mormorò fissando la televisione a bocca aperta e con sguardo sognante. Si voltò verso Stefan di scatto, fissandolo con occhi lucidi di febbre e d’amore.- Non è la cosa più adorabile del mondo?!- domandò pressante, indicando Matthew mentre lasciava il palco e tornava a sedere tra il pubblico.- Guardalo! È…è…è…
-Sì, Brian.- concesse Stefan.
Si voltò e gli porse il cucchiaio pieno, di cui Brian ingoiò il contenuto senza fare domande, troppo concentrato su quell’“amore infinito che era il suo uomo”. Che era poi semplicemente bellissimo quella sera. Non lo trovava bellissimo anche Stefan? Lui lo trovava bellissimo. Ed aveva fatto un’esibizione deliziosa! Perfetta! Ah, era proprio bravo, il suo uomo! E lui ci teneva anche a dirglielo! Avrebbe guardato tutta la trasmissione e lo avrebbe aspettato lì, seduto in salotto, per potergli dire che era fiero di lui! Appena Matt fosse entrato sarebbero state le sue prime parole! Sarebbe stato contento di sapere che Brian aveva visto tutta la diretta, ah sì. E gli avrebbe fatto piacere sapere quanto era orgoglioso e…
Mezz’ora dopo Brian, stremato dalla febbre e da tutta quell’agitazione, dormiva beatamente sul divano, appallottolato tra i cuscini, le coperte ben rimboccate fin sotto il mento. Stefan usciva dalla cucina con una tazza di caffè e la porta di casa si apriva con delicatezza, permettendo a Matthew di fare il proprio ingresso di ritorno dalla premiazione. Gli sguardi dei due uomini si intercettarono attraverso la stanza e loro si sorrisero.
-E’ un’idiota.- fu il commento di Stefan. Posò il caffè, recuperò il cappotto dalla sedia su cui lo aveva abbandonato entrando e si avvicinò a Matt.- Cambio.- esordì pacato.- Adesso è tutto tuo.
-Grazie, Stef.- si limitò a dirgli l’inglese.
Una scrollata di spalle, il bassista uscì tirandosi l’uscio di casa e lasciando gli altri due da soli. Matthew posò l’obbrobrio di metallo sul tavolo nel soggiorno, si liberò a sua volta del soprabito e si avvicinò silenziosamente alla figura addormentata sul divano. Brian respirava a bocca aperta, quando si fosse svegliato avrebbe avuto un mal di gola anche peggiore di quello con cui si era addormentato. E comunque non poteva restare lì tutta la notte. Allungò una mano, gli accarezzò il viso scostando le ciocche spettinate e lo chiamò.
-Bri.- Brian mugugnò qualcosa nel sonno, sottraendosi al suo tocco per riprendere a dormire, ma Matt non scostò la mano e non lo lasciò fare.- Brian, tesoro, svegliati che devi venire a letto.- lo chiamò nuovamente.
Lo vide sbattere le palpebre un paio di volte, aprire poi gli occhi per metterlo a fuoco e…
-Matthew!- sbottò Brian appena lo riconobbe.
E meno di mezzo secondo dopo Matt se lo ritrovò addosso, che lo abbracciava e baciava. E le sue labbra, riarse dalla febbre, erano calde come mai e lui sorrise nel ricambiare il bacio.
-Ciao, Bri, sei stanco?- s’informò Matt abbracciandolo e tenendolo stretto.
Brian sorrise maliziosamente, sporgendosi di nuovo a sfiorargli la bocca.
-Non abbastanza.- ridacchiò.
Matthew lo fissò affatto convinto.
-Bri…- lo richiamò piano.
-Beh, cosa?- ritorse lui sempre più malizioso.- Cosa cosa?- incalzò ridendo e spingendolo via per tirarsi in piedi.- Non dovevamo andare a letto?- chiese senza staccare il viso dal suo, ma spingendolo ancora, verso la porta della camera.- Cosi impari a lasciarmi da solo per tutto questo tempo!
-Dio, Brian! Sei impossibile!- sbottò Matthew sconvolto.- Ma non stavi morendo?!
Lui ci pensò su. Arricciò il naso in un cipiglio delizioso, portò un dito alle labbra rosse e morbide e poi si limitò rispondere:
-…resuscitato!- con aria divertita e soddisfatta.
Spinse Matthew oltre la soglia e si chiuse alle spalle la porta.
*
Caddero sul letto con un tonfo sordo, e la prima cosa che Matt pensò fu “però, se reagisce così dovrei abbandonarlo a sé stesso più di frequente”.
Brian sembrava un indemoniato. Da quando erano arrivati in camera da letto non aveva fatto che armeggiare con i suoi pantaloni, cercando disperatamente di sfibbiarli senza neanche riuscirci.
- Che diamine… - lo sentì bisbigliare fra i denti, e la cosa lo fece ridacchiare.
- Aspetta, aspetta… - disse dolcemente, scostandoselo di dosso e adagiandolo sul materasso come avrebbe fatto con un bambino dormiente, - Faccio io.
Si alzò in piedi, scendendo dal letto, per raggiungere più facilmente il doppio bottone dei jeans che indossava, e sfibbiò velocemente il primo, lanciando uno sguardo distratto a Brian che era rimasto immobile sul letto e…
Lo guardava.
- Che succede? – gli chiese, preoccupato, - Stai di nuovo male?
Brian scosse il capo, come in trance.
- Non dobbiamo farlo per forza. Voglio dire, se ci sei hai tutta la mia collaborazione, ma Bri, non vorrei che mi svenissi fra le braccia o qualcosa di simile…
Brian si sollevò stancamente, inginocchiandosi sul materasso e guardandolo dal basso. Gli occhi umidi brillavano come quelli di un cucciolo, ed erano offuscati da un velo che Matt non faticò a riconoscere come desiderio.
- Sei… bellissimo. – disse Brian a fatica, sfiorandogli il petto attraverso il tessuto della camicia, - Spogliati lentamente…
Matt rispose con un sorriso malizioso, sfibbiando con un gesto morbido il secondo bottone dei pantaloni e lasciandoli lì, aperti, perché Brian potesse osservarli e decidere se abbassarglieli di colpo e saltargli addosso oppure semplicemente aspettare.
Notò con piacere che il suo uomo sembrava disposto a giocare un po’, perché si sedette comodo contro i cuscini addossati sulla spalliera del letto e rimase a godersi lo spettacolo.
Scivolò lento con due dita sui bottoni della camicia, sfibbiandoli uno a uno con la stessa attenzione che avrebbe riservato alla pelle di Brian, se sotto i suoi polpastrelli ci fosse stata lei. Brian si inumidì il labbro inferiore, stringendolo poi fra i denti mentre portava una mano all’inguine e si accarezzava lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso.
Matt sfilò la camicia e la lasciò cadere a terra, arrampicandosi nuovamente sul letto e fermando la mano di Brian prima che potesse concludere la seconda carezza.
- No no… - bisbigliò, a un centimetro dal suo orecchio, - Non pensare che ti lascerò fare tutto da solo… non sono fatto per essere guardato…
Brian si lasciò sfuggire un mugolio frustrato, spingendosi contro di lui e strusciandoglisi addosso.
- Piano, piano… dammi tempo… - mormorò Matt, stringendolo a sé con sicurezza e sollevandolo dal materasso quel tanto che bastava per sfilargli i pantaloni e gettarli lontano, da disturbo qual erano.
- Tempo… - si lamentò Brian, ribaltando le posizioni e salendogli addosso, - Ho aspettato anche troppo.
Matt sorrise felino, e non lasciò che Brian stabilizzasse la nuova situazione, ma lo riportò con decisione sul materasso, stupendosi della sua docilità.
- Te ne approfitti perché ho la febbre…
- Sei tu che mi hai dato via libera, tesoro…
Brian sorrise e ricominciò a strusciarsi contro di lui, mormorando soddisfatto quando la propria erezione sfiorava la fibbia dei pantaloni di Matt attraverso il cotone degli slip.
- Santo cielo, sei proprio impaziente! – ridacchiò Matt, allontanandosi da lui con un veloce movimento dei fianchi, - Non puoi aspettare che sia io a soddisfarti? Devi per forza fare tutto da solo?
- Maaatt… - lo richiamò lui, gli occhi chiusi e il respiro affannoso, mentre spingeva in avanti il bacino alla disperata ricerca di un contatto.
- Ok, ok… - rispose l’inglese, tornandogli vicino, - Ho capito.
Gli scivolò addosso, lasciandosi sfuggire un ghigno soddisfatto mentre osservava la schiena di Brian inarcarsi e il suo capo gettarsi indietro all’istante.
- Matt… Matt, ti prego…
Ma sì, ne aveva avuto abbastanza.
Saltò fuori dai propri pantaloni con tanta velocità che si stupì di sé stesso, e riuscì a spogliare definitivamente Brian nello stesso movimento.
Oh, sì.
Doveva avere voglia.
Decisamente.
- Mmmh, e poi sarei io quello bello… ma guardati… - commentò, chinandosi sul suo petto e scivolandogli addosso con la lingua, - Sei così caldo
Brian sospirò pesantemente, giocando con le dita fra i suoi capelli e spingendolo verso il basso con desiderio neanche troppo celato.
- Il mio bimbo impaziente… - sbuffò Matt divertito, soffermandosi a giocare con le labbra su un suo capezzolo e sfiorando appena la sua erezione con le dita, - Come ho potuto lasciarti qui da solo…?
- Sììì… sei… sei stato terribile…
- Mmmh… eri geloso…?
- Da morire… da morire…
- Ma come…? Io ti sono stato così fedele…
- La… ah… Matt…
- Mmmh…?
- La presentatrice… ci provava con te…
Ridacchiò, circondandolo con una stretta sicura e riprendendo a massaggiarlo dall’alto verso il basso, risalendo con la lingua per torturargli il collo.
- Ci provava con te e tu… Dio… Matt, cazzo, scopami…!
- Oooh… non posso mica farlo così, di punto in bianco… devo prima prepararti…
- Il lub-
- So dov’è il lubrificante, Bri… ma non so, oggi… - gli leccò le labbra, e Brian rispose dischiudendole e offrendosi per un bacio, - …oggi sei buono da mangiare…
Brian rabbrividì sotto le sue dita, e lui smise immediatamente di accarezzarlo.
- …e quindi penso che ti assaggerò tutto…
- Cos- - azzardò l’uomo, ma non ebbe modo di concludere la sua domanda, perché due secondi dopo Matt era lì, fra le sue gambe, che si avvicinava pericolosamente alla sua apertura, sfoggiando un sorriso da predatore che avrebbe dato i brividi anche a un dio del sesso.
- Dio…! – esclamò, coprendosi gli occhi con un braccio, - Non vuoi farlo davvero!
- Oh, sì che voglio…
- Matt! – ma non riuscì a dire altro, perché la lingua del suo uomo lo sfiorò, dapprima con tocchi lievi ed esitanti, e poi via via sempre più sicuri, scivolando umida e calda tutta intorno per poi indugiare appena sulla sua apertura e forzarla con decisione, strappandogli un brivido e un singhiozzo di sorpresa e piacere.
- Aaah… - ansimò, mentre la lingua di Matt si faceva strada dentro di lui, - Oddio…
Matt riemerse dalle sue gambe, tornando a guardarlo con un sorriso soddisfatto.
- Proprio buono, sì. – commentò ironico, facendolo rabbrividire per l’ennesima volta, - E comunque smettila di invocare Dio, cielo… - sbottò, avvicinandoglisi e sfiorandogli le labbra col respiro, - Hai qui me… invoca me…
- …Matt! – riuscì a dire Brian, spalancando gli occhi, - Sei un porco!
Matt ghignò, zittendolo con un lieve tocco sulla sua erezione.
- Come se questo non ti piacesse…
- Ngh… vorrei… vorrei vedere come reagirebbero i tuoi amici se sapessero che sei davvero così puttana
- Mmmh… preferisco che a vederlo sia solo tu. E adesso… - concluse, infiltrandosi fra le sue cosce e sollevandogli il bacino per posizionarsi fra le sue natiche, - …vediamo di recuperare il tempo perduto.
Quando gli fu dentro, Brian lanciò un gridolino a metà fra il dolore e la sorpresa e chissà cos’altro, incrociandogli le gambe dietro la schiena e attirandolo a sé.
- Matt… ah, Matt… sì, scopami…
Matthew si chinò sul suo collo, spingendosi con forza dentro di lui.
- Ti scopo, piccolo, ti scopo… non mi senti…?
- Sì… sì che ti sento…
Sorrise sulla sua pelle, uscendo fino al limite ed osservando divertito Brian venirgli incontro con un movimento imperioso.
- Matt… non ti azzardare…
- Uh… non mi va più di condurre il gioco… ti va di… mh… cavalcare…?
Non gli diede neanche il tempo di domandarsi di cosa diavolo stesse parlando: lo afferrò per i fianchi e ribaltò le loro posizioni sul materasso, costringendo Brian a impalarsi con un gemito strozzato sulla sua erezione pulsante.
- Adesso devi muoverti tu, piccolo…
E Brian non se lo fece ripetere due volte. Prese ad agitarsi come un ossesso su di lui, piantando le mani sulle sue ginocchia e spingendosi a fatica verso l’alto, per poi lasciarsi ricadere verso il basso, rompendosi in sospiri eccitati e ansiosi, aumentando il ritmo mentre Matt gli si spingeva contro a sua volta, totalmente rapito dal suo movimento rapido e dalle gote arrossate da febbre ed eccitazione.
- Matt… - ansimò, - Toccami…
Matthew allungò una mano e circondò amorevolmente la sua erezione, scivolando per la lunghezza al ritmo delle loro spinte, aumentando la velocità quando voleva che anche Brian la aumentasse e diminuendola quando gli sembrava che le cose stessero per concludersi troppo in fretta.
Fosse dipeso da lui, gli sarebbe rimasto dentro per sempre.
Ma era impossibile, e lo sapeva, e perciò non fu deluso come avrebbe dovuto, quando lo sentì liberarsi fra le sue dita con un singulto strozzato.
- Matt… Matt, vienimi dentro… ti voglio sentire mentre vieni…
- Dio, sì! – ansimò lui, mettendosi seduto e afferrandogli il collo tra i denti mentre si svuotava dentro di lui.
Ricaddero entrambi sul materasso, esausti; Matt fra le lenzuola e Brian ancora tutto attorno a lui, disteso sul suo petto, alla ricerca dell’aria che non trovava più.
- Cazzo… - riuscì a commentare Matt quando ne ritrovò la possibilità, - è stato…
- …grandioso! – concluse per lui Brian, guardandolo negli occhi con aria sinceramente stupita, - Davvero! Mai… mai provata una cosa simile! E se lo dico io…
Matthew ridacchiò, stringendoselo contro come un pupazzo.
- Non essere troppo crudele con te stesso…
- Haha, Bellamy, haha.
Gli scompigliò i capelli affettuosamente, godendo del tepore della sua pelle contro la propria.
- Sembra che la febbre ti sia passata… non sei più tanto caldo…
- Probabilmente avevo solo bisogno di sfogarmi! – ridacchiò Brian, circondandogli il collo con le braccia, - Spero solo che adesso non venga a te.
Le ultime parole famose.
*
Matthew aveva un tale, terrificante mal di testa che si sarebbe sentito decisamente meglio se qualcuno, in un atto di sincera pietà, gliel’avesse spiccata di netto dal collo con un bel colpo d’ascia. Ma in alternativa era disposto ad accettare anche una pistolettata contro la tempia.
In una simile condizione fisica e mentale non era particolarmente stupito del trovare la presenza di Brian - cinguettante e felice nel bagno - assolutamente inopportuna. Soprattutto perché lui sembrava, invece, tornato in forma smagliante e ci teneva a manifestare questa cosa cantando la sua gioia come la peggiore principessa disneyana nel più becero dei film per bambini!
-Mattytesoro!!!- si annunciò Brian comparendo sulla porta del bagno, perfettamente lavato, vestito, profumato e truccato, tanto da essere tornato la deliziosa signorina di sempre. Il suo sorriso si allargò incrociando lo sguardo sofferente di Matthew, messo k.o. da un febbrone da cavallo salitogli nella notte ed agonizzante sotto strati vari di lana, nel lettone.- Oh, non temere!- esclamò Brian avanzando minacciosamente verso di lui ed incrociando le braccia dietro la schiena in una posa adolescenziale che Matt giudicò spaventosa.- Mi prenderò cura di te con tanto amore e dedizione che sarai fuori da quel letto per ora di cena!- promise riuscendo ad aumentare a dismisura la percezione di pericolo naturalmente promanante dalla sua figura.
Eh, già! L’altra cosa a cui Brian sembrava tenere terribilmente quel mattino, era ringraziarlo per quanto era stato carino la sera prima con lui e manifestargli il proprio amore incondizionato. Questa cosa riusciva talmente orrorifica per Matthew che provò inutilmente a mugugnare un rassicurante “sto bene, non devi per forza sacrificarti per me, magari è meglio se esci”, ma riuscì ad articolare solo un gemito strozzato. E, colmo della sfiga, Brian lo interpretò come un lamento.
-Oooh! Povero cucciolo!!!- esclamò subito, partecipe del suo dolore. Matt se lo ritrovò addosso prim’ancora di poter realizzare che questo, probabilmente, avrebbe comportato la chiusura definitiva e totale delle sue già ostruite vie respiratorie.- Hai mal di gola, vero? Povero tato, sei così piccolo ed indifeso, contro quei batteri cattivi! Vuoi che ti prepari una camomilla?
“No, vorrei che ti spostassi e permettessi all’ossigeno di raggiungere i miei organi vitali”, pensò Matt pacatamente, soffermandosi piacevolmente sulla vaga possibilità che Brian facesse davvero qualcosa di utile per lui quel giorno. Poi si rimise di buon animo ad aspettare che la morte per soffocamento lo cogliesse.
Ma per sua sfortuna, Brian aveva già avuto un’ottima idea e, con uno slancio che valse a Matt un discreto colpo nello stomaco, si sollevò balzando agilmente giù dal letto e da ciò che rimaneva del proprio compagno.
-Bene! Allora ti preparerò una camomilla calda con tanto miele! E poi!!!- aggiunse con un sorriso enorme ed entusiasta- Avviserò Dom e Chris che non stai bene, così potranno venire a trovarti!
Matt sbuffò. Appena Dom e Chris avessero saputo che lui era a letto con la febbre a quaranta, non solo non si sarebbero fatti vedere a casa prima di un mese, ma sarebbero fuggiti in Polinesia per essere certi di evitare il contagio. Abbandonandolo, peraltro, alle amorevoli cure di Brian.
Rabbrividì.
E fu la seconda peggiore idea della giornata. Come per il gemito strozzato, infatti, il suo premuroso compagno immaginò immediatamente quale potesse essere la causa di una tale manifestazione di malessere e, già correndo in direzione dell’enorme cabina armadio che si apriva su un lato della camera, strillò.
-Ma tu hai freddo!- disse, sparendo all’interno della cabina suddetta, per poi riemergerne con sollecitudine, reggendo tra le mani un piumone così alto e spesso che Matt iniziò a sudare già a vederlo.- Non sia mai che prendi un colpo d’aria.- asserì, maneggiando con sicurezza l’ammasso informe di piume e morbido cotone blu.
Lo spiegò e lo lasciò ricadere su Matthew con lo stesso movimento, prendendo subito a rimboccarne le estremità per essere certo che quest’ultimo svanisse fra le innumerevoli pieghe, e non appena il viso di Matt fu ben coperto dal piumone e di lui non rimase che un ciuffo di capelli castani che spuntava sul cuscino, Brian si tirò dritto, gettò uno sguardo alla sagoma ricoperta ed incrociò le braccia sul petto sbuffando.
-Matty!- richiamò arricciando il naso infastidito.- Smetti subito di fare il bambino!
Sotto la sua tomba di lana e piuma d’oca, Matt si domandò pigramente di cosa stesse parlando. Poi avvertì le dita di Brian scavare tra le coltri ed udì la sua voce fornire una spiegazione stizzita.
-Insomma! Non stavi male?! Potresti anche evitare di…giocare a nascondino! Non penserai mica che io possa passare tutta la giornata qui seduto a badare a te, Matt! Devo preparare il pranzo, scendere a prenderti le medicine…
“No, Brian, hai ragione, ci mancherebbe! Vai pure, amore!”, implorarono gli occhi di Matt.
E non appena Brian intercettò quello sguardo angosciato di lacrime riflesse nell’azzurro splendente, capì che non poteva deluderlo.
Sospirò, si arrampicò sul letto pestacchiando le membra scomposte che gli strati innumerevoli rendevano praticamente invisibili, e raggiunse il proprio lato del materasso.
-Va bene.- gli disse piano, stendendosi al suo fianco e poggiando la testa contro la spalliera del letto. Incrociò le mani in grembo e sospirò di nuovo.- Resterò qui con te.
Matt voltò il capo e fissò il muro davanti a sé. In quel bianco immacolato lesse la propria condanna. Capì che Dio esisteva, e lo odiava! E…
Brian si accoccolò contro di lui, arrotolandosi come un bambino e posandogli la testa sul petto. Matt rimase un attimo stupito. Poi il suo corpo si rilassò sotto quel peso, quasi adattandosi alla forma di quella “presenza”. Sorrise, pensò che era la cosa migliore della sua vita e chiuse gli occhi anche lui.
...Quando Brian si svegliò un paio di ore dopo, lo trovò che dormiva a bocca aperta.
-Uff!- sbuffò paziente- Quando si sveglierà avrà un mal di gola peggiore di prima.
Genere: Introspettivo, Triste.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG
AVVISI: Angst.
- "In tutte le relazioni, arrivati ad un certo punto, inevitabilmente qualcosa all’interno del rapporto cambia. Non si esaurisce né finisce del tutto, mai, perché qualcosa di te resta sempre negli altri e qualcosa degli altri resta sempre dentro di te, ma basta che si perda anche un solo mattoncino dell’incastro che teneva in piedi l’impalcatura del vecchio “noi”, perché ci si ritrovi davanti ad una scelta obbligatoria – perlopiù poco piacevole.
Quando accade, puoi decidere di restare te stesso e lasciare andare l’altra persona per la propria strada; in alternativa, puoi decidere che non se ne parla e cambiare forma anche tu, modificarti assieme alla relazione, fare di te stesso il collante che rinsaldi ciò che sembra si stia spaccando prima ancora di cominciare a piegarsi.
Con Steve… diciamo che l’abbiamo lasciata andare.
E diciamo pure che non l’ho deciso io, però.
"
Commento dell'autrice: No, non ho assolutamente nulla da dire, e anche se avessi qualcosa da dire giuro che la tratterrei ^^ È dedicata a una persona che non deve leggerla, e che se lo farà quando non sarà ancora pronta mi premurerò di picchiare personalmente con una scopa <_< *minaccia neanche troppo velata*
Certe cose sono molto stupide. Possono anche venire bene, ma restano sfoghi idioti. Solo che hai bisogno di buttarli fuori, perché come ripeto da giorni a chiunque chieda perché sto perdendo tempo, ognuno ha il proprio modo di elaborare i lutti XD
Perciò scusate. Ma spero possa servire anche a voi com’è servito a me XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
COME CLEAN

In tutte le relazioni, arrivati ad un certo punto, inevitabilmente qualcosa all’interno del rapporto cambia. Non si esaurisce né finisce del tutto, mai, perché qualcosa di te resta sempre negli altri e qualcosa degli altri resta sempre dentro di te, ma basta che si perda anche un solo mattoncino dell’incastro che teneva in piedi l’impalcatura del vecchio “noi”, perché ci si ritrovi davanti ad una scelta obbligatoria – perlopiù poco piacevole.
Quando accade, puoi decidere di restare te stesso e lasciare andare l’altra persona per la propria strada; in alternativa, puoi decidere che non se ne parla e cambiare forma anche tu, modificarti assieme alla relazione, fare di te stesso il collante che rinsaldi ciò che sembra si stia spaccando prima ancora di cominciare a piegarsi.
Con Steve… diciamo che l’abbiamo lasciata andare.
E diciamo pure che non l’ho deciso io, però.
*
Steve ci ha tenuto a parlare contemporaneamente con me e con Stef. Per “chiarire in un’unica volta”.
Sinceramente, credo di averlo detestato sul serio, in quel momento. E non mi era mai successo, con lui, perciò mi sono ritrovato del tutto impreparato di fronte a quel tipo di sentimento e ho fatto scena muta per tutto il tempo, rannicchiato sulla poltrona più scomoda dell’universo intero, con Stef accanto che sembrava in procinto di scattare per afferrarmi una mano come gesto consolatorio e il mio batterista che continuava a sciorinare perché su perché su montagne di rassicurazioni inutili che neanche ho percepito.
È stato davvero poco onesto da parte sua comportarsi così.
Avrebbe dovuto prima parlare da solo con me, così avrei potuto ricoprirlo d’insulti. Solo dopo sarebbe dovuto andare da Stef, che invece l’avrebbe trattato con riguardo e l’avrebbe rassicurato sul fatto che mi sarebbe passata presto. Io avrei avuto una scusa più che valida per restare incazzato a morte e chiudermi in uno scantinato per non parlare con anima viva fino a marzo, mentre Stef sarebbe andato in giro a sviscerare il problema coi giornalisti di tutto il mondo, e saremmo stati tutti più contenti. D’altronde, Stef adora le chiacchiere in libertà, non sarebbe stato un dramma per lui.
E invece no. Steve ha ritenuto opportuno trattarmi come l’adulto che ogni tanto dimentico di essere, dimenticando a propria volta di stare mettendomi nella condizione perfetta per provare a comportarmi come un bambino. E, non pago, ha frustrato la mia naturale spinta verso l’infantilismo con la presenza di Stef in quella stanza.
Un piano diabolico e perfetto, non c’è che dire.
È esattamente questo, quello che sto pensando adesso. Di fronte a un piatto di spaghetti alle vongole. Mentre la mia compagna distribuisce il condimento residuo dal pentolino ai piatti e incassa con un sorriso schivo e imbarazzato i complimenti di sua moglie. E sua figlia tenta con non troppo successo di imboccare mio figlio con mini-porzioni della banana schiacciata che ha nel piattino, sul seggiolone. E il mio batterista mi guarda, dall’altro lato del tavolo. E io so che dovrei cambiare terminologia. Smettere di pensare a Steve in questi termini – come “il mio batterista”, intendo.
…ma sono undici fottuti anni, cazzo. È impensabile che io perda l’abitudine in una settimana.
*
Quella della cena, ovviamente, è stata un’idea di Helena. Lei dice che ho bisogno di un confronto. E questa probabilmente è la verità, ma non è il punto.
Il punto è il seguente.
È che dopo undici anni non ho più un batterista e non ho alcuna voglia di cercarmene un altro.
È che Steve mi ha detto di non voler più far parte dei Placebo, e l’ha fatto sorridendo.
È che, dopo che l’ha fatto, io ho fissato il vuoto per minuti interi, cercando di capire cosa fare della mia vita da adesso in poi, e dopo ho dovuto ricordare di essere Brian Molko e correre a rilasciare dichiarazioni idiote che solo a rileggerle mi danno la nausea.
È che non tutto ciò che ho detto alla stampa è completamente falso.
È che, al di là delle belle parole, di tutti i bei fiocchetti con i quali decoro il pacco enorme che sto lanciando sul mondo, mi sento davvero come alla fine di un matrimonio, con niente in mano se non un monte di debiti con me stesso e coi fan e un mucchietto di macerie sbriciolate dalle quali dovrò ricominciare in primavera.
È che non ho mentito, ho solo omesso particolari.
È che quei particolari, incidentalmente, erano le parti importanti.
Il punto è che forse io ho “bisogno” di un confronto, ma di sicuro non voglio affrontarlo.
Il punto è che, nonostante tutto, niente di ciò che sto pensando servirebbe a scuotere quel sorriso incrollabile dal volto di Steve.
Che io lo trovo crudele.
Che non lo è davvero.
E che non mi interessa.
*
La cena si conclude tra una chiacchiera e l’altra.
Parlano tutti tranne me.
Helena chiede cose a Rita, Emily continua imperterrita a giocare con Cody mentre Steve lo tiene in braccio e cerca di fargli maneggiare due sonaglini a ritmo di qualcosa che non riesco a riconoscere.
Guardo tutto come non fossi qui, in questo momento, e credo sia una bella scena. Un quadretto amichevole, quasi familiare.
- Emily, a Cody hanno regalato una bellissima tastiera karaoke, per il suo compleanno… ti va di darle un’occhiata? – chiede Helena sorridendo, alzandosi dal divano sul quale stava chiacchierando con la moglie di Steve.
La bambina batte entusiasticamente le mani e prende goffamente in braccio mio figlio, arrancando verso la cameretta fra le risate tenere delle due donne.
Quando anche Rita abbandona i cuscini e guarda Helena, capisco che il momento si sta avvicinando.
- Andiamo a preparare il caffè? – chiede la mia compagna, fintamente distratta.
Rita annuisce e la segue in cucina.
Steve resta seduto nella sua poltrona, io resto seduto nella mia.
Lui sa che, se potessi, scatterei in piedi e correrei da Stef. Perché adesso avrei bisogno di lui. Adesso, che anche se scoppiassi a piangere o mi mettessi a urlare e tirargli addosso piatti, saprei di non avere nessuna scusante per farlo. Dopo una settimana, dopo tanti saluti e rassicurazioni al telefono, “continueremo a frequentarci, potremo ancora parlare di musica, non sono mica morto, Brian!”, adesso non avrei più nessuna scusa, nessuna bugia con cui mascherare la vergogna e l’imbarazzo e la paura.
Siamo io e Steve, l’uno davanti all’altro.
Sono io con la mia stupida nostalgia in anticipo.
È lui con la sua fottuta serenità, in anticipo anche lei.
Sentimenti come questi non dovrebbero venir fuori dopo anni dalla separazione…?
…in quei momenti in cui dici “sì, quello che c’era mi manca, ma ormai sto bene”…
Siamo troppo avanti rispetto ai tempi naturali delle cose, Steve… è per questo che ci sto male.
- Tu mi odi.
Sollevo lo sguardo.
Per meglio dire, non l’ho mai abbassato. Fissavo Steve, ma non lo stavo davvero guardando. Perciò si può dire che più che altro metto a fuoco la sua immagine e ritorno al mondo dei vivi.
- Stronzate. – dico d’impulso, sentendo un’ondata di calore sopraffarmi dai polmoni fino al collo.
Ho bisogno di una sigaretta.
Allungo una mano troppo incerta verso il tavolino accanto alla poltrona e sbatto un paio di volte contro la base del lume prima di raggiungere il pacchetto e catturarlo fra le dita.
Porto una sigaretta alle labbra e cerco l’accendino, ma non lo trovo. È rimasto sul tavolino. Faccio per prenderlo, ma da bravo gentiluomo Steve mi tira il suo. Io lo ricevo in pieno petto, lascio che rimbalzi e rotoli tranquillo fino al mio grembo e poi lo prendo e lo uso.
Steve ridacchia, e io glielo tiro nuovamente addosso. Fa esattamente lo stesso percorso al rovescio, solo che l’affarino, invece di fermarglisi in grembo come dovrebbe – come avrebbe fatto, qualche settimana fa – gli si blocca sulla pancia.
Ridacchio anche io.
- Hai già messo su la pancetta. – noto, con una punta di crudeltà, trattenendo il fiato perché lui non noti la mia.
- Rita mi ha rimpinzato! – dice lui orgoglioso, passandosi una mano sul ventre, - Intendo tenermela fino a quando non sarà necessario farla sparire, giuro!
Mi mordo le labbra.
Quando accadrà, non sarà Alex ad andarlo a recuperare e chiuderlo in palestra per settimane. Non saremo io e Stef a prenderlo in giro perché “è diventato perfettamente sferico!”. E lui non mi dirà più di badare ai fatti miei perché “non è che io sia messo meglio!”. E non guarderà Stef in cerca di approvazione, e lui non guarderà entrambi dicendo che siamo due botoli, scuotendo il capo con aria affranta. E poi non gli salteremo addosso con intenti omicidi, e non passeremo ore a litigare e tirarci calci e pugni a vicenda, e Alex alla fine non verrà a riacciuffarci per i capelli fissandoci inorridita e dandoci dei mocciosi. E io non replicherò più che “almeno abbiamo sudato”. E lei non risponderà che se ci manda in palestra è per evitare di doverci far picchiare pur di dimagrire.
E tutti questi “non più” mi fanno schifo.
- Non mi odi, allora? – riprende lui, dopo aver riposto l’accendino in tasca.
Roteo gli occhi e sbuffo.
- Da dove salta fuori questa storia? – chiedo infastidito.
- Da Stef. – ridacchia lui.
Lo fisso, sconvolto.
- Stef ti ha detto che-
- Ma no! – ride, stringendosi nelle spalle, - Dai, non ti sembra assurdo anche solo pensarlo?
In effetti, sì.
Solo che mi sto augurando che il mio comportamento degli ultimi giorni non abbia preoccupato Stef al punto da fargli ipotizzare una cosa simile. E che la preoccupazione non sia diventata così enorme da obbligare Steve a prenderne atto e fare qualcosa.
- Sei stato in giro, ultimamente?
Ecco, appunto.
- Non tanto. – dico, scrollando le spalle e guardando altrove, - Sono stanco.
- Neanche fuori a cena? Con Helena e Cody?
- Preferiamo le cene casalinghe.
Balle.
Helena adora il kebab ma non lo sa cucinare, e non so da quanto mi implora di portarla a mangiarlo da qualche parte.
“Il bambino…”, dico io.
So che è una scusa molto blanda, per “il bambino” basterebbe portare un omogeneizzato. Ma la fa sentire abbastanza in colpa da farla desistere.
Mi dispiace farle questo, davvero.
Mi dispiace sempre privare qualcun altro della libertà di fare qualcosa che ama.
Ma io non potrei avere la libertà di evitare qualcosa che invece non amo affatto…?
- Hai parlato con Stef? – continua lui.
Sono irritato, mi sembra di stare a colloquio con uno psicoterapeuta.
Mi è successo, in passato. Dopo la “pausa per vedere come va” si ritorna per un’altra seduta e lo psicologo ti chiede “hai fatto questo, hai fatto quest’altro, la tal cosa è andata in tal maniera oppure no”, e tu devi stare lì a rispondere “sì” e “no” evitando accuratamente i “forse” perché sono sintomo di confusione, e vorresti solo trovarti da qualche altra parte a dormire.
Che è esattamente quello che sta succedendo adesso.
- Cosa dovrei dirgli, scusa? – cerco di ridere, un po’ impacciato.
- Non so… visto che con me non parli, magari con lui-
- Ti ho chiamato tutti i giorni! – protesto imbarazzato.
- Già. – annuisce lui, incrociando le mani sullo stomaco, - Però non mi hai detto niente.
- Ma scusa… - borbotto, passandomi una mano sugli occhi, - Ti ho chiesto come stessero andando le vacanze, se qualcuno ti avesse già fatto qualche proposta, come stesse Emi, se fossi ancora stanco… cos’altro avrei dovuto dirti?
- Come stai tu, magari.
La sua sicurezza, l’ovvietà con la quale dice ciò che pensa, è disarmante.
Lui è venuto qui con la precisa intenzione di chiarire.
Di risolvere.
È terribile, mi sento schiacciato contro un muro…
- Perché i miei sentimenti dovrebbero essere argomento di discussione, scusa? – chiedo, sulla difensiva, - E poi, fammi capire, stai dando per scontato che io stia male?
Steve sorride appena, affondando nella poltrona.
- No, Brian. Figurati. – dice a mezza voce.
È davvero terribile che possa dire una cosa simile con tanta tranquillità.
…no, se ci penso è molto più terribile che abbia l’occasione di farlo. Tranquillità o meno.
- Sai perché l’ho fatto. – riprende, dopo qualche minuto di silenzio.
Faccio una smorfia e fisso la lampada.
- Quella che hai detto è una stupida scusa.
- No che non è una stupida scusa. – motiva pazientemente, continuando a fissarmi. Sento il suo sguardo addosso. – Non è più la mia cosa, questa. Non me la sento più di suonare per i Placebo. I ritmi sono troppo pressanti, e lo è anche l’attesa dei fan. Preferisco volare più basso. E, per dire la verità, per un po’ preferisco non volare affatto.
Incrocio le braccia sul petto, non sono né più né meno che un ragazzino testardo, né più né meno di un illuso che rifiuta di ammettere che è cambiato qualcosa.
- Non mi interessa quante altre volte ancora dovrò dirtelo, Brian. – puntualizza sicuro, - Continuerò a ripetertelo fino a quando non ti sarai abituato al pensiero.
- Non dovrebbe fregartene niente. – sputo fuori velenoso, facendomi scudo dietro l’astio, dal momento che la paura non basta più, - Se è questa la tua scelta, che io la comprenda o meno non dovrebbe fermarti.
- E invece è ovvio che mi frena, Bri. – asserisce lui. Odio questa freddezza nei suoi occhi. Perché non è davvero freddezza, è solo determinazione. Solo che non mi piace il significato che ha, perciò mi piace mascherarla da indifferenza, anche se non lo è affatto. – Mi frena perché ti voglio bene.
Affondo le unghia nel braccio.
Non fa male, sono corte.
Non dà nemmeno un po’ fastidio.
Mi torturo il labbro inferiore con gli incisivi, e questo già fa più male, soprattutto se insisto dove la pelle è più sottile e sensibile.
- Che stronzata. – sto vomitando rancore – A me non importerebbe. – sto vomitando bugie – Dovresti smetterla di farti problemi per cose simili. – sto vomitando una preghiera, Steve. Riporta tutto indietro e dimmi che non è cambiato niente.
Sorride, il mio batterista, e si alza dalla propria poltrona per venirmi incontro. Sono appena due passi, ma lo vedo avvicinarsi come se fosse stato lontano chilometri. Si china davanti a me, molleggiando sulle gambe piegate e ancorandosi con le mani ai braccioli della mia poltrona per non sbilanciarsi e cadere.
- Dovresti stare attento a dire meno stronzate tu, quando dai della stronzata a una cosa detta da altri. – fa presente, strizzando lievemente gli occhi.
Lo guardo.
Non posso assolutamente sconfiggerlo.
Non posso farlo passare per il cattivo di turno, per il traditore o per il disonesto.
Non posso far passare nemmeno me stesso per nulla di tutto questo.
Le cose vanno avanti. Si modificano. Mutano. Cambiano forma.
…puoi implorarle di restare uguali, ma loro non ascoltano…
Puoi aggrapparti a una speranza e cambiare con loro, pregando con tutte le tue forze che non si riveli un cambiamento vano.
O puoi rassegnarti e lasciarle andare.
Steve si solleva, qualche centimetro appena. Si sporge in avanti e mi poggia una mano sulla nuca. Mi attira a sé, e non faccio in tempo a pensare che a guardarci dobbiamo sembrare proprio ridicoli, che lui mi sta abbracciando stretto come facevamo nelle foto, quando fare cose simili stimolava la stampa a spiaccicare i nostri visi su ogni pagina di rotocalco utile.
Non sono mai stati falsi, i suoi abbracci. Neanche quelli pubblici.
Questo, poi, è così vero che fa quasi male.
Di sicuro toglie il fiato.
- Passerà. – sussurra, - Starai meglio. Andrai avanti.
Frasi di circostanza, Steve.
Cose che dici quando stai male anche tu ed è esattamente quello che vorresti sentirti dire.
Io non te lo dirò.
Perché non ci credo ancora – anche se so che hai ragione.
…per il momento, posso accettare che sia tu a pensarlo e affermarlo per entrambi.
Genere: Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: R
AVVISI: RPS.
- "È la spinta di un’anima verso un luogo lontano, raggiunto seguendo l’odore del vento o una stella nel cielo. L’antico messaggio arriva, richiamando gli spiriti affini a prendere il volo e ritrovarsi insieme."
In un piovoso giorno di gennaio, Brian si ritrova di fronte a tutta una serie di realtà inconfutabili: piove; si trova a Como apparentemente senza un perché; e se cerca un po' più in fondo il suo perché è Matthew Bellamy. Può esserci qualcosa di peggio? Decisamente sì.
Commento dell'autrice: Parentesi demente per darvi un’idea.
Ingredienti per una fanfiction emo senza né capo né coda (per una quantità indefinita di fangirl).
Prendete una Linda (facilmente reperibile su questo sito come IrishBreeze)
Appaiatela a una liz (facilmente reperibile un po’ ovunque, e specialmente su questo sito come lisachan)
Aggiungete un tocco di Nai (anche lei reperibile su questo sito sotto forma di nainai in polvere) <- ?
Amalgamate il tutto.
Condite con una spruzzata di Broken Promise, dall’ultimo album dei Placebo.
Decorate con qualche sbuffo dell’intro della quinta puntata della prima stagione di Heroes. Senza prenderlo alla lettera, però, perché altrimenti non c’entra niente e il piatto non viene bene.
E il gioco è fatto <3
Ora diamo un senso a quanto detto fino ad adesso X’D Allora, era una notte buia e tempestosa e stavo chattando con la Linda a proposito di quanto immaginavamo fosse depresso Brian al momento, visto che avevamo visto delle foto scattate da lui e non portavano esattamente a pensare che stesse bene XD Così discorrendo, da un momento all’altro abbiamo cominciato ad immaginare una roba totalmente demente O.O con Brian che andava a casa di George Clooney, dimenticando che dal momento che era il periodo del festival di Venezia lui non sarebbe stato dentro XD E finiva a vagare per Como fino a quando Matty non lo trovava e decideva pietosamente di portarselo a casa come un cucciolo abbandonato.
Chiaramente di quest’idea iniziale sono rimasti come elementi solo Brian, Matthew e Como XD Questo perché mentre tutto ciò veniva elaborato io entravo in fissa con Broken Promise. Broken Promise è una canzone che ho odiato fino a circa una settimana fa. Mi annoiava, mi irritava e non riuscivo ad ascoltarla. Poi mi sono resa conto che lei e In The Cold Light Of Morning sono le uniche due canzoni che non mi piacciano nell’ultimo album dei Placebo, e ho deciso di dar loro un’altra chance. In The Cold Light Of Morning la odio ancora (e non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto che è palesemente il male), ma Broken Promise… mi ha smosso qualcosa dentro. Non saprei neanche dire cosa, so che mi ha emozionata e mi ha colpita per la cattiveria enorme che sprigionano musica e testo. Tra l’altro ho apprezzato molto anche il modo in cui si coniugano le voci di Brian e Micheal Stipe. Come ho detto successivamente alla Nai, è una canzone che mi dà molto l’idea di essere un litigio da letto. In cui uno dei due dice qualcosa, magari anche in maniera pacata, e l’altro reagisce male, e poi sempre peggio. E mentre la seconda voce cresce, in un’aggiunta continua di rabbia su rabbia, la prima voce si fa sempre più fievole e meno convinta.
Insomma O.O
Quindi ero piena di vibrazioni negative è_é
A questo s’è aggiunta la quinta puntata di Heroes. Nell’introduzione, Mohinder parla del Zugunruhe. Ho fatto qualche ricerca, ed ho scoperto che è un termine tedesco utilizzato in etologia per spiegare il comportamento degli uccelli migratori. Com’è esposto in Heroes, però, mi piace decisamente di più. E sebbene nella serie abbia un’accezione aggregativa del tutto positiva, a me ha ricordato qualcosa di molto simile alla forza di gravità che spinge i corpi a sbattersi contro a vicenda indipendentemente dal dolore che si causano.
Ci ho visto loro due.
La pioggia e il lago di Como e Nai che mi diceva “scrivi!” hanno fatto il resto XD
Posso comprendere che il finale possa lasciare insoddisfatti. Mi ha convinto a lasciarlo così una discussione avuta al telefono con l’onnipresente Nai, la quale mi ha giustamente fatto notare che non esistono “discorsi” né “chiarimenti” dopo i quali ci si possa sentire veramente a posto. Credo questo avvenga perché, in fondo, le persone possono riuscire a capirsi solo fino a un determinato punto. Anche i più “vicini”, superato quel punto si perdono. È per questo, credo, che non si può parlare di una comprensione totale dell’altro, da parte di nessuno.
Brian e Matt, in questa storia, si capiscono e si conoscono molto bene. Questo significa che sono chiari l’uno con l’altro? A me non pare.
Coooomunque >_< Queste sono elucubrazioni spicciole delle tre meno venti del mattino (ebbene sì). Scusate lo sproloquio, e spero che la storiella vi sia piaciuta almeno un po’ :*
PS: Ah, a proposito. La frase che dice Matt sul fatto che le persone preferiscono guardare al passato perché è più facile… l’ha detta davvero O.O *si commuove di fronte agli spazzi d’intelligenza del suo amato*
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ZUGUNRUHE
“È la spinta di un’anima verso un luogo lontano, raggiunto seguendo l’odore del vento o una stella nel cielo. L’antico messaggio arriva, richiamando gli spiriti affini a prendere il volo e ritrovarsi insieme.”
Melody#15. I’m a self-destructive fool
Song#82. Right kind of wrong

We'll rise above this
We'll cry about this
As we live and learn

C’erano delle realtà inconfutabili di cui era certo e che, per quanto scomode, non riusciva a ignorare.
Numero uno, stava piovendo. A dirotto. Vista la stagione, la cosa non lo stupiva. Vista la sua scelta di trovarsi a due passi dal lago di Como, la cosa si limitava ad irritarlo enormemente.
Numero due, era appunto a Como e non aveva neanche un valido motivo che giustificasse la sua presenza lì. Le altre volte era sempre riuscito a raccattare una ragione convincente – stiamo registrando da queste parti, il tour passa qui vicino, sono in vacanza – ma il venti gennaio di quell’anno, con Steve e Stef ad aspettarlo in studio in Inghilterra per cercare di capire cosa fare del materiale raccolto durante il tour appena concluso, non portava con sé nessun motivo contingente per spiegare il fatto che in quel momento si trovasse lì.
Certo, questo aveva senso se si ignorava il terzo fatto incontestabile. E cioè che il vero ed unico motivo contingente per il quale in quel momento si trovava lì era Matthew.
E che, a di là delle registrazioni, dei tour e delle vacanze, lo era sempre stato.
Avanzò ancora un po’ lungo il sentiero e cercò di rimettere ordine nei propri pensieri, accorgendosi che dubitava perfino che un tempo ce ne fosse stato.
Doveva trovare qualcosa da dirgli quando l’avesse visto – perché l’avrebbe visto, e quella era la quarta realtà incontestabile – in fondo, però, probabilmente restare in silenzio sarebbe stata la soluzione migliore.
Aveva abituato Matthew a fiumi di parole. L’aveva abituato a stordirsi della sua voce per evitare di pensare o tappare i buchi di silenzio con la propria. L’aveva abituato a sistemare tutti i loro sbagli con un “ci penseremo poi”, sussurrato abbastanza piano da sembrare un invito ad altro e dolce abbastanza da far finta di essere una rassicurazione.
Chissà perché, aveva sempre pensato che un giorno nella sua posizione ci sarebbe stato Matthew. Lo vedeva… più debole, più succube della loro relazione confusa. Più succube nei suoi confronti.
Ma probabilmente era solo un’illusione dovuta alla loro differenza d’età.
Aveva immaginato centinaia di volte Matthew apparire sotto la pioggia davanti alla porta di casa sua, a Londra, e implorarlo di lasciarlo entrare.
Sotto la pioggia adesso c’era lui.
E casa di Matthew era troppo vicina perché la sua presenza in sé non somigliasse già troppo a una preghiera d’asilo.
*
Per quanto riguardava le relazioni sentimentali – almeno, le numerose che nel corso degli anni aveva intrattenuto con lui – Matthew era paranoico. Partiva dal presupposto che, se non riceveva un grazie in cambio di un aiuto, allora quell’aiuto era stato del tutto inutile e non aveva risolto niente.
Si ostinava scioccamente a ignorare che l’assoluta assenza di grazie da parte di Brian era dovuta al suo essere fondamentalmente egoista quasi quanto lui fosse paranoico.
Era un difetto che Brian aveva cercato di limare col tempo, e perciò “grazie” fu la prima parola che sussurrò quando lo vide apparire con un ombrello all’inizio del viale, e sempre “grazie” fu ciò che disse ad alta voce, di modo che lui potesse sentirlo, quando lui gli fu vicino e lo riparò dalla pioggia battente.
- Che razza di saluto. – borbottò lui, sorridendo debolmente.
- Non sei mai contento. – commentò Brian, fissando ostinatamente il lago a qualche metro da loro.
Matthew gli si avvicinò ancora un po’, guardandolo da capo a piedi per poi decidere che era il caso di sfilare sia il suo cappotto che il proprio ed operare uno scambio per ragioni umanitarie.
- Congelerai. – osservò il cantante dei Placebo, seguendo con gli occhi il movimento del proprio cappotto che finiva sulle spalle dell’inglese, - Comunque grazie.
- È buffo – disse Matt con una risatina stupida, - che tu abbia imparato a dirlo quando non serve più.
Brian sorrise, tornando a guardarlo negli occhi.
- Sicuro non serva?
Sorrise anche Matthew, indicando con un cenno del capo casa propria, in cima alla collina dalla quale partiva il viale.
- Andiamo già? – chiese Brian con una punta di preoccupazione.
- Non vuoi davvero rimanere sotto questo… questo monsone!
- Infatti rimanere sotto un monsone è l’ultimo dei miei pensieri… ma dal momento che questo non lo è…
Matt sbuffò, mettendo una mano sul fianco.
- Dannazione, sai quanto odi essere corretto! Quando sto scherzando, per di più…
Rise, infilando le mani nelle tasche del cappotto asciutto che ora lo avvolgeva e incontrando con le dita il portachiavi di Matt. Ci giocò un po’, facendolo tintinnare.
- Scherzavo anche io. – lo rassicurò. – Andiamo a casa.
*
Un’altra delle manie assurde di Matthew consisteva nel fare proprie caratteristiche del tutto femminili, che inseriva all’interno della propria vita come fossero la normalità, e che contribuivano a dargli quell’aria da pazzo un po’ sfigato che gli amici per affetto e gli estranei per educazione chiamavano “eccentricità”.
Perciò, quando una storia d’amore finiva, Matthew Bellamy cambiava taglio di capelli.
E, se era proprio di cattivo umore, cambiava disposizione al mobilio in casa.
- Ti ostini a spostare le cose… - commentò distrattamente Brian, accomodandosi su una sedia e poggiando i gomiti sul tavolo della cucina, - Un giorno ti chiederò “dov’è il latte?” e tu mi risponderai di provare a cercarlo in bagno, me lo sento.
- C’è davvero un motivo per cui mi stai illudendo che un giorno potresti tornare a chiedermi dov’è il latte, o la tua è solo una cattiveria a caso, tanto per gradire? – chiese Matt con un sorriso, sollevandosi sulle punte per raggiungere il ripiano del mobile a muro nel quale teneva il barattolo del caffè.
Brian sorrise a propria volta.
Quasi si sentiva orgoglioso di sé stesso, quasi si sentiva orgoglioso per entrambi, quando pensava a tutto il dolore al quale erano sopravvissuti e che sembrava averli forgiati come fuoco su ferro. Adesso erano impermeabili. Non c’era più niente che potesse uscire dalle loro labbra che fosse in grado di ferirli davvero. Questo faceva di loro l’accoppiata perfetta.
In fondo, però, non c’era granché di cui essere orgogliosi, dal momento che il motivo per il quale non riuscivano più a ferirsi era che ormai si aspettavano solo il peggio l’uno dall’altro.
- Ingombrerei tutta questa bella casa con le mie cianfrusaglie. Non sarebbe bene.
Matt tornò a guardarlo con una strana luce negli occhi, sulle labbra lo stesso sorriso sereno di sempre.
- Questa casa è stata ingombra molte volte. – disse, stringendo la moka per chiuderla e asciugandola con un panno prima di metterla sul fuoco, - Tu sei sempre stato il più ordinato, comunque.
- Così mi lusinghi. – commentò con falsa modestia, alzandosi in piedi e raggiungendolo davanti al piano cottura, - Stai cercando di sedurmi?
Matthew si chinò appena per baciarlo sulle labbra.
- Come se avessi bisogno di provarci. – lo prese in giro, separandosi da lui e tornando a badare al caffè.
La straordinaria disinvoltura con la quale puntualmente riallacciavano il contatto fisico, ancora prima che sentimentale, anche dopo mesi interi di assenza l’uno nella vita dell’altro, non mancava mai di stupirlo. Ad un qualsiasi occhio esterno sarebbe sembrato assurdo. Erano in grado di lasciarsi urlando e piangendo come disperati, giurando e spergiurando di non mettere mai più piede nei rispettivi appartamenti, ed erano altrettanto in grado di rivedersi anche dopo un anno e saltarsi addosso alla prima occasione favorevole senza stare troppo a pensarci.
Avevano smesso ormai da tempo di cercare di stabilire dei tempi regolari. O anche solo di stabilire se stessero o non stessero insieme in un determinato periodo.
La loro era una relazione ciclica. Andava e tornava a ritmi sempre diversi. C’erano volte in cui bruciavano tutto in poche settimane e ce n’erano altre in cui si trascinavano pigramente per mesi e mesi, avvolti in una nuvola di dolce pigrizia oziosa, come stessero troppo comodi per provare a mettere in dubbio i cuscini sui quali stavano seduti.
Una volta era durata quasi due anni.
Brian immaginava si fossero entrambi illusi che quella fosse “la volta buona”.
Ma quando anche quella era passata, riportandoli alla solita routine di tradimenti, separazioni e riconciliazioni improvvisate, dovevano aver capito entrambi che, per quanto gli scontri continui li avessero ormai modellati al punto da renderli perfetti l’uno per l’altro, non sarebbero mai riusciti a bastarsi a vicenda.
*
A broken promise
I was not honest
Now I watch as tables turn
And you're singing

La prima volta s’erano promessi molte cose. Al di là delle sciocche proposte di matrimonio che, un po’ per scherzo e un po’ per romanticismo, piovevano continuamente da Matthew, ricordava si fossero promessi praticamente tutto. Fedeltà, sincerità, devozione totale, supporto reciproco, una vita senza il benché minimo problema, divertimento, sesso e così via.
Ci avevano creduto entrambi. Perché erano innamorati e perché non si conoscevano ancora abbastanza bene.
Era durata un mese appena. Poi avevano cominciato a litigare e, per ripicca, avevano smesso di scopare.
Il primo a tradire era stato Brian. E non per reale bisogno fisiologico, per quanto ammettesse di aver davvero avuto voglia.
Matthew l’aveva presa per una sfida e l’aveva imitato.
E quello era stato il loro finale.
Almeno, il primo.
La seconda volta era stata anche peggiore della prima. Avevano promesso di tutto, ci avevano creduto perché non poteva andare male di nuovo, e invece era andata male comunque. Brian aveva cercato di trattenersi. Matthew no. Ed era finita un’altra volta.
A quel punto era stato abbastanza chiaro per entrambi che non si trattava di una questione di sfortuna o di circostanze avverse. Ciononostante, quando si erano ritrovati a condividere lo stesso spazio vitale per la terza volta in tre anni, ci avevano creduto ancora.
Per… testardaggine, probabilmente.
Quella terza volta era durata più a lungo. E in quel periodo Matthew gli aveva fatto una promessa molto semplice. “Non ti farò mai più del male”. Abbracciandolo stretto, baciandolo quasi ferocemente sul letto ancora disfatto, lui aveva pensato “No, Matthew, non mi farai più del male. E neanche io ne farò a te”.
Poi, ovviamente, era finita comunque. Per l’ennesimo tradimento. Tradirsi a vicenda era ormai il loro metodo codificato per dirsi “basta così”. Non si tradivano più perché avevano voglia d’altro, o perché non scopavano, o per chissà quale altro motivo. Il tradimento era il segnale. L’ingresso nel proprio corpo di un’altra persona, o di loro stessi all’interno di qualcun altro, significava spazzare via a forza la presenza del loro legame.
In fila al check-in per tornare in Inghilterra, Brian aveva guardato Matthew, che l’aveva accompagnato fino all’aeroporto e ora aspettava che partisse. Nei suoi occhi azzurri e freddi, ancora macchiati di rancore, non aveva in effetti visto nemmeno un’ombra di dolore.
- È l’unica promessa che siamo riusciti a mantenere. – disse ad alta voce, sorseggiando il caffè bollente.
Matthew lo squadrò senza capire.
- Brian… - sospirò, - Può capitare che io riesca a seguire il filo dei tuoi pensieri anche quando non parli. Ma generalmente no.
Brian sorrise, poggiando la tazzina sul tavolo.
- Tu stai bene, no? – gli chiese a bruciapelo, fissandolo negli occhi e osservandoli brillare per un secondo, mentre Matthew prendeva atto.
- Ah. – disse l’inglese, terminando il proprio caffé e riponendo la tazzina nel lavabo, -Quella promessa.
Rimasero in silenzio, l’uno in attesa della mossa successiva dell’altro.
…a Brian sarebbe piaciuto riuscire a sopportare meglio quei momenti. Ma ogni volta che lui e Matt cadevano in un buco di silenzio, aveva come l’impressione che non ne sarebbero più usciti.
- Come diavolo facevi a sapere dov’ero? – chiese, con una punta d’ansia nella voce.
- Ero fuori, nel porticato. – rispose prontamente Matt.
- Sotto il monsone?
- Non è un vero monsone…
- E che stavi facendo nel porticato?
- Ho letto, fino a un certo punto. Ti ho guardato, da quel punto in poi.
- Oh! – sbuffò Brian, incrociando le braccia sul petto, - Mi hai lasciato sotto la pioggia volontariamente!
Matt ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano.
- Eri particolarmente affascinante.
- Ah, be’. – commentò, roteando gli occhi, - Vorrà dire che giustificherò la bronchite che sicuramente beccherò dicendo “mi hanno lasciato alla mercé di una tempesta per ragioni estetiche”.
- Come sei drammatico… - mugugnò il cantante dei Muse, - Vedrai che starai benissimo. Un paio di giorni di riposo al caldo sotto le coperte e-
- Mi stai invitando a restare?
Matthew s’interruppe, sinceramente stupito da ciò che aveva detto.
L’avrebbe consolato, forse, sapere che Brian era stupito tanto quanto lui.
Parlare chiaramente in genere non rientrava nelle procedure con le quali “tornavano insieme”.
- Sai, Brian, - disse dopo un po’, fissando il pavimento, - quella non è l’unica promessa che abbiamo mantenuto.
- Ah, no? – chiese lui con un sorriso tagliente.
- No. – rispose Matt, tornando a guardarlo deciso negli occhi, - Io ho promesso che ti avrei amato per sempre.
Brian ingoiò a vuoto, stringendo le dita attorno alla tazzina con un movimento quasi convulso.
- Allora… - disse, quando fu in grado di recuperare un briciolo di fiato in fondo alla gola, - è questa l’unica promessa che abbiamo mantenuto.
Perché io ho appena scoperto che, invece, tu sei ancora in grado di farmi male.
*
I'll wait my turn
To tear inside you
Watch you burn
I'll wait my turn

- Ti fermi a cena?
Lo guardò, cercando di capire se facesse sul serio o meno.
- Che domanda scema. – rispose infine, vagamente irritato.
Era ovvio che si sarebbe fermato a cena. Era ovvio che si sarebbe fermato per la notte. Era ovvio che si sarebbe fermato a colazione, e che si sarebbe fermato per una passeggiata e una merenda sul lago se avesse smesso di diluviare l’indomani mattina, e che poi sarebbe rimasto per pranzo, per un caffè, per il tè e i pasticcini alle cinque, per l’aperitivo e di nuovo per cena, ed era ovvio che questa cosa si sarebbe ripetuta almeno per una settimana.
Una settimana era il periodo minimo.
In genere, durante quella settimana capivano se era il caso di cominciare a dire in giro “stiamo di nuovo insieme” o se era meglio chiuderla lì e rimandare il tutto alla volta successiva in cui si sarebbero visti.
- Chiedo perdono. – riprese Matt con un sorriso, - La domanda giusta era se ti andava una pizza o preferivi che ti preparassi qualcos’altro.
Sbuffò, scrollando le spalle.
Come non sapesse perfettamente che per quella notte avrebbero fatto tutto meno che mangiare.
- Seriamente: - gli chiese, - quanto ci tieni a rendere la tua cucina un inferno, sapendo che qualsiasi cosa preparerai finirà inesorabilmente nel cesto dell’immondizia?
- Ma sai che niente è mai finito davvero nel cesto dell’immondizia? – ritorse lui, con tono divertito. – A parte il fatto che dopo il sesso ti viene improvvisamente fame e mi costringi a strisciare fino in cucina, nonostante generalmente io non senta più le gambe, per recuperarti qualcosa… le cose avanzate poi le abbiamo sempre mangiate tipo il giorno dopo a pranzo e così via…
Lo guardò, sollevando le sopracciglia.
- Dici sul serio? – chiese curioso, - Non me ne sono mai accorto…
- Perché non ti ho mai dato modo di capire cos’è che avevo preparato. – rispose Matt, ridacchiando. – Comunque, giusto per fare qualcosa di diverso, oggi potremmo mangiare a un orario decente e scopare a un orario decente. Sarebbe una rivoluzione!
Brian si sollevò dalla sedia, raggiungendolo dove si trovava, in piedi davanti al frigorifero aperto, e insinuandosi nello spazio fra lui e l’elettrodomestico, chiudendosi lo sportello alle spalle.
- Non capisco per quale motivo dovremmo cambiare anche solo una virgola della solita vecchia routine. – commentò dubbioso, sollevando una mano a sfiorargli il petto attraverso la camicia, mentre Matthew si chinava a baciargli la fronte.
- Le persone preferiscono guardare al passato, perché è più facile… - motivò lui, scivolando con le labbra giù fino allo zigomo e, lungo la guancia, fino al mento, - Ma noi siamo diversi dalle altre persone.
- Aha. – annuì Brian, sbuffandogli addosso, - E cos’è che ci renderebbe tanto diversi?
- Il fatto che siamo completamente pazzi. – rispose Matt, circondandogli la vita con le braccia e attirandolo a sé, mentre lui risaliva con le mani lungo il petto per fermarsi sul collo. – Qualunque persona assennata si sarebbe fermata alla sesta volta. O anche prima.
- Credi d’essere l’unico pazzo al mondo? – ridacchiò Brian, leccandolo lentamente lungo il profilo della mascella e sentendolo rabbrividire sotto la lingua.
- Non l’unico. – concluse Matthew, chinandosi su di lui e guardandolo negli occhi prima di baciarlo, - Il più fortunato.
Pensò distratto che probabilmente Matthew stava esagerando con le romanticherie. Che tutte quelle parole dolci sarebbero tornate a galla quando inevitabilmente quell’ennesimo tentativo fosse sfumato in un nulla di fatto, e che gli dispiaceva che Matthew si stesse comportando così, fornendogli tutti gli spunti per attaccarlo quando ne avesse avuto l’occasione, mentre lui si sarebbe trovato con niente in mano, dal momento che dal canto proprio si stava tenendo così sulle sue da irritarsi da solo.
Matthew scivolò con le mani lungo la sua schiena, soffermandosi appena sulle natiche, per poi afferrarlo sotto le cosce e issarlo contro il frigorifero. Brian allargò le gambe e gli si aggrappò ai fianchi, stringendo la presa sul suo collo.
Interruppe il bacio che ancora si stavano scambiando, guardandolo.
- Così non vale, Bellamy. – mormorò, quasi affranto.
- È meglio se non dici niente. – cercò di fermarlo Matthew.
Ma lui sorrise. Lo baciò a fior di labbra. Strofinò la guancia contro la sua, come un cucciolo in cerca di coccole, e raggiunse il suo orecchio.
- Ti amo anche io. – disse.
Sì.
In quel modo andava meglio.
Vulnerabili entrambi.
Per l’ennesima volta.
Matthew sospirò e lo schiacciò contro il frigorifero, attaccandosi al suo collo e sfiorandolo con le labbra quasi con reverenza.
- Grazie. – gli mormorò contro la pelle.
“Figurati”, pensò Brian, mentre rilasciava indietro il capo e chiudeva gli occhi.

Promise is a promise…
Genere: Malinconico, Comico, Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian, in un certo qual modo strambo O.O
Rating: PG-13
AVVISI: RPS, OC.
- "Il passato ritorna.
È una frase fatta, sì, lo so, ma so anche che gli stereotipi esistono per un motivo ben preciso – ossia perché sono veri – e quindi non mi farò problemi ad usarla.
Il passato ritorna.
Sempre.
"
E il passato, in effetti, ritorna davvero. A farne le spese, come al solito, Matthew Bellamy :D
Commento dell'autrice: Ciao *_* Oddio, siete arrivati alla fine <3 Vi amo tutti <3
Questa è una storia atipica. Una storia che nasce mesi fa, mentre parlavo con la Nai (tanto per cambiare) e fantasticavamo su ipotetiche fanfiction che avessero per protagonista il piccolo Cody, che tutte noi amiamo alla follia perché è troppo tatopuccio per attirare qualcosa che non sia amore totale <3 Così, mentre raccontavamo, nascevano due storie. La sua, di cui non vi dico niente, perché non so neanche se la finirà mai XD E la mia. Che è nata come una stupidaggine random per infilare un po’ di mollamy anche nella storia di Cody. E che poi s’è trasformata in… be’, sostanzialmente nella stessa cosa, però un po’ meglio XD
Sono davvero affezionata a questa storia. Ci sono cose che ho voluto fortissimamente. E la sola idea di vedere Matt interagire col figlio adolescente di BriBri mi uccide di pucceria X3 (Mi uccide anche immaginare Matt e Bri ultraquarantenni, ma non è esattamente pucceria e quindi dimenticherò questa parte del racconto il più presto possibile ç_ç””””).
Mille grazie a Meg, che l’ha amata e ne ha preteso il finale XD Ad Ana, che mi ha messo su a lavorarci perché mi sbrigassi a terminarla per poter poi cominciare il sesto capitolo di Miles Away XD Alla Memuzza, perché è amore *-* E il Meffiu che avete visto – e che tornerà in un’altra storia con Cody XD Meno seriosa di questa, prometto è_é – è suo *-* Ed ovviamente a Nai, perché questa, come tante altre cose, se lei non ci fosse stata, non sarebbe mai esistita. E anche per tutti i complimenti e l’amore dimostrato, del tutto immeritati è_e ma sempre molto graditi. E per l’aiuto enorme col betaggio. E poi Luke è un personaggio della sua storia con Cody XD Solo che io l’ho un po’ rimaneggiato, e quindi non assomiglia più tanto all’originale – che è mille volte più carino (anche se lei non è d'accordo con questa mia convinzione XD). Comunque grazie :*
Devo stranamente ringraziare anche gli X-Japan O_ò Per la bellissima Kurenai, che mi ha accompagnato per qualche tratto durante la stesura. A lei (o meglio, alla sua traduzione inglese) appartengono i versi citati all’inizio.
E ora la pianto, promesso XD Fatemi sapere che ne pensate :*
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
LOST AND FOUND

As if something’s gonna force you
now you’re running into the storm


Il passato ritorna.
È una frase fatta, sì, lo so, ma so anche che gli stereotipi esistono per un motivo ben preciso – ossia perché sono veri – e quindi non mi farò problemi ad usarla.
Il passato ritorna.
Sempre.
- Vorrei che tu mi dessi lezioni di pianoforte.
E dal momento che sono circa le sette e mezzo del mattino, io vorrei dormire.
Evidentemente, i desideri miei e quelli di questo moccioso che avrà all’incirca dodici anni e che mi sta di fronte in questo momento, proprio un passo oltre la soglia di casa, non coincidono.
Okay.
Ricapitoliamo.
Un minuto fa ero fra le coperte, mi stavo facendo coccolare dal dormiveglia, dai residui di un sogno fighissimo che già non ricordo più e dal profumo di shampoo alle mele dei capelli di Gaia placidamente addormentata al mio fianco.
Poi ho sentito squillare il campanello.
Ho mugugnato un “no”.
Gaia ha mugugnato un “vai”.
Mi sono arreso, ho mugugnato un “d’accordo” e mi sono alzato, senza neanche premurarmi d’infilare le pantofole o una maglietta.
Mi sono posizionato davanti alla porta.
Ho aperto la porta.
Ho guardato fuori.
E lui era lì.
Il moccioso.
Basso, magro e pallido, lunghi – lunghissimi – capelli neri sciolti sulle spalle e ingombrante frangetta cascante sugli occhi, un’ampia camiciola a quadrucci aperta su un’anonima maglietta bianca e jeans sbiaditi da adolescente alla mano.
Ed eccoci qui, dove tutto è iniziato.
- Vorrei che tu mi dessi lezioni di pianoforte.
Gaia appare alle mie spalle, avvolta in una vestaglia rosa, mentre ravvia dietro le orecchie qualche ciocca ribelle dei capelli ancora sconvolti dal sonno.
- Matt, cosa- oh, mio Dio. – si interrompe, spalancando gli occhi e coprendosi la bocca con le mani, - Un ragazzino…?
Scrollo le spalle, sentendomi né più né meno che un idiota fatto e finito.
Evidentemente non riesco a capire la situazione! È palese!
- Cos’hai detto che sei, tu…? – chiedo al bimbo, tornando a guardarlo con curiosità.
- Non ho detto di essere niente. – risponde lui, sorridendo appena e stringendosi nelle spalle con studiato e graziosissimo imbarazzo, - Ho solo chiesto se saresti disposto a darmi lezioni di piano.
Ed è in questo momento che me ne rendo conto.
Succederà un disastro!
Gaia lancia un urletto alle mie spalle, e nelle mie orecchie risuona come la tromba dell’Apocalisse.
- Matt!!! – gridacchia, saltellando come una bambina innamorata, - È così carino! È un tuo fan?
Spero di no, penso io, tornando a guardarlo, se tutti i miei fan cominciassero a bussare a casa mia all’alba chiedendomi di insegnar loro a suonare, potrei anche meditare di ritirarmi dal mondo della musica!
- Carino, Gaia…? – mi limito a chiedere, sconvolto, mentre il ragazzino ridacchia soddisfatto e io penso che è malefico e che mi ricorda qualcosa di poco piacevole.
- Sì! Sìììì!!! – risponde lei, agitata, strappandomi dalla soglia e spalancando la porta per invitarlo ad entrare.
- Gaia! È uno sconosciuto! Potrebbe- potrebbe essere chiunque!
- Sì, Matt… - risponde lei, quasi annoiata, - potrebbe essere il figlio di uno qualunque dei tipi assurdi che hai conosciuto durante la tua assurda adolescenza, tornato dalle campagne inglesi in cerca di vendetta. È ovvio.
- Be’, potrebbe essere davvero così!
- Amore. – dice lei, seria, incrociando le braccia sul petto dopo aver richiuso la porta alle spalle del ragazzino e averlo invitato ad accomodarsi sul divano del salotto, - Questa fissazione con la teoria del complotto andava bene quando avevi vent’anni, di sicuro. Poteva essere accettabile anche a trenta. Ma adesso hai superato i quaranta, e sarebbe il caso che, non so, crescessi un po’! Non vedi che è solo un bambino?
Un bambino!
Appunto!
- Come se i peggiori guai non venissero sempre da loro! Non hai visto Baby Birba?!
Gaia sbuffa contrariata, dicendomi di darmi una svegliata e tornare a ragionare da essere umano dotato di cervello, dopodiché scompare in cucina – probabilmente per recuperare del latte e dei biscotti.
Il suo istinto materno ci ucciderà, lo so.
So che un giorno un qualche dirigente senza scrupoli di una major nemica della nostra cercherà un modo per farmi fuori, e capirà che la soluzione migliore è mandare un moccioso carino dotato di 44 Magnum, per risolvere la pratica una volta per tutte.
Nel frattempo io rimango qui ad osservare questo ragazzino sorridente seduto sul divano, e sinceramente non riesco a non chiedermi perché il fato sia così crudele con me e non capisca che ho bisogno di dormire per lavorare.
- Cos’è che volevi…? – chiedo di nuovo, sperando che non se ne esca ancora una volta con la cavolata delle lezioni di piano.
- Mi chiedevo se fossi disposto a darmi lezioni di piano.
Ecco, appunto.
- Ti pagherei, ovviamente. – si affretta a precisare.
Come fosse questo il punto!
- Senti, ragazzino… - dico io, simulando una pazienza che non posseggo, - Io non ho mai preso lezioni di piano in vita mia. Quando avevo la tua età, a dodici anni, già andavo in giro col mio piccolo smoking da pinguino e il mio cravattino idiota per le case dei parenti a mostrare quant’ero bravo, quindi-
- Io non ho dodici anni.
- Non fa la benché minima differenza! Quanti anni hai?
- Quindici. E voglio che tu mi dia lezioni di piano.
- Bene, ma si dà il caso che io non dia lezioni di piano.
Il ragazzino mi guarda di sottecchi per qualche secondo, e poi lancia un’occhiata furtiva alla cucina, per assicurarsi che Gaia sia ancora là dentro a smanettare con tazze e piattini. Quindi solleva tranquillamente le gambe sul divano, incrociandole assieme sotto il sedere, e si sporge verso di me.
E io vedo i suoi occhi.
E capisco tutto prima ancora che parli.
- Ieri rovistavo nella soffitta… - sussurra spettrale, fissandomi quasi maligno, - e ho scovato per caso un vecchio baule di mio padre. Sai… - mormora, guardandosi distrattamente le unghie in un gesto che suo padre faceva spesso, lo ricordo, - papà è… un nostalgico, per così dire. Non getta mai niente. Anche quando dovrebbe.
E avrebbe decisamente dovuto farlo.
Se non altro perché avrebbe dovuto immaginare che un giorno avrebbe avuto un figlio demoniaco quanto lui!
- E quindi, rovistando rovistando… - continua il ragazzino, ostentando sicurezza da sotto le lunghissime ciglia che si ritrova, - ho trovato dei fogli.
Oh. Mio. Dio.
- Te li ricordi vero?
Come dimenticare?
Brian aveva il vizio di scrivere le canzoni sul cuscino, accanto a me…
E io avevo il vizio di correggergliele mentre dormiva, e lasciargliele accanto mentre facevo la doccia.
Firmandole.
Dio, le assurdità idiote che si fanno da innamorati…
- Tu non vuoi che questa cosa venga fuori, vero?
È un ricatto! È un dannatissimo ricatto!
- Sia tu che mio padre preferite che la cosa rimanga fra voi, vero?
Dio mio!
- E allora ti toccherà darmi lezioni di piano.
Gaia riemerge dalla cucina con un vassoio fra le mani. Sopra porta un enorme bicchiere di latte al cioccolato e un piatto talmente ricolmo di biscotti da far pensare che ci abbia rovesciato su l’intero pacchetto chiedendosi “avrà tanta fame?”. Sorride angelica, trotterellando come un cucciolo di cane davanti a un nuovo peluche da fare a pezzi.
- Allora, Matt? Che hai deciso?
Lancio uno sguardo al ragazzino, che sorride apertamente.
Gaia è decisamente fra le persone che non devono sapere.
- E va bene. – concedo sbuffando, - Cominceremo domani.
Il sorriso sul suo volto si apre ancora di più, rafforzando la sensazione spiacevole che provo – e che mi sta gridando nel cervello “ti sei messo in un pessimo, pessimo guaio, Matthew”.
Allunga una mano nella direzione di Gaia e socchiude gli occhi, angelico.
- Cody Molko, piacere di conoscerla.
Gaia arrossisce come una liceale, e i suoi occhi brillano per un secondo.
- Ma dai! – dice, stringendo calorosamente la mano del ragazzino, - Quel Cody Molko?
Cody annuisce, sempre sorridendo, tornando a intrecciare le dita in grembo.
- Dovresti essere fiero, Matt! – ridacchia la mia fidanzata, dandomi una gomitata gioiosa sulla spalla, - Il figlio del tuo più acerrimo nemico che chiede a te lezioni di piano! Una rivincita mica male!
Una rivincita, mh?
Sorrido debolmente, mentre Cody si alza e cinguetta “allora a domani”, e io non posso fare a meno di pensare che…
…se c’è qualcuno che meriterebbe una rivincita, be’, quel qualcuno di certo non sono io.
*
- Non parlerò di quello che è successo fra me e tuo padre! – affermo, ancora sconvolto da quello che mi ha detto, fissandolo con gli occhi spalancati.
Questo ragazzino ha preso una brutta abitudine in queste ventiquattro ore. Cogliermi alla sprovvista. Che è una cosa che odio e non permetto a nessuno. E che ancora meno permetterei a lui – certo, se lui si scomodasse a chiedermelo, il benedetto permesso!
È arrivato qui.
Felice e ridacchiante come ieri.
Così soddisfatto di sé e della sua scappatella – probabilmente si sta gloriando di averla fatta sotto il naso a quell’ingombrante imitazione di uomo che ha per padre – da farmi venire i nervi.
S’è seduto al pianoforte e l’ha guardato come se lo vedesse per la prima volta.
- Be’? – ho detto io, sbuffando e incrociando le braccia, mentre mi appoggiavo con un fianco allo strumento, - Intendi farmi vedere cosa sai fare?
E lui mi ha guardato con una tale innocenza che io quasi ci cascavo!
- Non so fare niente. – ha risposto con naturalezza, fissandomi con quegli occhioni verdi-celesti-grigi-fate-un-po’-voi che l’eredità paterna gli ha lasciato sulla faccia.
Allora io giustamente mi sono sentito preso per il culo. E mi sono massaggiato le tempie. E l’ho guardato di rimando. E gliel’ho chiesto.
- Tendenzialmente si chiedono lezioni quando hai strimpellato qualcosa da solo e vuoi imparare a strimpellare qualcosa di più complesso. – ci ho riflettuto un po’ su, - Oddio, i miei amici, quelli che frequentavano il conservatorio intendo, ragionavano così.
Lui mi ha guardato e non mi ha risposto.
- Tu invece vuoi che ti insegni da zero? Dal nulla? Senza che neanche io possegga le basi che speravo avessi tu per evitare l’impaccio iniziale?
Lui ha annuito lentamente, sempre senza staccarmi gli occhi di dosso.
Io ho sospirato.
Ho scosso il capo.
- Scusa la curiosità, - ho chiesto titubante, - ma perché?
E lui ha sorriso, strizzando le palpebre come un micio. E mi ha spiegato perché.
- Speravo che tu potessi dirmi qualcosa su quello che c’è stato fra te e mio padre. – ha detto tranquillamente, - Sai, l’intimità che c’è fra allievo e maestro, le confessioni, i ricordi annegati nelle lacrime… - mi ha lanciato uno sguardo, per vedere se il discorso aveva fatto effetto. E se l’effetto sperato era confondermi, allora complimenti, - Cose così, capisci?
Capisco? No.
Subodoro il pericolo? Decisamente sì.
- Non parlerò di quello che è successo fra me e tuo padre!
E da qui in poi lo sapete.
Panico, angoscia, cogliere alla sprovvista, non ti permetto mai detti, eccetera eccetera.
Cody si limita a un minuscolo sorriso, e ritorna a fissare i tasti d’avorio.
- Allora credo che per un bel po’ di tempo non parleremo d’altro che di musica. – bisbiglia affranto, lasciando scorrere due dita sulla struttura del pianoforte.
Okay.
No, davvero, okay.
Io potrò essere uno stupido, ma voglio dire, non sono uno stupido!
Ecco.
Credo di aver pensato una stupidaggine.
Ma non è questo il punto.
Intendo, io ci vedo, non sono mica cieco. È palese che questo moccioso ha dei problemi. Perché io non andrei mai in giro a intervistare gli ex amanti di mio padre sulle abitudini che avevano quando non erano ancora ex, se non avessi dei problemi veramente gravi da affrontare. E ora non so se sono strano io, ma sinceramente sono più propenso a credere che quello strano sia il ragazzino che ho di fronte.
- Fammi spazio. – dico sospirando.
Lui si fa più in là sul seggiolino, lasciandomi una ventina di centimetri dei quali mi approprio arrampicandomi al suo fianco.
- Io non sono abituato a fare cose simili! – mi lamento, e posso percepire l’imbarazzo farsi strada nella mia stessa voce, - Perciò se… se hai qualche rospo da sputare, fallo adesso che siamo all’inizio, una volta per tutte, e buonanotte!
Lui mi guarda attentamente per qualche minuto, il volto privo di espressione, come fosse incerto sulla reazione da adottare. E poi scoppia a ridere. Così. Semplicemente.
E la sua risata è così derisoria che mi viene improvvisamente voglia di buttarlo fuori.
- Matthew Bellamy! – dice, incapace di smettere di ridere, - Sei stupido proprio come dice mio padre!
Come, prego?
- Però… per certi versi sei anche… tenero. E questa è una cosa che non dice.
Cielo.
Qualcuno mi riporti indietro da cosa-cazzo-succede-landia.
Sto davvero avendo questa conversazione con Cody Molko?
- Vado in bagno. Dov’è?
Indico la prima porta del corridoio, ancora talmente basito da non riuscire a spiccicare parola, e mentre Cody sparisce dalla mia vista mi accorgo che c’è Gaia, appoggiata allo stipite, che mi guarda ridacchiando.
- Sì, certo, sfottimi anche tu! È esattamente ciò di cui ho bisogno! – mi lamento, allargando le braccia e sollevandomi dal seggiolino, muovendo qualche passo nervoso nel salotto.
- Non ti stavo sfottendo… - precisa lei, raggiungendomi alle spalle ed abbracciandomi da dietro, prendendo poi a dondolare come per cullarmi.
- Oh, no, figurati. – dico io con una smorfia, - Era una risata random.
Lei ridacchia ancora.
Adoro il suono della sua risata.
Può far sembrare minuscole cose enormi.
E la cosa in cui mi sto cacciando è decisamente enorme.
- Matt, saresti un padre adorabile. – bisbiglia sul mio collo, mentre io cerco di lanciarle un’occhiata sconvolta da sopra la spalla, - Solo che non hai una grande esperienza coi ragazzini.
Mi libero dalla sua stretta, tornando a guardarla negli occhi.
- Bene. Allora, dall’alto della tua esperienza di psicologa, illuminami.
Gaia sorride radiosa e riprende a dondolare.
È incredibile, qualsiasi abbraccio diventa una specie di danza. A Gaia piace infinitamente ondeggiare quando mi abbraccia.
- I ragazzini, Matthew, non parlano facilmente. I ragazzini che stanno attraversando un periodo difficile, poi, non parlano quasi mai.
- E lui sicuramente ha dei problemi.
- Be’, mi pare ovvio. Non sfiderebbe così l’autorità paterna se non avesse un problema con quella stessa autorità.
Oh, ma lui non sta sfidando l’autorità paterna, oho!
È un piccolo diavolo morboso cui piace scavare negli anfratti umidi e bui del passato paterno! È uguale a suo padre, altroché!
- E quindi, Matt, non puoi pensare che dopo un paio d’ore passate insieme tu possa sederti accanto a lui e dirgli “parlami dei tuoi problemi”, aspettandoti magari anche che lui si faccia un bel piantone consolatorio e ti indichi come salvatore della propria anima di adolescente frustrato.
Spalanco gli occhi.
- Io non ero così complicato! – mi lamento stridulo, ondeggiando con Gaia in cerca di consolazione.
- No, tesoro, non ho alcun dubbio a riguardo.
Qualcuno si schiarisce la voce da qualche parte alla mia destra. Mi volto a guardare. È Cody.
- Scusate. – mormora, con un mezzo sorriso imbarazzato, - Forse è meglio che io vada.
So di essere già in un guaio.
So che dovrei… boh, cercare di arginare il disastro, prendere le distanze, o qualcosa di simile.
Sbuffo.
- Avanti! – dico deciso, dirigendomi dritto al pianoforte, - Seduto.
Gli occhi del moccioso mi rimandano uno sguardo confuso e una domanda silenziosa.
- Allora? Che stai facendo lì fermo? Dobbiamo fare le scale.
- …le scale?
- Certo! Non hai visto Gli Aristogatti? Zitto e cuccia e segui gli ordini del maestro o avremo nel mondo un altro Molko che si improvvisa musicista senza esserlo, e nessuno di noi vuole qualcosa di simile, vero?
Mentre lo sguardo di Cody si illumina – e io riesco quasi a vedere la stessa sfumatura di verde brillante che riuscivo a vedere negli occhi di Brian le rare volte in cui era veramente felice – mi sembra di aver chiuso un cerchio, e mi sembra anche di essere pronto a ripercorrerlo di corsa da capo. E mi sento… soddisfatto, e mi sembra di aver acconsentito a tutta questa follia appositamente per ottenere una cosa simile.
Non è così, lo so. Non immaginavo neanche che gli occhi di Cody potessero dirmi una cosa come questa. Non immaginavo neanche che potessero dirmi qualcosa in assoluto.
Ma è successo.
E io sono nei guai.
E mi sembra di aver fatto bene a ficcarmici.
*
- Sono più bravo di mio padre?
Questo ragazzino è un pericolo pubblico.
Questo ragazzino, davvero, è pericoloso. Non sono io che lo fraintendo, è Gaia che non capisce. Lei è sempre lì a dire “è dolcissimo, è un amore, è uno zucchero, è un adolescente così carino!”. È una settimana che va avanti così. Gaia lo ama e io a stento lo tollero. Ma non è colpa mia, è lui che fa di tutto per rendersi il più irritante possibile!
Oggi, per esempio, no?
Oggi era cominciata bene.
È arrivato, puntuale alle tre come al solito, abbiamo scambiato qualche chiacchiera idiota su quanto odiasse la sua professoressa di filosofia, poi si è seduto al piano, gli ho detto di cominciare a fare qualche scala e lui l’ha fatta.
Sembrava docile.
Ci sono delle volte in cui sembra docile, in effetti. In cui non è lì sul piede di guerra che cerca di estorcere informazioni scabrose come se stesse parlando della lista della spesa.
Perciò ha fatto qualche benedetta scala, ed io ero lì che mi compiacevo, perché diamine, non ho mai imparato a suonare il pianoforte ma evidentemente sono abbastanza geniale da insegnare agli altri – al figlio di Brian! Quindi con una difficoltà in più! – come si fa.
E all’improvviso s’è fermato, mi ha guardato e mi ha detto “Ma non hai qualche spartito da farmi provare? Sono stufo di fare solo scale!”.
Ovviamente la domanda mi ha mandato nel panico.
Perché io non so leggere gli spartiti.
E quindi non ne posseggo.
Allora ho cercato di ricordare cos’è che diceva Duchessa a Matisse negli Aristogatti e me ne sono uscito con un discorso che è sembrato strampalato perfino a me, e il cui riassunto era più o meno “le scale e gli arpeggi sono divertenti! Non ricordi gli Aristogatti?”. Al quale lui ha ovviamente risposto che le scale e gli arpeggi potevano anche essere divertenti, ma alla lunga diventavano pallosi, e comunque Minou in quel film finiva con la coda spiegazzata e non era una fine che a lui andava di fare.
Non è valso a nulla fargli notare che non possedeva una coda. Ho dovuto arrendermi e confessare di essere un pianista privo di spartiti, e subire le sue risate sfacciate per qualcosa che m’è sembrata un’eternità. Le risate derisorie dei ragazzini fanno male e durano più di quelle degli adulti, sarà che loro ci mettono più passione. Si vede che deridere li diverte proprio.
Comunque subito dopo s’è rimesso a pigiare note a casaccio sul pianoforte, come non avesse la più pallida idea di dove andare – facendomi peraltro capire che no, non ero stato in grado di insegnargli un accidenti di niente, com’era ovvio – e poi se n’è uscito con quella frase malefica.
- Sono più bravo di mio padre?
E io sono caduto dal pero, finendo di nuovo in cosa-cazzo-succede-landia.
Questo ragazzino è veramente diabolico.
- Prego…? – chiedo, percependo l’angoscia che grava sulla mia voce.
Lui ridacchia, contento dell’effetto della domanda, e pigia qualche altro tasto prima di decidersi a esplicitare il concetto.
- In una delle note… nei foglietti che ho trovato… c’è scritto “Brian, sei uno zuccone”, e poco dopo “quando ti metti al piano meriteresti bacchettate sulle mani”… con… - risolino sfacciato – un cuoricino accanto alla frase. – si può morire di vergogna per un ricordo? Sì, si può. Non capisco perché non sono morto, davvero. – E quindi mi chiedevo… secondo te sono un allievo migliore di mio padre? Sono più bravo? Imparo più in fretta? Ho più talento?
Oh.
Quanto a stronzaggine, non hai proprio nulla da invidiare al tuo illustre antenato, caro Cody.
- Che-… cioè, cosa intendi?
Un’altra risatina maliziosa, di quelle fatte stringendosi nelle spalle e scuotendo appena l’enorme massa di capelli, mentre la frangetta rimbalza gioiosa sulla fronte.
- Non sto chiedendo niente di scabroso, Matthew… voglio dire, non ho mica chiesto che abitudini-
- Fermati immediatamente! – strillo, così ad alta voce che ho paura di far tremare i cristalli delle mensole.
Cody ridacchia ancora, e poi mi pianta addosso questo sguardo… indecifrabile. Cupo. E… brillante.
- Non sei ancora pronto a parlarne, vero? – mi chiede, quasi dolcemente, come se quello comprensivo dovesse essere lui, come se avessi io quattordici anni e fosse lui il quarantenne che mi dà lezioni di piano.
Lentamente, imbarazzato come mai in vita mia, abbasso gli occhi e scuoto il capo.
E credo che questa soggezione dipenda dal fatto che lui è il figlio di Brian, ma non ne sono sicuro. Potrebbe tranquillamente dipendere da Brian stesso. O… da me.
- Fa nulla. – conclude lui, cinguettando gioioso, - Vuol dire che faremo scale ancora per un po’.
*
Il ragazzino davanti a me – che non è Cody, anche se ha lo stesso sguardo spaventoso – sembra riprendere padronanza delle proprie facoltà di controllo del corpo. Mi fissa. Mi punta il dito contro. E strilla.
- Dove l’hai nascosto?!
Io indietreggio.
È il momento che il mio cervello mi aiuti con un piccolo flashback.
Allora, io ero felice.
Cody non era nei paraggi.
Le due cose possono sembrare considerazioni scontate, ma posso assicurare che durante le mie ultime due settimane di vita non lo sono state. Decisamente.
Stavo… credo sorseggiando un caffé, non ricordo bene, la memoria comincia a giocarmi brutti scherzi, quando subisco un trauma troppo forte. Di sicuro stavo ascoltando la demo di un gruppetto niente male che la Universal pretende io produca in qualche modo.
E poi hanno suonato alla porta.
Io ho lanciato un ululato di proporzioni enormi, perché Cody aveva giurato e spergiurato che oggi non sarebbe venuto, dal momento che domani ha una verifica di matematica e la cosa lo uccide d’angoscia, e io m’ero conseguentemente preparato a un pomeriggio di gioioso pseudo-ozio.
Ho aperto con intenzioni bellicose.
Fosse stato Cody probabilmente l’avrei rimandato a casa con un calcio, appiccicandogli un bigliettino sulla schiena dove avrei scritto “Brian, sant’Iddio, tienilo chiuso a chiave!!!”.
Il punto è che non era Cody. Era un ragazzino alto e robusto, il tipo che gioca a football ma nessuno caga perché non sarà mai il quarterback. Capelli corti, castani chiari, occhi tremendamente celesti, il visino pulito ed educato.
E questo moccioso urla.
- Oddio! – fa.
Cioè.
“Oddio”.
Poi si guarda intorno.
- Scusi. – continua, leccandosi le labbra secche e deglutendo a vuoto, - Lei è davvero… - accenna, ma poi si ferma. Gli occhi girano ancora, evidentemente confusi e incapaci di decidere verso che punto preciso rivolgere l’attenzione per non esplodere.
“Un fan”, penso io distrattamente.
Solo dopo qualche secondo di salivazione azzerata e continui sfregamenti di mani per impedirne la sudorazione eccessiva, il ragazzino riprende il controllo, solleva lo sguardo, mi fissa e mi chiede dove l’ho nascosto.
La mia vita era una vita tranquilla, fino al mese scorso.
Ogni tanto ci tengo a precisarlo, perché rischio di dimenticarlo.
- Scusa…? – chiedo confuso, rinsaldando la presa sulla porta, per paura che lui possa caricarmi e sfondarla.
- Cody! – dice lui.
AHA, penso io.
Tutto è perfettamente chiaro! Tutto splende come la luce del sole! È ovvio! Come non capirlo prima?
Se ho un guaio, è palese che è colpa di quel piccolo demonio!
Afferro il moccioso per la maglietta e lo trascino dentro casa, chiudendomi la porta alle spalle prima di scaraventarlo sul divano. Lui si lascia trascinare senza opporre resistenza, fissando la mia mano ancorata al tessuto della sua maglia come se fosse quella di un fantasma.
- A quante persone l’ha detto?! – sbraito, furente, fissandolo negli occhi come se volessi mangiarmelo.
Lui si fa minuscolo sul divano, stringendo le dita attorno alla fodera dei cuscini.
- Cos…?
- A quante persone l’ha detto?! – ripeto io, - Quanti sanno che viene qui? È una cosa di dominio pubblico?!
- Io non- non lo so… - soffia, a corto d’aria, - Non credo, solo… a me l’ha detto, e quindi…
- E quindi cosa?! – attacco, - Siccome non lo vedi da quando siete usciti da scuola, ommioddio!!!, sei venuto a cercarlo qui?! Dico, sei pazzo?!
- Non… - accenna lui, e si interrompe. Mi fissa. Ha gli occhi limpidi, posso leggere dentro l’iride che il criceto che muove i meccanismi del suo cervello sta gridando “È Matthew Bellamy!!! Stai litigando con Matthew Bellamy!!!”.
…Dio, quando faccio così mi sento dannatamente Brian.
Cancella, cancella.
- Non è questo! – protesta lui, che nel frattempo s’è ripreso e s’è risollevato in piedi, - È che non ha risposto al cellulare, quando l’ho chiamato! E quindi ho pensato che fosse venuto qui!
- Oh, bene! – sbotto, esasperato, - Ci mancava il fidanzatino apprensivo…
- Non sono il suo fidanzato!!! – strilla il moccioso, rosso fino alla punta delle orecchie, - E comunque non sono disposto a osservare questa cosa andare avanti senza fare niente per fermarla!
Lo fisso, un po’ stordito.
- Io non ho nessuna colpa se quel pazzo del tuo migliore amico, o quello che diavolo è per te, è pazzo! È venuto lui a chiedermi lezioni di piano! Di propria spontanea iniziativa!
- Ma Cody è uno spostato! – obietta lui, e io non posso che essere d’accordo, - Mica ragiona come le persone normali! – questo ragazzino potrebbe non essere un completo demente, - Sei tu che non l’hai capito e hai permesso che si infilasse in casa tua… e ora te ne approfitti!
…io potrei aver toppato con i giudizi.
- …io cosa?!
- Sì! – continua lui, enormemente convinto di ciò che sta dicendo, - Scommetto che è qui, adesso!
- Ossignore! Cody Molko non è qui, grazie a Dio!
Il ragazzino stringe i pugni e mi guarda.
Ha negli occhi una tale quantità di furore che faccio fatica a distinguere l’accento isterico, dato dal fatto che non trova il suo migliore amico, dall’accento ansioso, dato dal fatto che io sono io e gli sto parlando e lui è palesemente sconvolto da questa cosa e prima di uscire da questa casa opporrà più resistenza degli spartani alle Termopili.
- Provamelo! – mi sfida.
Capisco che, se non gli do retta, non me lo scollerò mai di dosso.
…sarà difficile che questo succeda anche dandogli retta, ma tentar non nuoce, in fondo.
Afferro il cellulare sul tavolo e cerco in rubrica il numero di Cody – che diavolo ci fa nella mia rubrica il numero di Cody?! – lo chiamo, attendo, risponde.
- Cosa vuoi?
…maleducato come il padre!
- Non so in che mondo viva tu, Cody, ma nel mio si risponde “pronto” o, al massimo, “posso esserle d’aiuto”!
Lui si scusa, agitato, e motiva la propria reazione avventata con un debole “non sono abituato a sentirti per telefono”.
- Comunque cosa vuoi?
- …senti. – comincio io, - A parte che dovrei essere io a chiedere a tutti voi cosa volete da me. Ma comunque, c’è qui un tuo amico – lancio un’occhiata al moccioso, che fissa me e il cellulare con gli occhi sgranati, come non gli riuscisse di credere che io e Cody stiamo realmente avendo questa conversazione, - che è mortalmente preoccupato per te. Penso che rivolterà il mio appartamento al contrario, se non ti fai vivo. Perciò scollati dalla sedia e vieni.
Cody si lascia andare ad un minuto di silenzio.
Poi ad una risatina allegra.
E mentre io penso che si sta lasciando andare a troppe cose, si lascia andare anche ad uno sbuffo spaventosamente tenero e ad un bisbiglio che somiglia a un nome. Poi mi assicura che è già con un piede fuori dalla porta e che salverà me e la mia casa dal disastro, perciò posso stare tranquillo.
Annuisco vagamente, interrompendo la chiamata.
Mi volto verso il moccioso.
- Ti chiami Luke, per caso?
Lui sgrana gli occhioni azzurri.
- Sì… - annaspa, sconvolto.
Ok.
Devo fronteggiare la realtà che il figlio del mio ex ha bisbigliato teneramente il nome del suo migliore amico al telefono.
Come io bisbigliavo il nome di Brian quando ne parlavo con Dom.
*
Sono seduti sul mio divano, l’uno accanto all’altro. Gaia volteggia fra loro come una fatina buona, ed è talmente in amore che penso che fra un po’ sbotterà e mi darà dell’orco insensibile.
Ne avrebbe tutte le ragioni.
Cody è arrivato da venti minuti.
Quindici minuti fa, lei ha offerto a lui e Luke del gelato al cioccolato. Loro, da bravi bambini, l’hanno accettato e hanno preso a divorarlo al ritmo di un mega-cucchiaio a testa ogni dieci secondi. Devono solo ringraziare che preferisca la vaniglia!
Dieci minuti fa, Cody ha sfilato le scarpe, abbracciato il proprio barattolo e sollevato i piedi da terra. S’è arrotolato su sé stesso e sul divano, e questo non è il ricordo di un gesto o un sorriso fugace, non è un’impressione, non è un’illusione, non sono io che cerco di convincermi della loro sconvolgente somiglianza: Brian si metteva così continuamente. Durante le interviste, quando passavamo la notte a parlare qui, quando passavamo la notte a parlare da lui, quando guardavamo insieme la televisione… a volte, quando entrambi ci lasciavamo abbastanza in pace da permetterglielo, ci si addormentava pure, in questa posizione.
Ora, non so se Cody stia deliberatamente cercando di farmi andare fuori di testa.
Però so che ci sta riuscendo.
Ed è per questo che, ormai da cinque minuti buoni, io sto sbraitando.
Anche se sto urlando “non è possibile che tu dia il mio indirizzo a destra e a manca, col rischio che poi orde di adolescenti imbizzarriti mi assalgano, invadendo la mia casa!”, indicando il povero Luke, che continua a mangiare il gelato con un’espressione giustamente estasiata sul volto – e se crede che non abbia notato le dieci spilline dei Muse che ha attaccate al tascapane, be’, si sbaglia – non è veramente questo, quello che intendo. Non è questo ciò che voglio dire.
Credo che Cody lo sappia.
Credo che sappia perfettamente che in realtà sto dicendo che mi piacerebbe buttarlo fuori dalla mia vita, perché la sta scombussolando più di quanto io non dia a vedere, ma che per qualche motivo non ci riesco. Non riesco a trovare il pretesto, il modo, le parole, la voglia
…e ricordare che, invece, quando avevo poco più di vent’anni, riuscire a farlo con suo padre è stato terribilmente facile, mi porta ad una realizzazione ancora più grave, ancora più enorme, ancora più pesante.
Io ho un conto in sospeso con Brian.
E mi sembra di stare risalendo pian piano tutti i gradi della conoscenza, come in non mi ricordo che religione o filosofia.
Concludo la mia tirata con un risoluto “non farlo mai più, o puoi anche fare a meno di tornare!”. Gaia mi fissa, arricciando le labbra. Sta faticosamente cercando un sinonimo per “Matt, fila in camera tua!” che sia meno ridicolo e renda ugualmente l’idea di quanto disapprovi il mio comportamento, ma Cody è più svelto di lei.
- Te la prendi troppo, - dice, infilando il cucchiaio in bocca e lasciandolo scivolare sulla lingua per leccare via il gelato dalla superficie, - Meffiu.

È definitivo.
Cody è molto peggio di suo padre!
- Mef-… - accenno io, a fiato corto, incapace di concludere.
- Meffiu! – ridacchia Gaia, illuminandosi in volto e battendo le mani sotto il mento, - Meffiu! Suona bene!
- Meffiu… - ripete Luke, poco convinto, come stesse rimuginando sulla questione “è moralmente giusto dare un soprannome ridicolo al mio idolo di sempre?”.
- Insomma! – protesto io, irritato, - Cody, non si parla con la bocca piena!
Lui ride felice, soddisfatto della situazione che ha creato, stendendo con grazia le gambe sulle ginocchia di Luke in un gesto così intimo e naturale che ho appena il tempo di pensare che se occhi azzurri ci crede, quando dice che non stanno insieme, è fuori strada. Poi esalo un “mio Dio” che mi lascia stremato e senza nient’altro da dire, e mi lascio ricadere pensoso sullo sgabello davanti al piano, poggiando i gomiti sulle ginocchia e cercando di capire. Ho decisamente bisogno di riflettere un po’ in pace. Gaia se ne accorge e attira i ragazzi in cucina, con la scusa di un’abbondante tazza di latte e biscotti, perciò io resto da solo e ho finalmente l’occasione di far ruotare i meccanismi del mio corpo con un po’ più di calma. Ultimamente non me ne è stata data molto la possibilità.
Dunque.
A Cody piace questo ragazzino.
E a questo ragazzino piace Cody.
Questo fatto è così palese che… mah, non so, l’alba e il tramonto a confronto perdono ovvietà.
C’è qualcosa, in questa consapevolezza – nel fatto che si piacciono a vicenda e io lo so, mentre probabilmente loro no – che non mi lascia in pace. C’è una strana vocina nella mia testa, che per nessun motivo particolare ha passato gli ultimi minuti della mia vita a ripetermi “impicciati”.
Non sono fatti miei.
O meglio, lo sono nella misura in cui Cody mi ha fatto diventare parte della propria vita, con o senza il mio consenso.
Ma non sono ancora abbastanza istupidito dall’età o dalla confusione che regna sovrana nel mio mondo, per adesso, da non capire che c’è comunque un enorme limite invalicabile che passa tra l’essere parte della sua vita e l’aiutarlo in questioni che non mi riguardano affatto.
…perché in teoria solo i suoi genitori possono valicarlo, quel limite. Solo i suoi genitori possono interessarsi a tutti gli ambiti della sua esistenza. Solo i suoi genitori hanno questo diritto. E io non faccio parte della categoria neanche in assoluto, figurarsi poi se si parla di lui in particolare.
- Meffiu! – cinguetta Gaia, raggiungendomi dalla cucina a passi lenti e rilassati, sorridendo tranquilla.
- Ti prego… - bisbiglio io, - Puoi almeno evitare di andar loro dietro?
Lei ridacchia, sedendosi sulle mie ginocchia e circondandomi il collo con le braccia, dando il via alla solita danza ondeggiante avanti e indietro.
- Te ne sei accorto anche tu, vero? – sussurra piano, contro il mio orecchio.
Sorrido. Lei aveva perfino meno elementi di me, e l’ha capito comunque.
- Dillo, che l’idea di fare il Cupido ti stuzzica! – ride.
- Non è assolutamente questo, non farmi passare per un personaggio da romanzo rosa…
Lei mi sorride, con le labbra e con gli occhi, e ondeggia ancora un po’, cullandomi.
Santo cielo, adoro tutto questo.
- D’accordo, d’accordo… - borbotto, mentre un flash di mio padre che borbotta la stessa cosa nella stessa identica maniera, decidendo di accompagnarmi sulle montagne russe alla tenera età di sei anni, mi attraversa la mente, spaventandomi non poco, - Ho capito.
Gaia si alza e ridacchia, precedendomi in cucina.
Resto qualche secondo fuori dalla porta, prima di entrare, e osservo. Cody e Luke stanno parlando. Luke lo sta rimproverando per non essersi reso reperibile. Cody lo fissa con la stessa intensità con cui fissa i biscotti al cioccolato sparpagliati sul tavolo. È bello fissare così qualcuno. È bello sentire gli occhi incandescenti, percepirli come il veicolo attraverso il quale irradiare ciò che proviamo sull’oggetto del nostro desiderio.
Cody è dannatamente trasparente, dopotutto.
Finge una malizia, una cattiveria e una furbizia che non gli appartengono davvero, e le finge bene.
…proprio come il papà.
Sospiro, mentre Luke finisce di rimproverarlo e Cody, per dimostrare che di quanto ha detto non ha percepito una parola, preso com’era a guardargli le labbra, gli lancia addosso un biscotto, che lui prende in pieno naso senza un fiato di disappunto.
- Ragazzi. – li richiamo, e loro si voltano a fissarmi.
Cody mi guarda e sembra voglia ringraziarmi di tante di quelle cose che faccio fatica ad elencarle, anche se le riconosco una per una. Probabilmente non gli capita spesso di mangiare latte e biscotti con Luke comodamente seduto al tavolo di casa propria.
…ossignore.
- Luke, vieni qui.
Lui solleva il capo, arrossendo d’improvviso, e poi ubbidisce silenzioso.
Ho come la vaga impressione che non si abituerà mai alla mia presenza, né tanto meno alla possibilità che possa davvero chiamarlo per nome. Dio, spero di no, perché se continua così sarò costretto a fare da testimone al loro matrimonio, quando si sposeranno.
…Gaia, fermami.
Infilo una mano nella tasca posteriore dei jeans, tirando fuori il portafogli e rovistando al suo interno. Afferro una banconota da cinque sterline e lascio che si affacci oltre la fodera, scoccando un’occhiata a Gaia, che inarca un sopracciglio e incrocia le braccia sul petto con enorme disappunto. Sospiro ancora e tiro fuori una banconota da dieci.
- Offrigli un gelato. – dico spiccio, porgendogli il denaro senza guardarlo negli occhi.
Gaia ridacchia. Sul viso di Cody si apre il sorriso più bello che abbia mai visto.
Vedo Luke voltarsi a guardarlo, li vedo arrossire entrambi, poi vedo Cody alzarsi e cominciare a sparare a raffica informazioni su una gelateria a suo parere stre-pi-to-sa, mentre afferra l’amico per un braccio e comincia a tirarlo verso la porta, lanciandomi un “ciao-e-grazie” leggero come l’aria che mi costringe a sorridere, nonostante tutto.
Inspiro ed espiro, osservando i due ragazzini catapultarsi fuori di casa, mentre Gaia mi si avvicina e si appende di nuovo al mio collo.
- Va meglio ora, vero? – chiede maliziosa, sollevandosi sulle punte per sfiorarmi lo zigomo con la punta del naso.
Sento il bisogno di annuire.
Poi il mio sguardo saetta per un secondo sul cellulare, che ho abbandonato sul pianoforte in salotto.
…dovrei avere ancora il suo numero…
Gaia mi dà un bacino sulle labbra.
Bah. Ci penserò un’altra volta.
*
- Tu che hai esperienza… - butta lì, casualmente, - Non è che potresti darmi qualche consiglio?
E io esplodo.
Questo ragazzino sarà la mia morte.
Allora, l’ho lasciato ieri che era ancora un verginello tranquillo, ok? È venuto, abbiamo suonicchiato, più che altro lui ha continuato a parlare a ruota libera di quanto sia figo il suo Luke, di quanto sia gentile e di quanto sia bravo a baciare. Lo fa da due settimane. Quindi, d’accordo, ormai mi sono abituato. Poi sono perfettamente consapevole del fatto che c’è di peggio nel mondo. Voglio dire, ci sono dei genitori che sono costretti a fronteggiare realtà allucinanti, tipo scoprire che il loro piccolo tesoro è il capo di, chessò, una babygang armata fino ai denti e ricercata in tutta l’Unione Europea, o, per non cadere troppo nel fantascientifico, ci sono dei genitori che scoprono all’improvviso che il loro piccolo tesoro di cui sopra va in giro con la gonna. Cioè, al mondo ci sono dei veri
drammi
. Non è poi così orribile che io sia costretto a sorbirmi lo sbrilluccichio amoroso degli occhi di un adolescente per me fondamentalmente random che mi ha scelto come proprio confidente personale e che mi ha permesso di appaiarlo con un altro adolescente per me fondamentalmente random, per la gioia di tutti.
Ma questo no.
Questo è troppo.
È troppo se lui arriva con aria trasognata e, sedendosi sullo sgabello davanti al piano, comincia a pigiare tasti a caso e sussurra uno “stasera esco con Luke…” che mi dà i brividi per tutto quello che implica.
È troppo se mi lancia uno sguardo indecifrabile e si appoggia ai tasti coi gomiti e col mento sulle mani incrociate, facendo un baccano infernale e disinteressandosene totalmente.
È troppo se bisbiglia “mangiamo fuori, e poi…”, interrompendosi solo per intensificare la luce che gli esce dagli occhi ed assicurarsi che mi colpisca esattamente come vuole lui.
È troppo se sorride come avesse trovato la soluzione di ogni guaio, schiude le labbra e…
- Tu che hai esperienza… non è che potresti darmi qualche consiglio? – mi chiede.
Esperienza!
No, dico, consigli!!!
Salto in aria. So che, se potessi, arriverei al tetto e mi aggrapperei con gli artigli al lampadario. Dovrei essere un gatto, per farlo, ma se lo fossi sarebbe indubbiamente la mia mossa.
- Io non ho esperienza! – grido stridulo, chiudendo i pugni con forza.
Lui solleva un sopracciglio, squadrandomi di sbieco.
- Sì, certo, Matt…
- Cody, cazzo! – continuo io, sempre più isterico, - D’accordo, sono stato con un uomo quando avevo… Dio, avevo tipo vent’anni!
- Ventidue.
- Quelli che erano! Perché diavolo ne sai più di me?!
Scrolla le spalle.
- Le agende…
Certo. Le dannate agende di Brian. Quelle che riempiva di stupidi segnetti quando ci organizzavamo perché, di soppiatto, lui scivolasse all’interno del mio appartamento o io del suo.
- Sono passati diciannove anni! Non si può neanche pretendere che lo ricordi!
Lui mi guarda come avesse una chiarissima percezione della dimensione esatta della menzogna che gli sto propinando.
E quando preciso che non intendo dargli alcun consiglio di natura sessuale, che ha solo dodici anni – quindici, ci tiene a ricordare lui – ed è praticamente un poppante e che oltretutto casa mia non è un consultorio, lui sbuffa. Scrolla le spalle. Sorride maligno. E decide che è il momento di farmela pagare.
- Già che siamo in argomento… - sibila, - È passato più di un mese da quando ci conosciamo… non credi che sia il caso di cominciare a dirmi qualcosa di più preciso sulla vostra relazione?
Lo guardo. Mi sento enormemente stupido.
- Cody! – vai in camera tua!, ma no, non posso dirglielo. Perché lui non ha una camera qui. Perché questa non è casa sua.
Dio mio, penso terrorizzato, ora chi glielo dice a Brian che suo figlio ha due padri?
Ma la verità è che no, Matthew, tu non sei suo padre.
A Gaia piace crederlo perché le manca un moccioso vagolante per casa.
A Cody piace crederlo perché evidentemente col padre che si ritrova per natura non ha il migliore dei rapporti.
Anche a te piace crederlo, più o meno, anche se non lo ammetti e non ti piace pensarlo.
Ma tu non sei suo padre.
- Torna a casa. – dico, glaciale.
- Oh, avanti! – sbotta lui, continuando a scherzare. Probabilmente non ha percepito il cambiamento nel mio tono di voce, o si rifiuta di accettarlo, - Ti ho solo-
- No, Cody. – continuo, deciso, - Non ci siamo. Questa cosa non ha senso.
Comincia a capire.
Spalanca gli occhioni e mi fissa spaventato.
Sta pensando “ops... passo falso”. So cosa pensa e questo mi terrorizza ancora di più.
Non posso prendermi questa libertà.
Non nei confronti di Brian.
Fosse un ipotetico figlio di Dom, potrei farlo. Fosse Alfie, o Ava Jo, o Frankie, potrei farlo lo stesso.
Non a Brian.
Non a lui, dannazione.
- Torna a casa. – ripeto.
- Matthew-
- No. Non servirà a niente dire che capisci che non posso ancora parlarne. Non è questo il problema, Cody. Se vuoi sapere qualcosa sul passato di tuo padre, devi chiederla a lui! Capisci che venire da me non ha senso? Non ha avuto senso fin dall’inizio…
Lui prova a protestare.
- Tu eri l’unico che- - dice, ma no, Cody, non ti lascerò finire.
- Non ero niente. – gli ricordo… quasi con dolcezza. Sorrido, perfino. – Non sono niente neanche adesso, Cody. Figurati se ero qualcosa prima.
- No, Matt! – insiste lui, stringendo i pugni e saltando in piedi, - Tu e mio padre-
- Siamo stati insieme. È vero. – ammetto sospirando, - E questo è successo molto prima che tu nascessi e molto prima che tuo padre conoscesse tua madre. Quindi non ha niente a che fare con te.
Questo lo fa tremare.
- Ma non sono nessuno per stabilirlo, in fondo. – mi correggo, - Dico solo che, se anche questa cosa ti importa sul serio, io non sono la persona a cui devi chiedere.
Si ferma.
Sembra che tutto in lui si intorpidisca e si congeli poco a poco.
Fine delle proteste.
Fine della rivoluzione, Cody, mi dispiace.
- Capisci quello che intendo?
Lui abbassa lo sguardo, in un’ammissione che non ammette commenti.
- Su. Da bravo. A casa.
Stavolta annuisce davvero, assottigliando lievemente gli occhi già semichiusi. Recupera lo zaino abbandonato per terra accanto al divano ed esce dall’appartamento. Non sento neanche l’eco dei suoi passi nel breve corridoio verso l’ascensore.
Non sentivo mai neanche quelli di Brian.
Hanno un’altra cosa in comune.
Sanno bene come sconvolgere una vita.
E sanno altrettanto bene come uscirne in silenzio.
*
Ho passato due giorni orribili.
Il cellulare è rimasto sul pianoforte, dove l’ho lasciato il giorno in cui Cody se n’è andato, e non ho osato neanche avvicinarmici per paura di afferrarlo e comporre il suo numero.
Gaia mi ha rimproverato.
Mi ha detto che mandarlo via non era quello che volevo.
Gaia non sa che voglio solo chiudere quella parentesi della mia vita – non Cody, no. Brian. Cody ha riaperto quel baule, su, in soffitta, e s’è infilato astutamente fra i miei ricordi per amalgamarsi meglio con ciò che è stato suo padre. Non è stato una nuova parentesi, è stato un continuo riaprirsi di quella vecchia. E Gaia non sa che voglio solo provare ad andare avanti senza che il fantasma degli occhi di Brian continui a perseguitarmi sotto forma degli occhi di Cody.
Quindi, a tutti gli effetti, Gaia non sa di che sta parlando.
O forse… la cosa che mi dà più fastidio è che lo sappia. Malgrado la mancanza di gran parte degli elementi che l’aiuterebbero a capire non le dia modo di afferrare il significato profondo delle sue stesse parole, Gaia sa esattamente quello che sta dicendo. E ha ragione. Perché io non avevo davvero voglia di allontanare Cody. Né tutte quelle piccole fatiche quotidiane che la sua presenza mi obbligava a portare a termine. Aprire la porta, convincerlo a suonare un po’ oltre che a parlare continuamente di tutto ciò che gli passava per la testa, magari anche a nutrirsi un po’ prima di diventare uno scheletro e a stare attento alle lezioni di matematica perché non si sa mai possa servirti in futuro. Quasi mi manca vederlo apparire sulla soglia, sorridente e con lo zaino sulle spalle. O, come mi aveva abituato nell’ultima settimana, mano nella mano con Luke, che poi abbandonava sul divano a sfogliare fumetti, salvo pretendere la sua attenzione, qualche complimento e qualche applauso quando riusciva ad arrivare senza errori in fondo a una melodia.
Non avevo neanche voglia di allontanare tutta l’angoscia e la fatica psicologica che la sua sola presenza comportava.
L’ho fatto perché…
…la porta.
Sguardo veloce all’orologio – è l’una meno venti.
Sguardo ancora più veloce a Gaia – dorme ancora.
Mi sollevo velocemente dal letto e raggiungo l’ingresso, accorgendomi distratto del temporale che infuria fuori, scagliando minuscole goccioline d’acqua perforanti come proiettili contro i vetri delle finestre, facendoli quasi tremare.
Apro.
- Cody!
Fradicio.
Triste.
Avrei preferito non vederlo mai così.
- Che diavolo… entra! – bisbiglio, infuriato, scostandomi dall’uscio e lasciandogli spazio per obbedire.
Lui non dice una parola, trascinandosi stancamente all’interno dell’appartamento e lasciandosi alle spalle una scenografia di pozze e strisce d’acqua. L’orlo dei suoi jeans striscia sulla moquette, appena strappato, come quello di tutti i ragazzini di quest’età.
- Che è successo? – gli chiedo, mentre lo spingo lievemente, costringendolo a sedersi sul divano e osservando per un secondo la macchia d’umido che si allarga sotto di lui, prima di correre in bagno, a prendere un telo di spugna con cui asciugarlo, e in camera da letto, per recuperare una coperta nella quale avvolgerlo perché non prenda freddo.
Lui fissa un po’ le goccioline d’acqua scivolare giù dalle punte della frangetta, sbattendo incidentalmente sul naso prima di schiantarsi contro le ginocchia.
Poi si stringe nella coperta, mentre io friziono i suoi capelli.
- Cody. – lo chiamo, - È notte fonda! Che ci facevi per strada a quest’ora?!
- …sono uscito con Luke… - ammette lui, con un filo di voce.
- E avete fatto troppo tardi? È per questo che non hai il coraggio di tornare a casa? – cerco di capire.
Lui scuote il capo.
- Sono tornato a casa… - racconta, - Ma era già tardi… papà… mi aspettava in piedi…
- …arrabbiato?
Annuisce, strofinando una mano su un braccio nel tentativo di riscaldarsi.
- Ti ha rimproverato?
- Non… - deglutisce, - Non mi rimprovera mai… - ammette debolmente, - È come se non sentisse abbastanza autorità per farlo… - sussurra con un sorriso stentato, enormemente triste, - Mi ha detto che era preoccupato, che avrei dovuto avvertire… che mamma non sapeva che pesci prendere e alla fine s’era addormentata esausta accanto al telefono…
Annuisco, sedendomi al suo fianco mentre faccio scivolare il telo sul suo collo e controllo se i suoi vestiti sono ancora indossabili o se faccio meglio a prenderne degli altri.
- E dopo che è successo?
Lui si passa una mano sulla fronte, scostando i capelli bagnati e mugolando come se sentisse male da qualche parte.
- Abbiamo litigato…
- Cody…
- Io non volevo! – si affretta a difendersi, - Non so neanche se si possa definire litigio… - commenta poi, abbassando lo sguardo per sfuggire al mio, che nel frattempo è riuscito in qualche modo a trovare i suoi occhi, - Il suo discorso mi ha infastidito… gli ho detto che può badare esclusivamente agli affari suoi, dal momento che io sono abbastanza grande per badare ai miei…
- …e hai dimostrato così perfettamente di non essere in grado di farlo.
Solleva di nuovo lo sguardo, schiudendo le labbra.
- L’ha detto anche lui. – sussurra con voce rotta.
Io sospiro, alzandomi in piedi.
- Vado a prenderti dei vestiti asciutti. Tu togliti quella roba, o ti verrà un febbrone.
Annuisce e si libera della coperta, sfilando la maglietta e lasciandola ricadere per terra dopo un attimo di indecisione. Quando torno in salotto, con una maglia e un paio di pantaloni che ovviamente gli andranno larghissimi, lui è di nuovo completamente avvolto nella coperta, ma tutti i vestiti sono ordinatamente ammucchiati sul pavimento, come ci tenesse ad occupare il minor spazio possibile.
- Scusa se sono tornato. – dice con un filo di voce, mentre afferra gli indumenti che gli passo e comincia a rivestirsi, - Non sapevo dove altro andare.
Sospiro ancora.
- Avresti potuto rimanere a casa.
- No. – dice lui, deciso, - Non avrei potuto.
So che è vero.
- Puoi restare qui a dormire, per oggi. – cedo. Tanto vale farlo adesso, tenerlo ancora sulle spine sarebbe crudele e del tutto inutile.
Lui lancia un respiro che somiglia tanto a quelli che lanci quando riprendi a respirare dopo molti secondi.
- Grazie. – sussurra.
- Figurati. – dico, togliendogli di dosso la coperta bagnata e passandogliene un’altra asciutta. – Dormi bene.
Faccio per alzarmi e tornarmene a letto, rimandando qualsiasi pensiero razionale all’indomani mattina, ma lui mi ferma, attaccandosi al mio braccio e costringendomi a ricadere indietro sul divano.
- Matthew… ti prego… - bisbiglia senza guardarmi, - Puoi raccontarmi cos’è successo fra te e mio padre?
Cosa vuoi che ti dica, Cody? Cos’è che vuoi detto, mentre stai accucciato sul divano e mi fissi, fradicio di pioggia, come fossi davvero il salvatore della tua anima frustrata?
Cosa vuoi detto? Che amavo tuo padre? Che lui amava me? Vuoi raccontato il momento in cui ci siamo conosciuti? Come fossimo entrambi troppo giovani e stupidi per capire cos’avevamo fra le mani? Vuoi descritti gli sguardi di fuoco che ci siamo lanciati per mesi, quando costringevamo i nostri migliori amici ad uscire in gruppo per dare luogo a uno strano rituale di corteggiamento, comprendente battutine e occhiate furbe, mentre gli altri ci fissavano sconvolti come provenissimo da un altro pianeta? Vuoi il primo bacio? Cos’è che vuoi? Sapere quanto è stato dolce? Quanto è stato appassionato? L’esatta gradazione di rossore che hanno raggiunto le mie guance? Come mi sia sembrato di stare bevendo acqua fresca e pura dopo anni di fango? Vuoi il dopo? Vuoi il sesso? Le sue mani su di me, le mie dita dentro di lui, la lingua, le labbra, la pelle, il piacere? Vuoi gli orgasmi e le risatine allegre durante i minuti in cui riprendevamo fiato? Vuoi le tenerezze? Vuoi sapere se, quando andava in cucina e io gli chiedevo di portarmi un po’ d’acqua, lui ubbidiva con gioia e senza lamentarsi, oppure se mi tirava addosso qualcosa borbottando “se hai sete, alzati e bevi”? Vuoi che ti racconti delle notti insonni passate a parlare di ispirazione, armonia, poesia? Vuoi i deliri di quando eravamo ubriachi? Vuoi i sospiri di quando eravamo eccitati? Cosa diamine vuoi, i primi litigi? Le prime guerre? Le prime trincee? Le prime barricate? Vuoi che ti descriva esattamente cosa si prova a vedere una storia a cui tieni mentre ti scivola fra le mani perché tu non sei in grado di trattenerla? Vuoi sapere in che modo Brian mi ha fatto capire che essere “l’amante segreto di Matthew Bellamy” non gli bastava? Vuoi che ti dica come mi sono sentito quando tuo padre mi ha detto che voleva di più? Vuoi sapere con quali esatte parole ho pensato che non potevo e neanche volevo darglielo? Vuoi che ti descriva la sua espressione mentre mi ascoltava ammetterlo, pretendi che io te ne parli senza scoppiare a piangere?
…potrei ancora disegnare le curve del suo profilo mentre lo vedo uscire dalla porta per non tornare mai più. Potrei contare da capo i minuti passati in attesa davanti al telefono, continuando a ripetermi che era tutta colpa mia e avrei dovuto decidermi a farmi sentire per primo, anche se sapevo perfettamente che non l’avrei fatto. Potrei parlare di ogni pomeriggio, ogni notte, ogni risveglio solitario. Potrei ripetere a memoria ogni lamentela propinata a Dom e Chris.
Potrei davvero dirti tutto, Cody. Ma tu non vuoi sapere da Matthew Bellamy che anche tuo padre è un essere umano. Tu non hai bisogno che te lo dica io. Tu lo sai.
Hai bisogno di correre da tuo padre e obbligarlo a dimostrartelo.
Ed è dannatamente diverso.
- Buona notte. – ripeto, liberandomi dalla sua stretta e tornando in piedi.
Vuoi parlare con qualcuno, Cody?
È con Brian che devi parlare.
Lo so bene.
Perché devo farlo anche io.
*
Il cellulare di Cody mi dà una mano a ritrovare il suo numero.
Trovarlo sotto la voce “papà” è vagamente divertente, ma dal momento che non è il caso di ridere ne faccio a meno e lo chiamo.
La sua prima reazione è uno sgomento silenzio, che si protrae abbastanza a lungo da farmi decidere d’essere io il primo a romperlo.
- Brian? – chiamo, per assicurarmi che lui sia davvero dall’altro lato della cornetta.
- …Matthew. – esala lui. Posso sentirlo sconvolto e un po’ mi dispiace.
- Scusa se ti chiamo così tardi. – dopo vent’anni, dovrei aggiungere, ma nonostante tutto non credo sia il caso, - È che immagino tu sia preoccupato per Cody, e-
- Che c’entra Cody? – ansima, - Cody è lì? Cody è da te? Che ci fa da te?
Sospiro, mugolando confuso.
Sono quasi le due. Non riesco neanche a ragionare correttamente e sto cominciando a pensare che chiamare Brian adesso sia stato un errore enorme. D’altronde, però, non riesco neanche ad immaginarmi andare a letto e addormentarmi come niente col pensiero che lui, a casa sua, si sta rigirando in una padella di angoscia mentre si convince di essere il motivo per il quale ritroveranno suo figlio annegato nel Tamigi domattina.
- È una cosa lunga da spiegare. – asserisco, massaggiandomi le tempie.
- Vengo da te. – dice lui d’impeto, ma poi si blocca. - …dove stai?
- Non è il caso. – dico, trattenendo a stento un risolino, - Anche perché svegliare Cody e trascinarlo a casa sotto il diluvio universale non mi sembra la cosa più saggia da fare.
Lo percepisco irrigidirsi, e comprendo di aver toppato di nuovo.
Non riesco proprio a misurare le parole, con questi due. Corro continuamente il rischio di dire troppo, o troppo poco.
- E poi qui c’è Gaia che dorme. – continuo, cercando di attirare la sua attenzione altrove, - Se vuoi ci vediamo da qualche parte, così… parliamo un po’.
Ci mettiamo d’accordo per un pub nei dintorni che dovrebbe essere ancora aperto.
Scendo di casa e arrivo davanti al locale, per accorgermi che invece, ovviamente, è chiuso. Rimango comunque lì davanti, cercando di farmi minuscolo sotto l’ombrello ed evitare le gocce di pioggia che ogni tanto mi sferzano il viso, portate dal vento.
Quando lo vedo arrivare, dall’altro lato della strada, lo riconosco subito.
È molto cambiato.
…è dannatamente invecchiato.
Mi adocchia, ha un momento d’esitazione e poi si avvicina. Stringe fra le mani il proprio ombrello e indossa dei guanti per ripararsi dal freddo. Dio sa se lo invidio.
- Ciao. – accenno incerto.
Lui mi guarda ancora un po’ e poi esala un “Dio santo” veramente disperato.
- Rivedersi è stata la peggiore delle scelte, Matt. – commenta distaccato, mentre mi si affianca, unendo il suo ombrello al mio per creare una piccola tettoia sotto la quale potremo entrambi ripararci meglio.
Io ridacchio in risposta alla sua battuta e gli chiedo come stia.
- Preoccupato. – risponde lui. – E confuso. E questa situazione mi irrita.
- Mi dispiace. Ma stavolta posso assicurarti che davvero non è colpa mia.
Mi scocca uno sguardo furente, mordendosi il labbro inferiore.
Ha ancora lo stesso modo provocatorio di mordersi le labbra… è così anche quando non è intenzionale, è una caratteristica insita nella pienezza stessa di quelle labbra, e nelle curve morbide del profilo dei suoi denti.
- Non è proprio il caso di fare richiami al passato. – mi rimprovera. La sua voce non è cambiata di una virgola. – Mi spieghi qualcosa? Sinceramente non ho la forza di fare domande.
Annuisco e racconto tutto. Di come Cody si sia presentato a casa mia dopo aver scoperto i suoi “ricordi” in soffitta, di come abbia cominciato ad assillarmi per le lezioni di piano, di come Gaia l’abbia preso in simpatia, dei suoi tentativi di estorcere informazioni, di Luke, di stasera.
Brian mi ascolta. All’inizio è solo confuso e perplesso. Poi sulle sue labbra si va a disegnare un sorriso consapevole immensamente triste, che mi strazia.
- Devo anche ringraziarti. – ammette, alla fine del racconto, - Ti sei preso cura di lui.
Io inspiro ed espiro. Mi sento dannatamente affaticato.
- Ci sono problemi fra voi?
Lui ride.
- Hai mai sentito di un adolescente e un genitore senza problemi fra loro?
Ha ragione anche lui.
E lo so, che ha ragione.
- Se posso permettermi di darti un consiglio-
- No che non puoi. – mi ferma lui, glaciale, - Cristo, Matt, è mio figlio! Non ti sembra di aver già fatto abbastanza?
Aggrotto le sopracciglia.
- È lui che-
- Sei tu che non sei stato in grado di respingerlo fin dall’inizio. – ragiona come Luke. Il che mi porterebbe a pensare che ho torto, se non sapessi perfettamente che Luke parla così solo perché è geloso. Che è esattamente quanto si può dire di Brian al momento. – Ma posso capirti. Cody è comunque un tipo che impone la propria presenza.
Già.
Vi somigliate, lo sai.
- Non gliene ho mai parlato. – dice all’improvviso, appoggiandosi contro un albero dietro di sé, mentre cerca di mantenere l’ombrello in equilibrio fra spalla e collo.
Io ridacchio, seguendolo nel movimento.
- Posso capirlo. Non è esattamente una cosa che sia facile dire al proprio figlio.
Scuote il capo.
- Gli ho detto molto altro. Ho sempre cercato di essere il più possibile onesto, con lui. È stato un errore, probabilmente. Ho perso in credibilità, in… in autorità. Se mai l’ho avuta.
- Non dire così…
- È così.
Serro le labbra, tornando silenzioso e riprendendo a guardarlo mentre aspetto che ricominci a parlare.
- Non ne ho mai parlato con nessuno. – continua infatti lui, fissando il vuoto come fosse in un altro luogo, - Non mi è mai sembrato ci fosse qualcosa da dire. – mi lancia uno sguardo breve e duro, doloroso, - Forse qualcosa da dire c’è, adesso.
Deglutisco.
- Sì. – ammetto, - Io ho qualcosa da dire.
È il momento.
Non credevo sarebbe mai arrivato.
Ma il passato ritorna, l’ho detto quando questa vicenda è cominciata e non posso fare a meno di dirlo adesso che mi sembra si stia avviando alla propria conclusione.
Brian sorride lievemente, ben conscio di aver raggiunto il proprio scopo.
- Scusami, Brian. Mi dispiace. – dico io, chinando il capo, - Non per averti lasciato. O per non aver cercato di riprenderti. Ma per averti illuso che tra noi potesse nascere qualcosa di stabile quando ero assolutamente convinto del contrario. – lo guardo in un lampo, e lui sorride ancora, sereno. – Ero molto giovane. Tu non lo eri altrettanto. Avevamo… obiettivi diversi. Non avrei mai dovuto farti credere-
- Non mi hai fatto credere niente. – precisa lui, e io la prenderei come una sterile lamentela se non la dicesse… con quel tono e con quel sorriso sulle labbra. – Mi sono convinto di ciò che volevo. Se ti si deve trovare una colpa… è che tu lo sapevi e non hai fatto niente per fermarmi.
Tocca a me mordermi le labbra.
È vero, e io lo so.
- Non ero ancora pronto a perderti, quando l’ho capito. – ammetto. – Sapevo che se avessi messo le cose in chiaro tu saresti andato via subito. Ma io ero davvero innamorato di te, Brian, e non volevo lasciarti andare via così presto.
Lui si lascia andare a una risatina breve che racchiude in sé tutta la malinconia, tutta la nostalgia e tutto il rimpianto condensato negli anni passati senza vedersi né sapere niente l’uno dell’altro. Scivola fuori dalle sue labbra e si perde nel rumore scrosciante della pioggia attorno a noi, diventando leggera come l’aria.
Fra altri vent’anni non lo ricorderemo più.
Questa consapevolezza mi uccide. E mi permette di sopravvivere più facilmente.
- Non volevo le tue scuse, Matt. – confessa Brian, avvicinandosi lentamente, - Volevo un addio vero. Probabilmente non mi è mai bastato il no di un ragazzino confuso troppo spaventato dai rischi di una “relazione seria con Brian Molko”. – ridacchia ancora, guardandomi negli occhi, - Forse volevo solo sapere che ora stai bene. Che sei… stabile. Che lo siamo entrambi. Cody a parte. – sussurra con un altro risolino.
Stabile.
Be’, sì, Brian.
Stabile.
- Mi ha fatto piacere rivederti. – sorride, staccandosi dall’albero e rimettendosi dritto in piedi, - Domattina chiamerò Cody e passerò a prenderlo sotto casa tua. Stai qui vicino, vero?
Annuisco, recitando a memoria l’indirizzo di casa mia.
Fa per andarsene, ma come Cody ha fermato me sul divano io fermo lui adesso.
- Aspetta. – gli dico. E non so cosa dovrebbe aspettare, perché non so cosa aspettarmi da me stesso. Ma lo costringo a voltarsi e lui ubbidisce docilmente.
Quando arriva a pochi centimetri da me sappiamo entrambi cosa succederà.
Ed è assurdo, perché siamo praticamente due vecchietti e questa cosa non ha senso.
Ma lo bacio, e mi fa piacere ritrovare la forma delle sue labbra sulle mie. Sorrido contro la sua bocca nel riconoscere il suo sapore, che è sempre lo stesso, e sono perfino soddisfatto quando le nostre lingue riportano alla luce tutto il campionario di toccatine brevi e sensuali che utilizzavano quando baci come questo erano all’ordine del giorno.
Lo stringo forte per non lasciarlo più andare, ma quando ci separiamo capisco perfettamente cosa esattamente non voglio mandare via. È la parte bella di noi. Quella che ho sempre nascosto per evitare di riesumare assieme a lei anche tutta la parte brutta.
Adesso so che potrò tirare fuori dal baule questo ricordo e anche tutti gli altri, senza sentirmi più in colpa.
È la sensazione che si prova quando finalmente si chiude la benedetta parentesi aperta.
Hai risolto l’equazione.
Indipendentemente dal risultato, sei arrivato alla fine.
Te lo fai bastare. Non capita quasi mai che il risultato che si trova in questi casi sia lo stesso riportato sul libro di testo.
*
Cody sorride, stringendo fra le mani le bretelle dello zaino che gli ho prestato. Dentro ci sono i suoi vestiti bagnati e i vestiti che gli ho prestato per la notte. Ha deciso che li vuole tenere, così come quelli che indossa ora, e ha motivato la decisione dicendo che sa che non mi vedrà più. Gli ho detto di non contarci troppo. Che li conosco, quelli della sua razza, e che so perfettamente che mi richiamerà fra una miriade d’anni nel momento più impensabile e meno propizio, obbligandomi a scapicollarmi ovunque si trovi per salvarlo da un qualche disastro incombente. Lui ha ridacchiato e ha detto che spera io non sia troppo vecchio, quando avverrà. Gli ho bisbigliato di non farsi sentire mai da suo padre, quando dice cose simili, perché non tutti la prendono bene come il sottoscritto, e gli ho dato un pizzicotto sul fianco. Il che, credo, gli ha dato l’esatta misura di quanto bene io l’abbia presa.
Esce dalla porta, dopo un breve bacio a Gaia, mentre il clacson della macchina di Brian fa sentire insistentemente la propria voce.
Dio, ho davvero l’impressione che un’intera era della mia vita si stia chiudendo adesso.
È una sensazione pesante.
Gaia sorride serena, appendendosi al mio collo e ondeggiando, mentre mi stringe forte.
- Alla fine non te la sei cavata poi così male. – bisbiglia contro la mia pelle, dandomi un bacetto sul pomo d’Adamo.
Sorrido, abbassando lo sguardo su di lei e baciandola sulle labbra.
Lei ridacchia mentre la sollevo, conducendola in camera da letto.
Sento come il bisogno di ricominciare.
Ed ho una mezza idea riguardo come farlo.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: R
AVVISI: Angst, RPS.
- Agosto. Un anno e mezzo di tour alle spalle e tutta un'altra serie di drammi personali riducono Brian Molko a desiderare solamente di essere lasciato in pace. La Virgin e la Universal non la pensano allo stesso modo, e gli propongono una collaborazione con l'essere umano che lui meno tolleri in tutto l'universo...
Commento dell'autrice: L’ho finitaaaaaah @O@ Non ci posso credere! È lunga da far schifo, mamma mia! Se siete arrivati alla fine, avete tutto il mio appoggio, la mia comprensione e il mio amore <3
Vorrei tanto dedicare questa storia alla Nai, perché per quanto possa non crederci tutto questo ha molto a che fare con lei (nel senso buono della frase XD) e il Brian che ho cercato di dipingere in queste pagine deve molto a quelli che sono stati i suoi dipinti, sempre bellissimi, sempre toccanti e sempre tanto intimamente simili a me (in modi del tutto inconcepibili, credetemi) che li ho odiati spesso XD E quindi la dedica va a lei. Assieme a un enorme ringraziamento per l’aiuto che mi ha dato con la sistemazione e la riorganizzazione in parti di tutto questo.
Scritta per la disfida organizzata dal blog di critica positiva e negativa dei Criticoni è.é Era un concorso particolarissimo, si chiedeva di scegliere un’immagine e scrivere una fic che fosse anche in minima parte ispirata a quella. Io ho visto questo labirinto di casse e ci ho visto in mezzo Brian e Matthew a pseudo-picchiarsi, e poi, nel tentativo di dare una motivazione a quelle botte (che poi neanche ci sono state XD che persona triste sono ._.) ci ho ricamato attorno una specie di dramma esistenziale. Oh, be’. Spero vi sia piaciuto ^^
PS: Il titolo e la citazione in apertura della storia sono rubati all’omonima canzone di Elisa, mentre la citazione random in mezzo alla storia è.é” è presa da Dancing Barefoot, che mi sa essere una canzone di Patti Smith, che io amo e stra-amo coverata dagli U2 <3
PPS: Il gesto che fa Brian quando resta solo in casa e si va ad affogare nel lavandino è_é è una cosa che la mia neechan Ana fa spesso <3 Quindi i credits immagino debbano andare a lei XD *lolla*
DOVEROSA NOTA A MARGINE: io non conosco il signor Molko, ma non credo affatto che passi le sue estati intrattenendosi in attività illegali con minorenni pakistane. No, no e ancora no. Ci stava bene nella storia e ho deciso di lasciarlo solo dopo luuuuunga tribolazione mentale, ma NON È VERO AFFATTO.
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- E Matthew è veramente entusiasta di questo progetto. – disse Tom, accavallando le gambe e incrociando le mani sul ventre, accomodandosi meglio sulla poltrona, - È da quando gliel’ho detto che non fa che prendere appunti.
- Non trovo neanche le parole per scusarmi. – sbuffò Alex, passandosi una mano sulla fronte, - È allucinante che io non sia ancora riuscita a parlarne con Brian, ma è già stato abbastanza drammatico annunciargli che avrebbe lavorato anche per tutto agosto… ha strillato così tanto che non sono proprio fisicamente riuscita a dirgli di Matt…
- Be’, - ridacchiò il manager dei Muse, - farai meglio a sbrigarti… Matt delira da giorni, dicendo di aver già pensato alla Canzone Perfetta per lui… non riesco più a trattenerlo, è eccitato come un bambino…
- Ma sì, sì, lo so, infatti ho detto a Bri di passare di qua appena finisce in sala prove… così posso dirglielo subito… Comunque non è che non lo capisca, eh? In fondo è un uomo adulto, ha una propria vita privata… che forse, a causa degli impegni di lavoro, è in pausa da un po’ troppo tempo…
Tom fece una smorfia, annuendo comprensivo.
- Non si è ancora ripreso da tutta la storia con Helena, vero?
- Non ha avuto il tempo materiale per riprendersi, Tom. Ha avuto troppe altre cose a cui pensare. Il tour non s’è fermato un attimo, i photoshooting e le interviste si sono susseguiti a ritmi disumani. E questo probabilmente è stato anche a causa mia…
- Sei sicura che questa collaborazione sia un’idea saggia…? – accennò Tom, vagamente preoccupato.
- Saggia o no, - sospirò Alex, - è stata un’idea della Virgin. Abbiamo un contratto da onorare.
Tom annuì lentamente.
- È solo che… - continuò Alex in un sospiro, - Brian non sta affatto bene… emotivamente, intendo… e non è più un ragazzino, il suo entusiasmo non è più così facile da accendere, ed ho paura…
- …che non regga?
Anche Alex annuì, sorridendo tristemente.
- Avanti, adesso… - la rassicurò Tom, sporgendosi verso di lei e dandole qualche amichevole pacca sulla spalla, - L’hai detto tu stessa, Brian è un uomo, ormai… se la caverà…
- Ah, be’, di questo sono sicura, ha superato anche di peggio… Ma ogni tanto mi piacerebbe che riuscisse a riacquistare quella… quella predisposizione al sorriso, al divertimento, che aveva quand’era più giovane…
- Credimi: se anche tu lavorassi con tre trentenni che si fingono adolescenti, non la penseresti così. – ironizzò l’uomo, ed Alex rise. – Dai, magari appena saprà di Matt sarà entusiasta e tutte le tue paure svaniranno in un soffio.
- Tom… - sbottò Alex, sarcastica, - Brian odia Matthew Bellamy…
- Ma come?! – esclamò lui, stupito, - Non ha ancora superato neanche questo?!
Alex ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.
- Per certe cose è ancora un bambino. – spiegò, - Non cambia mai.

LABYRINTH

Now everything is reflection
as I make my way through this labyrinth
and my sense of direction
is lost like the sound of my steps

Non è una questione di gelosia. È una questione di fastidio fisico. Di incompatibilità. Di intolleranza.
Ritengo Matthew Bellamy un idiota, ecco perché non voglio lavorare con lui.
- Avanti, Brian…
Odio quando Alex usa quel tono. Sottintende uno spiacevolissimo “cresci, una buona volta”, che personalmente trovo davvero inopportuno ed offensivo, dal momento che è prerogativa delle persone adulte odiare gli altri esseri umani. I bambini giocano con chiunque, perfino se puzza. Gli adulti, invece, hanno tutto il diritto di decidere con chi preferiscono giocare e con chi no.
- In fondo è solo un mese…
- Sì. – replico infastidito, - Un mese che mi porterà alla pazzia. E sappi che, se io affondo, tu affonderai con me.
Lei incrocia le braccia sul petto, arriccia le labbra e solleva un sopracciglio. È l’espressione che dice “Brian…”, strascicando le vocali e lasciandolo sospeso. Un rimprovero a metà.
Ok, magari me stesso in versione checca isterica e ironica in questo caso non serve a niente.
- Alex…
Proviamo con la versione uomo affranto, esasperato e prossimo al crollo.
La più simile a me stesso che possa tirar fuori al momento.
- Sono stanco. Veramente. Pensavo di prendere il primo aereo per Parigi, sabato, chiudermi da qualche parte e guardare orribili film francesi fino a settembre… o fino ad esaurimento. Sapere che mi tocca restare per tutto agosto già mi uccide, perché devi anche resuscitarmi ed uccidermi di nuovo con Matthew Bellamy?
- Brian…
Eccolo che arriva.
- Il tuo lavoro di agosto è Matthew Bellamy. Se togliamo lui dalla scaletta, tanto vale che tu vada a Parigi a stordirti di Daniel Auteuil.
- Ecco, perfetto, problema risolto!
- Brian, la Virgin-
- Faccio guadagnare alla Virgin tanti di quei soldi ogni anno, che penso possa concedermi una pausa di quindi giorni, ogni tanto! Sono stanco, sono sfinito, sono depresso e voglio stare solo!
- Stare solo non ti farà bene, Brian… magari incontrare persone nuove-
- Oh, no! Non provarci nemmeno! Bellamy non è una persona nuova! È una vecchissima conoscenza!
- Oh, andiamo, non sai niente di lui..
- So tutto ciò che mi interessa sapere, ovvero che di lui non mi interessa sapere nulla.
Picchietta con due dita sull’interno del gomito.
- Molto maturo da parte tua.
Non mi interessa essere maturo. Non adesso.
…vorrei dirlo davvero.
Vorrei strillare ancora, prendere a calci qualcosa, mollare tutto e fuggire sul serio.
Ma so già che non farò niente di tutto questo. Brian Molko non si tira mai indietro, di fronte al lavoro.
Mi passo una mano sugli occhi.
- Speravo che avrei potuto cominciare a pensare a qualcosa per il mio progetto solista, prima che ci mettessimo al lavoro sul nuovo album… - mi lamento, sospirando pesantemente.
Alex sorride soddisfatta: sa che ho già ceduto.
- Bene, allora sei fortunato! – commenta allegra, - Matthew Bellamy sarà il tuo progetto solista!
*
- Matthew, puoi smetterla un secondo solo di saltellare?
Il cantante si voltò a guardare il proprio manager, aggrottando le sopracciglia.
- Tom, non stavo mica saltellando…
- No? – chiese distrattamente lui, scrollando le spalle, - Sembrava. Avanti, davvero, Matt, mi fai venire voglia di aggiustarti la cravatta, e al momento non ce l’hai nemmeno! Ti rendi conto di cosa questo significhi?
- …che non avresti dovuto prendere quella roba che hai spacciato per aspirina, prima di uscire?
- Tanto per cominciare, quella era aspirina. Che diamine, Matt! Comunque, no. Significa che sei talmente agitato che la tua agitazione contagia gli altri, e adesso io sono nervoso!
- Scusami se sono felice… - commentò Matthew, ridacchiando.
- Che sciocchezza! Sai che approvò la tua felicità!
Matt rise ancora, più sonoramente.
- Eppure non mi sembra di essere così nervoso… - commentò vago, spiando di sottecchi le reazioni di Tom.
Lui lo guardò con la coda dell’occhio, facendo una smorfia preoccupata.
- Ok. – disse, voltandosi verso di lui ed afferrandolo per le spalle, - È vero. Sono teso come una corda di violino. E questo perché, nonostante tu sia sicuro, per non so quale divina certezza, che quest’incontro andrà bene, io invece so che sarà un disastro! Sarà talmente disastroso che… no, guarda, non voglio nemmeno pensarci!
- Toooom… vuoi rilassarti? Che io sappia, Brian non è un cannibale…
- Non so se ti convenga chiamarlo Brian… sai, forse per una questione di rispetto lui preferirebbe essere chiamato signor Molko…
- Ma piantala! Abbiamo praticamente la stessa età, come pretendi che gli dia del signore?
- Mh… ben detto… questo di sicuro lo lusingherebbe… cerca di ripeterlo, quando sarai davanti a lui.
- Oh, sì, certo. “Brian, ciao. Non ti do del lei perché il mio manager riteneva opportuno farti sapere che non crediamo che tu sia vecchio”.
- …ecco, se magari trovi un modo più delicato per esprimere lo stesso concetto, puoi-
- Tom, non gli dirò niente del genere, stanne certo! – ridacchiò Matt, del tutto sereno, - Parleremo solo di lavoro.
- E-
- Niente domande sulla vita privata. Lo so. Sei più tranquillo adesso?
- Affatto. – sospirò, - Ma che posso farci? Mi fido di te.
*
Fai bene a mostrarti così calmo e sicuro di te, Bellamy. Ne hai tutte le ragioni, perché non ti divorerò.
Mi rovineresti l’appetito per tutta la vita, poi.
- Come va?
La mia compagna mi ha lasciato e sarò costretto a lavorare con una delle persone che meno tollero al mondo per tutto il mese che avrebbe dovuto essere la mia vacanza dopo uno sfiancante anno e mezzo di tour per tutto il mondo.
Come pensi che vada?
- Alla grande.
- Mi fa piacere!
Sei proprio un idiota.
- Sono proprio felice di avere avuto l’opportunità di lavorare con te!
Vedi che sei stupido? Non sai a cosa vai incontro.
- È da quando Tom me ne ha parlato due settimane fa che mi preparo a questo momento!
Pensa un po’, io invece non ne ho saputo niente fino a ieri sera. Quanto credi che possa essermi preparato?
- Bene.
- Sai, io ti apprezzo molto come artista.
Ma smetti mai di parlare?
- Grazie.
- Davvero, secondo me hai una voce da brivido, e poi è così adatta al vostro sound! Sembra fatto apposta!
Sei semplicemente ridicolo. È fatto apposta.
- Ho ascoltato tutti i vostri album, in questi giorni… o meglio, riascoltato… ammetto che rientrate fra i miei peccati di gioventù…
Scommetto che ti senti incredibilmente brillante, con quel tuo risolino stupido e acuto…
- …e devo dire che ho apprezzato molto la vostra crescita dal punto di vista musicale! In Meds siete praticamente impeccabili, non una sbavatura, ci sono dei testi molto validi, e anche le melodie, in alcuni casi sono così ricercate… come per l’intro della title-track, ci credi che non sono ancora riuscito a replicarlo esattamente? Cosa diavolo sono quelli, armonici…?
Accavallo le gambe.
- No. Battimenti.
- Ha! Lo sapevo che doveva essere qualcosa di particolare! E io che cercavo di rifarlo all’acustica così, come se fosse un pezzo normale! Avresti dovuto vedermi lì, io e la chitarra che ci guardavamo e non riuscivamo a capirne un accidenti di niente! complimenti!
Incrocio le braccia.
- Finito?
Lui mi guarda interdetto, e se non tenessi così tanto a mantenere questa espressione glaciale, giuro che starei già ridendo vittorioso, con le mani sui fianchi e un piede sulla poltrona.
- No, perché – esplicito, - se hai altri complimenti da fare, falli tutti, così io ringrazio alla fine ed evito di sprecare fiato.
- …no… - balbetta lui, incerto, arrossendo, - …ho finito… volevo solo-
- Allora grazie. – sorrido tranquillo.
- …di nulla… - sussurra lui, e il suo sguardo scivola frenetico ai piedi del tavolino basso che separa le nostre poltrone, mentre le mani corrono alla valigetta posata lì, per terra, aggrappandovisi come a un’ancora di salvezza. – Ho portato degli appunti… non so, se ti va di guardarli…
- Allora devo ritenermi onorato… non ricordo dove, ho letto che tu non scrivi mai niente.
Conosci il tuo nemico.
L’arte della guerra è l’unica cosa che mi abbia insegnato mio padre.
L’unica cosa di cui lo ringrazi.
L’unica arma che avevo contro di lui, quando allungava troppo le mani o apriva troppo la bocca sugli affari miei, ed io potevo ribattere che non avrei preso in considerazione neanche una sillaba che fosse uscita dalle stesse labbra che leccavano champagne dai piedi delle sedicenni in Pakistan.
Bellamy mi fissa sconvolto, probabilmente sta cominciando a pentirsi di tutti i complimenti di prima.
- Generalmente no, è vero… - ammette, aprendo comunque la ventiquattrore e rovistando al suo interno, - Però ero così pieno di idee per quest’occasione che mi sarebbe dispiaciuto perderne qualcuna…
- Mmmh… - mugugno, puntellandomi il mento con l’indice, - Sbaglio, o sei stato sempre tu a dire che le idee che dimentichi le dimentichi perché non sono abbastanza buone? Quindi, se hai segnato tutto, quante idee cestinabili devo aspettarmi?
Comincia a tremare.
Sì…
Adoro esercitare questo tipo di controllo sugli altri. È lo stesso tipo di controllo che esercito sulla mia vita. Ogni cosa è conservata nel suo compartimento stagno, tra i compartimenti non passa niente e niente arriva mai troppo in fondo.
- È che avrei voluto un tuo parere per tutto… - si giustifica lui, abbassando lo sguardo, - Mi piacerebbe che questa fosse una collaborazione vera, non qualcosa in cui uno comanda e l’altro serve… e dal momento che abbiamo entrambi due personalità molto forti, pensavo che questo fosse il modo migliore per procedere…
- Capisco. – annuisco sbrigativamente, - Ci penserò.
Fine della discussione.
Lui se ne accorge, si alza in piedi.
- Allora… - lancia un’occhiata alla valigetta, aperta sul tavolo, - io queste cose te le lascio qui… aspetterò che sia tu a chiamarmi… - conclude, tirando fuori dalla tasca dei jeans un bigliettino col proprio numero di telefono e lasciandolo assieme agli altri fogli.
Annuisco e sorrido, restando immobile, le braccia ancora incrociate sul petto.
- Be’, ciao… - mormora lui, incerto.
Sollevo una mano in segno di saluto.
Bellamy annuisce lentamente, prendendo atto. Si volta. Esce dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Tre, due, uno.
- Brian!
- Alex! – le faccio il verso, sciogliendo le braccia ed aprendo le mani, sollevandole ai lati del viso ed agitandole freneticamente.
Lei non si fa intimorire.
D’altronde si chiama Alex Weston, non Matthew Bellamy.
- Che diamine hai combinato?!
La guardo, spalancando gli occhi, incredulo.
- Assolutamente niente! – mi giustifico, aggrottando le sopracciglia, in una pallida imitazione di un’espressione contrita, - È che lui è così sensibile
- Sensibile! – sbotta lei, allargando le braccia, - Hai appena sputato sopra centinaia di migliaia di sterline! Non ti facevo così idiota!
- Oh, stai tranquilla… - la rassicuro mollemente, - non l’ho perso. Non ancora, almeno. Ma probabilmente, tra una settimana, quando lo richiamerò per dirgli che tutte le sue “idee” sono da buttare, allora lo perderò. E pensa, non avrò neanche fatto finta di dare un’occhiata a questa roba! – sorrido trionfante, indicando la valigetta con un cenno del capo.
Alex allarga le braccia, sollevandole all’altezza del viso. Il mio sorriso si espande e diventa un ghigno furbo. Lei se ne accorge e le lascia ricadere lungo i fianchi.
- Brian, sono esterrefatta. Davvero, non hai mai-
- Non preoccuparti… - sbuffo annoiato, già stufo della conversazione, - Non sarai licenziata.
- Oh, sì che lo sarò! Eccome se lo sarò, se tu rifiuti questa collaborazione!
La guardo, inarcando un sopracciglio.
- …grazie al cielo. – commenta lei, con un sospiro sollevato, - Per un attimo ho creduto davvero che l’avresti mandato a quel paese…
Mi chino a recuperare un mucchietto di fogli dal tavolino, poggiandomeli in grembo.
- Sono un professionista. – asserisco deciso.
Sono un professionista.
Per tornare essere umano aspetterò settembre.
*
- Matt!
Ignorando il richiamo del proprio manager, l’inglese continuò a dirigersi verso l’uscita a passo di carica.
- Matthew, Cristo!
Tom lo raggiunse, afferrandolo per una spalla e costringendolo a fermarsi.
- Cosa diavolo hai?!
Matt si voltò a guardarlo. Era rosso in viso, aveva gli occhi lucidi, tremava di nervosismo. Sembrava aver appena subito l’umiliazione più grande della propria vita.
- Ossignore, lo sapevo…
- Non dire niente… - lo implorò Matthew, abbassando lo sguardo.
- Ma come non-
- Non dire niente! – insistette, tornando a fissarlo, adesso con rabbia, - È tutto a posto, non è cambiato niente rispetto a venti minuti fa!
- Certo, Matthew, a parte il fatto che, come da me ampiamente previsto, quel bastardo ti ha distrutto! Ma così non esiste, io non ci sto. Questa cosa adesso salta, domattina per prima cosa vado alla Universal e-
- Gli ho lasciato la valigetta con gli appunti. Gli ho detto di richiamarmi. Gli ho dato il mio numero.
- …Dio.
- Lo sappiamo entrambi che richiamerà. – cercò di sorridere Matt, stringendosi nelle spalle.
- È esattamente questo, quello che mi preoccupa! – ringhiò Tom, stringendo i pugni, - Sei stato con lui appena mezz’ora, e guardati! Sei sconvolto! Quello in un mese ti fa fuori. Non se ne parla.
- Avanti, adesso… - mormorò Matt, cominciando a recuperare il controllo di sé, - Non è stato così tremendo… è che io non ero preparato, e quindi mi ha preso alla sprovvista, ma la prossima volta-
- Senti. – lo interruppe Tom, fissandolo seriamente negli occhi, - Quello è un bastardo, ok? Ha passato l’intera vita a diventare così, e ora è il bastardo perfetto. Non è una novità, e per carità, avrà i suoi motivi, io non voglio giudicare nessuno, ma non c’è nessuna legge che ci obblighi all’autolesionismo, e per di più a settembre mi servi vivo, quindi, Matt, piantala di sorridere!
L’inglese rise, arricciando le labbra per cercare di tenerle serrate.
- Sto meglio. – disse al manager, - Davvero. Posso farcela. Non hai detto che ti fidavi di me?
- Era una frase d’incoraggiamento come un’altra!
- Be’, fa’ in modo che da oggi in poi rispecchi la realtà. Farò questa cosa. Tornerò vivo e vegeto…
Tom lo squadrò di sbieco, aggrottando le sopracciglia.
- …e illeso! Promesso.
*
Uscirai vivo e vegeto da questa cosa. Promesso.
Vivo e vegeto, ma non illeso.
- Non credevo che mi avresti richiamato davvero!
Sapevi che l’avrei fatto, Bellamy. È incredibile, hai modi più affettati dei miei.
- Sono pieno di sorprese. Senti, ho dato un’occhiata ai tuoi appunti.
- Ah! Davvero?!
- Certo.
Che pensavi? Che avrei richiamato da impreparato?
Mai mostrarsi impreparato di fronte al nemico.
Quasi mi dispiace dirlo, ma sei troppo innocente per fare questo mestiere.
- Fantastico! Dimmi tutto!
- Per la verità ho fatto un paio di note qua e là. C’erano delle cose che proprio non mi convincevano, soprattutto in quella che dici essere la “canzone perfetta” per me…
- …ah.
Deglutisce. Posso percepirlo nel suo silenzio, è terrorizzato.
- Ma ci sono delle buone basi.
- …ah!
Sorrido. È proprio come un pesce, per tenerlo all’amo basta solo sapere quando allentare la presa e quando ricominciare a tirare.
- Bene! – dice lui, la voce nuovamente satura d’entusiasmo, - Possiamo parlarne agli studi, domani o dopodomani o quando vuoi tu!
- Per la verità… - butto lì, come fosse casuale, - preferirei incontrarti a tu per tu in un posticino carino… dove poter parlare senza interferenze. Una cosa informale, capisci? Le occasioni ufficiali tirano fuori sempre il peggio di me.
- Ah… ah-ha. Capisco. Be’… voglio dire, per me non c’è problema…
È terrorizzato, terrorizzato a morte. Dio, che soddisfazione!
- Perfetto. Ci vediamo al McDonald’s davanti al cancello principale di Hyde Park?
- Andiamo lì?
- Mh… no.
Ovviamente. Quello sarebbe territorio neutrale. Ed io invece non voglio lasciarti alcun vantaggio.
- Poi ti porto in un posto che conosco io. Facciamo fra un’ora?
- …d’accordo…
- Perfetto.
Davvero perfetto, Bellamy.
Papà Molko ti spiegherà esattamente chi sarà il capo e chi il servo, in questa collaborazione.
*
Brian era già lì ad aspettarlo. Era vestito in nero, non aveva un capello fuori posto ed il trucco era perfetto praticamente a livello professionale.
Matthew scrutò il proprio riflesso prima nello specchietto retrovisore dell’auto appena parcheggiata, e poi, trovandolo troppo piccolo per poterne cavare un’idea precisa di come fosse conciato, spostò lo sguardo sul finestrino, cercando lì le conferme che gli mancavano. Ovvero che sì, per quanto il riflesso del finestrino potesse essere meno nitido, lui era esattamente il disastro che lo specchietto gli aveva rimandato indietro alla prima occhiata.
Si era palesemente fatto ingannare. Aveva creduto che “incontro informale”, nella complicata lingua Molko, volesse dire davvero “incontro informale”, un incontro fra amici, e perciò s’era presentato come si sarebbe presentato a un appuntamento con Dom: capelli appena pettinati, una maglietta bianca random e un paio di jeans.
Era la sciatteria personificata.
E Brian, davanti al McDonald’s, teneva le braccia incrociate sul petto, picchiettava un paio di costosissime Fendi sul marciapiede e fingeva di non averlo ancora visto.
Matthew sospirò, dandosi dell’imbecille per l’ennesima volta in cinque minuti, e decise di restare a guardare Brian fino a quando lui si fosse degnato di fargli sapere che l’aveva già adocchiato.
Cosa che puntualmente accadde tre secondi dopo.
Matthew lo osservò schiudere le labbra con malcelato, falsissimo stupore, e sollevare un braccio nella sua direzione, muovendolo lievemente per salutarlo.
Sorrise.
Tom avrebbe potuto avere ragione su tutto.
*
Adesso ti insegno come si fa, Bellamy. Sta’ bene attento, prendi appunti.
- Eccoti qui.
- Scusa per il ritardo! Aspetti da molto?
Sorrisino tirato. Senza preoccuparsi di mostrarlo bugiardo per com’è.
- No, figurati, solo una mezz’oretta abbondante.
- …capisco. Comunque, dove pensavi di andare?
Sorriso più tranquillo, sereno, padrone.
- Io abito giusto qui sopra. Possiamo salire da me, se ti va.
Scacco matto. In quante mosse? Appena tre.
Spero tu abbia imparato qualcosa, quella di oggi è stata una performance spettacolare.
- D’accordo…
Oh, bene, vuoi giocare ancora, allora.
Certo, non mi tiro indietro. Ma il prossimo round si fa a casa mia.
Lo osservo con la coda dell’occhio guardarsi intorno nell’ingresso, osservarne lo sfarzo, adocchiare l’ascensore. Seguirmi con imbarazzo e circospezione su per le scale, ascoltare distrattamente il mio ancor più distratto “sto al primo”, fissare il corrimano in legno lucido color miele e gli scalini in marmo misto.
Dio, ho quasi l’impressione che potrebbe voltarsi e scappare già adesso!
- Stai proprio in un bel posto. – afferma con aria sognante, un attimo prima di entrare in casa.
Spero sinceramente che abbia il collasso che si merita, quando sarà dentro.
*
- Che casa magnifica!
Brian ridacchiò debolmente, accomodandosi in salotto senza neanche invitarlo a fare lo stesso.
- Avanti, non dire così… anche la tua sarà sicuramente all’altezza.
Matthew ripensò al proprio monolocale da scapolo incallito accanto agli studi della Universal, e rabbrividì.
Avrebbe potuto scommetterci tutti i propri soldi: lui lo sapeva.
Si sedette sul divano accanto alla poltrona dove stava Brian, mettendosi in punta, come temesse che rilassandosi troppo avrebbe perso perfino quel minuscolo briciolo di controllo che ancora possedeva.
- Ehm… - azzardò, torturandosi le dita, - Vuoi parlarmi di quelle famose note di cui mi avevi accennato al telefono? Sono curioso di sapere cosa pensi delle mie idee…
Brian si rilassò contro lo schienale della poltrona. Accavallò le gambe.
- Mh… no. – mugugnò, - Sai, per la verità non è che i tuoi appunti fossero così chiari… e non vorrei esprimere un’opinione sbagliata solo perché magari non sei riuscito a farmi capire esattamente di cosa stavi parlando… che ne dici di rispiegarmi tutto da capo?
Matthew deglutì.
Cercò di fare mente locale: per nessun motivo apparente, il cuore gli stava esplodendo nel petto; gli fischiavano le orecchie; aveva la mente così vuota che, se la sua vita fosse stata un cartone animato, nel suo cranio si sarebbero rincorse le nuvole di fieno del far west.
Brian l’aveva preso in trappola. L’aveva rincoglionito di chiacchiere – e non gliene erano servite neanche tante – e ora lo stava sfidando a tirare fuori qualcosa di sensato dalla bocca. I suoi occhi brillanti, verde cattiveria, gli stavano dicendo “avanti”, gli stavano dicendo “mostrami quello che sai fare”, gli stavano dicendo “attento, perché adesso dipende tutto da te”.
E lui, in quel momento, non capiva più niente.
Era fottuto.
Cercò di sistemarsi meglio sul divano, senza scivolare troppo in fondo ai cuscini. Doveva cercare di rendere la probabile fuga il più semplice possibile.
Nonostante la paura folle che sentiva scuotergli i respiri, riuscì a comprendere che lasciarsi andare a un delirio interiore e cominciare a strillarsi “scappa!!!” nella testa non l’avrebbe portato a nulla che non fosse un disastro. Avrebbe perso la faccia di fronte a due delle major più importanti del mercato, avrebbe messo nei guai Tom e Brian avrebbe riso di lui fino a sfinirsi.
Erano tre possibilità che non intendeva ammettere. E soprattutto l’ultima in quel momento gli sembrava intollerabile.
Prese un profondo respiro e guardò Brian, che lo fissava di rimando, perfettamente a proprio agio.
In fondo, non aveva che da parlare. Parlare era sempre stato il suo forte.
- Io ti ho sentito cantare la prima volta quando avevo diciott’anni. – disse, evitando il suo sguardo e fissando il proprio sulle dita che continuava ad intrecciare in grembo, - Ero una specie di ragazzino sbandato, al tempo. Facevo cose stupide. Andavo in giro con questo gruppo di tipe che si facevano chiamare “le streghe”, ed erano completamente pazze per la vostra musica. C’era questo stanzino, dove facevano delle… delle pseudo-orge o qualcosa del genere… eravamo tutti veramente dei ragazzini, quindi niente di particolarmente perverso, ma… - gli scoccò un’occhiata, intuendo appena la curva stranita delle sue sopracciglia, e le labbra arricciate in una smorfia incredula, - …sono cose che segnano la vita di un adolescente, credo. C’erano sempre i Placebo in sottofondo, in quel posto. – sospirò, - È stata lì la mia prima volta. E c’era la tua voce a fare da colonna sonora.
Brian sciolse le braccia e si accomodò meglio sulla poltrona, poggiando il gomito sul bracciolo e il mento sul palmo aperto.
- Poi vi ho persi di vista. Sono entrato in quel periodo stupido che credo attraversino tutti i giovani compositori… - ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca, - Quello in cui non ti vergogni di dire ai giornalisti che “non ascolti nulla per evitare influenze esterne”. Sono stronzate, ma – ridacchiò ancora, - be’, succede.
Sollevò lo sguardo su Brian, e lui annuì, fissandolo come se stesse chiedendosi dove diavolo volesse andare a parare.
- Quando vi ho risentiti di nuovo, era il duemila e quattro. Cioè praticamente dieci anni dopo. All’inizio quasi non potevo crederci, non sembravate neanche voi… la struttura musicale della canzone era completamente diversa da quelle che avevo ascoltato fino alla nausea nel primo album, e anche la tua voce si era… era cresciuta. Era più profonda, più ipnotica.
Lo guardò ancora.
Brian aveva stretto le labbra, e sembrava indeciso fra la possibilità di morderle e quella di spalancarle e strillare.
Matt si accorse che c’era qualcosa che non andava. Ma stava seguendo il filo di un discorso e non intendeva abbandonarlo. Non intendeva cedere. Non intendeva perdere. Non in casa sua.
- Quella canzone era English Summer Rain. E quando l’ho ascoltata io ho deciso che, se mai avessi scritto qualcosa per qualcun altro, avrebbe dovuto essere una filastrocca ammaliante di quel tipo. E avrebbe dovuto essere per te.
Si interruppe qualche secondo, ascoltando l’aria, cercando di captare il suono del fremito che vedeva agitarsi nel fondo degli occhi di Brian.
Quell’uomo sembrava sul punto di esplodere. E Matthew non aveva la più pallida idea di cosa avesse fatto per scatenare una reazione simile, ma era certo del fatto che quello fosse un punto a proprio favore nella silenziosa battaglia camuffata di gentilezze che lui e Brian stavano conducendo da quando s’erano incontrati la prima volta.
- È stato per questo che, quando la Universal mi ha proposto di collaborare con qualcuno, ho fatto subito il tuo nome.
Brian sbottò uno sbuffo di fiato, e sembrò rinsavire all’improvviso. Tornò ad accomodare con grazia il mento sulla mano e accavallò le gambe, sporgendosi tutto a sinistra, quasi avvolgendo il bracciolo della poltrona col proprio corpo.
- Cioè tutto questo è stata una tua idea? – chiese indifferente, guardandogli attraverso come fosse stato trasparente.
- …non è proprio così… voglio dire, io ho dato dei nomi, tu eri il primo, poi sono state la Universal e la Virgin a prenderla così dannatamente sul personale… - si giustificò lui con un mezzo sorriso, che non mancò di giudicare già da sé inappropriato, soprattutto dal momento che stava mentendo.
Brian annuì.
Quel senso di smarrimento che fino a poco prima Matthew sembrava percepire così chiaramente s’era del tutto volatilizzato negli ultimi secondi. Brian era di nuovo lì. Algido e immobile come una statua di cera, spaventoso. Quel briciolo di… umanità… che gli aveva visto brillare nelle pupille era completamente scomparso.
- Bellamy, non so se tu hai compreso bene il guaio in cui ti sei cacciato.
Dischiuse le labbra e lo guardò, incapace di trovare qualcosa con cui rispondere. D’altronde, a Brian sembrava non interessare affatto il suo parere sull’argomento. E dal momento che a lui era stato concesso un monologo più che soddisfacente, non gli sembrava il caso di privare Brian dello stesso diritto.
- Voglio essere onesto con te. – disse il frontman dei Placebo.
- È esattamente quello che voglio io! – confermò annuendo Matt, sperando per un secondo di aver fatto breccia da qualche parte e magari scalfito la corazza dell’uomo che gli stava di fronte.
- No, tu non vuoi davvero che io sia onesto con te, Bellamy. – disse Brian, sorridendo crudelmente e scuotendo il capo, - Tu vorresti che io ti ringraziassi per il pensiero e mi mettessi ai tuoi ordini.
- Io non-
- Sì, invece. Tu hai sempre desiderato comandarmi.
Si alzò in piedi, e Matthew lo osservò compiere quel movimento con esasperante lentezza, sconvolto: era davvero lui a muoversi così lentamente, come nei film, quando arriva il momento topico e i registi usano quest’espediente per fissare l’attenzione dello spettatore su un particolare che non sono stati in grado di mettere in risalto in modo meno pacchiano?, oppure solo a lui sembrava che Brian si muovesse così, ed era a causa del fatto che sembrasse perfettamente a proprio agio in ogni situazione, e che desse l’idea di poterlo essere sempre, indipendentemente da cosa gli fosse capitato?
Senza accorgersene, si tirò indietro, scivolando sui cuscini del divano fino a cozzare contro lo schienale dietro di sé.
Brian lo sovrastava, di fronte a lui, e lo scrutava attentamente, le mani sui fianchi e le gambe lievemente divaricate.
- A quanto pare sono stato parte della tua vita molto più a lungo rispetto a quanto tu lo sia stato della mia. – spiegò Brian, chinandosi su di lui per guardarlo meglio negli occhi, - E questa cosa probabilmente ti infastidisce. Io non credo affatto che tu mi ammiri, Bellamy, io credo che tu sia invidioso di me. Del mio successo, sì, ma soprattutto degli anni di esperienza che ho più di te. Questo vuoto non riuscirai mai a colmarlo, perché per quanto tempo tu possa passare a fare il musicista, il mio sarà sempre maggiore.
- Brian… - boccheggiò lui, stordito dalle sue parole e dalla sua improvvisa vicinanza. Sempre più grande, sempre più pericolosa, secondo dopo secondo, - Non ho mai-
- Forse non in pubblico. – rise malizioso Brian.
E poi praticamente gli salì addosso. Gli si sedette in grembo come in sella a un cavallo, e gli posò le mani sulle spalle per tenerlo ancorato al divano. Si chinò sul suo viso, lo sfiorò con lo sguardo e col respiro, e poi raggiunse un orecchio e riprese a bisbigliare.
- Forse non in pubblico. Ma quante volte in privato hai pensato che avresti voluto darmi la lezione che meritavo…? – gli disse, sorridendogli addosso, - Tu mi disprezzi, Bellamy… disprezzi il mio modo di intendere lo spettacolo, di intendere la musica. Disprezzi il lavoro che faccio nel portare avanti la mia band e la mia immagine, disprezzi il mio successo e disprezzi ogni singola parola che mi esce di bocca. Quanto sei stato felice quando ti ho consegnato il premio per Absolution? Quante volte, guardandomi durante quella premiazione, hai pensato “adesso hai quello che ti meriti, Molko”? E quante volte, davanti ai giornalisti, hai nascosto questi pensieri dietro un “apprezzo i Placebo, è un peccato che loro non apprezzino noi”?
Matthew serrò le labbra e deglutì.
Non c’era una sola parola vera fra quelle che Brian gli stava vomitando addosso come lava bollente.
Ma in quel momento, pur di scappare dalla morsa d’acciaio delle sue mani sulle proprie spalle e delle sue cosce attorno ai propri fianchi, avrebbe confermato qualsiasi cosa.
- Una volta hai detto di essere bravo a capire il perché della cattiveria delle persone. – continuò Brian, tornando a guardarlo e stringendo la presa, - Allora dimmi, Bellamy: perché ti sto facendo questo, adesso?
Non. Voglio. Saperlo.
Sollevò le braccia. Dapprima fu un movimento incerto. Non era davvero sicuro di volerlo fare. Scansarlo in quel momento avrebbe significato troppe cose… dargli ragione, cedergli il passo, confermare che, lo stava sconvolgendo, dargli l’occasione, fornirgli il pretesto perfetto per obbligarlo a mollare.
Ma lui era decisamente troppo vicino per continuare a tollerarlo.
E perciò gli piantò le mani sul petto e lo spinse sul pavimento, liberandosene.
- Non lo so. – mormorò, in un sospiro che gli parve distrutto, alzandosi in piedi e guardandolo dall’alto, - Vai oltre la mia comprensione, Brian.
Lui sorrise, appoggiato per terra con tanta naturalezza da far pensare quella fosse la sua posizione naturale.
- Tutto qui quello che hai da dire? – chiese, stringendosi nelle spalle.
- …cos’altro vorresti sentire?
Brian strinse le palpebre, allargando il sorriso.
- Ci stavo palesemente provando. Per quale altro motivo pensi mi sarei avvicinato tanto?
Matthew rabbrividì.
- No! – ringhiò.
- No? Non è la risposta alla domanda che ho fatto…
- No! – ripeté Matthew, muovendosi verso la porta senza staccargli gli occhi di dosso.
- Mai mostrare le spalle al nemico. – mormorò Brian in un soffio a malapena udibile, - Impari. Lentamente, ma impari.
- Senti, io non so cosa-
- Se esci da quella porta perdi. – disse Brian più deciso, sollevandosi in ginocchio e poi in piedi, - Il tuo “no” è una sconfitta.
- Non puoi dire questo! – si difese Matthew, fermandosi a un passo dalla porta, - Non puoi pensare che siccome per te allontanarsi in una situazione simile è sinonimo di sconfitta, allora anche per il resto del mondo-
- Non stavo parlando del resto del mondo. – lo interruppe lui, impietoso, - Non mi frega un cazzo del resto del mondo. Non mi interessa se fuori da questo appartamento tutti dicono “povero Bellamy, costretto a lavorare con l’arpia”, e ti trattano come un principino perché sei buono e gentile con tutti. Che dicano quello che vogliono. Io ti ho messo alla prova. E tu hai miseramente fallito.
- …no… - sputò fuori Matt in un mezzo singhiozzo, - no, io… non è così, tu… tu sei…
- Sono esattamente quello che tutti dicono. Uno stronzo. Una puttana. Quanto di peggio si possa incontrare.
Matthew afferrò la maniglia.
Aveva sentito abbastanza. Aveva sentito troppo.
- Tu cosa sei, Bellamy? – gli chiese Brian con un ghigno crudele sul volto.
Lui si rifiutò anche solo di pensare a una possibile risposta. Scivolò giù per le scale come stesse volando, e scappò da quel palazzo neanche fosse stato in fiamme.
Il pensiero che l’avrebbe rivisto troppo presto rispetto a quando avrebbe voluto lo terrorizzava in quel momento come mai prima.
*
Avrebbe dovuto fermarsi un attimo, magari smettere di picchiettare con la punta del piede per terra, osservando Matthew scappare per la strada come un coniglio in corsa, e sedersi da qualche parte, in silenzio, nella massima tranquillità, per riflettere e cercare di capire per quale accidenti di motivo aveva praticamente molestato il cantante dei Muse senza che ce ne fosse alcun bisogno.
Non era eccitato, si disse, guardandosi negli occhi attraverso il riflesso del vetro della finestra, e non stava cercando una scopata facile. Ed anche se l’avesse cercata, Matthew Bellamy decisamente non lo sarebbe stato. Non c’era nessuna scommessa in ballo, non doveva dimostrare a nessuno di essere in grado di portarsi a letto una qualsiasi vergine di ferro, e soprattutto lui neanche gli piaceva.
Quindi cosa. Perché.
Perché?
Si staccò dal davanzale, con enorme difficoltà, scollando con uno sforzo titanico lo sguardo dalla figura di Matt che, sempre più piccola, si allontanava verso la propria macchina e scompariva oltre lo sportello.
Dio.
Si gettò a peso morto sul divano, stendendo il capo su un bracciolo e i piedi sull’altro.
Dio!
Chiuse gli occhi.
Che hai combinato?
Perché l’hai fatto?

- Parlava troppo. – disse ad alta voce, come volesse convincersene.
Parlava troppo, d’accordo. Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo?
- Stava dicendo cose fastidiose.
Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo?
- È stato lui a tirare fuori il sesso per primo. Ha parlato della sua prima volta. Ha associato alla sua prima volta la mia voce…!
Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo.
- Non ho provato a scoparlo.
Sfiorò appena con una mano il tessuto del divano accanto a sé.
…ancora caldo.
Scattò in piedi e si guardò riflesso nell’enorme specchiera parietale inchiodata al muro di fronte a lui.
- Dio… - mormorò, passandosi una mano sulla fronte, lungo la guancia, giù per il collo, e lasciandola poi riposare inerme sulla spalla.
Era disfatto.
Sudato.
Agitato.
Pregò che Bellamy non avesse notato niente di tutto quello sconvolgimento. Pregò che la piazzata che gli aveva fatto l’avesse terrorizzato abbastanza da farglielo dimenticare, semmai l’avesse notato.
Si diresse a passi svelti verso il bagno e quando fu lì tappò il lavandino e aprì il rubinetto dell’acqua fredda, osservando il getto scorrere veloce e ordinato e riempire il lavabo.
Era scattato qualcosa.
L’aveva sentito chiaramente.
Nel momento in cui lui l’aveva sfidato e Matthew aveva raccolto la sfida, era cambiato qualcosa. Forse nello sguardo dell’inglese, forse nel suo modo di vederlo, nel modo in cui entrambi si squadravano da capo a piedi, cercando di trovarsi un senso a vicenda. Senza volerlo davvero.
Qualcosa si era trasformato.
…Matthew aveva risposto. Lui aveva fatto di tutto per metterlo in difficoltà, per metterlo in imbarazzo, per confonderlo, e poi gli aveva chiesto di parlare, e quello avrebbe dovuto essere il momento del trionfo, il momento in cui l’avrebbe guardato e, ridendo, gli avrebbe dato dell’idiota, dell’incompetente, del ridicolo.
Ma Matthew aveva parlato. E non aveva detto cose qualsiasi.
Per quanto fosse sconvolto, era stato in grado di trovare le parole esatte per…
…per cosa, poi?
Cos’era successo?
S’era sentito, mentre lo ascoltava. S’era sentito tremare, e sudare. S’era sentito respirare pesantemente. S’era sentito sgranare gli occhi, aveva percepito distintamente ogni cellula del proprio corpo mettersi in agitazione, ogni senso espandersi e acuirsi, ogni organo percettivo dare l’allarme.
Come aveva osato… mostrarsi così… perfettamente preparato… quando avrebbe solo dovuto chinare il capo e dichiararsi sconfitto? Come aveva osato opporre resistenza? Come aveva osato sfuggirgli?
Non è Bellamy che vuole comandarti, Brian.
Sei tu che vuoi comandare lui.
Sei tu che ti ostini a provarci.
Adesso, sei tu che scopri che non puoi riuscirci.
Gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo.
Te lo saresti scopato sul serio.
Avresti dimostrato a te stesso di poter mantenere la supremazia, in un modo o nell’altro, e avresti mostrato a lui chi era il capo.
…non sei riuscito a fare niente di tutto questo.

Strinse gli occhi con forza, allontanandosi con disgusto dal proprio riflesso disfatto nello specchio. Fissò la piccola pozza d’acqua che si gonfiava nel lavabo fra le sue mani, e con un gesto lento e annoiato richiuse il rubinetto fino a quando non rimasero che poche gocce a scivolare giù dal tubo metallico, per infrangersi contro la superficie dell’acqua e dare vita a piccoli cerchi concentrici che sarebbero morti pochi centimetri più in là.
Si chinò.
Annegò.
E quando resuscitò si passò una mano sugli occhi e scoppiò a piangere.
Gli fecero compagnia solo il silenzio enorme dell’appartamento e il suono minuscolo delle gocce che si tuffavano pigre in piscina, saltellando dal tubo come da un trampolino.
Il rubinetto perde, pensò distrattamente, e non ricordo dove Helena teneva il numero dell’idraulico.
*
Non ho la più pallida idea di come sia passata questa settimana.
Ricordo vagamente Alex venirmi a recuperare direttamente a letto, lunedì mattina. Ricordo le sue urla e ricordo che mi ha detto qualcosa tipo “se potessi ti licenzierei io!”. Ricordo che mi ha portato in studio, che Matthew era già lì e faceva di tutto per non guardarmi negli occhi, e ricordo che, salutandolo tranquillamente, come fosse stato tutto a posto, Alex mi ha bisbigliato di comportarmi da uomo adulto e mettermi al lavoro.
Io ricordo di averla afferrata per un polso.
Di averla trascinata fuori di lì.
Di averla fissata negli occhi, di averle visto attraverso, di aver visto anche attraverso la porta, di aver osservato lo sguardo spaurito di Bellamy ancora seduto al suo posto e poi di essere tornato indietro, di nuovo dentro di me, e di averle strillato contro “cosa ti aspetti che faccia esattamente?!”, con cattiveria, con rabbia, come fosse stata lei la causa di ogni mio male.
Ricordo il suo sguardo glaciale. Quella piccola vena sulla fronte, quella che si ingrossa quando è veramente furiosa. Le braccia incrociate sul petto – era distante anni luce da me.
Ricordo che mi ha detto “guadagnati i soldi che ti diamo, Brian”. Ricordo che mi ha detto “guarda che avete una settimana per stabilire che brano volete preparare, poi parte il tour”.
Io non ne sapevo niente.
Ovviamente.
Perché, quando lei mi aveva annunciato della collaborazione, “oh, che bello, vediamo di capire in cosa consiste!” non era stato esattamente il primo fra i miei pensieri. Ma neanche l’ultimo. Semplicemente perché non era stato affatto fra i miei pensieri.
“Riassunto delle puntate precedenti”, ricordo di aver detto.
“Divertente”, ricordo sia stata la sua risposta, “Canzone. Nuova, vecchia, cover, vostra, loro, non importa. Una cosa qualsiasi. E poi giro per tutta quell’enorme quantità di stupidissimi festival musicali estivi che affollano la costa”.
La costa.
Cioè, l’Inghilterra è una fottutissima isola, cazzo.
La costa, dice lei.
Poi non ricordo molto altro.
Sono entrato in quella stanza, lui mi ha salutato timidamente, siamo rimasti in silenzio. Dopo qualche secondo di imbarazzo talmente profondo che quasi ci sono affogato, è riuscito a tirare fuori la voce e – poco – cervello solo per improvvisare uno di quei discorsi totalmente idioti e totalmente inutili del tipo “siamo adulti, siamo professionisti, mettiamo da parte i vecchi rancori – e anche quelli nuovi, ho pensato io, ma lui non l’ha detto – e lavoriamo seriamente”.
Ho annuito lentamente. Neanche mi rendevo conto. Ho annuito perché dovevo farlo.
Lui ha lanciato uno sguardo ai fogli degli appunti sparsi sul tavolo. Il foglio della “Canzone Perfetta” in cima. Ha guardato lui, poi me. Ha sbuffato.
“Cover?”, ha chiesto.
“Cover.”, ho risposto.
Non so come siamo riusciti a trovarci d’accordo sulla canzone da utilizzare – David Bowie, piaceva a me, piaceva a lui, Changes non era poi così difficile e ai fan avrebbe fatto piacere – non so come siamo riusciti a provare, non ho la minima idea di quanto possa essere piacevole il risultato finale. So che lui sfalsetta, come al solito. So che io strascico le parole, come al solito. Fine.
Non so, davvero, come sia passata questa dannatissima settimana.
Invece so benissimo com’è passato lui. Bellamy.
Come un camion.
Sopra di me.
So che può sembrare che il più delle volte io sia solo un maledetto bastardo egoista ed egocentrico totalmente disinteressato a tutto ciò che lo circonda, ma la verità è che per fare il maledetto bastardo egoista ed egocentrico eccetera eccetera devi essere dannatamente interessato a tutto il resto. Devi interessarti della gente, per cercare di capire se la gente si interessa a te. Devi interessarti dei loro gusti, per andar loro incontro. Devi essere morbido, malleabile, sfuggente, per prendere tutti senza lasciarti prendere da nessuno. Plastilina colorata. Che basta un rastrellino e cambia forma.
E quindi io in definitiva passo la mia intera vita ad osservare. Faccio la parte dello stronzo che avanza come un carro armato pestando tutto e tutti senza neanche accorgersene, ma in realtà io so sempre molto bene chi sto pestando, e se pesto qualcuno è perché voglio farlo, non perché m’è capitato casualmente sotto i piedi e mi sono detto “oh, be’, uno più, uno meno”.
Ho osservato mio padre rinunciare all’inutile tentativo di trovare un modo per governarmi, ed ho gioito.
Ho osservato mia madre sospirare e scuotere il capo di fronte ai miei milioni di capricci, rassegnandosi ad un figlio perennemente insoddisfatto, e ne sono stato triste.
Ho osservato Helena perdere ogni speranza di trovare ancora un motivo per aggrapparsi a un rapporto che, a conti fatti, visto il tempo passato insieme e quello passato da soli, non esisteva più, e ne sono morto.
Adesso osservo Bellamy.
Da mio padre, a mia madre, ad Helena, a lui. Non so neanche perché lo annovero fra gli Eventi della mia vita, in teoria non ha senso. Non ha senso perché lui non è nessuno, perché non è mai stato niente e perché grazie al cielo non c’è pericolo che diventi qualcosa in futuro – per merito soprattutto della mia abile opera di scoraggiamento, c’è da dire – anche se qualsiasi psicologo non farebbe che cercare di convincermi del contrario…
Però lo osservo. E più passa il tempo più capisco.
Lui sta lavorando sul serio, e probabilmente si sta davvero appassionando a ciò che sta facendo. Lo osservo chinarsi sugli spartiti ammonticchiati sul tavolo, increspare le labbra ed aggrottare le sopracciglia. “Non ci capisco niente…”, mormora, e prende un foglio tra il pollice e l’indice, sventolandoselo davanti alla faccia come se pensasse che, scuotendolo, dagli strani segnetti che ci sono fra le righe dovesse uscire fuori un qualche suono, un qualche linguaggio che anche lui riesca a comprendere, magari della musica. Sta facendo degli sforzi per starmi dietro, io lo vedo, anche perché da parte mia sto facendo di tutto per rendergli la vita un inferno. Avrei quantomeno potuto dire “d’accordo, la canzone riarrangiala tu e basta”, ma no, ho dovuto pretendere di studiare con lui ogni linea melodica, a partire dalla batteria per finire con gli effetti da adottare per la chitarra, ho dovuto piazzarlo davanti al software musicale del pc ed obbligarlo a mettere su carta le idee strampalate che ogni tanto si lasciava sfuggire, al punto che ormai temo abbia paura anche solo di dire “sai, pensavo che”.
Per non parlare del resto del team. Credo di aver già fatto impazzire la metà della band che ci farà da supporto durante il tour. Anche perché, quando c’è bisogno di discutere qualcosa, chessò, riguardo la linea di basso, non vado mica dal bassista, no, figurarsi. Vado da Matthew. Incuriosisce il fatto che né io né lui suoneremo mai quello strumento sul palco, come ama ripetermi Alex, scuotendo il capo e sospirando pesantemente, ma il fatto è che io voglio tenerlo al lavoro e sinceramente non m’interessa un’interazione con qualcun altro, per quanto minuscola e insignificante o necessaria e impellente possa essere.
M’interessa solo stare con Bellamy. Solo capire lui.
“Tu cosa sei?”, gli ho chiesto, ed era la tipica frase ad effetto perfetta per uscire dalla bocca del cattivo quando il supereroe di turno abbandona il campo, sconfitto, ma non era solo questo.
Io ho provato a ucciderlo.
A uccidere la sua ispirazione, a uccidere le sue motivazioni, a uccidere il suo coraggio e tutte le sue idee.
Lui è sopravvissuto.
E, mentre mi parlava di streghe, orge e della mia voce durante la sua prima volta, nel fondo dei suoi occhi io ho intravisto una luce che mi è sembrato potesse spiegare tranquillamente tutta quella forza d’animo enorme, quella sovrabbondanza di personalità che gli ha permesso di salvarsi dai miei attacchi continui.
Solo che io quella luce non l’ho capita. Non sono affatto riuscito a catturarla. Ne ho colto solo una scintilla, e non m’è bastata.
È la stessa luce che vorrei io. È la luce che mi permetterebbe di… di smettere di guardarmi intorno con aria smarrita quando torno a casa e la trovo vuota, di riprendere a lavorare tranquillamente, di recuperare le redini della mia vita e ricominciare a indirizzarla su una strada più sicura e meno accidentata delle notti insonni passate a rigirarsi nel letto, divorato dalla solitudine…
È per questo che non m’interessa altro, adesso. Solo lui. Voglio carpire ogni segreto, notare ogni particolare, imprimere la sua persona, la sua presenza, la sua essenza nel fondo dei miei occhi, per utilizzarla poi a mio piacimento.
Credo che l’esclusivismo che gli concedo lo inorgoglisca, un po’, anche se ormai, quando sono nei paraggi, sta così sulla difensiva che è impossibile dirlo con certezza.
…sinceramente, io non gli voglio male. Non lo odio. E non ce l’ho con lui perché è lui. È praticamente un ragazzino, è così giovane e immaturo che ho quasi voglia di nasconderlo sotto la mia ala protettiva e insegnargli a vivere piano piano, a piccoli passi.
Solo che no, non lo farò. Perché pur essendo una persona vagamente tollerabile, Matthew ha rubato tutte quelle cose che avrebbero potuto essere mie e non lo sono mai state.
Lui ha talento. Ha la vittoria facile. Ha un enorme ed acutissimo senso dell’ironia, ma non lo utilizza mai per ferire gli altri. È predisposto al lavoro duro, è naturalmente portato a compierlo tutto fino alla fine senza lamentarsi, e anzi, a cercare di tirarne fuori il meglio. È svelto ed estroso nelle associazioni mentali, e credo sia stato l’unico a seguirmi mentre, in riunione, durante uno dei rari momenti in cui mi sentivo in vena di lavorare, ho esposto alcune delle idee che avevo per l’organizzazione sul palco durante gli show.
Dopo tutto questo, sì, io sono certo che abbia anche dei difetti. Perché nessuno ne è privo.
Solo che non li vedo.
O forse lo conosco ancora troppo poco per poterne parlare.
*
Tom non aveva figli, ma era convinto che la sensazione che stava provando in quel momento – un’orribile commistione di ansia, fastidio e irritazione – fosse esattamente quella che qualsiasi padre ha provato almeno una volta nella propria vita, andando a recuperare un figlio in casa di amici ad un orario improbabile della notte.
Nella fattispecie, erano le tre del mattino, e già da una mezz’oretta lui pestacchiava col piede nei pochi centimetri di spazio liberi da pedali accanto all’acceleratore e stringeva le braccia incrociandole sul petto, mormorando rimproveri e lamenti a bassa voce, cercando di tenere il conto di tutti gli improperi che avrebbe rigettato addosso a Matt non appena l’avesse visto.
Lanciò un’occhiata distratta all’ingresso illuminato del palazzo e lo vide.
Stava prendendo un enorme respiro e probabilmente sperava che lui non l’avesse ancora notato. Sospirò pesantemente e pressò una mano contro il clacson. Vide Matt saltare letteralmente in aria ed affrettarsi a spalancare il portone ed agitare una mano per fargli capire che sarebbe arrivato in un secondo, e poi lo vide effettivamente uscire, muovere qualche passo verso la macchina… e fermarsi. Voltarsi. Lanciare uno sguardo in alto. Salutare Brian che lo fissava oltre il vetro della finestra al primo piano. E poi tornare a guardare lui, come niente fosse stato, sorridergli e infilarsi in macchina, erompendo in una serie infinita di “grazie” e “scusa” ad una tale velocità che quasi Tom dimenticò la ramanzina mentre cercava di contarli.
- Matt… - gli disse, tentando di mostrarsi paziente, una volta che lui ebbe finito di dispiacersi e ringraziare, - Non è che per me sia un fastidio venirti a prendere dovunque tu sia e in ogni momento tu voglia, eh. – seguì le sopracciglia di Matthew incurvarsi verso l’alto e si affrettò a correggersi, - Cioè, d’accordo, non faccio i salti di gioia. Ma se ti serve una mano lo sai che sono sempre disposto a dartela, insomma, l’ho sempre fatto…!
- Sì, sì, lo so… - lo interruppe Matt con una risata cristallina, nonostante le molte ore di lavoro sulle spalle, testimoniate dalle orribili borse sotto gli occhi che si trascinava dietro.
- Però-
- Sapevo che ci sarebbe stato un però!
- Fammi finire… - borbottò lamentoso.
- No, so già anche cosa vuoi dirmi…
- E va bene! – sbottò Tom, battendo irritato le mani sul volante, mentre metteva in moto la vettura e si reintroduceva nel traffico notturno di Londra, - Sai cosa? Non mi interessa se sei entrato nella fase adolescenziale nella quale non ti fa piacere sentire i rimproveri di papà! Adesso mi ascolti!
Matthew sospirò e appoggiò il capo contro il finestrino, fissando oltre il buio in un posto invisibile all’interno della propria testa.
Tom comprese che qualsiasi parola avesse usato da quel momento in poi sarebbe andata perduta nelle pieghe del silenzio di cui Matt si stava riempiendo il cervello, ma questo non lo fermò.
- Matthew, - disse, con la stessa pazienza di un padre, - questa cosa non ti sembra strana?
Lui non rispose, ovviamente.
- Insomma, lavorate già svariate ore agli studi, e nonostante questo lui poi pretende comunque di obbligarti ad andare a casa sua per continuare a lavorare. Ed è solo una fottutissima canzone! Non oso immaginare cosa ti avrebbe costretto a fare se fosse stato un intero album!
Matt si passò velocemente la lingua sulle labbra, inumidendosele, continuando a fissare le luci dei lampioni scorrere veloci oltre il finestrino.
- Matthew!
Niente.
Tom si morse un labbro, tornando a guardare la strada. Furente com’era, se non avesse prestato abbastanza attenzione lui e Matt si sarebbero andati a schiantare contro il primo palo/albero/idrante disponibile, e non sarebbe stato un bene.
Oltretutto, era evidente che Matthew non aveva neanche percepito una parola che fosse una, quindi per quale motivo continuare a insistere? Se aveva intenzione di infliggersi delle pene sempre maggiori, cercando di espiare un qualche terribile peccato di gioventù – perché Tom non riusciva ad immaginare nessun altro motivo che potesse portare un uomo a farsi questo – chi era lui per fermarlo? Amen.
- Più che altro mi guarda. – disse Matthew all’improvviso, senza voltarsi.
Tom gli lanciò un’occhiata svelta e spaventata. Per un attimo aveva creduto che si fosse addormentato e stesse parlando nel sonno, tanto lontana e bisbigliata sembrava la sua voce.
- Eh? – chiese, fermandosi ad un semaforo.
- Mi guarda. – spiegò Matt, impassibile. – Abbiamo finito di lavorare alla canzone già da secoli, ovviamente è già pronta. Partiamo fra due giorni, hai sempre saputo che l’avremmo finita in tempo.
- …questo non risponde al mio “eh?”. Che diavolo vuol dire che “ti guarda”?!
Il cantante si lasciò andare a un mezzo sorriso, sbuffando un po’ di fiato sul finestrino e arricciando le labbra in una smorfia delusa quando si accorse che sul vetro non si formava la condensa – cosa del tutto normale, vista l’afa umida che attanagliava Londra da qualche settimana a quella parte.
- Fammi capire. – continuò Tom, massaggiandosi le tempie prima di ripartire allo scatto del semaforo sul verde, - Vi sedete sul divano e rimanete a fissarvi da bravi idioti? Cos’è, una delle sue numerose perversioni sessuali?
Matthew ridacchiò.
- Ma no… qualcosa facciamo. – rispose, - Mi dà in mano una chitarra e mi fa provare e riprovare la melodia di base fino a quando non è soddisfatto del risultato, oppure suoniamo insieme fino a quando i suoni non si accordano perfettamente… è bello, a suo modo.
- Perfetto. – commentò Tom con uno sbuffo infastidito, - Praticamente scopate.
- Tom…
- No, sul serio! – continuò il manager, rovesciando la propria furia sulla leva del cambio, - Voi musicisti vi conosco, siete completamente sballati in questo senso! Non oso neanche immaginare a cosa pensate, mentre fate certe cose! Già mi sono venuti i brividi quando una volta ho visto te e Chris improvvisare un duetto di basso e chitarra sul palco, giuro che vi guardavate come se doveste saltarvi addosso da un momento all’altro, una cosa oscena!
- Posso tranquillizzarti, non metterò mai le mani addosso a Chris…
- Matthew, non c’è niente su cui scherzare.
Lui sbuffò, accomodandosi meglio sul sedile.
- Senti, guarda che è tutto a posto. Sono solo un po’ stanco perché passo tanto tempo con lui.
- Questo è esattamente il problema! – disse Tom, frenando un po’ bruscamente davanti al portone del palazzo in cui Matt abitava.
Matt cercò di fuggire dalla macchina bisbigliando un “buona notte” e tirando la maniglia per aprire lo sportello, ma Tom lo fermò chiudendo la propria sicura e attivando la chiusura centralizzata anche di tutte le altre.
- Aiuto! Rapimento! – scherzò il frontman, sollevando le braccia e agitandole come a voler attirare l’attenzione degli automobilisti distratti che sfrecciavano a decine accanto alla macchina ferma.
- Matthew… - lo richiamò Tom, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a fermarsi, - Tu sei giovane e stupido, e quindi sei del tutto convinto di poter arrivare alla fine di questo mese senza morire di stanchezza, pur continuando con questi ritmi. Io invece sono pronto ad assicurarti che tu non ce la farai. Non sarai solo stanco morto, Molko nel frattempo ti avrà anche fatto a pezzettini! Io sono davvero preoccupato, e non riesco a capire perché invece tu prenda tutta questa… cosa… così sottogamba! È… strano! Quello che fate è strano! Lo capisci, Matt?
Lui si abbandonò sospirando contro il sedile.
- È affascinante, non trovi? – disse in un bisbiglio concentrato, invece di rispondere.
- Cosa? La storia dei pezzettini?
Matt gli lanciò uno sguardo sconvolto.
- Tom, tu hai dei problemi…
- No, perché mi rifiuto di pensare tu stessi davvero parlando di Molko.
Il cantante sbuffò ancora. Era già abbastanza esasperato, e Tom non si stava certo risparmiando in commenti acidi.
- Senti, Tom, non so come dirtelo. A me sta bene. Mi… diverto, credo.
Tom si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo e meccanico, spaventoso.
- …ti piace? – gli chiese spettrale, stringendo la presa delle mani sul volante.
- Ma sì, te l’ho detto, è divertente, stiamo lì a-
- Molko. Dico Molko.
Matthew deglutì, mordendosi le labbra.
- Non mi sembra il caso di-
- È successo qualcosa fra voi. Lo so. Oddio! Matthew! Ma che cazzo combini?!, tu non hai mai-
- Tom
Il manager serrò le labbra, continuando a fissarlo con aria agghiacciata.
- Non… non è nel senso che intendi tu. È solo… lavoro. Perciò sta’ tranquillo e fammi uscire da questa macchina. Ho veramente sonno.
Non avrebbe voluto. Sinceramente, avrebbe preferito tenerlo imprigionato lì dentro per sempre e impedirgli di continuare ad avanzare lungo quel sentiero che, più che accidentato, a lui sembrava veramente distrutto, e molto più che pericoloso.
Ma che Matt avesse sonno – e che, soprattutto, avesse bisogno di riposo – era una verità inconfutabile, e lui non si sentiva di provare a metterla in dubbio proprio in quel momento.
Riaprì le sicure e lo osservò uscire dalla macchina.
- Riguardati. – gli disse.
Matthew non lo sentì.
Tom scosse le spalle, accorgendosene, perché tanto sapeva che non avrebbe fatto alcuna differenza.
*
Here I go and I don't know why
I spin so ceaselessly
Could it be he's taking over me
I'm dancing barefoot
Headed for a spin
Some strange music drags me in
It makes me come up like some heroine

Due settimane di tour all’attivo.
Mattino.
Non tanto presto. Neanche tanto tardi.
Il telefono squilla, sollevo la cornetta e poi la lascio tornare a posto con poca delicatezza.
La sveglia dell’albergo mi ha appena informato che è ora di smettere di poltrire e darmi una mossa, e chi sono io per dirle che ha torto?
Mi sollevo dal materasso, totalmente avvolto nelle lenzuola, col pensiero fisso che devo parlare a Matthew di una modifica che potremmo fare alla chiusura della canzone. Ricordo che l’ho pensata nel dormiveglia ed era una figata, c’erano battimenti pure lì, lui è assurdamente entusiasta da quando ha imparato a farli e sono giorni che sogna di infilarli da qualche parte.
L’obiettivo è dargli un’occasione di sorridere soddisfatto, giusto per vedere che espressione fa in una situazione simile.
Rigiro su me stesso e il mio sguardo cade sul mucchietto di vestiti sulla poltrona e che non riconosco come miei.
…ci metto effettivamente troppo tempo a capire che quelli non sono straccetti random, ma il corpo di Matt Bellamy in persona, addormentato in bilico fra un bracciolo e l’altro, con la testa che pende nel vuoto e la bocca spalancata che lancia una sinfonia di borbottii da sonno decisamente poco armonici.
Uno schiaffo in pieno volto mi avrebbe risvegliato con più delicatezza.
Uno schiaffo in pieno volto non avrebbe voluto dire altrettanto.
Respiro. Respiro. Perdio, respiro.
Ok…
Che. Ci. Fa. Lui. Qui?
*
Cerca di ricordare, Brian.
Non è poi tanto difficile, ieri sera non è stato così diverso dalle altre sere. Siete andati a cena, Tom e Alex vi hanno fissati con noia sempre crescente mentre parlavate di chissà cosa e di quello che pensavate di chissà chi – litigando vagamente, tra l’altro – poi tu hai ricominciato a punzecchiare Matthew – cosa gli hai detto? Non ricordi. Matt rideva, comunque – e Tom ti ha guardato come fossi l’anticristo e dieci minuti dopo aveva già finito di mangiare e dichiarato di avere mal di testa ed essere stanco morto, e perciò è sparito, lasciandovi soli con Alex, che s’è stretta nelle spalle, ha capito di essere appropriata all’ambiente come un pesce sulla cima di una montagna e s’è a sua volta dileguata in un battito di ciglia dopo un saluto sottovoce.
Avete dato un’occhiata ai dolci nel carrello, avete deciso entrambi che una mousse al cioccolato mezza sgonfia non valeva la pena di continuare a subire le occhiatacce dei camerieri appostati dietro l’angolo della porta della cucina, maledicendovi in ogni lingua per essere ancora lì all’una passata di notte, e vi siete spostati in camera tua “per continuare a chiacchierare”.
In realtà tu ti sei spostato in camera tua per continuare a fissare Matthew, e lui t’ha seguito perché per qualche strana ragione gli piace essere fissato da te.
Poco male, non t’importa, l’unica cosa importante è raggiungere il tuo obbiettivo.
L’hai lusingato un po’ per osservarlo ridacchiare timidamente, poi l’hai offeso tra le righe per osservarlo infuriarsi d’improvviso e cercare di nasconderlo, poi ti sei fatto perdonare chissà come – non vuoi saperlo – probabilmente un altro complimento piazzato lì tra una parola e l’altra come non fosse stato perfettamente pianificato. Matthew ci casca sempre, è quasi commovente.
Poi in camera sei crollato sul letto, giustamente distrutto, e Matthew ti ha imitato, crollando sulla poltrona.
Tu hai pensato di stuzzicarlo ancora e dirgli che se voleva poteva stendersi accanto a te, ma ti sei reso conto di non avere ben chiaro in mente se lo stessi stuzzicando solo per osservare con divertimento la sua reazione imbarazzata o perché… meglio non dirlo, e perciò hai lasciato perdere. Lui s’è accomodato sulla poltrona – nello strano modo in cui si accomoda, ovvero sottosopra – ed avete continuato a parlare di… boh. L’hai preso in giro per la sua posizione, lui ti ha preso in giro perché stavi crollando di sonno, tu l’hai ammesso e lui ti ha detto che… no, non lo ricordi, però ricordi che hai riso e ti sei appoggiato con la testa sul cuscino e hai colto di sfuggita l’orario assurdo lampeggiante sul display dell’orologio, e già dormivi.
Adesso sai esattamente cosa farai una volta che sarai uscito dalla tua stanza.
Scenderai di sotto, farai colazione, ti infilerai il cappotto e andrai a visitare l’ennesima location a due passi dalla spiaggia, rabbrividendo perché ormai siete al nord e comincia a far freschetto di sera, per non parlare dell’umidità – e tu odi l’umidità.
Farai il soundcheck, farai uscire pazzi uno o due tecnici del suono, giusto per il gusto di dimostrare che sei ancora bravissimo in questo, ascolterai distrattamente i commenti acidi dell’addetta ai microfoni, che s’è presa una cotta per Matt e quindi è sempre prodiga di “che bastardo, non posso credere che lo tratti così!”, e per darle ragione romperai un po’ l’anima anche a lui, anche se magari fino a quel momento non gli avrai fatto niente e non avrai neanche pensato di farlo.
Sì, come al solito.
Il problema è.
Come arrivare alla porta ignorando l’enorme disastro di cui Matt addormentato sulla tua poltrona è testimone?
*
Aprì gli occhi perché le sue narici catturarono il profumo di Brian.
Aprì gli occhi, sconvolto, perché riconobbe quel dannato profumo.
Sentì Brian mormorare un “maledizione” e lo guardò.
- Non volevo svegliarti. – disse l’uomo, fissandolo dall’alto, e Matt percepì chiaramente che non era un accenno di sentimento, ma una chiara dichiarazione di fastidio. Tradusse in inglese corrente, “non avevo affatto voglia di vederti”. La lingua di Brian non era più un mistero, ormai.
Non poteva far finta di niente e tornare a dormire, perciò si mise seduto e si grattò la nuca, forzandosi a tenere la bocca chiusa nonostante lo sbadiglio che scalciava per uscirne.
- È ancora presto. – continuò Brian, - Hai tempo sufficiente per farti una doccia, prima di scendere per la colazione. – lo guardò dall’alto in basso, le labbra appena increspate in una smorfia indecifrabile, - Non ti sei neanche cambiato per dormire. – puntualizzò, appoggiando il cappotto su una spalla con un movimento fluido e reggendolo per il colletto con l’indice e il medio.
- Scusa. – disse lui, senza specificarne il motivo. Aveva sempre la sensazione di doversi scusare per qualcosa, quando Brian gli parlava. Probabilmente perché ogni parola del cantante era intrisa da una tale quantità di risentimento da far sembrare che fosse lui stesso a pretendere delle scuse.
Brian scosse le spalle e si diresse tranquillamente verso la porta.
- Brian… - lo chiamò lui, sperando che lo ignorasse.
La cosa non avvenne.
…Brian non poteva ignorarlo.
Lui non poteva ignorare Brian.
- Sta succedendo qualcosa fra noi?
Brian lo fissò stupito, rigirandosi il cappotto sulle dita per poi appoggiarlo sul braccio piegato.
- Stiamo lavorando insieme. – rispose con naturalezza, scrollando le spalle.
Matthew si morse un labbro.
- A parte quello… - spiegò titubante.
Brian sospirò, scuotendo il capo.
- Cosa ti fa pensare che non avessi capito cosa intendevi? – chiese, mettendo una mano sul fianco.
- Hai risposto che stavamo solo lavorando insieme…
- …appunto.
Sentì il gran bisogno di stringere i pugni e schiacciarsi contro qualcosa di estremamente appuntito, fino a sanguinare.
Conosceva quella sensazione, era abituato a chiamarla frustrazione. Solo che sembrava mille volte più amplificata, quando Brian lo guardava con quegli occhi congelati e gli strillava addosso non sei niente!, senza neanche avere il bisogno di alzare la voce.
- Bellamy. – lo richiamò, e lui sollevò lo sguardo e tornò a fissarlo. – Non ti fare strane idee.
Matthew si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, massaggiandosi gli occhi.
- Se ti ho chiesto è proprio perché non ho nessuna idea.
Brian gli si avvicinò, lieve come stesse volteggiando a mezz’aria. Lo prese delicatamente per il polso e gli scostò la mano da davanti agli occhi. Così Matt poté vedere il suo sorriso sprezzante e morirci dentro.
- Sbagliato, Bellamy. Se mi hai chiesto è perché l’idea ce l’hai. E ti fa dannatamente paura.
*
Non ho ancora finito con te, e tu lo sai.
Il tuo cervello non è ancora del tutto andato, è per questo che riesci ancora a capire cosa diavolo ti sta succedendo.
D’accordo, non volevo che finisse così, all’inizio.
La cosa mi è sfuggita di mano, non ho problemi ad ammetterlo – almeno con me stesso.
Non mi sta bene, come finale, ma devo dire che poteva andarmi peggio.
Nel senso. Temo che tu ti sia, come dire, innamorato di me.
No, credimi, non penso di essere l’amore della tua vita e so perfettamente che quello che stai provando è il tipo di amore che dimentichi in una settimana quando l’oggetto del tuo desiderio non ti si agita più intorno come una trottola.
Ma è ossessivo. Cerca l’attenzione. Cerca l’approvazione. Cerca l’interesse.
Sì, sei decisamente innamorato, e questo è male.
Ma avrei potuto innamorarmi io, e questo sarebbe stato peggio.
Cerca di capire, Matthew, non sei tu il problema. Non lo sei mai stato, non sei stato che uno sciocco pretesto. E forse a te sarebbe andato bene essere davvero il fulcro della mia angoscia, forse quando capirai che in realtà, davvero, mi sei passato addosso come uno sbuffo d’aria in mezzo a una tempesta, ti sentirai usato e tradito e distrutto, ma è questo che sei.
Sarò sincero, Matthew, e lo sarò perché quello che sto per dire tu non lo sentirai mai – la bellezza del monologo interiore…
Io ti trovo fantastico. Tu sei luminoso. Sei positivo, sei talentuoso, hai davanti un avvenire invidiabile al punto da sembrare vomitevole, i ragazzini ti prenderanno a modello, nasceranno tante di quelle coverband dei Muse che non saprai dove guardare prima per trovare un sosia da portare in tour come supporto, e poi NME continuerà a spiaccicarti in copertina fino a quando il mondo non sarà sazio – e questo non succederà tanto presto, te lo assicuro – e Total Guitar continuerà a intervistarti cercando di carpire il segreto della tua bravura – senza riuscirci, perché il segreto della tua bravura sei tu e nient’altro, qualcosa di interamente non replicabile.
Io ti trovo perfino bello. Non che tu sia una bellezza canonica, tutt’altro, sei del tutto smontato, e sei troppo magro, e non hai la benché minima idea di come valorizzarti come uomo, ma hai un fascino naturale che in genere la gente se lo sogna, e riesci ad essere perfino carino anche quando hai addosso l’abbinamento più improponibile che potessi tirare fuori con una camicia e un paio di pantaloni. Hai un sorriso e una risata che smuovono cose nello stomaco, e un paio d’occhi che perforano il cristallo, Dio, quegli occhi, e ormai li conosco, non faccio che guardarli da settimane.
Ormai conosco te.
Non mi nascondi più niente.
Ormai io e tu non siamo più due stranieri, l’uno per l’altro.
Siamo qua.
Le nostre facce.
Brian Molko, Matthew Bellamy e tutto ciò che questo comporta.
La puttana e il pagliaccio.
Lo stronzo e l’idiota.
Il poeta da due soldi e il genietto immaturo e allucinato.
Non so chi ne esca peggio, ma è del tutto irrilevante, non è vero, Matthew? Quanto sarebbe sciocco cercare di stabilire a chi vada il primato dell’indecenza?, quando è già più che sufficiente sapere che io coi miei atteggiamenti da snob navigato e tu con i tuoi da novellino felice siamo ridicoli, e disgustosi, Bellamy, entrambi.
Non senti mai il peso di tutte le maschere che indossi, Matthew? La maschera con gli amici, la maschera con le scopate, la maschera con i colleghi, la maschera con i genitori…
Quante di loro ti assomigliano, almeno in parte? In quante ti riconosci?
Bellamy, io ogni tanto penso che stenterei a capire che sono davvero io anche se mi sbattessi addosso mentre cammino per strada.
Per me è difficile, davvero.
…ma non so perché, ora come ora ho la certezza assoluta che riconoscerei te ovunque. Che se ti adocchiassi, anche solo da lontano, ti vedrei risplendere e comincerei a seguirti come fossi la mia stella cometa, aspettandomi di essere condotto verso un luogo fantastico in cui ricevere un’illuminazione, una benedizione, un perdono.
Credo che questo gioco sia partito con Brian Molko che cercava di sopraffarti.
E anche se no, non sono innamorato, e anche se no, anche se lo fossi non lo ammetterei, credo anche che questo gioco si sia concluso con Brian Molko che, da te, si lascia sopraffare.
Matthew…
…tu mi riconosceresti?
Mi seguiresti?
Almeno per un po’?
*
- Brian, cerca di calmarti…
- Col cazzo che mi calmo, Alex! Dove diavolo è finita la Jaguar?!
- Diosanto… - mormorò Alex, lanciando intorno sguardi indemoniati ai ragazzi che ancora scaricavano casse di strumenti nel magazzino adibito come deposito per il festival di Aberdeen, - Ma con tutte le fottutissime chitarre che ha, dovevate perdergli proprio quella?!
La sua lamentela cadde nel vuoto, i ragazzi continuarono a sistemare le casse un po’ alla rinfusa, preoccupandosi solo di dividerle per gruppo secondo il nome stampato sul coperchio, e Brian si premurò di riaccendere l’interesse della propria manager tossicchiando irritato e incrociando le braccia sul petto.
- Senti, Brian. – disse la donna, riavviandosi i capelli dietro le spalle, - Non ho la minima idea di dove sia la tua Jaguar. Le altre chitarre sono a posto, fanne a meno e usa loro!
- Tu sei del tutto impazzita! – strillò Brian, stringendo i pugni, - Potrei anche lasciare perdere se non potessi usarla oggi, ma come pretendi che possa passare il resto della mia vita senza poterla più suonare?!
Alex sospirò, roteando gli occhi.
- Dio, Brian, è l’ultima data…
- E quella è la mia chitarra preferita!
- Brian!!!
- Senti, non è un casino che ho tirato fuori io per rompere le palle, d’accordo? Ci tengo davvero, lo sai!
- Oh, scusa! – lo prese in giro Alex, fingendo dispiacere, - Ormai hai tirato fuori tanti di quei casini senza nessun motivo, che fatico un po’ a riconoscere quando invece sei preoccupato sul serio!
A quel punto, Matthew, che aveva cercato di tenersi in disparte e in religioso silenzio fino a quel momento, capì che se non fosse intervenuto probabilmente quei due si sarebbero sbranati a vicenda, e decise perciò di farsi avanti.
- Brian… - lo chiamò appena, e subito lui lo graziò della propria attenzione, cosa che irritò non poco Alex, - Non è del tutto improbabile che abbiano imballato la tua chitarra assieme alle mie… vuoi che ti dia una mano a controllare?
Brian sospirò.
- È la prima cosa intelligente che sento dire oggi. – commentò, dirigendosi a passo spedito verso l’entrata del magazzino, mentre Matt lo seguiva a ruota. – Vedi che hai anche tu i tuoi momenti di genialità? Scommetto che se parlassi di meno si noterebbe di più.
Matthew ignorò gli ultimi commenti e lo condusse verso l’angolino in fondo al magazzino, nel quale erano stati stipati per primi i loro strumenti, dal momento che prima di partire da Edimburgo Brian aveva preteso per chissà quale motivo che fossero imballati e caricati sul camion per ultimi.
- Dovresti calmarti… - gli disse, osservandolo camminare nervosamente, a scatti.
- Fatti gli affari tuoi. – rispose Brian, scoccandogli un’occhiataccia, - Quando dicevo che dovresti parlare di meno, ero serio.
Matt sospirò e continuò a fissarlo di sottecchi.
Brian faceva lo stesso.
Brian continuò a farlo finché non furono finalmente davanti alle loro casse, con stampati sopra i loro nomi, uno sotto l’altro. E quando arrivarono lì, e Matt si guardò intorno, e vide che erano solo loro e centinaia di casse, che era come fossero completamente soli in un labirinto enorme, dal quale era totalmente impossibile fuggire, finalmente capì.
Ce ne aveva messo di tempo.
- Brian. – lo chiamò, e lui lo ignorò, si infilò un dito in bocca, morsicando nervosamente l’unghia, e si diresse deciso verso una cassa, mormorando “come diavolo la apro adesso?”. – Brian… - lo chiamò ancora lui, andandogli incontro.
- Bellamy, sto cercando la mia chitarra. – rispose l’uomo, continuando ad ignorarlo.
- Aspetta, Brian, ti devo parlare.
- Non voglio affatto parlare con te! - strillò Brian, fissandolo negli occhi per un solo secondo, - Voglio solo trovare la mia dannatissima chitarra, lasciami in pace!
Matt si tirò indietro, amareggiato.
Osservò Brian continuare a scrutare la cassa in ogni suo punto, cercando qualcosa per aprirla – un pulsante magico? Una cerniera? Un piede di porco messo lì ad uso e consumo di chi volesse dare una sbirciata all’interno? – e capì che non sarebbe riuscito a fargli dire nulla. Che Brian avrebbe continuato a trattarlo come niente. Che poi se ne sarebbe andato. Che non l’avrebbe più rivisto.
- Non puoi comportarti così. – disse deciso, - Devi prenderti le tue responsabilità!
Brian si fermò a metà del movimento che stava compiendo, tornando a guardarlo con più attenzione.
- Non ho responsabilità nei tuoi confronti. – disse freddamente, battendo un piede per terra.
- Queste sono le cazzate che puoi raccontare a chi vuoi, ma non a me!
E fu il turno di Brian di tirarsi indietro, spalancando gli occhi.
- Bellamy, non ti allargare!
Matthew si morse un labbro, muovendosi minaccioso verso di lui.
- Sei tu che ti sei allargato per primo! – ringhiò, furioso e irritato, - Questa situazione è tutta colpa tua!
- Dovevo trovare un modo per tenerti a bada.
- Certo, la molestia sessuale-
- La molestia sessuale! – scoppiò a ridere Brian, - Ti ho fatto tante di quelle cose che fatico io stesso a tenerne il conto! E tu pensi solo a quello! Bellamy, hai dei problemi…
- Piantala di chiamarmi Bellamy, Brian, mi dà un fastidio allucinante!
- Oh, ti infastidisce? Scusami, Bellamy. A me infastidisce che tu mi chiami per nome, guarda un po’! Come se avessi chissà che confidenza col sottoscritto! Fottiti!
Non si rese neanche conto di cosa stesse facendo, quando sollevò una mano e, piantandogliela con forza su una spalla, lo schiacciò contro il muro di casse che aveva dietro, costringendolo ad aderire perfettamente al legno ruvido e scheggiato, e aderendo perfettamente a lui.
Brian si lasciò andare ad uno sbuffo sorpreso, ma non si arrese. Trovò i suoi occhi e lo costrinse a fissarlo, lo scrutò fin dentro il cervello con quei punteruoli di ghiaccio verde brillante, e quasi lo fece indietreggiare di paura.
- Ti piace essere provocato, Bellamy. – constatò, parlando a bassa voce, in un sussurro appena udibile, quasi silenzioso in confronto ai rumori che venivano dagli altri settori del magazzino.
- Sta’ zitto! – replicò Matthew, afferrandolo per il colletto e spingendo l’avambraccio contro il suo collo.
Brian sollevò il mento, come gli si stesse offrendo.
- Hai un’indole da teppista! – commentò, quasi divertito.
- Molko, ti ho detto-
- Niente più Brian?
Gli stava scoppiando la testa.
Sentiva il proprio sangue rombare nelle tempie così furiosamente che si convinse che sarebbe davvero esploso, e che se tanto doveva morire…
- Piccolo bastardo… - mormorò Brian, - Guardati…
Invece di guardare sé stesso, Matthew continuò a guardare lui.
- Come diavolo fai?
Fare?
- Sei… sei disfatto… - sussurrò Brian, lasciando scorrere lo sguardo su di lui, dagli occhi alle labbra, - Sei stanco e distrutto… E sono stato io a ridurti così… ti ho mostrato il peggio di me, ti ho afferrato nel pugno della mia mano, Bellamy… - e sollevò la mano stretta a pugno, mostrandogliela senza alcun intento violento, solo per rafforzare il concetto, - …sei così terrorizzato che… guarda con che occhi mi fissi adesso… se potessi, se non fossi un uomo, staresti già piangendo da un pezzo, e le nostre posizioni sarebbero invertite…
- Che cazzo stai dicendo? – ansimò lui, stringendo di più la presa sotto il collo, pressandolo contro le casse e percependo il suo lamento di dolore quando uno spigolo ribelle gli si conficcò nella schiena.
- Sembri un condannato a morte… - continuò Brian, come stesse parlando con qualcun altro, sistemandosi meglio sotto di lui, - E nonostante questo…
- Brian-
- Fanculo. Sei fottutamente bello.
Provò repulsione, voglia di separarsi da lui e desiderio di spaccargli la faccia.
Rimase lì, interdetto, a fissarlo negli occhi.
- Mi piaci da morire. – spiegò il moro, guardandolo con la stessa intensità, - Io dovrei fare il bello e il cattivo tempo con te, dovrei rigirarti tra le dita e schiacciarti contro il palmo come carta straccia. E invece ti vengo dietro come un cagnetto. – sospirò, - Ti svolazzo intorno come una falena. Sono peggio del topo che prende comunque il formaggio dalla trappola, anche se sa che sarà un suicidio.
Silenzio.
Sembrarono fermarsi anche i ragazzi.
Loro due, altissime mura di scatole e il vuoto.
- Io sono già morto. – concluse Brian, - Sono morto quel pomeriggio, quando mi hai parlato di stronzate per tutto il tempo e io ti ho trovato affascinante. – ridacchiò, - Buffo, mi reputo una persona tanto intelligente… me ne sto accorgendo solo ora.
- Io non-
- Finiscimi.
- Cristo, Brian-
- Sono già morto. – si sporse appena, qualche centimetro, gli sfiorò le labbra, - Finiscimi.
*
Passò lievemente una mano sul pavimento sporco e guardò con paura le casse disordinate impilate l’una sull’altra accanto a lui, sperando che non decidessero di crollare proprio mentre lui e Matthew cercavano di riprendere fiato dopo aver finito di scopare.
- Abbiamo fatto un casino… - commentò a mezza voce, guardandosi intorno e notando alcune scatole già rovesciate per terra, - Speriamo di non aver spaccato qualche strumento.
Matthew ridacchiò appena, intervallando ad ogni risatina un tentativo di smettere di ansimare convulsamente.
Brian si voltò a guardarlo.
- Ti ho sopravvalutato. – disse con una smorfia.
- Che?! – strillò Matthew, voltandosi a fissarlo d’improvviso, - Voglio dire, non è che pretenda di essere un dio del sesso o che, ma almeno potresti-
- Non in quel senso! – rise Brian, stringendo le braccia al corpo e cercando di recuperare i propri pantaloni perduti da qualche parte fra le ginocchia e le caviglie, - Sei stato bravissimo, non preoccuparti…
Matthew sbuffò e arrossì, mentre chiudeva gli occhi e si voltava per sottrarsi al suo sguardo.
- Ho come l’impressione di averti guardato come fossi un dio, per tutto questo mese. – continuò Brian, il tono di voce sereno e rilassato come Matthew non l’aveva mai sentito, - Ma alla fine sei un uomo anche tu. Sei… - sorrise, - bello, affascinante e particolare. Il mio ideale di uomo, credo. Ma sei un uomo comunque. Stai qui accanto a me col fiato corto, sei un uomo normale.
- Non capisco se dovrei prenderlo come un complimento… - borbottò Matt, riabbottonando i jeans.
- Non puoi prenderlo come una semplice constatazione e fartelo bastare? – rise Brian, spostandosi di qualche centimetro verso di lui.
Matt lo osservò avvicinarsi, e quando lo vide fermo a pochi millimetri da sé si chinò verso di lui, baciandolo lievemente sulla bocca.
- I tuoi sono discorsi da addio… - commentò, sfiorandogli le labbra con due dita quando si fu separato da lui, - Sarai contento, adesso. – concluse malinconico.
- Più di prima, sicuramente. – ridacchiò Brian, ma quando vide che Matt s’era offeso si allungò su di lui, sfiorandogli il petto con una mano. – Se vuoi possiamo rivederci, comunque.
Matt lo fissò, sconvolto.
- Tu lo stai chiedendo a me?
L’altro annuì serenamente.
- Sai esattamente come andrà avanti questa “relazione”, se di relazione si può parlare… - si lamentò Matthew, - Per quanto io possa… tenerci… siamo troppo diversi, sarebbe un casino incredibile, finirebbe male!
Brian rise ancora, e Matthew pensò distrattamente di non averlo mai sentito ridere tanto.
- Ti sfido, Bellamy. – disse lui, sollevandosi in ginocchio e chinandosi su di lui, per sfiorargli la fronte con la propria, - Stupiscimi.
Genere: Comico, Erotico.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: NC-17
AVVISI: Lemon, RPS.
- Matthew Bellamy è stufo. Non è proprio possibile: sono BEN cinque anni che sta con Brian Molko, eppure continua ad essere additato come una verginella di facile seduzione! E invece lui è un grande amatore! Perciò, che c'è di meglio di una sfida, per dimostrare al proprio compagno di essere in grado di soddisfarlo quanto e più di lui...?
Commento dell'autrice: [Prima di cominciare la stesura] Sfida numero due: due ore e The Fly degli U2 (che stavolta non c’entra una beneamata, è solo dannatamente sexy) per un’altra stupida PWP *_* Cosa ne verrà fuori? *non lo sa neanche lei*
[Dopo la stesura] Nota finale della Nai (perché Liz Liz è stanca, povera tata, ed io le voglio tanto bene çç): Se vi state chiedendo da dove sia nato tutto ciò, sappiate che non c’è niente di peggio di Lisachan, me ed MSN all’una di notte. Uno dovrebbe dormire di notte, ed invece pensa: perché dev’essere sempre Brian a passare per zoccola? In fondo Matt fa sempre la parte della povera verginella sedotta.
Ovvio che uno alla lunga si infastidisca a non sentirsi mai dare della donnina di facili costumi!
…i maschi sono creature strane…
A parte tutto, il dialogo delirante d’inizio storia parte proprio dalla discussione di chat, con poi i giusti accorgimenti, sistemazione ed introduzione di battute meravigliose di maternità esclusiva della Lizzie. Tutta la parte slashosa, invece, è totalmente opera sua e noi la amiamo per questo *ç*
Alla base, un’unica incontestabile verità: le mani di Matthew Bellamy sono un oggetto che incita al sesso!
Brian, hai perso ù_ù
Nota doverosa della liz che riemerge dal mondo dei morti: Questa storia è dedicata con tutto il mio amore profondo a Vale e Bea, che sono delle tate di proporzioni cosmiche, davvero.
Per inciso, The Fly ha resistito appena nove ascolti e per scrivere ‘sta roba ci ho messo qualcosa come cinque ore XD
*torna nella tomba*
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THE ULTIMATE HANDSTROKE

Tutto cominciò col rocambolesco ingresso di Matthew in salotto, che coinvolse la poltrona con la quale andò a sbattere, il tavolino che da questo movimento improvviso venne investito e il vaso cinese ordinatamente poggiato sul ripiano in cristallo, che oscillò pericolosamente prima di capire che no, non era il caso di sfracellarsi a terra in millemila pezzi, se poi non voleva stare a sentire le urla di dolore che Brian avrebbe lanciato una volta che si fosse ritrovato costretto a raccoglierne i cocci dal pavimento.
L’uomo si piazzò davanti alla poltrona sulla quale Brian s’era appena seduto dopo le pulizie mattutine, cercando di rilassarsi sfogliando la settimana enigmistica, saltando ovviamente tutti i giochi d’intelligenza per concentrarsi solo sulle barzellette, le vignette e i puntini da unire da uno a sessantasette.
Brian sollevò appena lo sguardo dalla rivista, inarcando le sopracciglia e osservandolo mentre divaricava lievemente le gambe, stringeva i fianchi fra le mani e lo fissava con aria omicida.
Comprese che c’era qualcosa che non andava, perciò, sospirando, abbassò il settimanale, e sorrise.
- Qualcosa ti turba, amore? – chiese, il più gentilmente possibile, inclinando il capo.
Matthew staccò una mano dal bacino e lo puntò come un piccolo cane da guardia.
- Tu! – lo rimproverò aspramente, tutto lampi di luce dagli occhi.
- …ma non ti ho fatto nulla, stavolta… - mormorò Brian, confuso, - Ero qui felice a leggere la settimana enigmistica…
- Non c’entra! – proseguì Matt, puntandolo con più decisione, - È la tua presenza!
- Posso immaginare perché… - ghignò Brian, stringendosi nelle spalle con immodestia.
- Smettila immediatamente!!! – strillò il frontman dei Muse, evidentemente sconvolto, - Non sono in vena!!!
A quel punto, Brian capì che la questione era seria e non era il caso di scherzarci troppo su, perciò eliminò definitivamente la rivista di torno (per quanto a malincuore), ed incrociò le mani sulle ginocchia, guardando il proprio uomo con attenzione.
- Tesoro, avanti, dimmi cosa c’è che non va.
Matt mise il broncio, sedendosi sulla poltrona di fronte a quella di Brian e battendo nervosamente i piedi a terra.
- Io non capisco perché – spiegò sbuffando, - nonostante siano ormai anni che stiamo insieme! tutti continuino a dare della puttana a te e nessuno riconosca le mie doti di grandissimo seduttore!
…ok.
Era serio davvero.
Più o meno a livello da manicomio.
- Matt, che diamine stai dicendo?
- Ma sì! – continuò lui, sempre più convinto, - Ricordi tutti i titoli delle riviste scandalistiche che uscirono quando ci mettemmo insieme?! Erano tutti lì a dire che mi avevi sedotto di qua e mi avevi sedotto di là! Ora, a parte il fatto che questa non è una verità storica-
- Mh. – annuì Brian, - In effetti no, sei stato tu a rompere le palle finché non mi hai obbligato a sedurti.
- Bazzecole! – sbottò Matt, scrollando le spalle, - Ma comunque sembra quasi che, non so, sotto le coperte tu sia l’unico a valere qualcosa!
Brian lo fissò, gli occhi ormai enormi per lo stupore.
- Insomma!!! – proseguì Matt, rafforzando il concetto, - Questa cosa non mi va giù!!! Sono una zoccola anche io in certe cose!!!
- …nel sesso…? – chiese l’uomo, sempre più sconvolto.
- Sì! In quelle cose lì!
- …ma se non riesci neanche a dirlo…
- Piantala!
Brian si lasciò andare a qualche secondo di sbigottimento totale, durante i quali il suo cervello semplicemente si fermò e si rifiutò di continuare a macinare argomentazioni contrarie, per protesta nei confronti dell’evidente e palese imbecillità dell’uomo col quale era costretto a questionare.
Poi i secondi passarono, Brian sospirò e il cervello si decise a passare al contrattacco.
C’era un orgoglio da difendere, lì!
- Matt, tesoro… - lo blandì, sorridendo malizioso e crudele, nonché vagamente condiscendente, - come puoi anche solo sperare di eguagliarmi?
- Comecosache?! – scattò in piedi Matt, mortalmente offeso, - Mi stai dando della non-puttana?!
- È ovvio. – annuì convinto Brian, alzandosi a sua volta in piedi per fronteggiarlo da un’altezza meno svantaggiata, - Sei quasi l’incarnazione della purezza! Soprattutto a letto!
- Questa è una dichiarazione falsa e tendenziosa!!! – strillò l’inglese, colmo di disappunto, - E lo sai, anche! Ieri notte mugolavi come non so neanche io cosa!
- Be’, non ti ho detto che sei uno sfigato incapace. – precisò Brian con una smorfia, incrociando le braccia sul petto, - E poi è la tua innocenza che mi eccita tanto, lo sai!
- Ma Brian, senti, può far piacere sentirsi dire che è innocente come una verginella a un quindicenne alla sua prima volta, ma Cristo, io ho quasi trent’anni e scopiamo da cinque…!
- Ebbe’! – sbuffò Brian, - È un complimento! Non è da tutti mantenere la propria purezza dopo tanti anni di convivenza col sottoscritto!
- Vedi?! – ululò dolorosamente l’altro, - Vedivedivedi?! Continui a dare a te stesso della puttana e della fanciulla innocente a me!!! Non! È! Vero!!!
- Oh, insomma! Sono stufo di questi discorsi! – concluse Brian, irritato, - Se è vero quello che dici, allora dimostralo!
- E va bene! – asserì Matthew, stringendo i pugni e puntando i piedi a terra, - Ma dobbiamo stabilire delle regole!
- Ovvio! Primo: è una gara di abilità, quindi non si scopa! Altrimenti è troppo facile!
- Certo! Secondo: niente baci! – deglutì, fissando ostinatamente le labbra del proprio uomo.
- E niente lingua! – proseguì Brian, annuendo decisamente, - Vediamo che sai fare, solo con le mani!
Matthew gonfiò le guance, offeso e deluso. Evidentemente sperava in una maggiore libertà.
- E sia! – disse infine, - Ma cominci tu!
- Cooosa?! – cantilenò Brian, incredulo, - Ma se sei tu che hai cominciato questo disastro?!
- Appunto! – spiegò l’altro, annuendo convinto, - Devo dimostrarti di essere migliore di te, perciò devo prima vedere cos’è che sai fare!
- Oh, come se non ne avessi un’idea più che precisa!
Matt lo fissò, increspando le labbra in un sorrisetto furbo.
- Che c’è, Brian? Ti tiri indietro? Ti spaventa la prospettiva di provare per primo?
- Sia mai! – borbottò il moro, cogliendo la sfida e avvicinandoglisi.
- Niente ginocchia. – precisò Matt, lanciando uno sguardo inceneritore, appunto, al ginocchio di Brian, che cominciava a insinuarsi pericolosamente fra le sue cosce, - Hai detto solo mani, l’hai detto tu!
Brian sorrise, facendoglisi vicino al punto da meritare una denuncia per offesa al pudore.
- Allora solo mani… - bisbigliò, scivolandogli addosso col fiato, indirizzando sapientemente ogni respiro fra una parola e l’altra perché colpisse i tratti più sensibili della sua pelle.
- Stai… stai barando… - balbettò Matt, indietreggiando cautamente, nel tentativo di sottrarsi alla lieve tortura.
- Io non credo… - sussurrò l’altro, poggiandogli una mano a metà coscia e risalendo lento verso l’alto, tastando il tessuto dei jeans col palmo bene aperto, quasi avvolgendolo, al punto che a Matt sembrò di sentire il calore della sua pelle anche attraverso i pantaloni, ed anche in punti in cui in teoria non avrebbe dovuto sentirlo.
- Brian… - mormorò confusamente, abbandonandosi contro la parete e rilasciando il capo indietro.
- Mmh…? – lo incitò il frontman dei Placebo, ma lui non disse altro. Sollevò un braccio, ancorandosi a lui per evitare di cadere per terra, e rimase in silenzio mentre la mano di Brian si fermava sul cavallo dei suoi pantaloni, esitando fra la cerniera e il bottone, come volesse giocare un po’ prima di passare ad altro.
- Brian! – chiamò più forte, spingendoglisi addosso, mentre lui continuava a… a prenderlo in giro!
- Oh, cielo… - riprese lui, ridacchiando mentre finalmente sbottonava i jeans e abbassava la cerniera, - Dimmi un po’, non ti starà per caso piacendo…?
Matthew serrò gli occhi e scosse decisamente il capo.
- No! – disse, mordendosi le labbra, - Hai fatto di meglio!
Brian rise, perfettamente consapevole del piacere che Matthew stava provando, e che sentiva quasi crepitare sotto le dita, come piccole scosse elettriche, mentre scostava l’elastico dei boxer e si insinuava al loro interno, alla ricerca del calore della sua pelle.
- Che peccato… - sussurrò con un piccolo broncio, - sembro aver perso tutto il mio potere… mi insegni di nuovo come si fa…? – chiese, sfiorando con le dita la punta della sua erezione, come un bambino curioso.
- …Brian!!! – strillò Matthew, spalancando improvvisamente gli occhi e fissandolo sconvolto, - Non fare il cretino!
- Davvero… - continuò a mugolare Brian, avvicinandoglisi fino al massimo limite consentito dall’impossibilità di fusione dei corpi, - Dimmi tu cos’è che devo fare… dove devo… - si leccò le labbra, - …toccare… perché mi sa che io non me lo ricordo più…
E così dicendo scese fino alla base, toccandolo appena, per poi risalire fino alla punta.
Matthew quasi soffocò.
- Cazzo… - ansimò, - stringi, cazzo…
Brian sogghignò.
- Così…? – cinguettò, stringendo la presa attorno al suo pene.
- Dio, sì… - si lasciò andare Matt, spingendosi contro di lui, - Muoviti…
- Uhm… non so come…
- Muoviti! – sbottò l’inglese, avanzando e appoggiando la fronte contro la sua spalla, - Avanti… così… - sussurrò, accompagnando i movimenti della mano di Brian con spinte lente e misurate, come non volesse bruciare tutto in pochi secondi per uno stupido eccesso di fretta.
- Adesso ti sta piacendo, Matt…? – chiese ancora Brian, sfiorandogli il lobo con le labbra e sogghignando soddisfatto nell’accorgersi che Matt non sembrava più tanto propenso a dargli del baro, in quella situazione.
- Zitto… - si limitò a commentare l’inglese, continuando a spingersi piano contro di lui.
- Non posso stare zitto, Matt… - spiegò Brian, costringendolo a guardarlo negli occhi con una spinta delle spalle, appoggiandosi contro la sua fronte, - Non posso stare zitto, perché… - sorrise, - la voce, Matthew… - sussurrò, spingendosi un’ultima volta dal basso verso l’alto, mentre Matt tratteneva per un attimo il fiato e poi rilasciava l’orgasmo sulle sue dita, e il respiro dritto sulle sue labbra, - …la voce è il segreto… - concluse, catturandogli le labbra in un bacio e schiacciandolo contro il muro, accarezzandolo ancora un paio di volte, accogliendo le ultime gocce del suo seme sul palmo aperto.
- …hai barato!!! – fu la prima cosa che Matthew riuscì a strillare, quando ebbe ripreso il controllo dei propri polmoni.
- …che? – chiese Brian, aggrottando le sopracciglia.
- Mi hai baciato! – continuò a strillare lui, gesticolando animatamente, mentre Brian sfilava la mano dalle sue mutande e cercava qualcosa con cui ripulirsi, - Avevi detto niente baci!
- Ti ho baciato solo dopo… - sbottò, infilandosi in bagno per lavarsi, - Il round era già finito.
- Cazzate! – sbraitò Matt, seguendolo dopo aver sistemato i pantaloni alla buona, - Questo non è corretto e non mi sta bene!
- Ooooh, santo cielo, Bellamy! – si lamentò Brian, chiudendo il rubinetto dell’acqua e afferrando un telo di spugna per asciugarsi, - Adesso è il tuo turno e potrai dimostrare tranquillamente di riuscire a battermi senza baciarmi!
- Già! – annuì convinto lui, sbottonando i polsini della camicia…
…e prendendo ad avvolgersi le maniche…
…rigirando il tessuto fra le dita lunghe e delicate, lentamente, sapientemente…
… su, fino al gomito, scoprendo centimetri di pelle, le braccia magre ma affatto ossute…
…sotto lo sguardo apparentemente immobile del proprio uomo.
- Allora! – disse il più giovane, tornando a fissare il proprio compagno con decisione, - Solo mani, no?
Brian deglutì.
Cazzo, Matthew aveva un paio di mani che avrebbero meritato un’assicurazione ancor più del sedere di J. Lo.
…probabilmente stabilire quelle stupide regole non era stata la scelta migliore.
Genere: Comico, Erotico.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: NC-17
AVVISI: Lemon, RPS.
- Brian Molko è furioso! La stupidissima organizzazione degli MTV EMA l'ha costretto a premiare i Muse con il Best Alternative Award, e questo lo manda fuori di sé! Al punto da fare qualcosa della quale potrebbe decisamente pentirsi...
Commento dell'autrice: [Prima di cominciare la stesura] La sfida che mi propongo è: scriverla in non più di un’ora, ascoltando a ripetizione Con-Science dei Muse.
Buona fortuna a me @.@
[Dopo la stesura] Gaaaah XD Di ore alla fine ce ne ho messe due, infatti temo proprio che Con-Science (da un verso della quale ho riadattato l’amabile titolo di questa fic [you slipped away] – e il titolo credo sia davvero l’unica cosa amabile che ha XDDD) sarà la canzone più ascoltata del mese, sul mio Last.fm XD
Insomma, non mi piace granché. È un po’ una porcata random è_é”””” Ma dovevo buttarla fuori da millenni, più di un anno XD, da quando ho letto la frase che ho scritto in apertura, e che è vera XDDD e l’ho associata al filmato della premiazione degli MTV EMA, che è altrettanto vero e che rende quei due canon come non mai <3
…scommetto che quello che ho appena detto non ha alcun senso per voi XD Allora farò un po’ di making of, che fa sempre piacere *-* I making of sono il sale della vita.
Un annetto fa, quando ho cominciato a slashare questi due scimmioni X3 vagavo felice per il forum dei Muse, e per inciso stavo leggendo uno dei mille topic sull’argomento “perché Brian Molko odia i Muse? éoè”. Nessuno riusciva a venirne a capo, continuavano a ripetere “ma i Muse sono così amore éoè Come fa Brian a non amarli?”, senza capire che la ragione è molto semplice ed elementare, si chiama invidia e la proviamo tutti almeno una volta nella vita XD Poi d’improvviso spuntò un tipo dal nulla. Che disse quella frase stupenda che ho quotato all’inizio XD e che tradotta in italiano suona tipo “penso che Molko faccia solo la stronza perché ogni volta che vede Matthew non può evitare di avere un’ENORME erezione” XDDDD E lì la mia vita s’è illuminata XD Tra l’altro in quel periodo stavo anche leggendo Try Something New dell’Happyna, e tutto ha avuto senso d’improvviso XD
Poi, meeeeesi e mesi dopo (praticamente qualche settimana fa), sono riuscita a mettere le manacce sul famoso video degli MTV EMA in cui Brian premia i Muse come Best Alternative Act (e TUTTI dovete vederlo XD Perciò andate qui e lasciatelo caricare, MyVideos è un po’ lento ma dopo una decina di minuti parte XDDDD) e la cosa ha avuto ancora più senso, e oltretutto ha avuto lo stupendo merito di darmi un’ambientazione da usare per ficcare questa dannata cosa dell’erezione che mi perseguitava da quando l’avevo letta XD E questa è stata la genesi dell’opera ù_ù”
Ovviamente, Con-Science non è mia, ma dei Muse, che l’hanno pubblicata nel lontanissimo °_° 1999, nel singolo di Muscle Museum, o almeno così pare *non è sicura perché nel sito ufficiale non c’era* Ed è verameeeeente bella, per quanto assurda *-* *consiglia*consiglia*
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SLIP AWAY

~I think Molko’s just acting bitchy because whenever he sees Matthew he can’t help to have a HUGE hard-on.
Anonymous, on Muse Official Message Board

Si abbatté con forza sul lavandino con entrambe le mani, ben deciso a scardinarlo e sfondare il muro usandolo come arma contundente. Ovviamente, per quanto grande – enorme – potesse essere la sua rabbia, la sua forza non sarebbe mai stata altrettanto potente, perciò il lavandino rimase saldamente piantato sul proprio piede, e quello rimase a sua volta ben piantato fra le piastrelle, sul pavimento, perciò nulla poté scardinarsi e nulla poté essere usato come arma contundente. Di conseguenza, ovviamente, nessun muro riuscì a farsi abbattere.
La cosa lo riempì di disappunto.
Era tanto, pensò pestando un piede per terra, chiedere al mondo una valvola di sfogo?!
Quella era stata la giornata peggiore della sua vita, meritava di sollevare il proprio animo dall’angoscia distruggendo arredamenti pubblici! Lo spirito dell’universo glielo doveva, Madre Natura glielo doveva e, meglio ancora, glielo dovevano i fottutissimi organizzatori degli MTV European Music Awards!
Si abbatté nuovamente sul lavandino, ma nulla, quello rimase ancorato dove si trovava, perciò Brian strinse la presa attorno ai lati del lavabo e si limitò a strizzare la ceramica, senza nessun evidente perché.
Il dramma umano del quale era stato protagonista era cominciato circa una settimana prima.
E siccome Dunja, la sua nuova terapista, era del tutto convinta che l’unico modo che avesse per liberarsi dei propri traumi fosse raccontarli a qualcuno, e siccome lui non vedeva intorno nessuno che potesse stare ad ascoltarlo, smise di far del male al lavandino, incrociò le braccia sul petto e si mise a parlare.
- Tutto è cominciato una settimana fa! – disse ad alta voce, fissandosi riflesso nello specchio lindo appeso al muro, - Questi bastardi mi chiamano e fanno “pensavamo che dovresti consegnarlo tu, il premio per il Best Alternative Act, perché bla bla bla”!
Il riflesso nello specchio mimò il suo stesso bla bla bla e poi rimase in silenziosa attesa del resto.
- Ovviamente mi volevano prendere per cretino! – sbottò Brian, gesticolando animatamente, - Come se io non seguissi la scena musicale alternativa contemporanea! HA! Io ci sguazzo dentro la scena musicale alternativa contemporanea! Gli idioti credevano- credevano che non sapessi che questo dannato premio l’avrei consegnato a quel bastardo di Bellamy!
Si fermò un secondo, osservando il riflesso che gli rimandava occhiate infuriate.
- Ma in fondo che differenza ha fatto?! – strillò, stupendosi della propria idiozia, - Io lo sapevo e sono venuto lo stesso!!!
Mosse qualche passo in tondo, cercando di calmare i bollenti spiriti, e quando gli parve di esserci in parte riuscito tornò a fissare lo specchio.
- Poi ovviamente tutto è peggiorato di minuto in minuto! Mi hanno dato quello stupido microfono idiota incapace di amplificare la mia voce e- e- e- quella vacca di Amy Lee ha pure sbagliato la presentazione! Ma tanto che importa?! – sbuffò il frontman dei Placebo, scrollando le spalle, - A chi importa, se ho fatto la figura peggiore della mia vita?! Se mi sono piegato a consegnare un premio, un premio che io non ho mai ricevuto, tra l’altro, quindi mi chiedo anche perché abbiano chiamato me per consegnarlo!, a quella patetica imitazione di fringuello ululante di Matthew Bellamy?!
Digrignò i denti e passò all’attacco delle piastrelle sul muro, prendendo di mira una crepa fra due mattoncini mezzi spaccati.
- Come se poi io non avessi già i miei problemi, con quel tipo! Guarda qua! – disse al riflesso, aprendo il cappotto e indicando il proprio cavallo dei pantaloni, - Non so neanche perché mi succeda ogni volta! Non è mica un modello di Calvin Klein o chi per lui, è uno sfigatello qualunque proveniente da non-mi-ricordo-che-paesino del Devonshire!!! Eppure… ogni volta che lo vedo… - si interruppe un secondo, mordendosi un labbro e guardandosi con pietà, - …una fottuta erezione, capisci?! Cioè, ma perché?! Neanche mi piace!!!
Si, interruppe, ansante, abbattendosi per l’ennesima volta sul lavandino e dandogli un calcio simbolico, come a specificare che non approvava affatto quella sua fissazione a stare fermo a terra quando lui avrebbe preferito usarlo come una mazza da baseball e rotearlo sopra la propria testa.
Sospirò e si guardò ancora.
Accidenti, era sudato.
Infilò una mano in tasca, alla ricerca di un fazzolettino per asciugarsi, e fu allora che la sentì.
Una risatina stronza.
Conosceva quel suono, lui lo emetteva spesso! Era il verso della vittoria dei galletti da combattimento! Ah, ai bei tempi lui era chiamato ad esibirsi in una danza della vittoria random così tante volte… ma ormai non più, pensò tragicamente…
La risatina tornò a farsi sentire e Brian, esasperato, si voltò verso la fila di porte chiuse dei bagni, pestando violentemente il pedale del cestino della carta straccia, per buttare il fazzolettino col quale nel frattempo s’era dato una ripulita.
- Insomma! – strillò infastidito, - Abbiamo finito di prendere per il culo o no?!
La persona al di là di una delle porte rimase in silenzio per qualche secondo. Poi Brian notò una maniglia che misteriosamente prendeva vita e si apriva da sola, e immaginò che dovesse essere l’uomo sconosciuto che, finalmente, si decideva a venir fuori.
Incrociò le braccia sul petto e attese.
…e quando vide di chi si trattava, d’improvviso realizzò tre cose molto importanti.
Primo, s’era fatto sentire mentre parlava da solo.
Secondo, s’era fatto sentire mentre parlava da solo di erezioni spontanee causate dalla semplice vista di Matthew Bellamy.
Terzo e ultimo, ma non meno importante, s’era fatto sentire mentre parlava da solo di erezioni spontanee causate dalla semplice vista di Matthew Bellamy proprio da Matthew Bellamy.
Ora aveva tre possibilità.
Scardinare un tubo di scarico e strozzarsi.
Srotolare un rotolo di carta igienica e strozzarsi.
Oppure strappare la cucitura pelosa che il suo cappotto aveva sulla schiena e, be’, strozzarsi.
Matthew non gli permise di fare niente di tutto questo, perché si appoggiò con nonchalance ad una porta chiusa e scoppiò a ridere apertamente, indicandolo con l’indice come avesse avuto tre anni e rischiando di soffocarsi perché pretendeva di infilare fra una risata e l’altra apprezzamenti tipo “coglione!” o “sei completamente pazzo!”, per esternare i quali avrebbe avuto bisogno di molto più fiato rispetto a quanto ne avesse.
Brian cercò di mantenere la calma.
Se c’era qualcosa che proprio non doveva fare, era cedere alla tentazione di diventare viola e strillare che era un pidocchioso marmocchio e avrebbe fatto meglio a tornare a giocare con quegli altri due pidocchiosi marmocchi dei suoi migliori amici, se non voleva sculacciate.
- Bellamy… - mormorò, pensando a qualcosa di crudele e tagliente e sprezzantemente intelligente da dirgli.
Matthew lo fermò diventando serio improvvisamente e riprendendo a indicarlo, con più decisione.
- No! – disse risoluto, - Io sono stato costretto ad ascoltare te che sputavi merda sulla mia band per mesi prima di questa sera! Adesso tocca a te ascoltarmi mentre mi lamento!!!
…In fondo era veramente un moccioso.
Brian tornò a rilassarsi contro il lavandino, incrociando più mollemente le braccia sul petto.
- Forza. – disse, scrollando le spalle, - Lamentati, allora.
L’espressione di Matthew cambiò rapidamente, sfiorando tutti i gradi di colore dell’imbarazzo per raggiungere quello rossastro-porpora della rabbia irritata e vagamente offesa.
- N-Non lo so! – disse, sempre indicandolo, - In teoria saresti dovuto scappare con la coda fra le gambe!
- In pratica non l’ho fatto. – ghignò Brian, staccandosi dal lavandino e andandogli incontro, - Quindi adesso tu sei in svantaggio.
Matthew aggrottò le sopracciglia, gonfiando le guance.
- Non ammetto che un tipo che si eccita solo guardandomi mi tratti così! – s’infuriò l’inglese, battendo un piede per terra e fronteggiandolo coraggiosamente.
E lì, l’illuminazione.
- …e come vorresti essere trattato, da un tipo che si eccita solo guardandoti…?
Matthew subodorò il pericolo e prese a indietreggiare verso il muro.
- Molko, non facciamo scherzi! – disse, stringendosi nelle spalle come volesse difendersi.
- Secondo te ho l’aria di uno che vuole scherzare? – ritorse lui, ghignando di soddisfazione quando si accorse che Matthew ormai lambiva il muro con le spalle, e sollevando le braccia per inchiodarlo alla parete.
- Nononononono… - borbottò Matthew, accorgendosi della sua mossa e piegandosi per sgusciare fuori dalla stretta prima che diventasse mortale, - Nono, Molko, questa cosa non funziona… adesso me ne vado…
- Prima devi riuscirci. – ghignò ancora Brian, più malignamente, spostandosi di qualche centimetro e cercando nuovamente di imprigionarlo.
Matthew si libero ancora, scappandogli da sotto il braccio come un bambino.
Brian ne ebbe abbastanza e lo afferrò per il colletto della camicia, riportandoselo fra le mani.
- Bellamy, piantala di fuggire…
- Non intendo stare qui a-
- Oh, povero me! – lo prese in giro Brian, - Guarda in che condizioni sono! – disse, aprendo lentamente il cappotto e osservando con piacere che Matthew non scappava più, ma restava ipnotizzato ad osservare il movimento del tessuto pesante scivolare contro quello più leggero della camicia che indossava sotto, come fosse troppo spaventato o catturato per pensare ad altro. – Ed è tutta colpa tua! Non intendi prendere provvedimenti a riguardo?
- Non è colpa mia se-
- Se sei così carino che ogni volta che ti vedo mi viene voglia di scoparti…? – insinuò malizioso, avvicinandoglisi al punto da poter vedere bene solo i suoi occhi.
- P-Poco fa… hai detto… che non ti piacevo neanche… - balbettò Matthew, cercando di schiacciarsi il più possibile contro la parete.
- Mmmh, la mia terapista dice che ho difficoltà ad ammettere quando mi piace qualcosa… - commentò distrattamente, lasciando scivolare il cappotto per terra e procedendo all’attacco dei bottoni della camicia.
- Non… - deglutì Matthew, - Non puoi fare sul serio…
Gli si avvicinò ancora, sfiorando il suo profilo con le labbra.
- …scommettiamo?
Fu allora che Matthew fece scattare le mani in avanti e lo afferrò per il colletto, rimanendo poi immobile, come non sapesse cosa farsene del suo corpo.
- Spingimi, se vuoi… - sibilò Brian, - Ma non mi scaccerai… - e così dicendo sollevò una mano e sfilò l’orlo della camicia di Matthew dai suoi pantaloni, insinuandosi subito al di sotto del tessuto, divorando coi polpastrelli la sua pelle calda e tremante.
- Molko…! – rabbrividì Matthew, socchiudendo gli occhi e stringendo la presa sulla sua camicia, - Ti sei bevuto il cervello?!
Brian sorrise malevolo, spingendosi contro di lui, schiacciando la propria erezione contro la sua coscia.
- Sono completamente impazzito… - mormorò, catturando il lobo del suo orecchio fra le labbra.
- Ngh… - si lamentò Matthew, piegando il capo come volesse scostarsi, ma senza concludere il movimento, accennando a spintonarlo lontano ma poi rinsaldando la presa sul colletto e attirandolo più vicino a sé.
- Anche tu hai dei problemi ad ammettere quando ti piace qualcosa, vedo… - commentò Brian, scendendo con le labbra lungo il suo collo, lasciandogli addosso una traccia di saliva al passaggio, - Vediamo se non dai di matto anche tu…
Matthew lo lasciò andare, sfiorando il muro con le unghia, cercando un appiglio per fuggire o chissà che, chiudendo definitivamente gli occhi e serrando le labbra.
Brian lo interpretò come un consenso finalmente strappato e gli sbottonò la camicia, chinandosi sul suo petto, saggiando il sapore della sua pelle con baci lievi e fugaci, scendendo giù fino all’orlo dei pantaloni.
- Gesù… - mormorò Matt, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle e reggendosi a lui per non cadere, - Ho i brividi…
Brian ghignò, sciogliendo velocemente la fibbia della cintura e sbottonando i jeans, per poi costringerli a scivolare lenti lungo le gambe dell’altro uomo, obbligando i boxer a fare lo stesso subito dopo.
- A-Aspetta… - implorò Matthew, schiudendo le palpebre solo per un secondo, giusto il tempo di rendersi conto che Dio, stava davvero per farlo.
- No. – rispose Brian, e gli si avvicinò deciso, prendendolo fra le labbra con naturalezza e lasciandolo scivolare in bocca ora lentamente, ora più velocemente, accompagnando il movimento con la lingua, lasciandolo uscire fino al limite, chiudendosi come uno sfintere al suo passaggio e riaprendosi senza troppe resistenze quando lui premeva per rientrare.
- Cristo…! – mormorò Matthew, spostando una mano dalla spalla alla nuca, costringendolo ad avvicinarsi il più possibile, per ingoiarlo in tutta la sua lunghezza, ed allentando subito la presa quando lo sentì mugolare di sorpresa.
- Cavolo se ti diverti, tu, eh? – ridacchiò Brian, separandosi da lui e rimettendosi in piedi, - Ma hai troppa fretta, e questo non va bene… senza contare che anche io voglio la mia soddisfazione…
Matthew lo guardò, mordicchiandosi l’interno della guancia, come stesse soppesando le varie possibilità che aveva.
Alla fine, sembrò scegliere quella di cogliere la sua sfida, perché attaccò a sua volta la cintura dei suoi pantaloni e fece per inginocchiarsi sul pavimento, ma Brian lo fermò, afferrandolo per un braccio ed obbligandolo a rimettersi dritto.
- Io non sono così facile da accontentare, Bellamy… - disse maligno, sottintendendo quanto disprezzo provasse per lui, che invece sembrava soddisfarsi davvero con poco – ma non era poco, non era affatto poco quello che quell’uomo era in grado di fare con una lingua e un paio di labbra… - Voltati.
- Cos-
Lo costrinse a girarsi con uno strattone davvero poco delicato, schiacciandolo contro la parete e godendo del brivido che gli vide scorrere sulla pelle, quando venne a contatto col freddo della ceramica che rivestiva il muro.
- Aspetta! - ripeté ancora una volta Matthew, - Io non ho mai-
- Avanti, Matt… - bisbigliò lui, avvicinandosi fino a sfiorarlo con la cintura, - Non farmi dire cose scontate tipo “c’è sempre una prima volta”… vedrai, ti piacerà…
Infilò due dita in bocca, leccandole fino alla base, mentre Matthew lo guardava con un’espressione mista di terrore e confusione, e poi tornando ad appoggiarsi contro di lui, insinuandole fra le sue natiche mentre con l’altra mano avvolgeva la sua erezione e prendeva a masturbarlo con esasperante lentezza.
- Pronto…?
Matthew scosse il capo e strizzò gli occhi, ma quando appoggiò la fronte contro la parete Brian lo vide annuire impercettibilmente e, nel momento stesso in cui un piccolo scatto sotto la pelle della sua guancia gli fece capire che aveva stretto i denti, forzò la sua apertura con un dito, spingendolo lentamente fino in fondo.
- Ahn… - si lamentò Matthew, tendendo il collo e inarcando la schiena, - Dio…
- Sssh… - sussurrò Brian, pressando con forza le labbra sulla parte tesa fra collo e spalla e succhiando avidamente, - Poi ci si abitua… - lo rassicurò, muovendo il dito avanti e indietro dentro di lui.
- Brian… - mormorò l’inglese, cercando di andare incontro alle spinte della sua mano, per sentir meno il fastidio, - Fai in fretta…
- Mmmmh, odio andare di fretta… - ribatté lui, mordicchiandogli la spalla e massaggiando il suo pene con maggior lentezza, - Ma in effetti siamo in un bagno pubblico alla fine di una premiazione con centinaia di ospiti… quindi è il caso di sbrigarsi.
Si separò brevemente da lui, inumidendosi il palmo della mano con la lingua e poi ricoprendo di saliva anche la propria erezione, prima di avvicinarla nuovamente all’apertura di Matt.
- Sei con me…? – gli bisbigliò all’orecchio, stringendolo per i fianchi.
Matthew annuì, respirando pesantemente.
Brian gli si spinse addosso, entrando dentro di lui con un movimento lento ma deciso, cercando di non forzarlo con troppa violenza. Matthew tornò a inarcarsi contro di lui, digrignando i denti per il dolore.
- Dio, Matt, è bellissimo… - mormorò contro la sua pelle, stringendolo fra le braccia quasi volesse cullarlo, o consolarlo, - Resisti ancora un po’…
- Cazzo… - sputò fuori Matthew, a fatica, il fiato che si spezzava ad ogni spinta di Brian, - Fa male…
- Lo so, lo so… - continuò Brian, baciandolo attorno al collo e poco più in basso, all’inizio della spina dorsale, - Resisti, resisti, poi ti abitui… Cristo, mi fai impazzire…
- Brian… - lo chiamò Matthew, cercando le sue mani per indirizzarle di nuovo verso la sua erezione.
Lui colse l’invito, avvolgendolo di nuovo fra le dita e riprendendo a masturbarlo, ora con più decisione, accompagnando ogni spinta con un movimento della mano per la sua lunghezza, cercando di muoversi in armonia per compensare il dolore col piacere, per quanto possibile.
- Ci sono, Matt… - disse dopo un po’, addentando con voracità la pelle del collo e stringendo con più forza la sua erezione, - Sei stato bravissimo, ci sono quasi… muoviti, muoviti…
E Matthew non se lo fece ripetere ancora, strinse gli occhi e i denti e gli andò incontro, una, due, tre volte, fino a quando non lo sentì stringersi di più contro di lui e penetrarlo più profondamente, per poi sbottare in un ansito di piacere e accasciarsi sulla sua schiena, mentre le sue ultime carezze lo aiutavano a venire a propria volta.
Rimasero entrambi ad ansimare contro il muro, cercando di riprendere fiato e reggersi sulle gambe senza crollare esausti sul pavimento.
- …mai più, Molko! – si lamentò Matthew, quando riuscì a ritrovare abbastanza aria per parlare, - Dio! Sei veramente allucinante!
Brian gli ridacchiò addosso, facendogli scorrere brividi caldi lungo tutta la schiena.
- Mai più, Bellamy? Eppure mi pare ti sia piaciuto, dopotutto…
Matthew strinse i denti e si staccò dal muro con un colpo di reni, spingendo lontano anche Brian.
- Come sei stupido! – commentò l’inglese, risistemandosi i vestiti, - Sei contento, adesso, vero? Hai ottenuto la tua piccola vendetta personale!
Brian sbuffò, sistemandosi a sua volta e ravviandosi i capelli con una mano.
- Sei tu lo stupido, Bellamy… non hai capito niente…
- Sì, sì, certo! – sbottò Matthew, con un atteggiamento di ribellione infantile tale che Brian pensò avrebbe tirato fuori la lingua da un momento all’altro, - Puoi anche raccontarmi balle, se vuoi! Tanto alla fine lo sappiamo, chi ha vinto!
Brian lo fissò, inarcando le sopracciglia.
- Ovvero?
Matthew sogghignò e si diresse verso il bagno da cui era uscito, rientrandovi e uscendone nuovamente subito dopo...
…recando in mano il suo stupido premio a molla.
- Io! – disse gioioso, esibendo il trofeo, mentre Brian restava ipnotizzato dal ritmico ondeggiare del coso a destra e a sinistra.
- Sai, Bellamy? Forse hai ragione. – disse infine l’uomo, facendo scrocchiare le nocche, - Credo che dovrei vendicarmi.
Matthew si tirò indietro, improvvisamente spaventato dalla nuova furia che riusciva a leggere nei suoi occhi.
- Ma non sarà certo scopandoti, che lo farò! – ringhiò infine Brian, abbattendosi per l’ennesima volta sul lavandino…
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian. ...che lo dico a fare "in un certo qual modo"? X'D
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Se c'è una cosa che Matthew ha imparato nei brevi mesi di convivenza che ha vissuto con Brian, è che ci sono degli sguardi di cui si fa meglio ad avere paura. E questa sera Brian sembra avere proprio uno di quegli sguardi lì...
Commento dell'autrice: Aaaw <3 Ok, dunque, siamo seri XD Tanto per cominciare, questa fanfiction è nata nel momento in cui Sanny mi ha passato questo filmato totalmente amabile in cui Brian esce dall'albergo a Brescia e si ferma un attimo davanti alla folla osannante per... fotografarla XD Ho passato praticamente una nottata a domandarmi per quale accidenti di motivo Brian dovesse voler fare una cosa del genere (e io MI RIFIUTO di pensare che abbia tipo una parete tappezzata di foto da guardare pensando "ah, quanta gente mi ama *____*!!!"), e questa è tipo la brillante spiegazione che ho tirato fuori dalla nottata di riflessione XD Sì, che dovete temermi non è una novità XD
Dedicata alla Sanny perché senza di lei non sarebbe mai nata <3
Brian, ti amiamo tutti ç_____ç
(E un ringraziamento doveroso alla Lemmina, assieme alla quale ho pseudo-ideato il dialogo finale fra Matt e Bri XD)
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SMILE, BRIAN IS TAKING PHOTOS!!!
Song #98. Pictures

Ossignore.
Dopo appena due mesi di gioiosa convivenza – partita nell’angoscia, ripetendosi in maniera quasi ossessiva “lo conosco da una settimana!!! Che ci faccio in casa sua?!”, e poi sfociata nell’accettazione rassegnata, ammettendo “in fondo mi conosce da una settimana anche lui e questo non gli impedisce di trotterellare allegro per casa chiamandomi ‘Matty’ come fossimo entrambi bimbi di due anni” – Matthew Bellamy non poteva ancora dire di sapere tutto del suo amante, Brian Molko.
Ma di sicuro poteva affermare con assoluta certezza di saper riconoscere certi sguardi.
Brian aveva degli "sguardi base", che Matthew era profondamente convinto fosse fondamentale conoscere, per una questione di pura autodifesa. Perché Brian sapeva come essere pericoloso. E non nel senso inquietante ma ammiccante e dunque piacevole del termine. Proprio nel senso spaventoso e crudele. Nel senso argh.
C’era lo Sguardo Del Sesso Strano, sottile e allusivo, brillante come quello dei gatti, terribilmente sexy, che ti faceva gridare mentalmente “AAAAAAH! TRAPPOLA!!!” e subito dopo “CI CASCHERO’!” con tanta entusiastica convinzione da farti sentire un maniaco sessuale più di quanto non fosse Brian stesso.
C’era lo Sguardo Del Proviamo A Cucinare, sbrilluccicoso e stupidamente felice, come quello dei bimbi, che era male puro – soprattutto perché Brian non era in grado di cucinare e utilizzava i fornelli come una parentesi fra un divertimento e l’altro o, peggio ancora, come un preliminare allo Sguardo Del Sesso Strano.
C’era lo Sguardo Dell’Usciamo Tutti Insieme, implorante e lacrimoso e dotato di Broncio Carino Capace Di Intenerire Perfino Il Cuore Più Duro, che costringeva a bighellonare felicemente per i pub di mezza Londra ubriacandosi come hooligan e finendo a fare Altro Sesso Strano in qualche anfratto buio, umido e sporco nel quale si sarebbero svegliati entrambi l’indomani mattina chiedendosi cosa diamine fosse successo e per quale motivo ci fosse un sacchetto della spazzatura aperto e svuotato e con dei fori sospetti un po’ ovunque.
E c’era anche lo Sguardo Del Proviamo A Scrivere Qualcosa Insieme, deciso e autoritario, spesso accompagnato da un’agendina rosa confetto e una penna fuxia al profumo di fragola, che era uno degli sguardi più temuti in assoluto, dato che conduceva a un momento di lirica e idiotissima commozione ogni volta che Brian se ne usciva con un “nella prossima canzone che scrivo ti dedico un verso romantico random”, che poi ovviamente portava a fare Ancora Sesso Strano in qualche metro di casa fino a quel momento non battezzato in tal senso.
…sì, in effetti era inquietante come tutti gli sguardi di Brian finissero per coincidere col sesso.
Ecco perché Brian poteva essere pericoloso nel senso argh del termine; era chiaro che in realtà non fosse un essere umano, bensì una pianta carnivora perversa intenzionata a succhiare la sua linfa vitale e ridurlo come uno di quegli omini monodimensionali tutti rinsecchiti che volano via col vento assieme alle balle di fieno nei cartoni animati!
Quella sera, comunque, sembrava essere arrivato il momento di imparare qualcosa di nuovo su Brian. Una nuova sfumatura nel suo sguardo.
Sollevò lo sguardo dal giornale e lo vide lì, in piedi davanti al letto, le gambe semidivaricate e le mani posate sui fianchi, la curva della vita morbidissima appena intuibile sotto la maglia nera.
- No, dico… - mormorò incredulo il cantante dei Placebo, - lo stai leggendo?
Matthew sospirò e pensò che se avesse avuto degli occhiali sarebbe stato divertente calarseli sul naso come un vecchio nonno e osservare la piega che avrebbero preso le labbra di Brian in una smorfia disgustata.
- Be’, sai, uno può avere degli interessi, a volte.
Brian si chinò appena, sorridendo malizioso, e si arrampicò sul materasso, avanzando come una leonessa fra le lenzuola, mentre con una mano afferrava il giornale e lo tirava verso il basso per toglierlo di mezzo.
- Mmmh, se questi interessi non comprendono il sottoscritto non sono ammessi.
Matt si tirò indietro, appoggiandosi contro lo schienale del letto e forzandosi a non sorridere e mantenere un cipiglio serio e sicuro di sé.
- Siamo in fase egocentrica, vedo. – commentò, puntellandosi il mento con l’indice, - Sì, i bambini la attraversano intorno al primo mese di vita, è normale.
Brian ridacchiò – amava sentirsi dare del moccioso, era per questo che si comportava in quel modo, ed era una delle poche cose che Matthew aveva imparato a capire con la convivenza – e poi si sedette al suo fianco con un tonfo lieve, appena percepibile.
- Mi annoio… - mugolò, spingendoglisi addosso e strusciandosi in cerca di coccole.
Sì, un paio d’occhiali da far scivolare sul naso sarebbero decisamente serviti.
- Brian… - articolò il cantante dei Muse, piegando in due il giornale e riponendolo sul comodino, - tu sei tornato un’ora fa da Madrid. Io sono tornato un’ora fa dalla Warner. Non puoi davvero avere voglia di farlo, mi rifiuto di crederlo!
Brian ridacchiò ancora, stringendosi nelle spalle.
- Se solo fossi un po’ meno distrutto, - disse, ripiegando il capo sulla spalla di Matthew, - questa frase mi avrebbe convinto che era proprio il caso di fare sesso. Fortunatamente o sfortunatamente per te, sono davvero stanco e non era con queste intenzioni che mi ero avvicinato, perciò… - si interruppe un attimo, lanciandogli uno sguardo brillante, entusiasta e vagamente malefico, - che ne dici di fare qualcos’altro?
Ah-ha! Ci aveva visto giusto! Gli stava proprio propinando uno sguardo nuovo!
Matthew incrociò le braccia sul petto e sbuffò una mezza approvazione, aspettando di vedere a che cataclisma associare quella nuova scoperta, e osservò Brian battere le manine e illuminarsi in viso, saltando giù dal letto per sparire oltre la porta della camera da letto, in corridoio, in direzione dello stanzino.
Quando Brian tornò, portava con sé, fra le braccia, una tale quantità di enormi, immensi, mastodontici album di fotografie, che dietro quella montagna di carta e cartoncino lui neanche si vedeva. C’era solo questa gigantesca pila di libroni, che caracollava felice verso il letto, minacciando una caduta e un conseguente terremoto da un momento all’altro.
- Brian… - lo chiamò Matt, svoltolandosi dalle lenzuola per correre in suo aiuto.
- A posto, a posto! – pigolò lui, allegro come un fringuello, raggiungendo finalmente il letto e rovesciando sulle coperte l’immenso ammontare di album, - Ecco quello che voglio fare!
- …rivangare i vecchi ricordi? Non ti fa bene, Bri, poi ti accigli e ti vengono le rughe.
Brian si limitò a scoccargli un’occhiataccia di rimprovero, causando le sue risatine, e poi si lasciò cadere morbidamente al suo fianco, afferrando uno dei libroni e incrociando le gambe per appoggiarlo sulle ginocchia.
- Non sono foto mie. – puntualizzò l’uomo, aprendo l’album e sollevando con cura la carta velina che proteggeva la prima pagina di foto, - Sono del mio pubblico!
- Ah, sì! – sospirò Matt, alzando gli occhi al cielo, - Questa tua abitudine idiota…
- Non è un’abitudine idiota! Mi piace fare le foto alla folla che mi aspetta quando esco dall’albergo!
- Mi sono sempre chiesto perché… me lo spieghi?
Il sorriso entusiasta sul volto di Brian si trasformò all’improvviso in un ghigno malefico, mentre batteva un paio di volte l’indice su una foto e scrollava appena le spalle.
- Mi piace riguardarli dopo e pensare a quanto sono ridicoli.
Matthew spalancò gli occhi. E con gli occhi spalancati continuò a fissarlo, mentre il proprio cervello faceva tutta una serie di connessioni, riportava alla luce certi avvenimenti passati e comprendeva che un’affermazione simile era del tutto inaccettabile.
- Come?!
Brian sghignazzò felice, abbassando lo sguardo sulla prima foto e lasciandosi andare ad un pfft di derisione pura.
- Be’, sì! Insomma, guardali! Questo è il primo album che ho, è del novantasei…
- …Brian, sarebbero tipo tuoi fan questi!
Lo sguardo che Brian gli lanciò gli diede l’esatta misura di quanto capisse la rimostranza.
Ovvero per niente.
E la cosa lo offese indicibilmente.
- Dunque? – chiese infatti, sbattendo le ciglia come un cerbiatto.
- …dunque è gente che ti ama! – protestò, gesticolando, - E nel novanta percento dei casi ti rispetta, anche! E tu… tu…!
- No, ma Matty, li hai visti?
- Non è una questione di-
- Oh, Matt, che è una questione di. Coraggio, dai un’occhiata. – lo incitò, aprendogli l’album proprio sotto il naso.
Controvoglia – e lievemente spaventato dalla possibilità di vedere cose che avrebbe preferito rimuovere – Matt guardò.
E nella prima, confusionaria foto, il suo sguardo venne attratto da un ragazzino dall’aria familiare, che all’epoca avrà avuto non più di quindici anni, e che andava in giro con un giacchetto peloso rosso in tutto e per tutto uguale a quello che Brian indossava nel video di Teenage Angst.
- Ossignore… - disse a mezza voce, arrossendo furiosamente, sporgendosi per guardare meglio mentre Brian rideva e commentava “Visto che è questione di?”.
Chiuse di scatto l’album, lanciandolo ai piedi del letto tra i gridolini concitati di Brian che lo pregava di far piano, perché erano pezzi d’antiquariato.
- Quello che stavo cercando di dire, Brian, - disse, tentando di riacquistare la calma, - è che sono esseri umani che meritano rispetto a prescindere da come si vestano e a prescindere che vengano o meno ai tuoi concerti! – s’infervorò, sbuffando sonoramente.
- Ah, non capisco perché tu te la stia prendendo tanto! – sbottò Brian, afferrando un altro volume dalla pila ormai disgregata sul materasso e aprendoselo sulle gambe, - Fino a quando è gente che non conosco, non vedo perché dovrebbe fregarmene qualcosa.
- Gente che non… - annaspò Matthew, osservandolo sfogliare l’album con noncuranza, - Brian, sono loro che ti hanno permesso di diventare quello che sei oggi! Loro, col loro amore, e la loro devozione, e-
- Sono balle, Matt! – rispose tranquillamente Brian, inarcando le sopracciglia con supponenza, - Io sono sempre stato quello che sono oggi.
- Non intendevo in questo senso! – protestò Matt con veemenza, - Se oggi sei famoso e pieno di soldi lo devi a n- a-a-a loro!!!
Brian lo osservò con interesse, come volesse cercare di capire cosa diavolo gli frullasse nella mente. Matthew si augurò che non ci arrivasse, e tirò un sospiro di sollievo quando lo vide sbuffare, scrollare le spalle e tornare a immergersi nella complicata operazione dello spulciare le varie foto d’epoca senza rovinarne alcuna, dimentico di tutto il resto.
Ma fu un momento di effimera pace, breve quanto illusorio. Quando lo sguardo gli cadde sulla pagina che Brian stava osservando, notò un’altra di quelle cosa che avrebbe preferito chiudere a chiave in un baule da gettare sul fondo del Tamigi: un altro ragazzino familiare. Diciassette, massimo diciott’anni. Una sgargiante magliettina rosa con la stampa “Nancy Boy” in fucsia glitterato sul petto e pantaloni di pelle nera attillati e dalla vita talmente bassa che s’intravedevano le mutande subito sotto – rosa e glitterate anch’esse.
Signore, signore, signore benedetto!!!
- BRIAN! – strillò all’improvviso, per richiamare la sua attenzione.
Brian sollevò lo sguardo e lo fissò stupito, chiedendosi probabilmente per quale motivo il proprio amante avesse deciso di passare la serata a sclerare come una donnetta isterica.
Matthew si rese conto di non avere nulla da dire e andò nel panico.
- Cioè… - abbozzò, guardandosi intorno terrorizzato, - G-Guarda questa foto!!! – disse, voltando pagina all’improvviso e puntando l’indice sulla prima fotografia che trovò, cercando di distrarre Brian dall’altra, - Non sono proprio ridicoli?
Brian ghignò, mostrando i denti.
- Hai visto, Bellamy? Anche tu sei stregato dal fascino della presa per i fondelli!
L’unica cosa che mi strega è il terrore che tu possa riconoscere la mia faccia in mezzo al marasma, mettere in moto i neuroni, fare due più due e ridere di me fino alla fine dei tuoi giorni!
- Per esempio, guarda questo. – continuò seriamente Molko, grattandosi il mento con due dita, - Non so per quanti secoli ho parlato con Stef di questa maglietta a pois, dopo la fine del concerto! Era semplicemente indecente!
Maglietta a pois…
- Poi questi pallini verde acido sul porpora stavano veramente ma veramente male…
Verde e porpora…
- Per non parlare dei pantaloni di lino a righe orizzontali colorate stile “non-avevo-cosa-mettere-perciò-ho-frugato-un-po’-nell’armadio-da-hippy-della-mamma-e-questo-è-ciò-che-ho-pescato”!!!
Pantaloni, righe orizzontali, hippy, mamma, argh!
Afferrò l’album e lo richiuse con un colpo secco, lanciandolo così lontano che per poco non cadde sul pavimento del corridoio.
- Matthew! – lo sgridò Brian, sconvolto, - Se quando lo recupero vedo che ha anche solo un minuscolo strappo, giuro che ti metto lì a incollarlo con lo scotch per tutta la notte!!!
- Oh, come la fai grossa…! – cercò di sminuire lui, - Sono solo un paio di metri!
Brian sbuffò contrariato, e si piegò per raggiungere e recuperare il terzo album.
E il cervello di Matt esplose.
Sulla copertina campeggiava orgogliosa la scritta 2000.
Duemiladuemiladuemila…
Del duemila ricordava il tour dopo Showbiz, ovviamente.
Duemiladuemila…
E il lavoro sfiancante a Origin Of Symmetry.
Duemila.
E Taste In Men.
Come la quasi totalità della popolazione pseudo-pre-post-adolescente di quel periodo.
Ad ottobre, alla Brixton Academy, c’era pure lui.
…con un dannatissimo paio di pantaloni di velluto a costine viola e la camicia coi volant rossi PEGGIORE dell’universo intero.
E i capelli di Bliss, chiaramente.
- Brian, tesoro! – gridò, saltandogli letteralmente addosso e facendo capitombolare l’album lungo il fianco del letto, fino al pavimento, - Non senti anche tu improvvisamente freddo?
Brian spalancò gli occhioni e lo fissò, confuso.
- Matthew, ma sei sicuro di stare bene…? – chiese in un soffio, - Mi sembri strano…
Matthew non perse tempo prima di annuire con decisione.
- Certo che sto bene!!! È che tu sei… sei… - oddioddioddio tira fuori qualcosa immediatamente!!! – sei così sexy che è impossibile resisterti!!!
L’altro lo guardò storto, inarcando le sopracciglia e osservandosi attentamente subito dopo. Indossava un paio di pantaloni grigi in tessuto vagamente spugnoso e una maglietta comprata a Disneyland quando aveva tipo diciott'anni. E Brian Molko aveva un'altissima opinione di sé, ma in quel preciso istante non si sarebbe dato del sexy neanche se fosse stato eccitato come un mandrillo.
- Decisamente hai qualcosa che non va. Non me la racconti giusta. – constatò, scrollandosi Matt di dosso come un vecchio scialle e rimettendosi seduto, gambe e braccia incrociate.
- Che c’è?! – saltò su Matt, spaventato dalla possibilità di veder crollare la sua blanda difesa, - Non posso trovarti sexy?! Io ti trovo sexy! E quindi?!
- Matthew… - sospirò Brian, inclinando il capo, - sentirmi amato è stupendo, sai, ma a parte il fatto che Dio, hai visto come sono conciato?, tu non sei esattamente il tipo da dirmi “sei sexy” e saltarmi addosso in questo modo…
- Comecome?! Che dici?!
- È vero… - annuì Brian, come a darsi ragione da solo, - A parte il fatto che generalmente sono io a dover saltare addosso a te… - mugugnò, quasi deluso, - le rare volte in cui sei tu a prendere l’iniziativa… non sei granché loquace
- Loquace!!! – scattò Matt, percependo nella propria voce una nota isterica che lo terrorizzò, - Io sono loquacissimo! Io loquo di continuo!!! Sono l’essere più loquace dell’intero universo!!! Mi senti, come loquo bene?!
- …ok. – concluse Brian, sbattendo un paio di volte le palpebre, - Se anche prima non ne fossi stato certo, direi che adesso non ci sono più dubbi. Tu hai dei problemi. Gravi. Parliamone.
- Il mio problema – sbottò Matthew, evitando il suo sguardo, - è che tu sei un… un essere crudele che non mostra rispetto per chi lo ammira!
Brian dischiuse le labbra, fissandolo con occhi enormi.
- Ma si può capire perché continui a tirare fuori quest’argomento? Guarda che siamo passati avanti…
- Non c’entra! Non parlavo dei fan! – si difese concitatamente, sentendosi come se stesse cercando di aggrapparsi alla superficie di uno specchio, - Parlavo di me! Non rispetti me!
- Matthew, santo cielo, mi sei saltato addosso dopo che mezz’ora fa sei sbottato in un surrogato di “ho mal di testa” per evitare che fossi io a saltarti addosso! Scusami se voglio vederci chiaro!
- Io non ho mal di testa!
Il cantante dei Placebo sospirò, picchiettando con l’indice sull’interno del gomito.
- Okay. – disse infine, - Te lo concedo. Ma adesso sono stanco e molto seccato da tutto questo, perciò lasciami prendere i miei album e fammeli sfogliare in santa pace, prima che…
Matthew rabbrividì.
E Brian se ne accorse.
Lanciò un’occhiata agli album.
E di nuovo al suo uomo.
- Prima che… - ripeté, allungando una manina titubante verso uno dei libroni.
Matthew deglutì.
Brian ghignò.
- AHA! – rise, - Ci sono!
Ossignore, ossignore!!!
- C’è qualcosa negli album!
Mio Dio!
- C’è qualcosa che non vuoi vedere! O peggio… qualcosa che non vuoi che io veda!!!
È la fine! La fine di tutto!
Brian spalancò un volumone a caso e puntò il dito su una foto a caso e su un ragazzo a caso, e quel ragazzo a caso era Matthew.
Grazie, signora Sfiga! Mi ricorderò di te, quando il mondo sarà preso dagli alieni!
- Ta-dah! – strillò, felice come avesse vinto un premio, - Adesso è tutto più chiaro! Ossignore, Matthew! Che razza di camicia tutta trine è questa?!
Il periodo trine e merletti!!! Dio, il periodo trine e merletti non l’avrebbe mai abbandonato!!!
- Sei anche qui!!! Perché hai una parrucca emo?!
Non era una parrucca emo, erano i suoi dannatissimi capelli!
- Matthew!!! Ma hai una maglietta con la mia faccia qui! Dio, che orrore!
E dire che lui se l’era fatta stampare con tanto affetto…!
- Santo cielo, ma sei ovunque! Abbiamo fatto centinaia di concerti e tu sei o-vun-que!!!
Bene.
Sarebbe stato sfottuto a vita.
A vita!!!
Sfiancato e depresso, si lasciò andare contro il materasso, mugolando di dolore.
Fra una strizzata di palpebre e l’altra, poté vedere Brian illuminarsi e sorridere malefico una volta di più.
- Ora che ci penso… devo giusto controllare le foto che ho fatto a Brescia… - sibilò in un ghigno, - Tu non c’eri mica, eh, Matt…?
Mentire non aveva senso.
Ma Matthew lo fece comunque.
- No che non c’ero. – disse, privo della benché minima convinzione, coprendosi gli occhi con entrambe le mani.
Brian ridacchiò felice, pregustando la quantità enorme di prese in giro che avrebbe potuto organizzare ai suoi danni quando l’avesse visto immortalato nelle foto con qualche altra mise assurda.
Ma nulla di ciò che aveva preventivato avvenne. Tanto che appena Matt si accorse del suo prolungato e attonito silenzio, si costrinse a liberare gli occhi dal braccio che li copriva, per lanciargli uno sguardo e assicurarsi che fosse ancora vivo e integro.
E Brian probabilmente era vivo, ma di sicuro non era integro.
Fissava inorridito una foto appena tirata fuori da una busta gialla, le labbra dischiuse e gli occhi spalancati.
- ...questo è... è il massimo...
Matthew tornò a coprirsi gli occhi.
Ricordava come s'era presentato al concerto di Brescia.
- E' proprio il massimo... - continuò Brian, disgustato, - Non ho mai visto niente di peggio... tutti i vestiti che hai usato le altre volte, in confronto erano... dignitosi!
Matt si lasciò sfuggire una risatina.
In realtà, la semplice maglietta nera e i jeans chiari che indossava a Brescia erano probabilmente le cose più normali che avesse mai messo per un concerto.
Solo che...
- No, dico come hai osato presentarti a un mio concerto con la maglietta dei Muse?! - strillò Brian, offeso a morte, sventolandogli la foto davanti al viso, - Guardati! Tutto arzillo e sorridente fuori dall'albergo mentre sfoggi quel... quell'orrore!!!
- Bri... - mormorò, tornando a coprirsi gli occhi con l'avambraccio, - io vengo per supportarti, perché ti amo. Dovresti esserne orgoglioso, invece di lamentarti! C'era un uomo con la maglietta dei Muse... a un tuo concerto!
- Demente! - protestò Brian, fissando la foto e poi lui come volesse stracciarli entrambi in due, - Primo: perché avere un uomo con la maglietta dei Muse a un mio concerto dovrebbe rendermi orgoglioso?! Mica significherebbe che avrebbe smesso di ascoltare la pseudo-musica che fate per seguire la giusta via!
Matthew mugolò un dissenso, qualcosa di troppo simile a un "Proprio tu parli di pseudo-musica?" perché Brian potesse prenderlo davvero in considerazione.
- E poi, santo cielo, quello mica è un uomo random! Sei tu!!! Cosa me ne faccio di un te con una maglietta dei Muse a un mio concerto?! E' delirante!
Matthew si rigirò sullo stomaco, sentendosi morire di stanchezza.
- Senti, Brian. - disse esasperato, - Sinceramente non lo so. Volevo solo evitare che mi vedessi conciato in quel modo, ma se devo dire la verità ora che hai visto tutto mi sento anche meglio... sono più libero, capisci?
- No! L'unica cosa che è cambiata da prima ad adesso è che ora ho la prova fisica che idiota lo sei sempre stato e non è colpa mia, come la stampa si ostina a dire!
- Oh, be', se ti fa piacere metterla in questi termini... - disse Matthew, ormai talmente stanco che, se anche Brian gli avesse proposto di appendersi per le mutande fuori dal balcone, si sarebbe limitato a rispondere "ci farò un pensiero, Bri", per poi piombare nel sonno, - Io preferisco pensare che adesso siamo pari. D'altronde, io conosco tutte le oscenità che hai usato per concerti e interviste nel tuo passato... era frustrante che tu non conoscessi le mie. Ero sempre agitato e spaventato! Ma adesso non più!
- Matthew, ma i miei vestiti li conoscono tutti, mica li conosci solo tu! Le tue oscenità invece sono solo mie! E' un peso troppo grande perché possa portarlo da solo! Permettimi di dividerlo col resto del mondo!
- Mai!
- Ma Matt-
- Li brucio! Li brucio tutti! - lo minacciò duramente, scoccandogli un’occhiata infuocata da sotto il braccio, - Sei avvertito!
Brian abbassò lo sguardo, mugugnando indispettito.
Poi sul suo volto si aprì l'ennesimo sorriso crudele, e Matthew riconobbe lo Sguardo Dell'Adesso Ti Dico Una Cosa Orribile Per Concludere La Serata In Bellezza.
- In ogni caso è incredibile, Bells... nei vostri magazzini restano così tante magliette che siete costretti a comprarvele da soli e andarci pure in giro per farvi pubblicità ai concerti altrui...?
Matthew si sollevò appena dal cuscino, guardandolo attentamente.
Poi sorrise a sua volta. Lo stesso identico sguardo crudele riflesso negli occhi.
- Sai, Brian... la cosa veramente divertente non è che tu scatti foto ai tuoi fan per prenderli in giro quando hai una serata libera... ma che loro continuino a venirti a vedere nonostante l'età!
E dopo aver sganciato la bomba, tornò ad accomodarsi placidamente sul materasso, sprofondando quasi immediatamente nel sonno, mentre ancora sentiva sempre più deboli le urla di Brian che strepitava "a chi hai detto vecchio, dannato moccioso merlettato?!".
Sì, magari i merletti l'avrebbero perseguitato per sempre.
Ma mai quanto quei dannatissimi cinque anni in più avrebbero perseguitato Brian da quel momento in poi!
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian. Be', sì XD
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Una notte, Matthew si sveglia d'improvviso e chiede al suo uomo se pensa che sia gay o bisessuale. E questo è solo l'INIZIO del disastro.
Commento dell'autrice: Avete assistito alle nuove quasi-dieci pagine di follia made by liz ^___^ (come se ne sentiste il bisogno…).
Anyway, è tutto vero >O< Matthew è gay. Non può essere altrimenti!
Nah, si scherza :D
Grazie alla Nai per il betaggio >.<
Dedicata con affetto enorme a Bea, che illuminandomi sulla palese gayezza (o era gaytudine?) di Supermassive Black Hole mi ha aperto un nuovo mondo çoç E all’Ele, perché… siamo in sintonia in questo senso <3
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ASK FOR ANSWERS
ovvero
Capra E Cavoli

Quando aprì gli occhi, si spaventò.
- Matt! – strillò agitato, scattando a sedere sul letto, - Che diavolo hai?
Matthew Bellamy, il suo uomo, stava fissando la parete di fronte al letto con sguardo vacuo e labbra dischiuse. Come ipnotizzato. O come fosse totalmente pazzo.
Cosa che in effetti era. Dannazione!
- Matthew! – chiamò ancora, sempre più sconvolto, - Matt, ti dai una svegliata e mi dici cosa c’è?
Lui si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo, ruotando appena il capo sul collo – e fu una visione talmente inquietante che Brian a un certo punto pensò che l’avrebbe visto fare come la bambina protagonista dell’Esorcista, e che si sarebbe trovato a fissare negli occhi un Matt con la testa avvitata sul collo come una lampadina. Ma la testa di Matt non ruotò così tanto, e quindi Brian si ritrovò a fissare solo un enorme paio d’occhioni cucciolosi celesti che imploravano aiuto dal fondo della confusione mentale in cui erano intrappolati.
“Avrà fatto un brutto sogno”, si disse, sorridendo teneramente e cingendolo con un braccio intorno alle spalle per abbracciarlo.
Ma Matthew Bellamy non poteva certo lasciarsi consolare senza approfondire l’argomento, no.
Lui doveva esprimersi.
- Brian… - disse, col tono infantile e dispiaciuto di chi sa che sta per fare una domanda sciocca, ma non per questo si fermerà, - secondo te io cosa sono?
Brian lo guardò, inarcando le sopracciglia.
- Pensavo un “essere umano”, ma ormai comincio ad avere dei dubbi.
- …
- Sicuramente nella tua linea genealogica ci sono delle capre. Ed evidentemente, per i principi mendeliani, tu presenti i caratteri recessivi di questa tua discendenza.
Matthew lo fissò, attonito e perplesso, per molti secondi.
Poi scosse il capo.
- Sì, ok. – disse condiscendente, annuendo convinto, - Ma io dicevo… secondo te, no?... cioè, visto che hai anche più esperienza di me a riguardo… insomma, io sono gay o bisessuale?
Anche Brian lo fissò, cercando di capire se fosse serio e arrendendosi al fatto che, come sempre, quando si trattava di idiozie colossali, lo era.
- Capra. – concluse tranquillamente, con un lieve sbuffo di disapprovazione.
Quello fu abbastanza perché Matt cominciasse ad agitarsi sul posto, cercando di svoltolarsi dalle lenzuola per protestare con più veemenza contro il suo uomo insensibile.
- Perché mi dai della capra?! – strillò l’inglese quando riuscì nell’impresa, - Io ti ho fatto una domanda seria!
Brian sospirò, tornando a distendersi sul cuscino e sistemandosi le lenzuola sul petto.
- Matt, perché dev’essere un problema? – chiese, per poi passare a spiegare pazientemente la sua teoria, - Quando ti fai domande simili, risponditi che lasci che la tua sessualità fluisca liberamente dove vuole. Questione risolta.
- …perché questa frase non mi è nuova? – domandò Matt, guardandolo di sbieco e gonfiando le guance come uno scoiattolo.
- Perché è quella che si rifila ai giornalisti impiccioni. – rispose Brian con naturalezza, osservando le unghie ancora perfettamente laccate di nero.
Matthew lo guardò per qualche secondo, prendendosi il tempo necessario per realizzare.
- Bri. – lo richiamò poi a bassa voce, - Mi stai liquidando senza darmi retta?
Brian sorrise appena, guardandolo furbescamente di rimando.
- Adesso è la tua parte umana a parlare… - commentò soddisfatto, rivoltandosi sul materasso e prendendo a far dondolare le gambe sotto le lenzuola.
Matthew incrociò con disappunto le braccia sul petto.
- Ok. – borbottò deluso, - Ho capito. Se mi aspetto una soluzione da te, posso aspettare anche in eterno!
- Come sarebbe a dire “una soluzione”?! – si lamentò Brian, lasciandosi andare sul cuscino con un movimento stanco, - Ti aspetti davvero che sia io a definire la tua sessualità?
- Be’! – disse Matt, allargando le braccia, - Scusa se ti ho preso per un uomo sensibile che avrebbe potuto aiutarmi!
Brian si limitò a sospirare pesantemente, chiudendo gli occhi e ripetendosi di star calmo e dormire, ché quella follia prima o poi sarebbe passata come in passato erano volate vie le allucinanti tinture per capelli e le camice a righe bianche e gialle con il panciotto.
- Chiederò a Dom. – mormorò appena Matt, accomodandosi disteso al suo fianco e spegnendo il lume sul comodino per tornare a dormire, - Lui di sicuro saprà darmi una mano.
*
- Tu sei pazzo. – disse semplicemente Dominic, guardandolo con occhi vuoti.
- Non dire così! – si lamentò Matthew, stringendo i pugni come un bambino deluso, - Ti ho solo chiesto se pensi che io sia gay o bisessuale!
- Non è questo!!! – strillò Dominic, allargando le braccia in un gesto esasperato, - Per quanto sia già assurdo essere presi alla sprovvista con una domanda simile alle otto e mezzo del mattino, Matthew, è il discorso che hai fatto prima che mi ha sconvolto!
- Uh? – uggiolò Matt, come cadendo dalle nuvole, - Non capisco. A cosa ti riferisci? Al fatto che ho detto “tu che sei gay…”?
- ESATTO, Bellamy!!! Io non sono gay!
Chris scelse quell’esatto momento per apparire dal corridoio e sgranare gli occhi, avvicinandosi ai due litiganti.
- Che diavolo sta succedendo? – chiese curioso, incrociando le braccia sul petto, - Non mi pare che generalmente tu abbia bisogno di fare dichiarazioni simili così presto al mattino… - commentò, ridacchiando lievemente in direzione di Dom e poi restando in ascolto.
- Matthew è un idiota! – rispose semplicemente Dominic, cercando di fuggire attraverso la porta mentre Matt lo arpionava per un braccio, tenendolo fermo.
- Chris! Dom non mi capisce!
- E cos’è che non capisce?
- Sono venuto qui, disperato, mettendo il mio cuore nelle sue mani e chiedendogli se pensava che fossi gay o bisessuale e lui-
- A-Aspetta un attimo, Matt… - lo interruppe il bassista, aggrottando le sopracciglia, - cos’è che ti fa pensare che Dom possa avere la risposta per una domanda simile?
- Perché lui è gay! – asserì il cantante con estrema decisione, mentre Dom esplodeva in un potentissimo grido esasperato e Chris scuoteva il capo.
- Matt… - cercò di spiegare, liberando Dom dalla stretta, - Dominic non è gay. Non lo è mai stato.
- BALLE! – strillò Matt, riafferrando Dom per la collottola e scuotendolo energicamente, - Lui è stato assieme a Roger Teabing, al liceo! Non è che lo guardava da lontano e ci fantasticava, no! Lui c’è stato! A scuola lo sapevano tutti!
Chris sospirò, mentre Dom urlava ancora.
- Dominic, calmati. – disse il bassista, tappandogli la bocca, per poi tornare a rivolgersi al cantante, - Matthew, anche a te piaceva Roger Teabing. Perdio, a tutti piaceva Roger Teabing! E lui era una puttana, s’è ripassato tipo mezza scuola, e-
- Non ha mai ripassato me!!! – gridò Matthew, mollando all’improvviso Dominic per portare le mani ai capelli in un gesto disperato.
- …okay. Sorvolerò su quest’ultima cosa che hai detto. Il punto è, Matthew, che da quel momento Dom non è mai stato con nessun maschio, e che, per quanto ne so, relega Roger Teabing nella “parte dell’adolescenza di cui preferirebbe non parlare mai più”. È così, Dom?
Dom annuì con decisione, così velocemente che Chris temette per il suo collo.
- Quindi. – continuò il bassista, cercando di risolvere la situazione, - Il problema sarebbe…?
- Il problema è – inizio Matt, infervorandosi, - che ho bisogno di sapere se avete notato qualcosa… qualcosa di strano! Nei miei comportamenti, nei miei modi di fare… qualcosa che possa aiutarmi a stabilire se sono gay o no!
Dom strillò ancora una volta – evidentemente il fatto che Matt avesse riportato a galla una parte oscura e tranquillamente dimenticabile del suo passato aveva bruciato tutti i neuroni che gli erano rimasti.
Chris si limitò a guardare il proprio cantante con aria interrogativa, per poi esplodere in un ennesimo sospiro e scuotere il capo.
- Matthew. – disse dolcemente, con pazienza, - Ti scopi Brian Molko. Cioè… Brian Molko. Mi pare evidente che la tua sessualità è quantomeno… disordinata. Ma al di là di questo, che differenza vuoi che faccia? È… Brian Molko! Non puoi mica angosciarti perché non sai se ti piace scopare con gli uomini o con le donne o con entrambi… Molko è entrambi!
- Tu non capisci! – continuò Matt, intenzionato a non arrendersi, - Per me è importante! Ho bisogno di definirmi come persona! Ho bisogno di saperlo! E per inciso, Brian non è entrambi, Chris!
Il bassista si limitò a scrollare le spalle mormorando “be’, se lo dici tu…” e dirigendosi con aria neutra verso un divano, sul quale si abbandonò, prendendo a sfogliare distrattamente una rivista.
Dominic, frattanto, era tornato in sé.
- Senti, Matt. – disse, più per chiudere definitivamente l’argomento e rimandare Teabing negli abissi della memoria dal quale era stato riesumato, che per desiderio effettivo di aiutare il proprio migliore amico, - L’unico modo per uscire da questa situazione è rapportarti con gli altri. Guarda le persone! Frequentale! Insomma, Dio mio, sei passato da Gaia a Brian senza neanche prenderti un attimo di pausa! Devi volare di fiore in fiore, vedere che effetto ti fanno anche le… le margherite, e le… le violette! Mica solo… chessò, rose e gelsomini!!!
E questo fece accendere qualcosa negli occhi di Matthew.
Un qualcosa talmente inquietante che Dom si pentì subito di aver parlato.
- Matt… - cercò di chiamarlo, ma era già troppo tardi. Matthew si stava dirigendo a passo spedito e deciso verso l’ufficio di Tom
Ufficio nel quale irruppe gioiosamente, strillando “Tom! Credo di essere gay! Indiciamo una conferenza stampa!”, con l’unico risultato che il manager cadde dalla sedia e rischiò seriamente di spaccarsi l’osso del collo.
Presagendo la catastrofe, Dominic si introdusse a sua volta nella stanza, guardandosi intorno con occhi spaventati alla ricerca di Tom, che nel frattempo stava faticando per riemergere dal pavimento sul quale si era abbattuto.
- Cos’è che ha detto…? – furono le prime parole del povero Tom, quando riuscì a risollevarsi e riprendersi almeno un po’.
- Ah! Non chiedermelo! – si lamentò Dominic, agitando le mani, - È da quando è arrivato che dice idiozie e cerca di far decidere agli altri se è gay o no! Scommetto che è stato Molko a ficcargli qualche strana idea in testa…
- Va bene. Okay. – disse Tom, massaggiandosi le tempie e riportando l’attenzione su Matthew, che aspettava trepidante una sua risposta, - Matt, di che diavolo blateri?! Una conferenza stampa? Per dire cosa?!
- Dom mi ha convinto che-
- Dom non ti ha convinto di niente! – lo interruppe il batterista, arrossendo d’improvviso al ricordo delle idiozie che gli aveva detto per tranquillizzarlo.
- Sia come sia! – sbuffò Matthew, contrariato, - Adesso so come posso stabilire se sono gay o no!
- E come? – chiese Tom, per pura formalità, dal momento che già sapeva che risposta avrebbe dato Matt.
E infatti lui non lo deluse.
- Devo chiederlo a più persone possibile! Anzi, devo chiederlo a più giornalisti possibili! Loro sono abituati ad osservare, a prendere appunti, a ricordare le cose! Di sicuro sapranno darmi una risposta!
- Certo, Matt… - lo blandì Tom, condiscendente, - Ma vedi, questa cosa si chiama suicidio mediatico. Vuol dire che vai lì e consapevolmente prendi il tuo povero corpo e lo lanci ai lupi affamati, incitandoli a divorarti. Capisci cosa voglio dire?
- …no. Voglio solo parlare con i giornalisti! Che sarà mai?
- Che sarà mai?! – gridò Tom, evidentemente giunto al limite della propria capacità di sopportazione, - Capisco che tu possa esserti confuso con la metafora dei lupi famelici, ma la parola “suicidio” avrebbe dovuto metterti in guardia, no?!
Matthew si adirò, ed era lì lì per ribattere che non aveva alcuna intenzione di suicidarsi ma solo di parlare, e che se Tom non capiva le diverse sfumature di significato delle due parole era palesemente un cretino, quando Alex Weston apparve sulla soglia della porta, splendido sorriso predatore sul volto e criniera ricciuta come sempre sciolta sulle spalle, avanzando sicura di sé come una pantera in battuta di caccia.
- Allora! – esordì con una mezza risata, - Questa storia di Matthew che indaga sulla propria identità sessuale è vera o è una chiacchiera da assistenti repressi?
- Ossignore! – esclamò Tom, sconvolto, - Matt! Ma a quante persone l’hai detto?!
- Be’… - si giustificò lui a mezza voce, - Quando sono arrivato non riuscivo a trovare Dom… e così ho chiesto un po’ in giro…
- Mi auguro che in giro tu abbia chiesto dov’era Dominic!!!
- No. – rispose innocentemente Matthew, - Ho chiesto a chi incontravo se loro pensavano che fossi gay o no.
- Oh, tesoro! – esclamò Alex, stringendolo fra le braccia ed avvolgendolo in una nuvola di Chanel, - Sei così carino! Per curiosità, - aggiunse poi, con una risatina maligna, - i risultati del sondaggio quali sono stati…?
- Ho scoperto che tante persone credono che io sia stupido! – rispose Matt, agitandosi, - Il che è assurdo!
- Povero caro… - continuò Alex, sghignazzando tanto che non riusciva più neanche a darsi una parvenza di serietà, - Questo non c’entra niente con la tua sessualità!
- È quello che dico anche io! Se io vengo da te e ti chiedo “credi che io sia gay o bisessuale?”, tu non puoi rispondermi “secondo me sei stupido”! Cosa c’entra?!
- Quanto hai ragione, amore! – rise Alex, stringendolo di più perché non notasse la palese ombra di derisione che le oscurava lo sguardo, - Il mondo è cattivo con te!
- Anche Brian lo è stato! – proseguì Matt, contento di aver trovato finalmente qualcuno in grado di capirlo, - Quando l’ho chiesto a lui mi ha dato della capra!
- Non capisco come sia possibile! – sbuffò Alex, lasciandolo finalmente andare e mettendo le mani sui fianchi, - E come intendiamo risolvere questa spiacevole situazione?
- Io vorrei indire una conferenza stampa! – disse Matt con convinzione, - Ma Tom non vuole lasciarmelo fare!
La stessa luce che si era accesa poco prima negli occhi di Matt si accese anche in quelli di Alex. Ma nelle sue iridi verdastre assunse una sfumatura semplicemente demoniaca, una di quelle sfumature che volevano dire “ho trovato un nuovo modo osceno per far soldi”, e che mettevano sempre in agitazione il povero Tom.
- Una conferenza stampa…? – ripeté la donna come stesse recitando un incantesimo, - Be’, io non ci vedo niente di male.
- Ecco! Sapevo che sarebbe successo! – disse Tom, portando le mani ai capelli e cominciando a sudare, - L’idiota e il diavolo! Un dramma!
- Oh, Tom! Non farla così grave! – disse Alex, ragionevole, aiutandolo a sedersi e sistemandosi poi di fronte a lui, senza dimenticare di appoggiarsi sulla scrivania, per guardarlo dall’alto e non perdere il dominio della situazione, - Prova a pensarci: tutti i suoi problemi relazionali sarebbero risolti! Avreste un leader finalmente sereno, rilassato, felice… insomma, normale! E poi è notorio che fare outing aiuta… pensa a Brian!
Brian passò davanti alla porta dell’ufficio – ancora aperta – proprio in quel momento. Aveva gli occhi persi in una quantità infinita di scartoffie – i fogli che teneva fra le mani erano così tanti che davano l’impressione di dover cadere a terra da un momento all’altro – e un paio di cuffiette affondate in profondità nelle orecchie, e camminava velocemente, con incedere quasi isterico, borbottando a mezza voce frasi incomprensibili, intervallate con convinti “sì” o delusi “no”.
- …normale, dicevi…? – esalò Tom, sconvolto, mentre Alex ridacchiava imbarazzata.
- Secondo me siete tutti pazzi. – concluse Dominic, imboccando la porta per fuggire da quella situazione, - So già come finirà questa storia, e so già di non volerci avere niente a che fare.
*
Puntualmente, due ore dopo, la sala conferenze era gremita di giornalisti affamati di notizie, e Tom e i Muse – sudati e imbarazzati come mai, ad eccezione di Matt, che sembrava in agitazione solo perché la discussione che stava per avere luogo avrebbe, a sua detta, “cambiato la sua vita” – stavano seduti al tavolo, aggiustando nervosamente giacche e cravatte e sbottonando colletti quando eccessivamente stretti, mentre Alex, Stef e Steve monitoravano la situazione dal fondo della stanza e cercavano di riportare un Brian, ancora impegnato in chissà cosa, alla realtà.
- Io vorrei solo capire… - borbottò Dom, guardandosi intorno con fare isterico, - perché anche noi?! È lui l’omosessuale!
- Sta’ un po’ zitto, Dom! – lo rimproverò Tom, - E poi è sempre meglio essere uniti e compatti di fronte alle disgrazie. Sarà più facile salvare Matt e i Muse dal disastro, se staremo insieme!
Inutile dire che l’arringa non convinse affatto il batterista, che incrociò le braccia sul petto e guardò altrove, concentrandosi fortemente sul pensiero “in realtà non sono qui, sono alle Hawaii e una bella isolana sta ballando per me vestita solo di gusci di cocco”.
In quel momento, Matthew decise che aveva aspettato abbastanza e che era il momento di risolvere la questione. Prese il microfono fra le mani, si schiarì la voce, aspettò imbarazzato che il microfono smettesse di fischiare per protesta e infine parlò.
- Secondo voi… - chiese esitante, guardandosi intorno, - io sono gay?
Il momento di silenzio che seguì fu il più carico di aspettativa della storia di tutti i silenzi.
Ma non ebbe una conclusione soddisfacente.
I giornalisti, infatti, invece di rispondere alla domanda, letteralmente assaltarono i propri taccuini, prendendo a scrivere come forsennati e implorando i colleghi perché facessero riascoltare loro la registrazione, per descrivere ogni sfumatura della voce di Matthew Bellamy che confessava al mondo la propria omosessualità.
- No, no! – disse Matt, comprendendo che la piega che la situazione stava prendendo non era quella che lui si sarebbe aspettato, - Non stavo dicendo di essere gay! Avete capito male!
Tutti i giornalisti si fermarono d’improvviso, le penne a mezz’aria e qualche ghirigoro scarabocchiato sui fogli a quadretti.
- Stavo chiedendo a voi se pensate che io sia gay! – precisò con foga, alzandosi dalla propria seggiola e andando a sedersi in punta sulla pedana, i piedi dondolanti nel vuoto, molto più vicino ai giornalisti di quanto non fosse prima e ben deciso a dare il via a un serio dibattito sull’argomento.
E mentre Tom organizzava le guardie del corpo perché fossero pronte a recuperare il frontman prima che venisse mangiato vivo, successe l’impensabile.
Ovvero, i giornalisti cominciarono effettivamente a discutere.
Ipotizzavano.
Facevano esempi.
Riportavano alla luce fatti e capi di vestiario dei quali neanche lui ricordava più l’esistenza.
In un marasma concitato di voci diverse e contrastanti all’interno del quale non si capiva niente.
E Matt… Matt sembrava perfettamente a suo agio. Ascoltava tutto. Annuiva, ANNUIVA, di tanto in tanto. Spiegava, forniva giustificazioni, commentava, negava e asseriva.
- In effetti, quando siete usciti con la demo lei aveva un maglioncino rosa, signor Bellamy…
- Be’, sì, in effetti è vero…
- E in uno degli ultimi servizi fotografici che avete fatto, signor Bellamy, lei ha nuovamente indossato una maglietta rosa…
- Dite che il rosa può essere un indizio?
- Certo, signor Bellamy!
- E poi c’è il suo famoso falsetto…
- Ma il falsetto c’entra con l’omosessualità?
- Ma è ovvio, signor Bellamy! Per non parlare di certi completini che indossa…
- Ma siamo tornati ai vestiti?
- I vestiti sono spesso la più evidente prova di omosessualità, signor Bellamy!
Questo sembrò convincerlo più di tutto il resto.
Annuì vigorosamente, lasciando dondolare ancora un po’ le gambe giù dalla pedana.
- C’è anche il cappellino coi brillantini… - disse lui stesso, - In effetti sembrava strano anche a me…
- Ma allora, signor Bellamy… - azzardò un giornalista, pronto a scrivere qualora ce ne fosse stato bisogno, - lei è omosessuale?
E lì sarebbe successo il disastro.
Perché Matt avrebbe senza dubbio alcuno risposto “sì”. Se Dominic non avesse creduto opportuno darsi una manata sulla faccia, riscuotersi dallo sconvolgimento in cui quella situazione l’aveva gettato, afferrare due gorilla e correre in soccorso del proprio frontman, prelevandolo da dove si trovava prima che potesse dire qualcosa in grado di far esplodere una bomba dalla potenza tale che avrebbe distrutto tutta la loro vita per sempre.
- Lo spettacolo è finito. – annunciò teatralmente Tom, afferrando anche Chris per la collottola e fuggendo al piano di sopra, - Arrivederci e grazie.
Ben presto, fra lo sghignazzare convulso dei giornalisti che prendevano a chiamare in direzione per dire di avere “il silenzio-assenso del secolo”, la sala rimase praticamente vuota, e davanti alla porta restarono solo un’Alex con le braccia incrociate sul petto, perfettamente sorridente e soddisfatta, uno Stefan e uno Steve palesemente sconvolti che cercavano ancora di capire cosa diavolo stesse succedendo, ed un Brian che non sapeva più dove posare i fogli di carta e continuava a borbottare frasi senza senso mugugnando come un pazzo.
- Bri… - lo chiamò Stef, picchiettandogli con un dito sulla spalla, - che cosa sta combinando il tuo uomo…?
Brian non gli diede retta, scrollando le spalle e continuando a segnare appunti su appunti, cerchiando in rosso alcune parole sul testo che aveva davanti.
Il bassista lanciò uno sguardo a Steve, il quale si limitò a scuotere il capo e allargare le braccia in segno di resa.
- Stef! – chiamò all’improvviso il cantante, alzandosi in piedi e sventolandogli un foglio sotto al naso, - Secondo te l’espressione “spiral static” è equivocabile?
Stefan guardò Alex e vide che ridacchiava gioiosa.
Guardò Steve e capì che non poteva pretendere che riflettesse su una cosa simile.
Guardò Brian e lo vide in fiduciosa attesa di una risposta.
Perciò sospirò. E rispose.
- Brian, non ho idea di cosa tu stia dicendo.
Il cantante, per tutta risposta, arruffò le penne e strillò che nessuno di loro aveva capito niente, che alla fine toccava sempre a lui perdere vite per cercare di risolvere i problemi, e, minacciando di ucciderli tutti se si azzardavano a disturbarlo prima che avesse trovato una soluzione, fuggì di corsa dalla sala riunioni, raccogliendo fogli a destra e a manca se nella fretta ne faceva scivolare qualcuno per terra.
- Frequentare Bellamy gli sta facendo prendere cattive abitudini. – commentò semplicemente Steve, battendo un paio di volte con la mano sulla spalla del bassista e invitandolo ad andare fuori a prendere una boccata d’aria, mentre lui annuiva sconsolato.
*
Brian era un uomo molto innamorato. E perciò poteva percepire esattamente quanto frustrato e deluso e confuso fosse il suo uomo quella sera, quando se lo ritrovò nel letto, braccina incrociate sul petto e adorabile broncio a increspare le labbra sottili.
Ma dal momento che Matt non aveva fatto altro che sbuffare e contorcersi nell’angoscia da quando era tornato a casa, probabilmente il fatto che Brian avesse compreso il suo stato d’animo non dipendeva esattamente dall’enorme amore che provava per lui.
Matthew si rigirò fra le lenzuola per l’ennesima volta, agitandosi al punto da far dondolare il letto, e Brian capì che quello era il momento di rendere pubblici – almeno con lui – i risultati delle ricerche estenuanti che l’avevano tenuto impegnato per tutte le ventiquattro ore di quella giornata.
- Matt. – disse seriamente, aspettando che l’uomo si voltasse e lo fissasse negli occhi, prima di continuare, - Sei gay.
Si sarebbe aspettato molte cose.
Che le sue labbra si aprissero in un sorriso sereno e soddisfatto, che lui gli saltasse addosso ringraziandolo, o che dicesse malizioso “mettiamo in pratica le tue teorie” – anche se Matt non aveva mai fatto una cosa simile, purtroppo.
Ciò che vide non assomigliava a niente di quanto aveva immaginato.
Matthew… rimase lì.
Immobile come un rospo congelato.
Gli occhioni fissi e vuoti su di lui e le labbra strette in una smorfia di puro stupore.
Brian immaginò che volesse una qualche… prova… e quindi si affrettò a fornirgliele.
- Io… - cominciò, prendendo fiato, - non sono come quegli idioti dei giornalisti! Non starò a farti l’elenco dei vestiti che hai indossato o delle volte in cui sei saltato addosso a Dominic o a Christopher mentre eravate sul palco. No! Io ho portato avanti uno studio scientifico! Mi segui, Matty?
“Matty” annuì, incapace di fare altro.
- Ho stampato tutti i vostri testi! – spiegò Brian, riempiendosi d’entusiasmo di parola in parola, - E… sai, Matty, si dice che quando si scrive si è molto più sinceri rispetto a quando si parla…
- …io non scrivo i testi delle mie canzoni…
- Che c’entra? Componi! Crei! Butti giù!
- …no. Più che altro ricordo.
Brian si prese un attimo di pausa.
La nuova consapevolezza che il proprio uomo non mettesse su carta le robe che creava nella testa, cambiava qualcosa nelle sue convinzioni?
…no.
Annuì serenamente e ricominciò a spiegare.
- Vedi, Matt, in effetti tutto è cominciato molto tempo fa. In realtà tu già hai detto al mondo di essere gay nel vostro primo album!
- …nel… nel primo…?
- Sì! – annuì Brian, convinto, tirando fuori un foglio ricoperto di segnetti rossi da sotto il cuscino, - Vedi, in Sober…
- Sober era una canzone sull’alcool!
Brian gli scoccò un’occhiata severa, fissandolo di sbieco.
- L’alcool, Matt? Solido?
…in effetti…
- Insomma, per tutto il ritornello tu non fai che parlare di questa cosa dura che brucia dentro di te… a me sembra ovvio che o parlavi di una supposta o parlavi di un-
- Non dirlo!!!
Il cantante dei Placebo si interruppe di colpo, sgranando gli occhioni. Cosa stava succedendo a Matthew? Durante la conferenza stampa sembrava così impaziente di scoprire la verità sulla propria sessualità! E adesso stava lì a fare i capricci?
- Ma quello non è l’unico indizio, Matty… - continuò Brian, picchiettando con due dita su un altro foglio tirato fuori da chissà dove, - Pensa al testo di Fillip… qualcosa di nuovo, qualcosa di strano…
- Ma-ma-!!!
- Poi è ovvio che in Citizen Erased tu fai un passo indietro e cerchi di negare tutto. – proseguì Brian, sempre più deciso, annuendo, - Quando dici che devi mentire e coprire ciò che non va condiviso con gli altri. È ovvio!
- Ma questa ovvietà…
- Ah, be’, - lo interruppe Brian, continuando a fornire prove su prove, - poi in Time Is Running Out c’è quella famosa cosa del succhiare la vita… - un’occhiata languida, un sorriso appena malizioso, - …succhiare la vita fuori da te, ma non ricordo in questo momento se l’avevo presa come una prova di omosessualità o come un riferimento sessuale e basta…
- E io che pensavo che non fosse nessuna delle due cose… - sospirò Matt, esausto, abbandonandosi contro lo schienale del letto e fissando sconvolto i decori delle lenzuola.
- Ma la prova più schiacciante, Matt, - concluse Brian, tirando fuori un ultimo foglio da… da sotto la maglia del pigiama che indossava, - è il vostro ultimo album.
- Black Holes…?
- Esatto Matt.
- And…
- Sì, Matt.
- …And Revelations…
- Proprio così, Matt. Buchi neri e rivelazioni. E Supermassive Black Hole, Matt… Matt, è una canzone palesemente gay.
- …palesemente gay…
- Be’, sì, prova a pensarci… il falsetto… e… voglio dire, le superstar che finiscono risucchiate nel…
- …
- …ecco…
- …nell’enorme buco nero. Sì, Brian.
Brian guardò il proprio uomo.
Sembrava… disorientato forse non rendeva appieno, ma era di sicuro un modo per descriverlo.
Fissava angosciato un punto vuoto nell’aria davanti a sé, e non trovava neanche la forza per sospirare un assenso o un dissenso.
- Oh, be’. – disse a mezza voce Brian, sporgendosi verso di lui per baciarlo teneramente su una guancia, - Devi metabolizzare. È normale. Buonanotte! – e così dicendo si affrettò a spegnere il lume sul comodino, arrotolarsi fra le lenzuola e addormentarsi di botto.
Matthew rimase lì, seduto a fissare il niente.
- Brian… - mormorò appena, ancora incapace di muoversi, - Brian, tesoro.
L’altro mugugnò un “ti ascolto” trasognato, e Matthew sospirò.
- La prossima volta… - sbuffò, abbandonando il capo indietro, contro il legno, - quando ti faccio una domanda, ignorami.
Genere: Triste.
Pairing: MatthewxBrian. In un certo qual modo.
Rating: R
AVVISI: Angst, Boy's Love, RPS, Songfic.
- "Sabato notte.
Un orario imprecisato fra le tre e le quattro del mattino.
Un locale scuro e fumoso, ancora gremito di corpi.
Luci violacee e tenui, da male gli occhi.
Un divano morbido e macchiato, relegato in un angolo come un eremita.
E un uomo disteso sopra.
"
Matthew è depresso. Dominic ci spiega perché.
Commento dell'autrice: Come dire, un po’ di drama SERVE X’D A me serviva sicuramente O_O Mentre passavo questa fanfiction alla Nai, che è ormai abituata a leggerle passo dopo passo, lei era lì a chiedersi perché. E anche io. Perché in questo momento davvero non sono depressa, e quindi giustamente uno si sente un attimino in dovere di chiedersi “e tutto questo allora da dove cipischio viene fuori?” XD
La verità è che non viene fuori da niente, è lo scazzo che mi obbliga a scrivere certe cose XD Prendetevela con lui è.é
Comunque mi serviva un po’ di fantasia depressa su quei due <3 Perché di FANTASIA si tratta, carissimo il mio ammiratore anonimo che non riesce a smettere di recensirmi ma non riesce neanche a trovare le palle per loggarsi e venire a litigare con me di persona *w* Come sei carino <3 A modo tuo sei quasi tenero, Slide o come cavolo ti chiami <3 Penso che ti affibbierò un nomignolo, penso che ti chiamerò Whatever *w* Fammi sapere se non ti piace ;O; Anche se penso non sopravvivrei alla sofferenza!!! *disperaz*
Devo creditare TREMILACINQUECENTO canzoni ç_ç che mi hanno accompagnata durante la stesura >.< E che non ho adeguatamente creditato nel testo perché visto che sono tante avrebbe fatto schifo O_ò E quindi, grazie a, nell’ordine:
“Megalomania” dei Muse;
“Advertising Space” di Robbie Williams;
“You Ain’t Ever Coming Back”, anche conosciuta come “Through With You” dei Maroon5 ç_ç;
“Hero Of The Day” dei Metallica;
“Tumbling Down” dei Venus In Furs (dalla colonna sonora di Velvet Goldmine);
“Heaven Out Of Hell” di Elisa;
“Shine” dei Muse (FIGURARSI se dove c’è depressione può mancare Shine);
“Pure Morning” dei Placebo (EBBENE SI’ O.O Non chiedete!).
Ciò detto, ho concluso è_é Tanti baci >*<
Grazie as usual alla MuseWiki (perché le banane… e Matt che registra Dom… LA VERITA’ FA MALE O_O), e deliziatevi con le sex face di Mattychan <3
Nai, tu e il tuo betaggio siete amore <3
Nacchan, figliola, il supporto morale è <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
CURTAIN CALL
Melody #8. Soon enough the weak spots will show
Song #97. U remind me

[curtain rise]
Paradise comes at a price
That I am not prepared to pay

Sabato notte.
Un orario imprecisato fra le tre e le quattro del mattino.
Un locale scuro e fumoso, ancora gremito di corpi.
Luci violacee e tenui, da male gli occhi.
Un divano morbido e macchiato, relegato in un angolo come un eremita.
E un uomo disteso sopra.
L’eremita, appunto.

Boy, she looks a lot like you.

Sabato notte.
Un orario imprecisato fra le tre e le quattro del mattino.
Un locale scuro e fumoso, ancora gremito di corpi.
Luci violacee e tenui, da male agli occhi.
Uno sgabello di fronte al bar, tante amiche, e lei.
L’uomo la guarda.

Ti somiglia.
Ti somiglia incredibilmente.


Matthew Bellamy si accomoda su un fianco e appoggia il viso sul palmo aperto, mentre il gomito affonda inesorabile nell’imbottitura morbida del cuscino.
- Bells. – lo chiama Dominic, avvicinandosi al divano con due drink in mano, - Stai bene?
Matthew lo guarda appena, abbozzando un sorriso e allungando la mano libera verso il bicchiere. Dominic sembra pensarci su un attimo, e sembra chiedersi se sia la cosa giusta fornire al proprio migliore amico l’ennesimo rhum e cola, ma alla fine cede. Il braccio e le dita di Matt sono tese. Ha bisogno di un altro goccio. Non sarà certo lui a negarglielo. Matthew da ubriaco è comunque gestibile.
- Ti piace quella ragazza? – chiede, sedendosi al suo fianco e adocchiando la tipa seduta più in là per capire in un secondo perché Matthew la fissi così insistentemente.
Lui però si limita a scrollare le spalle, e Dom ghigna in risposta.
Capelli neri lievemente mossi, taglio corto ma estremamente femminile, grandi occhi verdi e lunghe ciglia. La pelle bianchissima spunta appena dal maglioncino nero a collo alto, e gli attillati e cortissimi jeans dello stesso colore mostrano un fisico asciutto ma morbido e delle curve dolci da mangiare con gli occhi. Ha le gambe corte, ma proporzionate al resto del corpo, e cosce perfette e affusolate.

Sì, gli assomiglia un casino.

- Forse è meglio se ti riaccompagno a casa. È tardi.
Matthew sbuffa appena, scuotendo il capo.
- Allora restiamo un altro po’.
Se c’è una cosa che non è disposto a fare è lasciarlo solo.

You ain’t ever coming back to me
That’s not how things were supposed to be

La mente di Matthew è già lontana, e Dominic lo sa, perché Dominic sa tutto.
Una notte di qualche mese prima Matthew gli è piombato in casa e ha cominciato a raccontare. E ha tirato fuori una tale quantità di fango che Dominic per qualche secondo s’è sentito perso e sommerso, e ha desiderato trovarsi altrove.
Ma gli occhi del suo migliore amico l’hanno tenuto fermo e incollato lì dove stava, perché gli occhi di Matthew imploravano aiuto e comprensione, e imploravano da lucidi, imploravano rossi di pianto, anche se lacrime non ce n’erano. Perché Dominic lo sa, Matthew non piange, a Matthew piangere dà fastidio.
Che stessero insieme lo sapeva.
Oh, certo, non perché Matt gliel’avesse detto. Raramente Matt parlava di sé. Preferiva passare il tempo a discutere di idiozie, a spiegare la teoria sulla relazione intrinseca che stringeva insieme le banane e una buona performance sul palco, o a elencare il numero di calzini che aveva dovuto buttare perché s’erano bucati in punta, o altri pacchi enormi di assurdità simili.
Semplicemente un giorno era piombato a casa sua per prendersi cura di lui, dal momento che Matt aveva chiamato appositamente per dire di avere la febbre e che non si sarebbe mosso di casa per tutto il week-end, e invece di trovarlo sommerso dalle coperte e madido di sudore a implorare pietà contro la cattiveria del mondo, l’aveva trovato sommerso dalle coperte e madido di sudore sotto le premurose mani di Brian Molko, che gli sistemavano una pezza bagnata sulla fronte.
La prima reazione di Dom non aveva compreso un’espressione vocale.
Aveva spalancato gli occhi, aveva fatto cadere le chiavi per terra ed era rimasto lì a guardare per… minuti interi, più o meno.
Poi s’era chinato a raccogliere il mazzo, l’aveva posato sulla consolle dell’ingresso, s’era richiuso la porta alle spalle, aveva attraversato il corridoio e superato la soglia aperta della camera da letto, lasciandosi andare con un tonfo appena udibile sulla poltrona di fronte al giaciglio da ammalato di Matthew.
- Okay. – aveva detto, mentre gli sguardi sbigottiti dei due lo fissavano con un misto d’orrore e fastidio, - Chi mi spiega?
Ovviamente Brian s’era alzato in piedi, sbuffando pesantemente e roteando gli occhi, e dopo aver mormorato un ben poco compiaciuto “perfetto”, s’era chinato a baciare lievemente Matthew sulle labbra ed aveva recuperato il proprio cappotto, sparendo alla vista di entrambi in una nuvola di costosissimo profumo di classe, lasciandosi dietro solo un vago “ti chiamo più tardi”.
Matthew era rimasto lì a fissarlo attonito.
E Dominic era rimasto lì a fissarlo deciso.
- State insieme. – aveva commentato. Non era una domanda, era una constatazione.
Matt aveva annuito, sollevandosi a sedere contro lo schienale del letto.
- Da quanto?
Matt aveva scrollato le spalle. Significava “un po’”.
- Perché non me l’hai detto?
Avrebbe anche potuto fare a meno di chiedere. Lo sguardo che Matt gli lanciò in risposta significava “mi dispiace”, e questo chiudeva l’argomento.

Time so slowly turns
And someone there is sighing

Che a un certo punto avessero cominciato a convivere lo capì dall’entusiasmo di Matt. Che cominciò ad affievolirsi giorno dopo giorno come la fiamma di una candela sotto una boccia di vetro.
Fino a quel momento Matthew era stato come una bottiglietta d’acqua gassata… tutto bollicine, un sorriso perenne. Sembrava aver trovato l’equilibrio perfetto nella propria vita, la giusta percentuale d’anidride carbonica nelle vene.
E poi d’improvviso aveva cominciato a spegnersi.
E siccome Dom immaginava che Brian fosse il tipo da non dare assolutamente nulla in un rapporto disimpegnato, per poi diventare una sanguisuga nel momento in cui la cosa si trasformava in “qualcosa di serio”, non aveva faticato a comprendere il perché di quello sgonfiarsi come un palloncino bucato.
Non che pensasse che Brian non desse nulla al rapporto che aveva con Matthew. Tutt’altro.
Esattamente come una sanguisuga, era attaccato. Più protettivo d’una vecchia matrona siciliana. Sempre presente, sempre incombente.
A Matthew piaceva tutta quella vicinanza. Lo faceva sentire incredibilmente amato, lo faceva sentire un oggetto d’ossessione, e santo cielo, lui era un cantante, era ovvio che sentirsi un oggetto d’ossessione lo riempisse di gioia e soddisfazione.
Ciò che non aveva calcolato era la portata di quell’ossessione. E le sue implicazioni sulla vita reale.

Like a peppermint eaten away
Will I fight? Will I swagger, or sway?

Consumato.
Dopo due mesi era consumato.
Dominic non aveva la più pallida idea di cosa succedesse fra quei due, escludendo ciò che vedeva coi propri occhi, ma qualunque cosa fosse doveva essere stancante.
Matthew era magro.
Più del solito.
Il che faceva oscillare i pensieri del batterista a riguardo fra “potrebbe svenire da un momento all’altro”, “dovrei fargli un’endovena di cioccolato” e “l’anoressia come si ferma?”.
E oltre ad essere magro, Matthew era triste. Trascinava stancamente un paio d’enormi borse sotto gli occhi come fossero state una maledizione ineludibile, e non componeva. Non una sola nota. Non una parola. Neanche un’idea.
Tom era terrorizzato.
Vagava per gli studi con aria sconvolta, la cravatta allentata sul petto e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti.
- È drammatico. – ripeteva, - Scioglieranno il contratto e ci uccideranno tutti. Dominic, fa’ qualcosa!
Cosa diavolo avrebbe dovuto fare, lui? Irrompere in casa Bellamy-Molko e strillare “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai”?
Brian come minimo gli avrebbe riso in faccia.
E Matthew…
Diamine, Matthew avrebbe fatto un sorrisino di quelli piccoli, di quelli stupidissimi che era in grado di tirare fuori a volte, di quelli che ricordavano tanto uno “scusate se esisto, cercherò di non disturbare più”, e si sarebbe stretto nelle spalle.
E nulla di quello che Dominic avrebbe potuto dirgli sarebbe stato in grado di toccarlo, perché lui non aveva nessuna intenzione di farsi toccare e perché Brian non avrebbe mai lasciato che qualcosa gli si avvicinasse abbastanza da convincerlo a fare almeno un tentativo.
Era impensabile che una soluzione potesse venire da Matthew.
Ed infatti non fu da lui che venne.

Are you breathing only half of the air?
Are you giving only half of a chance?

La soluzione venne da Helena Berg.
Che esplose nella vita di Brian dandogli un’ossessione nuova, brillante e profumata di donna.
Nessuno avrebbe saputo resistere, e Brian decisamente non era tipo che ci provasse, oltretutto.
E quindi ecco Matthew. Con la ferita della sanguisuga ancora aperta e sanguinante sul petto, e niente con cui coprire il disastro.
S’era trascinato stancamente a casa di Dominic e lì finalmente aveva parlato. Delle nottate interminabili ad ascoltare Brian lamentarsi di cose futili per aiutarlo a scaricare il nervosismo, dei capricci e delle ripicche, delle pretese di esclusività, del bisogno spasmodico di rimanere appiccicati, dell’impossibilità di negarsi del sesso pure quando erano troppo stanchi anche solo per tenere gli occhi aperti, dei pianti di frustrazione nei quali esplodevano entrambi quando la fatica diventava troppa, dell’incolparsi a vicenda se, dopo mezz’ora passata davanti a un foglio di carta, sollevavano lo sguardo e si rendevano conto di avere la mente completamente vuota e di aver perso l’ispirazione da qualche parte fra la prima e la seconda settimana di vita insieme.
- E per ottenere cosa, Dominic?, per ottenere cosa? Lui ama un’altra persona. Non me.
Dom sapeva che era questa la cosa più orribile.
Non che Brian in sé se ne fosse andato via, perché Brian sarebbe passato, anche il suo profumo si sarebbe disciolto nell’aria, e il suo calore non c’era già più.
Ma il tempo sprecato, le parole dette, le lacrime d’angoscia gettate al vento, le dichiarazioni d’amore che non sarebbero tornate mai più indietro, tutti quei piccoli gesti, e gli attimi, tutto quello che testimoniava che qualcosa c’era stato e s’era volatilizzato in un attimo, tutte queste cose sarebbero rimaste conficcate nella carne come spilli per sempre. E Matthew avrebbe continuato a provare quella sensazione di inutilità totale per sempre, ogni volta che avrebbe sentito una canzone o visto una foto. Sarebbe stata una persecuzione.
Neanche una possibilità di uscirne vivi.
Neanche una.

I believed that you’ll always be here
‘Cause once you promised a life with no fear
Please don’t break my ideals
And say what’s fake was always real

- Se ti sei addormentato, sappi che non ti prenderò in braccio. Sei magro, ma sei pesante.
Una risatina divertita gli conferma che è sveglio, e questo gli basta, per ora.
Matthew ha ancora lo sguardo puntato sul clone femminile di Brian, che si fa i fatti propri senza badare a nulla che non siano risate e superalcolici.
- Sarebbe una bella rivincita, non trovi? – propone Dom all’improvviso, e dalla tensione che percepisce provenire dal corpo di Matt sa di non dover esplicitare ulteriormente il concetto.
- Stronzate. – risponde l’uomo senza pensarci neanche una volta, sollevandosi per mettersi seduto, -Non è bella neanche la metà di lui.
E stavolta è Dominic a sorridere.
- Sottovaluti il potere dei simboli. – gli dice tranquillamente, bevendo un altro po’ di rhum e cola dalla cannuccia, - Strano, da parte tua.
- Non ho voglia di infilare simbologie nella mia vita privata, Dom. Lo faccio già abbastanza coi testi delle canzoni.
Il batterista scrolla le spalle e mormora “come vuoi, come vuoi”.
Sa che il discorso non è concluso, e aspetta soltanto che sia Matthew a riprenderlo.
- Sai perché non ha senso cercare un simbolo con cui sostituire Brian? – chiede infatti il cantante poco dopo, - Perché Brian era un simbolo già di per sé. – prosegue, senza aspettare una risposta, - Brian era… sai quando ti getti in una cosa impossibile dicendoti “ce la posso fare”? Brian era questo. Il mio traguardo impossibile.
Un attimo di pausa, Matthew si china a posare il bicchiere ormai vuoto sul tavolino basso davanti al divano.
- Ho creduto di avercela fatta e invece stavo mentendo a me stesso. E lui stava mentendo a me.
Dominic sospira, posando a sua volta il bicchiere e poi tornando a distendersi sullo schienale.
- Era semplicemente l’uomo di cui eri innamorato, Matt. È difficile per tutti.
Matt ridacchia, stringendosi nelle spalle.
- Chi è che sottovaluta il potere dei simboli, ora?
- Ci sono cose che hanno bisogno di essere complicate un po’. Altre invece no. – si volta, lo guarda, - Tu non hai bisogno di complicare quello che c’è stato fra te e Brian.
- Ho bisogno di complicare una cosa che neanche c’è, per provare a dimenticarlo?
- Santo cielo, ma ti senti? – sbotta, sbuffando, - Ti stavo solo proponendo di scoparti la tipa! Queste cose aiutano! Sarebbe come un esorcismo!
Matthew ride, rilasciando il capo indietro.
- Che cosa morbosa, Dom!
Il batterista mormora un dissenso random, incrociando le braccia sul petto e guardando altrove.
- Non servirebbe. – riprende Matt dopo poco, sospirando pesantemente, - Il problema non è il sesso. Il problema non è niente di… il problema non è niente, in fondo.

Come niente?
Il problema sei tu.


- Passerà.
- Sì che passerà. E ne rideremo. E io un giorno ti racconterò che razza di espressione idiota avevi il giorno in cui vi ho beccati a letto insieme.
- Non ci hai mai beccati a letto insieme…
- Questo lo dici tu.
Uno sguardo falsamente offeso e intimamente divertito, e Dominic capisce che nonostante tutto anche per quella notte Matt è salvo.
- Dominic, sei un porco! Sei rimasto a spiarci da dietro la porta?!
- Tu mi hai ripreso mentre facevo sesso! E poi hai mostrato a tutti le registrazioni!
- Ma quello era un gioco! E poi che vuol dire che avevo la faccia da idiota?! Io non ho la faccia da idiota quando scopo!
- Oh, sì! Lo dice anche la MuseWiki. C’è un’intera pagina sulla “sex face di Matt” e ti assicuro che è davvero una faccia da idiota.
- Oh, be’. Se lo dice la MuseWiki siamo a posto. Sarà vero.
- Certo che sì.
Matthew sospira e pensa a un modo per contraddirlo. Poi lo trova.
- La MuseWiki non parla di Brian da nessuna parte.
Dominic sorride, un sorriso vittorioso.
- Vedi? Dovresti fidarti di più di lei.
Anche Matthew sorride, ed è il solito sorriso piccolo e stupido.
Dominic sa che è normale e non se la prende tanto.
Rimane in attesa della sua resa. E lei puntualmente arriva.
- Mi sa che hai ragione.
Che vuol dire “lasciamo perdere”.
- Mi accompagni a casa? Non credo di poter guidare.
Che vuol dire “grazie”.
- Ma certo.
Che vuol dire “quando vuoi”.
Non che si sia risolto qualcosa.
Ma Dominic non si aspetta miracoli.
Ed è abituato al lavoro duro.
E anche lui si butta nelle cose dicendo “ce la posso fare”.
Un modo per farcela lo troverà.

A friend in need’s a friend indeed
A friend who’ll tease is better
Our thoughts compressed
Which makes us blessed
And makes for stormy weather
[curtain fall]
Genere: Romantico, Malinconico, Triste.
Pairing: MatthewxBrian. Oh, sì.
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, RPS.
- "A guardare la tv tutto il giorno si diventa stupidi", si dice. Matthew non sa se questo sia vero. Ma imparerà a sue spese che la televisione può essere pericolosa per l’intelligenza tanto quanto per la sanità mentale…
Commento dell'autrice: Ho milioni di cose da dire. Come minimo parlerò per eoni X’D Voi non state qui a badarmi troppo, quando vi rompete uccidete le note finali e tornate alla vostra vita di sempre XD
Questa fanfiction nasce a… uhm, febbraio di quest’anno. Stavo parlando in chat con la Nai (la conoscevo da pochissimo, eravamo appena al secondo archivio di MSN XD) e all’improvviso sono stata folgorata da quest’illuminazione, perché avevo letto un bel manga one-shot di non mi ricordo più chi, e si intitolava appunto “Hotaru” (questo è l’unico motivo per il quale anche questa storia si chiama così XD) e parlava di questa ragazzina in vacanza dai nonni che si infila in questa foresta fatata e incontra quest’essere che non può essere toccato da nessun essere umano perché altrimenti scomparirebbe. Ho pensato che rivisitandola un po’, aggiungendo delle caratteristiche mie e un background differente potesse essere una fic interessante da raccontare, e poi c’erano gli ippoponzoli… XD Sì, è da qui che sono partiti gli ippoponzoli che poi avete visto proliferare in giro per il mondo XD
Anyway, poi tra una cosa e l’altra il progetto è rimasto progetto fino all’altro ieri è_é Dopo una serie di casini che mi sono capitati XD grazie al gentile supporto della Nai ho capito che avevo bisogno di scrivere una cosina più disimpegnata, qualcosa di romantico, una mezza favola, e Hotaru era già lì che scalciava per essere scritta XD
Scriverla, oltretutto, è stato veramente bellissimo <3 Intanto mi ha permesso di passare qualcosa come due ore a viaggiare per la MuseWiki (che per chi non lo sapesse è la Wikipedia dei Muse… ovvero una cosa amabile che dimostra quanto i fan dei Muse siano generalmente dei tati) alla ricerca di dettagli sull’infanzia/adolescenza di Matty che mi permettessero di rendere vagamente esatta questa fic… scoprendo oltretutto che era Matt stesso a chiedere che la scrivessi, dal momento che la sua infanzia si abbina perfettamente a questa storia <3 Davvero, non ho affatto faticato a conciliare le due cose, tutto combacia °_° È stato anche abbastanza inquietante scoprirlo, ma molto piacevole, dopotutto <3
Assieme agli avvenimenti dell’infanzia di Matt, purtroppo o per fortuna, sono venute fuori anche delle PERSONE X’D Che hanno cominciato ad affollarsi nella mia testolina e ora mi piacciono così tanto che penso le userò per altre fic in futuro XD Andy, per esempio <3 Andy è amore <3 XD Tra l’altro è vero che Matt ha convissuto con uno spacciatore, quando aveva diciott’anni. *panico* Molly Wainthrop XD E Margareth Calloway X’DDDD e Roger Teabing, come dimenticare!!! Sono tutti frutto della mia palese idiozia XD Li ho messi lì perché stavano bene e adesso hanno una vita loro. Non all’interno di questa storia, bene inteso, qui sono appena dei nomi, ma… be’, vedrete XD Lol. E poi c’è Paul <3 Paul è il fratellone di Matty <3 La storia della sigla di Dallas è vera <3 E io lo amo anche se non l’ho mai visto in faccia XD Comunque tratto troppo bene i fratelli nelle mie storie. Dovrei fare dei fratelli più bastardi >.<
Per inciso, la roba della Ford Escort… È VERA. *muor*
Doverosi credit ai Pretenders e alla splendida “I’ll Stand By You”, ascoltata a ripetizione durante la stesura, assieme a un tocco di “Sing For Absolution” dei Muse (che mi ha letteralmente uccisa, perché l’ascoltavo durante la confessione di Brian XD).
Non starò qui a nascondermi dietro a un dito o a una modestia che non possiedo XD Amo questa storia e adoro com’è venuta fuori, ne sono soddisfatta davvero come non mi capitava da tempo, anche perché ultimamente qualsiasi cosa scrivessi mi sembrava brutta. Maaah <3 Evviva, anche io merito un po’ d’amore, ecco è_é
Dedicata con amore ai futuri figli della Nai. Perché quando avranno l’età per leggerla da soli ricordino che la loro mamma gliela leggeva in versione edulcorata quando erano piccini (lo farai, vero?) e capiscano che mamma splendida hanno. Baci :*
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HOTARU
Melody #2. We ran through hills and forests as two under a spell
Song #29. Last kiss

Let me see you through
‘Cause I’ve seen the dark side too
When the night falls on you
You don’t know what to do
Nothing you confess
Could make me love you less

“I’ll Stand By You” – Pretenders

In principio fu Sarah Michelle Gellar.
Furono gli inediti capelli castani e le conosciutissime splendide labbra rosse, già amate a lungo e con passione durante tuuuutta la prima serie di Buffy. Furono i vestitini falsamente castigati del suo personaggio in Cruel Intentions e fu la canzoncina orecchiabile che aveva sentito come BGM all’inizio del film.
Matthew si lasciò andare con un tonfo sul divano e rimase affascinato ad osservare le immagini della pellicola scorrere veloci sul teleschermo, intervallate da spezzoni di concerto di un gruppo che non aveva mai visto né sentito nominare prima di quel momento.
- Placebo… - sussurrò fra le labbra, mentre registrava mentalmente il titolo della canzone e stralci del testo per poter chiedere a Dom se per caso ne sapesse qualcosa, più tardi.
E poi lo vide.
Inizialmente non ci aveva fatto caso.
Troppa Gellar.
Ma c’era effettivamente anche qualcuno che suonava, su quel palco, e quel qualcuno, nonostante la voce acuta e nasale e la pettinatura quasi riccia da ragazzina – e il trucco, come dimenticare il trucco? – quel qualcuno era un uomo.
Si sedette in punta sul cuscino, piegandosi verso il televisore e stringendo le palpebre per focalizzare più chiaramente.
Quell’uomo aveva una maglietta dal taglio femminile.
E una gonna.
Il che, sommato a tutte le caratteristiche sopraelencate, faceva di lui una donna.
Senza mezze misure.
- Che diamine stai guardando? – borbottò Andy, suo coinquilino ormai da più di un anno, apparendo in soggiorno con le braccia traboccanti di pacchettini di plastica ripieni di polvere bianca.
- Ecco qua lo spacciatore che chiede al musicista cosa diamine sta guardando. – borbottò Matt irritato, - Cosa diamine stai facendo tu, semmai, in casa mia!
- Ehi, ehi! – si lamentò Andy, rovesciando i pacchetti sul tavolo, - Sei tu che ti sei trasferito qui! Questa era casa mia!
- Sì, ma dal momento che adesso pago metà dell’affitto è anche casa mia, se permetti! E gradirei che non portassi qui la droga!
- Va bene, Bellamy. – concesse Andy con un sorriso ironico, - Affitterò al più presto un magazzino in cui lavorare.
- Be’, io non vengo qui a spaccarti i timpani, quando devo suonare! Quindi sarebbe il minimo!
Andy lo guardò a lungo, una mano sul fianco e le sopracciglia inarcate verso l’alto.
- Ma sei scemo?! – strillò infine, - Lo sai cos’è questa, Bellamy! – disse, indicando la roba sul tavolo con un ampio gesto del braccio, - Se non la lavoro qui dove pensi che dovrei andare?!
- Non lo so e non mi interessa! – ritorse Matthew, fissandolo con astio, - Cos’è, ti aspetti anche che ti giustifichi?!
- È il mio lavoro! Non lo faccio mica perché mi piace! Lo faccio per guadagnare i soldi che mi permettono di vivere!
- È denaro sporco!
- Ah, be’! Non ti sei lamentato troppo quando con questo denaro sporco ti ho prestato i soldi che ti mancavano per comprare il cappottino rosso dietro al quale sbavavi da mesi come una sedicenne impazzita!
Con un grugnito di disapprovazione – mascherante in realtà un’offesa ma sottomessa rassegnazione, dal momento che Andy non aveva detto altro che la verità – Matt tornò a fissare lo schermo, solo per decidere che sì, era il momento di spegnere la tv, perché quel donna stava abbracciando la sua povera chitarra – dopo averle fatto del male fino a pochi secondi prima fingendo di suonarla quando stava palesemente cercando di ucciderla. Come se un abbraccio potesse farlo perdonare! – e stava lanciando uno sguardo al cielo così coreografico e così stucchevole che lui pensò si sarebbe sciolto nei cliché.
- Vado a farmi una dormita. – annunciò con tono grave, sollevandosi dal divano e muovendosi celermente verso la camera da letto.
- Ricordati che alle sette abbiamo appuntamento con gli altri. – borbottò appena Andy fra i denti, ma non si premurò di farsi effettivamente sentire. Non era il caso di ricordare a Matthew cose che avrebbe tranquillamente potuto ricordargli più tardi.

***************

Quattordici anni.
Un divorzio appena superato – nelle mai troppo piacevoli vesti di figlio minore.
Un fratello maggiore abbastanza scazzato dalla propria vita da adolescente insoddisfatto da non aver tempo per badare alle paturnie del suo povero fratellino maltrattato dalla crudeltà del mondo.
E un’intera estate da passare nello chalet dei nonni, ad ascoltare noiosissimi ricordi della guerra da nonno Pat o altrettanto noiosissimi resoconti delle sessioni pomeridiane di briscola in cinque da nonna Julie.
Non c’era da meravigliarsi se Matthew Bellamy in quel periodo della propria vita non facesse altro che chiedersi “perché?” ogni volta che la suddetta vita gli concedeva un attimo di tregua per farlo.
Era evidentemente uno sfigato.
A parte Dom nessuno sembrava cagarlo anche solo lontanamente di striscio. Non era ancora riuscito a convincere quel figo di Wolstenholme a entrare nei Carnage Mayhem. Le ragazze a scuola lo snobbavano come fosse stato un appestato – neanche fossero stati colpa sua quell’allucinante magrezza e i capelli assurdi che si ritrovava! E a questo c’erano da aggiungere i già citati problemi con la sua famiglia.
Oh, sì.
Soprattutto quell’idiota di suo fratello Paul.
A volte avrebbe voluto prenderlo per le spalle, scuoterlo e dire “senti, guarda che ci sto passando anche io in questo casino! Ci sto dentro quanto te! Cavolo, ricordo che un tempo eravamo vicini! Sei stato tu a farmi iniziare a suonare, ricordi? Avevo tipo cinque anni e tu mi hai messo davanti al pianoforte e mi hai fatto schiacciare con l’indice i tasti giusti per comporre la sigla di Dallas! E adesso com’è che mi ignori?!”.
In realtà sapeva bene perché non faceva niente del genere.
Primo perché scuotere Paul – l’ex capitano della squadra di football Paul – sarebbe stato decisamente impossibile per lui.
E secondo perché diamine, lo capiva. Nella situazione in cui si trovavano, poteva immaginare che suo fratello non avesse esattamente bisogno di un fratellino rompiballe che andasse ciondolando per casa in preda alla depressione perché gli era comparso un nuovo brufolo sul mento e perché, in virtù di ciò, Molly Wainthrop si era sentita in diritto di ridergli in faccia quando lui le aveva chiesto di uscire – senza neanche riuscire a guardarla negli occhi per l’imbarazzo, oltretutto.
Alla luce di tutto questo enorme ammontare di sfighe inenarrabili, sì, Matthew Bellamy era un ragazzino solitario. Di più, a Matthew Bellamy piaceva la solitudine. Si era adattato al silenzio e all’isolamento prendendoli come enormi cuscini di lana morbida. Aderivano perfettamente al suo corpo e, in caso di impatto contro oggetti particolarmente veloci o duri, ammortizzavano più che efficacemente.
E infatti, se c’era una cosa, una sola, per la quale amava lo chalet dei nonni, era la grandissima foresta che si estendeva placida e verdissima a pochi chilometri da lì. Un posto splendido, che aveva imparato a conoscere a menadito durante l’infanzia, grazie alle lunghe esplorazioni che suo padre e suo fratello gli concedevano quando insisteva abbastanza a lungo da diventare esasperante.
Era lì che si rifugiava, quando nonno Pat erompeva in un sonoro “HA! Ai miei tempi, giovanotto…”, o nonna Julie gli si avvicinava con fare civettuolo – scambiandolo probabilmente per una sua coetanea, dal momento che non ci vedeva più tanto bene – e lo arpionava per un braccio bisbigliando “Hai sentito della figlia dei Calloway…? Che indecenza!”, e per inciso, Margareth Calloway era tutto meno che indecente, in ogni sua forma e manifestazione.
Ed era lì che si trovava anche quel giorno di mezz’agosto, quando lo incontrò.
Dovevano essere ormai le otto passate, perché il sole stava tramontando, e tutte le foglie, che pendessero dagli alberi, si diramassero in mucchi rigogliosi dai cespugli o fossero già per terra, risplendevano d’arancione dorato, mescolandosi con l’aria tutta intorno. Anche Matthew sembrava arancione, constatò, abbassando lo sguardo su una mano e poi sollevando quest’ultima all’altezza del viso, per poterla osservare meglio da ogni angolazione.
- Hai le dita lunghe. – disse una voce acuta e nasale all’improvviso, e terrorizzato Matt serrò il pugno e si voltò, sperando di individuare immediatamente chiunque avesse parlato.
Ma non vide nessuno.
Piuttosto, sentì una risatina allegra e vagamente smorfiosa raggiungerlo alle spalle, e si voltò ancora.
Ma anche lì non c’era niente.
- Chi diavolo sei?! – chiese all’aria arancione, continuando a voltarsi in giro in preda al panico.
Gli rispose un’altra risatina divertita.
E allora Matt cominciò veramente ad avere paura. E si mosse celermente sulla via del ritorno.
Ma la voce parlò ancora, ed aveva un’altra intonazione. Era più… vicina. Meno riecheggiante. Più concreta. E veniva chiaramente da qualche parte alla sua sinistra.
- Dove vai? – chiese dolcemente, e quando Matt si voltò al posto del nulla c’era un uomo.
…o almeno quello che avrebbe dovuto essere un uomo, in teoria.
Era indubbiamente piatto, era indubbiamente maschile quanto a corporatura e lineamenti del viso, ma… a parte il fatto che indossava abiti femminili ed era, be’, sì, truccato… c’era qualcosa di ambiguo in lui, qualcosa di completamente indefinito. Qualcosa di attraente, in una maniera del tutto inesplicabile.
- A… a casa mia. – rispose in un soffio, muovendosi a ritroso sul sentiero sterrato che conduceva all’uscita della foresta.
- Mmmh. – mugugnò l’uomo, incrociando le braccia sul petto – aveva le unghia corte e dipinte di nero – e sporgendo i fianchi, - Tu non vuoi veramente tornare a casa.
- …cosa? – azzardò Matt, stupito, fermandosi a metà di un passo e irrigidendosi, - Che intendi?
L’uomo mugugnò ancora.
- Nonno Patrick ha visto che non ti si trovava da nessuna parte e ha afferrato Paul per la collottola. Adesso l’ha costretto a sedersi sul divano accanto a lui e gli sta raccontando qualche episodio di cameratismo durante la guerra del Vietnam.
- …mio nonno non ha fatto la guerra del Vietnam…
L’uomo ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.
- Questo dovresti dirlo a lui, non a me. – commentò con un sorriso angelico, muovendo qualche passo verso Matt.
Matthew non sentì il bisogno di indietreggiare ancora, e perciò rimase ad osservare lo sconosciuto tendergli la destra e presentarsi, sempre sorridendo amabilmente come, be’, come fosse normale.
- Mi chiamo Brian. E tu sei carino. – disse.
E Matthew capì che forse avrebbe fatto meglio ad indietreggiare quando ne aveva avuto la possibilità.
Insomma, era un idiota e non era neanche un tipino tanto splendido, ma sapeva interpretare un… un forse-uomo forse-trentenne, quando gli diceva “sei carino”. Era successo anche a lui, in passato, nonostante l’apparenza smunta.
- Ho quattordici anni! – si affrettò a precisare, mettendo le mani avanti, per quanto si rendesse perfettamente conto del fatto che un adulto che abborda un ragazzino in un bosco avrebbe potuto tranquillamente disinteressarsi della sua età.
Ma ciò non avvenne.
Tutt’altro.
Brian si tirò indietro come l’avesse scottato, guardandolo inorridito.
- Non ti azzardare a toccarmi mai! – gli strillò contro, così acuto che Matt sentì le orecchie rimbombare.
- Ma… sei… sei tu che ci hai provato con me!
Brian tornò a sorridere, come non fosse successo niente.
- Sì, è vero. – disse malizioso, stringendosi nelle spalle, - Ma non sapevo che avevi quattordici anni. Adesso che lo so, non toccarmi mai, per favore.
Be’.
Forse non era un maniaco, allora.
Magari l’aveva preso per un ragazzo più grande, all’inizio – per quanto non vedeva come qualcosa del genere fosse possibile. Magari era perfino benintenzionato.
Accidenti a te, Matt, si disse, quasi con rabbia, va bene che sei uno sfigato, ma perché devi vedere il Male ovunque ti volti? Potresti essere un po’ più morbido, con le persone!
Ebbene lo sarebbe stato.
Sarebbe stato morbido.
Sorrise cordialmente, incrociando le braccia dietro la schiena.
- Mi dispiace non poterti stringere la mano, Brian. – disse, con un’ombra di disappunto nella voce, - Comunque mi chiamo Matthew, piacere di conoscerti!
- Matthew… - disse Brian, facendo scivolare il suo nome sulla lingua quasi fosse una caramella, cantilenandolo, - Mi piace. È dolce. Di sicuro più di Paul.
Matthew ridacchiò lievemente.
- Davvero! – continuò Brian, muovendo un paio di passi verso il folto del bosco, con Matt che gli si affiancava per una passeggiata, - Cos’avevano in testa i tuoi genitori quando l’hanno battezzato? È un nome così… insulso! Fortunatamente poi sono rinsaviti. Matthew è… - lo guardò dritto negli occhi, e per la prima volta Matthew ne notò il colore inusuale, senza riuscire neanche a definirlo, - …è veramente carino. Come te.
- Ah! – ridacchiò Matt, stranamente a proprio agio, fingendo di offendersi, - Non dovevi smetterla di provarci con me?
- Ho detto che non ti toccherò! – disse Brian, ridendo apertamente, - Non ti basta?
Anche Matthew rise, socchiudendo appena gli occhi nel puntare lo sguardo sul sole che ormai svaniva dietro le colline in lontananza.
- Me lo farò bastare. – disse condiscendente, - Ma purtroppo per oggi devo andare via.
Le labbra di Brian, rosa confetto e lucide come fossero ricoperte di lipstick, si arricciarono in una smorfia di delusione.
- È ancora presto! – rispose, lagnandosi come un bambino, - Non è ancora del tutto sera!
Matthew cominciò a dubitare dell’età che gli aveva affibbiato all’inizio, per quanto la sua apparenza fosse smaccatamente quella di un trentenne o giù di lì.
- Sì, ma noi siamo ancora nel bel mezzo del bosco. – spiegò pazientemente, - E ci vorrà almeno mezz’ora prima di raggiungere la campagna. E poi devo ancora tornare a casa. – ridacchiò, - Se conosci nonno Pat al punto di sapere cosa sta raccontando a mio fratello, lo conoscerai altrettanto da ricordare che non gli piace cenare tardi.
Brian sorrise, avviandosi tranquillamente dal lato opposto, verso il punto della foresta in cui gli alberi si facevano più radi e cominciavano le enormi distese di campi coltivati.
- Io non conosco tuo nonno, Matthew.
Lui lo fissò, stupito, inclinando appena il capo e seguendolo nel cammino.
- Come no? E quel discorso…
- Io lo vedo. – spiegò Brian, prim’ancora che lui potesse terminare la sua domanda, - Io non sono una persona normale. Anzi, a dire la verità non sono affatto una persona.
Matthew ridacchiò nervosamente, allontanandosi di qualche centimetro.
- E allora cosa sei? – chiese, cercando di mascherare l’imbarazzo.
Brian arricciò il naso, stringendo le palpebre.
- Sono un folletto. – disse con naturalezza.
E Matt scoppiò a ridere.
- Ma dai! – disse, tenendosi la pancia fra le mani, - Un folletto?!
Brian sorrise assieme a lui, affatto offeso dalla sua reazione – anche perché probabilmente se la aspettava.
- Un folletto. – disse invece, con più convinzione, - Uno spiritello, un elfetto, un diavoletto. Cose così. Lo Spirito del Bosco non mi ha mai detto “Brian, adesso sei questo”. Mi ci ha semplicemente trasformato.
Matthew si fermò.
E lo guardò con un misto di paura e sgomento.
- Be’? – chiese Brian, sempre sorridendo, - Siamo quasi alla campagna. Non puoi mica fermarti adesso.
- No, è che… cioè, ma dici sul serio…? – chiese titubante, incapace di staccare lo sguardo da lui.
Brian annuì lentamente.
- Solo che non posso darti nessuna prova. Sono solo un folletto, mica un dio. E anche lì, spesso si hanno difficoltà coi miracoli dimostrativi.
Rimase in silenzio, ripetendosi che doveva essere pazzo.
Che altro avrebbe dovuto pensare?
- Be’, è ora che tu vada. – concluse Brian qualche secondo dopo, voltandogli le spalle e riprendendo a camminare verso il cuore della foresta, - Io sarò qui. Se avrai voglia di parlare.
Lo osservò sparire nel buio, mentre lentamente si rendeva conto che dovevano essere quasi le dieci, e che di sicuro a casa si stavano preoccupando come i pazzi. Decise di non pensare più a Brian e corse a perdifiato lungo i campi, tagliando per le coltivazioni quando poteva, per arrivare allo chalet il prima possibile. E lì lo accolsero le ramanzine dei nonni e di Paul, che quasi gli tirò in testa il piatto di pasta ormai immangiabile, che “con tanto amore nonna Julie aveva preparato appositamente per lui, condendolo solo coi piselli e la cipolla e omettendo la carne che tanto lo disgustava!”.
- Ma si può capire dove diavolo sei stato?! – strillò suo fratello dopo che l’ebbe costretto a ingurgitare l’immangiabile ammasso di pasta congelata e insapore, - Eravamo tutti preoccupati!
Matthew scosse le spalle, pulendosi col tovagliolo.
- In giro. – rispose. Poi un lampo, una domanda a vorticare nel cervello, e l’impossibilità di ignorarla. – Paul, che avete fatto tu e il nonno nel pomeriggio?
Suo fratello roteò gli occhi, prendendo il piatto e ficcandolo assieme agli altri nel lavello, sotto uno scrostante getto d’acqua calda.
- Per carità! Mi ha costretto ad ascoltarlo vaneggiare sui suoi presunti ricordi della guerra del Vietnam. È delirante! Lui non ha fatto la guerra del Vietnam!
*
- C’è qualcosa che non so e dovrei sapere?
Matthew guardò suo fratello, disteso sulla sedia a sdraio accanto alla propria, come fosse stato ebete.
- No. – rispose poi, tornando a prendere il sole e ignorando l’accaduto.
Paul non demorse.
- Allora c’è qualcosa che non so e che non dovrei sapere?
Matthew lo guardò ancora.
- Se non lo sai e non dovresti saperlo, perché dovrei dirtelo? E comunque no.
Questa risposta sembrò soddisfare il suo fratellone preoccupato. Almeno per quattro secondi.
- Allora… - tornò alla carica una volta che i quattro secondi si furono esauriti, - C’è qualcosa che magari so ma di cui non mi rendo conto e che invece farei bene a notare prima che fosse troppo tardi?
Matt sbuffò e decise che era il momento di porre fine a quello strazio.
- No Paul, non è successo niente di devastante nella mia vita dall’ultima catastrofe naturale che l’ha colpita, sto bene e vorrei cercare di dare alla mia pelle un colore meno mozzarellistico senza dover sopportare le tue domande angoscianti! D’accordo?
Paul si mise a sedere sulla sdraio, e Matthew lo seguì nel movimento.
- Tu hai una ragazza. – disse poi con estrema naturalezza, incrociando le mani sotto il mento, - È la Calloway, vero? Le sbavi dietro da quando sei nato.
Matt sgranò gli occhi e semplicemente lo fissò.
Così suo fratello si sentì in diritto di continuare a fantasticare.
- Ricordo quando avevi due anni! I nostri genitori vi “presentarono”. Mamma delirò per tutto il tempo, era convinta che foste fatti l’uno per l’altra.
Matthew sospirò e tornò a distendersi, calando sugli occhi la visiera del cappellino che indossava.
- Peccato che la Calloway non fosse d’accordo! – continuò Paul senza alcuna pietà, - Praticamente ti rovesciò il secchiello pieno di terra sulla testa, e tu per poco non moristi soffocato…
- Sì, Paul, - sbottò infine il ragazzo, irritato, - mi hai raccontato questa scena qualcosa come tremila volte, la so a memoria! Mi spieghi perché la stai tirando fuori di nuovo adesso?!
- Perché! – spiegò Paul, gesticolando ossessivamente, - Visto quello che quella mocciosa è stata in grado di farti, non riesco a capire come sia possibile che tu le vada ancora dietro e che ti ci sia messo insieme!
- Non mi ci sono messo insieme!!! – strillò Matt, scattando in piedi, - Non sto con nessuno!
- Balle! – protestò Paul, - Ogni pomeriggio fuggi nel bosco e torni quasi sempre dopo cena! Non dici mai cos’hai fatto o con chi ti sei visto! E quando torni sei sempre felice come se avessi scopato!
- Paul!
- Non dire Paul!!! È vero!!! È logico che hai una ragazza!!!
- Oddio…! – mormorò Matthew, sconvolto, allontanandosi da lui con un paio di passi nervosi, - Non posso credere che tu mi stia facendo un discorso simile adesso!
- Che vuol dire che non puoi crederci?! Sono tuo fratello maggiore! È logico che mi preoccupi per te!
Lo fissò.
Sembrava serio.
E sembrava anche non rendersi minimamente conto di quanto la sua lontananza l’avesse ferito, negli ultimi mesi. E sembrava ignorare completamente il fatto che vederlo interessarsi a lui così d’improvviso, senza un motivo, andando a toccare con le sue domande l’unica oasi di pace che Matt fosse stato in grado di trovare fuggendo dal casino che aveva nella testa, era fastidioso da morire, assurdo e insopportabile.
Gli voltò le spalle e semplicemente prese a correre come un ossesso verso il bosco, senza curarsi delle sue urla e sperando che non si mettesse in testa di seguirlo.
*
Brian lo aspettava al limitare del bosco.
E questo era strano.
Generalmente doveva andare cercandolo per intere mezz’ore prima di riuscire a trovarlo, magari appollaiato su qualche ramo tutto intento a gorgheggiare canzoncine sciocche, o a dondolare a testa in giù come un pipistrello.
Ma quel giorno Brian aveva anche un’espressione preoccupata sul viso.
E questo non era strano, questo significava semplicemente che aveva visto.
Si fermò ansante davanti a lui, poggiando le mani sulle ginocchia e guardando per terra, aspettando di riprendere fiato.
- Matthew…? – lo chiamò Brian, agitato, chinandosi su di lui, - Matt, ma che ti è preso…?
- Lui… - cercò di dire, ma il respiro non era ancora tornato al suo posto, e continuare fu impossibile. Brian se ne rese conto.
- Va bene, va bene. – disse tranquillamente, - Riprenditi. Dai, facciamo una passeggiata.
Matthew annuì e lo seguì all’interno del bosco, incapace di sollevare lo sguardo.
- Non devi per forza parlarmi dei tuoi casini, eh. – lo sentì dire col solito tono dolce e rilassato, - Solo che mi sono un attimino preoccupato. Tuo fratello sembrava avere buone intenzioni. Voglio dire, mi rendo conto che per un ragazzino dev’essere angosciante subire discorsi simili, ma sarebbe bastato che dicessi “incontro un amico e passiamo il tempo a parlare” e al limite lui se ne sarebbe uscito con un “ah” e non avrebbe chiesto più niente.
- Cos’è che te lo fa pensare? – sospirò Matt, finalmente in grado di parlare, - Avrebbe di sicuro messo su un altro terzo grado chiedendomi chi fosse, dove l’avessi conosciuto e cosa intendessi fare con la sua amicizia da qui ai prossimi trent’anni più o meno.
- Mmmh. No, Matt.
- …no?
- No. Avrebbe capito che sei gay, e se c’è una cosa che i fratelli maggiori non vogliono conoscere nei dettagli è esattamente questa.
- Io non sono gay! – strillò, sollevando lo sguardo e fissandolo spaventato.
- Oh, sì che lo sei. – ridacchiò Brian, scrollando appena le spalle, - Sei troppo carino per non esserlo. Vedrai, un giorno di questi ti renderai conto che né la Wainthrop né la Calloway possono valere l’occhiata che rubi a Roger Teabing negli spogliatoi quando lo guardi infilarsi dentro la doccia.
Arrossì d’improvviso.
Come diavolo faceva a saperlo?!
- Non è così! – si difese, agitato, - Non è che io voglio guardarlo!
- Mmmh, sì, mi rendo conto. – continuò Brian, picchiettandosi sul mento con l’indice, - Dev’essere un movimento compulsivo. Devo ammettere che il ragazzo in effetti ha un sederino che implora di essere divorato con gli occhi.
- …tu sei un pervertito! Ed io non sono gay e meno che mai mi piace quel fighettino tutto muscoli di Roger Teabing! Se e solo se fossi gay mi piacerebbero tipi più… più come Dom!
- Matty, tesoro, i tipi come Dom sono i migliori amici. I migliori amici restano migliori amici per sempre. Non ti porteresti mai a letto Dom!
- Ma questo è perché non sono gay!
Brian ridacchiò ancora e scrollò le spalle, come a dargli ragione senza credere a una parola di ciò che stava dicendo.
Matthew decise che andava bene così e continuò a camminargli a fianco, godendo della frescura ombrosa del bosco.
Era passata una settimana, sì. Aveva visto Brian tutti i giorni. Ed era incredibile come, in definitiva, anche se non avevano parlato di niente, Matthew si sentisse come se di lui sapesse tutto, e viceversa. Non era come sapere lo stretto indispensabile e dire di conoscerlo, no – anche perché di lui non sapeva neanche quello – era come non sapere assolutamente nulla e poter dire di conoscerlo lo stesso. Era come se Brian fosse tutto lì. Come fosse solo quel corpo che si muoveva allegro e a suo agio fra gli alberi e i cespugli. Come se oltre non ci fosse niente, come non avesse un passato, dei ricordi, dei pensieri.
Era estremamente semplice.
E divertente.
Era tutto ciò di cui Matt aveva bisogno in quel momento.
Stando con lui poteva illudersi a sua volta di essere solo un corpo. Di essere in armonia col mondo. Di non avere niente nella testa a parte un po’ di sana voglia di non pensare.
Era una sensazione talmente piacevole, talmente esclusiva, che davvero l’aveva infastidito troppo che Paul ci avesse allungato sopra le mani.
Era una cosa sua.
Una cosa segreta.
Nessuno avrebbe dovuto sentirsi in diritto di toccarla, era il suo piccolo tesoro estivo.
- Visto che sei depresso, - disse Brian in un soffio, riscuotendolo dai suoi pensieri, - oggi ti porterò a fare un giro un po’ diverso dal solito.
- Diverso dal solito? – chiese Matt incuriosito, - Guarda che questa foresta la conosco meglio di te. Vengo qui da quando ero piccolissimo.
- Ora, a parte il fatto che io vivo in questa foresta da molto prima della tua nascita, Matty caro, ormai avresti dovuto capire che ci sono cose che puoi vedere con me… cose che non puoi vedere da solo.
- Mh? Tipo?
- Parti della foresta nascoste alla vista dei normali esseri umani… cose speciali, cose magiche…
Matthew rise sbuffando, incrociando le braccia sul petto.
- Ti direi che non ti credo. – ridacchiò, - Ma dopo che ieri sei riuscito a farmi vedere la danza d’amore delle lumache, ti crederei anche se mi dicessi che sei in grado di far tramontare il sole al contrario.
Brian rise assieme a lui, scuotendosi come una ragazzina.
- La danza d’amore delle lumache non è una cosa magica, bisogna solo conoscere i posti ed essere fortunati. E no, mi dispiace, non sono in grado di far tramontare il sole al contrario. Ma ci sono altre cose, veramente speciali, che potrei mostrarti…
- Ok, ok, ho capito! – si arrese il ragazzo, agitando le mani, - Portami dove vuoi, ti seguo.
Brian sorrise vittorioso e si allontanò saltellando, così felice e veloce che Matt dovette cominciare a correre per inseguirlo.
E poi d’improvviso si fermò.
E Matthew si rese conto di trovarsi in una parte della foresta che non aveva mai visto prima. Era tutto brillante, era tutto verde e lucido, non era niente di diverso dal resto della foresta, ma al contempo era qualcosa di completamente nuovo. Ogni cosa sembrava ricoperta di brina. Era tutto talmente luccicante che per un secondo pensò che il lipstick di Brian si fosse trasferito dalla sue labbra a tutto il resto, per quanto un pensiero simile fosse stupido.
- Che posto è questo…? – chiese con voce sognante, guardandosi intorno con aria ammirata.
- Questo è un posto segreto nel cuore della foresta. Ma non al centro, non nel folto degli alberi. Il cuore vero.
- Il cuore vero…?
- Sì. È qui che dimora lo Spirito del Bosco. Da qui osserva tutto e tiene tutto sotto controllo. Ed è qui che vivono e si nutrono le sue creature favorite.
- Quali sono le sue creature favorite?
Brian gli lanciò un sorriso enigmatico e poi gli indicò con un cenno del capo un laghetto al limitare dello spiazzo erboso in cui si trovavano. Il laghetto era chiaramente apparso nel momento in cui lui l’aveva indicato, perché prima Matt non l’aveva notato, e decisamente avrebbe notato cinquanta metri di diametro di acqua cristallina e apparentemente freschissima, brillante nella luce del sole che filtrava fra le fronde degli alberi.
Matthew fissò lo specchio d’acqua, rapito, per qualche secondo, e poi cominciò a vedere del movimento fra i cespugli che lo circondavano. Fu questione di un attimo. Subito dopo cominciarono ad apparire degli strani animali.
- Guarda. – disse Brian, ridacchiando infantilmente, - Quelle sono gironzole.
Erano… giraffe.
Lilla.
E con le alucce.
Ma inequivocabilmente giraffe.
Colli lunghi, piccole corna arrotondate in punta sulla testa, grandi occhioni castani con ciglia lunghissime e mantello pezzato.
Gironzole.
- E quelli leonzoli. – proseguì, indicando un paio di… leoni, sì, dovevano essere leoni. Criniera. Muso felino. Grandi zampe forti. Celesti e alati, ma leoni.
Leonzoli.
Si abbeveravano tranquillamente, accanto alle gironzole, in pace col mondo. Non producevano alcun rumore.
Erano angelici.
Totalmente assurdi, ma angelici.
- E se siamo abbastanza fortunati… - continuò Brian, chinandosi su di lui fino a raggiungere l’altezza del suo viso e sussurrargli direttamente all’orecchio, - Se siamo fortunati vediamo anche i migliori.
- Cosa… cosa sono i migliori…? – esalò Matt, ancora affascinato e inebetito dallo spettacolo che stava osservando.
- I migliori sono gli ippoponzoli. – spiegò Brian dolcemente, - Non esiste creatura che lo Spirito del Bosco ami più degli ippoponzoli.
E gli ippoponzoli apparvero.
Ne apparvero tanti. Una decina, almeno. Dal folto della foresta in processione lenta verso il laghetto.
Ippopotami dorati con minuscole alucce biancastre e semitrasparenti fra le scapole. Enormi. Stupendi.
- Gli ippoponzoli… - mormorò Matthew, come volesse memorizzare il termine, - Ma volano…?
- Certo che volano! – disse Brian come fosse stata un’ovvietà, - Le ali sono piccole perché erano più carini così, ma lo Spirito del Bosco non li avrebbe mai privati della capacità di volare, visto che li ama tanto.
Matthew annuì lentamente, osservando il gruppo immergersi nelle acque del lago, facendole sembrare dorate come la loro pelle.
Poi si voltò verso Brian. E vide la luce riflettersi nei suoi occhi, sulle sue labbra, nel biancore della sua pelle, e pensò che era così bello che lo Spirito del Bosco doveva avere organizzato quello spettacolo stupendo solo per lui.
- Lo Spirito del Bosco ama anche te, vero? – chiese innocentemente, continuando a guardalo ammaliato, - Voglio dire, ti permette di venire qui. E se è vero che rende belli tutti coloro che ama… - s’interruppe appena, arrossendo e smettendo di fissarlo nel momento in cui incontrò il suo sguardo stupito, - …allora deve amarti proprio tanto.
Brian sorrise appena.
Stiracchiò l’orlo della manica della maglia nera che indossava fino a coprire tutto il pugno e gli diede un lieve buffetto sulla guancia.
Matthew sollevò lo sguardo.
- Mi hai toccato…
- No che non ti ho toccato. – disse Brian, tirando fuori la lingua, - Ti ha toccato la mia maglietta. Questo possiamo farlo.
Gli venne da sorridere. E lo fece.
- Grazie per i complimenti. – continuò Brian, sorridendo a sua volta. – Adesso devo premiarti. Vuoi fare un giro su un ippoponzolo?
- …cioè… - abbozzò Matt, gli occhi brillanti, - …volare…?
Brian annuì, strizzando le palpebre.
- Sì! – disse Matt con entusiasmo, - Sì! Certo che sì! Grazie a te!
L’altro ridacchiò, e portò le dita alla bocca per fischiare. Quando il suono si diffuse nell’aria, uno degli ippoponzoli – il più grande, il più dorato di tutti – voltò appena il capo, e poi cominciò a muoversi celermente nell’acqua per uscirne, e quando posò le zampe sull’erba si mosse goffo e lento sul terriccio umido, per raggiungerli.
Quando Matt lo osservò da vicino si rese veramente conto della sua enormità, e si commosse.
- È bellissimo! Brian, è stupendo!!! – gridacchiò, in preda all’emozione, arrampicandosi agilmente sulla schiena dell’animale, incurante dei propri vestiti che si andavano inumidendo per il contatto con la pelle fredda e bagnata, - Dove andiamo?
- Facciamo un giro fino a casa tua, ti va? – chiese a sua volta Brian, salendo sull’ippoponzolo di fronte a lui ed afferrandogli le orecchie come fossero un timone.
- Sì! – rispose Matt entusiasta.
- Perfetto! – ridacchiò l’uomo, scuotendo appena le spalle, - Allora mi sa che devi tenerti.
Matt si guardò intorno, alla ricerca di un qualche appiglio, ma la groppa liscia dell’ippoponzolo non forniva niente del genere. Perciò si avvicinò a Brian, sussurrando titubante “Posso… posso aggrapparmi a te?”.
Vide Brian rabbrividire. E lo poté sentire teso.
Ma quando lui si voltò a guardarlo sorrideva come sempre, e il suo era un sorriso al quale Matt non poteva resistere, e perciò sciolse ogni dubbio e allungò le mani verso il suo petto, aderendo alla sua schiena e stringendolo forte da dietro.
- Attento a non toccarmi la pelle. – gli ricordò Brian, apprensivo, - Ma a parte questo, stringimi pure.
E Matt lo strinse.
Chiuse gli occhi.
E quando li riaprì stavano già volando sopra il bosco, sulle campagne, sui campi coltivati.
- Brian… - mormorò, quasi commosso, - È stupendo… non pensavo che mi sarebbe mai successa una cosa simile…
Lui ridacchiò, costringendo l’ippoponzolo a virare con una dolce ma decisa strizzata alle orecchiette dorate.
- Lo Spirito del Bosco è buono e sa tutto. Deve aver pensato che ti meritavi una magia. Tu pensi di meritartela, Matt?
Il ragazzo abbassò lo sguardo, perdendosi nell’azzurro brillante del fiume che attraversava le colline.
- Non molto, sai? – disse infine, quasi soprapensiero, - Sono successe tante cose nella mia vita, di recente… e io non mi sono sempre comportato bene…
- Di cosa stai parlando? – chiese Brian, e il suo tono era così dolce, così incoraggiante, così generoso che Matt non riuscì a continuare a tenersi tutto dentro, e decise di parlare.
- I miei genitori hanno divorziato… - accennò, giocando con le dita con gli sbuffi sulla scollatura della maglietta di Brian, - E… io so che cose simili succedono a un sacco di ragazzini in giro per il mondo… voglio dire, non sono mica l’unico che sta male. Non ho l’esclusiva della sofferenza. Anche Paul… cioè, perfino lui, nonostante sia forte e nonostante sembri disinteressato a un mucchio di cose… scommetto che anche lui è stato male.
- Certo che è stato male, Matt. Puoi immaginare un altro motivo per il quale potesse smettere di dedicare la sua completa e totale attenzione a te?
Matthew arrossì, agitato.
- N-Non è che Paul abbia passato la sua intera vita solo a prendersi cura di me, eh?!
Brian gli lanciò uno sguardo di sottecchi, inarcando le sopracciglia.
- Matty, tesoro, da chi sei andato a piangere quando quell’idiota del tuo amichetto Jake all’asilo ti ha rotto il trenino?
- …da Paul, ma-
- E quando sei stato scaricato dalla splendida Simone, alle medie, chi ha passato tutta la notte con te a divorare gelato al cioccolato guardando le registrazioni di Starsky and Hutch?
- …
- E quindi non pensi che tuo fratello Paul sarebbe stato più che felice di, non so, teletrasportarti in un universo pieno di unicorni di zucchero e bigné alla panna, mentre i tuoi genitori divorziavano, solo ed esclusivamente per non farti stare male?
- Ecco, io…
- E non pensi che se non l’ha fatto è stato solo perché evidentemente il problema l’ha investito con una tale sconvolgente potenza che per la prima volta lui s’è sentito sopraffatto e incapace di trovare una soluzione?
Matthew si lasciò andare contro la schiena di Brian, sfregandovi contro la fronte e socchiudendo gli occhi.
- Perché mi dici queste cose…? – chiese piano, spaventato dall’eventualità che Brian potesse percepire le lacrime nei suoi occhi dal tremito nella sua voce.
- Perché stai male, Matthew. E quando si sta male fa bene vedere le cose nella giusta prospettiva. Tuo fratello non ha smesso di amarti. Nemmeno i tuoi genitori hanno smesso. Solo che arrivano momenti nella vita in cui una persona deve per forza smettere di pensare a chi ama per dedicare qualche attimo a sé stesso. Per decidere cosa fare della propria vita. Per riportarla in carreggiata.
- …
- Tu oggi ti sei sentito offeso, ferito e tradito, quando tuo fratello ha cercato di strapparti a forza una confessione dalle labbra. Ma in questa settimana Paul ha semplicemente ricominciato a vedere le cose dall’angolazione giusta. S’è come risvegliato da un sonno. E svegliandosi ha visto che il suo adorato fratellino scappa il pomeriggio e torna a sera inoltrata perché non gli va di affrontare tutte le cose orribili che gli stanno capitando. E questo l’ha fatto sentire inutile e colpevole. Ecco tutto.
Matthew sospirò, scivolando con le mani verso la vita di Brian e stringendolo lì, appoggiando una guancia contro di lui per lanciare un’occhiata al meraviglioso paesaggio che scorreva sotto di lui.
- Non sono solo. – disse, sfiorando con le labbra la maglia dell’uomo davanti a lui, - È questo che mi stai dicendo. Che non sono solo.
Brian ridacchiò, e il suono della sua voce si propagò attraverso la schiena, raggiungendo le orecchie di Matt e facendolo rabbrividire.
- Esatto Matt. Non sei solo. Nonno Patrick sta giusto rovistando nello sgabuzzino per recuperare il modellino di caccia bombardiere che suo padre gli ha regalato per il quindicesimo compleanno, e regalarlo a te. E anche stasera nonna Juliet si piegherà a conservare l’amato ragù per preparare qualcosa che tu possa mangiare senza vomitare. E Paul resterà seduto sulla sdraio, fingendo di leggere un libro mentre non riesce a fare a meno di lanciare occhiate nella direzione verso la quale sei sparito qualche ora fa, aspettandosi di vederti tornare correndo da un momento all’altro. E a casa tua mamma sta meditando di portare te e tuo fratello in qualche bel posto prima che ricominci la scuola. E papà sta sistemando casa in vista del primo weekend che passerete con lui.
Matt si accorse di non poter trattenere un singhiozzo. E questo gli fece capire che stava piangendo. Nascose il viso tra le pieghe della maglia di Brian, mugugnando di vergogna e di gioia.
Era commosso.
Era tristissimo.
Ed era felice.
- Le persone a volte sono egoiste, Matt. Ma questo è normale. Sono persone.
Annuì con forza, sentendo che in quel preciso istante avrebbe potuto perdonare a chiunque anche la peggiore delle nefandezze.
E lo fece.
E si augurò che a tutti nel mondo capitasse di avere un Brian che diceva cose stupende a bordo di un ippoponzolo volante sulle campagne inglesi, per provare almeno una volta nella vita quella splendida sensazione di gioia, e libertà, e pienezza che stava provando lui così intensamente.
- E quindi non dire più che ti pare di non meritare le magie. – concluse Brian, scrollando lievemente le spalle come a volerlo accarezzare con quel gesto, - Sei una persona anche tu. Anche tu hai diritto ai tuoi attimi di egoismo nero e sofferenza ottusa.
Sollevò lo sguardo.
Brian s’era voltato e lo guardava col più indulgente dei sorrisi sul volto.
- Stare male non ti rende cattivo. Fa di te ciò che sei. E sei un ragazzo adorabile.
Era tutto ciò che aveva bisogno di sentirsi dire.
Gli sarebbe bastato anche molto meno, anche un semplice “non sei poi così male, non fai poi così terribilmente schifo, hai giusto qualche speranza di diventare un essere umano accettabile”. Ma Brian era stato generoso. Brian non aveva risparmiato sulle parole. Brian gli aveva detto proprio tutto.
In quel breve volo nel tramonto inglese gli aveva praticamente salvato la vita.
Discesero nello stesso punto dal quale si erano sollevati, e dopo aver salutato l’ippoponzolo e lanciato un ultimo sguardo ai buffi animali ancora a riposo attorno al lago, ricominciarono la loro passeggiata verso il limitare del bosco.
- Ohiohi, povero me. – disse Brian con una smorfia delusa, stiracchiandosi, - Adesso tu ti sei aperto con me, e in teoria io dovrei trovare un altro modo per ripagarti della fiducia. Ma ti ho già fatto volare e non so se riuscirò a trovare qualcosa di meglio!
Matt ci rifletté su un paio di secondi, e poi capì che in effetti c’era qualcosa che Brian potesse fare.
- Parlami di te. – disse, guardandolo dritto negli occhi, - Tu sai tutto di me, anche quello che non ti ho detto. Ma io di te non so proprio nulla. Sei sempre stato così?
Brian ridacchiò.
- Non so se la storia della mia vita possa essere un premio, sai Matty?
Matt scosse il capo con decisione.
- Nemmeno la mia è stata tutto questo piacere! Ma mi interessa, quindi non puoi farmi contento…?
Lui sorrise, dandogli una lieve gomitata su una spalla.
- Ma sì, certo. E no, non sono sempre stato così. Anche io ero una persona come tante, prima.
- Che tu fossi una persona come tante, scusami se te lo dico, mi sembra impossibile…
- Sì, sì. – confermò Brian con l’ennesima risatina, - Mi truccavo e mi vestivo da donna già allora, se è questo che intendi.
Lo sguardo di Matt si adombrò d’improvviso, mentre le sue labbra prendevano una piega imbarazzata e delusa.
- Ma non mi riferivo a questo…
Brian spalancò gli occhi, confuso e imbarazzato a sua volta.
- Oh. – borbottò, - Comunque, ero un essere umano come te.
- E perché adesso sei così?
- Mmmh. Questa è la parte poco carina del racconto. – confessò con un sorriso triste, - E non so se mi va di raccontartela.
Sembrò tentennare davvero fra la possibilità di vuotare il sacco e quella di non dire niente, ma Matthew non era disposto a osservarlo ritirarsi. Il loro rapporto era stato vago e leggero come l’aria, fino a quel momento, ma da quel giorno in poi tutto sarebbe cambiato. Non poteva più ignorare che Brian era qualcos’altro oltre a un corpo, semplicemente perché adesso riusciva a sentire anche tutto il resto. La dolcezza, e la gentilezza, e le premure, e il desiderio di dare una mano…
…come poteva continuare a pensare a lui come a un passatempo?
Si tese verso di lui, afferrando un lembo della sua maglia fra le mani, e il semplice contatto gli riportò alla mente le sensazioni provate mentre volavano sull’ippoponzolo, riempiendolo di nuova forza.
- Ti prego… - biascicò, fissandosi i piedi, - Raccontamelo.
Brian sorrise, e lo condusse verso una pietra piatta sotto una quercia, abbastanza grande da poter fornire un posto dove sedersi a entrambi. Lì lo fece accomodare, e poi si posizionò al suo fianco, accavallando le gambe e puntellandosi sulla superficie liscia del masso con le mani dietro la schiena.
- Vediamo… avevo trent’anni allora. Il giorno in cui lo Spirito del Bosco mi trasformò in quello che sono adesso. Stavo passeggiando per questa stessa foresta. Era un luogo che amavo veramente tanto. – si voltò a guardare Matthew, sorridendo debolmente, - Mi piaceva la solitudine.
Matthew annuì, abbozzando anche lui un sorriso e incrociando le mani in grembo.
- Mentre passeggiavo però successe qualcosa. Vidi un ragazzo.
E a Matthew sembrò di capire.
Gli sembrò di cogliere qualcosa, nello sguardo sfuggente di Brian, ed ebbe voglia di tornare indietro e dirgli “se non ti va di parlarne per me fa lo stesso”, così come aveva fatto lui prima.
Ma era tardi.
- Era veramente bellissimo. Veramente triste. E veramente solo.
- Tu… - accennò, incapace di guardarlo, - tu ti sei…
- Sì. Mi sono innamorato di lui. Non avrei dovuto, perché era sbagliato, perché era indecente, perché stavo chiaramente approfittando della sua debolezza in quel momento e perché… - gli lanciò uno sguardo veloce e colpevole, per poi tornare a fissare un punto lontano nel niente, - e perché aveva la tua età.
Un ragazzino…
- Un ragazzino come te.
Matthew si morse un labbro fino a farsi male, contorcendo le dita per il nervosismo.
- Tu l’hai…
- Sì. Ho… - sospirò, incurvando le spalle e rilasciando il fiato come fosse stato doloroso trattenerlo, - Ho avuto dei rapporti sessuali con lui.
- …
- E lui non era completamente consenziente.
- …che… come sarebbe a dire…?
- Lui… - sospirò ancora, guardandosi intorno nervosamente e cercando le parole, - Io non l’ho preso con la forza. Mi si è concesso. Ma ho approfittato di lui. Ho lasciato che si fidasse di me, ho lasciato che mi considerasse un amico, una persona fidata, e poi gli ho detto di ricambiare il favore. E lui l’ha ricambiato. Perché era troppo piccolo e perché aveva troppa paura che avrei potuto lasciarlo solo se non l’avesse fatto.
- …ed era veramente così? – riuscì a chiedere, tirando fuori la voce da chissà dove.
Brian sospirò ancora.
- Non lo so. Non lo saprò mai. La sera stessa, quando lui andò via, lo Spirito del Bosco mi intrappolò nella foresta, maledicendomi. Avrei vissuto per sempre imprigionato qui, fino a quando non fosse arrivato qualcuno in grado di sciogliere la mia maledizione.
Troppe, troppe informazioni.
Troppe cose a cui pensare.
Non era così che avrebbe dovuto essere la sua relazione con Brian. Non così pesante, non così difficile.
- Come?
Brian lo guardò stupito, senza capire.
- Come si scioglie la tua maledizione? – precisò lui, senza guardarlo.
- Non vuoi davvero saperlo. – ridacchiò amaramente Brian.
- Te l’ho chiesto! – strillò lui, sentendo nuovamente le lacrime punzecchiargli gli occhi, - Se te l’ho chiesto vuol dire che voglio saperlo! Perciò dimmelo!
Brian sorrise dolcemente. Nascose il pugno sotto la manica e lo sfiorò appena sulla testa, ma Matthew si ritrasse.
- Un altro quattordicenne. – spiegò Brian, quando si fu ripreso dalla delusione, - Deve innamorarsi di me. E quando mi toccherà riuscirà ad esorcizzarmi. Se un quattordicenne che non mi ama dovesse toccarmi, invece, la mia condanna si protrarrebbe per l’eternità, senza possibilità d’appello.
Ed era troppo davvero.
Scattò in piedi, stringendo convulsamente i pugni.
- Matthew, - tentò di dire Brian, - io non ci penso nemmeno a costringerti a-
- Non dire niente. – mormorò fra le labbra, - Non dire niente.
Dopodichè si mosse lentamente, allontanandosi da lui.
E uscendo dalla foresta pensò che probabilmente non l’avrebbe più rivisto.
*
Era impattato contro suo fratello appena uscito da un campo di granturco in pieno rigoglio. Era riemerso dall’erba altissima ricoperto di spighe, con le guance rigate di lacrime, e Paul era lì. Stava guardando un punto completamente opposto a lui, verso la foresta, ma non aveva impiegato più di tre secondi per accorgersi del suo arrivo, e più o meno un altro per spalancare le braccia e stringerlo un attimo prima che crollasse a terra, esausto, sconvolto dai singhiozzi.
S’era abbandonato lì, sul terriccio ghiaioso del sentiero, e Paul l’aveva sorretto e poi caricato in spalla e riaccompagnato a casa, senza chiedere nulla, senza dire una parola, tenendogli semplicemente una mano sulla schiena, cercando di rassicurarlo con carezze brevi e decise.
Era servito.
A poco – non aveva smesso di piangere, purtroppo – ma era servito.
A rischiarargli il cervello, più che altro.
A fargli capire che Brian aveva preso la propria anima e gliel’aveva messa fra le mani, e che lui per tutta risposta l’aveva buttata nel fango e poi c’era passato sopra coi piedi. Nonostante tutto l’aiuto che quell’uomo era stato in grado di dargli nell’ultima settimana, la paura, e lo sconvolgimento, e l’angoscia, e lo stupore, erano stati in grado di fargli perdere la testa al punto che non gli era più importato niente dei suoi sentimenti, e aveva badato solo a scappare.
Ed aveva continuato a fuggire da quel pensiero, dal suo ricordo, per tre dannatissimi e infiniti giorni. Passati a vagare per la casa, sfuggendo gli sguardi di chiunque e ignorando qualsiasi richiamo. Quando il nonno era apparso sulla soglia della sua cameretta, portando fra le mani una scatola apparentemente antica, Matthew sapeva che dentro c’era il famoso modellino di caccia bombardiere. E sapeva che il sorriso smagliante e mezzo sdentato di suo nonno significava “tirati su, che ti faccio un bel regalo”. Ma si era limitato a rispondere un “non mi va” appena udibile, e a rintanarsi nuovamente fra le coperte, fingendo che niente stesse succedendo, fingendo di avere solo sonno.
Così come fingeva di essere semplicemente senza appetito quando nonna Julie si avvicinava con una crostata.
Così come fingeva di essere semplicemente stanco quando qualsiasi persona gli proponeva qualcosa.
Mentre in realtà non era stanco. In realtà era ricolmo fino all’orlo di rabbia cieca e violento senso di colpa. Avrebbe voluto avere Brian fra le mani, avrebbe voluto la facoltà di poterlo picchiare per dirgli “hai fatto lo stesso anche con me! Hai lasciato che mi fidassi, che ti considerassi splendido, e poi hai distrutto tutto senza pietà!”. E allo stesso tempo avrebbe voluto crollare ai suoi piedi, aggrapparsi alle sue gambe e stringerlo, e dirgli di non preoccuparsi, che lo capiva, che continuava comunque a trovarlo splendido, che non c’era niente che potesse fare perché Matthew lo rimuovesse dal trono ideale che occupava al centro dei suoi pensieri.
E sapeva che non sarebbe stato in grado di fare nulla del genere.
E questo faceva di lui un essere insulso. E ridicolo.
E stava giusto pensando qualcosa di simile quando Paul irruppe in camera sua, lo privò delle coperte come se stesse scoperchiando una bara e letteralmente lo sollevò dal materasso, prendendolo in braccio e costringendolo ad appollaiarsi sulla scrivania, dove lo posò come fosse stato un oggetto inanimato.
Per molti secondi, Matthew lo osservò con sguardo vacuo, chiedendosi dove volesse andare a parare con quella sceneggiata.
Poi capì, e fece per scendere dal tavolo con uno sbuffo annoiato, ma Paul lo tenne stretto per le spalle, obbligandolo a rimanere immobile.
- Tu hai un problema. – gli disse deciso.
Matt lo fissò di sbieco.
- L’ultima volta che mi hai parlato in maniera così diretta hai detto che avevo una ragazza. E non era vero. Quindi per quale motivo la tua supposizione adesso dovrebbe essere esatta?
Paul ghignò, osservandolo dall’alto come fosse stato un moccioso.
- Perché è vero. Quindi parla.
Semplice ed efficace.
Era così che suo fratello l’aveva sempre costretto ad aprirsi.
Era… decisamente tornato il fratellone di sempre.
E la cosa piacque tanto a Matthew che non riuscì neanche a inventare una scusa qualsiasi per svicolare e chiudere un argomento del quale comunque non voleva parlare.
Si limitò a cercare di mettere su un teatrino assurdo, per fare contento Paul senza dargli necessariamente tutte le chiavi per arrivare a capire cosa gli girasse per la testa.
- Ecco… - abbozzò, guardandosi intorno, - c’è questo mio amico che per ora ha dei problemi con la sua ragazza. Lei gli ha tipo confessato di aver fatto qualcosa di veramente orribile nel suo passato, e lui non riesce più a guardarla con gli stessi occhi, e… insomma, dopo che lei ha confessato è scappato via come se lei fosse stata un’appestata o qualcosa di simile… - lanciò un breve sguardo a Paul, per verificare se avesse capito qualcosa, ma suo fratello lo fissava con occhi attenti e completamente vuoti, e Matt non riuscì a capirne un accidenti. – E perciò adesso questo mio amico ha decisamente un problema e non sa come uscirne…
- Okay. – disse Paul, incrociando le braccia sul petto, dopo qualche secondo di silenzio, - Perciò in questi giorni hai conosciuto questo tipo e credevi fosse un figo e basta. Poi ti ha confessato di essere una persona che sbaglia come tutte, e di avere fatto anche lui le sue brave vaccate, e adesso sei tutto confuso e non riesci a venirci a patti.
Okay.
Dove aveva sbagliato?
- Co-Come diavolo hai fatto-
- Allora. A capire che si parlava di te? Non ci voleva un genio. A capire che era un uomo? Le donne non confessano gli orrori che combinano, anche perché generalmente non combinano mai cose che un altro uomo considererebbe orribili. No, la capacità di stupire una persona innamorata con qualcosa di veramente brutto è esclusiva del genere maschile.
- …
- Ora ascoltami. Lo dirò solo una volta, perché eeew, non voglio parlare dei casini di mio fratello con l’omosessualità.
- …Paul…
- Taci, moccioso. Se trovi una persona che ti piace, e ti rendi conto che ti piace anche sapendo che non è perfetta, che ha fatto cazzate nella sua vita e che come tutti, Matt, non è uno stinco di santo, hai poco da stare lì a rimuginare. Tanto per quanto rimugini ti piace ancora. – spiegò, scrollando le spalle come stesse dicendo ovvietà, - E a te questo tipo piace ancora, no?
Matthew abbassò lo sguardo, arrossendo furiosamente.
- Ecco, appunto, ti piace ancora. – concluse, annuendo convinto, - Ora, Matthew, il problema è il seguente. Fra un paio di giorni noi torneremo a Londra, e non rivedremo questo posto fino all’estate prossima, se siamo abbastanza fortunati. – si prese un secondo di pausa, squadrandolo da capo a piedi e realizzando che così raggomitolato sulla scrivania sembrava davvero ma davvero piccino, - Tu cos’è che pensi di fare?
E Matthew allungò le gambe e semplicemente saltò giù dalla scrivania.
Prima ancora di capire che tutto il suo corpo stava strillando “corri a cercarlo”, lui stava già correndo a cercarlo. Correva come un disperato. Sul sentiero, fra i campi, fra le scorciatoie tra le colline, costeggiando il fiume e attraversandolo sul ponticello pericolante che ormai neanche i pastori, disperati per le infinite migliaia di viaggi che erano costretti a fare, utilizzavano più, e finalmente giunse alla foresta. E ancora correva quando si immerse nel folto degli alberi, e ancora correva, il naso per aria, cercando Brian ovunque gli sembrasse di ricordare di averlo visto.
E correndo correndo raggiunse il lago.
E seppe con certezza che se ci era arrivato era solo perché anche Brian voleva vederlo.
E infatti lui era lì, davanti alle acque cristalline, vestito di nero da capo a piedi – come al solito, come sempre – e badava agli animali della foresta come se fosse davvero stato un pastore alle dipendenze dello Spirito del Bosco.
Matthew si fermò ad osservarlo da lontano, ancora ansante.
Brian si voltò, lentissimo.
E quando si fu completamente girato, Matthew scattò sulle gambe e gli saltò addosso. Lo abbracciò strettissimo, stando attento a toccare solo i vestiti, affondando negli sbuffi della maglia e ansimando e piangendo come un disperato, mentre Brian sollevava spaventato le braccia per evitare di toccarlo a mani nude.
- Matt… - mormorò l’uomo, stupito quanto lui stesso del movimento improvviso e inaspettato.
Ma si ripresero entrambi in fretta. E mentre Matt prendeva a piangere più sommessamente, come volesse scusarsi per tutto, Brian riuscì in qualche modo a far scivolare le maniche della maglietta perché gli coprissero le mani, e afferrando i lembi coi pugni chiusi li fece poi scivolare sulla schiena del ragazzo, con movimenti lenti, pazienti e affettuosi, cercando di calmarlo.
- Avanti, avanti… - sorrise rassicurante, stringendolo forte fra le braccia, - È tutto a posto. Non hai combinato niente di disastroso.
- Sì che l’ho fatto! – protestò Matthew sollevando lo sguardo e arrossendo nello stesso istante, - Mi… mi sono innamorato di te! – disse tutto d’un fiato, strizzando gli occhi, - Voglio essere io a liberarti! – continuò, con lo stesso impeto. Poi sembrò realizzare, e rallentare il ritmo, - …sempre se a te va bene…
Brian lo guardò a lungo, sforzandosi di non scoppiare a ridere.
- Sei così carino… - commentò infine, sorridendo dolcemente, - Sai, se non mi amassi davvero e mi toccassi comunque, io rimarrei imprigionato qui per sempre.
Matthew si morse un labbro, sostenendo il suo sguardo ma inarcando le sopracciglia verso il basso.
- E a me andrebbe bene. – continuò Brian, lo stesso splendido sorriso sul volto, - Purché tu mi promettessi di tornare a trovarmi ogni estate.
Matt continuò a guardarlo, chiedendosi per quale motivo Brian stesse tirando fuori un discorso simile in quel momento.
E poi capì.
E sorrise.
- Tu stai solo cercando un modo per continuare a punirti per quello che hai fatto. – disse teneramente, sfiorandogli il petto attraverso il tessuto della camicia, - Ma non devi preoccuparti. Perché io riuscirò sicuramente a liberarti.
E Matthew glielo lesse negli occhi.
Gli lesse negli occhi “va bene”. Gli lesse negli occhi “ti credo”. Gli lesse negli occhi “ti affido la mia anima”.
Si sollevò sulle punte e lo baciò.
E mentre lo baciava, assieme alla morbidissima sensazione delle sue labbra a premere contro le proprie, e della sua lingua a infiltrarsi nella bocca, umida e calda, si sentì come se gli stessero strappando qualcosa dal petto. E capì che Brian stava svanendo. Che si stava come cristallizzando in minuscole goccioline d’aria, che si stava facendo inconsistente sotto le sue mani, che stava facendosi via via sempre più trasparente e impalpabile.
Si separò da lui e riaprì gli occhi, pensando che non si sarebbe mai perdonato se non fosse riuscito a guardarlo un’ultima volta prima che fosse sparito.
Brian sorrideva ed era bello come mai prima.
Lo vide allungare le mani verso di lui, lo vide stringere con forza le sue dita fra le proprie, lo vide commosso e luminoso.
- Adesso posso toccarti, Matt! Lo senti? Ti posso toccare!
Fu l’ultima cosa che disse.
Ma rimasero lì a stringersi, come fossero immobili nel tempo, fino a che Brian non fu svanito del tutto.

***************

- Bellamy! Accidenti a te!!!
La voce di Andy lo riportò bruscamente dal sogno alla realtà, e Matt scattò a sedere sul letto ripetendosi ossessivamente “Dio! Non guarderò mai più MTv!!!”.
Aveva sognato robe allucinanti.
Assieme a cose effettivamente accadute nella sua infanzia – Margareth Calloway! Erano millenni che non pensava più a Margareth Calloway! – erano spuntate da… da dove, poi? Dal suo inconscio?, scene completamente inventate. E quel tizio, quel coso che nel sogno si faceva chiamare Brian, era dannatamente simile allo pseudo-cantante che aveva visto cantare quella pseudo-canzone che aveva fatto da colonna sonora a Cruel Intentions!
Santo cielo!
- Lo dico sempre io che guardare troppa tv fa male! – commentò Andy, sbraitandogli ancora nell’orecchio, - Guardati, sei completamente rincoglionito! Guarda che stasera mi servi sveglio!
- Stasera…? – mormorò Matt, sollevando lo sguardo sull’esagitata figura del coinquilino.
- Sì, stasera. – puntualizzò Andy afferrandolo per la maglietta e costringendolo a tirarsi in piedi, - Te l’ho detto prima che andassi a dormire, che avevamo appuntamento alle sette con gli altri.
- …ma per fare che, esattamente?
Andy mise le mani sui fianchi, guardando il soffitto con aria falsamente pensosa.
- Uhm. Ricordi la Ford Escort che abbiamo visto posteggiata accanto al molo, ieri sera? Ebbene, pare che abbiamo trovato un compratore.
- …Andy, quella macchina non è nostra. Non possiamo venderla.
Andy sembrò pensarci su per qualche secondo.
Poi si limitò ad afferrarlo per la collottola e cominciare a tirarlo verso la porta dell’appartamento.
- A tutto c’è rimedio, Bellamy! – annunciò candidamente mentre lo infilava nel cappotto come fosse stato un sacco della pattumiera e si affrettava a trascinarlo fuori.
Genere: Comico, Romantico.
Pairing: MattxBrian, a suo modo XD
Rating: PG-13
AVVISI: CrackFic, Fluff, RPS.
- Una mattina, Brian si sveglia e si ritrova accanto una sua copia esatta in tutto e per tutto. E' solo l'inizio dell'apocalisse XD
Commento dell'autrice: Awh, li voglio ç_ç Tutti e quattro ç_ç Sono così carini e spucciabili ç_ç
Alloooora… scritta perché… perché… no, davvero, non ha un perché XD Un giorno ho pensato che se Matt e Brian si fossero sdoppiati sarebbe stata una fic niente male per la serie delle Disease, che si va allungando sempre di più… XD (ne avrete altre due, come minimo XD). Comunque questa storia non ha senso. Nai dice che è talmente carina che le si perdona tutto. Io non so se sia così, ma so che scriverla è stato totalmente amabile, e che io l’ho amata in maniera assoluta, ecco XD
Olè per i finali puccini.
Dedicati alla Nai, tra l’altro, perché è praticamente quanto di meglio si possa desiderare in una donna. <3
La roba del BrianBot e del MattyBot invece è un omaggio all’Happyna X3 E a chiunque abbia visto la sesta serie di Buffy e si ricordi cos’era il BuffyBot X’D
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REPLICA
Song #86. Strange Disease Pt.3

Ricordava perfettamente di essere andato a letto da solo, la notte precedente.
Per carità, probabilmente era ubriaco. Non aveva ricordi proprio chiarissimi di ciò che aveva fatto e detto nelle ore che avevano preceduto il sonno, ma diamine, se fosse stata una notte da scopata l’avrebbe ricordato. Decisamente.
Perciò fu con non poco timore che riaprì lentamente gli occhi e sbirciò cautamente al proprio fianco, cercando di capire a chi appartenesse il calore che la propria pelle percepiva e il respiro che sentiva morbido e tranquillo e sonnecchiante al suo fianco.
E fu con non poco sgomento che scattò a sedere mentre, tirandosi indietro per lo spavento, si rendeva conto che il corpo addormentato al suo fianco non era altro che una sua copia esatta. In ogni dannatissimo particolare.
Un altro Brian Molko dormiva serenamente accanto a lui.
Dopo un primo momento di smarrimento totale, si rese conto che l’unica cosa da fare era saltare in piedi e strillare.
E fu esattamente ciò che fece.
Con enorme disappunto della sua replica, che si tirò a sua volta in piedi, riemergendo dalle lenzuola e stropicciandosi gli occhi con fare assonnato.
- Cosa diamine sei e che diamine ci fai qui?! – strillò Brian, inorridendo e indietreggiando di qualche passo.
La replica lo guardò di sottecchi.
Poi si guardò intorno.
Aprì definitivamente gli occhioni.
E parlò.
- Matty?
- …eh? – fu l’ovvia risposta di Brian.
- Dov’è Matty? – insisté la copia, guardandosi intorno con aria smarrita.
- …Matty chi? – chiese Brian, a sua volta confuso come mai.
L’altro Brian fece una smorfietta e si alzò in piedi.
Era completamente nudo.
Brian si concesse di fissarsi per qualche secondo, e poi strillò ancora, gettandogli addosso una coperta.
- Svergognato! – sbraitò, - Ma come vai in giro a dormire nei letti degli altri?!
- Questo è il mio letto. – rispose pacata la replica, avvolgendosi con noncuranza nel lenzuolo e dirigendosi tranquilla verso il bagno.
- Quello è il mio letto! – precisò Brian, inseguendolo, - E non so ancora chi diavolo sei!
- Dov’è Matty? – chiese ancora l’altro, frugando dietro le porte e infilandosi in bagno.
- Ma chi è questo Matty?! – ululò Brian esasperato, roteando gli occhi.
- Il mio ragazzo. – rispose la replica con un risolino da ragazzina, - Dovrebbe essere qui.
- Be’, qui non c’è nessuno a parte me, e io decisamente non sono il tuo ragazzo, e- si può capire perché cavolo cerchi il tuo presunto Matty dentro il cesso?! Dio!!!
La replica scrollò le spalle, riabbassando la tavoloccia e uscendo dal bagno.
- Potrebbe essere ovunque, Matty è piccino, lo perdo spesso.
- Cioè è più piccino di te…? – chiese soprapensiero Brian, prima di accorgersi che in pratica si stava dando del nano da solo e decidere che forse era meglio cominciare a pensare in modo razionale, prima di fare qualche idiozia.
La replica cominciò a rovistare gioiosamente nel suo armadio, come stesse cercando un pupazzo di peluche.
- Ok. – disse Brian afferrando l’altro per le spalle e costringendolo a tornare seduto sul letto, - Non ho idea di dove stia questo tipo, ma d’accordo. Mi sembri un idiota, quindi ti aiuterò a trovarlo.
Se non altro per togliermelo dai piedi, pensò crudelmente.
- Oh! – rispose la replica, felice, - Probabilmente è nel suo appartamento! Puoi accompagnarmi lì!
Brian sospirò, incrociando le braccia sul petto.
- Be’. Non vedo perché no, in fondo.
L’altro Brian si lasciò sfuggire un piccolo e stupido applauso di approvazione.
- Sei davvero gentile! – commentò entusiasta, - Come ti chiami? Io mi chiamo Brian!
Brian?!
- Come hai detto, scusa…?
- Brian Molko! – ripeté la replica, e subito dopo sulle belle labbra rosa pallido si dipinse una smorfia di delusione, - Non dirmi che non mi conosci… sono un cantante!
Brian spalancò gli occhi.
- Bimbo… - disse, la voce tremula, - Io sono Brian Molko. Io sono un cantante.
Non aveva la minima idea del perché l’avesse chiamato bimbo. Probabilmente perché gli sembrava di stare parlando con un idiota. Ma preferiva non pensarci.
- …che coincidenza! – disse la replica, esplodendo in una risata felice.
Ok, era un idiota sul serio.
Quello non poteva essere lui stesso! Cioè, come mai avrebbe potuto?! Già la clonazione umana era un argomento quasi fantascientifico, ma in una notte…! E con quei risultati, poi!
- Senti… - cominciò, al limite della sopportazione, - Adesso facciamo così: dimmi dov’è che sta questo Matty. Io ti ci porto. Ti ci lascio. E tu non ti fai più vedere.
- Va bene! – rispose tranquillamente la replica, socchiudendo gli occhi e reclinando graziosamente il capo, mentre sgambettava sul letto.
- Spero vivamente che questo Matty di cui parli sia lo scienziato che ti ha creato. E spero vivamente che ti termini. – concluse poi afferrando una camicia ed un paio di pantaloni random dall’armadio e lanciandoli addosso alla sua copia ancora avvolta nel lenzuolo.
La replica non capì, si limitò a prendere gli abiti e infilarcisi dentro, tutta ripiena di gridolini eccitati.
*

Aveva già visto quel posto.
Non ricordava quando e non ricordava perché ma l’aveva visto. Probabilmente in televisione. E la visione non doveva essergli piaciuta granché, perché al palazzo grigio e alto davanti al quale si trovava erano associate un mucchio di sensazioni spiacevoli. Irrequietezza, disappunto, fastidio. Noia.
- Sei sicuro che sia qui…?
La replica annuì con decisione, afferrandolo per una mano e trascinandolo all’interno del palazzo.
- Ehi! – protestò Brian, opponendo resistenza, - Non è necessario che venga insieme a te! Ti ho già portato fin qui!
La replica lo ignorò, continuando a trainarlo senza sforzo su per le scale, fino al primo piano.
Quando furono sul pianerottolo, si gettò con impeto sul campanello, cominciando a trillare furiosamente come fosse l’unico motivo per il quale era nato.
L’ansia di Brian non faceva che crescere. Si appoggiò contro la grata che proteggeva la tromba dell’ascensore, battendo agitato il piede contro il pavimento e guardandosi intorno con sospetto.
Lui conosceva quel posto, era certo di averlo visto, certissimo.
E le sue certezze divennero realtà quando dall’interno dell’appartamento eruppe un indiavolato “ho capito!!!” e Matthew Bellamy aprì la porta, presentandosi a loro in pantaloni e nient’altro, i capelli ancora scompigliati dalle ore di sonno e una lieve barbetta a rendere ispide le guance solitamente lisce.
Il povero frontman dei Muse non ebbe neanche il tempo di capire quello che gli si trovava davanti, che la replica gli saltò addosso, mandandolo per terra con un innamoratissimo e giubilante “nyah!”. Brian non trovò niente di meglio da fare che abbandonarsi vergognoso contro la ringhiera e darsi uno schiaffo sulla fronte, desiderando una morte istantanea e il più possibile indolore.
- Co-cosa… - riuscì appena a mormorare Bellamy, sconvolto, scivolando svelto con lo sguardo dall’uno all’altro, - DUE?!
Brian sospirò di fronte al suo sconcerto e lo afferrò per la collottola, facendolo strisciare fino all’interno dell’appartamento con replica ancora ballonzolante in grembo e richiudendosi frettolosamente la porta alle spalle, prima di un qualche disastro – tipo essere visti.
- Cosa diavolo sta succedendo, Molko?! – strillò Matt quando fu al sicuro in casa sua, cercando di scrollarsi la replica di dosso mentre quella decideva che la cosa più appropriata che potesse fare fosse attaccare i suoi pantaloni, cercando di strapparglieli.
Brian scosse le spalle.
- Mi aspettavo che lo sapessi tu. Questo coso – disse, indicando la replica gongolante, - era nel mio letto stamattina.
- E quando una cosa che è uguale a te è nel tuo letto quando ti svegli tu pensi che sia colpa mia?!
- Ma appena sveglio ha detto “Matty” e poi s’è messo a cercare per tutta la casa dicendo che “Matty” era il suo ragazzo e dal momento che era piccino lo perdeva spesso!!!
- …e quindi Matty…
- Be’, sì. Mi sono offerto di portarlo dal suo presunto ragazzo e mi ha portato qui.
- …ma…
- Ma niente, Bellamy! Adesso non fare il finto tonto! Ho capito qual è il tuo gioco!
Matthew gli rivolse uno sguardo perso e vuoto e, privo di forze, lasciò perdere la lotta palesemente impari che stava portando avanti con la replica, così che quella ebbe modo di lasciarlo in mutande e poi partire all’attacco anche di quelle.
- Il mio gioco…? – chiese Matt, sempre più stordito, - Quale gioco…?
Brian ghignò apertamente e incrociò le braccia sul petto.
- Ti credi furbo, vero? Credi che non sappia perfettamente-
- Molko, PIANTALA, diosanto, e staccami questa cosa di dosso!!!
La replica ridacchiò allegramente e si aggrappò coi denti all’orlo dei suoi slip, dando i brividi a entrambi i cantanti. Fortunatamente, poi prese l’accorta decisione di fermarsi a miagolare e far le fusa lì, senza procedere oltre. Ed entrambi gli uomini poterono sospirare di sollievo.
Brian ebbe così modo di esporre la sua teoria.
- Ci ho pensato e ripensato da quando ti ho visto apparire sulla porta. Era evidente fin dall’inizio che questa roba dovesse essere opera di uno scienziato pazzo o qualcosa del genere…
- Io non sono uno scienziato pazzo!
- …e quindi per me è ovvio che mi hai visto in televisione, sei stato colpito dalla mia bellezza sfolgorante e hai deciso di costruire un BrianBot a mia immagine e somiglianza, per soddisfare tutti i turpi desideri che covavi nei miei confronti…
- …ma santo cielo…!
- Il che a mio parere spiega anche perfettamente il perché questa cosa sia così innamorata di te e arrendevole nei tuoi confronti!
- Arrendevole?! Ti pare che sia arrendevole?! – strillò Matt mentre la replica lo ribaltava, stendendolo per terra, e cercava di sfilargli le mutande, - È mezz’ora che cerco di strapparmelo di dosso e a te sembra arrendevole?!
- Adesso non cominciamo a rovesciare la Verità! Sei un pervertito, ti meriti di essere deflorato dalla tua stessa malefica creatura!
- Deflorato?!
La replica riuscì finalmente ad afferrare le mutande di Matt e cominciò a strattonarle verso di sé, ma proprio quando quelle furono sul punto di cedere, sfilacciarsi e lasciare il loro padrone nudo in tutta la sua grazia, qualcosa di meraviglioso accadde. Una luce biancastra quasi accecante si materializzò nel mezzo del salotto, e si espanse, si espanse, si espanse fino a lambire il soffitto.
E quando fu svanita, un’altra replica restò al suo posto.
Nudo come appena nato, un Matt Bellamy perfettamente uguale all’originale stazionava di fronte al divano del salotto, occhi luminosi e bene aperti e labbra dischiuse piegate in un mezzo sorriso imbarazzato e vagamente invitante.
La replica di Brian alzò lo sguardo e lo incollò addosso al suo degno compare, luccicando d’amore.
- M-Matty…! – mormorò gioioso l’altro Brian, giungendo le mani sotto al mento, - Sei tu!
Matt – o almeno, il suo sosia – sorrise, chiudendo gli occhi e reclinando il capo.
Due secondi dopo, il BrianBot o quel che era gli stava già addosso, erano entrambi caduti sul divano e si intrattenevano in giochini piacevoli che producevano smorfie di disapprovazione e disgusto in Matthew e silenzioso sgomento in Brian.
- Non ho parole! – commentò Matt, risollevandosi in piedi, senza trovare la forza neanche per rimettersi i pantaloni.
Brian scrollò ancora le spalle, limitandosi ad osservare la scena per un paio di secondi, le braccia sui fianchi e un pericolosissimo ghigno nascente sul volto.
- Però. – disse il frontman dei Placebo, voltandosi a guardare il suo compagno di sventure, - Sembra che si divertano.
Matt lo fissò, inorridito, incapace di spiccicare una sillaba.
Ma questo non sembrò abbastanza a Brian Molko, perché decidesse di tacere. Il ghigno sul suo viso si allargò, mentre i suoi occhi diventavano due fessure brillanti di malizia, prendendo a somigliare spaventosamente a quelli di un gatto.
- Be’, - concluse, avvicinandosi provocante, - tanto vale provare anche noi, no?

*


Omake

Buon appetito!
- Santo cielo, il cucchiaio si usa così! – sbraitò Matt, infilando l’oggetto di prepotenza in bocca alla sua replica, che guardava languidamente la replica di Brian seduta al suo fianco.
Brian sospirò pesantemente, imboccando a sua volta il proprio piccolo clone e scuotendo il capo.
- Non può continuare in questo modo… - disse, mentre il BrianBot sputacchiava minestra un po’ ovunque e riprendeva a fare le fusa al MattyBot.
- Potrebbe continuare! Se solo questi due cosi si decidessero a mollare il mondo dei bambini innamorati e si trasformassero in veri esseri umani!
- Sì, Bellamy, credici: un giorno saranno bambini veri.
- Be’, sarebbe già qualcosa se fossero solamente dei bambini! E invece sono chiaramente due maniaci sessuali! E io scommetto che è colpa tua, Molko! Sei tu quello a cui piacciono le perversioni, fra noi! Questi due cosi devono essere il risultato di un qualche tuo stupido sogno erotico! Devi avere trasformato la cosa in realtà, in qualche modo idiota!
- …Matthew.
- Sì?
- Questo discorso è stupido quasi quanto quello che ho fatto io sullo scienziato pazzo.
- …
- Avanti, finiamo di dar loro da mangiare e mettiamoli a letto.
- Sarebbe pure possibile! Se questi due piccoli maniaci la smettessero di toccarsi per un solo secondo!
Brian sospirò ancora e si rassegnò ad altre quattro ore di pappa.

Buon bagno!
- Siete coperti di salsa! Ma dico, si può?
Il BrianBot ridacchiò e si sporse verso il MattyBot, strusciandosi contro una sua guancia.
- Dovreste stare più attenti a quello che combinate col cibo! – continuò Brian, staccando le repliche l’una dall’altra e riprendendo a strofinare con foga i capelli del proprio clone, - Adesso siete tutti appiccicosi! Matt, un po’ d’olio di gomito, non vedi che il tuo coso è ancora lurido?!
- Sto facendo il possibile! – replicò Matthew mentre, con una smorfia disgustata, tirava fuori uno spaghetto dal padiglione auricolare della sua piccola copia.
- Non stai facendo abbastanza, evidentemente! Avanti, sono distrutto! Tiriamoli fuori da questa vasca, passiamoli sotto un asciugamano, infiliamoli in un pigiama e archiviamoli!
- …piccoli pervertiti! Avete sentito papà? Smettetela di toccarvi e finiamo questa cosa!
Brian sollevò lo sguardo su Matt e lo osservò concentrarsi sulle incrostazioni di salsa sulle guance del suo clone.
- …cos’è che hai detto?
- Mh? Quando?
- …adesso.
- …?
- Quella cosa… del papà…
Lo vide arrossire.
Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa.
Mentre le repliche ricominciavano a giocare, si limitò ad arrossire a sua volta.

Buona notte!
- Dobbiamo proprio mettere loro anche i cappellini…?
Brian ricominciò a sprizzare cuoricini in ogni dove, lanciando gridolini di pura gioia, al punto che sembrava essersi trasformato della sua stessa replica. I piccoli cloni restavano immobili, le braccia graziosamente incrociate dietro la schiena, ondeggiando di qua e di là come bimbi vanitosi, sfoggiando i loro pigiamini nuovi.
- Non era già sufficiente vestirli uguali…?
- No! Non sarebbe stato lo stesso senza i cappellini col pon pon finale!
- …
- Guardali! Sono carinissimi!!!
- …
- Sono un dannato problema per tutto il resto del giorno, ma quando arriva la sera… aaaawh!
- …
- …?
- Brian?
- Mh?
- Buonanotte.

*


Reprise.
Crollarono sul divano in sincronia, con identici sbuffi esasperati. Due mesi di quella vita li avevano velocemente ridotti a copie conformi l’uno dell’altro. Avevano gli stessi bisogni, negli stessi momenti, pensavano le stesse cose e i loro tempi andavano ormai di pari passo.
Le piccole repliche continuavano a vivere la loro vita tranquilla, e Brian e Matthew andavano loro dietro. Ormai era quasi maggiore la quantità di ore che Brian passava in casa di Matt – dove i cloni vivevano – che non quelle che passava in casa propria.
- Brian… domani la sveglia è alle sette… - ricordò il frontman dei Muse, abbandonando il capo contro lo schienale.
- Cosa?! – si lamentò Brian, esausto, - Perché?
- Ricordi? Alex e Tom vogliono provare a farci cantare tutti e quattro insieme…
- Ah! La quadrifonia! Come dimenticare! Che poi, come sarà venuto in mente a quei due diavoli?! I cosi in genere squittiscono, al massimo miagolano!!!
- …mi dispiace…
- Non ti scusare! Che c’entra?! Sono solo esausto! Oggi abbiamo passato ore a fare shopping e metterli a letto è stato più problematico del solito! Il pensiero di dovermi svegliare alle sei domattina per essere qui in orario… mi dà i brividi!
- …
- …
- Bri…
Sentirsi chiamare così gli diede dei brividi non indifferenti.
Doveva essere la prima volta.
Cercò di ricordarne una precedente, e non la trovò.
Sì, era la prima.
- Se vuoi… ecco… puoi restare a dormire qui.
Si voltò a guardarlo.
Matt fissava un punto imprecisato nell’aria vuota davanti a lui, stropicciava un lembo della maglia ed era imbarazzato in maniera adorabile.
Sorrise.
- Avrai dove mettermi? – chiese con un sorriso malizioso, - I cosi hanno occupato la stanza degli ospiti.
Matt sbuffò, roteando gli occhi.
- Che significa. – sbottò, e la sua espressione riempì Brian di tenerezza, - Lo spazio si trova.
Genere: Comico, Introspettivo.
Pairing: MattxBrian, hint semi-nascosta ma IMMENSA di BrianxStef.
Rating: R
AVVISI: CrackFic, Language, RPS, Slash.
- Matthew Bellamy incappa nelle foto del bacio che quello che dovrebbe essere il suo uomo - Brian Molko - e il bassista del di lui gruppo - Stefan Olsdal - si sono scambiati durante un concerto in Lituania e... semplicemente dà di matto.
Commento dell'autrice: Il mondo è perduto! Due fic idiote in due giorni! Questa, poi, è nata in reazione al tragico fatto ç_____ç Che è successo davvero ç____ç E una donnina fedele al proprio fandom quale io sono non poteva lasciar correre >_< La rivoluzione di Matt doveva avere luogo! Anche se alla fine fa la figura becera dell’idiota comunque XD Ma che posso farci, lui È un idiota. *si nasconde*
Per l’ultimo dialogo fra Matt e Bri ringrazio la mia amata <3 Mika, che l’ha concepito e realizzato live chattando con me su MSN *_* Grazie anche alla Nai per il beta-reading ç_ç Non avete idea di quanti stupidissimi errori di battitura ci sarebbero, qui, senza il suo prezioso aiuto <3
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A MATTER OF A BRIEF KISS
Song #38. Headstrong

- E quindi è una puttana!
Fine di un ragionamento perfettamente logico.
Durato la bellezza di due ore e mezza.
Dom si lasciò andare sul divano ed esplose in un sospiro sollevato.
- Grazie a Dio hai concluso! – sbottò esasperato.
Decisamente non era quello che Matt si sarebbe aspettato che il suo migliore amico sbottasse in una situazione simile. Si sarebbe aspettato che Dom sbottasse qualcosa tipo “eccome se hai ragione! Ti aiuterò ad organizzare una vendetta coi controfiocchi, facciamo sparire il suo beauty-case dal tuo bagno e facciamogli trovare le mutande di un altro uomo sotto al letto!”. E invece no. E invece sbottava “grazie a Dio hai concluso”. Corsivettando il concluso, peraltro!
Fissandolo incredulo, Matt si azzardò a chiedere il perché di quella lamentela.
- Matthew, con chi sto io?
- Uhm. – disse Matt, un po’ stupito dalla domanda inaspettata, - Sei con me, in questo momento.
- Cretino. Chi è il mio ragazzo?
- Ah! In quel senso! Ma Stefan, chiaramente. Ed è per questo che non capisco-
- Non capisci? – esalò Dom, dandosi uno schiaffo sulla fronte, - Come potevo sperare il contrario? Bells, se ci fosse qualcosa di cui preoccuparmi, non pensi che sarei già preoccupato?
- …non capisco!!!
Dominic mugolò di dolore e desiderò avere la calmante presenza di Chris al suo fianco. Ma Chris era da qualche parte in vacanza alle Bahamas, e Dom voleva troppo bene al suo bassista per costringerlo a prendere un aereo d’urgenza per recarsi a reggergli la mano nella piovosa Londra mentre cercava di fare capire a Matthew quanto intensamente fosse idiota.
- Matthew… ti prego… se quel bacio fosse una cosa seria, non sarei così tranquillo!
- …l’hai detto!!! – strillò Matt, inorridendo.
- …cosa? – chiese lui, sconvolto dall’urlo.
- L’hai nominato!!!
- Ma cosa?
- Il bacio!!!
Ecco.
Ecco di cosa stavano parlando da due ore e mezza.
Il dannatissimo bacio che Brian e Stefan si erano scambiati sul palco del concerto che avevano tenuto a Vilnius.
- Matt… è ovvio che io l’abbia nominato, ne parliamo da ore… - puntualizzò, massaggiandosi le tempie.
- Sì, - protestò animatamente Matt, - ma io non l’ho nominato!
In effetti tutto il discorso di Matt era stato infarcito di quella cosa, l’indecenza e l’oscenità. Non aveva mai pronunciato la parola bacio.
Doveva dargliene atto, il suo cervello funzionava bene – per le cose totalmente inutili.
E grazie al cielo lui non aveva avuto la sbadataggine di menzionare che di quel bacio sapeva da giorni, che era stato tutto perfettamente organizzato – come tra l’altro era palese, osservando foto e riprese – e che Brian l’aveva implorato di non dire niente a Matt perché, conoscendolo, come minimo avrebbe preso il primo aereo per la Lituania e, nel tentativo di fermarlo, sarebbe stato rapito da uomini senza scrupoli che gli avrebbero tagliato le orecchie e la lingua per farsi pagare un riscatto milionario.
(Sì, Dom era assolutamente convinto del fatto che Matthew e Brian fossero fatti l’uno per l’altro.)
- Matthew. – disse il batterista, ormai al limite della sopportazione, - Se può farti star meglio, chiama Brian. Parlagli. Vedrai che ti risponderà che è stato solo un modo per protestare contro i maltrattamenti nei confronti dei gay in quel paesucolo di merda.
- Ha! – esplose Matt, battendosi teatralmente una mano sulle ginocchia, - E tu pensi che mi beva questa cazzata dei diritti dei gay?! Ma per favore!!! Se uno vuole rivendicare diritti fa una manifestazione, un sit-in, si incatena da qualche parte o fa uno sciopero della fame e della sete! Al massimo va in televisione! Mica si mette a baciare bassisti in giro per il mondo!
- Ossignore, baciare bassisti… Matt, ha solo dato un bacio a Stefan!
- Sì, ma tu l’hai visto che bacio?!
- Matt, mi hai fatto vedere le foto e i video a rotazione per qualcosa come millecinquecento volte…
- Non sono state abbastanza, evidentemente!!! Quello non è un “bacio”!
- No?
- No!!! Quello è un preliminare!!!
- Addirittura!
- Ma sì! Non si limita a mezzo metro di lingua giù per la gola, no, lo lecca sulle labbra poi!
- Non è la prima volta… è già successo in passato, quella leccata sulla labbra è un po’ il loro segno di distinzione…
- …!!!
- Matt, ti senti bene?
Matt era sbiancato, chiaramente.
- Segno di distinzione!!! Quante altre volte è successo?! – chiese il cantante, strillando come un ossesso, le mani ai capelli.
Dom scrollò le spalle con aria disinteressata.
- Almeno un’altra volta. C’è il filmato su YouTube. Brian poi si volta verso le telecamere e dice “fuck you”.
- SANTISSIMO IDDIO! Devo vederlo!
- Ah, ma ti vuoi male, allora!
- Ma è così lampante che si amano ancora!!! Dom, non capisco come fai a non vederlo!!!
Dominic lanciò un lamento esasperato.
- Senti, Matt, sono stufo. Ho mal di testa. Mi butto dieci minuti sul divano e dormo. Tu chiama Brian, fatti rassicurare, fa’ qualcosa, ma lasciami in pace.
Matthew si afflosciò su sé stesso, giungendo le mani in grembo e fissando con aria sconsolata il telefono.
Nel momento in cui Dom chiuse gli occhi, stava già afferrando la cornetta.
*

- Sei una puttana!
- …Matt, tesoro. Anche io sono felice di sentirti.
- Non ho detto che sono felice di sentirti! Ti ho dato della puttana!
- Sì, me n’ero vagamente accorto…
- Reagisci! Giustificati!
- Di cosa dovrei giustificarmi, esattamente?
Matt lo immaginò spalancare gli occhioni con innocenza, ed ebbe voglia di strozzarlo via cavo. Ma solo via cavo. Perché se l’avesse visto probabilmente gli avrebbe perdonato ogni crimine e l’avrebbe sposato.
- Hai baciato Stef!
- Mi sono vagamente accorto anche di questo, sai?
- E ci credo che te ne sei vagamente accorto! Una lingua nella bocca di un altro non è esattamente una cosa che passi inosservata!
Brian sogghignò e si lasciò andare a un risolino malizioso.
- Te ne sei accorto anche tu, dunque.
- Come potevo non accorgermi della tua lingua nella sua bocca?!
- Uhm, credevo di essere stato più discreto. E dire che mi sono impegnato per tenere le labbra appiccicate alle sue, sperando che la lingua si vedesse solo nella leccatina finale…
- …mi sento male…
- Matt, tesoro, è stato solo un bacio! Per ragioni umanitarie, poi! – sbottò Brian, incredulo.
- Ragioni umanitarie il cazzo, Brian! Il tuo bassista va dicendo in giro che è stata una cosa spontanea! Quindi non venire a farmi la lezioncina delle ragioni umanitarie, perché altrimenti quando torni ti impicco!
Brian sospirò, e Matt poté vederlo chiudere gli occhi e grattarsi il collo. Lo faceva sempre quando s’innervosiva.
- E va bene, Matt. Non ti farò la lezioncina delle ragioni umanitarie. Vuoi il vero motivo per il quale ci siamo baciati?
- …
- Lo vuoi?
- …
- Matt!
- Non farmelo dire! Cretino! Parla!
Brian sospirò ancora, ma stavolta sorrise anche, lievemente.
- Si chiamano soldi, tesoro. Ebbene sì.
- Soldi…?
- Avanti, non è una novità, Matt. Siamo una rockband. Abbiamo una certa immagine. Ed è quella che vendiamo.
- Anche io sono in una rockband! Ma io non bacio il mio bassista per fare soldi!
- …tesoro, senza offesa e con tutto l’affetto del mondo, tu e Chris non siete esattamente me e Stef…
- …l’hai ammesso!!!
- …cosa? Che io e Stef abbiamo una certa storia e quindi certi nostri gesti creano certe reazioni nelle fangirl alle quali vendiamo la nostra musica?
- No!
- …guarda che è questo, quello che stavo ammettendo.
- No! Hai ammesso che vi amate ancora!
- Quando esattamente?
- Quando hai detto che io e Chris non siamo esattamente come te e Stef!
- …e stavo dicendo, appunto, che non siete come noi…
- Perché voi vi amate e noi no!
- Accidenti a te, Bellamy, non sono innamorato del mio bassista! Dio! Datti una calmata e dormi, quando torno faremo una bella scopata e dimenticherai tutto, promesso! – concluse Brian esasperato, buttando giù la cornetta.
Per molti secondi, Matt rimase interdetto. Il telefono ancora pressato contro l’orecchio, restò ad ascoltare il metallico tuu come ipnotizzato.
Dall’altro lato del mondo, a Vilnius, Brian si lasciò andare sul divano, grattandosi effettivamente il collo e sospirando così pesantemente che Stefan sentì il suono del suo respiro nonostante le cuffie nelle orecchie, e spense la musica, sollevando lo sguardo.
- Che è successo?
- Matthew è insicuro e rompe le palle.
Stefan si lasciò andare ad una risata divertita.
- Sapevi che sarebbe successo! Ma tu ed Alex, no, a voi non interessa se il cuore del piccolo Matty finisce spezzato in due, figurarsi! Voi pensate solo “quante migliaia di persone in più verrebbero al prossimo concerto, se dessimo loro l’illusione di poter assistere a qualcos’altro di simile?”!
- Ehi, adesso! – replicò Brian, infastidito, - Primo: c’eri anche tu con me su quel palco! E non credere che abbia ignorato la mano che hai posato sul mio braccio!
- …non addentrarti in discorsi pericolosi, adesso…
- Sarà meglio! Ma secondo poi, comunque, non insinuare che io non tenga al mio uomo!
- Insinuare, adesso… io non è che lo insinuo
- …tu lo affermi?!
- No! – rise ancora Stef, - Ma sono fortemente convinto che tu abbia la coda di paglia, in compenso!
- …
- In ogni caso adesso richiamerà lui e piagnucolerà un po’, e alla fine farete pace.
- Mah… mi è sembrato alquanto fuori di sé, per dire la verità… straparlava…
- Scommettiamo?
Brian gli lanciò un lungo sguardo colmo di disapprovazione.
- Stef, tu non conosci il mio uomo meglio di me.
Il bassista sospirò, scrollando le spalle.
- Se lo dici tu.
- Non richiamerà!
- …
- Non richiamerà, santo cielo!
- Scommettiamo, allora! Magari riesco a tirare fuori almeno dei soldi da questa totale cavolata in cui mi avete coinvolto tu e quell’altro degno diavolo della nostra manager!
Brian incrociò le braccia sul petto.
- Senti… - cominciò, ma non fu in grado di finire. Il telefono squillò quasi subito.
Stef tornò ad ascoltare la sua musica con un risolino appagato, e Brian si affrettò a rispondere, rabbrividendo perché non ricordava di aver stipulato i termini della scommessa e aveva sinceramente timore di quanto Stef avrebbe potuto chiedergli poi.
- Bri…
Ovviamente Matt piagnucolava.
Brian lanciò un sospiro stremato e tirò il portafogli a Stef, che lo aprì e lo svuotò con aria soddisfatta.
- Dimmi, Matt.
- Bri, anche qui in Inghilterra le masse hanno problemi con gli omosessuali!
…ecco, questa era una cosa che non si sarebbe mai aspettato.
- Che intendi?
- C’è tanto razzismo in giro! La gente non capisce!
- …
- Capisci?
- Sinceramente no.
- …non è complicato!
- Quando mai qualcosa che è nato nella tua mente non lo è stato?
- …il succo della questione è: visto che anche qui ci sono problemi coi gay, se proprio devi protestare, saliamo su un palco qualsiasi e bacia me!
- …
- Ci sono davvero tanti problemi!
- …
- Possiamo anche approfondire, se vuoi!
- …sul palco…?
A quel punto si sarebbe aspettato un passo indietro.
Come minimo.
- Dove vuoi! – rispose invece Matt, provando di avere la testa più vuota dell’universo e di non essere in grado di formulare un pensiero sensato neanche sotto sforzo.
Brian si lasciò andare a un ghigno malefico.
Aveva perso tutti i soldi che aveva nel portafogli, d’accordo, ma forse da quell’assurdità sarebbe uscito qualcosa di buono, dopotutto.
Lui e Matt Bellamy che si baciavano – e altro! – su un palco? Magari a Wembley? Poteva già vedere la scena! Orde di fan impazziti! Foto e video in tre prospettive diverse fare il giro del mondo in un’ora! Le community di fangirl! Le fanfiction! La quantità immane di soldi che tutto questo avrebbe portato…!!!
- Okay. – disse deciso, attorcigliandosi il filo del telefono attorno all’indice.
Dall’altro lato ci fu un silenzio pesante e carico di significato.
Matt stava lentamente tornando alla realtà.
Sì, a volte capitava anche a lui.
- …io dicevo così per dire.
- Ah-ha.
- Era la foga del momento!
- Cazzi tuoi. Così impari a parlare senza pensare.
- Ma…
- …
- …Brian, io non dicevo sul serio!!!
- Quel che è detto è detto!
- Ma-
- Oh, insomma, Bellamy! Vuoi dare il tuo contributo alla causa dei diritti dei gay o no?!
- …sì, ma…
- E allora! Niente ci fermerà!
- …
Poté sentire nel suo silenzio che tutte le sue difese erano rovinosamente crollate al suolo.
Aveva vinto!
- Avanti, Bells. In fondo è solo questione di un veloce bacetto.
Stefan trovò opportuno riemergere dal suo ascolto proprio in quel momento.
- Non credergli, Matt! – urlò maligno, - Aveva detto la stessa cosa anche a me e poi quasi mi soffocava con la lingua!
Brian si voltò a guardarlo con sommo disappunto.
- Stefan! Ma un momento più appropriato, no?!
Matt ricominciò a piagnucolare disperato dall’altro lato della cornetta.
Brian si portò una mano alla fronte, esasperato.
Adesso avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo!
E vallo a convincere di nuovo, quel tipo allucinante!
Genere: Comico, Introspettivo.
Pairing: In pratica nessuno, ma Brian è chiaramente pazzo di Matt XD
Rating: R
AVVISI: CrackFic, RPS, Slash.
- Se c'è una cosa di cui Brian Molko è sicuro, è che Matthew Bellamy NON PUO' essere considerato oggetto di attrazione sessuale. Ne è assolutamente certo, convinto al cento per cento, il solo pensiero lo disgusta! Eppure... che diamine, perché non riesce a staccargli gli occhi di dosso?!
Commento dell'autrice: Oddio quanto amo scrivere cose dementi *-*!!! Questa, poi, è così totalmente idiota *___*!!! Aaawh. È nata da ispirazione fulminea mentre leggevo XL. Il giornalista di turno stava intervistando la cantante dei Noisettes, questo gruppo che ha fatto da supporto a Muse e Babyshambles nell’ultimo anno, e a un certo punto le ha chiesto proprio come fosse stato trovarsi a confronto con due tipi opposti di sexy al maschile XD E nello stesso momento in cui l’ho letto ho pensato “Oddio, Brian divorerebbe la pagina” XDDDDD È stato un momento meraviglioso nella mia giornata *-* Il fangirling non ha limiti ù_ù (il mio ancora meno). Inoltre >_< avevo voglia di farla pagare a Brian per “certi avvenimenti recenti” di cui parlerò più approfonditamente nella prossima fic idiota che scriverò (probabilmente adesso XD), e già che c’ero desideravo fare in modo che Matty uscisse vittorioso dal confronto dei cervelli, una volta tanto, così, tanto per cambiare. E questo è ciò che è venuto fuori “XD Sìììì, tremate X’DDDD
Ah, comunque nella fic ci sono un po’ di cose veramente provate ù_ù A parte l’articolo (che, se vi interessa, trovato nel numero di maggio di quest’anno :O), abbiamo il denim kilt di Brian (vi prego, non commentate troppo), la mise allucinante di Matt (ma come si fa a vestirsi così? ç_ç) e il suo adorabile gel brillantinato. Questi ragazzi saranno la mia rovina XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
CONTROL
Flavour #15. Bathing in artificial light
Song #77. Look through my eyes

Non ricordo chi l’ha detto e non ho la minima idea di dove possa aver letto una cosa simile, ma so perfettamente di averlo fatto. Il suono delle risate che non avevo potuto trattenere mi riecheggia ancora nelle orecchie, e so che se chiedessi a Stef o a Steve entrambi farebbero roteare gli occhi e sospirerebbero pesantemente, dicendo “Brian, perché non puoi lasciare perdere mai niente?”.
Be’, scusatemi. Ma quando uno legge che qualcun altro in un’intervista ha dichiarato senza vergognarsene “Matt Bellamy può attrarre per il controllo che esercita intorno a sé”, non può lasciare perdere. Ed io magari sono un attimino fissato con questa cosa – solo da un paio di giorni e solo perché so che fra due ore saremo costretti a condividere lo stesso palco per quel festival del vattelappesca del cavolo cui Alex ci ha ordinato di presenziare – ma davvero, siamo seri.
Matthew Bellamy? CONTROLLO?
Ma, cosa ancora più assurda, Matthew Bellamy e la parola “attrarre” nella stessa frase?
No, davvero.
Ma davvero.
Scherziamo?
Quale essere umano sano di mente e di corpo potrebbe seriamente essere attratto da quel topo?
È un topo! Non ci sono dubbi su questo! Guardatelo, vi prego! Attentamente!
Lasciate stare le mani dalle dita lunghe e affusolate.
Lasciate stare l’adorabile fossetta sul mento.
Lasciate stare anche i lineamenti eleganti da lord inglese e la barbetta che si sta abituando a portare di recente!
Insomma, tutto il resto è indecente! È magro come un chiodo! E poi è basso! E guardate come si veste! Santo cielo, sembra che sia entrato nel primo negozio che ha visto mettendo piede in città e abbia afferrato le prime tre cose che gli sono capitate sottomano decidendo all’istante che quello doveva essere l’abbinamento perfetto quando era chiaro come la luce del sole che non lo era!
Ma si può?
Attratti!
Da Matthew Bellamy!!!
La donna che ne ha parlato doveva essere completamente priva di buon gusto. E il giornalista che ha posto la domanda – peraltro mi sembra di ricordare fosse pure maschio, pessimo, pessimo davvero – doveva essere un vero idiota.
Se mi sforzo riesco anche a ricordare com’era la domanda esatta. Devo riuscirci, perché era talmente ridicola che sarebbe drammatico osservarla perdersi nelle sabbie del tempo senza- ECCOLA. Stava parlando con questa tipa e a un certo punto le fa “durante i tour sei stata messa a confronto con due esempi opposti di sexy al maschile”.
ESEMPIO!!!
DI SEXY AL MASCHILE!!!
MATTHEW BELLAMY!!!
L’altro mi pare fosse Pete Doherty, ma la cosa è completamente irrilevante.
Voglio dire, è disgustoso. Non ha senso.
Io sono un esempio di sexy al maschile!
*

- Brian, per carità, vuoi calmarti?
Ho ritrovato la rivista!
Ho ritrovato la dannatissima rivista!
Ero certo di averla conservata, era troppo idiota per buttarla via! E finalmente è di nuovo fra le mie mani!
- Non posso, Stef! Tu non capisci! Questo tipo-
- Ha affermato che Matthew Bellamy è un esempio di sexy al maschile, sì. E con ciò?
- Come con ciò?! Che vuol dire con ciò?!
Stefan, farai meglio a smetterla di sospirare!
- Con ciò vuol dire che non capisco perché la cosa ti sconvolga tanto.
- Perché è evidentemente un paradosso!
Per un secondo, Stef mi guarda stupito.
Poi scuole il capo.
- Brian, Matthew Bellamy è un bell’uomo.



OSSIGNORE!
- Anche tu?!
- Come sarebbe a dire “anche” io?
- Anche Steve, poco fa…
- Brian, finiscila… - dice appunto Steve, riemergendo dal bagno, - Ti ho già detto di lasciare perdere questo discorso! Non ci porterà da nessuna parte!
- Ve lo dico io dove ci porterà! Ci porterà a capire che tutto il mondo è impazzito!
- Perché al mondo piace Matt Bellamy? – chiede Stef, sconvolto, - Davvero pensi sia così strano?
- ASSOLUTAMENTE!!!
- E perché ti sembra così strano?
- …ma l’hai guardato?!
Getta un’occhiata al manifesto del festival del vattelappesca, e cattura l’immagine di un Bellamy sorridente con le braccia incrociate sul petto e le bretelle bianche – Dio – sulla camicia nera.
- Sì, l’ho guardato, Bri.
- È magro! Scheletrico!
- È snello, Brian.
- Ha un pessimo gusto nel vestire!
- Almeno non ha mai indossato una gonna da liceale plissettata in denim durante i concerti…
- Era un kilt! Era un denim kilt!
- Sì, tesoro, sì…
- E senti come gracchia quando canta!
- Questo non c’entra niente col suo aspetto fisico…
- …
Ucciderò qualcuno entro stasera!
Dovrò usare l’ultima carta a mia disposizione!
- È basso! – dico, gonfiandomi d’orgoglio.
Steve spalanca gli occhi.
S’è limitato al silenzio fino ad ora, ma non sembra più in grado di resistere.
- Basso, Brian? Basso?! – chiede incredulo, - Tu sei decisamente più basso di lui!
- …
Io non sono più basso di lui!
Non lo sono affatto!
- Adesso silenzio. – afferma Stef categorico, - Stanno cominciando.
Percepisco la rabbia farsi strada dentro di me!
Esploderò!
Controvoglia, mi volto a guardare il palco.
I Muse si sistemano alle loro postazioni. Bellamy lievemente decentrato verso sinistra, il bassista a destra, il batterista dietro, assiso su una specie di altare viola luminoso.
So già che sarà disgustoso.
Bellamy è disgustoso! Indossa un paio di terrificanti pantaloni grigi che penso andassero di moda qualcosa come cinquant’anni fa fra gli uomini di mezz’età e un maglioncino rosa semplicemente pessimo.
Sospiro e mi accomodo sul sofà accanto a Stef, incrociando le braccia sul petto e preparandomi a tre quarti d’ora di sofferenza.
*

Supermassive Black Hole
Continuo a non capire come le masse possano apprezzare un individuo simile.
Va bene, la sua voce è sexy, ok, lo ammetto. Sì, anche quando sfalsetta. Sì, anche quando gracchia. Accidenti a lui. Non so come sia possibile, non chiedetemelo, credo sia qualcosa nel modo in cui mette le parole una dietro l’altra. E poi prende fiato in maniera oscena. È l’unico uomo al mondo a prendere fiato in maniera sessualmente esplicita! Ho detto non chiedete!
Santo cielo.
Esploderò, so che esploderò.

Map Of The Problematique
Io so esattamente qual è il mio problema, Bellamy!
E non è “quando finirà questa solitudine?”!
È “quando finirà questo STRAZIO?”!!!
Dio, tutto questo è veramente osceno. Sentite come trascina le note, sentite, sentite!!! È un incapace! Scommetto che quando canta sotto la doccia i vicini battono con la scopa sul soffitto per farlo tacere.
…e questo falsetto mi ucciderà! Distruggerà i miei poveri timpani! Santo cielo!
L’ho già detto? Lo ripeto. È uno strazio.
Non so se sia più straziante la sua voce o…
O.
O le piccole cose che comincio controvoglia a notare.
Detesto tutto di lui, ma mi piace come tiene la chitarra in mano. È… ossignore, non voglio davvero usare questo termine, ma lo userò: è tenero. È come un tenero amante. Prima di cominciare a suonare ha avvicinato la mano al manico con inusuale lentezza, con una dolcezza esasperante, e quando le sue dita scorrono lungo le corde, alla ricerca di qualche effetto strambo da dare al suono, sono… amorevoli. È come se si prendesse cura di lei. Come se la stesse coinvolgendo in una dichiarazione d’amore universale.
Quando suona, Bellamy cerca palesemente di procurare un orgasmo alla sua benedetta chitarra.
…scommetto che se avesse le labbra lei ringrazierebbe.



…io se fossi una chitarra ringrazierei.

Take A Bow
Non ci posso credere.
Questa è una canzone dance.
Cioè.
È una canzone dance!
Perché devo subire una tortura simile?! Perché non posso addormentarmi di botto adesso?!
Ve lo dico io perché! Perché la voce di questo dannato moccioso è talmente acuta che se provassi ad abbassare le mie difese anche solo per un secondo mi esploderebbe il cervello!!!
Santo cielo.
So di averlo già detto!
Lasciatemi in pace!
Che poi, con chi sto parlando?!
Con le vocine nel mio cervello!
Che assomigliano spaventosamente alla sua!
La mia testa è piena di piccoli Bellamy pigolanti che continuano a canticchiare “bow bow bow” in un’eco infinita come fosse il loro verso naturale! Bow bow bow! Così! Di continuo!
Santo cielo, morirò.
Mi lascio andare contro lo schienale del sofà e sospiro pesantemente. Sono sicuro che Stef ha capito che c’è qualcosa che non va, anche se in questo momento non mi va di pensarci, sinceramente.
Riesco…
…riesco solo a tenere gli occhi incollati su quel tipo là fuori.
Quel tipo assurdo là fuori.
Che fa il bagno nelle luci artificiali del palco, e sembra splendere – e giuro che non voglio sapere se è a causa del gel brillantinato che ha sulla testa.
Che si dimena, con quell’allucinante maglioncino rosa che si piega e si agita ad ogni movimento che fa, seguendo la traccia dei muscoli guizzanti sul corpo magro, seguendolo nei salti, nelle giravolte, perfino nei movimenti più allucinanti, quando si appoggia all’amplificatore con aria lasciva, come stesse provando a portarselo a letto, scivolando con il fianco sulla superficie mentre ascolta estasiato i suoni distorti che la chitarra lancia in un disperato tentativo di esprimere la propria sofferenza. Seguendolo nei gesti teatrali, quando solleva le braccia verso il pubblico, e sembra che il mondo intero stia urlando il suo nome, affascinato, no, totalmente rapito dalla sua presenza, seguendolo perfino quando si aggrappa al microfono e lo sfiora con le labbra in un bacio morbido e sensuale – ora capisco da dove viene la carica erotica che sprigionano le sue parole, è il contatto col microfono, metallo contro labbra, il freddo del ferro e il calore assurdo della sua pelle, l’eco che rende la sua voce mille volte più intensa, e-
Oh.
Mio.
Dio.
Abbasso lo sguardo.
Il piccolo Bri è inequivocabilmente sveglio.
E quando dico inequivocabilmente intendo che sta per esplodere nelle mutande, e che tutto ciò è dannatamente doloroso.
Ritorno in me giusto in tempo per capire che Stef, al mio fianco, mi sta guardando come se fossi mostruoso.
- Non ci posso credere… - dice, gli occhi spalancati e la bocca contratta in una smorfia di puro disgusto, - Sei… sei in calore…
Spalanco gli occhi a mia volta, tirandomi indietro come mi stessi scottando.
- N-Non sono in calore!!!
Quasi contemporaneamente, porto entrambe le mani all’inguine, nel disperato tentativo di coprire le mie vergogne – e che vergogne.
- Sei in calore! Sei completamente in calore! Un coniglio in calore!
Non afferro l’associazione mentale, mi limito ad arrossire come mai – credo – in vita mia, e a saltare in piedi, vagando per la stanza in preda alla sofferenza atroce che mi obbligano a patire questi dannatissimi jeans aderenti, cercando con gli occhi un bagno per placare questo desiderio francamente assurdo.
- Steve, guarda! – insiste Stef, e sembra divertirsi parecchio, al contrario di me, - Guarda, Bri è in calore!
- Comeche? – chiede lui, cadendo dalle nuvole, mentre solleva lo sguardo dalla rivista che leggiucchiava per ingannare il tempo.
- In calore! Eccitato come una ragazzina di fronte al suo idolo di sempre!
- Ma come mai?
- Possiamo, per favore, omettere questa parte della fanfiction?!
- Secondo te come mai? – il mio appello sembra passare inosservato! – È rimasto per tutta la mezz’ora dell’esibizione dei Muse a fissare Matt come una studentessa innamorata, e adesso logicamente se lo vuole fare!
Steve spalanca gli occhi, e così siamo in tre ad avere gli occhi spalancati.
Evviva lo stupore!
- Non ci posso credere! – strilla il mio batterista, agitando le mani come a dire “io ci rinuncio”, - Fino a qualche minuto fa Bellamy ti disgustava! Non sei possibile!
- Avevo detto omettiamo!!! Omettiamo, tagliamo, passiamo avanti, diocristo, dov’è il bagno?!
Nello stesso momento in cui mi pare di individuare qualcosa di simile a un cartellino verde con omini bianchi che mi invitano a chiudermi in un cesso e liberarmi da ogni problema, appare Alex.
La donna più priva di tempismo dell’intero universo.
(Anche se mi sa che stavolta sono io a mancare, quanto a tempismo.)
- Cosa ci fate ancora qui? – chiede pacata, sinceramente stupita, - Dovreste già essere pronti per entrare! Vi esibite adesso, non lo sapete?
Io continuo a dirigermi imperterrito verso il bagno.
E chiaramente a lei la cosa non va giù, perciò mi afferra per la collottola e mi riporta indietro, sollevandomi di peso come un giocattolo.
- Brian, dove stai andando esattamente?
- In bagno!
- Dovevi pensarci prima! Fila sul palco!
- Non posso!
- Oh, se puoi…!
- Non così! Lo capiranno tutti!!!
- COS’È CHE DOVREBBERO CAPIRE?!
- Vuole scoparsi Matt Bellamy. – si intromette Stefan con uno sbadiglio annoiato.
Perfetto! La fiera delle persone fuori luogo! Sono perduto!
…e lo sono davvero.
Quando sollevo lo sguardo.
E mi accorgo che Matthew Bellamy è proprio qui davanti a me, appena rientrato dal palco, e mi fissa con occhi semichiusi da gatto furbo e malevolo e un ghigno demoniaco sul volto.
Mette la mani sui fianchi, sporgendo lievemente il sedere e stringendosi nelle spalle, mentre solleva il mento con adorabile fossetta annessa, come volesse mostrarsi al meglio delle sue potenzialità.
Poi lancia uno sbuffo terribilmente carino.
E…
- Quando vuoi, Molko.
…e io non ho neanche il tempo di capire che mi sta palesemente prendendo per il culo, che il mio cervello implode e poi esplode, mentre lo sento allontanarsi vittorioso in preda alle folli risate che gli procura la sua furbissima battuta – o almeno, quella che nel suo cervello deve essere una furbissima battuta.
- Suvvia, suvvia. – dice Stefan, aiutandomi a risollevarmi dal pavimento sul quale mi sono abbattuto dopo le parole di quella zoccola di Bellamy, - Forza. Dobbiamo andare sul palco.
Non so ancora come, riesco a muovere quei quattro passi che mi separano dalle luci della ribalta, e nel momento in cui raggiungo la mia postazione e guardo il pubblico d’improvviso la mia mente torna chiara. Lucida. Efficiente.
Odio ancora Matthew Bellamy! Dannazione, lo odio adesso come non l’ho mai odiato prima d’ora! È un essere abominevole! Non ha decenza! Non ha rispetto per i problemi altrui! Ed è davvero una zoccola di proporzioni stratosferiche – non dimenticherò mai più quella mossettina coi fianchi, dannazione!
Mi propongo un giuramento: dal momento che quell’uomo non merita neanche considerazione, prometto a me stesso che mai più un singolo pensiero sarà rivolto a lui. Mai più!
Adesso va meglio! Adesso mi sento carico!
Mi volto per farmi passare la chitarra, e mentre la imbraccio…
…mentre la imbraccio catturo di nuovo lo sguardo di Bellamy. Mi spia dal backstage, nascondendosi con falso pudore dietro gli scuri tendoni che occultano al pubblico la visuale del retro del palco; crede di avere il controllo, lui, crede di essere unico padrone dell’intera situazione, e ghigna felino e famelico esattamente come prima, e io…

Accidenti a lui.
Accidenti, accidenti, accidenti a lui.
Cambio di programma.
Cambiamo giuramento.
Io giuro che quella zoccola prima o poi me la faccio!
Genere: Erotico, Comico.
Pairing: MatthewxBrian. Totally <3
Rating: NC-17
AVVISI: CrackFic, Lemon, RPS, Slash.
- Un giorno, Matt Bellamy torna a casa e trova il suo uomo impegnato in quella che sembra una serissima telefonata di lavoro. In realtà, si tratta di ben altro.
Commento dell'autrice: Dio, voglio scrivere questa cosa da quando ho letto la storia di “Evil Dildo” XD Per chi non lo sapesse, è la traccia nascosta di Without You I’m Nothing, ed è praticamente una musicaccia (X’D) alla quale è stato applicato un messaggio che il povero Bri ha trovato nella sua segreteria telefonica (quando ancora aveva il numero sull’elenco) che, in sostanza, dice “so dove vivi, verrò a casa tua, ti taglierò il cazzo e me lo mangerò dopo averti scopato a sangue” è____é””” Povero tato ._. Chiaramente NON POTEVO scrivere una fic su Brian che ha a che fare con questa gentaccia <_< Per cui ho preferito scriverne una in cui avesse a che fare con ALTRA gentaccia X’D Ovverosia il suo uomo e quei traditori dei suoi migliori amici.
Perché Matt è un cretino, ecco >_<
A parte questo, volevo pure un’occasione per fare apparire tutti i miei tati ç___ç Non ricordavo più neanche da quanto non facevo agire il povero Chris! Continuo a riempire d’amore Matt e Bri senza che nemmeno se lo meritino (>_<) e non faccio fare nulla a quegli altri poveri tati che invece meritano tutta la comprensione e l’affetto del mondo. Oh. Se ve lo state chiedendo, sì, è questo il motivo per il quale sono tutti così totalmente fighi e intelligenti. Perché volevo dimostrare loro la mia profondissima devozione. Oh.
Fin dall’inizio ero indecisa se farla diventare lol o porno :O Alla fine mi sono adattata e ho fatto un porno-lolololol-porno che tra l’altro ha una struttura linearissima e quindi spero non sia noiosa XD
Dedicata con tanto amore alla Nai, alla Nacchan e alla Mika che l’hanno letta passo dopo passo assieme a me, di dieci minuti in dieci minuti, e alla Juccha e alla nee-chan che hanno letto in anteprima assoluta la prima scena di sesso XD Amo essere circondata da donnine perverse. Perché lo sapete, che siete perverse, vero? X3 *ama il mondo*
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TRY AND RUN


You make me sick
Because I adore you so
I love all the dirty tricks
And twisted games you play
On me
“Space Dementia” – Muse


Quando entrò in casa, Brian era in piedi davanti alla finestra, e guardava Londra ai suoi piedi con grande interesse, annuendo di tanto in tanto.
- Mh. Sì. Capisco. – disse, mettendo una mano sul fianco.
Matthew capì che stava parlando al telefono, e in effetti il cordless non si trovava dove avrebbe dovuto essere, sul comodino.
Lo salutò con la mano, posando cautamente le chiavi sulla consolle all’ingresso, senza fare rumore, per non disturbarlo. Brian rispose al saluto e alla gentilezza con un semplice cenno del capo.
- Bene. Grazie e arrivederci. – disse infine, terminando la chiamata e gettando distrattamente il telefono sul divano.
- Era Alex? – s’informò Matt, che dal suo tono aveva ipotizzato potesse trattarsi di una telefonata di lavoro.
- Oh, no. – rispose Brian con un naturale mezzo sorriso, - Solo una telefonata oscena.
Matthew spalancò gli occhi.
- Prego?
- Una telefonata oscena. – ripeté Brian, come stesse parlando del tempo, - Di quelle con gli ansiti e i vocioni che ti dicono “entrerò in casa tua e ti sfonderò il-
- Ho capito!!! Ma che storia è?!
Brian ridacchiò.
- Non ti è mai capitato di assistere perché stai qui da poco, ma succede abbastanza spesso. Quando non sono oscenità sono minacce, e comunque preferisco le prime alle seconde.
- …ma scusa, - chiese incredulo Matt, - perché non gli chiudi il telefono in faccia? Perché ascolti?
- Be’, perché se non lo facessi richiamerebbe. Devo lasciarlo sfogare…
- Perciò aspetti che si faccia una sega e nel frattempo intrattieni un’amabile conversazione?! Perché parli? E cosa significa “grazie e arrivederci”?!
- Dovrò pur dire qualcosa, se non mi sente partecipe non si soddisfa mica…
- Grazie e arrivederci?!
- Mi ci vedi ad ansimare “sì, continua, così”?
- PER CARITA’ DI DIO!!!
- Ecco, appunto.
Esterrefatto, Matthew lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e si limitò a guardarlo come fosse pazzo.
- Oh, non c’è bisogno di angosciarti così! – sbuffò Brian, - È solo una telefonata, non mi hanno mica violentato!
- A parte il fatto che a quanto pare è un’abitudine, - replicò Matt adirato, - scusa se mi preoccupo per te!
- Ma non hai niente di cui preoccuparti… anche perché… insomma, diciamocelo, le telefonate oscene… - continuò Brian, il sorriso che diventava mano a mano lascivo, sulle belle labbra, - …possono essere parecchio interessanti
Matthew, per un momento, davvero non seppe cosa dire.
- Se per interessanti intendi eccitanti, - dichiarò infine, il volto senza espressione, - sappi che ti ucciderò.
Per tutta risposta, Brian rise come una scolaretta, e a Matt venne quasi davvero voglia di ammazzarlo.
- No, senti. – disse invece, massaggiandosi le tempie, cercando di riacquistare padronanza delle sue facoltà mentali, - Non capisco. Come faccia tu a trovare eccitante il pensiero di un gigante nerboruto che si fa una sega ansimando oscenità al telefono, per me, è fuori da ogni logica.
Brian rise ancora, avvicinandoglisi con fare civettuolo.
- Non pensare al gigante nerboruto, adesso. – disse dolcemente, scivolando sulla sua spalla con un movimento falsamente casuale, - Prova a pensare alla mia voce.
Matthew inspirò profondamente, cercando di non pensare al bacino di Brian pressato contro la sua mano inerte lungo il fianco.
- Brian, senti- - cercò di controbattere, ma l’uomo glielo impedì, poggiandogli due dita sulle labbra.
- Ssssh. Chiudi gli occhi.
- Brian!
- Chiudi gli occhi. – insistette guardandolo, l’espressione del volto completamente indecifrabile.
Si ritrovò ad ubbidire, costretto neanche lui sapeva bene da cosa.
Brian sorrise – Matt poté percepire il movimento delle sue labbra – e lo guidò delicatamente a sedersi sul divano, accomodandosi poi al suo fianco.
- Immagina che io sia lontano da te. In un’altra casa. Un’altra città. Un altro universo. – sussurrò a un millimetro dalla pelle del suo collo.
Matthew rabbrividì e strinse le mani attorno al tessuto leggero del pantaloni di lino.
- Non puoi vedermi. Non puoi… - esitazione, sfregamento lievissimo, labbra contro pelle, un millisecondo, quasi impercettibile, sconvolgente, - non puoi toccarmi. Hai solo un telefono.
Matt deglutì.
Dio solo sapeva se non aveva voglia di saltargli addosso in quell’esatto momento.
- Mi chiami… io ti rispondo…
- Brian…
- Sssh… mi chiedi come sto, parli del più e del meno, sei gentile…
Lo sentì spostarsi. Adesso si trovava davanti a lui. Non poteva vederlo, ma sarebbe riuscito a indovinare la strada per la sua bocca al primo tentativo.
- A me manchi… mi manca il tuo corpo e non posso averlo… mi mancano le tue carezze e non posso sentirle… te lo dico… e tu rispondi che anche per te è così… che vorresti toccarmi, che vorresti baciarmi, che vorresti scoparmi…
- Brian… - lo chiamò, quasi implorante, l’erezione ormai fastidiosamente dolorante sotto i vestiti, - Brian, ti prego…
Provò ad allungare la mani nella sua direzione, ma Brian lo fermò, inchiodandogliele al divano con le proprie.
- Non puoi toccarmi… - gli ricordò, in un sussurro roco, - Puoi solo ascoltare la mia voce…
Matthew si leccò le labbra.
E dal momento che non c’era molto altro che potesse fare, in un impeto di frustrazione se le morse pure.
La cosa divertì molto Brian, che si lasciò andare ad un altro risolino da ragazzina maliziosa – facendolo morire.
- Sì, ti immagino fare una cosa simile… al telefono mi dici che mi stai immaginando nudo… sul letto… stai immaginando di sfiorarmi con le dita… di baciarmi sul petto, sulla pancia, di giocare con la lingua nel mio ombelico, come fai sempre…
- Cristo… - mormorò a mezza voce, provando a liberarsi dalla stretta di Brian, - lasciami andare… non ti tocco, giuro, lasciami le mani…
Lui lo lasciò andare con uno sbuffo divertito.
- E mentre tu continui a parlare al telefono, Matt, tesoro… io mi spoglio sul serio… e chiedo anche a te di farlo… e ti dico “toccati”, e tu rispondi che lo stai già facendo… allora lo faccio anch’io… mi senti ansimare…?
Come avrebbe potuto non sentirlo? Lì, a un millimetro da lui! Avrebbe potuto semplicemente sporgersi, gettarlo a terra e scoparselo, e invece stava lì, immobile, sul divano, ascoltandolo gemere mentre si masturbava.
- Puoi toccarti anche tu, Matt… - concesse Brian a mezza voce, e Matt non se lo fece ripetere due volte. Si rilassò contro lo schienale del divano e assalì bottone e lampo dei pantaloni, alla ricerca spasmodica di un po’ di soddisfazione per la sua eccitazione pulsante fra le gambe.
Brian si agitava sulle sue gambe, era così vicino… sentiva il tessuto ruvido dei loro pantaloni sfregare, rapido e insensibile, ah, quanto avrebbe desiderato che ci fosse pelle nuda e palpitante al suo posto…
- Matt- - gemette Brian un’ultima volta, e quando lo sentì inarcarsi e respirare più velocemente seppe che era venuto, - Matt, ti sto aspettando, vieni anche tu… - e immaginò che al posto della propria mano ci fosse quella di Brian, che lo stesse stringendo, deciso e delicato come l’aveva abituato, e il solo pensiero, il solo pensiero del suo tocco, del suo calore, del suo profumo lo costrinse a venire a sua volta.
Rovesciò il capo all’indietro, ansimando esausto, ancora incapace di aprire gli occhi.
Brian era pazzo.
Gli avrebbe fatto pagare quello scherzetto.
Solo… non in quel momento.
Lo sentì scendere dalle sue gambe e accucciarsi al suo fianco sul divano.
- Matt… - lo chiamò, - Matt, ti è piaciuto…?
- Mpf. – grugnì, irritato, - Non fare queste domande.
Brian rise.
- Lo possiamo rifare…?
- Adesso?
- No, adesso no… - ridacchiò l’uomo, - Un’altra volta.
- Senti, per me sarebbe molto più soddisfacente-
- Però… la prossima volta… lo facciamo davvero al telefono.
Si sentì come mozzare il respiro. Come se i suoi polmoni fossero stati compressi dalla sorpresa, e si fossero ritrovati incapaci di pompare sufficiente ossigeno per tenerlo in vita.
Dischiuse gli occhi e cercò Brian.
Lo trovò accanto a sé, una guancia graziosamente poggiata contro una mano, il gomito sulla spalliera del divano, le gambe accavallate.
Sorrideva.
Era serio.
Costringerlo a non poterlo toccare senza neanche poter sentire il suo dolce peso sulle gambe? Senza poter sentire la sua presenza, senza poter sentire il suo odore, costringerlo a masturbarsi al ritmo metallico di una voce lontana chissà quante miglia e deformata dalla cornetta del telefono?
Era serio.
Era pazzo!
Si alzò in piedi di scatto, e Brian lo osservò stupito, stringendo le labbra con disappunto.
- Tu stai scherzando, forse.
L’uomo spalancò un paio di enormi occhi grigi ed arricciò le labbra, scuotendo il capo.
- Non se ne parla. – disse Matt categorico.
- Avanti-
- Non se ne parla. – ripeté.
Stava già indietreggiando verso la porta, mentre risistemava i pantaloni senza neanche ripulirsi.
Brian incrociò le braccia sul petto.
- Non vorrai andartene? – chiese, incredulo e lievemente offeso.
Matt neanche rispose.
*

Sollevò stancamente la cornetta, il panino ancora pendente dalle labbra, e biascicò un incomprensibile quanto nervoso “pronto”.
- Dominic? – chiese la voce all’altro capo del filo.
Ciò che restava del panino cadde a terra, disfacendosi lungo il cammino.
- Brian? – chiese il batterista, - È successo qualcosa?
Era abituato a sentirsi chiedere cose simili, quando chiamava, perciò ridacchiò lievemente.
- Niente di particolare. Avevo solo voglia di sentirti.
- Sì. Ed io sono una pecora ed in questo momento sto belando. – rispose Dom con uno sbuffo divertito, mentre Brian si lasciava andare ad un’altra risatina delle sue, - Comunque, sul serio. Qualche problema?
Brian sospirò, prendendosi un attimo di tempo per riflettere.
- Senti, Dom. – disse infine, - So che non approverai quello che sto per dirti-
- Hai fatto del male a Matt?
- …be’, no. Non in senso stretto, almeno.
- Spesso il senso lato è molto più simile al senso stretto di quanto non si pensi.
Brian rise ancora.
Adorava il lato protettivo di Dom. Il lato protettivo di Dom metteva al sicuro Matt. E metteva lui in condizione di poter osare un po’ di più, quando era il caso.
- Non gli ho fatto del male. L’ho solo frustrato un po’.
- …in senso sessuale, chiaramente.
- Sì, chiaramente.
- E allora non vedo per quale motivo dovrei disapprovarti. – commentò Dom ridacchiando. Non la risatina derisoria che Brian si sarebbe aspettato – nei propri confronti per essere così ostinatamente infantile quando giocava? O nei confronti di Matt, per essere così succube dei suoi tentativi di renderlo pazzo?! – bensì una risatina comprensiva, quasi complice. - Cosa gli hai combinato?
- Uhm… - spiegò titubante Brian, - Qualcosa sulle telefonate erotiche.
- Dio! Sarà scappato!
- …complimenti. Hai vinto un pacco di biscotti.
- Lo conosco da tre vite e mezzo, figurati. Se voglio dei biscotti me li compro. Comunque povero Brian, spero che almeno ti abbia lasciato concludere!
- Sì. Be’, in effetti l’ha fatto perché per prima cosa doveva concludere anche lui, e per seconda cosa perché… non sapeva ancora cos’è che avevo in mente per l’esattezza, secondo me.
- Uuuh, l’hai proprio preso in giro, allora. Si sarà sentito usato e abbandonato come un moccioso trovato in discoteca!
Poteva sentire dei cuoricini malefici nella voce di Dom.
Era quasi inquietante.
- Dominic, sei sicuro sia tutto a posto?
- A parte il fatto che dovrei chiederlo io a te. Se lui si sente come un moccioso da una notte e via tu come minimo ti senti abbandonato all’altare.
- …mi sembri ubriaco.
- No, tranquillo, non lo sono. – disse gentilmente, - Sono solo estremamente divertito. Sapevo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di simile.
- …di simile a cosa?
- Di simile a te che chiami me per chiedermi di rimandarti Matt a casa appena lo vedo.
Sapeva che Dom era una persona intelligente.
Conosceva l’assoluta assenza di limiti della sua perspicacia. Era stato lui il primo a capire della relazione che era cominciata fra lui e Matt, ed aveva vero un talento per le risposte di “Chi vuol esser milionario?”.
Non avrebbe dovuto stupirsi.
Perciò sogghignò, rigirandosi il filo fra le dita.
- Grazie mille. – cinguettò allegro, - E se avverti anche Chris mi fai un favore.
Poté immaginarlo sollevare un pollice di approvazione verso di lui.
- Sarà fatto, mio capitano! – concluse Dominic prima di riappendere e chinarsi a raccogliere ciò che restava del suo pranzo.
*

Quando Matt apparve sulla sua soglia, disfatto, sudato, coi capelli scompigliati e con un’oscena macchia scura all’altezza del cavallo dei pantaloni, non poté fare a meno di impietrirsi e guardarlo da capo a piedi con una smorfia disgustata.
- Oh. – disse, incapace di dire altro.
- Sì, be’, - sbuffò Matt, contrariato, - “oh” è riduttivo. Mi fai entrare?
Ancora incapace di trovare voce per commentare, annuì e si scansò dall’uscio.
Quando Matt fu in casa, Dom si richiuse la porta alle spalle con uno scatto isterico e tornò a puntare gli occhi su di lui.
- Che… schifo, Matt! – fu la prima cosa che riuscì a trovare il fiato di dire.
Matt si guardò per benino e poi sospirò pesantemente.
- Non dire niente. Lo so.
Poi fece per sedersi sul primo divano che gli capitò a tiro, ma Dom lanciò un urlo disumano e lo tirò per entrambe le braccia, impedendoglielo.
- Tu sei completamente idiota se pensi che ti lascerò sedere sul mio divano con quei pantaloni! Adesso fila in bagno e datti una lavata, ed escine solo quando potrò guardarti senza vomitare. Ci siamo intesi?
Matt annuì, lievemente confuso, e si diresse a passo incerto verso il bagnetto, mentre Dom volava in camera propria per cercargli qualcosa di pulito da indossare. Quando il biondo ritornò in corridoio, la porta del bagno era già chiusa, e il tintinnare gioioso delle gocce d’acqua contro le pareti di plastica del box doccia lo rassicurò decisamente sullo stato dell’igiene intima di Matthew, cosa che gli fece tirare un enorme sospiro di sollievo.
Si sedette sul pavimento, la schiena contro il legno, e chiamò a gran voce il suo cantante, il quale rispose con un mugugno abbattuto.
- Cosa diamine ti è successo? – chiese, simulando stupore, preparandosi a sentire il racconto dal punto di vista di Matt.
- Brian è impazzito! – borbottò l’uomo al di là della porta, agitandosi al punto da provocare un considerevole smottamento del box.
- Sì, - ridacchiò Dom, abbandonando il capo contro la superficie liscia dietro di lui, - diciamo che vedendoti apparire con un orgasmo ancora fresco… o dovrei dire caldo…? …insomma, un orgasmo fra le cosce l’avevo immaginato.
- Non prendere per il culo adesso, eh?
- No, no, sia mai. Allora, mi racconti cos’ha fatto di così pazzo per farti fuggire da casa senza nemmeno darti il tempo di ripulirti?
- Be’! – disse Matt, e Dom si mise comodo: nei lunghi anni di conoscenza aveva imparato a capire che quando Matthew Bellamy iniziava un discorso con un “be’” ne avrebbe avuto almeno per una mezz’ora. – Oggi sono tornato a casa a pranzo, no?
- Sì.
- E lui era lì al telefono. Mi segui?
- Sì, Matt.
- Ed era tutto un buongiorno e buonasera, arrivederci e grazie! Cioè, capisci, come stesse parlando, chessò, con una sarta! O un qualsiasi altro onesto lavoratore!
- Non era così?
- No che non era così! Stava al telefono con chissà che gigante nerboruto e baffuto che si menava l’uccello ascoltandolo parlare! Cioè, ma ti pare normale?
- Una telefonata oscena? – chiese, fingendosi scioccato, - Ma dai!
- Ma sì!
- Be’, - sospirò, ingannando il tempo piegando i pantaloni e la maglietta che avrebbe dato a Matt quando fosse uscito dalla doccia, - in fondo si tratta di Brian. Non mi stupisce poi molto che riceva telefonate simili.
Matt si agitò al punto che Dom credette che la sua doccia fosse crollata in pezzi.
- Ti vuoi calmare? Fino a prova contraria, la doccia è mia! – si lamentò, disgustato dalla mancanza assoluta di buona educazione da parte del suo migliore amico.
- Mi vuoi spiegare come faccio a calmarmi?! – strillò Matt, isterico, - A parte il fatto che il mio uomo mi tradisce con tipi che gli dicono porcate al telefono!
- Il tuo uomo non ti tradisce, Matt…
- A parte questo! Dopo questa telefonata Brian s’è messo in testa che doveva farmi provare questo fatto allucinante delle telefonate erotiche…
- …e ti lamenti? – rise Dom, battendo una mano sul pavimento, - Un po’ di kinky sex non ha mai fatto male a nessuno. Tanto meno a te e tanto meno in questa occasione, come testimoniano i tuoi poveri pantaloni.
- Tu vuoi scherzare!!! – gridò Matt, chiudendo finalmente il rubinetto dell’acqua e uscendo dal box con uno scatto isterico, - È stato una tortura!!!
Dom lo osservò uscire dal bagno scavalcandolo, avvolto appena in un asciugamano, e guardarsi intorno alla ricerca di vestiti da indossare. Gli porse gli indumenti che ancora teneva in mano, sollevandosi da terra.
- Una tortura, Matt? – chiese con sufficienza, osservandolo rivestirsi davanti a lui senza un briciolo di pudore – benedetto ragazzo.
- Una tortura! – ripeté l’uomo, abbottonando i jeans e sistemando alla bell’e meglio i capelli perché non sporgessero da troppi lati, - Mi si è seduto addosso e ha cominciato a dire porcate e masturbarsi, e pretendeva che io non lo toccassi! Non so se ti rendi conto!
- …comunque siete venuti entrambi, mi pare.
- Sì! Ma il problema non è stato tanto questa pratica sessuale allucinante, - Matt ha un’idea un po’ limitata delle pratiche sessuali allucinanti, pensò Dom con rassegnazione, - quanto il fatto che dopo, come se niente fosse, prende e mi cinguetta “la prossima volta lo facciamo sul serio al telefono, ci stai?”!!! Ma ti rendi conto?!
Dominic sospirò, incrociando le braccia sul petto.
- Quindi il tuo problema in sostanza sarebbe… che non vuoi scopartelo a distanza ma vuoi farlo solo dal vivo.
- Esatto!
- …e per risolvere questo problema tu vai via di casa?
Matt sembrò realizzare all’improvviso cosa aveva fatto, e si congelò sul posto.
- Matt…?
Dom lo osservò accartocciarsi su sé stesso e nascondere il volto fra le braccia, mentre dalla sua gola fuoriusciva un lamento disperato da cane ferito.
- Cosa ho fatto…? – chiese piagnucolando, - Cosa diamine ho risolto…?
Dominic si chinò al suo fianco, dandogli qualche colpetto sulla spalla nel tentativo di confortarlo.
- Avanti, - disse dolcemente, - hai fatto una stupidaggine, ma non l’hai mica mollato. Puoi sempre tornare a casa e chiedergli scusa e magari provare a fare ciò che ti chiede, sia mai scopri che ti piace.
- Mai! – strillò Matt, risollevando improvvisamente il capo, - Tu non puoi capire! Non puoi capire cosa significa avere Brian a un centimetro, essere eccitati e non poterlo toccare! È già successo in passato e oggi ho riprovato la spiacevole sensazione, e non ci tengo a riprovarla in futuro!
- Ma se tu accettassi il fatto della telefonata – spiegò Dom atono, battendo nervosamente un piede per terra, - non sareste a un centimetro di distanza. Sareste lontani.
- No, no e no! Non capisco! Se posso scoparlo io, per quale motivo dovrebbe volere farsi una sega mentre ascolta la mia voce?! Non ha senso! È malato!
- Però, vedi, Matt, - continuò il batterista, ormai sull’orlo dell’esasperazione, - Brian in passato ha fatto tante cose per te.
- Dimmene una sola!
- E poi comunque non è giusto deluderlo così. Lui ti soddisfa sempre.
- Ma che c’entra?! Non mi sta soddisfacendo adesso!
- E inoltre non devi dimenticare che ti lascia sempre fare l’attivo ogni volta che vuoi.
- Ma a lui il ruolo del passivo piace!!! Non stiamo a prenderci per il culo!
- Sì, però lui è sempre gentile con te.
- Ma-
- E non ti fa pesare quando scrivi qualche cazzata per i testi…
- Ma vorrei ben vedere! Proprio lui!
- E anche quando stoni, non ti rimprovera mica, mentre tu non sei mai carino con lui.
- Ma…! Ma non è vero, e poi-
- E quindi io trovo veramente poco sensibile che tu l’abbia lasciato in quel modo per venire qui da me senza neanche lavarti.
- Ma renditi conto delle condizioni in cui ero, brutto coso insensibile che non sei altro!
Dominic sospirò ancora, spintonando Matt sul divano e guardandolo dall’alto in basso.
- Adesso segui il ragionamento logico, ok Bells?
Stupefatto, Matt rimase immobile, fissandolo con occhi enormi.
- Brian è gentile con te. Ti ama. Ti ha fatto godere. Poi ti ha chiesto un giochino innocuo, così, per soddisfazione, e tu invece di dire sì con tutto lo slancio e l’amore di cui sei capace, nemmeno ti fermi a discuterne due secondi, no, scappi come se ti avesse appena chiesto di infilarti degli aghi nelle palle. Dico, ma sei normale?
- …
- Ti rendi conto che qua si parla di giochini? E di giochini piacevoli, per di più?
- …ecco… io…
Matt stava cominciando a cedere, registrò il batterista con un ghigno vittorioso sulle labbra.
In quel preciso istante, il telefono decise di squillare. Ma lui non poteva lasciare che il momento di debolezza di Matt passasse. Non poteva mettere a repentaglio il lavoro di costrizione di un’ora, e rischiare di dover ricominciare tutto da capo dopo aver richiuso la cornetta.
Perciò aspettò che scattasse la segreteria telefonica, e che fosse lei a rispondere per lui.
E quello si rivelò l’errore più grande che potesse fare.
La voce di Brian si sollevò gioiosa dall’apparecchio, ignara dello sconvolgimento emotivo che avrebbe provocato di lì a poco.
- Dom? Sono io. Spero che sia andato tutto bene e che Matty si stia già dirigendo verso casa sano e salvo. Be’, fammi sapere. Bye! – gorgheggiò allegramente, prima di spegnersi in un anonimo puh.
Dom e Matt si guardarono in silenzio per un lunghissimo istante.
Poi, d’improvviso, gli occhi del cantante si fecero minuscoli e brillanti di rabbia, mentre sul volto del batterista si dipingeva un imbarazzato sorrisino di circostanza.
- Ecco… posso spiegare… - balbettò il biondo, mettendo le mani avanti.
Matt letteralmente saltò in aria, afferrandolo per il colletto della polo e strattonandolo verso il muro.
- Puoi spiegare cosa, esattamente, Dominic?! Il fatto che ogni tua singola parola non fosse che un tentativo di traviare la mia povera mente per rimandarmi fra le braccia di quel maniaco sessuale?!
- …adesso… non ti sembra di stare un po’ esagerando coi termini…?
- No! – sbottò l’uomo, lasciandolo andare di colpo, al punto che lui quasi perse l’equilibrio, - E non solo! Da oggi in poi, considerati pure un ex migliore amico! Arrivederci e grazie! – dichiarò furente, dirigendosi ad ampie falcate verso la porta d’ingresso.
- Matt…? Dove stai andando…? – azzardò Dom, mentre già lo vedeva sparire oltre l’uscio.
- Da chi potrà capirmi! – annunciò teatralmente Matt, - Dal mio ultimo vero amico!
Chris, registrò Dom.
Quando la porta si richiuse di fronte a lui, e di Matt non fu rimasto che il profumo del bagnoschiuma e i vestiti sporchi – e da bruciare al più presto – gettati per terra, Dominic riprese a ragionare lucidamente.
Chiamare Brian, calcolò, freddo come un cecchino, e poi Chris.
*

- Tu sei un maledettissimo idiota! – sbraitò istericamente Brian, perforandogli il timpano con migliaia di acutissimi decibel da principessina offesa, - Cos’hai al posto del cervello?! Pelo?!
- Brian, - cercò di spiegare Dom, sospirando pesantemente, - devo ricordarti che è stata la tua voce a sputtanare il nostro accordo?
- E io devo ricordarti che è stata la tua stupidissima segreteria telefonica a invitarmi a parlare?!
- E quindi nel giorno in cui la mia stupidissima segreteria telefonica deciderà di suggerirti di buttarti a testa in giù da un palazzo di venti piani, tu lo farai?
- Sei un cretino e questo non c’entra niente! Si suppone che le segreterie telefoniche stiano lì per prendere i messaggi, non per istigare al suicidio!
Dominic roteò gli occhi esasperato.
- Hai ragione, Brian. Per istigare al suicidio basti tu.
- Cosa?! Come osi?!
- Per quale motivo non puoi scopare come le persone normali? Sai che Matt è limitato in quel senso!
- Appunto! Voglio allargare i suoi orizzonti! Ma lui è un ingrato! E tu sei un idiota! Eri d’accordo con me, com’è che adesso te ne esci con tutte queste proteste?!
- Stavo solo cercando di ragionare. Tutto qua.
- Ah-ha, Dominic James Howard! Non credere che non abbia sentito nella tua voce quella sottile nota di “dal momento che io sto ragionando e tu non mi capisci, è chiaro che tu non ragioni”! Davvero, mi stupisco di te, sei un traditore e un cretino! Non ti si può affidare niente! Se mai un giorno dovessi trovarmi sull’orlo di un burrone, e ci fossi solo tu cui aggrapparmi, ricordami di questo episodio, così potrò prepararmi a morire in pace in ogni caso!
- …Brian?
- COSA?!
Prese un enorme sospiro.
Strinse pazientemente la cornetta fra le mani.
Dischiuse le labbra.
Parlò.
- Matt mi ha praticamente confessato che sta andando da Chris per stringere un’alleanza. Ora. Vuoi che salvi il tuo depravatissimo culo chiamando il mio bassista e avvertendolo del pericolo oppure preferisci stare qui a ricordarmi quanto faccio schifo e lasciare che Matt ti molli?
- …
Godette del silenzio che era riuscito a imporre alla dannata lingua lunga dell’uomo del suo migliore amico, e si concedette un sorriso soddisfatto.
- Ti chiamo per farti sapere com’è andata. – concluse serafico mentre, irritato come una faina, Brian metteva giù il telefono con inaudita violenza.
Un secondo di pausa per riordinare i pensieri e stava già chiamando Chris per scongiurare il disastro.
- Pronto…? – rispose l’uomo dall’altra parte del filo.
Chris aveva questo modo totalmente indisponente di rispondere al telefono… come se si aspettasse che le tue prime parole dovessero essere sempre e comunque “domani morirai”! Era insostenibile, insopportabile, odiava parlare con Chris al telefono!
Ma odiava ancora di più la prospettiva di dover passare i prossimi dieci anni della sua vita ad ascoltare i piagnistei di Brian Molko che non sembrava avere niente di meglio da fare che non fosse incolparlo dei suoi fallimenti nel tenere in piedi una normale relazione di coppia.
Perciò si fece forza, soppresse l’irritazione e si forzò ad un sorriso e a un tono di voce il più amichevole possibile.
- Chris? Dom.
- Oh… ciao Dom.
- Ti prendo in un brutto momento?
- Temo di sì. – sospirò il bassista, e Dom poté quasi vederlo afflosciarsi stancamente su sé stesso, - Hanno appena bussato alla porta e ho la vaga impressione che sia Matthew.
- La vaga impressione…?
- …lo sento strillare.
- Ah.
- È successo qualcosa, vero?
- Così pare.
- Qualcosa fra lui e Brian?
- Già.
Chris si lasciò andare ad un mugolio di dolore puro.
- Perché ci devo andare di mezzo io? – chiese sconsolato, - Perché non è venuto da te?
- È venuto da me. – precisò Dom, comprensivo, - Ma ho fatto un disastro. Mi dispiace veramente tantissimo!
- Se ti dispiacesse sul serio – la voce dell’uomo sembrava sul punto di esplodere in un singhiozzo, - verresti qui e lo porteresti via prima che possa entrare!
- Non posso farlo, Chris, mi dispiace. Al momento Matt mi odia.
Il singhiozzo tanto atteso non tardò ad arrivare.
- Cosa devo fare?
- Sii gentile. – suggerì premuroso, - Fagli fare quello che vuole. Vizialo un po’. Ascoltalo, coccolalo, portalo a fare una passeggiata, vedi tu, ma lascia che smontino i nervi. Dopodiché… - si massaggiò le tempie con due dita, - rimandalo da Brian.
- …ma non hanno litigato?
- Sì.
- E devo rimandarlo da lui?
- Sì.
- …Dom, mi sbranerà!
- Ti prego, - latrò esasperato, - corri il rischio. C’è in gioco molto più della tua vita, qui.
Chris si abbandonò a un momento di atterrito silenzio.
- Va bene. – disse poi, cercando di ritrovare forza e convinzione quantomeno nella voce, - Farò del mio meglio.
Dominic sorrise, per nulla rassicurato.
- Conto su di te. – disse, e nel momento in cui interruppe la chiamata e riattaccò la cornetta seppe chiaramente che non aveva alcuna speranza di salvarsi.
*

Chris era un uomo facile alla pietà. Lo sapeva da tanto tempo. In fondo, era per pietà che aveva accettato di entrare nei Gothic Plague – e quale essere umano sano di mente avrebbe accettato di entrare in un gruppo con un nome simile se non per pietà?
Ricordava Matthew Bellamy al liceo.
Questo ragazzino minuscolo, magrissimo, con questa espressione inquietante da pazzo scatenato perennemente sul volto. Lo stesso ragazzino che l’aveva avvicinato con titubante arroganza – ma si può essere titubanti e arroganti insieme? Matt lo era! Ma Matt era anche uno strano animale, dopotutto… - e sfoggiando la migliore delle sue espressioni strappalacrime gli aveva praticamente detto che la sua via non era quella della batteria bensì quella del basso, e che gli sarebbe “proprio convenuto” entrare nei Gothic Plague, che sarebbero sicuramente diventati famosissimi.
Fortunatamente i Gothic non lo divennero mai.
Quando cominciarono a godere di un po’ di notorietà avevano già cambiato nome qualcosa come milleduecento volte.
Comunque, lo stesso ragazzino folle di allora gli si parava davanti in tutta la sua allucinata disperazione, ansimando, le lacrime agli occhi e degli abiti evidentemente troppo larghi per lui gettati addosso come stracci e che riconobbe come proprietà di Dom – ma Dom era magro! Diosanto, quanto era sottile Matthew?!
Nel vederlo in quel modo, perfino un uomo dal cuore di pietra si sarebbe sciolto in singhiozzi e gli avrebbe offerto ospitalità per la notte per difenderlo dalle insidie del mondo esterno. E Chris era tutt’altro che un uomo dal cuore di pietra. Perciò, la vista del suo povero cantante, bistrattato dalla perversione del suo uomo e dalla cattiveria del suo migliore amico, semplicemente lo commosse.
- Matt! – disse accorato, aprendo le braccia.
Non si aspettava certo che Matt gli crollasse addosso e scoppiasse in lacrime, ma fu esattamente ciò che successe.
Il che gli diede molto da pensare.
Non tanto sulla sanità mentale del suo frontman, quanto sulla crudeltà infinita che doveva credere di stare soffrendo in quel momento. Matt era decisamente una strana creatura, sì.
- Matt, povero caro… - disse, pensando già con terrore al momento in cui avrebbe dovuto mandarlo via senza pietà, - Cosa cavolo ti è successo?
- Mi odiano tutti! – esplose Matt, separandosi da lui e gettandosi a peso morto sul primo divano che trovò, nascondendo il volto fra i cuscini.
- Nessuno ti odia… - lo rassicurò il bassista, sedendosi al suo fianco e accarezzandogli la testa con fare amorevole, - Ti vogliamo tutti bene…
- Be’, Brian mi vuole uccidere! E Dom non vede l’ora che questo avvenga! Quindi sì, mi odiano!
Chris sospirò, accomodandosi sul divano e aiutando Matt a sedersi in maniera più consona alla sua età, al suo sesso, alla sua dignità, insomma, un po’ a tutto.
- Se vuoi puoi restare qui per un po’. – suggerì pacato.
Matt spalancò gli occhioni. Dovette credere che gli artigli ricurvi e malefici di Brian e Dom non fossero ancora arrivati a lui, perché si lasciò andare ad un sorrisone confortato e annuì decisamente.
- Possiamo fare qualcosa, magari guardare un film… Dio, mi sembri sconvolto! – continuò Chris, premuroso, - Vuoi uscire? Andiamo a mangiare cinese da qualche parte, dai!
- Non mi va tanto di uscire… - confessò Matt, rabbrividendo di paura – cosa si aspettava, che Brian lo attendesse con un cellulare e un biglietto per il Canada appena svoltato l’angolo?
- Allora vuoi semplicemente… rimanere qui e lagnarti un po’?
Matt annuì di nuovo, con rinnovata decisione, mentre si accucciava sul cuscino, incrociando le gambe, pronto a partire con quella che sarebbe sicuramente stata una filippica di un’ora e mezzo sulla crudeltà del mondo, la vacuità dell’animo umano e la perversione delle menti nel ventunesimo secolo – insomma, qualcosa dalla quale avrebbe potuto tranquillamente tirare fuori una canzone per un nuovo album – se…
- Comunque dopo torni da Brian, eh.
…se Chris non avesse distrutto i suoi sogni di gloria e consolazione uccidendolo con quella frase.
- Cosa?! – strillò agitato, saltando in piedi e indietreggiando terrorizzato fino a schiacciarsi contro la porta d’ingresso.
Chris sospirò addolorato.
- Senti Bells, lo so che è difficile – perché diamine i suoi amici si sentivano in diritto di chiamarlo Bells mentre cercavano di convincerlo a rigettarsi tra le braccia del porco?! – ma devi farti forza e tornare dal tuo uomo. Non so cosa sia successo con esattezza, ma-
- Ma niente!!! – ululò esasperato, - Quel tipo orribile esercita violenza di tipo sessuale su di me e voi continuate a dire “povero Brian”?! Ma siete tutti pazzi!!!
Chris spalancò gli occhi.
Non credeva si fosse a un punto simile!
- Come violenza sessuale?! – chiese incredulo, sentendo un altro improvviso moto di protezione nei confronti del suo frontman, - Che diamine ti ha fatto?!
Matt sembrò riconsiderare un attimino ciò che aveva detto.
- Be’, ecco… - spiegò titubante, - non è che proprio mi abbia violentato o che… - esitò lievemente, - …ma ho ragione io, comunque!
Eccola lì.
La titubante arroganza.
- …Matt. Anche io penso che la definizione di violenza sessuale sia molto ampia e definita. Ma ci sono dei canoni dai quali non si può trascendere, renditi conto.
- …sarebbero?
- Uhm. – si prese un secondo di tempo per formulare esattamente il concetto che vagava per la sua mente ormai confusa, - Fondamentalmente, Matt, si è trattato di una violenza costrittiva e dolorosa o di una… “violenza” un attimino frustrante ma alla fine piacevole?
Matthew deglutì.
- È stato orribile! – disse poi, come se questo dovesse bastare a spiegare ogni cosa.
Chris sospirò ancora.
- Matt, rispondi alla domanda.
- …se mi stai chiedendo se sono venuto, ecco, sono venuto! Penso che me ne pentirò per sempre, a questo punto!
Il bassista scosse il capo, sconsolato.
- Non è che voleva solo farti fare qualche giochetto un po’ particolare e tu hai dato di matto?
Matthew rabbrividì, e Chris capì di aver centrato il bersaglio.
- Santo cielo, Matt… - cominciò in tono lamentoso, ma Matt non lo lasciò finire.
- Oh, senti! Se fosse stato un normale giochetto non avrei avuto problemi! Non ho la mente così chiusa, io!
- …Matt, al liceo quando si giocava al gioco della bottiglia pretendevi che tutti si rinunciasse ad usare la lingua perché lo trovavi osceno…
- Avevo sedici anni!
- …e la causa della verginità fino al matrimonio che hai continuato a perorare fino a ventisette anni…?
- Ma ho cambiato idea, poi!
- Sì, perché grazie al cielo hai conosciuto Brian e hai capito che andare avanti a bacetti e ti voglio bene con lui non era nemmeno pensabile!
- Oh! Io sono un uomo dalle amplissime vedute! Ma se Brian mi propone cose oscene io non posso che rifiutare, ecco!
Chris incrociò le braccia sul petto, gonfiando le guance con aria infastidita.
- Bene, allora. Sentiamo quest’oscenità.
Matt aggrottò le sopracciglia.
- Credo che il termine tecnico sia phonesex o qualcosa di simile.
Il silenzio cadde sulla stanza come un enorme pianoforte, schiantando quel minimo di pazienza che ancora Chris possedeva.
- Tu sei un idiota. – constatò il bassista con la massima calma apparente, - Completamente, irreversibilmente idiota.
- Come?!
- Avevo immaginato che ti avesse chiesto come minimo una threesome. Come minimo, Matt.
- Ma-
- Ma niente. – gli fece il verso, le mani sui fianchi, - Tu adesso raccogli questi straccetti che ti porti addosso e fili dal tuo uomo. Ci siamo intesi?
Se possibile, Matthew si schiacciò ancora di più contro la porta.
- È una congiura… - mormorò sconvolto, - una congiura…!
Cercò a tentoni la maniglia della porta, e quando la trovò non perse tempo a rigirarla per fuggire.
- Matt, non fare idiozie. – consigliò un’ultima volta Chris, prima che Matthew sparisse definitivamente, ma lui probabilmente neanche lo sentì – doveva essere terribilmente impegnato ad autocompatirsi.
Con un ultimo sospiro esasperato, si diresse stancamente verso il telefono, e chiamò Dom.
- Dimmi che non è stato un completo disastro. – esordì il batterista, poco convinto, senza neanche salutarlo.
- Okay. Come vuoi. Non lo è stato. – confermò lui atono.
- …lo è stato, vero?
- Totalmente. Comunque il nostro frontman è un idiota.
- Non dirmelo! – si lamentò Dom, come se gli stessero ficcando un palo appuntito nel fianco, - Lo so già. È fuggito?
- Giusto adesso. Di sicuro non sta tornando a casa…
- …Dio. Non lo riprenderemo più. Dove può andare…?
- Be’, penso che continuerà ad andare cercando protezione contro la presunta perversione di Brian. A proposito, se lo senti, fagli sapere che se proprio vuole giocare ci sono io disponibile. Non sarò Matt ma almeno non sono pazzo.
- …lasciamo perdere, eh, Chris? Certe volte dici cose che mi sconvolgono.
- Ma…
- Ho detto lasciamo perdere! – sbottò irritato Dominic, - Comunque, se cerca comprensione andrà da qualcuno che lui è certo possa offrirgliela… una persona che è abituata a vedere con la testa sulle spalle… razionale, paziente, protettiva, dolce a suo modo…
- …
- …
- Stefan. – conclusero all’unisono.
Chris si lasciò andare all’ennesimo sospiro tragico.
- Vado a chiamare Brian. – disse Dom.
- Farà in tempo ad avvertire Stef?
- Oh, sì. – ghignò il batterista, - Mai sottovalutare la velocità di una donna col telefono.
*

Stefan stava sorseggiando un caffè.
Nell’arco della sua giornata, il Momento Del Caffè era un momento mistico. Il momento in cui non importava quanto lui potesse essere stanco, o angosciato, o frustrato, o irritato: la Gioia s’impossessava di lui; l’Energia guidava i suoi arti; l’Entusiasmo pervadeva la sua mente e lo rendeva velocissimo, efficace, determinato, brillante.
E poi il caffè era buono.
Ma quel giorno, il suo Momento Del Caffè sembrava destinato a una tragica conclusione.
Brian stava sbraitando qualcosa nel suo orecchio da almeno mezzora, e il suo tono di voce era talmente elevato e acuto che la cornetta era diventata bollente.
Brian era capace di far surriscaldare gli oggetti con la sola voce, era inquietante.
- Bri, tesoro… - cercò di calmarlo, poggiando la tazzina ancora mezza piena sul tavolo con enorme sofferenza, - non capisco una parola di quello che dici. Ti ricordo che non sono in grado di sentire gli ultrasuoni.
Brian si schiarì la voce e cominciò a parlare normalmente.
- Sai quel giochino che volevo fare con Matt, e di cui ti ho tanto parlato?
Stefan lanciò un mugolio di sofferta esasperazione, roteando gli occhi.
- Brian, sono mesi che cerco di convincerti che il bondage non fa per Matt.
- No, non quello! L’altro!
- …quello del soffocamento…?
- No!!!
- Ehm…
- La telefonata erotica, idiota!
- Ebbe’, Bri, cerca di capirmi, è difficoltoso stare dietro a tutte le tue fantasie…!
- …
- …comunque. Il giochino. Sì. Ci sono.
- Ecco. Gliel’ho finalmente proposto… - disse in tono lugubre.
- …e non è andata bene, mh? – intuì Stef, allungandosi per recuperare la tazzina ma venendo interrotto sul più bello dallo squillo del citofono all’ingresso.
- È andata malissimo. Non usare eufemismi sciocchi.
- Aspetta, qualcuno sta suonando alla porta, devo vedere chi è…
- È lui! È lui!!! Ne sono certo!!!
- …Matt?
- Sì!
- Perché dovrebbe essere venuto qui?
- Perché sia Dom che Chris non hanno soddisfatto la sua fame di amore!
- …io non soddisferò la sua fame di amore!!!
- …non in quel senso! Stef! Non azzardarti ad alzare un dito su di lui!
- Ma se ti ho appena detto che non ho intenzione!!!
Il citofono trillò ancora, e Stefan cominciò a percepire il mal di testa farsi strada fra le pieghe del suo cervello.
- Bri. Devo aprire.
- No, prima devi ascoltare! Matt vorrà comprensione e consolazione! Tu dagli pure tutto quello che vuole o che vuoi, a parte il sesso!, e dopodiché rimandalo da me!
- Non tornerà mai.
- A questo non pensarci! Tu rimandamelo!
- Brian… - sospirò Stef, adocchiando il suo ormai lontano caffè con innamorata nostalgia, - da quand’è che hai di nuovo sei anni? Mi preoccupi.
Brian ridacchiò malizioso.
- Un seienne con gli appetiti sessuali di un vecchio maniaco. – precisò Stef.
- Ehi! – si lamentò Brian, ma già il bassista non lo ascoltava più, e rivolgeva tutta la sua attenzione al citofono che ancora trillava isterico all’ingresso.
- Sì, chi è? – chiese annoiato, allontanando la sbraitante cornetta del telefono dall’orecchio.
- Io… - rispose Matt in un pigolio demoralizzato.
Stefan sospirò, al colmo della disperazione.
- Matt. Che sorpresa. – disse atono.
- …non è una sorpresa? – chiese Matt, incuriosito.
- Per la verità no. Stavo giusto parlando con Brian.
Matt si lasciò andare a un suono strozzato molto simile a un singhiozzo, mentre dalla cornetta Brian strillava qualcosa di fin troppo simile a uno “Stefan, brutto traditore, me la pagherai!”.
- Stef! Non puoi abbandonarmi anche tu! – disse il frontman dei Muse, a un passo dalle lacrime, - Tu sei una persona intelligente e affidabile! Non farmi questo!
Stefan avrebbe tanto desiderato potersi massaggiare gli occhi. Ma aveva entrambe le mani occupate.
Questo lo portò a detestare definitivamente la situazione in cui si era involontariamente cacciato, e a decidere che era il momento di prenderne le redini per ribaltarla.
- Matt. Tesoro. Io ti voglio bene, sei un caro ragazzo e tutto, ma posso badare solo a un pazzo per volta. Va’ da tua madre e lasciami in pace. – e così dicendo ripose il citofono, e la comunicazione si spense con la voce di Matthew che, in dissolvenza, implorava pietà, - E quanto a te, Brian. – continuò impaziente, riavvicinando la cornetta all’orecchio, - Sei uno scemo. Non hai pietà. E non meriti comprensione. Quando capirai i tuoi errori, va’ da Matt e implora il suo perdono e speriamo che vada tutto bene. Per il momento, non ho altro da dire.
Chiuse così anche la conversazione telefonica, senza lasciare a Brian neanche il tempo di dire “bah”.
Dopodiché ci pensò su e decise che era opportuno staccare il telefono, cosa che fece prontamente.
Ritornò in cucina, dove la tazzina di caffè ormai gelato lo aspettava impaziente. Poteva percepire la sua tristezza di ceramica, e il suo cuore ne era straziato. La prese delicatamente fra le mani e provò appena ad assaggiare il liquido che conteneva, ma per quanto il suo amore per il caffè potesse essere grande dovette arrendersi al fatto che quello non era più caffè e non meritava alcun affetto.
Gettò tutto nel lavandino e mise su un’altra caffettiera.
*

- Ti ucciderò!
Generalmente, Steve era una persona pacata e tranquilla. Si sarebbe potuto dire perfino inamovibile. Quasi un panda, nella sua enorme, serafica calma.
Ma le minacce di morte di Brian erano terribili! Lo erano dal vivo, quando ti guardava con quegli occhi enormi iniettati di sangue, e lo erano anche il doppio via telefono, quando la sua voce era resa metallica e acuta in maniera quasi perforante dalla connessione via cavo.
Perciò, nonostante la pacatezza, la tranquillità, l’inamovibilità, la panditudine e la serafica calma, Steve fece un saltello sul divano e lanciò un “gh” di puro terrore.
- Perché?! – chiese giustamente, stringendo la cornetta fra le mani.
- Perché – si affrettò a spiegare Brian, - se mi tradisci anche tu giuro che vengo a casa tua, ti sventro e ti divoro!
- …non capisco perché dovresti volere divorarmi, Brian!
Il cantante prese un enorme sospiro e si apprestò ad illustrare la situazione.
- Matt è stato terrorizzato da una mia proposta sessuale.
- Non stento a crederlo.
- Non era così drammatica!
- Non stento a credere neanche questo. Conosco te e conosco Matt. Ma io cosa c’entro?
- Be’, Matt è andato in giro per il mondo cercando comprensione per questa sua fuga francamente immotivata…
- …e tu hai creato terra bruciata attorno a lui?
- Una specie.
Steve gemette drammaticamente, passandosi una mano sulla fronte.
- Brian, perché devi fare questo?
- Non ho fatto niente!
Steve gemette ancora, socchiudendo gli occhi.
- Va bene. – disse, - Immagino stia venendo qui.
- Credo di sì. Sei l’ultimo che gli è rimasto.
- …fa sempre piacere sentirselo dire. – borbottò irritato, - Comunque tranquillo, non lo strapperò dalle tue grinfie malefiche.
- …perché mi sembri totalmente disinteressato alle sorti del mio uomo?
- Perché lo sono?
- …guarda che devi trattarlo bene! Ne ho solo uno!
- A parte il fatto che ti basterebbe fare una passeggiata per strada per averne almeno un centinaio, queste bagattelle sessuali tra te e Matthew si risolvono sempre allo stesso modo: lui cede e alla fine siete soddisfatti entrambi. Quindi per quale motivo dovrei preoccuparmi adesso?
- Perché adesso è diverso!
- E perché, se è lecito chiedere?
- …
- Ecco, bravo. Comunque sta’ tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene. Saluti. – e interruppe la chiamata prima che Brian potesse aggiungere una qualche altra idiozia.
Sul momento, pensò di tornare all’attività che lo stava tenendo gioiosamente occupato prima che il telefono squillasse – ossia dormire, da bravo panda – ma un minuscolo quanto fastidioso pensiero lo turbò al punto che non poté ignorarlo.
Matthew Bellamy era uno degli individui più lagnosi dell’universo.
E uno dei più cocciuti.
E uno dei più stupidi, anche.
…sarebbe bastato dirgli “vai via” perché si rassegnasse a farlo…?
Nel momento in cui il no che il suo cervello gli diede in risposta lo colpì dritto in fronte come una tegola, scattò in piedi e si attrezzò per barricare la porta d’ingresso del suo appartamento. Sfoggiando un’invidiabile presenza di spirito e di fisico, spostò un divano davanti all’uscio e bloccò la maniglia con una sedia posizionata per traverso.
Non c’era modo che una simile barricata potesse essere divelta da quell’esserino gracile e smunto che era il frontman dei Muse.
Il quale, puntualmente, bussò alla porta nel giro di dieci minuti, chiamandolo a gran voce come se dalla sua bontà dipendesse la sua stessa vita – cosa che in effetti, vagamente, rispecchiava la realtà.
- Vattene via! – disse, con un tono più allarmato di quello che avrebbe voluto.
Matthew lanciò un miagolio sofferente.
Poteva immaginare quanto il pover’uomo fosse provato dalla faticosissima giornata che aveva dovuto sopportare, ma non intendeva cedere, né tantomeno mettersi in pericolo.
- Non posso farti entrare! – confessò, ribadendo implicitamente l’invito a sparire.
- Steve! – piagnucolò Matt, attaccandosi alla porta e cominciando a tempestarla di pugni, - Sei la mia ultima speranza! L’ultima che mi resta!
- Allora, - concluse seccamente, sinceramente straziato dalla crudeltà che gli toccava mostrare e che di sicuro non lo riempiva di orgoglio, - non ti è rimasto nessuno. Mi dispiace Matthew. Va’ a casa.
Percepì Matt congelarsi oltre la porta. Lo sentì indietreggiare, lanciare un ultimo lamento disperato e poi correre giù per le scale, come se non gli importasse di cadere e spezzarsi il collo.
Sospirò, abbandonandosi stancamente contro il divano.
Non che fosse preoccupato di aprire il giornale l’indomani mattina e trovare in prima pagina un titolo tipo “Giovane frontman di una celebre rockband inglese trovato annegato nelle sue stesse lacrime in un bidone della spazzatura!”, ma…
…Matthew era pazzo!
Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto fare in una situazione del genere!
Improvvisamente preda dei sensi di colpa, corse al telefono e chiamò Brian, ma l’apparecchio dell’appartamento squillò a vuoto.
“Sarà sceso a cercarlo?”, si chiese, non senza una buona dose di incredulità.
Alla fine, concluse che sarebbe stato meglio per la propria sanità mentale credere intensamente che sì, Brian fosse andato alla ricerca di Matthew, l’avesse trovato, avesse fatto pace con lui e risolto il dramma prima che riuscisse a consumarsi.
E, credendo fermamente in tutto questo, si appisolò beato.
*

Si rassegnò semplicemente a tornarsene a casa, come gli aveva detto di fare Steve. Evidentemente nessuno capiva cosa stava provando. Evidentemente nessuno capiva il suo dramma.
Probabilmente avevano ragione loro.
Probabilmente lui era solo uno stupido che non aveva capito niente della vita, del sesso, di Brian e di nient’altro in generale.
Probabilmente avrebbe dovuto semplicemente sottomettersi una volta di più e accettare anche quella sfida, d’altronde Brian non faceva altro che lanciargli sfide, continuamente, e da un anno a questa parte lui aveva ormai imparato ad accettare la sottomissione come il metodo più facile per ottenere ciò che anche lui voleva senza deludere Brian e senza perdere troppo tempo in chiacchiere o in litigi.
Ma…
…ma dannazione.
Il corpo di Brian era una fottutissima droga.
Il problema non era la distanza o l’obbligo di usare il telefono. Il problema era che ormai, dovunque fosse stato non avrebbe fatto la minima differenza, perché avrebbe inseguito il suo profumo e il calore della sua pelle, l’avrebbe trovato e se lo sarebbe preso.
Non poteva pensare di sottoporsi volontariamente a una pratica che lo privasse di quel contatto. Il contatto con Brian era a tratti l’unico motivo per il quale respirava! Quando qualcosa andava storto, quando una dannata canzone non veniva bene, quando cannava un live, stonava, mandava a monte una giornata di registrazione per una vaccata qualsiasi, era il pensiero che sarebbe tornato a casa e avrebbe toccato Brian a tirarlo su di morale, a impedirgli di abbandonarsi sconfortato in qualche angolo umido e buio e lasciarsi disciogliere nella disperazione così.
E avrebbe dovuto accettare il phonesex? Per carità!
Brian doveva solo ringraziare se non pretendeva di scoparlo ogni minuto del giorno e della notte!
Aprì la porta con un sospiro rassegnato, guardandosi intorno e notando immediatamente che qualcosa non andava.
Non c’era la minima traccia del profumo di Brian, in casa.
E, assieme a questo, le tapparelle completamente chiuse delle finestre e il silenzio innaturale che regnava nell’appartamento, contribuirono a fargli realizzare in un istante che… se n’era andato.
Via.
Sparito.
Volatilizzato.
Come non fosse mai esistito.
Pa-ni-co.
Si gettò in una disperata ricerca per tutte le stanze, salotto bagno studio cucina stanza da pranzo, e quando approdò in camera da letto, e vide il cordless graziosamente appoggiato sul piumone, e intuì la sagoma di un biglietto poggiato appena accanto alla cornetta, capì.
Era. Fottutamente. In. Trappola.
Si gettò a peso morto sul letto, affondando col viso nel cuscino e lamentandosi istericamente – perché, perché devo essere così sfigato? Perché non posso trovarmi un uomo normale? Perché DIAMINE Brian dev’essere così perfetto e così dannatamente odioso?
Si rigirò sul materasso, afferrando il biglietto con un gesto stanco e vagamente irritato. “Call me”, recitava in rotondeggianti letterine rosse.
- Bastardo… - mugugnò.
Chissà dov’era finito.
Quello era un tipo capace di nascondersi in un bunker sotto terra, in una situazione come quella!
Non sarebbe mai riuscito a trovarlo.
Cazzo, cazzo e ancora cazzo.
Lo odiava.
Prese il cordless e fece per rimetterlo a posto sul comodino, ma se ne pentì un attimo prima di farlo. Rimase come inebetito a fissare il display appena illuminato, e i tasti grigi e gommosi che sembravano suggerirgli “spingici, è facile!”, tutti sorrisetti malvagi e vocine melliflue.
Socchiuse gli occhi. Poggiò un braccio sul viso, giusto per assicurarsi di non riuscire a vedere niente neanche riaprendoli. E compose il numero del cellulare di Brian.
Lui rispose subito.
- Pronto?
Vocina melodiosa e risata argentina.
Dannato, dannatissimo bastardo.
- Dove cazzo sei? – chiese, e mai la sua voce gli era sembrata tanto simile a un’invocazione disperata.
- Parigi. – rispose naturalmente Brian, con un’altra allegra risatina.
- Parigi! – ripeté lui, sconvolto. Sapeva che sarebbe successo! Lo sapeva!
E malgrado tutti i vaneggiamenti sull’andare inseguendo il suo profumo in giro per il mondo… la sua giornata era stata davvero troppo massacrante perché si pretendesse da lui che saltasse in piedi, corresse a comprare un biglietto aereo e volasse dovunque Brian si trovasse solo per scoparlo.
Aveva dei limiti umani, in fondo.
- Brian, questa cosa non può andare avanti.
- Infatti, Matt. Sono qui proprio per chiuderla.
- …
- Indovina che sto facendo…?
- …ma cosa vuoi che ne sappia…
- Eh, ma se non giochi…
- Brian, senti-
- Indovina cosa sto facendo, dai.
C’era qualcosa, nel suo modo di mantenere un tono di voce tranquillo, pacato… una sicurezza tutta sua, un atteggiamento che gli aveva sempre invidiato, una delle cose che più amava di lui.
Brian sapeva davvero giocare bene.
Aveva un vero talento per i giochi.
Dettava legge.
Le sue non erano mai richieste, solo ordini. Espliciti, il più delle volte. Ma anche quando un sorriso o uno sguardo riuscivano ad essere talmente impliciti da farti domandare se per caso non volesse solo una carezza e un bacino, bastava che passasse un attimo, che la curva delle sue labbra si ricoprisse di malizia, che le sue ciglia lunghissime si abbassassero un po’, dando un’aria languida ai suoi occhi, per farti capire esattamente ciò che voleva. E gettarti in faccia la consapevolezza che lo volevi anche tu. Infiammando i tuoi lombi.
Non c’era niente di Brian che non richiamasse il sesso.
Lui lo sapeva.
E amava sfruttarlo.
- …sei sul letto…? – chiese arrendendosi, e notò un brivido nella propria voce che lo sconvolse.
Brian ridacchiò, e Matt ebbe l’impressione che si stesse coprendo la bocca con una mano.
La semplice immagine lo mandò in estasi.
- Nono. – rispose giocoso, - Indovina… - e così dicendo allontanò la cornetta da sé.
Pochi secondo dopo, Matt sentì scorrere dell’acqua.
Dio. Cristo.
Era in bagno.
- Cosa stai facendo…?
Lo sentì accomodarsi meglio nella vasca.
- Sto facendo un bel bagno caldo… schiuma, oli essenziali… e dopo crema profumata…
- Dio… sei una femmina… - disse, con poca convinzione, sperando di salvarsi in corner spezzando la tensione che s’era creata.
Brian si limitò a ridere e riportare tutto in carreggiata.
- Se fossi qui… e mi vedessi… non la penseresti così.
Ed era finita.
Lo sapeva.
Tanto valeva lasciarsi andare, una buona volta.
- …sei eccitato?
- Mmmh… - rispose lui, - Sì…
- Mi vorresti lì, vero…? – e la mano non era più sugli occhi. E gli occhi erano perfettamente aperti. E coscienti. E Dio, poteva sentirsi grondare eccitazione.
- Sì, Matt… mi manchi un casino… ho una voglia pazzesca…
- Anche io… - bisbigliò, e in un certo senso era piacevole rendersi conto di stare guidando lui il gioco, - Dio, ti vorrei avere qui davanti agli occhi… tutto bagnato…
- …cosa mi faresti…?
La mano scese pericolosamente sul cavallo dei pantaloni, dove si fermò esitante.
- Ti bacerei… le labbra, il collo… mi spingerei contro di te…
- Mmmh, sì, Matt… fallo…
La mano si nascose sotto i pantaloni, sfiorando quasi con timore l’erezione pulsante nei boxer.
- Lo sto facendo… - basta esitazioni, basta paure, una stretta decisa, come quella di Brian, morbida e sicura intorno a lui, - Mi senti…? – ansimava, ansimava al punto che non sapeva se sarebbe mai più riuscito a respirare normalmente.
- Ti sento… - i sospiri di Brian lo raggiungevano attraverso la cornetta, spezzati, profondi, ed era come averlo lì, era quasi come se lo stesse toccando, - Continua Matt…
E lui continuò. Risalendo la lunghezza e riscendendo fino alla base, lento, quasi esasperante, non voleva venire prima di lui, voleva ascoltarlo gemere, gridare, voleva sentirlo come se fosse sotto di lui.
- Ti piace Bri…? Ti piace…?
- Sì… sì, amore… mmmh… a te piace…?
- Dio, sì… continua Bri, toccati… così… - si morse le labbra, strizzando forte le palpebre, e quasi lo vide, il riflesso dell’acqua sulla sua pelle bianca, gli occhi semichiusi, così, abbandonato nella vasca, la mano in movimento veloce sotto la superficie dell’acqua, ed era bellissimo già nei suoi sogni, figurarsi quanto avrebbe potuto esserlo in realtà…
- Matt… Matt sto venendo…
- Sì amore, sì… anche io sto venendo…
Lo sentì chiamare il suo nome un’ultima volta, in un singhiozzo spezzato, e poi sentì il suo respiro rilasciarsi tutto in un’unica volta, e immaginò il suo volto arrossato, le labbra dischiuse, Dio che voglia di baciarlo, che voglia assurda di toccarlo, stringerlo, accarezzarlo, e-
Lanciò un suono profondo e gutturale, inarcando la schiena e stendendo le gambe.
- Dimmi che non ti ho perso. – disse Brian, la voce bassa e sensuale, ancora un po’ affaticata, - Dimmi che sono tuo e che tu sei mio.
Quando aprì gli occhi, l’orgasmo gli era già esploso fra le mani.
Si rilassò contro il materasso, gettando indietro il capo, cercando di ritrovare il fiato che aveva perduto fra le parole di Brian.
- Ti amo. – rispose poi, incapace di esprimere in altro modo quello che pensava.
Dall’altro capo del filo, un silenzio un po’ stupito.
E poi una risatina allegra.
- Ti amo anche io. – disse la voce di Brian, nuovamente giocosa, - Tanto tanto.
Il tono da bimbo lo divertì, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
- Sei uno scemo… - disse con un sospiro, - Dimmi che sei soddisfatto e ora puoi tornare a casa.
Brian rise e lo rassicurò sul fatto che sì, sarebbe saltato fuori dalla vasca e poi sul primo aereo disponibile per Londra, e quando fosse arrivato avrebbero fatto sesso per tutta la notte.
- La prima bella notizia della giornata. – commentò Matt, guardandosi intorno alla ricerca di un qualche fazzolettino con cui ripulirsi.
- Però, amore… - lo richiamò Brian cinguettando, - la prossima volta possiamo provare un altro giochino…?
La sua ricerca s’interruppe d’improvviso, così come la sua mano, che si fermò a mezz’aria lungo il tragitto per il cassetto del comodino.
- …a quanti chilometri dovrai stare…?
- Ma no, al massimo un paio di metri…
- …e cos’è che avevi in mente…?
- Uhm. – mormorò Brian, come avesse davvero bisogno di pensarci su, quel dannato maniaco sessuale, - Hai mai sentito parlare di voyeurismo?
- …cioè vorresti guardarmi mentre mi scopo un altro?!
- Be’, per me non fa alcuna differenza se guardi tu e scopo io. – rispose Brian con estrema innocenza.
Era esausto.
Spossato.
E al momento aveva solo voglia di dormire – altro che sesso per tutta la notte.
La mano raggiunse il cassetto del comodino, lo aprì, né tirò fuori un kleenex e si ripulì nel tempo in cui lui lanciò il sospiro più enorme e rassegnato della sua vita.
- Senti. – disse, esasperato, - Ora torna a casa. Poi ci pensiamo.
Brian ridacchio, lo salutò e interruppe la conversazione.
Matt sapeva già di essere stato sconfitto in partenza.
Ma preferì non pensarci, voltandosi a pancia in giù sul materasso e cercando sul piumone tracce del profumo di Brian con le quali ingannare il tempo fino al suo ritorno.
Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: PG13.
AVVISI: Boy's Love.
- Da quando ha conosciuto Matthew Bellamy nel backstage del Live8, Brian Molko è un uomo estremamente turbato. Ma nonostante i dubbi, le insicurezze e le paure, sa che è giusto il momento di "crescere e combinare qualcosa".
Commento dell'autrice: Ok, sono le quattro e venti del mattino e ho appena finito di scrivere quella che, al momento, è la più lunga oneshot su Brian e Matt che abbia mai organizzato °_° Ci tengo a specificare che non è nata per essere così infinita, e potrete bene intuirlo dalla trama, che è veramente – ma VERAMENTE XD – piccina.
Prima di tutto, questa storia è il negativo di My Unclean. Le è totalmente opposta, in tutto e per tutto. Dove lì il protagonista assoluto era Matt, e la figura di Brian veniva fuori filtrata attraverso i suoi occhi, qui è il contrario. Dove lì l’amore era visto solo ed esclusivamente come una dannazione, qui è un sentimento quasi salvifico (anche troppo, per i miei gusti XD). Dove lì osservavamo due personaggi terribilmente emo XD sì, ma anche inesorabilmente adulti, qui abbiamo a che fare con dei mocciosi (sì °_°) che si fingono adulti che si fingono mocciosi °_° Un discreto disastro, eggià X3
Ma queste sono speculazioni pseudo-filosofiche a posteriori.
In realtà questa fic è nata – come un po’ tutto, ultimamente XD – grazie al gentile supporto di Ana, che sicuramente neanche se lo aspetta XD Stavamo messaggiando da una mezz’oretta pensando a che fic potessero nascondere i pucciosissimi testi dei Cute Is What We Aim For, quando sono stata folgorata dall’idea: cambiare Lyrical Lies in Lyrics And Lies. Ed era praticamente già una mollamy °_° Alla quale poi si sono aggiunti i concetti della crescita, gentilmente suggeriti dalla splendida Lover’s Spit dei Broken Social Scene (scoperta e amata grazie a Queer As Folk US).
Poi in fase di scrittura ha vissuto momenti drammatici °_° Cose che io mi stupisco di essere stata comunque in grado di concluderla, nonostante tutto. Del tipo che dopo aver risistemato tutto e scritto due pagine importantissime, che neanche a dirlo erano venute benissimo (ma temo sia sempre così, in situazioni del genere XD), sbaglio a salvare e perdo tutto °_° Panico.
Comunque XD
La storia va ad iscriversi perfettamente non solo fra le 100Songs (fra le quali è la settima che scrivo), ma anche fra le fic ispirate dal Beta Set delle Melodies Of Life della True Colors community (stessa a cui apparteneva anche My Unclean).
Per concludere, un immenso ringraziamento alla Juccha e alla Nai, che mi hanno fatto notare in momenti e in modi e per motivi diversi che Matt stava venendo su TROPPO puccioso, senza un motivo, e che quindi, se desideravo mantenerlo tale (come poi ho fatto X3 sia mai che io vi privi del piacere di vedere Matty-tan agire come un bambino idiota) dovevo quantomeno dargli un perché.
Sperando almeno sia convincente °_°
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
LYRICS AND LIES
Song #84. Show me love
Melody #6. If you knew what I’m left imagining in my mind


“And your body on my mattress is proof
And your makeup on my pillow is proof
But do you think I am telling you the truth?
It's just a lyrical lie
Made up in my mind”
“Lyrical Lies” – Cute Is What We Aim For


La luce del lampione, da fuori, si intrufola nella stanza, piroettando fra le pieghe della lunga tenda bianca prima di andarsi a posare delicata e vagamente giallastra sul soffitto e sulla parete di fronte alla finestra. Osservo la curiosa danza di luci ed ombre senza riuscire a staccare gli occhi dallo spettacolo, come fosse la prima volta che lo vedo.
In realtà non è così.
In realtà ormai conosco a memoria ogni riflesso di quella luce, ogni sfumatura di quell’ombra e ogni imperfezione di quel soffitto.
Ogni sera alle sette il lampione sul marciapiede di fronte si accende e proietta la sua anima al neon in questa stanza.
Ogni sera alle sette Matthew ridacchia, ed io so che è perché sta pensando “Incredibile, abbiamo passato un altro pomeriggio intero a non fare niente”, anche se ormai non lo dice più.
Ogni sera alle sette io mi volto e osservo i lineamenti rilassati e morbidi del suo viso, e mi chiedo per quanto ancora durerà questa pace paradisiaca e soffice che ci avvolge da ormai due mesi.
Ci siamo conosciuti nel backstage del Live8.
È stato meno traumatico di quanto non avessi potuto immaginare.
E sì, l’avevo immaginato tante volte.
Più che altro perché penso sia normale. L’avevo odiato per anni a distanza, senza mai averlo nemmeno visto, e tutte le motivazioni per le quali quell’odio era nato mi sembravano più che valide. Oltre al fondamentale – ovvero Alex che strillava “I litigi vendono! Guarda gli Oasis, sono ricchi sfondati!!!” – i Muse mi offrivano tanti altri spunti di risentimento. Hanno più o meno i nostri stessi fan, fanno la musica che ogni tanto vorrei fare io – anche se solo quando sono ubriaco o troppo deluso da un maledetto testo che non esce fuori come dovrebbe – sono dannatamente famosi e probabilmente perfino più di noi e Matt ha dei vestitini che quando penso al suo guardaroba mi sale un’invidia stratosferica.
Senza contare che sa suonare la chitarra.
E il piano.
Per non parlare di come canta.
Bene. Di più, brillantemente.
Come ho la vaga impressione di non aver mai fatto io.
Comunque, mi sembrava di avere dei motivi più che validi per odiarlo, per ritornare alla questione principale.
E quindi, quando odi qualcuno per tanto tempo, e senti di avere ragione per farlo, e non l’hai mai visto – ma non dev’essere una situazione tanto tipica, mh? – guardi al momento in cui lo incontrerai come uno dei Momenti Topici della tua vita. Di quelli che poi ricorderai, e quanto a lungo non importa, perché è già importante che qualcosa lasci una traccia seppur minima, piuttosto che non ne lasci nessuna.
Ecco, io ricordo perfettamente il momento in cui ho incontrato Matt.
E temo che lo ricorderò per sempre.
Uno di quei Momenti Topici Che Più Topici Non Si Può.
Stavo riflettendo sul testo dell’ultima canzone che avevano fatto. Non l’avevo trovato particolarmente brillante o particolare – o sensato, a dirla tutta – e quindi mi stavo rotolando nella mia melma di rabbia e invidia compiaciuta, quando la loro esibizione s’è conclusa e lui è apparso dietro ai pannelli del maxischermo, alla guida di Dom e Chris.
Sudato e felice come un bambino dopo una corsa dietro ai piccioni.
Gli mancava soltanto la macchia di gelato sulla maglietta – ma presumo che, visto il costo esorbitante della suddetta maglia, fosse meglio così.
Sì è avvicinato.
Mi ha sorriso.
Mi ha dato l’impressione che l’adrenalina del live gli avesse fatto dimenticare totalmente tutta la merda che ci eravamo sputati addosso nei lunghi mesi che avevano preceduto quell’incontro.
E mi ha detto “Buona fortuna!”
Così.
Semplicemente.
Spiazzandomi.
E ci tengo a specificare che non è che io fossi l’unico pazzo. C’erano almeno un’altra cinquantina di persone assieme a noi in quel posto, e tutti, compresi i suoi due compagni di gruppo, l’hanno guardato come fosse totalmente fuori di testa. Il suo manager ha perfino fatto una smorfia di disgusto, come volesse dirgli “Ah! Ti stai mescolando col nemico! Ricorda di lavarti per bene, quando torni a casa!”.
Non so cosa mi sia preso, allora. Probabilmente l’aura di calma e pace che si emanava da lui come dalla statuetta di un Buddha mi contagiò.
Perché sorrisi anch’io, tesi la mano e lo ringraziai.
La sera stessa saltellavamo allegramente da un pub all’altro come fossimo stati vecchissimi compagni di bevute da poco rincontratisi. Lui era un fiume in piena, mi raccontava storie allucinanti, cose che immagino non sappia nemmeno sua madre, certi momenti che per poco non imbarazzavano perfino me, come “la volta in cui ho nascosto la testa sotto la sabbia da bambino e quasi morivo soffocato!” o “quell’altra in cui un bambino mi arrotolò una ciocca di capelli attorno a un lecca lecca umido di saliva – avevo i capelli lunghi allora – avresti dovuto esserci, quasi diventai calvo!”, e cose simili.
Era l’entusiasmo fatto persona.
Non si vergognava di niente.
Una forza della natura.
Born to be wild.
O per raccontare a ripetizione idiozie sul suo conto, dipende da come la volete vedere.
Io ascoltavo rapito e mi nutrivo delle sue parole come fossero state caramelle. Riuscivo quasi a sentirne la morbida dolcezza sulla punta della lingua.
Quando mi accompagnò a casa disse “Parlare con te è uno spasso!” – sì, parlava come un bambino, davvero, lo fa tutt’ora e lo fa apposta, lo so io e lo sa lui – e disse anche “Dobbiamo vederci ancora!”.
E io pensai fosse una frase di circostanza.
Dobbiamo vederci ancora! Che piacevole serata! Ti chiamo io!
In effetti era una frase di circostanza. Solo che lui l’aveva detta seriamente.
E così, la sera dopo, eccoci di nuovo in giro, come due mine vaganti, fra un Hard Rock Café e l’altro, fra una fuga da fan assatanati e l’altra, fra un paio di maniaci in vena di threesome e un altro.
Così per un mese.
E mentre la mia testa si riempiva di “Brian, amo quel cappottino!” e “Ho un’idea per una canzone idiota! Piena di parolacce! Un giorno la incido!”, il mio cuore, lentamente ma inesorabilmente, si adattava alla sua presenza e prendeva a cercare di farmi capire che non era più un semplice ospite ma un inquilino regolare, aumentando il ritmo dei battiti ogni volta che lo vedeva apparire da dietro una porta, con quell’adorabile sorriso stupido sul volto e le dita sempre sporche d’inchiostro colorato.
Innamorato!
Io!
Dio-mio!
Di nuovo!
L’ultima volta che è successo è stato un discreto disastro, ed io e Stef siamo riusciti a uscirne grazie a non so quale miracolo e al gentile aiuto di Alex, che, puntandoci un coltello alla gola – davvero – ci ha annunciato che se ci fossimo azzardati a mandare all’aria il gruppo per “una cazzata simile”, per noi sarebbe stata la fine.
Fai meglio a credere alle minacce di una donna, soprattutto quando ti punta un coltello alla gola.
Ma con Matthew è diverso.
Sarebbe ugualmente un discreto disastro, ma se smettessimo di frequentarci non ci sarebbe nessuno che cercherebbe di convincerci a riprendere, perché in primo luogo a nessuno interesserebbe e in secondo luogo per l’industria musicale era molto meglio quando ci odiavamo, rispetto ad ora.
Ecco il motivo per cui porto avanti questa pagliacciata degli amiconi, giorno dopo giorno, da due mesi a questa parte.
Mentre vorrei tanto saltargli addosso e fargli la qualsiasi.
Per carità.
- Sarà meglio che cominci ad andare… - annuncia lui, e nella sua voce c’è una nota di rammarico così carina che avrei voglia di scompigliargli amorevolmente i capelli o chissà che altro, - È già tardi.
Occhiata alla sveglia, sono le sette e mezza.
Fra dieci secondi Tom lo chiamerà e lo sgriderà.
Tre, due, uno…
- Tom? Che c’è?
Rido, e lui mi tira addosso un cuscino per zittirmi.
- Sì, dammi un’oretta.
Tom sbraita qualcosa.
- Tre quarti d’ora?
Lo sento abbaiare ancora.
- Ok, mezz’ora. A dopo.
Interrompe la conversazione e si mette a rotolare sul letto come un’anima in pena, abbracciando il cuscino che nel frattempo gli ho ritirato addosso.
- Non voglio andarmeneee… - si lamenta, disperato.
Incrocio le braccia dietro la testa e sospiro.
- Credo che comincerò a sentirmi offeso: per l’intero mondo sei il ritratto della maturità, ma quando sei con me ti trasformi come per magia in un bambino di tre anni.
- Non credo sia esattamente qualcosa per la quale tu debba sentirti offeso, Bri. – dice lui ridacchiando e strizzando gli occhi come un micio, e io non posso credere, non posso credere che non sappia esattamente quanto questo suo atteggiamento infantile mi faccia morire.
- Se non vuoi andare via, non farlo. – suggerisco pacatamente, sperando che lui non si accorga che ciò che sto dicendo in realtà è “resta, spogliati e prendimi ora”.
- Sai che non posso.
Sospiro.
- Che risposta banale…
Lui ridacchia, e si attorciglia nel copriletto, rotolando fino a me.
- Scusa, che posso farci? È la verità…
- Se fosse la verità, invece di stare qui a rigirarti come su una graticola, saresti già in piedi e pronto all’azione.
- Ma lo so, è che la riunione di oggi è su non mi ricordo quale argomento noiosissimo…
- …tipo la scelta del prossimo singolo…?
- …eh, tipo.
Non posso fare a meno di sorridere.
- Be’, sai com’è, Bells, si chiama promozione. Se non la fai, nessuno compra i tuoi dischi.
Lui sbuffa, incrociando le braccia sul petto.
- Sì, ma il mio lavoro non è fare pubblicità, è fare musica. Non avrei un manager, altrimenti!
Povero Tom, penso sospirando, e dal momento che lui non accenna più a muoversi faccio per sollevarmi dal letto, sperando che segua il mio esempio e si decida ad alzarsi.
È un’abitudine che ho preso da quando Tom mi ha telefonato e, cercando di non mostrare irritazione, mi ha spiegato che Matthew è come un bambino un po’ idiota, bisogna farlo spostare agitandogli davanti agli occhi un lecca lecca e cose simili. Altrimenti non si muove.
Generalmente funziona. Alzandomi riesco a rimandarlo a lavoro, con buona pace del mio desiderio insoddisfatto e per la gioia del suo povero manager.
Ma stasera, evidentemente, il bimbo è più ostinato del solito.
Allunga un braccio e mi tira per una manica, così velocemente e con impeto bambino così perfettamente studiato che perdo l’equilibrio e scivolo di nuovo fra i cuscini, pericolosamente vicino al suo viso.
- Non andarteneee! – piagnucola, guardandomi con un paio d’occhi così immensi che quasi vedo solo loro.
Serro le labbra e deglutisco, cercando di sfoltire la massa enorme di pensieri che mi riempie il cervello.
Assalilo! Assalilo!, questo no.
Oddio, sei un amore, no, neanche.
Lasciami andare, su… ecco, potrebbe andar bene.
- La-
- Davvero, non ho voglia di andare a lavorare… - mi interrompe lui, stringendomisi contro e nascondendo il viso contro la mia maglietta, - Coprimi. Solo per oggi. Giuro che non dirò a Tom che sono stato da te.
Ecco.
Ecco!
Qualsiasi protesta potessi avere in mente, che senso avrebbe parlare adesso? Nessuno.
Non ha nessun senso dirgli vai quando tutto ciò che riesco a pensare è resta.
Gli accarezzo lentamente i capelli, e lui sembra approvare l’idea.
Fa praticamente le fusa.
E la cosa più irritante è che so esattamente cosa gli passa per la testa.
Sta pensando proprio purr purr.
Non è che sia stupido, per carità.
È solo che, anche quando non lo fa apposta, è così infantile, così gioioso, così semplice che mi commuove. Non so davvero com’è che Tom riesca a mantenere il pugno duro con lui, e lo ammiro tantissimo per questo. Io non ci riuscirei mai. Quando mi guarda mi sciolgo, quando mi parla non capisco più niente, mi basta un movimento impercettibile per imbambolarmi a fissarlo come ipnotizzato, e ogni volta che penso a lui mi sembra di stare pensando a tutte le meraviglie dell’universo, e mi stupisco di come la natura possa aver creato qualcosa di così universalmente amabile, priva di lati negativi, priva di spigoli, tutta curve e dolci morbidezze.
Matthew è uno zuccherino. Le stelle filanti. I regali di San Valentino. Le dichiarazioni d’amore. Le lettere profumate. I messaggi di auguri. I libri di fiabe per bambini. Le canzoni romantiche.
Matt è un’emanazione della bellezza, Matt è il fratello della dolcezza, l’anima pura della passione, il lato più carino dell’ossessione.
Innamorato.
Io.
Di nuovo.
E di lui.
Mio-Dio.
*

“You know it’ time
That we grow old and do some shit”
“Lover’s Spit” – Broken Social Scene


Quando mi risveglio, capisco in un lampo che è passata da un pezzo l’ora di cena. Principalmente perché il mio stomaco gorgoglia che è una meraviglia e quasi mi sembra di sentirlo parlare.
Il cellulare di Matthew trema istericamente da qualche parte sul comodino. Sento il ronzio fastidioso acuito dal contatto col legno.
Se volessi un altro motivo per amare questo ragazzo, sarebbe la premura che ha nel predisporre ogni cosa attorno a lui per far sì che nulla possa disturbare il suo sonno. È adorabile, davvero.
E infatti lui dorme ancora, placidamente accucciato al mio fianco, con le labbra semidischiuse e le sopracciglia distese e rilassate. Ogni respiro sospinge il suo petto contro il mio fianco, e il momento in cui se ne allontana crea un vuoto dolce e colmo di aspettativa.
Ah, l’amore.
Come mi rende melenso.
Mi strofino gli occhi e lo scuoto un po’. Lui si sveglia mugugnando, e si aggrappa a me come avesse paura di cadere.
- Bri…? – mormora smarrito, la voce ancora impastata di sonno.
Non posso neanche ripetermi che non dovrei farmi abbindolare così da questo suo modo di fare, che subito sono lì a stringergli la mano e chinarmi su di lui come a volerlo proteggere.
- Sono qua. – dico io, e non esagero se dico che un altro po’ di dolcezza mi farà scoppiare in lacrime.
E puntualmente lui sorride.
Puntualmente stringe le dita attorno alla maglia.
Puntualmente bisbiglia “Sì, ti sento…”.
E io puntualmente piango.
Di solito sono bravo a piangere in silenzio. Nessuno se ne accorge, nessuno si lamenta, nessuno chiede perché.
Non lo dico perché fa figo la sofferenza silenziosa, lo dico perché ne vado orgoglioso, ci sono voluti anni di pratica e molta perseveranza. Piano piano impari a soffocare i singhiozzi e le lacrime scendono giù discrete, quasi timide, timorose. Le labbra restano chiuse. Si arrossano solo gli occhi.
E poi arriva un tipino qualunque.
Matthew Bellamy.
Cosa sarà mai, poi?
E ti scombussola l’esistenza.
Ti fa dimenticare che sai piangere in silenzio.
Ti fa gemere, ti costringe a sobbalzare, a lamentarti, a strizzare le palpebre e tirare su col naso.
Un disastro.
- Brian…!
Un vero e proprio disastro.
- Bri, che c’è?
- Niente! – ma la mia voce mente.
- Non è vero! – dice lui, mettendosi seduto e guardandomi dall’alto, improvvisamente sveglio e attento, - Cos’hai?
- Niente. – ripeto, cercando di risultare più convincente.
Ma non ho speranze.
Piangere rende ogni menzogna inutile.
A pensarci bene, il pianto è l’espressione più sincera del mondo. Quand’è così spontaneo, quand’è così dirompente, quand’è così doloroso, nessuno può fraintendere cosa c’è dietro.
Se Matt fosse solo un po’ meno sciocchino, capirebbe anche lui che questo pianto è una fottutissima dichiarazione d’amore.
E invece mi si china addosso, con l’aria di un bambino che si prende cura di un cucciolo, e mi accarezza una guancia con due dita. Spazza via le lacrime e gioca un po’ con la pelle appiccicosa e lucida, e quasi mi sembra che sorrida.
- Passata? – chiede, e io mi accorgo che ho smesso di singhiozzare.
- Non avevo niente neanche prima.
Lui ridacchia e borbotta, “sei così ostinato”.
Anche tu lo sei.
Sei ostinatamente innocente.
E non posso neanche incolparti per questo.
- Dovresti dirmi quello che ti passa per la testa.
Adesso è a me che viene da ridere.
- Fidati, non c’è niente di interessante nella mia testa.
- Scherzi? – dice lui, spalancando la bocca, - Sei ancora l’uomo che ha scritto “Pure Morning” o gli alieni ti hanno rapito e sostituito con un sosia?
- “Pure Morning” non significa niente di niente, lo sai questo, vero?
- Sì, ma questo non toglie che sia interessante. – sorride, sereno, - Tu sei molto interessante da ascoltare, anche quando dici idiozie.
- Adesso non ti allargare, eh. Io non dico idiozie.
Ride ancora, tornando a stendersi tranquillo fra le coperte.
Adesso va meglio, eh, Matt? Adesso siamo ritornati nel nostro solito mondo fumoso e vago, nessuno ha detto niente di importante e tu sei al sicuro.
Noi siamo al sicuro.
Quello che hai creato è salvo.
Ci tieni tanto, è vero? Per te è fondamentale che questa relazione resti stabile, che resti pura, che sia incorruttibile. Tu le hai dato il via. Tu ti sei messo in gioco per tirarla su. Sei stato tu a fare la prima mossa. Sei suo padre, il suo custode, la tieni dritta in piedi anche quando sarebbe molto più facile lasciarla cadere.
Mi fa rabbia.
Mi infastidisce da morire.
Non posso più lasciare che accada.
Che ti piaccia o no, Matt, prenderò a calci tutti i tuoi dannati paletti, finché non mi crollerà il tetto addosso.
- Sono innamorato di te.
Solleva il capo e mi guarda come se avessi appena tentato di ucciderlo.
- Cosa?
So che ha capito.
So che vorrebbe solo che rispondessi “niente”.
Mi limito a rigirarmi, per guardarlo meglio negli occhi, e ripeto il concetto.
Lui abbozza un sorriso imbarazzato.
- Stai scherzando, vero?
Scuoto appena il capo, e non riesco a dire nulla.
In realtà vorrei parlare. Vorrei rassicurarlo. Dirgli qualcosa come “non ti preoccupare, non sei tu il pazzo, sono io. E se non te ne sei accorto è stato solo perché sono stato discreto e non mi sono mai esposto. E non preoccuparti se vuoi che tutto resti com’è adesso, non hai che da dirlo. Io non ti obbligherò a fare niente. Solo che volevo tu lo sapessi, ecco tutto”.
Se non parlo, è perché rifiuto l’idea di mentire ancora.
Non preoccuparti? Preoccupati, Matt, perché mi scoppia il cuore e tutto quello che riesco a pensare è che vorrei farti provare esattamente la stessa cosa.
Non sei pazzo? Lo sei. Lo siamo entrambi. Tu perché hai creduto di poter fermare l’acqua ed io perché le ho dato modo di scorrere fin dall’inizio.
Ed io potrò anche essere stato discreto, ma tu sei stato ottuso. E questo non posso perdonartelo.
Ma ti prego, non dirmi che vuoi restare mio amico. Picchiami, insultami, buttami fuori e minacciami di morte in caso osassi farmi vedere di nuovo alla tua porta, ma non dirmi che vuoi che tutto resti com’è adesso. Perché così com’è adesso la nostra relazione è un reticolo di bugie idiote tenute insieme per miracolo dalla tua testardaggine e dalla mia codardia, e se fra di noi dev’esserci qualcosa io pretendo che non sia questo.
- Ti amo.
Nasconde il volto tra le mani, e il lenzuolo che ancora stringe tra le dita lo copre per metà. Non riesco a vedere la sua espressione.
Ma sento il sospiro stentato che gli sfugge dalle labbra, e riconosco il segnale del suo dolore.
Che come sempre mi strazia.
Ma non mi ferma.
- Rimangiatelo. – mormora sconsolato.
- Non posso e non voglio.
Si libera dal lenzuolo e scatta a sedere con un movimento isterico che mi fa temere voglia scappare. Ma resta immobile, e mi guarda dall’alto. Lentamente, mi sollevo a sedere a mia volta.
- Ritiralo. Ti prego.
Scuoto ancora il capo.
Cosa posso fare, a parte aspettare che il bambino che ha deciso di essere quando sta con me sparisca per mostrare come il vero Matt reagisce a cose simili?
- Cos’è che dovrei dire adesso…?
Non respingermi.
Scrollo le spalle.
- Qualunque cosa. Cosa pensi. Cosa provi. Cosa vuoi.
Dio, ti prego, non respingermi.
- Penso che tu abbia fatto l’errore più grande della tua vita. Mi sento male. E vorrei che tu te ne andassi.

…sono ancora vivo?

- Penso di non aver fatto abbastanza per nasconderti quello che provavo. Ho paura da morire. E vorrei che tu mi abbracciassi.

Sono ancora vivo?
Sono sveglio?

- …cosa…?
- È tutto finito.
- Matt-
- Non c’è speranza.
- …Matt. Ho bisogno di sapere cosa intendevi poco fa.
Sorride appena e si stringe nelle spalle.
- Brian, quando sono con te, io sono una persona diversa. E vivo in un mondo diverso.
- Mi stai dicendo che mi hai mentito?
- No! – si affretta a rispondere, - Mai! Non è questo. Non so se posso spiegarmi, e non so neanche se capiresti… quando sono qui con te io sono libero. Totalmente. Libero di mangiare dolciumi fino a morire di mal di stomaco, libero di sparare idiozie a caso su qualsiasi argomento mi passi per la testa, libero di fare i capricci e saltare le riunioni, se voglio. Tu mi rendi libero. Crei per me il mondo in cui posso esserlo senza pensieri.
- Sono la tua valvola di sfogo?
- …be’… se proprio vuoi chiamarla così…
- Allora questa storia si deve chiudere, Matthew.
Spalanca gli occhi, e se non fossi determinato a mantenere almeno una parvenza di dignità lo farei anche io.
Non posso credere di averlo detto.
- Tu non sei la mia valvola di sfogo, Matt. Sei la persona che amo. Muoio di continuo, ogni volta che ti vedo, ogni volta che mi parli, ogni volta che mi guardi. Io ti rendo libero? Tu mi metti in gabbia, Matt. Mi tieni prigioniero e neanche te ne rendi conto.
Serra le labbra, e so che sta trattenendo le lacrime. Le vedo brillare nella luce gialla del lampione, le vedo ingrossarsi e scivolare lente sulle sue guance, lungo il collo e sulla maglietta, e allargarsi in piccole macchie di bagnato sul tessuto leggero.
È come averle addosso, sono come lacrime mie.
Fa male, vero?
Fa malissimo.

- Sapevo che non avresti capito. – mormora a stento, torturando il lenzuolo fra le dita. – Sapevo che non avrei dovuto parlare.
Sospiro pesantemente, perché credo non ci sia nient’altro da dire e temo stia usando questa scusa per farmi apparire come un insensibile, chissà, magari per alleggerirsi del peso del senso di colpa.
E invece lui mi si avvicina.
Si appoggia con la fronte sulla mia spalla.
Abbandonato, inerme, stanco.
- Se riesci a liberarmi, è perché ti amo, Brian.

Sono ancora vivo?
È aria, questa?
Sono vivo?

- È questo che intendo, quando dico di non aver fatto abbastanza per nasconderti i miei sentimenti. Forse, se fossi stato più cauto, tu-
- Ti avrei amato lo stesso. – lo rassicuro, scivolando col mento nella massa confusa dei suoi capelli, - Fidati. Non… non avevo idea che provassi una cosa simile.
Ridacchia, scuotendosi lievemente contro la mia spalla.
- Mi è sempre sembrato molto chiaro. Perfino Tom l’aveva capito…
Tom ti vede quando io non posso.
Tom vede quello che a me tu non mostri.
Sei stato infinitamente cauto, amore.
Sei stato molto più cauto di me.
Gli circondo le spalle con le braccia, e mi sembra sgonfio, minuscolo.
So che è solo un’impressione. So di essere ancora più piccolo di lui, se possibile.
Ma è tenero, tenero da morire.
Così fragile, sotto le mie dita. Così morbido.

Sono ancora vivo.
Sono terribilmente vivo.

Forse, dopotutto, era semplicemente arrivato il momento di farlo. Di buttare tutto fuori. Di crescere.
Abbiamo un’età. Abbiamo trent’anni. Tu stai per compierli, io li ho già fatti qualche anno fa.
Possiamo fingerci bimbi quanto vuoi, Matt, ma non possiamo esserlo davvero.
Spero che tu adesso l’abbia capito.
- Posso restare a dormire qui, stanotte?
Annuisco, e le punte dei suoi capelli mi stuzzicano piacevolmente il naso. Non riesco a non pensare a come sarebbe svegliarmi provando la stessa sensazione.
- Certo che puoi.
- Ma andrai piano, vero, Brian? Poco per volta. Voglio dire, non- non sono pronto per- ecco…
Mi chino su di lui, sfiorandogli le labbra con un bacio.
- Non andrò oltre questo, per stasera. Promesso.
Mi basta guardare il suo sorriso, per capire che va meglio.
Per capire che ce l’ho fatta.
Che, non so ancora come, né tantomeno perché, ho risolto il problema.
E sono ancora vivo.
Terribilmente vivo.
Genere: Comico.
Personaggi: Matthew Bellamy, Brian Molko, Tom Kirk.
Pairing: MattxBrian
Rating: R, più o meno XD
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Sembra una mattina tranquilla, come mille altre. Matthew Bellamy si alza dal letto. Si guarda allo specchio. E per poco non sviene per la sorpresa: è diventato un omino lego!
Commento dell'autrice: Ok, idiozia portami via X’D Non ho limiti.
Dunque, questa storia – venuta fuori indicibilmente lunga, soprattutto rispetto alla stupidità folle del soggetto che la regge – è nata in seguito ad alcune considerazioni fatte a proposito di Matt (principalmente, ma anche del suo degno compare XD) assieme alla Nai e all’Happyna. Qui ci sono molte delle assurdità con le quali occupiamo intere mattinate di chat <3
E se non avete ancora visto il video di “Invincible”, be’, fatelo, perché è UN AMORE *w*
A parte questo, i più attenti fra voi si saranno accorti del fatto che questa fic si ispira allo stesso temino di “Dettagli!” X3 Questo perché ho deciso che le “strange diseases” di Bri e Matt saranno tre ù_ù (nyah, una trilogia *-*). Quindi aspettatevene presto un’altra! XD (E, a proposito, grazie a tutti coloro che hanno recensito quella cretineria ç_ç Mi avete commossa ç_____ç Spero di non deludervi mai ç_ç!)
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LA METAMORFOSI
Song #86 – Strange disease Pt.2


Sarebbe stata una mattina normalissima, come tante altre, se nel tentativo di far scivolare una mano fra le lenzuola alla ricerca di un po’ di refrigerio dalla calura estiva non avesse sentito il tocco gelido e fastidioso della plastica, sotto ai polpastrelli.
Spalancò gli occhi all’improvviso e cercò di tirarsi su, ma nel momento esatto in cui lo fece si rese conto che il suo bacino sembrava… come immobilizzato. Si sentiva una vecchia porta in ferro arrugginito. Si sentiva come se non lo oliassero da tanto tempo.
Complessivamente, si sentiva parecchio strano.
Con una fatica sovrumana, strizzando gli occhi per lo sforzo, riuscì a sedersi sul bordo del letto.
Quando poi li riaprì e incontrò il suo riflesso nello specchio sulla parete di fronte, quasi scivolò sul pavimento per la sorpresa.
Era appena diventato un omino lego.
*

Immaginava che essere un omino lego potesse avere i suoi bravi pro.
Mentre cercava di infilarsi una camicia – che strappò – e un paio di jeans – che non riuscì ad abbottonare – pensò che dovevano esserci, altrimenti nessun giocattolo avrebbe scelto di diventare un omino lego. Si sarebbero tutti trasformati in Barbie ed Action Man, e per gli omini lego non ci sarebbe stato più modo di riprodursi.
Quindi, dei pro dovevano esserci.
Dovevano.
Era colpa sua, se non riusciva a vederli!
Evidentemente era troppo ottuso, la sua mente non era abbastanza aperta, c’era qualcosa in lui che non andava…
…Dovevano!!!
Squillò il telefono.
Muovendosi così lentamente che gli sembrava di essersi reincarnato in una tartaruga – caduta sulla schiena, peraltro – raggiunse l’apparecchio e lo sollevò.
Primo dilemma.
Non aveva orecchie.
- Pronto? – disse la voce di Tom dall’altro lato della cornetta, e lui subito si tranquillizzò: magari non aveva orecchie, ma poteva ancora sentire.
In qualche modo.
E non gli andava di approfondire.
- Tom? – chiese, con una vocetta stridula tirata fuori da chissà dove, - Stai bene?
Tom grugnì.
- Tu stai bene, Matthew? – gli chiese, invece di rispondere, con voce melliflua che terrorizzò il frontman.
- Io… uhm… sono stato meglio, in effetti. – confessò, incerto.
- Be’, questo non ti impedirà di venire in ufficio da me, spero.
- Ecco… in realtà…
- No, perché ho cose importanti di cui parlarti.
- Io veramente-
- Avanti, Matt! – insistette Tom, ormai sul piede di guerra, - A meno che tu non sia orribilmente deformato, non ti lascerò restare tappato in casa tutto il giorno.
Stava per rispondere che in effetti “orribilmente deformato” non rendeva ancora bene la sua condizione, ma Tom si affrettò ad aggiungere che anche in quel caso probabilmente l’avrebbe obbligato ad uscire comunque, quindi prese un gran sospiro e disse che sarebbe stato da lui in un quarto d’ora.
Dopodiché guardò indietro, al grande armadio di fronte al letto, e decise di trovare qualcosa che lo proteggesse nel breve tragitto che lo separava dal suo appartamento all’ufficio del manager.
Veloci, gli occhi corsero all’enorme arsenale di cappottini colorati, appesi tranquillamente alle loro grucce, come se il mondo fosse al loro servizio.
Allungò tremando una mano giallina dall’impossibile forma… tenagliosa – perché mai avrebbe dovuto utilizzare delle parole esistenti, se poteva creare? – ma la ritrasse quasi subito, spaventato dall’eventualità di distruggere uno di quegli adorabili e costosissimi capi solo provando a indossarlo – come già era successo alla sua povera camicia a righine rosse e bianche.
Meditò per qualche secondo se non fosse il caso di dipingersi i vestiti addosso, da bravo omino lego qual era.
E poi, scuotendo il capo con un gesto che avrebbe voluto essere fluido e naturale ma risultò più che altro un’impresa titanica durante la quale la tua testa finì rigirata sul suo collo di trecentosessanta gradi, optò per uno sciallino dal disegno scozzese che lo coprisse interamente come i mantelli degli hobbit.
Dopo neanche tre secondi, era già per strada. E lì, mentre camminava spedito – per quanto le ridicole gambette che la Lego gli aveva dato in dotazione gli permettessero – si accorse che lui sembrava l’unico al mondo ad essere affetto da quella strana malattia. Tutte le altre persone continuavano a portare avanti la loro tranquilla vita di carne e ossa, e si voltavano a guardare lui, questa specie di nano mummificato in un kilt, come fosse un extraterrestre.
Arrivò in ufficio di Tom pensando che gli sarebbe scoppiato il cuore per l’ansia, ma si accorse che in effetti non aveva un cuore, anche se la cosa stranamente non lo tranquillizzò.
- Matt! Sei qui!
Secondo dilemma.
Perché la voce di Tom sembrava tanto simile alla sua?
Si voltò a guardarlo – faticando immensamente per trattenere la testa dal roteare ancora come una girandola – e sarebbe svenuto, se avesse avuto un cervello e delle palpebre da chiudere.
Tom era un omino lego esattamente come lui.
Stava lì, tutto impettito, sollevando le braccina e facendole ruotare sui loro cardini fino a far compiere loro un’intera circonferenza.
- Tom! – strillò, inorridito, - Che è successo?!
Una manina tenagliosa gli si abbatté sulla testa.
- È sicuramente colpa tua!
- Eh?!
- Sei stato tu ad avere quest’idea cretina degli omini lego per il video di “Invincible”! Io te l’avevo detto! Lascia perdere, che la riproduzione in digitale è costosa e poi è un’idea stupida! Lascia stare, che è molto meglio se vi mettete un paio di abitini carini e fate finta di cantare! Ma tu no, non hai voluto ascoltarmi! E ora guarda!!!
Frastornato, Matt guardò.
Intorno a lui, ogni cosa sembrava essere uscita da un kit di costruzioni.
- Vuoi vedere la mia sedia, Matt? La vuoi vedere?
Il tono del manager non sembrava esattamente quello di un uomo gentile che gentilmente chiede qualcosa, perciò Matthew chinò il capo e lo seguì mentre lui lo afferrava per un sottilissimo polso e lo strattonava dietro la scrivania.
Un bozzo di forma cilindrica largo almeno trenta centimetri fuoriusciva dalla superficie legnosa della poltroncina girevole che faceva da trono a Tom.
- Lo vuoi sapere in che buco si infila questo dannato coso, ogni volta che mi siedo?
Se avesse avuto della saliva, avrebbe deglutito.
- N-No, Tom, credo di non volerlo sapere.
- Ecco, bravo. – sbottò l’uomo, inviperito, reso ancora più impressionante dal fatto che, essendo un omino lego, la sua faccia avesse una sola espressione, quella del sorriso, - Quindi adesso cerca un modo per sistemare le cose, prima che accada qualche altro cataclisma!
In quell’esatto momento, si sentì un enorme rombo provenire dal piano di sotto. Matthew non ebbe neanche il tempo di pensare “L’uragano?”, che la porta dell’ufficio si aprì e sulla soglia apparve Brian.
…e anche lui era un omino lego.
- Per carità di Dio! – strillò Tom, sollevando le braccia come volesse portare le mani ai capelli, senza riuscirci perché incapace di piegarle, - A proposito di cataclismi!
- MATTHEW BELLAMY! – strillò Brian, avanzando minaccioso, con una tenaglietta bellicosamente puntata verso il suo viso liscio e giallo, - Da quanti mesi stiamo insieme? Dieci? Undici? Non ti ho mai lasciato, anche se spesso ne avrei avuto motivo, ma questa volta non lascerò correre!
- Brian! – lo chiamò lui, altrettanto preoccupato di vederlo in quelle condizioni, - Anche tu sei un omino lego?!
Una seconda mano si abbatté sulla sua testa, e se non cadde a terra fu solo perché le gambe erano ancora troppo rigide per piegarsi.
- NO, sono uno dei mini pony, quello rosa e viola!!! Cosa ti sembra che sia, eh, Bellamy? Non ti sembro il mini pony rosa e viola?!
- …veramente mi sembri un omino lego…
Un’altra manata lo mandò definitivamente K.O., mentre Brian si allontanava da lui e, con immensa goffaggine, si arrampicava sulla scrivania di Tom per sedercisi… finendo per scivolare a sua volta a terra come fosse stato sull’olio.
- Cosa diamine…?! – sbraitò, irritato, mentre si tirava in piedi e passava una mano sulla superficie liscissima della sua testa.
Tom sospirò.
- Non puoi sederti senza usare uno di quei pirulli. – confessò con dolore, indicando il bozzo sulla sedia.
Brian rabbrividì.
- Giammai! Niente entrerà dentro di me, a meno che io non lo voglia, e sicuramente non mentre ho ancora i pantaloni addosso!
Matthew, appena ripresosi dallo svenimento, annuì decisamente, avvicinandosi al suo uomo e fissando la sedia bozzuta con aria truce. Brian, per tutta risposta, gli diede un pugno sul naso, ricordandogli che non bastava cercare di difendere la sua virtù dalle avances di una sedia vogliosa per tornare a farsi amare.
Cadendo a terra, Matthew batté forte la testa contro il pavimento, col risultato che quello che avrebbe dovuto essere “i suoi capelli”, e che era in realtà una parrucca di plastica collegata alla testa tramite un bozzo in tutto e per tutto uguale a quello della sedia, che andava a inserirsi in un buco delle stesse dimensioni proprio al centro della sfera, rotolò sulla moquette fin quasi alla porta dell’ufficio.
- Ew! – inorridì Brian, tirandosi indietro, - Matt! Ricomponiti!
Imbarazzato – ma sempre sorridente – Matthew si mise in ginocchio e si allungò per recuperare la sua zazzera.
E questo diede modo a Tom di sbirciare all’interno del suo cranio.
- ODDIOMIO! – strillò, sollevando le braccina e perdendone il controllo, tanto che quelle cominciarono a roteare vorticosamente creando dei piccoli tornadi colorati – Matthew, sei vuoto!!!
- Eh? – chiese Matt, cadendo dalle nuvole, sollevando lo sguardo in direzione del manager, - Che intendi, Tom?
- Che all’interno della tua testa non c’è un cervello. – spiegò freddamente Brian guardando altrove e provando ad incrociare le braccia sul petto con scarsi risultati, - Ma questo non stupisce nessuno.
- Brian! – si lamentò Matt, scattando in piedi, ormai dimentico dei suoi capelli perduti, - Come puoi dirmi una cosa simile? Quando ci siamo conosciuti hai detto che pensavi fossi molto intelligente!
- Stavo cercando di portarti a letto!
- Briiiii! – continuò a piagnucolare Matthew, cercando di avvicinarglisi.
- Sta’ lontano da me! – intimò Brian, indietreggiando fino a schiacciarsi contro la scrivania, - Così pelato mi fai impressione!
Matt si congelò sul posto, abbassando lo sguardo e prendendo a bisbigliare “moan moan” mentre faceva ideali cerchietti nell’aria con un indice che non possedeva.
Esasperato, Brian gli si avvicinò, poggiandogli una tenaglietta sulla spalla.
- Avanti, adesso. – disse, cercando di sembrare paziente, - Non fare così. Si sistemerà tutto.
- Davvero? – chiese Matt, speranzoso, facendo ruotare la testa dopo averne perso il controllo mentre cercava di sollevarla.
Impressionato da tutto quel movimento, Brian indietreggiò ancora, e poi, stufo dell’idiozia di tutta la situazione, sbuffò.
O almeno ci provò.
Perché dal momento che la sua testa non era che una sfera di plastica del diametro di una ventina di centimetri, e dal momento che non possedeva fori sulla superficie, l’aria non aveva da dove uscire.
E dal momento che non aveva da dove uscire…
…pensò bene di spingere contro ogni parete esistente e farla staccare dal collo con un piccolo pop di giubilo.
Matthew tremò.
Tom smise di far girare le braccia.
La testa di Brian rotolò ai suoi piedi e poi prese ad allontanarsi verso un angolo come fosse animata di vita propria.
- Bri… - mormorò Matt, allibito, - Brian, cosa…?
Un urlo si sollevò dall’angolino in cui la testa aveva terminato la sua corsa, facendo tremare le pareti.
- BEEEEELLAMY!!! Prendi subito la mia testa e rimettile al suo posto!!! ORA!!!
- S-Subito! – scattò l’uomo, azzardando un passo verso la sfera ormai non più rotolante.
Ma quando arrivò nei pressi del corpo decapitato, il quale ancora si muoveva istericamente come se fosse integro, non riuscì a frenare la curiosità.
E sbirciò all’interno.
- Briaaaaaan!!!
- Cosa?!
- Sei vuoto anche tuuuuu!
- …piantala di perdere tempo in cazzate e AGGIUSTAMI!!!
Quando la testa fu nuovamente al suo posto, Brian cercò di riprendere le redini della situazione.
- Dunque, immagino che essere vuoti sia naturale. In fondo, siamo omini lego.
- Quello che non capisco… - inquisì Tom, sperando di riuscire a grattarsi il mento con fare pensoso e abbandonando l’idea quando si accorse dell’impossibilità di compiere il movimento, - è: perché proprio omini lego? Perché non esseri deformi come nel video di “Supermassive”? Erano ugualmente di cattivo gusto!
- Esatto. – asserì Brian, reggendosi la testa mentre cercava di annuire, - Perché proprio i lego?
- È elementare, Brian Molko! – tuonò una voce, apparendo dal nulla.
I tre omini lego alzarono gli occhi al cielo, e videro che una grossa nuvola di fumo bianco stava velocemente prendendo forme vagamente umane, appena sotto il soffitto.
- Oddio, cosa sta succedendo?! – strillò Tom, cercando di nascondersi sotto la scrivania ma ritrovandosi impossibilitato a piegarsi senza spaccarsi la testa.
Brian si preparò ad affrontare qualunque nemico fosse in via di avvicinamento, e Matthew si posizionò coraggiosamente al suo fianco, per essergli il più possibile di supporto.
Poi, l’Essere apparve.
E ci fu un momento di silenzio attonito.
In seguito al quale Brian dischiuse le labbra. Spalancò gli occhi. E lo indicò.
- …Steve. – esalò sconvolto.
- Non sono Steve! – tuonò l’Essere, infuriato.
Ma non c’era alcun dubbio che lo fosse.
Era in tutto e per tutto uguale al batterista dei Placebo! Stessi capelli, stessa ciccia cicciosa fuoriuscente dai jeans, stessi occhi piccoli e scuri!
L’unica cosa che lo differenziava dallo Steve reale e in carne ed ossa era probabilmente il fatto che fosse un omino lego anche lui.
Brian si grattò la testa e trattenne un sospiro che l’avrebbe fatta nuovamente voltare via.
- Stevey. Tesoro. – disse, condiscendente, - È vero, ultimamente io e Stef siamo stati un po’ duri, con te. Con tutto il fatto della dieta e la palestra e il resto. Ma non devi pensare che-
- Brian Molko, piantala di parlarmi come se fossi il tuo dannato batterista! – strepitò l’Essere imbufalito, e, per dare maggior prova della sua rabbia, materializzò un enorme masso di granito sopra la testa del frontman dei Placebo, che ovviamente non trovò di meglio da fare che strillare e correre a nascondersi dietro le spalle di Matthew, col risultato che la pietra lo seguì nel movimento e si ritrovò a pendere sulle teste di entrambi.
- Cosa vuoi?! – chiese Matthew coraggiosamente, proteggendo il suo uomo con tutta la rettangolare ampiezza del suo corpo di plastica.
L’Essere lo guardò dall’alto in basso, il sorriso disegnato sul volto che nascondeva in realtà grande disgusto e disapprovazione.
- Parlare con te, Matthew Bellamy. – disse in tono grave.
- Parlare con me…? Ma tu chi sei…?
L’Essere si gonfiò come un palloncino, e il fumo bianco che ancora lo circondava prese a vorticare attorno a lui.
- Certuni mi chiamano Colui Che È, certi altri Colui Che Tutto Può, altri ancora Grande Padre o Pinco Pallo. Voi mi conoscerete sicuramente come Buon Gusto, ma io preferisco essere chiamato Tanya.
- Tanya?! – strillò istericamente Brian, rispuntando da dietro le spalle di Matt, - Che razza di nome è Tanya?!
L’Essere – cioè, Tanya – rispose facendo avvicinare il macigno di qualche centimetro alle teste dei due, e Brian si tappò la bocca, ma non senza prima aver mormorato qualcosa del tipo “E comunque io preferivo i Bratz Boyz”.
- Cosa vuoi dirmi? – chiese Matthew, cercando di riportare la conversazione su un argomento utile.
Tanya scese di qualche metro, piazzandosi esattamente di fronte a lui.
- Matthew Bellamy! Durante la tua carriera hai infranto non solo qualsiasi regola dettata dal sottoscritto, ma anche tutte le regole dettate dalla decenza e dalla dignità personale, nonché dal raziocinio e dall’educazione!
- …ma cosa ho fatto?! – si lamentò Matt, evidentemente ignaro delle sue colpe.
- Devo farti un elenco? Devo davvero elencare tutte le mise disgustose con le quali ti sei presentato ai concerti, alle esibizioni live in televisione, alle interviste, ai servizi fotografici, alle occasioni pubbliche, a-
- Ok, ok, ho capito! – lo fermò, mentre nella sua memoria cominciavano ad affollarsi immagini di cappellini brillantati e mogliettine sdrucite che sembravano essere uscite direttamente dai sacchetti della spazzatura sotto casa sua e – ehm – lo erano, - Prometto che non farò mai più sciocchezze del genere! Adesso puoi, per favore, trasformarci di nuovo com’eravamo prima e andartene?
Il masso si fece ancora più minaccioso sopra le loro teste.
- Credi che a me non piacerebbe, Matthew Bellamy?! Credi che io sia felice di vivere imprigionato in questo corpo? Di apparire così?
Brian e Matt guardarono Tanya con immenso stupore.
- Generalmente non sei così? – chiese il primo, sottovoce, sperando di non farlo adirare.
- Certo che no, Brian Molko! – strepitò Tanya, disgustato, - Generalmente sono una bellissima bambola in plastica e silicone, ho i capelli lunghi, lisci e biondi, gli occhi azzurri, il sederino più sodo del mondo e gli abitini più fashion che esistano!
- E allora perché non torni quello che eri e basta?!
Il volto Steve-forme di Tanya si imporporò di imbarazzo.
- Ho… ho sbagliato qualche calcolo, mentre procedevo alla vostra trasformazione.
- …?
- …e ho trasformato anche me.
Seguì un silenzio attonito.
Sì, un altro.
- …stai forse cercando di dirci… - azzardò Brian, tremando, - che non hai le facoltà per riportare tutto com’era…?
- Certo che no! – sbottò Tanya, irritato da tale mancanza di rispetto, - Io posso tutto! Ma prima di sistemare la situazione ho bisogno di sapere che tu, Matthew Bellamy, non combinerai più schifezze quali quelle che ho elencato prima!
- Va bene! Promesso! – disse Matt, tutto d’un fiato, sollevando un braccio e bloccandolo proprio un momento prima che cominciasse a girare.
- Oh, no. - disse Tanya, e avrebbe sogghignato se la sua espressione non fosse stata bloccata in un sorriso, - Questo non può bastarmi. Devo sottoporti a un test.
Brian deglutì terrorizzato, seguito a ruota da Tom, che ancora stava nascosto sotto la scrivania.
- D’accordo! – disse invece Matt, sicuro di sé.
Tanya volteggiò un paio di volte davanti a lui, pensando a cosa chiedergli. Poi, il suo volto giallino sembrò illuminarsi come il sole.
- Ci sono! Allora, Matthew Bellamy, ascoltami attentamente: hai un servizio fotografico in agenda. Devi scegliere come vestirti. Apri l’armadio e vedi un elegantissimo completo gessato nero. Il problema è: cosa metti sotto la giacca?
- Ma è ovvio! – esplose Matt, sentendosi già vincitore, - Una canott-
Brian e Tom gli saltarono addosso, staccandogli la testa dal collo e mandandola a raggiungere la parrucca vicino alla porta.
- Indosserà una camicia bianca! – disse Tom, - Lo prometto! Lo giuro! Lo obbligherò!
Tanya fece il gesto di incrociare le braccia, ma non ci riuscì, cosa che lo riempì di disappunto.
- Stai cercando di dirmi che non posso fidarmi di lui ma posso fidarmi di te, Tom Kirk?
- Assolutamente sì!
- E non gli permetterai più di tingersi i capelli di blu?
- Assolutamente no!
- E di biondo platino?
- Neanche se ne andasse della mia vita!
- E i cappellini brillantati?
- Li brucio!
Tanya si prese un secondo per riflettere e infine, reggendosi la testa, sbuffò.
Non sembrava molto convinto.
- Se può servire a qualcosa – disse Brian, fingendo di stringersi nelle spalle e provando a incrociare le braccia dietro la schiena, col risultato che un arto quasi gli volò via, - garantisco io per lui.
Tanya lo guardò con disapprovazione.
- Non credere che la tua parola rappresenti per me una qualche assicurazione, Brian Molko! In effetti, verrà il giorno in cui anche tu dovrai pagare per le tue malefatte!
L’omino lego tremò di terrore e tornò a rintanarsi dietro le spalle di Matthew.
- Ma fino ad allora – continuò Tanya, - posso ritenermi soddisfatto. Che tutto torni com’era!
D’improvviso la stanza fu invasa dallo stesso fumo bianco che aveva accompagnato l’apparizione di Tanya, e quando il fumo svanì dell’Essere non c’era più traccia.
Matthew aprì faticosamente gli occhi e si guardò intorno.
Notò con piacere che sia la sua testa che i suoi capelli sembravano essersi riuniti ed aver ritrovato il suo corpo, e che tutto intorno a lui sembrava essere tornato assolutamente regolare.
Qualche metro accanto a lui, Brian si guardava intorno spaesato, e anche lui pareva aver recuperato tutta la sua morbida e rosata consistenza umana.
Tom era in piedi e cercava di guardarsi alle spalle per vedere se l’insano rapporto che aveva avuto con la poltroncina l’avesse rovinato per sempre o per lui ci fosse ancora speranza.
- Sembra essere tutto a posto. – concluse infine il manager, osservando il suo protetto con lo sguardo di chi teme di aver perso la sua unica fonte di guadagno, - Tu stai bene, vero Matt?
Matthew annuì.
Brian sospirò, e fu felice di poterlo fare senza per questo decapitarsi.
- Tutto è bene quel che finisce bene. – disse gioioso, avvicinandoglisi e circondandogli le spalle con un braccio, - Adesso, per festeggiare, che ne dici di andare a casa tua?
Matthew lo guardò stupito.
- Per fare che? – chiese con innocenza, gli occhioni spalancati e i capelli arruffati.
- Sei un ragazzo intelligente, Matt. – disse Brian, sorridendo sensualmente, - Non farti spiegare tutto…
- Oh, Bri! – gioì Matthew, gettandogli le braccia al collo, - Sapevo che pensavi davvero che sono intelligente e che non era solo una scusa portarmi a letto!
- Ehm. Sì, certo. – confermò lui, dopo un attimo di indecisione.
*

Una mattinata normale, come tutte le altre.
Il tepore delle coperte, il profumo del cotone pulito, la luce discreta dei primi raggi di sole che filtrano dalle persiane.
Fece scivolare una mano fra le lenzuola e incontrò il corpo di Brian ancora disteso accanto a lui.
…era freddo.
E…
…molliccio.
Spalancò gli occhi e scattò a sedere.
- Bri! – strillò.
L’uomo mugugnò infastidito e si sedette a sua volta, massaggiandosi la fronte.
- Che diavolo hai da urlare così di prima mattina…?
Matthew si lasciò sfuggire un gemito di puro disgusto mentre osservava come, al passaggio della sua mano, la pelle di Brian sembrasse… mescolarsi.
- Brian, sei marrone! – disse infine, - E ti stai deformando!
Brian lo guardò, senza capire.
Poi sollevò lo sguardo sullo specchio accanto al letto, e realizzò.
- Oddio…
Come nel video di “English Summer Rain”!
- …siamo diventati di pongo!!!
Da un angolo della stanza, cominciava già a rombare la voce minacciosa di Tanya.
- Brian Molko, la tua ora è giunta!
Genere: Comico.
Pairing: MattxBrian
Rating: R, più o meno XD
AVVISI: Boy's Love, CrackFic.
- "- Bri?
- Mmmh.
- Credo di essere incinto.
Brian sollevò lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando e lo piantò con inaudito stupore sull’espressione serafica di Matt, disteso sul letto al suo fianco.
- Tu credi di essere cosa?!"
Commento dell'autrice: Per carità XD Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma tutto avrei immaginato meno che i protagonisti di una storia come questa potessero essere quei due! *però a ripensarci è del tutto naturale XD*
Niente di particolare da dire, è una storia demente che vorrei dedicare a tutte le persone che se la sono sorbita via chat e che hanno condiviso con me questo momento di delirio XD e in special modo alla nai, che mi aveva letto nel pensiero e l’aveva capita prima ancora che la capissi io XD E poi alla Juccha e ad Ana, che sono sempre di grande supporto e m’incoraggiano da brave bambine anche quando quello che faccio è totalmente demente – come in questo caso XD
Va a rinfoltire il gruppetto di fic che ho scritto per le 100Songs è_é Forza, procedendo di idiozia in idiozia prima o poi riuscirò a completare il set!
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
DETTAGLI!
Song #86 – Strange disease


- Bri?
- Mmmh.
- Credo di essere incinto.
Brian sollevò lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando e lo piantò con inaudito stupore sull’espressione serafica di Matt, disteso sul letto al suo fianco.
- Tu credi di essere cosa?!
Per tutta risposta, Matthew sollevò la maglia del pigiama fin sotto al collo e prese a rimirare con malcelato entusiasmo la curva – effettivamente un po’ gonfia – della sua pancia.
- Be’, guarda. – disse con innocenza, accarezzandosi il ventre in modo che Brian non esitò a giudicare dentro di sé come spaventosamente materno, - È tonda.
Allarmato, l’uomo si chinò su di lui, osservandolo da vicino.
- Tu non puoi dire sul serio!
Matt si limitò a scrollare le spalle e fissare il soffitto con aria trasognata.
- Matt, guarda che non è possibile.
Irritato dall’effetto discriminante e, evidentemente, eccessivamente razionalizzante delle parole di Brian, Matt scattò a sedere, mandando quasi Brian a gambe all’aria nel movimento, e lo fissò astioso.
- Perché non potrei essere incinto, scusa?!
- …tu non hai ovaie, Matthew!
L’uomo sbuffò, incrociando le braccia sul petto e guardando altrove.
- Dettagli.
- Dettagli?
- Dettagli!
- …
- Altro?!
- Matthew! Cerca di smetterla, avanti!
- Visto? Non hai altro da dire! Potrei essere incinto.
- Matthew, Cristo Santo, anche se tu avessi delle ovaie nascoste da qualche parte all’interno del tuo corpo, dubito che il mio sperma possa esserci arrivato entrando da dove è entrato!
- E tu cosa ne sai? Se ho delle ovaie, è probabile che ci sia un collegamento tra loro e quel posto lì!
- Oddio, sto con un alieno e non lo sapevo. – sbuffò Brian, decidendo di disinteressarsi completamente della cosa nella speranza che Matthew seguisse il suo esempio.
Molto contrariato, Matthew si limitò a grugnire una qualche offesa indistinta e tornare a distendersi sul letto, guardando fisso davanti a sé come se volesse uccidere qualcuno.
Così, passarono molti secondi.
Secondi durante i quali Brian ripensò alla rotondità della pancia del suo uomo.
E poi alla sua teoria assurda su ovaie e tube di falloppio situate da qualche parte fra i reni e l’intestino crasso.
E poi di nuovo alla rotondità.
E all’indubbia assurdità generale dell’uomo che gli riposava a fianco.
E la rotondità.
E…
…e la rotondità.
- Abbiamo sempre usato il preservativo, vero? – chiese titubante, senza azzardarsi a sollevare gli occhi dalla rivista.
Matthew scattò a sedere come se l’avessero punto con uno spillo.
- Vedi?! Vedi che è possibile?!
- Non ho detto niente del genere! Mi stavo solo chiedendo se per caso a-
- Perché avrebbe dovuto interessarti se non avessi pensato anche solo per un secondo che fosse possibile che io rimanessi incinto?!
- COSA NE SO, Matthew, sei TONDO, scusami se questo mi confonde un attimino!
- Sono tondo! L’hai detto! Sono tondo! Oddio!
- Adesso calmiamoci. – sentenziò Brian, poggiandogli una mano sulla spalla e fermando i suoi saltelli isterici sul materasso, - Dobbiamo vedere la situazione con lucidità e raziocinio. Abbiamo sempre usato il preservativo, vero?
- Sì, ma è irrilevante! Potrebbe essersi rotto!
Esasperato, Brian si passo una mano sulla fronte.
- Non mi sembra di ricordare cose simili…
- Logico! Se anche una volta si fosse rotto non ci avresti dato importanza, tanto ero un uomo e non potevo restare incinto!
- Sei ancora un dannatissimo uomo!
- Ma sono tondo!!!
- Oddio, Matthew, giuro che se lo ripeti ancora una volta ti faccio diventare quadrato a forza di botte!
Matthew decise saggiamente di restare in silenzio e continuare a urlare “Sono tondo!” solo nella sua testa, mentre Brian si massaggiava le tempie con tanta furia che sembrava volesse consumarsi i polpastrelli e cercava di capire come fosse giusto procedere.
- Che cosa diavolo possiamo fare? Merda… devo… chiamare qualcuno fidato… e chiedere consiglio…
- Dobbiamo andare a fare un’ecografia. – disse Matthew, sicuro di sé.
- …cosa?
- Un’ecografia! Sai, di quelle cose che ti fanno vedere il bambino nel monitor…
- So cos’è un’ecografia, Matthew! Ma tu non hai un utero!!!
- Potrei averlo!
- Sì, e t’immagini la dottoressa che lo va cercando con l’affare dell’ecografia per tutto il tuo corpo?! Potrebbe essere ovunque!
- È di sicuro nel mio stomaco.
- Nel tuo stomaco c’è solo del cibo, al massimo!!!
- Ma è lì la rotondità!!!
Brian si coprì gli occhi con le mani, sprofondando nella disperazione.
- Devo… devo chiamare Alex. – mormorò, la voce tremante, così come la mano che si allungava a recuperare il cellulare sul comodino e poi si affrettava a comporre il numero della manager sulla tastiera.
- Squilla? – chiese Matt, già ansioso per il futuro del suo bambino.
Brian annuì e gli intimò di tacere tappandogli la bocca con la mano libera.
*

- Pronto? – cinguettò Alex con un sereno sorriso sul volto, continuando a spalmare la crema solare sulle gambe.
- Alex? Brian.
- Sì, lo so, tesoro. C’era il tuo nome sul display.
- Ho un problema.
- Dimmi tutto, caro.
- Matthew.
Alex sospirò e roteò gli occhi dietro ai vistosi occhiali da sole firmati che indossava.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Quando Brian aveva un problema, quel problema o era causato da Matthew o era Matthew stesso.
- Che cosa c’è stavolta?
- Dice di essere incinto.
La donna si prese un secondo per riflettere.
- Dice di essere cosa? – chiese pacatamente, senza scomporsi più di tanto.
- Incinto. – ripeté Brian con un sospiro rassegnato.
- Matthew è pazzo, tesoro. – asserì la donna, sempre sorridendo, - Lui non può essere incinto. La parola “incinto” neanche esiste, sai?
- Sì, ma Alex… - e qui l’uomo abbassò la voce, come stesse cospirando, - …vedi, lui è così tondo!
- …tondo?
- Tondo!
- Nel senso… proprio… cioè…
- Be’, non ha un pancione come fosse incinto di nove mesi, chiaramente, ma è comunque… come dire… sferico
- …ha l’ombelico che esce?
- Eh?
- Controlla se il suo dannato ombelico è incavato o sporge!
- …aspetta un minuto. – borbottò Brian, armeggiando con la maglia di Matthew fra le sue sonore proteste, - …sì. È… sembra un bottoncino.
- …ok.
Alex sfilò gli occhiali e si passò una mano sugli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
- Ok, tesoro. In una situazione normale ti chiederei se per caso il suo ciclo è stato regolare ultimamente, ma… Matthew non ha un ciclo, e quindi…
La voce ovattata di Matthew, proveniente da qualche angolo lontano della stanza, protestò animatamente affermando che se poteva avere delle ovaie e un utero allora poteva avere anche delle mestruazioni, ma Brian fermò il delirio ricordandogli che non aveva mai perso sangue da là sotto e quindi questa possibilità era tranquillamente scartabile.
- Continua pure, Alex. – la incitò Brian, chiaramente sull’orlo del crollo.
- Non so che dirti, tesoro. – ammise Alex, stringendosi nelle spalle, - Tutte le indicazioni sembrano dire che Matt è incinto…
- Tutte le indicazioni sembrano dire cosa?!
- Ma nella mia esperienza posso assicurarti che è impossibile per un uomo una cosa del genere!
“È mio diritto in quanto uomo libero quello di poter essere incinto! Siamo in un paese democratico!”, sbraitò Matthew, sempre più lontano e sempre più invasato.
- Alex, ti giuro che io non so più che fare, il mio uomo è incinto e io non sono pronto a diventare padre!
- A-Adesso calmati, Bri, tesoro, non è sicuro…
- Non è sicuro?! NON È SICURO?! Non lo penseresti anche tu se fossi qui con un uomo tondo in preda alle crisi isteriche!!!
“Brian, smettila di dire che sono tondo! Mi fai sentire grasso!”
- Ecco, lo senti?! Lo senti?! È incinto!
- Ma Brian, Matthew è un uomo, Cristo Santo, non oso immaginare da che buco avrebbe intenzione di farlo uscire, questo fantomatico bambino!
“Voglio il cesareo!”, strillò Matthew, rabbrividendo al pensiero della sofferenza che avrebbe dovuto patire in caso di parto naturale.
- Cesareo sì! – gli fece eco Brian, inorridendo a sua volta, - Non voglio che mio figlio passi per posti strani, venendo al mondo!
- Ragazzi, secondo me state facendo un problema per una cosa che non esiste! Non può esistere! Siate realistici!
- Alex, ti giuro che io ci ho provato, ma… oddio. Oddio, Matt, che hai? Matty, tesoro?
“Mi sento male… ho la nausea…”
- Matt! – strillò Brian.
- Matt, perdio! – strillo a sua volta Alex, - Brian, chiama un’ambulanza!
- Non posso! Sto parlando con te!
- Chiudi questa maledetta conversazione e porta il tuo uomo incinto all’ospedale!!!
- No! Ho paura! Alex, non te ne andare!
- Brian!
“Urgh…”
- Matthew!
- Matty! Dove vai?!
- Dove va?
- È andato in bagno!
- Oddio! Avrà la nausea? È incinto sul serio!
- Te l’avevo detto io!
- Oddio!
- Oddio!!! Aspetta!
- Cosa?
- …è uscito.
- È uscito cosa, Signore Benedetto?!
- Matthew! Dal bagno!
- Come sta?
- Sembra…
- …sembra…?
- …tranquillo. Matty, amore, come va?
Alex sentì Matthew ridacchiare sommessamente.
“Tutto a posto.”
- Hai qualche problema? – chiese Brian, agitato e preoccupato, armeggiando con la cornetta per poterla tenere in bilico fra mento e spalla e utilizzare le mani per assicurarsi che non mancasse nessun pezzo del suo ragazzo.
“No, no”, rispose Matt tranquillamente, “E, Bri, scusami. Non ero esattamente incinto”.
- …non lo eri?
- Non lo era?!
Matthew scosse il capo.
- Ma eri gonfio! – disse Brian, un po’ stupito e vagamente deluso.
“Be’, non lo ero davvero, evidentemente”.
- Ma… e le ovaie? L’utero? Le mestruazioni?!
“Quelle non ci sono mai state, amore…”
- Ma l’ombelico! Brian! Digli dell’ombelico!
- Il tuo ombelico sporge!
Matthew sollevò la maglia.
- Sporge ancora!
“È sempre stato così, da quando sono nato…”.
In effetti, il gonfiore sembrava scomparso.
Non c’era più traccia della rotondità che tanto aveva allarmato Brian quando l’aveva vista.
- …ma allora potresti avere la bontà di spiegarmi cosa diavolo era che ti gonfiava come fossi incinto?
Matthew gli si avvicinò, appoggiando le mani a coppa attorno alle labbra.
“Stitichezza…”, bisbigliò lentamente, al colmo dell’imbarazzo.
- …COME, SCUSA?!
“Be’, erano un paio di giorni che non facevo-”
- E tu quando per un paio di giorni non vai al cesso e cominci a gonfiare pensi come prima cosa all’essere incinto?! Ma vai a cagare!
“L’ho appena fatto, Bri, ecco perché-”
- Matthew non mettere alla prova la mia pazienza più di quanto tu non abbia già fatto, ti avverto!
- Ragazzi… - sospirò Alex, sollevata, - dal momento che il problema è rientrato, se permettete io tornerei agli importantissimi affari che mi tenevano impegnata prima. – concluse, terminando la chiamata e ricominciando a ricoprirsi di crema abbronzante.
Brian gettò lontano il cellulare con uno scatto isterico, fissando Matthew con rabbia omicida negli occhi.
- Adesso veniamo a noi. – sentenziò minaccioso, facendo un passo avanti.
- B-Bri, tesoro… adesso calmati… non… non fare niente di cui potresti pentirti…
- Perché no, eh? Dammi un solo motivo per cui non dovrei pestarti a sangue fino ad ucciderti!
Matthew ci rifletté per qualche secondo, mordicchiandosi agitato le labbra.
- Be’… - disse infine, incerto, facendosi minuscolo a ridosso del muro, - anche se stavolta è andata male, potrei sempre essere la futura madre dei tuoi figli.
Genere: Introspettivo, Dark, Triste.
Pairing: MattxBrian, in maniera sfacciata e porcella ù_ù
Rating: NC-17
AVVISI: Angst, Language.
- Matthew Bellamy ha un problema. Odia Brian Molko. E sarebbe più facile avere a che fare con tutto quest'odio, se Brian non fosse così sfacciatamente, terribilmente e disgustosamente bello.
Commento dell'autrice: (Ovvero, liz sproloquia. Io vorrei davvero scusarmi perché ultimamente per ogni cazzata che partorisco sento il bisogno di scrivere fiuuuuuuuumi di parole XD Probabilmente perché le storie adesso nascono in maniera molto più complessa e composita di quanto non avvenisse qualche anno fa. Questo probabilmente è un bene :O Forse no XD Ma voi sopportatemi e amatemi come sempre, ok? :*)
Ok, ho talmente tante cose da dire che è meglio organizzarci e andare con ordine X’’’’D
Prima di tutto, doverosi credits. Per le linee base che segue la storia, identificabili nelle due piccole frasette numerate sotto al titolo, si ringraziano la 100Songs community e la True Colors community (anche se il set da cui il tema è preso è una mia creazione X3 Quindi dovrei ringraziare me stessa XD) e, nello specifico, il film “Velvet Goldmine”, dato che il tema #12 è un verso preso dalla canzone che dà il titolo alla storia (“My Unclean”) e che è la canzone più sfigata del film, dal momento che non arriva neanche ad essere cantata per intero X’D (Per chi ha visto il film ma non ricorda, è la canzone che Curt sbaglia in sala di registrazione prima di rompere con Brian ç_ç).
La citazione di apertura (che poi Brian riprende nell’ultimo dialogo) è la traduzione italiana (by me) della traduzione inglese (by Entropy XD) di una short story di Park Hee Jung, autrice di manwha, intitolata “Blood” e contenuta in una sua collezione di oneshot.
Per quanto riguarda invece il tema dell’“accettazione” della “cosa che insegue” XD devo ringraziare il la che mi ha dato “Beast Of The Tower”, manga di Hiroki Kusumoto, tradotto in inglese da Doki Doki. È fondamentalmente la storia di un lupo mannaro °_°”””” che alla fine impara a controllare le sue trasformazioni accettando e accogliendo la bestia dentro di lui. È anche il motivo per cui la “cosa che insegue” è descritta come un felino o comunque un animale selvaggio XD Avevo quell’idea in mente.
Tolto questo, possiamo parlare della storia in sé °_° Che è andata formandosi nella mia testa pezzettino per pezzettino (prima il prologo, poi la fine XD, poi il mezzo, e così via è_é) mentre leggevo i manga e ascoltavo le canzoni che mi hanno ispirata. S’è costruita da sé °_°
Proprio perché non ha una trama solida (o meglio, non ha trama at all <3) mi sono sbizzarrita con gli stili XD Mi piaceva l’idea di alternare parti di soli dialoghi a parti unicamente introspettive. Ci avevo già provato qualche tempo fa con “Just Trying To Fix You”, ma alla fine in quella storia le parti di dialogo erano state contaminate da parti descrittive e introspettive e viceversa X’D E quindi era diventata una storia molto più “normale” di quanto il progetto iniziale non volesse. Qui invece mi sono tenuta rigida è_é A parte nel prologo, che è un po’ un miscuglio. E nel quale ho usato tanto corsivo <3
In realtà in questa fic c’è una grande sovrabbondanza di cose che generalmente odio. Tipo le lunghe parti di introspezione (la salva il fatto che è una storia corta XD), la quantità immane di corsivi e puntini di sospensione, l’assenza di trama solida e altre cose simili. Ciononostante, questa piccina mi piace °_° Non so perché, forse perché ci ho lavorato con passione, forse perché le atmosfere emo darkeggianti ultimamente rendono la mia vita puccina <3 XD O chissà per che altro motivo.
Tipo il fatto che con questa storia ho potuto lavorare con un Brian che non avevo mai usato *_* Generalmente, o lo rendo un puccino, o lo rendo un antipatico XD Ma qui è veramente emo *_*!!! Emo nell’accezione più pura! Dai, dice anche che non sa cos’è l’amore X3333 Non lo amate tutti un po’ di più? (Sì, ok, la pianto)
E Matt *_____* Matt è un omino così tristanzuolo e adolescenziale X’D Ma ormai mi sono rassegnata, e farebbe bene a rassegnarsi anche lui: la sua è una lunga via perpendicolare verso l’annullamento come uomo XD Fic dopo fic si fa sempre più idiota e sfigato, povero tato ç____ç E vedrete, quando comincerò a scrivere la longstory che ho in mente per altri quattro temi del beta set delle Melodies Of Life. OH, se vedrete.
Infine (infine?), dal momento che mio fratello – ormai prelettore affezionato, per quanto possa ritenere me una pazza e ciò che scrivo offensivo per il suo senso dell’integrità umana XD – mi ha fatto notare con estremo disappunto che ho fatto cadere la favolosa avventura di “Matt impara a dire scopami” col prologo, vi rassicuro: fin dall’inizio, non avevo alcuna intenzione di portarla a termine XD A parte il fatto che il prologo doveva essere brevissimo e incisivo giusto per dare l’idea della situazione, Matt è già abbastanza uke in questa storia senza che Brian si metta lì a rompere da bravo rude!seme obbligandolo a dire “fammi tuo”.
Bacibaci :*
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The shortest prologue ever.

- Matt… ti piace…?
Odio quest’uomo.
- Lo so che ti piace…
Lo odio così tanto che non so se preferirei che sparisse o…
- Se lo sai, non chiedere.
…o che a sparire fossi io.
- Saperlo è un conto… sentirlo dire da te è un altro.
Perché mi lascio sempre ingannare.
- Io non lo dirò. Mai.
Perché mi lascio sempre sopraffare.
- Oh, Bells… sei così carino, quando fai così il sostenuto…
Perché non lo tollero, ma Dio, è così bello…
- Fanculo, Brian.
…che anche se vorrei ucciderlo ogni volta che apre bocca, mi basta che mi sfiori per arrivare quasi a pensare di amarlo.
- Mh… siamo in vena di tenerezze, a quanto pare. E se faccio così… mh… come la mettiamo?
…odio quest’uomo.
- Ah… Brian…
- Sai che non andrò avanti se non sarai tu a dirmi cosa devo fare.
- Brian…
Lo odio.
- …sì?
- …sc-… sc-…
Lo odio, lo odio, LO ODIO.
- Mmmmh… sembra che non sarai in grado di dirlo neanche oggi… e scusa, ma io non posso più aspettare…
…merda… quanto lo odio…
- Imparerai a dire “scopami” un’altra volta.

MY UNCLEAN
Song#004. Unwanted
Melody#12. Tell me what you need, I wanna be your unclean.


“Sei troppo emotivo.
Limitati a vivere come viene.
Quando hai fame, mangia.
Quando sei arrabbiato, bevi birra.
E quando ti senti solo, scopa.
È così semplice.”
“Blood” – Park Hee Jung


Fin dall’inizio, non mi sono mai illuso.
E devo dire la verità, mi sembra assurdo usare la parola “illuso” in una situazione come questa, perché non è che abbia mai sperato – oddio, anche solo pensato – che fra noi due un giorno potesse esserci qualcosa che andasse oltre il sesso.
Ma ecco, davvero, ci tengo a precisarlo.
E quindi lo ripeterò.
Fin dall’inizio, non ho mai creduto, neanche per un istante, neanche nel più nascosto degli angolini bui e dimenticati della mia mente, che fra me e Brian Molko potesse svilupparsi una relazione seria, sana e basata sull’amore reciproco.
Mai, mai, mai, nella maniera più assoluta, mai.
Non l’ho neanche mai voluto, a dirla tutta.
E quindi, a rigor di logica, tutto questo rotolarmi nell’odio e nel disappunto non avrebbe senso, giusto? Dovrei semplicemente arrendermi al fatto che, volente o nolente – ma più volente che altro, devo ammetterlo, per onestà intellettuale – io e quest’uomo non facciamo altro che sesso, ogni volta che ci vediamo e in ogni momento in cui ne abbiamo l’occasione.
È tutto molto semplice. Fin troppo.
La maggior parte delle volte è lui a bussare alla mia porta, ma non mi nasconderò dietro a un dito, non starò qui a dire “è lui che mi cerca e io non so resistere”, sono andato a casa sua di mia spontanea iniziativa per qualcosa che mi sembra un milione di volte. Pieno di desiderio, e ansia, e nervosismo, tanto che ogni volta mi sembrava di stare facendo qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
Mentre in realtà non facevo che ripetere il solito teatrino.
Sera dopo sera.
Tutta notte.
Fino al dannato mattino.
È quasi una maledizione, ma davvero, ho bisogno di dire che non è come se fossi una vittima incolpevole di un problema più grande di me. Io mi getto fra le sue braccia con tanto trasporto che il più delle volte sembra sia io la sua maledizione, e non il contrario, come invece è.
Io non posso, non voglio cambiare le cose.
Brian Molko è fondamentalmente un ragazzino ultratrentenne borioso ed arrogante, presuntuoso, antipatico, egocentrico, pieno di sé e talmente emo che farebbe girare le palle a Gesù Cristo in persona.
Ma è fottutamente bello.
Toglie il fiato.
È talmente bello che non riuscirei neanche a descriverlo, e potrei dire “sono i suoi occhi di quel colore allucinante che non sai mai se verrà fuori azzurro, grigio o verde”, oppure “è la sua pelle bianchissima e liscia come quella di una ragazza”, o ancora “sono le sue labbra, rosa, morbidissime e sensuali, costantemente umide e lucide, costantemente dischiuse e invitanti”, e non avrei svelato neanche un quarto del mistero del suo fascino assurdo.
E, per peggiorare la situazione, Brian ha delle mani.
Davvero, se non avesse le mani, metà del problema sarebbe risolto.
Ma lui ha delle mani.
E cazzo, è fottutamente bravo ad usarle.
Non c’è posto che non tocchino, e non c’è posto che non sappiano perfettamente come toccare, e torturare, e stringere, e accarezzare.
Quell’uomo, accidenti a lui, è una dannatissima macchina organica il cui unico scopo è fare del sesso. Non… davvero, a volte ho l’impressione non sappia fare altro.
Anche perché suonare non è il suo forte, e ha disimparato a cantare molto tempo fa – se mai aveva imparato prima – e di sicuro non ci vuole il talento o la competenza di un genio per buttare giù quelle quattro parole che spaccia per testi e appiccica alle melodie delle sue canzoni.
Ora che ci penso, la sua situazione è un po’ come quella delle persone dotate di infinito talento artistico, che però finiscono a fare i camerieri o i commessi perché non sono riusciti a incanalarlo e sfruttarlo per bene.
Il suo talento l’avrebbe chiaramente portato a fare la puttana, ma non ha saputo incanalarlo ed è finito a fare il cantante.
Anche se, devo dire, la sua furbizia non ha limiti: ha scelto di fare parte di un gruppo che gli permette di esercitare entrambe le sue inclinazioni con notevole e sfacciata naturalezza, quindi il problema non si pone.
Almeno per lui.
Il resto del mondo – e per resto del mondo intendo me, ovviamente – ne ricava solo una serie infinita di problemi, ma questo non sembra sfiorarlo in alcun modo. Brian vive su un piano immaginario tutto suo, una dimensione parallela di cui è l’unico signore e padrone, che ogni tanto riceve visite dal mondo reale ma non ha mai alcuna difficoltà a rigettarle all’esterno, quando ne ha voglia o bisogno.
Io, Matthew Bellamy, sono solo un esserino in visita.
Non saprei affermare con certezza di essere l’unico, ma d’altronde non saprei affermare con certezza neanche il contrario, e quindi preferisco pensare di esserlo, dato che, in fondo, fino a prova contraria posso anche aggrapparmi a un’idiozia, se mi permette di essere meno incazzato con lui e con me stesso.
E no, non saprei dire neanche perché l’idea di essere l’unico dovrebbe consolarmi.
Ma mi consola.
E questo è semplicemente spaventoso.
*

- Buonasera…
- Brian.
- Oh, che bello, mi riconosci! Com’è che ancora non hai imparato a darmi la zampa, agitare la coda e fare le fusa?
- …quale animale da’ la zampa, agita la coda e fa’ le fusa insieme? È un gatto o un cane?
- E’ un Matt. Anche perché tu non mi risulti essere né un gatto né un cane. O c’è qualcosa che mi hai tenuto nascosto?
- …sei demente…
- No, davvero, sono un feticista dei catboy e delle catgirl. La coda è un accessorio sessuale incredibilmente divertente!
- Perché ne parli come se lo sapessi?
- So molte più cose di quanto tu non possa immaginare, Matthew Bellamy. E adesso mi fai entrare? Ho altri programmi per questo pomeriggio.
*

Ci sono dei momenti in cui penso distintamente “se anche fosse un assassino o un mangiatore di bambini, non me ne fregherebbe un accidenti, continuerei a inginocchiarmi davanti a lui come un suddito obbediente e a prenderglielo in bocca neanche fosse fatto di zucchero”.
Il che, immagino, fa’ di me una puttana vogliosa almeno quanto lui.
Diosanto.
Il fatto è che mi piace il suo sapore… non è riconducibile a nessun’altro sapore conosciuto prima, è una cosa totalmente nuova, totalmente sua. Non è neanche aggettivabile. Amaro, dolce, salato, aspro…
So che la lingua è divisa in settori. Ogni settore è tappezzato da papille gustative di tipo diverso, che servono a riconoscere sapori diversi.
A me sembra che nessuna parte della mia lingua riesca a riconoscere distintamente l’aggettivo giusto da affibbiare al sapore della pelle di Brian. È troppo particolare.
L’unico aggettivo che sento di poter dare a quel sapore è “ossessivo”. Perché da’ dipendenza e assuefazione, e anche perché la parola “ossessivo” mi da’ l’idea di qualcosa di incalzante, che ti insegue velocissima, ti rincorre ostinata, e tu provi a scappare, almeno per un po’, ma ogni volta che guardi indietro la vedi lì, mai troppo lontana da farti tirare il fiato, e mai troppo vicina da metterti davvero in pericolo di vita, e d’improvviso capisci. Capisci che se continui a scappare non fai altro che prolungare lo strazio, perché tanto quella cosa continuerà a seguirti in eterno, indipendentemente da quanto veloce tu corra o da quanto abile possa essere a seminarla per un attimo.
E allora ti fermi.
Ti volti.
La fronteggi.
E quella cosa non mostra alcuna pietà. Ti avvicina, ti sovrasta, ti assalta e ti divora.
E tu resti lì, con un sorriso ebete sul volto, a farti rosicchiare la pelle e la carne, e non sai se dovresti essere felice perché almeno hai posto fine a quella fuga assurda, oppure disperarti per aver ceduto.
Poi magari svieni, o ti addormenti, o comunque perdi conoscenza.
E quando riapri gli occhi la cosa è lì, accanto a te. Sonnecchia, ma ti tiene un occhio addosso, osservandoti placida. Aspetta solo che tu ti muova. Che tu la creda profondamente addormentata, che tu ti alzi e ricominci a scappare.
Vuole solo riprendere a inseguirti. E sai che non ti toccherà di nuovo, fino a quando non avrà ottenuto ciò che vuole.
E anche se per un secondo resti immobile, turbato e stupito, il terrore ci mette poco a impadronirsi nuovamente di te.
Perché te ne rendi conto sempre troppo e mai abbastanza tardi: tu vuoi essere toccato. Vuoi essere toccato ancora, vuoi essere toccato per sempre, vuoi essere toccato fino a sfinirti, di nuovo, e di nuovo, e di nuovo.
E quindi raccogli i brandelli del tuo corpo, del tuo cuore e della tua mente, sparsi qua e là dopo l’ultimo banchetto, li rimetti insieme ansimando per la fatica e piangendo per il dolore e poi ti alzi in piedi.
Un ultimo sguardo alla cosa, che ti sorride sorniona come un felino affamato.
E poi via, di corsa.
*

- Cristo, questa faccia che fai mi fa sempre venire voglia di scappare dal letto.
- …di che stai parlando?
- Hai la faccia di uno che sta per avere una crisi di panico!
- Com’è la faccia di uno che sta per avere una crisi di panico?
- Esattamente come la tua.
- …
- …
- …
- Non avevi da fare, questo pomeriggio?
- Uff… mi stai buttando fuori di casa, Bellamy? Sei pessimo!
- N-… Non è così… idiota…
- Mmmh, quanto sei carino quando arrossisci…
- Non sono arrossito!
- E comunque no, non ho da fare. Solo che ho pensato che se te l’avessi detto ti saresti sbrigato a saltarmi addosso, glissando la parentesi di dialogo iniziale. E in effetti avevo ragione.
- E poi il pessimo sono io. Complimenti, davvero.
- Avanti, ti piace che ti menta. Ti piace da impazzire.
- Non mi piace affatto.
- Oh, sì che ti piace. Probabilmente perché si mente alle fidanzate e alle mogli.
- …se mentissi a me per gli stessi motivi per i quali si mente alle fidanzate e alle mogli, te lo assicuro, non mi piacerebbe.
- Ma sì, lo so. Infatti ti piace proprio perché sai che non lo faccio per coprire un tradimento. Solo che adori essere preso in giro.
- …
- Sei così semplice…
- Oh, be’. Se ti fa piacere pensarlo.
- Adesso non fare il sostenuto, Bellamy, ti conosco!
- …è vero. È vero, mi conosci.
- …ehi…
- Io invece non conosco te…
- Ehi, calmati…
- Non so nulla di te, non capisco un accidenti di quello che pensi, non riesco a prevedere neanche la più stupida delle tue mosse e non ho idea di cosa hai nella testa quando mi guardi, o mi scopi, o stai con me.
- Matt-
- E’ perché tu non vuoi che io sappia qualcosa di te.
- Adesso ca-
- A te non frega un cazzo che io sappia qualcosa di te.
- A-
- A te basta scopare, sei felice così, non ti serve nient’altro. È la tua massima aspirazione. Forse è vero che dovresti farlo per mestiere, ti sentiresti sicuramente più realizzato. Sarebbe meglio, no? Almeno non illuderesti solo una persona per volta, sarebbero centinaia, migliaia, tutti nella stessa situazione. Mal comune, mezzo gaudio, no? Sarebbe meglio. Sarebbe assolutamente meglio.
- …
- …
- Hai finito?
- Mh.
- …sorvolerò sul fatto che praticamente mi hai dato della puttana, solo perché sei tu, perché se fossi qualcun altro stai pure certo che ti avrei già preso a calci nelle palle da qui al piano terra senza prendere l’ascensore.
- …sono fortunato ad essere io, allora.
- Esatto. E a parte questo, che cosa diavolo vorrebbe dirmi tutta questa profusione di amarezza? Cos’hai? Ti senti trascurato? Ti senti solo? Vuoi che ti sposi? Dimmelo chiaro e tondo. Perché io non rispondo alle stupidaggini.
- Mh… dovevo immaginare che avresti risposto qualcosa di simile.
- Non era una risposta, cretino. Era una richiesta. Se sei in grado di esprimerti come un essere umano razionale, ti risponderò. Altrimenti, tanti saluti e buona notte.
- …
- …
- Quello che vorrei sapere è… ma tu davvero riesci… cioè, hai scopato con me… vieni a letto con me da tutto questo tempo… quanto sarà…? Un anno? Di più?
- Un anno e sei mesi.
- Tieni anche il conto?
- Certo che sì. Come una devota liceale.
- E’ questo, quello che non capisco! Il tuo comportamento non ha senso! Tu davvero, dopo avermi frequentato per tutto questo tempo, e avermi detto e fatto di tutto, e avermi mostrato ogni lato del tuo carattere, e aver visto tutti i miei, ogni cosa, pregi, difetti, vizi, assurdità… tu davvero non provi niente per me?
- …
- Perché io provo qualcosa per te, Brian.
- …
- Io ti-
- Sei troppo emotivo.
- …
- La vita è molto più semplice di come la vedi. Le cose, le persone, sono molto più semplici di quello che sembrano. Guardi un problema e ti sembra complicatissimo e insormontabile, e la soluzione è sotto il tuo naso per tutto il tempo. Io ti sembro complicato, Bellamy? Io sono la persona più semplice dell’universo. Mangio quando ho fame, bevo quando ho sete e scopo quando ho voglia. Poi scrivo, canto e suono perché mi piace. La mia mente non segue ragionamenti complicati, non c’è niente dietro alle mie azioni. Solo un desiderio.
- …
- Provare qualcosa? Se mi fossi indifferente neanche ti guarderei. Ma vedo tutto in maniera molto più piatta di te. Il tuo mondo è tutto curve e spigoli, il mio è un’unica, rilassante linea retta.
- …
- Non pensare che se non dico che ti amo automaticamente per me non sei niente.
- …Brian…
- Se non dico che ti amo è perché è la parola “amore”, che per me non è niente.
*

Alla fine, per quanto mi faccia rabbia e per quanto possa odiarlo, devo ammettere che probabilmente Brian ha ragione. E’ proprio vero che non tutte le azioni hanno un motivo complicato alle spalle, tanto per cominciare. E poi non è detto che ad ogni azione corrispondano delle parole che la rendano razionale o plausibile. Molte cose hanno spiegazioni incredibilmente banali, tipo il fatto di mangiare quando si ha fame, ad esempio, o di bere quando si ha sete. E ci sono tantissime altre cose che semplicemente non hanno alcuna spiegazione.
Dev’essere vero che la vita è una linea retta, ma dev’esserlo anche il fatto che è piena di zone d’ombra, credo. E so che può sembrare un controsenso, perché una bella linea, dritta, bianca, che non si interrompe mai, non dovrebbe avere dei punti vuoti o frammentati. Ma non c’è altro modo di spiegarlo.
Segui tranquillamente il tuo percorso, poi incontri un sassolino e inciampi.
T’innamori e resti ferito.
Perdi qualcuno e non sai come riprenderti.
Fallisci in qualcosa di importante e ti sembra che tutto il tuo mondo ti stia crollando addosso.
Sono cose che succedono.
Senza un perché.
Nessuno ti ha obbligato a innamorarti, e nessuno ti ha rubato chi amavi, e nessuno ti ha imposto di imbarcarti in un’impresa più grande di te, destinandoti alla sconfitta certa.
È successo.
Ed è successo solo perché avevi fame, o sete, o voglia.
Non perché sentivi il bisogno di amare o essere amato, non perché desideravi sentirti protetto, non perché intendevi sfidare te stesso.
Fame, sete o voglia.
Motivazioni così stupide, che quasi ti senti stupido anche tu.
E forse un po’ lo sei.
Ma ti guardi allo specchio e non riesci a odiarti completamente. Così come non riesci ad odiare completamente chi ti fa soffrire, o chi ti ricopre di tanta dolcezza da farti star male.
Scrolli le spalle e dici “in fondo, è così”.
E allora ti distendi. Allarghi le braccia e le gambe, e guardi in alto, il soffitto, il cielo, o qualunque altra cosa ci sia. E la cosa che ti insegue sempre, che non smette un secondo di pedinarti, ti raggiunge e ti guarda curiosa, chiedendosi il motivo di quello stop improvviso, e di quel sorriso idiota, e di quella luce rassegnata negli occhi.
E poi ti si accoccola accanto. Come un gattino, posa il capo sulle zampette e diventa una piccola palla di pelo. Tu allunghi un braccio. La accarezzi. La accetti. E ti sembra perfino di sentirla ronfare mentre le gratti un orecchio.
Genere: Comico, Romantico.
Pairing: BrianxMatthew.
Rating: PG-13
AVVISI: Boy's Love.
- Matthew vorrebbe che Brian si trasferisse da lui, perché in sua assenza sente molto la sua mancanza, ma Brian non sembra granché intenzionato ad accontentarlo.
Commento dell'autrice: Matrimoni gay XD E no, non pagherò le cure del vostro dentista X’D Questa è di sicuro la cosa più romantica che abbia scritto da un bel po’ di tempo a questa parte è_é *me è persa fra le angst su Fullmetal Alchemist e le stupidaggini di “A Little Respect”* Spero solo non sia eccessivamente zuccherosa o melensa -_- Allora, come dicevo all’inizio, i credit per questa storia (che si va ad unire alla, per ora, breve lista di fic scritte su Brian e Matt e ispirate alle 100Songs – settimo tema, per l’occasione) vanno alla splendida nai (e se non avete ancora letto “Follie di una mattina di inizio inverno”… che aspettate? :O). L’espediente della chitarra rapita è infatti di sua ideazione (e per la verità l’ha già anche usato nella fic di cui sopra XD) ma io ho voluto dargli, diciamo, un’utilità diversa X3 Piccola curiosità :O Il titolo riprende una canzone (senza senso XD ma comunque adorabile) dei Muse: “Forced In” è_é che tra l’altro è una canzone in cui Matt implora qualcuno di obbligarlo a fare qualcos’altro, quindi ditemi se, facendo gli opportuni ribaltamenti, non è perfetta XD
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FORCED IN MARRIAGE
Song#7. There you’ll be


Era sveglio già da un po’, ma s’era forzato a tenere gli occhi serrati fino a quel momento. Quel giorno, mentre restava a pancia sotto, coperto appena dal lenzuolo, godendo dell’adorabile venticello fresco che scappava dalle persiane e lo raggiungeva a letto, rinfrescando l’aria afosa della tarda mattinata estiva, non poteva fare a meno di pensare che non dovesse esistere al mondo niente di più piacevole che rimanere in quella posizione ad ascoltare il respiro calmo e lento di Brian ancora addormentato accanto a lui.
Lanciò uno sguardo allarmato alla radiosveglia sul comodino. I grandi e squadrati numeri rossi su sfondo nero gli ricordarono che fra cinque minuti sarebbe scattata la sveglia, Brian si sarebbe alzato e poi…
…e poi sarebbe andato via.
Lui detestava quella situazione. Il solo pensiero di doverlo vedere uscire dalla porta del suo appartamento per tornare a casa a farsi la doccia e cambiarsi lo metteva così di malumore che alla mattina era irritabile e scontroso, e qualsiasi parola di Brian diventava automaticamente un’offesa o un attacco, nella sua testa, e lui si sentiva in diritto – in dovere – di rispondere con altrettanta violenza.
Anche se magari nelle parole di Brian, di violenza, non c’era nemmeno la minima traccia.
Questo, immaginava, doveva farlo sembrare un lunatico con seri problemi a controllare le sue emozioni.
…e dato che in fondo lo era, non poteva lamentarsi troppo.
Mentre cercava di rigirarsi fra le lenzuola senza far cigolare troppo il letto, il silenzio venne infranto dalla voce gracchiante della radiosveglia.
Puu, puu, puu.
Lasciò scattare la mano e zittì il dannato affare con una botta sulla testa, per poi voltarsi a guardare Brian con terrore.
Lui sospirò, cambiò posizione e sembrò continuare a dormire.
Matt sapeva che sarebbe durato solo pochi secondi. Era già sveglio, stava solo crogiolandosi nel tepore delle lenzuola, cercando di prolungare lo stato di intontimento in cui ti riduce il dormiveglia.
Doveva fare qualcosa, doveva assolutamente fare qualcosa.
Veloce, il suo sguardo si fissò sulla Jaguar mollemente appoggiata alla parete, accanto al letto. Brian l’aveva messa lì la sera prima, spaventato che gli smottamenti del letto la facessero cadere, progettando di riprenderla appena avessero finito di fare l’amore e dormire con lei, come faceva sempre.
Fortunatamente, avevano finito tardi ed erano entrambi esausti, quando erano ricaduti sul materasso, e s’erano addormentati quasi subito, senza che Brian ricordasse i suoi propositi – cosa della quale Matt era stato indescrivibilmente felice: aveva potuto tenerlo tutto per sé per tutto il resto della notte.
Brian adorava quella chitarra.
Spesso Matthew aveva perfino avuto paura che lui potesse cercare di coinvolgerla in qualche assurdo giochetto sessuale, tanto le era attaccato.
Come illuminato dalla benedizione divina, spalancò gli occhi e resistette a stento all’impulso di lanciare uno “yay!” di vittoria.
Quella poteva essere una soluzione!
Fulmineo, si sporse oltre il corpo ancora inerte del suo amante e afferrò la chitarra, stringendosela al petto, in attesa che fosse Brian a fare la mossa successiva.
Cosa che avvenne puntualmente pochi secondi dopo.
- Matt… - mugugnò l’uomo, la voce ancora impastata dal sonno, - che diavolo stai combinando…?
Matthew non disse niente, serrando le labbra e, già che c’era, anche le braccia attorno alla chitarra.
Non sentendo alcuna risposta, Brian aprì gli occhi.
Quando vide la sua adorata Jaguar fra le braccia di qualcuno che indubbiamente non era lui, si sollevò con uno scatto isterico, puntellando le mani sul materasso e facendosi male alla schiena ancora rilassata per il lungo sonno.
- Ah- Bellamy! Che cazzo fai con la mia chitarra?!
Matthew fece una smorfia, sbuffando contrariato.
- Avevo dimenticato quanto potessi essere gentile appena sveglio. – commentò, con fare annoiato, stringendosi contro la Jaguar.
- Sono gentilissimo, quando non si toccano le mie cose! – rispose, allungando una mano verso il manico.
Matt si tirò indietro.
Brian spalancò gli occhi.
- Bellamy. – disse seccamente, incrociando le braccia sul cuscino, - Quali sono le tue condizioni?
Matt lo fissò deciso.
- Trasferisciti qui.
Se possibile, gli occhi di Brian si fecero ancora più grandi, incollandosi magnetici ai suoi mentre dischiudeva le labbra in segno di sorpresa.
Matt si sforzò di non pensare a niente di sconveniente e socchiuse gli occhi, guardando un punto imprecisato della parete oltre il suo corpo.
- Prego? – chiese l’uomo, torturando un lembo del lenzuolo fra le mani.
- Voglio che tu ti trasferisca qui.
- Che diavolo-
- Vuoi sposarmi?
Sembrava che di Brian fosse rimasto solo l’involucro vuoto del suo corpo, e che il suo cervello invece fosse uscito per una passeggiata a tempo indeterminato.
- Matthew, cosa-
- Possiamo farlo! Non c’è nessuna legge che ce lo vieti, anzi!
- Sì, ma-
- Avanti, Brian!
- Piantala di interrompermi, Cristo! – strillò, mettendosi seduto per guardarlo meglio negli occhi. – Vuoi spiegarmi perché t’è saltato in mente di chiedermi una cosa simile?!
Matt strinse le mani attorno al manico e prese un respiro profondo.
- Attento alle corde! – strillò Brian, terrorizzato, guadagnandosi in cambio uno sguardo di odio puro e, comprendendo di essere in pericolo di vita, scusandosi subito dopo.
- Ecco, io… - spiegò titubante Matthew, arrossendo, - io non voglio più vederti andare via da questo appartamento e lasciare che ti fermi qui solo una notte o due ogni settimana. Voglio… insomma, non mi soddisfa questa relazione, così per com’è adesso! Mi sembra così campata per aria! Ho paura che tu possa scappare via per sempre dicendomi che in fondo non era niente di concreto o di serio, e in un certo senso sarebbe anche vero, perché viviamo due vite completamente separate! È per questo che voglio sposarti… così potrò svegliarmi la mattina e tu sarai lì, tranquillamente addormentato, e io non dovrò avere a che fare continuamente con questo terrore insopportabile di vederti uscire!
Brian continuò a guardarlo attonito per molti secondi, anche dopo che ebbe terminato la sua arringa.
- Insomma, - disse poi, massaggiandosi le tempie, - dopo tre anni di vita così stai finalmente ammettendo di amarmi e mi stai chiedendo di dimostrartelo sposandoti? – chiese atono.
- Che- io non ho mai negato di amarti!
- Sì, però non l’hai neanche mai detto. – disse Brian con un sorriso, sporgendosi in avanti con fare civettuolo.
- Lo… lo dici tu abbastanza spesso per tutti e due! – si difese, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
- Uffa, - si lamentò Brian, deluso, - che razza di proposta di matrimonio è questa? Dov’è l’anello? E dov’è la dichiarazione d’amore eterno?
- Bri…
- Non sei affatto gentile! Rapire la mia povera chitarra per costringermi a diventare tuo marito!
- Ehi!!!
Brian scoppiò a ridere, afferrando il cuscino e tirandoglielo addosso.
- Ah, è mai possibile?! – sbuffò Matt, lanciando lontano il cuscino molesto e tornando a guardarlo, - Puoi essere serio, una volta tanto?
Di nuovo, Brian sorrise, guardandolo fisso negli occhi.
- Se accetto, mi ridai la Jaguar?
- …se nomini ancora una volta questa dannata chitarra giuro che le do fuoco.
L’uomo ridacchiò ancora, avvicinandosi a lui e incurvando un po’ le spalle per guardarlo dal basso.
- Penso che dirò di sì… - sussurrò sensuale, baciandogli lievemente la fossetta sul mento, - …ma solo se anche la Jaguar può sposarsi con noi!
Matthew lo fissò negli occhi, cercando di capire se facesse sul serio.
E sì, faceva sul serio. Brian faceva sempre sul serio.
Si passò stancamente una mano sul viso, sospirando sconfitto.
- Non posso credere che tu stia ponendo davvero una condizione simile…
- Ed ovviamente tu dovrai vestirti da sposa.
- Cosa?! È un matrimonio, non una pagliacciata!
- Matthew, - sospirò Brian, sorridendo paziente, - i matrimoni sono pagliacciate.
- E poi non capisco, sei tu quello col passato da travestito! Io non sono abituato a questo genere di cose!
- Se pensi che siccome mi piace vestirmi da donna allora mi troverò a mio agio in una meringa con lo strascico lungo due metri e mezzo, sei fuori strada.
- …è così che mi dovrei vestire?! Una meringa con lo strascico?!
- Se l’idea non ti va, possiamo anche lasciar perdere. – concluse l’uomo, liberandosi dalle lenzuola e scendendo con un balzo dal letto.
- Cosa?! Brian! Dove diavolo vai?! Non ho ancora finito con te! Ho ancora la tua chitarra in ostaggio! Torna qui! BRIAN!!!
Ma Brian era già in bagno, a contemplare il bicchiere sul lavandino, immaginando quanto sarebbe stato carino vedere il suo spazzolino da denti riposare tranquillo accanto a quello di Matthew.
Genere: Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- Sono passati due mesi da quando Brian e Matt si sono lasciati. Adesso, è arrivato il momento di riaprire la pratica e vedere cosa è rimasto irrisolto.
Commento dell'autrice: Ispirazione fulminea *_* Iniziata e finita nell’arco di un giorno. Ispirata dal bellissimo tema numero 94 proposto dalla 100Songs community, ho voluto provare a immaginare un incontro fra Matthew e Brian due mesi dopo che si erano lasciati. Puccini, loro ç-ç Spero abbiate gradito ^_^
Ah, la canzone citata nel mezzo è “Nature 1”, dei Muse <3
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SPADA DI DAMOCLE
Song#94. Why haven’t I heard from you?


Brian lo guardò con tanto di quel disgusto che per un secondo Matthew si sentì perfino in colpa.
Il disgusto si trasformò presto in rabbia, e allora anche il senso di colpa svanì, lasciando posto al fastidio.
Infine, la rabbia di Brian si sciolse in un sorriso astioso e crudele, di quelli che adorava lanciargli quando stavano ancora insieme e litigavano, e lui decideva di fargliela pagare in qualche modo. Davanti a quel sorriso, Matthew non era mai riuscito a impedire all’irritazione di prendere il sopravvento sulla sua razionalità. Di fronte a quel sorriso, raramente si scampava a un litigio. E raramente poi si riusciva a fare pace. Molto più spesso lui e Brian bypassavano il momento del chiarimento per gettarsi a capofitto fra le lenzuola, e dimenticare le urla isteriche ed esasperate nell’unico modo efficace che comprendessero entrambi.
E così, il litigio rimaneva come aperto. In sospeso. Continuamente. Per sempre. Sulle loro teste.
Una dannata spada di Damocle.
Quando, dopo due mesi che convivevano, le spade di Damocle erano diventate più di un centinaio, e i loro fili troppo sottili per reggere ancora, e quando Matt aveva sentito chiaramente che presto sarebbero cadute, tutte insieme, tagliandolo tutto, quando Matt aveva capito che dalla sua capacità di fuggire dipendeva la sua stessa vita, era andato via.
Brian non era mai riuscito a perdonarlo per questo.
*

Spostando lo sguardo e fingendo d’ignorare Matthew, Brian cercò Stefan nella folla che riempiva il salone, ben intenzionato a dirgliene quattro.
Non riusciva a capire come diavolo si fosse permesso di invitare Matthew al suo compleanno.
Frena, frena, Bri, disse una vocina fastidiosamente simile a quella del grillo parlante di Pinocchio, nella sua testa, guarda che Stefan può invitare chi vuole, al suo compleanno. Ed era semplicemente scontato che avrebbe invitato anche il migliore amico del suo ragazzo. Quindi, tesorino, se c’è qualcuno che ha una qualche dannata colpa, in questa situazione, sei tu.
Che non l’hai capito.
O che l’hai capito e l’hai ignorato.
Insomma, tu che ti sei presentato.

Sospirando, Brian capì che non aveva senso muovere alla sua coscienza obiezioni quali “ma era il compleanno di Stef! Pur sapendo che sarebbe venuto lo stronzo, come avrei mai potuto permettermi di non esserci? Non me lo sarei mai perdonato!” era del tutto inutile. Ciononostante, continuò a cercare Stefan, fermamente intenzionato a ricoprirlo del suo disappunto.
Quando infine lo trovò, era rannicchiato su un divanetto con Dom accucciato sulle ginocchia.
Decisamente non poteva ricoprirlo di disappunto in quel momento.
*

Quando, dopo “English Summer Rain” e “Nancy Boy”, lo stereo diffuse nell’aria le note iniziali di “The Bitter End”, Matthew capì due cose.
Primo, che quella era la festa dalla colonna sonora più autoreferenziale cui avesse mai partecipato.
Secondo, che se non fosse uscito in balcone a prendere una boccata d’aria prima di sentire la voce di Brian rimbombargli nelle orecchie “You shower me with lullabies, as you’re walking away”, sarebbe morto.
Perciò, si diresse verso una delle grandi vetrate in fondo all’immenso salone che era stato affittato per la festa, e riuscì ad uscirne appena in tempo.
La luna giganteggiava sopra la sua testa, accompagnata da una tale quantità di stelle che sembrava quasi impossibile che quella serata fosse la naturale conclusione di una piovosa giornata di marzo inglese.
Respirando a pieni polmoni, mosse qualche passo sulle piastrelle in marmo bianco della gigantesca balconata, e sollevando lo sguardo sull’orizzonte – si vedeva il mare – vide Brian appoggiato coi gomiti alla ringhiera, lo sguardo perso nel vuoto della notte reso brillante e lucido dalle fievoli luci degli astri.
Fu tentato di rientrare.
Ma fu solo una tentazione.
*

Percepì la sua dannata presenza come aveva sempre fatto, e come avrebbe fatto sempre. Si era già rassegnato molto tempo fa a questo suo destino. Ovunque potesse andare, con chiunque fosse stato, se Matthew fosse entrato in un raggio di un chilometro attorno a lui, lui l’avrebbe sentito. E, cosa ancora peggiore, non l’avrebbe potuto ignorare.
Si voltò, appoggiando i gomiti alla ringhiera e sorridendogli maligno, mentre lo osservava avanzare.
- Devo ricordarti che sei inopportuno? – disse sarcastico, sporgendosi lievemente in avanti.
- Sono solo venuto a fare gli auguri a Stef. Dom ci teneva. – rispose lui, acido, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui e guardando lontano, il mare, forse, o qualcos’altro, qualcuna delle assurde visioni che gli attraversavano il cervello nei momenti più allucinanti e che poi lo portavano a comporre, magari.
Detestava sapere tanto di lui da comprendere anche le parti più affascinanti della sua personalità.
Avrebbe voluto essere in grado di ricordare solo le cose più orribili.
- Stefan è dentro, non qui. È qui che sei inopportuno. – precisò con cattiveria mentre si voltava e spostava anche lui lo sguardo sul mare.
- Avevo bisogno di una boccata d’aria fresca. – si giustificò Matt, scrollando le spalle.
- Che strano. – rise lui, - Anche io avevo bisogno esattamente della stessa cosa. Solo che quando ci sei tu intorno l’aria improvvisamente smette di essere fresca e diventa insopportabile.
- Oh, - sorrise lui, sarcastico, - niente male questa. Dovresti metterla in una canzone. So che lo farai.
- Neanche morto. Darti l’opportunità di dire in giro “sono io che l’ho ispirato”? Mi credi scemo?
La domanda cadde nel vuoto, perché Matthew si rifiutò di rispondere.
Il bruciante sospetto che quello fosse un silenzio-assenso disturbò Brian al punto che desiderò tornarsene a casa, ficcarsi sotto le coperte e non sentire più nessuno per almeno un mese.
Ed era appena mezzanotte, Dio santo. Avrebbe dovuto essere da qualche parte con qualcuno a scopare, altroché.
Alla faccia di quel dannato damerino.
- Intendi rimanere qui ancora a lungo? – chiese, ormai infastidito, stringendo le mani.
Matthew sospirò.
- Brian, ti ha mai detto nessuno che si può continuare a frequentarsi da persone civili anche dopo essersi lasciati?
Brian digrignò i denti.
Non sopportava quel modo sottinteso in cui Matthew gli dava dello stupido continuamente.
- A te non ha mai detto nessuno che quando lasci una persona senza un motivo, poi al mollato viene un po’ difficile comportarsi da persona civile?
- Non ti ho mollato io, Brian. – obiettò Matt con un amaro sorriso, - Ci siamo lasciati. È diverso.
- Oh, be’. Se ti fa piacere credere io fossi d’accordo, bene. Fa’ pure.
- …non è come se stessi mentendo a me stesso, eh, Brian. Semplicemente a te adesso fa più comodo ricordare solo che sono stato io a lasciare l’appartamento, e non che avessimo deciso insieme.
- Non abbiamo deciso insieme! – protestò lui, tornando a guardarlo, - Stavamo litigando! Tu hai detto che te ne saresti andato e io ti ho risposto “bene!”, ma chi poteva immaginare che fossi serio?! Insomma, quando litighi dici anche un mucchio di cazzate, e poi neanche una parola da te per due mesi interi, e-
- Io non stavo dicendo cazzate, Brian. E mi dispiace che tu non l’abbia capito prima.
*

Brian aveva un modo tutto suo di far sentire il colpa le persone. Lui non piangeva, lui non si lamentava, lui non cercava di dimostrare la logicità dei suoi ragionamenti e le falle in quelli dei suoi antagonisti, lui semplicemente ti vomitava addosso rancore. E quando tu ti senti vomitare addosso tutto quel rancore, tutto quell’odio, tutto quel disprezzo, non puoi fare a meno di pensare che dietro ci sia un motivo serio. Perché è ovvio, perché vuoi credere che dietro a un animo così acido ci sia anche un perché. E quindi cominci a riflettere sui tuoi comportamenti, sulle tue parole, sulle tue motivazioni. E puntualmente trovi tutto scorretto.
Ma grazie alla sua breve convivenza con Brian, Matthew aveva capito una cosa molto importante, su di lui e su tutte le persone come lui. Ovvero che non c’è bisogno di un motivo per essere incazzati. Di più, non c’è bisogno di un motivo per essere incazzati e prendersela con qualcuno. Basta essere frustrati, basta essere tristi, basta essere insoddisfatti o semplicemente scazzati e annoiati, basta aggrapparsi a un qualsiasi brandello di sentimento negativo, ergerlo a Motivo Supremo, poi nasconderlo dietro una quantità di motivi stupidi e fasulli che dimenticherai nel momento stesso in cui, urlando, li esponi, e il gioco è fatto. Hai litigato.
Magari hai anche picchiato qualcuno. Loro si picchiavano spesso, ad esempio.
Era stata una relazione turbolenta, la loro. Era stato un terremoto, un disastro.

“You are a natural disaster
And I’ve wanted you too much”


Paradossalmente, il periodo più bello della sua vita.
*

Stare con Matt in quel momento, riuscire ancora a guardarlo negli occhi, a stare accanto a lui senza sentire il bisogno irrefrenabile di allontanarsi come avesse avuto la peste, era già una gran conquista. I primi due mesi, dopo che era andato via, erano stati orribili. Non poteva andare da nessuna parte, non poteva vedere nessuno, non poteva fare niente senza incontrarlo. L’abitudine a ciò che faceva con lui, ai locali che frequentavano insieme, era rimasta così forte che lui non aveva pensato neanche per un secondo di poter cambiare itinerario, il sabato sera, o di scegliersi un hobby diverso rispetto a quello che si erano ritrovati a seguire insieme.
Senza neanche rendersene conto, era rimasto appeso al fantasma della loro relazione, custodendolo dentro di sé, impedendosi di liberarsene.
Era curioso, poi, che gli ci fossero voluti proprio due mesi per ripulire la sua mente e il suo corpo dai residui di Matt. Due mesi era durata anche la loro relazione.
Se non altro, avevano dei tempi regolari.
E comunque era ingiusto che adesso lui si ripresentasse così, come fosse normale. Era ingiusto che lui si permettesse di mostrargli con quanta disinvoltura riuscisse a stargli vicino senza quantomeno impazzire, mentre a lui veniva voglia di legarsi le mani dietro la schiena per impedirsi una qualsiasi mossa che riflettesse i desideri nella sua testa.
Che erano tanti.
E troppo confusi per tenerli a bada.
Sospirando stancamente, si voltò verso la vetrata e mosse qualche passo, intenzionato a rientrare nel salone, salutare Stefan e andarsene a casa a dormire.
La mano di Matt gli si attaccò alla manica della giacca con una tale velocità che lui quasi neanche la vide.
*

Rivedere Brian gli aveva dato modo di capire che uscire dal suo appartamento non aveva eliminato le migliaia di spade di Damocle che la loro relazione aveva creato e appeso sulle loro teste.
Aveva permesso a lui di smettere di vederle, sì. Ma loro pendevano ancora dal soffitto, ondeggiavano stancamente e pesantemente, disperatamente aggrappate al misero filo che a stento le reggeva. Lui non le vedeva più, ma loro c’erano. E se prima pendevano su entrambi, adesso pendevano solo su Brian.
Brian non aveva lasciato il loro appartamento. Brian era rimasto tale e quale a com’era quando lui era andato via.
Solo un po’ più triste.
E arrabbiato.
Ma Matt non aveva mai sopportato i puntini di sospensione. Era fuggito proprio perché non ne poteva più di situazioni sospese, ma così facendo non aveva forse sospeso a sua volta la più importante delle questioni?
Perché la questione Brian era ancora lì. La questione Brian lo guardava stupita, spostando gli occhi dal suo viso al suo braccio, in un misto di orrore e fastidio.
Decise di parlare, perché tanto prima o poi le spade sarebbero cadute comunque, quindi tanto valeva essere lui a decidere quando e come gli avrebbero spaccato la testa.
- Non è che non ti amassi ancora, quando sono andato via. – confessò, guardandolo dritto negli occhi.
Brian, per un po’, non seppe che dire.
Poi sembrò ricordarsi della rabbia, e corrugò le sopracciglia.
- Come osi dirmi una cosa del genere adesso…?
- E’ l’unica cosa che voglio dirti. È l’unica cosa che voglio che tu sappia. Non avevo ancora smesso di amarti, quando sono andato via, e smettere di farlo è stata una tortura inimmaginabile.
- …
- Per questo, credo non dovremmo rivederci più.
Brian sollevò lo sguardo, e Matt lo vide colmo di ansia e tristezza. E una punta di nostalgia.
- Se io continuassi a vederti… - spiegò faticosamente, stringendo la presa sul suo braccio, - credo che mi innamorerei di nuovo. Sei ancora troppo bello, e sei ancora troppo recente. Ma vedi, Brian, non ho mai visto due esseri tanto incompatibili quanto noi. Dovrei andarmene di nuovo, prima o poi. E non sopravvivrei ad altri due mesi di supplizio per smettere di pensare a te giorno e notte.
- Matt-
- Cerca di capirmi, Brian. So che è difficile. Rivederti, dopo due mesi, e dirti queste cose… so che è assurdo. Ma tu cerca di capirmi lo stesso. Ti prego.
Brian sospirò, strattonando il braccio e liberandosi dalla sua stretta, chiudendo gli occhi.
Poi tornò a guardarlo, sorridendo lievemente e stringendosi nel cappotto.
- L’ho sempre fatto, Matt. – rispose voltandosi e avanzando verso l’ingresso del salone.
Osservandolo allontanarsi, Matthew non riuscì a sopprimere uno stupido singhiozzo. Poi tornò a guardare il mare, e vederlo così vicino e allo stesso tempo irraggiungibile lo consolò molto.
Abbastanza da riprendersi, almeno.
*

Sorrise a tutti gli invitati, conosciuti e sconosciuti, e avanzò velocemente verso il divano dove ricordava aver lasciato Stefan e Dom, impegnati in gioiose attività da innamorati.
Erano ancora lì, ovviamente impegnati nelle stesse attività.
Sorrise mestamente pensando che quei due, inizialmente concordi nell’avere una relazione soltanto da una botta ogni tanto e via, erano felicemente durati molto più di quanto non avessero fatto lui e Matt, che invece erano perfino andati a vivere insieme, catturati com’erano dallo stordimento amoroso che li aveva colpiti quando avevano capito cosa provavano l’uno per l’altro.
- Stef. – lo chiamò debolmente, agitando una mano.
Stefan si separò da Dom e lo guardò, un po’ stupito.
- E’ successo qualcosa? Hai il mascara un po’ sbavato…
- Niente. – sorrise lui, - Ma sono distrutto. Penso che mi andrò a fare una dormita e… ti dispiace dire ad Alex che preferirei non fare niente, domani?
Ancora un po’ incerto, Stefan annuì, salutandolo con una mano.
- Comunque buon compleanno. – disse con entusiasmo mentre si allontanava verso l’uscita.
Aprì la porta proprio mentre Matt rientrava dal balcone.
Richiuse la porta alle sue spalle proprio mentre Matt si lasciava sfuggire un sorriso, guardandolo andar via.
Genere: Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt
Rating: R
AVVISI: Angst, Slash.
- E' mattino presto, e Brian Molko ha una mezza idea di passare il suo tempo truccando Matthew Bellamy. Lui, però, non sembra disposto a subire.
Commento dell'autrice: Yay per seme!Matt X’D Dunque, la storia è nata più che altro per ispirazione fulminea, soprattutto l’inizio. Ho immaginato la scena e l’ho scritta così com’era nella mia testa, evviva XD Poi s’è un po’ bloccata, dopo la terza pagina, ma Caska mi ha salvata facendomi notare che ero stata una bambina cattiva, perché nella prima storia che avevo scritto su questi due il passivo era Matthew, quando è noto che in ogni yaoi che si rispetti il più basso dev’essere il passivo ù_____ù””” XD Questa cosa mi ha fatto riflettere o_ò dal momento che io non posso vedere Brian come altra cosa oltre all’attivo e Matt come altra cosa oltre al passivo XD E mi è sembrato giusto dare un’occasione al povero Matt per rovesciare i ruoli e ottenere un po’ d’emancipazione <3 D’altronde, anche lui è un essere umano come tutti gli altri, e come tutti gli altri ha una dignità <3 Ciò detto, l’idea di Matt attivo continua a farmi senso, e non la utilizzerò mai più XD
A parte questo, questa è la prima storia che scrivo per la 100Songs Community, che propone di scrivere appunto cento storie ispirate da altrettanti titoli di canzoni – senza, grazie al cielo, coinvolgere i testi XD <3 Ho scelto il primo set perché ci sono cosine troppo pucci che mi ricordano Matt e Bri, e proprio loro ho scelto di utilizzare è_é Ovviamente, non riuscirò MAI a scriverne cento XDDD Ma ho tutta la vita davanti, ci proverò comunque <3
Per questa storia ho scelto il tema numero 51, “Another One Bites The Dust”, che come spero saprete è il titolo di un’adorabile canzone dei Queen <3 Era una cosina perfetta da adattare all’evil!Matt che volevo per questa storia XD
Il titolo, invece, è il nome di un gruppo che credo faccia hard rock. Non ho mai sentito niente di loro, né credo lo farò, perché hanno proprio le facce della gente che fa musica che non mi piace è.é In compenso, hanno un nome adorabile molto musiano X3 E’ per questo che l’ho scelto, anche perché non è che con la storia in sé c’entri qualcosa, è solo terribilmente puccino XD <3
Dedicata alla Caska, perché senza il suo adorabile suggerimento non sarei mai riuscita a concluderla :* E perché MORIVA (?) dalla voglia di vedere Molko passivo XDDDDD
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SLOWMOTION APOCALYPSE
Song#051. Another One Bites The Dust


Ci risiamo, pensò, sospirando drammaticamente nell’osservare Brian fare capolino dal bagno e guardarlo maliziosamente. Si nascose fra le coperte, affondando il capo nel morbido cuscino in piuma d’oca e tirando il lenzuolo fin sopra la testa, mugugnando “no, non di nuovo” mentre già sentiva i passi veloci di Brian farsi vicini, divorando metri di moquette come fossero centimetri.
- Bri, ti prego, ho mal di testa. – mugugnò, sperando che lui riuscisse a sentirlo.
- Come? – chiese Brian strappandogli il lenzuolo di dosso e guardandolo curioso negli occhi.
- Stavo cercando di dirti che ho mal di testa. Non mi va. – rispose Matt chiudendo gli occhi e voltando il capo, con un movimento stanco.
- Ma io non ti ho ancora chiesto niente! – protestò l’uomo afferrandogli il mento e costringendolo a rivolgersi nuovamente a lui.
- Riconosco il tuo sguardo. – disse semplicemente Matt, scrollando le spalle e tornando a guardarlo.
- Ah, bene. Quindi il signorino qui presente dopo un mese è già convinto di saper decifrare alla perfezione il sottoscritto. Bene, bene.
Matt sospirò, cogliendo l’accento di disappunto nella voce di Brian.
- Non è esattamente così, Bri. – spiegò con pazienza, - E’ solo che certi sguardi li interpreto bene, ormai.
- E sentiamo. – lo sfidò Brian sedendosi a gambe incrociate e braccia conserte, - Cos’è che voleva dire il mio sguardo?
Matthew si stropicciò gli occhi con le mani, sbadigliando apertamente.
- Volevi truccarmi.
Brian ebbe un tremito.
- N… non era questo. – azzardò, guardando altrove.
- Sì che era questo. – sorrise Matthew, vittorioso. – Ammettilo.
Brian sbuffò, guardando in alto.
Matthew sorrise ancora. C’erano dei momenti in cui Brian sembrava ancora un bambino, nonostante gli evidenti segni dell’età attorno ai suoi occhi e alle sue labbra.
- E’ che staresti così bene, truccato…
- Sai che il massimo che impongo al mio corpo è una tinta per capelli. Ogni tanto.
Gli occhi di Brian si illuminarono, tornando a puntarsi come fari su di lui.
- Non intendo lasciarti tingere i miei capelli, comunque. – precisò l’uomo, spaventato dallo sguardo desideroso del suo compagno.
- Oh! – sbuffò Brian, deluso, - Non mi lasci fare niente?
- Ma è ovvio, è il mio corpo, dannazione!
- Però rosso stavi così bene… e con quella barbetta…
- Neanche ci conoscevamo quando andavo in giro conciato in quella maniera…
- Un vero peccato, comunque.
- …cosa?
- Che non ti conoscessi già allora.
- Ero fidanzato, Bri. Fidanzatissimo.
Brian sorrise, incurvando un angolo della bocca.
- Stai insinuando che non sarei stato capace di accalappiarti comunque?
- Non lo sto insinuando, - rise Matt, mettendosi seduto al suo fianco, - Lo sto affermando con convinzione!
- Tu mi sottovaluti…
- No, sei tu che sottovaluti la mia fedeltà assoluta nei confronti delle persone che amo. – sorrise Matthew sporgendosi lievemente in avanti e protendendo le labbra perché Brian potesse sfiorarle.
- Questa dichiarazione romantica… - sussurrò l’uomo inumidendosi il labbro inferiore, - si suppone debba farmi dimenticare il mio intento principale?
Matthew sospirò, piegando il capo verso il basso.
- Figurarsi. Puoi raggiungere livelli di ostinazione patologici, lo so bene.
Brian sorrise vittorioso.
- Ecco, appunto. Ora, se aspetti qui, prendo un attimo il beauty case e…
Con uno scatto, Matthew fu giù dal letto e si trascinò dietro un lenzuolo, attorno al quale si avvolse, mandando a gambe all’aria il povero Brian, che tutto si aspettava meno che il suo uomo lo privasse di una superficie d’appoggio da sotto le gambe.
- Che diavolo fai…? – chiese, ancora tramortito, mentre osservava Matthew sistemarsi il lenzuolo attorno alla vita e sollevarlo da terra come una tunica troppo lunga, per evitare di inciampare.
- Vado in bagno. – disse Matthew semplicemente, scrollando le spalle, - Lì sarò al sicuro fino a quando non ti sarà passata questa specie di fissazione.
- Ah! Questo no! – gridò Brian saltando giù dal letto e afferrando il lenzuolo pendente con entrambe le mani, per poi buttarsi sul pavimento a peso morto.
- Lascia! – si lamentò Matthew tirando il lenzuolo verso l’alto perché non cadesse per terra, lasciandolo completamente nudo.
- Mai! Neanche se ne andasse della mia vita!
- Ossignore… - mormorò il più giovane cercando di liberarsi, - Brian, sul serio, dai, ho appuntamento con Dom, devo andare!
- Ci andrai truccato o non ci andrai affatto!
- E basta, che angoscia, ogni volta che ti salta in testa questa stupidaggine!
Furioso, Brian fece scivolare una gamba fra quelle di Matthew e, con un movimento secco, lo fece inciampare, costringendolo in ginocchio per terra. Mentre ancora Matt si lamentava per il dolore alle gambe, Brian era già dietro di lui, e lo teneva imprigionato bloccandogli le mani dietro la schiena e stringendogli il collo con l’avambraccio.
- Quindi… - mormorò sornione, lasciandogli un bacetto bagnato sulla guancia, - intendi cambiare idea di tua iniziativa o…?
Matt digrignò i denti, furioso, per poi voltarsi per quanto possibile verso Brian e guardarlo, con uno sfacciato sorriso di sfida sulle labbra.
- Mai. Neanche se ne andasse della mia vita. – lo scimmiottò.
Per tutta risposta, Brian strinse la presa sulle sue mani, costringendolo a inarcare la schiena.
- Ahi, Bri, mi fai un male cane!
- Sto pensando a come potrei convincerti…
- Non puoi. Né con le buone, né con le cattive.
Brian sbuffò con disappunto, lasciandogli le braccia – con suo sommo sollievo.
- Questa cosa sta diventando troppo violenta. Non mi piace.
- Lo dici tu? Guarda che fino a prova contraria quello incaprettato ero io…
- Non eri incaprettato. – disse Brian, guardandolo come fosse stupido, - Per incaprettare le persone serve almeno una corda.
- Non darmi l’idea che tu sappia realmente come si fa, Brian…
Lui non rispose, guardando altrove e mordicchiandosi l’interno della guancia. Le sue labbra presero un’adorabile forma a cuoricino, e Matthew non poté resistere al desiderio di baciarle.
- E dai, - si lamentò Brian, spingendolo lontano, - non dicevi di avere fretta?
Matthew lo guardò, stupito dalla sua reazione stizzita.
- Oh, ma sei arrabbiato sul serio?
- …
- Ma… dai! Ma non puoi dire sul serio…
- Oh, fottiti.
- Ma scusa, Bri, non volevo farti incazzare… dai, ti prometto che potrai truccarmi quando tornerò da casa di Dom…
- Ti ho detto fottiti! – concluse Brian scattando in piedi.
- Ma…
- Insomma! Mi ha infastidito, questa cosa. Basta così. – spiegò, cercando di mantenersi calmo.
Matthew si sollevò da terra e incrociò le braccia sul petto.
- Finiscila. Non intendo uscire da questa stanza finché non avremo fatto pace.
Brian scoppiò in una risata sguaiata, sbattendosi una mano sulle ginocchia.
- Non so, vuoi che uniamo i mignoli e cantiamo “mannaggia al diavoletto che ci ha fatto litigar”?
- Be’, sarebbe un inizio! – disse Matthew, infuriato, dandogli una spinta.
- Non osare farlo di nuovo! – rispose Brian con una spinta altrettanto forte.
Matthew, sconvolto dall’allucinante cambio d’umore di Brian, si limitò a fissarlo e, dopo un po’, scuotere le spalle e voltarsi verso la porta del bagno, riprendendo il suo cammino.
Irritato, Brian si morse le labbra e strinse i pugni, prima di corrergli dietro e afferrarlo per una spalla.
- Bellamy! – lo chiamò ad alta voce, costringendolo a voltarsi.
Nel momento in cui Matt si voltò a guardarlo, lui si sentì come se tutto quello che stavano facendo non avesse senso.
- Che vuoi ancora? – chiese Matt esasperato, abbassando lo sguardo.
Brian lo lasciò andare, un po’ scosso.
- Non ne ho idea. – rispose, continuando a fissarlo, - Credo che all’inizio volessi truccarti. Adesso credo di volerti… non so, forse picchiare. Ma non capisco perché.
Matt tornò a guardarlo, avvolgendosi meglio nel lenzuolo ormai quasi interamente caduto per terra.
- Sei nervoso?
- Adesso sì. Ma prima no, giuro. Non so cosa mi ha indisposto.
- Io, probabilmente. – sorrise Matt, inclinando il capo. – Non che intenda scusarmi. Sei impossibile da gestire.
- …
- Ci sono giorni in cui sei intrattabile, Brian.
- Non so, vuoi partire con un comizio su quanto sia intrattabile Brian in quei giorni del mese?
- …non ti sto dando dell’isterica, Bri. Ecco, vedi come fai?
- Sì, sì, va bene… - sbuffò Brian agitando una mano in segno di resa e voltandosi verso il letto, - Ho capito come funziona.
Matthew lo seguì, tornando a sedersi sul materasso assieme a lui.
- E come funziona?
- Funziona che Matt è quello sempre a posto. Sempre razionale. Lui non è mai irritante, non è mai impossibile e non è mai intrattabile. È Brian il pazzo.
- Io… non ho detto di essere l’uomo perfetto!
- Oh, be’, no. Ti sei limitato a ricordarmi quanto imperfetto sia io.
- Ma… dico, sei impazzito? Mi spieghi perché stai tirando fuori questo casino solo perché, per una volta, ho deciso di ribellarmi di fronte a una delle tue… delle tue stupide idee?!
- Be’, sai che ti dico? – gridò Brian, esasperato, scattando in piedi, - Io e le mie stupide idee lasceremo immediatamente questo appartamento, così tu potrai evitare di ribellarti e sarai felice!
Matthew sospirò, tentennando fra la possibilità di rimanere su quel letto a rimuginare su quale forza cosmica l’avesse costretto, contro ogni buonsenso, a mettersi con quella specie di alieno folle, e quella di alzarsi, seguirlo e magari dargli qualche ceffone per ricordargli che l’essere, alla conta, il più “attivo” fra loro due non lo autorizzava a sentirsi autorizzato a decidere di truccarlo, tingerlo, mandarlo a terra, incaprettarlo senza corde, gridare e…
…e andarsene via.
Decise di muoversi. C’era troppo, di importante, che avrebbe lasciato quell’appartamento, se avesse deciso di rimanere immobile.
- Adesso stammi a sentire. – disse, raggiungendolo alle spalle e afferrandolo per i capelli, ormai ricresciuti dall’ultima, terrificante rasatura, - Tu rimani.
- Ah- Bellamy! Lasciami subito i capelli! Cosa sei, un bambino?
- Be’, se tu puoi appenderti al mio lenzuolo e farmi lo sgambetto, - disse tranquillo, risistemando proprio il lenzuolo che, nel movimento, stava scivolando a terra, - io posso appendermi ai tuoi capelli.
- Matthew, ti conviene lasciarmi immediatamente se non vuoi-
- Se non voglio…? – chiese, malizioso, tirando più in basso e costringendo Brian a scendere in ginocchio.
- Aaahi, cazzo, Bellamy, vuoi morire?!
Si inginocchiò alle sue spalle, tirando ancora un po’ i capelli per impedirgli di muoversi.
- Tu adesso ti calmi.
- Sei tu il pazzo!
Strattone.
- Vaffanculo!!!
Strattone.
- …
- Tu adesso ti calmi. – ripeté, sorridendo angelico mentre, sotto la tensione delle sue dita sui suoi capelli, gli occhi di Brian si riempivano di lacrime di dolore pungente.
- Sono calmo. – disse infine l’uomo, cercando di respirare agevolmente nonostante la sofferenza.
- Bene. Il secondo passo è scusarti. – continuò, con lo stesso identico sorriso.
Brian spalancò gli occhi, guardandolo al contrario come se stesse dicendo idiozie.
- Come, prego…? Aspetta, non tirare!
- Voglio che ti scusi, Brian. Sei stato pessimo. – spiegò, sempre sorridendo. Ma l’espressione vittoriosa durò poco. Presto Matt sbuffò, roteando gli occhi, - Avanti, non mi viene bene fare l’aguzzino senza sentimenti. Credimi, farti questo fa più male a me che a te.
- …fottiti, Bellamy.
- Ma la smetti di essere così ostile? Mi hai… mi hai ricoperto di accuse per tutta la mattinata, dopo avermi aggredito alle otto con l’intento di riempirmi la faccia di schifezze ben sapendo quanto io odi questo tuo stupido passatempo, e ora mi mandi anche affanculo senza scusarti, be’, cazzo, no, vaffanculo, pretendo le tue scuse e le voglio adesso!
Stringendo i pugni per la rabbia, Brian chiuse gli occhi e meditò per molti secondi. Dopodiché, si abbandonò completamente contro di lui, sospirando. Ogni centimetro del cotone della sua maglietta aderiva perfettamente con ogni centimetro della pelle di Matthew.
Strinse la presa sui suoi capelli e non avrebbe potuto immaginare un contatto più angelico di quello.
Sospirando affannosamente, Brian mormorò uno “scusa” stentato, e Matthew lo lasciò immediatamente, spostando la stretta attorno al suo petto, abbracciandolo piano.
- Bravo…
- Non so cosa mi è preso… - continuò Brian voltandosi appena per guardarlo, senza interrompere il contatto, - Davvero, non mi è mai capitato di tirare un litigio sciocco così per le lunghe…
Matthew sorrise, baciandolo lievemente su una guancia.
- E’ tutto a posto. Abbiamo entrambi avuto la nostra parte. È stato abbastanza ridicolo, vero, ma l’importante è avere risolto.
Finalmente, Brian si voltò, appoggiandogli le mani sul petto e sorridendo gioioso come un bambino.
- Hai proprio ragione, Matt caro. E proprio a questo proposito… - sussurrò mentre, con uno sguardo malizioso, gli circondava il collo con le braccia e si sollevava lievemente a sfiorargli il lobo con le labbra, - …puoi andare a farti fottere. Le mie scuse di poco fa puoi infilartele nel culo. E per quanto mi riguarda, addio.
Basito, Matt restò immobile mentre l’uomo si sollevava con sicurezza in piedi, uno spietato sorriso sul volto, si sistemava i capelli e poi gli voltava le spalle, diretto a passo sicuro verso la porta.
Nonostante la fatica e le botte, la cosa importante stava comunque uscendo da quella porta.
Matthew abbassò lo sguardo.
Poi lo risollevò.
Col cazzo, si disse, e scattò in piedi, inseguendo Brian e raggiungendolo proprio quando lui aveva appena appoggiato la mano sulla maniglia della porta.
- Brian! – lo chiamò, con voce rotta.
Lui si voltò lentamente, guardandolo con disprezzo.
- Altro da dire? – gli chiese, senza staccare per un secondo la mano dalla maniglia.
- Non andare! – disse, implorò, stringendo i pugni attorno al lenzuolo.
Brian incrociò le braccia sul petto, sbuffando d’irritazione.
- Bellamy, hai detto e fatto abbastanza, per oggi.
- No, non è vero! Non ho ancora…
- …non hai ancora…?
Sorridendo timido, gli si avvicinò, accarezzandolo lievemente su un braccio.
- Facciamo pace…? – disse, con quel tono da ingenuo che, lo sapeva, lo mandava su di giri.
Infatti Brian sorrise malizioso, sciogliendo le braccia e avvicinandosi pericolosamente al suo viso.
- E chi si scuserà, stavolta…?
- Ma io, naturalmente… - rispose, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Soddisfatto, Brian avanzò, spingendolo verso il letto.
Quando il suo corpo toccò il materasso, e le mani di Brian toccarono la sua pelle nuda, e quando le sue labbra gli scesero addosso, desiderò lasciarsi andare, dimenticare tutto e lasciargli fare, come sempre, tutto ciò che voleva del suo corpo.
Ma no, Matthew Bellamy, hai ancora una missione da compiere.
Con un sorriso adorabile sul volto, sollevò appena il capo e costrinse Brian a guardarlo.
- Bri… scusa… per quello che sto per fare.
Lui non ebbe neanche il tempo di stupirsi. Nel giro di due secondi si trovò per terra, piegato in due sulle ginocchia, il mento a strisciare dolorosamente sul pavimento e le mani – ancora! – bloccate da una morsa d’acciaio dietro la schiena.
- M-Matthew…! – cercò di protestare, sentendosi mancare il fiato mentre Matt si spingeva contro di lui, ormai libero dal lenzuolo.
- Oh, no, caro mio. Hai una lezione da imparare, adesso.
- Bellamy, non oserai…!
Per tutta risposta, Matt afferrò i suoi polsi con una mano sola, mentre con l’altra tornava a tirargli i capelli, per schiacciargli il viso contro la moquette.
- Bri… - disse tranquillo, chinandosi sulla sua schiena, - attento a non mangiare la polvere.
Genere: Commedia, Erotico.
Pairing: BrianxMatt
Rating: NC-17
AVVISI: Lemon, Slash.
- Dom sa che l'unico modo per convincere Matthew Bellamy a rilassarsi un po' è obbligarlo a farlo. Perciò, è deciso a portarlo in un locale un po' speciale. Anche contro la sua volontà.
Commento dell'autrice: Loool X’D Allora, ho un po’ di cose da dire, sopportatemi. Prima di tutto: questo è il mio regalo di Natale per l’Happyna :**** L’Happyna è una ragazza fantastica, per molti motivi: primo perché ha un elastico per capelli arancione che può essere riconosciuto in mezzo alla folla <3 XD Secondo, perché mi ha regalato il live in Milan dei Placebo *_*!!! Terzo, perché ci ha fatto avere dei posti bellissimi in fila per il live dei Muse al Datchforum il 4 dicembre (chi smette più di ringraziare? XD). E quarto, ma non ultimo, perché ha scritto una storia adorabile che mi ha iniziato al BrixMatt slash fandom!!! (Potremmo chiamarlo Mollamy? X’DDDDDD) Questa storia adorabile è “Try something new”, e dovete leggerla perché è iperpuccia.
Ma questa storia non nasce solo da questo è_é!!! Nasce anche dal desiderio di copiare Caska Langley, che ha avuto un’idea mitica: prendere i 52 temi proposti dalla 52Flavours Community e scriverci storie su è_é Lei, che è molto più figa di me <3, s’è data dei limiti del tipo “tutte AU che parlano di rapporti amorosi”; io sono troppo pigra anche per questo, e quindi mi limiterò a fare un po’ quello che voglio finché voglio, lol XD
Il tema che ho scelto è “so shaken as we are”, semplicemente perché mi ricordava il movimento di Brian contro Matt che avevo in testa e mi ossessionava da giorni :D
Slashosamente parlando, questa è la cosa più esplicita che abbia mai scritto O_O OMG, ho paura di rileggerla perché so già che la odierò XDDDD
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THIS IS NOT GOING TO DESTROY YOUR WORLD
Flavour#24. So shaken as we are


- Mi stai sfidando?
Sì, Dom lo stava sfidando. Perché Dom sapeva perfettamente che l’unico modo per convincere Matthew a rilassarsi un pochino, una volta ogni tanto, era sfidarlo a farlo.
Annuì lentamente, mentre un enorme sorriso furbo gli si apriva sulle labbra.
- Sentiamo. – grugnì Matthew, incrociando le braccia sul petto, - Dov’è che mi vorresti portare?
- Be’, c’è questo posto, qua vicino… si chiama Mate. È un locale un po’ particolare.
- Ovvero?
- Praticamente ci sono tutta una serie di salette private… e in queste salette private non si vede un accidenti. Tu entri lì e assieme a te fanno entrare anche qualcun altro… solo che tu non sai chi è.
- …ma è una specie di porno-locale per appuntamenti al buio?!
Dom ghignò, dondolandosi sulla sedia.
- In poche parole, sì.
- Ma scherzi?!
- Oh, avanti Bells, non essere sempre così rigido…
- Che c’entra l’essere rigido?! Prima di tutto: ho una ragazza, te lo sei dimenticato?
- Per carità, Matt… - sbuffò lui, roteando gli occhi, - come potrei? Solo che farebbe bene a te dimenticarti di lei, una volta ogni tanto…
- Ma sei un… non ho parole! Solo per il fatto che tu non hai legami e quando li hai cose come “la fedeltà” non ti toccano minimamente, non vuol dire che gli altri debbano essere come te…
- Santo cielo… stiamo parlando di un appuntamento al buio! Di una persona della quale non vedrai neanche mai la faccia, se non vuoi! Neanche parlerete, probabilmente! Puoi chiamarlo tradimento?
- Cazzo, Dom, , se ci vado a letto!
- Tecnicamente non ci sono letti nelle salette…
- Hai capito perfettamente cosa voglio dire!
- Come vuoi, come vuoi… - sospirò Dominic agitando una mano.
- Che poi comunque come puoi anche solo pensare di fare cose simili con una completa sconosciuta?
- O un completo sconosciuto…
- Come?!
- Non che siano differenziati fra maschi e femmine… quello che entra, entra.
- …Dominic!
- Insomma, è un locale in cui si va per provare qualcosa di nuovo, per fare qualcosa di diverso! Il mistero e l’imprevisto sono parte del divertimento!
- Permettimi di dissentire! Pensa se vado e mi capita un uomo! Che gli dico, “no, scusa, ho preferenze diverse, ti spiacerebbe uscire e dire di far entrare il prossimo”?
- No, Matthew. – spiegò lui, esasperato, - Una volta che entri là dentro accetti di provare qualsiasi cosa ti capiti. Proprio non riesci ad entrare nello spirito…?
- Cavolo, no!
- Uuuh… non ti facevo così omofobo…
- Omofobo tuo fratello! Non è solo questo, e lo sai!
Dom scrollò le spalle.
- Se non te la senti, fa nulla.
- Ecco, appunto, diciamo che non me la sento.
- Non è un problema Matt… - disse sorridendo e dandogli un paio di pacche sulla spalla, - Non avere il coraggio di fare qualcosa va bene.
- …coraggio…?
Il diavoletto sulla spalla di Dom sorrise.
- La stai riducendo a una prova di coraggio?
Vittoria.
- Non pensarci più, Matt, va bene così…
- No no no. Proprio no. Chi è che non avrebbe il coraggio?
Lui semplicemente adorava questo suo modo di ragionare per capricci.
*

Il posto era effettivamente strano.
Una donna con un elegante completo da hostess ti accoglieva all’ingresso, tutta un sorriso e con lo sguardo più vacuo dell’universo, tanto che tu all’inizio ti chiedevi “ma sarà mica cieca?”, prima di pensare al fatto che probabilmente si era forzata alla cecità per lavoro, visto il segreto che andava mantenuto su chi entrava dove per trovarci chissà chi altro.
Poi la tipa ti separava dall’amico col quale eri giunto in quel posto allucinante, causandoti un enorme attacco di panico e assorbendo le tue domande esasperate e isteriche come se le stessi facendo l’elenco delle forme delle nuvole in cielo e, dopo un attimo di tregua, ti bendava.
Ti bendava! E tu rimanevi lì, bandato e impotente, pregando tutti gli dei dell’universo perché ti proteggessero almeno dal dolore fisico.
Mentre la hostess, tenendolo per mano e spingendolo lievemente, lo obbligava a camminare, Matthew segnò qualche appunto per dopo.
Prima di tutto, chiedere a Dom quanto avesse speso per quella serata e pretendere la stessa quantità di denaro come risarcimento danni.
Poi, probabilmente, ucciderlo, anche se non dubitava di poter trovare un modo un po’ più originale per concludere la faccenda.
- Siamo arrivati. – annunciò la ragazza, lasciandogli la mano per un attimo e tornando a riprenderla subito dopo, per condurlo all’interno della stanza. – Quando sentirà il campanello, potrà togliere la benda, se la infastidisce. In ogni caso, non vedrà nulla.
Deglutì a fatica, mentre lei cinguettava un “prego” e gli chiudeva la porta alle spalle.
Il campanellino suonò quasi subito, e lui si strappò di dosso la benda come fosse stata infuocata. Strinse le palpebre, cercando di capirci qualcosa, ma non si vedeva proprio nulla. Non c’era neanche speranza che i suoi occhi potessero abituarsi al buio, perché quello non era “buio”, quella era l’Oscurità. Non c’era un granello di luce cui aggrapparsi per distinguere i contorni delle cose, non aveva nessuna possibilità di recuperare la vista.
Smise di concentrarsi in quell’attività inutile e cercò a tentoni qualcosa su cui potersi sedere o almeno appoggiare, per fare mente locale e capire come risolvere la situazione senza uscirne disonorato.
E allora lo sentì. Il respiro.
Terrorizzato, si pietrificò.
- C’è qualcuno…? – chiese titubante, guardandosi intorno come se servisse a qualcosa.
Per tutta risposta, il respiro si bloccò.
- No. – rispose infine l’altra persona, ridacchiando lievemente.
Oddio, era un uomo. La voce era acuta e non esattamente virile, ma non c’era dubbio sul fatto che fosse uno stramaledettissimo uomo.
Niente panico, Matt, niente panico. Risolverai. Andrai da lui, gli parlerai, ti capirà e fra due minuti sarà tutto finito.
- Eh… scusa, mi rendo conto che la cosa potrebbe rovinarti la serata, ma in realtà io sono stato trascinato qui da un amico, e la cosa si è rivelata un discreto disastro, quindi mi dispiace ma adesso- cazzo!
Si premette una mano sulla bocca, per fermare quel qualcosa che ne stava uscendo e che se non era un gemito ci andava molto vicino.
Qualcuno… l’altro tipo gli aveva poggiato una mano sul cavallo dei pantaloni.
Che idiota era stato a mettere dei jeans così aderenti?
- Parli troppo in fretta… - disse l’uomo, facendo scivolare lentamente la mano dal basso verso l’alto, - non capisco una parola di quello che dici.
- I-Io… - articolò Matt, cercando di fare un passo indietro, - sto dicendo che non voglio fare niente…
- E allora perché sei venuto? – domandò la voce, ironica, seguendolo nel movimento, senza staccarsi da lui un secondo.
- Perché…
Insomma, non poteva certo dire “perché sono un bambino e casco sempre nei tranelli idioti del mio migliore amico”.
- Mh? – insisté la voce, facendosi più vicina.
- Ecco… quello che intendo… - mormorò Matt, cercando le parole per esprimere il concetto – anche se prima avrebbe fatto meglio a trovare il concetto da esprimere, - Vo-Vorrei uscire e… insomma, smettila di fare così!
La mano si fermò.
- Preferiresti che facessi qualcos’altro…?
- Sì! – si lamentò Matt, riacquistando la facoltà di pensiero, - Preferirei uscire di qui!
- Ma sarebbe un peccato…
- Oh, non so che idea tu abbia di “peccato”, ma credo proprio non coincida con la mia.
- E allora? Potrebbe essere una buona occasione per rivedere le tue posizioni…
- …non credo proprio! Santo cielo! Come si esce da qua?
L’altro sospirò, muovendo qualche passo in giro – aveva i tacchi?
- Fra un’ora ci chiederanno se vogliamo accese le luci o no, dopodiché le porte si apriranno automaticamente e ci accompagneranno fuori.
- Sembri… sembri abituato…
- Non è la prima volta che vengo qui. Mentre tu sei di sicuro un novellino… altrimenti sapresti che, con quello che costa questa roba, parlare dovrebbe essere l’ultimo dei tuoi pensieri.
- Ma non c’è proprio modo di uscire da qui prima della scadenza dell’orario?
L’uomo sbuffò.
- Insomma, che lagna sei.
Matt lo sentì allontanarsi, e poco dopo percepì un tonfo proveniente da chissà che punto lontano della stanza.
- E’… è tutto a posto?
- Sì. Mi sono solo seduto sul divano.
- C’è un divano?!
- Certo che c’è, la stanza è arredata.
- Come diavolo ci arrivo? Ho voglia di sedermi…
- Segui la mia voce. – propose l’altro, ridacchiando.
- Ok… - annuì Matt, preparandosi a camminare, - Parla.
- Ho voglia di spogliarti. – disse la voce, e Matthew per poco non svenne.
- Come…?
- Mi hai detto tu di parlare. Sto parlando. Seguimi.
- …
- Ho voglia di spogliarti. Se tu mi lasciassi fare, ti sfilerei la maglietta e ti accarezzerei ovunque. Posso immaginare la sensazione della pelle della tua schiena sotto le mie mani, tesa, liscia… sei magro? Sei muscoloso?
- …puoi parlare di qualcos’altro? Che ne so, puoi raccontare una storia? – chiese Matthew, così imbarazzato che gli sembrava di stare per sciogliersi, tale era il calore che sentiva su tutto il corpo.
- Come preferisci. – disse l’altro, furbo. – C’era una volta un ragazzo cui tutti volevano bene, nel paese.
- Ecco, così va meglio… - sospirò Matt rilassandosi e seguendo la voce, cercando di non sbattere contro i numerosi mobili che incontrava sul suo cammino.
- Gli abitanti del villaggio lo chiamavano Cappuccetto Rosso, perché sua madre gli aveva regalato un cappotto rosso dal quale lui non si separava mai.
- …questa storia me la ricordo un po’ diversa. – ridacchiò, continuando a camminare.
- Un giorno, la mamma lo mandò dalla nonna, che in quel periodo era malata, e gli raccomandò di non prendere la strada del bosco, perché lì avrebbe potuto fare dei brutti incontri. Ma il ragazzo era un po’ disubbidiente, e così prese la strada del bosco, guidato dalla curiosità.
- …sto per arrivare, continua ancora un po’… ma quanto diavolo è lunga questa stanza?
- Mentre passeggiava tranquillamente sul sentiero, godendosi l’aria fresca e pura e i colori dei fiori nell’erba, all’improvviso qualcuno lo chiamò. Il ragazzo si voltò a guardare… dietro di lui c’era un enorme lupo. Inizialmente, il ragazzo si spaventò, ma poi, guardando meglio, si accorse che gli occhi del lupo non erano cattivi, e gli si avvicinò.
- Sì, c’è decisamente qualcosa che non va con questo Cappuccetto Rosso. Ma dove diavolo sei? Mi sembra che la tua voce si sia allontanata…
- Avrai sbagliato direzione. Continua a seguirmi. “Che c’è, lupo?”, chiese Cappuccetto Rosso posando una mano sulla testa dell’animale e accarezzandolo, “Perché mi hai chiamato?”. “Mi sento solo, qui nel bosco…”, rispose il lupo, strofinando il muso contro il grembo del ragazzo, “Tutti mi evitano, dicono che sono crudele, ma non è affatto vero…”. “Oh, povero lupo…”, disse Cappuccetto, commosso, “Posso fare qualcosa per te?”. “Puoi starmi vicino…”, disse il lupo, costringendolo a sedersi e accucciandosi accanto a lui. Dopodiché, sotto lo sguardo meravigliato di Cappuccetto Rosso, il lupo si trasformò in un uomo bellissimo.
- Che?!
- “Ti ho preso”, disse il lupo abbracciandolo di sorpresa.
Mi hai preso, pensò Matthew, congelandosi, mentre due braccia gli si stringevano attorno alla vita e qualcuno gli si pressava contro la schiena.
- Ti ho preso. – ripeté l’uomo, sfiorandogli l’orecchio con le labbra.
- L-Lasciami andare…
- Ormai ti ho preso, Cappuccetto. Sta’ tranquillo, sarà divertente…
- Io non- - gli morirono le parole in bocca, quando lui ricominciò a sfiorarlo con la mano attraverso i pantaloni.
- Non…?
- Non… lasciami…
- Non vuoi che ti lasci…?
- No! Voglio che… voglio…
L’uomo lo spinse da dietro, costringendolo ad avanzare. E lo costrinse ad avanzare finché non incontrò il muro e vi si schiacciò contro.
Solo allora gli sbottonò i jeans e, lentamente, abbassò la zip.
Il suono della cerniera lo esasperò.
- S… Smettila subito…
Ignorandolo, l’uomo gli abbassò i pantaloni e lo liberò dai boxer, prendendo ad accarezzarlo lentamente, stringendo delicatamente la sua erezione fra le mani – cazzo, pensò Matthew, cazzo, perché diavolo sono così eccitato?
- Il tuo corpo lo vuole… - mormorò lo sconosciuto, pressandosi contro di lui – poté sentirlo spingere il bacino contro di lui, oddio, qualcuno faccia esplodere questo posto e mi ci lasci.
Ansimando faticosamente, Matt si lasciò andare, la fronte contro il muro, gli occhi chiusi. La mano dello sconosciuto continuava a muoversi lentamente, senza sosta, quella sensazione lo stava facendo impazzire, avrebbe voluto dirgli di muoversi più veloce, quella era una tortura…
E d’improvviso, la mano si fermò, e Matthew ebbe un sussulto tale che si morse la lingua.
- Cosa… perché…
L’uomo ridacchiò, orgoglioso della conquista.
Adesso sapeva che anche Matt lo voleva.
Lo sentì armeggiare con una cintura, e capì che si stava togliendo i pantaloni. La supposizione si rivelò reale quando sentì il suo sesso cercare di infiltrarglisi fra le natiche – e lì non poté semplicemente rilassarsi e lasciar fare.
- No! No, aspetta! – quasi gridò, schiacciandosi contro il muro nella speranza di sfuggire a quel tocco, - Questo no!
L’altro gli sorrise sulla pelle, baciandogli il collo – dannati brividi.
- Va bene. Ci sono tanti altri modi per divertirsi in due.
- Tipo giocare a carte…? – ironizzò, cercando di riportare il suo respiro a un ritmo meno indecente e sorridendo – sapeva già che sarebbero andati fino in fondo.
L’uomo lo costrinse a voltarsi, pressandoglisi addosso. Sentì immediatamente i loro sessi toccarsi, e non poté trattenere un gemito misto di sorpresa e piacere.
- Ti ho proprio preso, Cappuccetto…
…detestava quella voce. Detestava il suo tono sicuro e sensuale, detestava che gli parlasse come se fosse un bambino, o uno sprovveduto, o uno stupido. Desiderò farla tacere, quella dannata voce, e perciò cercò le sue labbra, nel buio, senza sapere se dovesse dirigersi verso l’alto o verso il basso, cercò quelle labbra e le trovò a pochi centimetri dalle sue.
Dio, cosa sto facendo?
Erano morbide, le labbra dello sconosciuto. Sembravano labbra da ragazza. Sapevano di fumo, di vodka alla pesca, avevano perfino il sapore vuoto del lucidalabbra, un gusto senza gusto.
Chi è quest’uomo?
Voglio vederlo in faccia.

Lo sconosciuto si muoveva velocemente contro di lui, mugugnava, gemeva, gli sfiorava il petto sotto la maglietta – aveva le unghia corte, sembravano rovinate – e Matt semplicemente non riuscì a tener ferme le mani, dovette sollevarle, dovette cingergli il collo con le braccia, si sentì male, si sentì succube, la pelle del suo collo era liscia e sottile, lo baciò ancora, odiò quelle labbra, adorò quelle labbra, quelle labbra piene e bagnate, adorò quei fianchi in movimento ritmico contro i suoi, adorò il pene che gli si strusciava addosso, adorò tutto, di quel momento, adorò, e odiò, e si sentì in colpa, ed ebbe voglia di ringraziare Dom e picchiarlo fino a lasciarlo morto per terra, e poi d’improvviso l’altro uomo tremò, e si sentì tremare anche lui, e venne sopraffatto dal piacere dell’orgasmo.
Rimase per qualche secondo immobile contro il muro, ansimando, cercando di calmarsi, ascoltando il battito furioso del suo cuore e percependo attraverso la maglietta il colore dell’altro corpo abbandonato sul proprio, mentre una sensazione poco piacevole di qualcosa di bagnato che gli scendeva lungo le gambe cominciava a farlo sentire a disagio.
- Però… - mormorò l’uomo fra un ansito e l’altro, - Sei stato molto più collaborativo di quanto non sperassi.
- Molto gentile da parte tua rinfacciarmelo, quando sai benissimo che era l’ultimo dei miei desideri…
- Be’, - ridacchiò l’altro, - l’ultimo direi proprio di no…
In quel momento, suonò il campanellino. A Matt trillarono le orecchie. Quello era uno dei suoni più brutti che avesse mai sentito.
- Fra trenta secondi le luci verranno accese. Se non avete intenzione di vedervi, vi preghiamo di voltarvi schiena contro schiena e aspettare che una hostess venga a riprendervi.
- Pare sia finito il tempo. – constatò lo sconosciuto, separandosi da lui e sistemandosi i pantaloni, - Be’, è stato un piacere…
Matt tirò su i jeans e li richiuse, mordendosi le labbra.
Non poteva andarsene così.
Con uno scatto improvviso, afferrò il braccio dell’uomo prima che potesse allontanarsi.
- Voglio vederti. – disse a bassa voce, cercando nel buio i suoi occhi.
- Come…? – chiese l’altro, incredulo, senza forzare la sua stretta.
- Voglio vederti. Avrò diritto almeno a questo, no?
L’uomo ridacchiò, scrollando le spalle.
- Certo che sì.
E le luci si accesero.
Matt chiuse gli occhi, aspettando di abituarsi alla nuova condizione. Poi sollevò lo sguardo e individuò la figura di fronte a lui.
La sua mano stringeva il polso bianco e sottile di Brian Molko.
- …tu. – esalò, sconvolto, fissandolo negli occhi.
- Io. – sorrise Brian, liberandosi della stretta ormai molle della sua mano.
- …perché non mi sembri sorpreso…?
- Avevo immaginato fossi tu. Non conosco molte persone che parlano come te.
- Oddio. Oddio, non ci posso credere…
- Avanti, - rise Brian, - fosse stato un perfetto sconosciuto ti sarebbe andato bene! Perché fai storie, ora che hai scoperto che ero io?
- Perché tu… io… noi ci odiamo!
- Guarda, dopo oggi non ne sono più tanto sicuro, abbiamo una buona intesa, non so come ho fatto a non capirlo prima…
- Non esiste! Non provare neanche a fare discorsi del genere!
- E poi sei fortunato, avrebbe potuto capitarti un cesso… invece ti sono capitato io, molto meglio, no? E comunque non è che questa cosa debba necessariamente cambiarti la vita, è stato divertente ma puoi anche non volermi più rivedere…
Esasperato, gli voltò le spalle, allargando le braccia in segno di resa.
- Esatto. Io non ti voglio vedere mai più.
- Sul serio?
- Sul serio! – gridò, voltandosi d’improvviso e trovandosi Brian a pochi centimetri da lui.
- Sul serio…? – ripeté l’uomo, sfiorandogli le labbra con un bacio.
Matt arrossì. Si voltò.
- Non lo so. – rispose, mentre già Brian sogghignava, anche se lui non poteva vederlo. – Ti farò sapere.
Pairing: BrianxMatt
Genere: Comico, Romantico.
Rating: PG
AVVISI: CrackFic, Doppio/Triplo Drabble, Fluff.
- Per augurare tanta gioia a Matt Bellamy nel giorno in cui compie trenta sfolgoranti e meravigliosi anni <3 cosa può esserci di meglio di Brian Molko e un trolley rosa...?
Conto Parole: 269
Commento dell'autrice: Prima di tutto, ci tengo a specificare che questa storia avrebbe dovuto scriverla la nee-chan XD L’idea è totalmente sua XD Ma lei è così pigra e rifiuta l’idea di scrivere RPF a tal punto che ha preferito sdoganarla a me – e non so se abbia fatto bene XD
Avanti, sappiamo tutti che ciò che Matt Bellamy desidera più al mondo è UN ALTRO trolley rosa (dal momento che uno già ce l’ha X’D).
A parte questo, sia Brian che Matt sono completamente dementi in questa fic XD ma va be’. Che tanto non so neanche che tipo di fic è XD Troppo lunga per essere un doppio drabble, troppo corta per essere un triplo XD Sarà una flashfic modello EFP! “XD
Buon compleanno, Matt, sei la luce della vita di tutti noi ç//////ç!!!
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Pink Trolley's Got The Power!


Spalancò la porta, trainando trionfante un enorme scatolone ricoperto di carta rossa e decorato da fiocchi di ogni colore umanamente riconoscibile, con un sorriso talmente ampio che sembrava sul punto di sfondare i contorni delle guance per espandersi in tutto il resto dell’universo.
- Amore!!! Buon compleanno!!!
Matthew sollevò lo sguardo dal foglietto spiegazzato sporco d’inchiostro che aveva tra le mani, e subito anche sul suo viso si aprì un immenso sorriso.
- Un regalo!!! Per me!!!
Brian gli si avvicinò, brillando come un albero di Natale.
- Pensavi che l’avrei dimenticato, vero? – chiese con un sorriso furbo,
- Mmmmh, no, non ho mai avuto dubbi. Sapevo che l’avresti ricordato. – rispose lui, ringraziandolo con un bacio.
- Comunque coraggio, aprilo! Non vedo l’ora di sapere che ne pensi!
Emozionato come non mai, Matt scartò il pacco, ficcando la testa all’interno dello scatolone per verificarne il contenuto.
Quando risollevò lo sguardo, i suoi occhi immensi erano completamente inondati di lacrime, e il suo labbro inferiore tremolava al punto che avrebbe potuto tranquillamente staccarsi dal suo viso e tremolare indipendentemente ancora a lungo.
Brian indietreggiò, terrorizzato.
- Cosa?! – chiese, cercando di trattenere i tremiti nella voce.
- Brian… Brian… - piagnucolò Matt, come non avesse la forza di dire altro, - Briaaaan…
- Cosa ho fatto? Oddio! Ho sbagliato qualcosa? ODDIO!!!
In un secondo fu accucciato al suo fianco, guardandolo da vicino per capire se si fosse fatto male da qualche parte.
Ma Matthew non faceva altro che fissare con aria sconsolata il trolley fuxia che riposava nel polistirolo e nella bambagia all’interno dello scatolone.
- Avevo detto rosa, Bri, ROSA!!!
Genere: Triste, Malinconico, Romantico.
Pairing: MatthewxBrian
Rating: PG-13
AVVISI: AU, Boy's Love, Incompleta.
- Brian ha sei anni, e gli piace giocare con la sabbia, al parco. Quando incontra Matt per la prima volta, non può fare a meno di trovarlo insopportabile: quel bambino non lo ascolta, e per di più ha rubato il suo posto preferito! Ma a volte basta un po' di pazienza e un minimo di comprensione per cambiare una vita intera...
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SHIMMERING
Song #27. Listen to your heart

PRIMA PARTE
I GUESS YOU WERE LOST WHEN I MET YOU


Mi piace lo scivolo. Però mi piace di più farlo al contrario, perché quando lo fai per il verso giusto cadi sempre nella terra e ti sporchi. E poi è più divertente quando ti arrampichi. Quando scivoli non è la stessa cosa, perché tu non devi fare niente! Tu stai lì e scivoli! E poi ti sporchi! Invece quando ti arrampichi ti devi arrampicare, devi usare le braccia e le mani e poi quando scivoli al contrario ti puoi aggrappare allo scivolo e metterti in ginocchio e non cadi più. E poi tutti i bambini stanno sempre a guardare, quando ti arrampichi sullo scivolo, e fanno il tifo per te! Anche se poi papà e mamma ti rimproverano perché gli altri genitori si sono lamentati con loro che dai un brutto esempio agli altri bambini…
L’altalena no, invece, non mi piace per niente. È sempre pieno di bambine là intorno, che si litigano e si tirano i capelli perché vogliono salirci per prime, e poi non mi piace perché ci sono sempre un sacco di grandi. I bambini vogliono sempre farsi spingere dai grandi. Io se volessi salire su un’altalena non vorrei farmi spingere da un grande, perché i grandi quando spingono l’altalena si divertono troppo. Ai bambini non piace andare così in alto, è ai grandi che piace vederli dondolare tanto.
Almeno, a me non piace.
Però la cosa che mi piace di più è la piscina di sabbia. Nella piscina di sabbia puoi fare tutto quello che vuoi! Puoi usare le palette e i secchielli e i supereroi, e poi è sempre vuota, perché alle mamme non piace che i bambini ci giochino dentro. Questo è perché molti bambini sono stupidi, si mangiano la sabbia. È da stupidi! Papà mi ha insegnato che la sabbia non si mangia quando ero ancora un bambino piccolo. Io da allora non l’ho mangiata più, e non capisco perché invece gli altri bambini continuano a mangiarla e ridono pure mentre lo fanno! Forse gli piace fare arrabbiare le mamme.
Comunque a me la piscina di sabbia piace perché è sempre vuota, soprattutto. Posso farci quello che voglio e non devo chiedere niente a nessuno, perché tanto mamma sa che io la sabbia non la mangio, e quindi non si preoccupa!
Oggi però c’è un bimbo nuovo.
Già mi sta antipatico, perché quando è arrivato si è andato subito a mettere nella sabbia, e anche se io ero seduto nello sgabello e stavo colorando un foglio lui lo doveva sapere che quello era il mio posto!
Mi alzo dallo sgabello e mi avvicino a lui, e rimango fuori dalla piscina con le mani sui fianchi a guardarlo.
- Bambino!
Lui non mi guarda.
L’ho chiamato, deve guardarmi!
- Bambino!!! – urlo più forte e pesto un piede a terra, così se non sente la mia voce almeno si spaventa perché crede che gli voglio dare botte e si gira!
- Brian! – sento la mamma chiamarmi dalla panchina dove è seduta, - Che sta succedendo?
- Non si gira! – mi volto a guardarla io.
- Lascialo in pace… - sbuffa mamma, annoiata, e sbuffo pure io e torno a guardare il bambino.
Quello è il mio posto, lui non ci può stare! Io come mi diverto, sennò?
Entro nella piscina e lo guardo.
Lui si ferma e guarda per terra.
Poi piano piano si gira e finalmente mi vede.
Quasi sorride, però si ferma subito, forse perché capisce che sono arrabbiato con lui, e allora rimane a fissarmi. Ha una faccia stupida! Sembra che stia chiedendo cosa voglio! Ma non lo capisce da solo?
- Bambino, non ci puoi stare qui! Questo è il mio posto, ci sto sempre io da solo! Te ne devi andare! – dico velocemente, perché sono arrabbiato e quando mi arrabbio parlo un po’ veloce.
Il bambino mi guarda e non dice niente, ma siccome vede che non sono felice si alza dalla sabbia e fa una specie di cosa con la testa, tipo che la muove un poco verso il basso.
- Allora, te ne vai? – dico io, mentre lui ancora non mi guarda.
Lui continua a fissare per terra e poi si siede di nuovo, e ricomincia a giocare con la sabbia.
Sta facendo finta di non sentirmi!
Però questo è il mio posto e a me non mi interessa se lui continua a fare così. Mi siedo proprio lì davanti, prendo la paletta e comincio a scavare, e butto la sabbia dal suo lato!
Lui mi guarda per un po’. Ha gli occhi grandi grandi, forse pure più dei miei. Forse no, però sono grandi lo stesso, e brillano un pochino.
Sorride, prende la sabbia con la mano e la avvicina alla bocca.
Lo sapevo che era uno di quei bambini stupidi!
Lo prendo per un braccio.
- Non si fa! – urlo, spingendolo per fargli cadere la sabbia dalla mano. Poi lo lascio andare.
Lui guarda me. Poi la sabbia. Poi di nuovo me.
Questo bambino guarda troppo!
Rimane un attimo fermo a pensare e poi mi avvicina il pugno ancora pieno di sabbia alla faccia, e sorride felice.

- Guarda che io non ne voglio! – mi lamento, possibile che non capisca? – Ti stavo dicendo che non la devi mangiare neanche tu, perché ti fa male! Poi ti vengono i vermetti nello stomaco e devi andare all’ospedale e ti fanno la puntura!
Lui diventa triste all’improvviso e fa no con la testa.
- Ma come no? Ti dico di sì! – dico io, aprendogli le dita una a una e pulendogli la mano, - Ascoltami. – continuo, guardandolo negli occhi, - La sabbia non si mangia? Ok?
I suoi occhi ricominciano a brillare. Forse ha capito!
Fa sì e stacca la mano, così può pulirsela meglio, e poi comincia a guardare il mio rastrello.
Non ha giocattoli. Guardo dietro di lui, per vedere se li ha nascosti dietro le spalle perché magari sono brutti e non vuole farmeli vedere, perché i miei sono bellissimi e sono costati un sacco di soldi, e tutti i bambini me li invidiano, ma lui proprio non ne ha neanche uno! Ecco perché si mangiava la sabbia, non è che è stupido come gli altri bambini, che pure quando hanno i giocattoli continuano a mangiarsela, lui non sa come si usa!
Prendo il rastrello e glielo passo.
- Tu con questo ci devi spostare la sabbia. Così. – dico, facendogli vedere cosa deve fare, - Lo vedi che lascia queste righe? Così noi poi possiamo giocare che piantiamo i semi!
Lui fa ancora sì e prende il rastrello, e poi comincia a passarlo sopra alla sabbia che gli avevo tirato addosso prima, così della collinetta che c’era rimane solo un quadratino giallo tutto a righe.
Boh, non sembra così stupido, alla fine.
Forse è solo piccolo, sicuro più piccolo di me. E forse è solo uno di quei bambini silenziosi che hanno le mamme che gli ripetono sempre che non devono parlare con gli sconosciuti. Anche la mia mamma me lo ripete sempre, però io lo capisco che quando lei dice sconosciuti non dice gli altri bambini ma solo i grandi pericolosi. Lui forse non l’ha capito. Forse è meglio che glielo spiego.
Boh, io lo guardo e lui sorride ancora, e una volta che ha finito di fare le righe in un verso si volta un poco e le fa pure nell’altro.
- Guarda che… - dico, dandogli una ditata sul braccio, - non devi… - però non riesco a continuare, perché lui sta continuando a sorridere… e boh, sembra felice di fare le cose così. Cioè, poi sarà difficile giocare a seminare se ci sarà la sabbia che somiglia a una cialda a quadretti, perché poi i semi non si capisce dove dovrebbero andare, e poi visto che non ci sono sul serio è anche più difficile… però lui è lì che fa i suoi quadretti col rastrello ed è tranquillo…
Alla fine non mi dà tanto fastidio che non parla.
- Io mi chiamo Brian. – dico, tirandolo per la maglietta, perché ho capito che se non lo tocco lui non mi ascolta, - Piacere. – e gli do la mano come mi ha insegnato a fare papà.
Aspetta, era la sinistra o la destra?
Non me lo ricordo!
Mi fermo un secondo, e forse è meglio così, perché tanto l’altro bambino non mi dà nessuna mano, e neanche mi parla, ma sorride ancora e diventa tutto rosso, pure sulle orecchie! Sarà che è pallido, ma è veramente rosso come un pomodoro!
- Tu non ce l’hai il nome? – chiedo ancora. Mi dà fastidio che non mi vuole dire come si chiama! Poi io come faccio a chiamarlo la prossima volta che lo vedo?
Lui mi fissa la bocca per qualche secondo e poi vedo che i suoi occhi si illuminano di nuovo – mi piace quando lo fanno – e sorride ancora, e poi si mette in ginocchio sulla sabbia e comincia a scrivere con un dito fra i granelli.
- M-a-t-t-h-e-w… - leggo, lettera dopo lettera, - Okay, - era la sinistra, mi sa, gliela tendo, - piacere Matthew!
Sento i granelli di sabbia che gli sono rimasti sulle mani e che ora passano sulla mia. Mi rimarranno appiccicati…
Va be’.
- Brian! – chiama mamma, alzandosi in piedi, - A casa!
Io mi alzo di scatto perché sono abituato che quando lei mi chiama io le corro subito dietro, tanto di solito non c’è nessuno che sta facendo cose con me. Matthew mi segue con gli occhi, e io mi fermo e lo guardo, e poi guardo il rastrello, e anche lui lo guarda, e insieme vediamo che non ha ancora finito di fare le righe in obliquo.
Lo tocco con un dito sulla spalla, mi sembra strano che devo parlargli così, mica la mia voce passa attraverso il dito!, e gli dico che può tenerlo se vuole, tanto me lo dà la prossima volta. Lui sorride e fa di nuovo sì con la testa, veloce, e poi mi saluta agitando la mano e ritorna a giocare col rastrello, e io vedo che è veramente felice perché ogni tanto fa qualche versetto strano come se volesse ridere. Magari è troppo timido pure per ridere.
Io raggiungo la mamma, lei mi dà la mano e io la prendo e comincio a camminare accanto a lei. Però penso ancora a Matthew, e ogni tanto mi giro e lo guardo, e sono contento che sta ancora lì a giocare col mio rastrello, così quando ci incontriamo di nuovo possiamo ricominciare da dove ci siamo fermati oggi!
- Hai fatto amicizia con quel bambino, Bri? – chiede mamma sorridendo.
Io faccio boh con le spalle.
- Sono contenta. – dice lei, - È bello che non badi alle differenze. Sei un bravo bambino, Brian.
Che differenze?
Che lui è timido?
- Ma guarda che è solo un bambino silenzioso. – dico alla mamma, - È normale.
Lei mi guarda e ride piano.
- Quel bimbo è sordomuto, Bri… significa che non riesce a sentire perché le sue orecchie non funzionano bene, e non riesce neanche a parlare…
Ah.
Allora… non è che era il mio dito…
- Ma io ci ho parlato…! – comincio, però poi capisco da solo che non è proprio vero, - Cioè, io gli dicevo le cose e lui le capiva…
- Probabilmente ti leggeva le labbra, Brian.
- Si può fare questa cosa?!
Mamma ride ancora.
- Sì, certo che si può. Basta che te lo insegnino. Coi bambini che ne hanno bisogno si fa.
Mi fermo in mezzo al marciapiede, prima di attraversare la strada. Mamma mi tira un po’, ma io resto fermo, con gli occhi bassi, a fissarmi le scarpe.
- Brian, tesoro…?
- Aspetta!!! – urlo e stacco la mia mano dalla sua, e poi mi giro e torno dentro il parco, e siccome mamma ha le gambe più lunghe delle mie e io ho paura che mi riprende, mi metto a correre più veloce, e poi vedo la piscinetta di sabbia, e Matthew è ancora lì che gioca col rastrello, tutti i vestiti pieni di granelli, e anche i capelli, e ne ha pure appiccicati sulla faccia, e io arrivo fino a lì e mi fermo, e provo a trovare le parole per…
…però non voglio dirgli niente…
Perché tanto non servirebbe, lui non mi sente, e a me non mi interessa se lui capisce lo stesso, perché io voglio che le mie scuse le sente dalla mia voce, sennò non è la stessa cosa…
Vorrei dirgli che sono stato stupido, e che non volevo offenderlo e trattarlo male, e che se vuole la prossima volta può prendere pure la paletta e il secchiello assieme al rastrello, anzi, magari glieli lascio tutti, e poi se vuole può tirare lui la sabbia addosso a me, e potremo stare insieme nella piscina di sabbia tutte le volte che vuole, promesso!
Ma come faccio a dirglielo…?
Lui guarda per terra e si blocca un secondo come un robottino, e poi si volta e quando mi vede fa questo sorriso grandissimo e mi guarda con gli occhi che brillano e tipo mi vuole dare il rastrello perché forse vuole una mano per il disegnino che sta facendo nella sabbia, ma io faccio no, e poi lo prendo per le spalle e siccome non lo so bene cosa si fa in questi momenti, perché non mi è mai successo, lo prendo e lo abbraccio.
Lui fa una cosa strana, forse trema un poco, si appiccica con le mani alla mia maglietta e stringe. Non lo so, forse gli ho fatto paura.
- Scusa! – dico ad alta voce, quando mi stacco da lui, e poi divento rosso e lo ripeto, però più a bassa voce. Tanto è uguale, e lui sorride lo stesso e fa “no”, che non mi dovevo scusare, e io sono felice che lui me lo dice, anche se penso che mi dovevo scusare comunque.
Mi fa di nuovo “ciao” con la mano, e stavolta glielo faccio anche io.
- Brian! Avevi dimenticato qualcosa dal bimbo? – chiede mamma, avvicinandosi piano e dandomi la mano per aiutarmi a uscire dalla piscinetta di sabbia.
- No. Dovevo solo dirgli una cosa. – dico io.
Faccio “ciao” di nuovo, a anche Matthew lo fa di nuovo, e fa di nuovo anche quegli altri versetti come quando ride.
- Mamma, mamma! – la chiamo sorridendo, mentre la tiro per un braccio chiedendole di farmi saltare, - Torniamo di nuovo, okay?

Pairing: BrianxMatt.
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, OC, Incompleta.
- Quando, nella folla scalpitante che è il pubblico del concerto, Brian Molko intravede Matthew Bellamy, ha una "brillante" idea, le cui conseguenze saranno a dir poco devastanti per la sua vita, per quella di Matthew e per il gruppetto di fangirl slasher che assiste allo show e per le quali l'unico obiettivo degno di essere perseguito è quello di cercare di tramutare in realtà ciò che scrivono nelle loro fic...
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A LITTLE RESPECT
CAPITOLO 1
HAVE FAITH AND PREY


- COSA STAI ANDANDO A VEDERE?!
Incredulo, Matt fissò la ragazza di fronte a lui – quella che, è bene precisarlo, avrebbe, AVREBBE dovuto essere la sua ragazza – e si abbandonò sulla sedia, appoggiandosi allo schienale, sconsolato.
- Non posso crederci… - farfugliò, ancora sconvolto, portando una mano fra i capelli, - Non posso credere che lo farai davvero…
- Avanti, Matt… - disse lei, stringendosi nelle spalle, i corti capelli a caschetto a ondeggiare sul collo, - E’… è solo un concerto…
- Sì, ma… oddio, non riesco neanche a dirlo… un concerto dei PLACEBO!!!
La ragazza sbuffò, contrariata.
- Oh, insomma. Ho ascoltato abbastanza lamentele. Non avresti fatto così se ti avessi detto che stavo andando a guardare, che so, il concerto dei Dream Theater!
- Se mi avessi detto che stavi andando a vedere un concerto dei Dream Theater ti avrei implorato di portarmi con te!
- Matt, santo cielo, ho comprato i biglietti e non intendo…
- Gaia, quella sottospecie di essere umano è convinto che io lo invidi! E, cosa ancora peggiore, è convinto di essere più bravo di me! Non so se comprendi!
Gaia sbuffò, esasperata.
- Comprendo solo che secondo te Brian Molko è un pallone gonfiato. E dunque?
- Come “e dunque”?! Che poi, sinceramente, non capisco come uno possa arrivare a spendere soldi per guardarli dal vivo, neanche fossero miracolosi…
La ragazza scrollò le spalle, guardando un punto imprecisato nel vuoto.
- Be’, in realtà sono bravi. – disse, aspettando la detonazione.
- BRAVI?! Sono degli emokid troppo cresciuti, il cui unico punto di forza è saper giocare bene sull’ambiguità sessuale e avere un frontman che, pur essendo una testa di cazzo, qualche anno fa, prima delle rughe, era carino e sembrava femmina!
Gaia sospirò. Sapeva che Matt non si sarebbe spostato di un millimetro dalle sue convinzioni, e che avrebbe fatto di tutto per cercare di convincerla a non andare a quel concerto.
Così come sapeva che non c’era niente che lui potesse fare per riuscirci.
Si alzò in piedi, scrollando le spalle e gettando uno sguardo veloce all’orologio a muro.
- E’ già tardi. – disse, - Devo andare. Cos’hai deciso?
- Ah, no, se anche potessi consentire a te di andare a vedere questo… questo scempio, di sicuro io non andrò mai a vedere i Placebo dal vivo.
- Ma non ci sei mai stato, dai, potrebbe rivelarsi una sorpresa…
- Potrebbe sorprendermi solo ancor più negativamente!
- Matt, non vorrai costringermi a stare in fila da sola per cinque ore mentre aspetto che inizi il concerto e cerco di guadagnarmi un buon posto?!
- Sono problemi tuoi! Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
- Matt!
- Ho detto mai, Gaia!
- Così sprecheremo i soldi del tuo biglietto!
- Sono sicuro che troverai qualche morto di fame a implorare carità davanti alle porte del forum.
- Matt, smettila di fare il bambino e infilati quella giacca, andiamo!
- Non ho nient’altro da dire.
Si fronteggiarono, fissandosi negli occhi con rabbia omicida, i pugni stretti e i lineamenti tesi.
- E’ la tua risposta definitiva? – ringhiò Gaia, gli occhi ridotti a due fessure.
Matt fece un passo indietro, spaventato.
Aveva imparato ad avere paura della sua ragazza, quando lo guardava in quel modo.
*

L’aria.
È così naturale averla a portata di naso che non ne capisci mai l’importanza.
Almeno fino a quando non ti trovi schiacciato tra centinaia di persone che pressano spingono tirano si buttano avanzano e indietreggiano seguendo percorsi e strategie complicatissime solo per raggiungere l’agognato obiettivo della prima fila, e, una volta giunte lì, morire schiacciate dalla massa che pressa alle spalle.
Teresa detta Terry, Julianne detta Julie e Amanda detta Amanda – perché qualsiasi vezzeggiativo sembrava troppo idiota per potere essere usato seriamente – erano a buon punto. Perdute da qualche parte nel centro esatto del forum, riuscivano a intravedere in lontananza il palcoscenico.
Avevano fatto del suo raggiungimento lo scopo della loro vita – almeno per le prossime cinque o sei ore.
- Sono già due ore che stiamo qua in mezzo, Julie… magari ci fermiamo? – propose Amanda, già annoiata dal clamore, dalla puzza di sudore e dai corpi degli altri esseri umani, troppo vicini per non essere insopportabili.
- Neanche se mi offrissero la vita eterna mi fermerei adesso! – disse la ragazza, col fuoco negli occhi.
- E se ti offrissero la vita eterna e ti permettessero di passarla con Brian? – chiese Teresa, gli occhi brillanti, persa nelle sue fantasie da delirio pre-concerto.
- Terry, che razza di ipotesi fai? Allora, ci muoviamo?
Così dicendo, spintonò un po’ a destra e un po’ a sinistra, lasciò che Teresa si infiltrasse nel microscopico pertugio che le sue spinte avevano generato e poi, tirando Amanda per un braccio, forzò l’apertura, fiondandocisi in mezzo e trascinando con sé le sue amiche e buona parte dei cadaveri già persi e abbandonati per strada.
Guadagnarono due file.
Se di file si poteva parlare in mezzo a quella massa informe.
- Ha! Sono fiera di me! Amanda, guarda se si vede il palco!
Dall’alto del suo metro e ottanta, Amanda si issò sulle punte e mise teatralmente una mano sulla fronte, come volesse coprire gli occhi dal sole.
- Be’, io lo vedo, ma per voi non c’è speranza.
Teresa sbuffò. Amanda era molto alta, certo, ma questo non la consolava. Insomma, Julianne era più bassa di Amanda, ma parlando di lei si poteva ancora parlare di stature normali.
Maledisse quei nanerottoli dei suoi genitori per il suo metro e cinquanta scarso.
Julianne le diede una pacca sulla spalla, sorridendole rassicurante, una gocciolina di sudore che le scendeva lungo una tempia.
- Non fare così, tanto questo posto non va bene neanche per me. Avanziamo ancora!
- Per carità… - si lamentò Amanda, sbuffando e roteando gli occhi, ma non si oppose quando venne nuovamente arpionata per il braccio e costretta a fendere la folla.
Mentre le tre avanzavano utilizzando Amanda come uno spartighiaccio, successe un miracolo. Qualcuno, qualcuno di molto vicino al palco, venne malamente spintonato da qualcun altro e cadde di lato. A seguito di questo smottamento, molte delle persone che si reggevano in equilibrio precario su un piede, in cerca di spazio dove poggiare l’altro, capitombolarono rovinosamente per terra.
Si aprì un varco.
Per poco Amanda non prese le sue due amiche per la collottola, nel tentativo di guadagnare quella terra santa.
Quando ebbero preso possesso del luogo, le tre si lasciarono finalmente andare a un sospiro di gioia e sollievo: erano arrivate a qualcosa come la terza fila, sempre se di file si poteva parlare! Il palco era così vicino che quasi avrebbero potuto prenderlo d’assalto e salirci sopra.
- Allora, ricapitoliamo il piano. – disse Julianne, seria, cercando senza riuscirci di mettere una mano sul fianco, - Aspettiamo che cominci il concerto, assaliamo il gruppo e rapiamo Brian. Dopodiché lo cloniamo e facciamo uno a testa, no?
- No! – si agitò Teresa, come se quello di cui stavano parlando fosse realmente possibile, - A me dovete darne due, uno devo portarlo a Phil.
- Ah, già, - disse Amanda, supponente, prendendola in giro, - non solo dobbiamo improvvisarci genetiste per realizzare una clonazione umana, ma dobbiamo anche supportare la latenza omosessuale del tuo ragazzo canterino…
- Lui… non ha nessuna latenza omosessuale! Lo vuole perché dice che deve rubargli le corde vocali!
- Sì, sì, - disse Julianne, dandole un buffetto sulla guancia, - vedrai, tesoro, un giorno Phil capirà che il motivo per il quale le sue prestazioni sessuali sono deludenti…
- Julie!
- …non è altro che in realtà non è interessato al genere femminile. E allora sarà più facile per tutti: per lui lasciarti e per te finalmente cadere fra le mie braccia.
- Santo cielo…
- Sì, Julie, - aggiunse Amanda, - Smetti di provarci con lei almeno oggi, per carità, risparmiaci…
- Oh, - si giustificò lei, sbuffando, - che posso farci se mi viene dal cuore?
- Va bene, va bene… - sbuffò Terry, tirando fuori dalla borsetta un blocchetto per gli appunti, - Invece di parlare di questi argomenti inutili, vediamo di occupare il tempo in maniera fruttuosa: stabiliamo la trama della fic fino alla fine.
Parlare della fanfiction a sei mani che stavano scrivendo piaceva loro molto più che scriverla, perciò prendere appunti per capitoli futuri dei quali avrebbero scritto qualche parola solo mesi dopo era la loro attività preferita.
- Ah, sì! – disse Julianne, illuminandosi, - Proprio ieri sera, prima di andare a letto, ho preso qualche appunto!
Tirò fuori un fogliettino spiegazzato dalla tasca degli strettissimi jeans che indossava, uccidendo una ragazzetta vestita come una brutta copia di Amy Lee con una gomitata.
- Allora, pensavo che il prossimo capitolo si potrebbe farlo un po’ più umoristico del precedente, no? Anche perché il venticinquesimo è stato proprio deprimente, Amanda…
La ragazza sbuffò, contrariata.
- Non era “deprimente”, ignorante. Era drammatico. C’è una bella differenza.
- Sì, però devi ammettere – si intromise Terry, stringendosi nelle spalle, - che avrebbe potuto essere un attimino più soft.
- Oh, insomma! Se non volete guardare in faccia la realtà non è colpa mia!
- Amanda, non s’è mai visto uno che prende coscienza di essere gay e quasi si butta dal balcone per la disperazione, Cristo! – sbottò Julianne, esasperata.
Il genere entro il quale avrebbe dovuto iscriversi la loro fanfiction era sempre stato motivo di pesanti liti fra di loro. Questo perché, mentre Amanda provava una perversa attrazione per tutto il filone delle, a scelta, emo/drama/dark/angst/death fic, Julianne non smetteva un secondo di perorare la causa delle fic umoristiche/demenziali/nonsense e Teresa, per conto suo, cercava di infilare batticuori, rossori, dichiarazioni e tenerissime prime volte in tutto ciò che scriveva, trasformando qualsiasi tipo di fic in una romance in un battito di ciglia.
- Infatti secondo me adesso sarebbe proprio l’ora di una romantica re-union!!! – suggerì Terry giungendo le mani sul petto e sorridendo, persa nelle sue fantasie.
- Ma non esiste proprio! – si oppose Amanda, guardando le due amiche dall’alto in basso come fossero stati scarafaggi, - Questo è il momento perfetto per una bella e drammatica presa di coscienza da parte di Brian!
Le altre due ragazze la guardarono attonite.
Ah, sì, piccola precisazione: nella fic che stavano scrivendo, uno dei protagonisti era Brian Molko. E non avrebbe potuto essere altrimenti, visto il morboso amore che nutrivano per il cantante di Placebo.
- Non posso credere che tu dica sul serio… - disse Julianne, con lo sguardo perso nel vuoto, - già nello scorso capitolo la “presa di coscienza” di Matt gli stava costando la vita, a momenti…
Seconda piccola precisazione: l’altro protagonista della storia era Matthew Bellamy, mai-abbastanza-idolatrato frontman dei Muse.
Ebbene sì. Siamo davanti a tre fangirl slasher inglesi in piena regola.
Siete autorizzati a pregare per la salvezza delle vostre anime.
- Non capite! – cominciò Amanda, incrociando le braccia sul petto e battendo nervosamente un piede per terra, - Fino ad adesso, per Brian, quello che c’era con Matt è stato solo un gioco. Ma ora la cosa deve cominciare a muoversi, altrimenti qua non la chiudiamo più e io invece ho già in mente un altro progetto, ve ne parlo poi… comunque, secondo me adesso è perfetto far prendere coscienza a Brian che quello che prova per Matt è serio, capite?
Teresa sbuffò, sconsolata.
- Possiamo anche capire, ma questa cosa sta diventando troppo deprimente! Non dobbiamo mica farlo diventare una versione edulcorata di “The Juda’s kiss”!
- Cosa c’entra “Judas” adesso, quella è tutta un’altra storia!
- E poi comunque stai pilotando troppo la trama, Amanda! – sbottò Julianne, - Anche noi abbiamo diritto di decidere qualcosa!
- Ehm… scusate…
Tutte e tre si voltarono verso la fonte della vocina che s’era appena intromessa nel loro discorso.
La copia venuta male di Amy Lee che Julianne aveva quasi ammazzato poco prima li stava fissando, stringendosi nelle spalle, rossa in viso.
- Scusate se m’intrometto… - continuò la ragazzina, che avrebbe potuto avere più o meno quindici anni, - Vi ho sentito parlare di fanfiction su Brian e Matt, o sbaglio…?
Le tre ragazze gonfiarono il petto, orgogliose.
- Sì. – disse Julianne, sorridendo spavalda, - Ne abbiamo scritte molte per conto nostro, adesso ne stiamo scrivendo una tutte assieme…
- Ah… allora avevo capito bene! – disse la moretta, illuminandosi in viso, - Voi siete le tre autrici di “A little respect”!
Se possibile, le ragazze s’inorgoglirono ancora di più.
Ebbene sì. Venticinque capitoli e centotrentaquattro recensioni all’attivo, la loro fanfiction era la slash più amata del suo fandom.
- Non posso credere di avervi trovato nel mezzo di tutto questo casino! – continuò la ragazza, entusiasta, - La vostra fic è grandiosa, la apprezzo moltissimo!
- Grazie, grazie, non meritiamo tanto… - disse Julianne, deliziata, agitando una mano.
- Stavate decidendo come andare avanti?
- Sì, ma faresti meglio a non ascoltare… - disse Teresa ridacchiando, - Abbiamo un mucchio di capitoli ancora non pubblicati, non vorrei che ti spoilerassi qualcosa…
- Ma che dite, forza, sono un’affamata di spoiler io!
- Mmmh… se è così… - disse Amanda, con un sorriso di sufficienza, - Le sceme, qui, non capiscono che al punto della storia in cui siamo, cioè Matt che ha appena scoperto di essere gay, un bel capitolo d’introspezione angst su Brian starebbe troppo bene!
- Mmh… - rifletté la moretta, grattandosi il mento, - In realtà, se posso dare un’opinione…
- Sì, sì, certo! – la incoraggiò Julianne, entusiasta.
- Be’… ve l’ho già detto un paio di volte anche nelle recensioni… in realtà penso che… - il suo sguardo prese letteralmente fuoco, mentre serrava i pugni e si stringeva nelle spalle, come a prepararsi per una carica, - In realtà penso che in questo momento starebbe benissimo una bella parte NC-17 in cui Matt #&%/&£ Brian e Brian €€/&/(%%/$° Matt e poi tutti e due assieme fanno ][&%/&$(/(&/(%!!! Ecco quello che penso.
Le tre ragazze fissarono sconvolte la nuova arrivata. Mai sentita una sequela simile di sconcezze nella stessa frase, per il progetto di una fancition.
A meno che non si trovassero davanti a…
- Ma… ma… - mormorò Teresa, terrorizzata, - tu non sarai mica…?
- Ah! Scusatemi! Sono una maleducata, avrei dovuto presentarmi! – disse la moretta, scrollando le spalle, - Mi chiamo Marianne, ma probabilmente voi mi conoscete come MarySmut, anche se nelle recensioni mi firmo sempre Annette…
Un urlo si levò dalle tre, zittendo per un attimo tutta la folla.
- TUUUUUUUU SEI MARYSMUUUUUUT!!! LA REGINA INDISCUSSA DELLE LEMON SLASH!!! – ululò Julianne, indicandola, - NON CI POSSO CREDEREEEEEEEE!!!
La ragazza sorrise imbarazzata, arrossendo.
- Ecco… non pensavo di essere così famosa…
- Ma stai scherzando?! – disse Teresa, - Le tue fic sono bellissime! Io le ho lette tutte! Amanda è una tua grandissima fan!
- Grazie, grazie davvero…
- A proposito… - continuò Julianne, guardandosi intorno, - Dove diavolo è finita Amanda…?
- Già… è sparita quando Mary s’è presentata… e non è che sia così facile perdere una come lei…
Proprio in quel momento, tutte e tre abbassarono lo sguardo e la videro. Amanda s’era letteralmente prostrata ai piedi di Marianne.
- Tu sei la mia dea!!! Non ho mai visto una combinazione tanto perfetta fra sesso e introspezione come in “Map of the problematique”, la oneshot che hai scritto un mese fa, e “Interlude”, poi… l’ho trovata illuminante! Per non parlare poi dell’ultima fic che hai pubblicato, “Peeping tom”, mamma mia, quanto ho pianto per quella!!! E adoro anche il fatto che tutti i tuoi titoli siano canzoni dei Muse o dei Placebo, è stupendo!!! Aaaaaaah, non posso credere di averti incontrata sul serio, devi farmi un autografo oraaaaaaaaah!!!
Si fermò, ansante, gli occhi ancora colmi di ammirazione, un sorriso idiota sul volto.
Un po’ stordita, Marianne l’aiutò ad alzarsi.
- Ecco… magari l’autografo lasciamo perdere… - disse, imbarazzatissima, - Però ti ringrazio molto per i complimenti, mi fanno piacere… cercherò di non deluderti neanche con la mia prossima fanfiction…
- Cosa? Stai scrivendo qualcosa di nuovo? – indagò Teresa, emozionata, mentre Amanda, per l’emozione, sveniva definitivamente ai piedi del suo idolo.
- Sì. – annuì Marianne, - Una storia un po’ complessa in cui Brian e Matt, dopo una serie di incontri fugaci, smettono di vedersi, perché si sono accorti che la cosa sta andando un po’ oltre… dopo un po’ riprendono a cercarsi ma a causa di impegni vari et similia non riescono più a rivedersi… l’uno arriva in hotel l’attimo dopo che l’altro se n’è andato eccetera… cose così. – sorrise, - Sarà un po’ triste.
- Posso immaginare… - ridacchiò Julianne, - E il titolo?
- “Without you I’m nothing”. Comunque finisce bene!
- Non vedo l’ora di leggerla! – esplose Amanda, stringendo una mano a Marianne.
La ragazza ridacchiò lievemente.
- Spero che ti piaccia quanto le altre. – disse. – Allora, avete finalmente deciso cosa succederà nel prossimo capitolo di “A little respect”?
*

Si affacciò appena dalle quinte, gettando un rapido sguardo sulla folla. Qualcuno dovette vederlo, perché cominciò ad urlare, e venne presto seguito da tutti gli altri: il forum divenne tutto un’unica voce invocante la loro entrata in scena.
Brian tornò a guardare Stefan e Steve, con un gigantesco sorriso sul volto.
- Sono esaltati! – annunciò trionfante, indicando il pubblico fuori con un ampio gesto del braccio.
- Mmmmmh, che meraviglia, non vedo l’ora di salire sul palco! – gioì Steve, incapace di rimanere fermo e ballando nervosamente da una gamba all’altra.
- Ragazzi, quando volete, luci e sound sono a posto. – disse loro il responsabile del forum, rassicurandoli sulle condizioni della scena.
I tre si guardarono in viso per un attimo. Poi Brian si ravviò i capelli e fece strada.


Piccolo demenziario indispensabile (?) per capire la fic è_é

Fangirl: Una fangirl è una ragazza che ama ossessivamente un personaggio o una coppia di un determinato anime/manga o chi per loro. Il termine è usato dispregiativamente dai fan normali; dire fangirl d’altronde equivale un po’ a dire “pazza pervertita maniaca ossessiva” XD Le fangirl, invece, generalmente si gloriano di esserlo :D Io mi glorio, ad esempio è_é E’ anche vero che esistono parecchie reluctant-fangirl, che si vergognano di esserlo e lo dissimulano >_< Scrivono comunque fic yaoi XD ma si mascherano dicendo che lo fanno perché i loro protagonisti si innamorano l’uno dell’altro come persone e non come persone di sesso maschile *-*
Dream Theater: Gruppo progressive rock tuttora attivo. Sono mostri sacri <3 E sono bravissimi :)
Emokid: Termine usato con accezione esclusivamente negative, indica tutti quei ragazzini che si atteggiano a dark depressi ed emotivi.
Fanfiction: Sapete cosa sono le fanfiction, via XD
Emo/drama/angst/death fic: Fic dai contenuti pesanti e tristi.
Umoristiche/demenziali/nonsense fic: Fic dai contenuti allegri o demenziali.
Romance: Fic dai contenuti romantici.
Slasher: Casta di fic-writer che scrive (quasi) esclusivamente storie in cui i protagonisti sono omosessuali.
The Judas’ kiss: E’ tipo la più bella BrianxMatt che vi potrebbe mai capitare di leggere XD Peccato sia in inglese. E peccato sia massacrante da tradurre ç_ç Però non è massacrante da leggere, quindi, se con l’inglese ve la cavicchiate, fatelo (link). E’ un po’ duretta, mh? Solo per avvertire XD
Amy Lee: Cantante degli Evanescence, popolare gruppo emo pseudo-rock sulla scena da qualche anno.
Lemon fic: Fic ad alto contenuto erotico.