film: athena

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo.
Pairing: Ursula/Tritone, Tritone/Athena.
Rating: R.
AVVISI: Angst, Het, Prequel, Lime.
- "Ricordo che ai miei tempi c'erano sempre delle feste favolose, quando ancora vivevo a palazzo. E ora come sono ridotta? Sciupata, sono praticamente uno straccio! Bandita ed esiliata e lasciata sola a morire di fame, mentre lui e il suo smidollato popolo di pesci fanno festa.", dice Ursula, ne La Sirenetta. Ed io ho voluto provare ad immaginare perché.
Note: Questa storia voglio scriverla da mesi XD Precisamente da quando ho rewatchato La Sirenetta con le ragazze del Disney Sunday. Non lo so, l'idea mi ha colpito ed ho cominciato subito a buttarla giù, solo che poi ho dovuto lasciarla da parte per un po' perché ho avuto altre priorità alle quali stare dietro. Ma finalmente l'occasione di riprenderla in mano è arrivata grazie alla quarta settimana del COW-T :3 Il prompt maschera mi ha ispirata e sono riuscita a riprenderla in mano e concluderla in un tempo relativamente breve, divertendomi anche un casino.
C'è da premettere, prima di lasciarvi alla lettura, che il canon Disney de La Sirenetta, oltre al classico, prevede un seguito, un prequel (del quale ho parzialmente tenuto conto per quanto riguarda, ad esempio, il nome della madre di Ariel, la regina Athena) ed una serie tv, di cui io mi sono allegramente infischiata, se non per il dettaglio già descritto fra parentesi. Altre mille cose invece non concordano, tipo la morte di Athena, tipo le origini di Ursula, tipo il fatto che nella storia è presente il padre di Sebastian quando in realtà non dovrebbe essere così ecc ecc. Peraltro! Trivia time: nel cercare un nome con cui battezzare il padre di Sebastian, ho scelto Ambrosius perché per me l'associazione Sebastian + compositore = Bach, per cui sono andata a cercare il nome del padre di Bach ed esso si chiamava Ambrosius. Ergo, anche il padre di Sebastian doveva chiamarsi così. Che è una cosa lol se ci si pensa, perché praticamente Ambrosius = Ambrogio, ed essendo lui praticamente un maggiordomo... *ride da sola per la sua idiozia*
A parte questo, la storia filla anche il prompt #1 (Il vuoto lasciato dal tempo) per la 500themes_ita.
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POOR UNFORTUNATE SOULS

Quando viene introdotta a palazzo, Ursula ha sedici anni, ed Atlantica sembra il paradiso, il ritratto esatto dei luoghi meravigliosi che facevano da sfondo alle fiabe di sua madre. Abituata com’è all’oscurità fitta ed uniforme della parte di oceano dalla quale proviene, tutta crepacci e strapiombi aperti sul cuore rosso e pulsante della terra, lo sfavillante luccichio degli ori e degli argenti del palazzo reale quasi le ferisce gli occhi, confondendola.
Le strade sono gremite di tritoni e sirene, creature affascinanti, quasi naturalmente portate alla bellezza pulita e semplice che ha già imparato a riconoscere nel tritone che l’ha accompagnata fin lì. Sorridono, chiacchierando a braccetto o mano nella mano per le strade lastricate di corallo, in trepidante attesa dei festeggiamenti di stasera, per il compleanno del principe ereditario. Sono talmente presi dalla loro gioia da non degnarla della minima attenzione, ed è forse anche per questo, oltre all’involucro di alghe multicolori in cui il suo accompagnatore l’ha avvolta, che non notano la sua pur così palese diversità – il colore più chiaro, quasi cinereo della sua pelle, le differenti forme del corpo, la totale assenza di pinna caudale in favore dei lunghi tentacoli neri e violacei ondeggiando i quali si muove sfiorando appena il pavimento.
È tutto così ricco e bello da sembrare irreale. I sorrisi delle persone sembrano fasulli, tanta è la gioia che esprimono. Le labbra di Ursula si dischiudono in un sorriso di riflesso dimentico perfino delle fredde catene che le stringono i polsi.
- Quello è davvero il palazzo reale? – domanda con aria trasognata, rallentando il passo solo per poterne osservare la facciata ancora un po’ più a lungo. Il tritone che la accompagna le lancia un’occhiata infastidita, le labbra tanto belle da sembrare disegnate strette in una linea severa. Sono davvero tutti così belli, qui, da sembrare apparizioni, trucchi di magia. Perfino il suo accompagnatore, nonostante non sia più palesemente un giovanotto, è così bello che, durante il viaggio, Ursula si è ritrovata spesso a fissarlo estasiata senza motivo, riuscendo a riscuotersi da quel torpore imbarazzante solo qualche istante prima di essere scoperta.
- Non ti ho comprata per fare domande. – le risponde quindi, stringendole una mano attorno all’avambraccio per incitarla a muoversi più in fretta. Ursula china il capo ed obbedisce, lasciando che il tritone la trascini lungo il viale principale.
Si sente quasi mancare al pensiero di entrare in un palazzo tanto bello attraverso il portone principale, come una principessa – una cosa che non è mai stata, che non sarà mai – ma è delusa quando, invece di tirare dritto, il tritone la costringe ad imboccare un vialetto più piccolo e ombroso, che gira tutto attorno al palazzo, fino al retro. È lì, attraverso una porta di dimensioni ed aspetto decisamente più modesti, che lei e il suo accompagnatore fanno il loro ingresso al palazzo reale, all’interno dei locali della servitù.
Il tritone si chiude la porta alle spalle e poi si volta a guardarla, indicandole un angolo dell’ampia stanza in cui si trova, all’interno della quale numerose sirene si affaccendano per preparare la cena.
- Aspettami qui. – le dice, - Non ti muovere e resta in silenzio, o te ne pentirai.
Ursula aggrotta lievemente le sopracciglia, offesa.
- Non avevo alcuna intenzione di—
- Torno subito. – la interrompe lui, voltandole le spalle ed allontanandosi lungo un corridoio infinitamente lungo. Ursula lo osserva arrivare fino ad una porta, alla quale bussa. La porta si apre, ma non sembra venirne fuori nessuno. Eppure, il tritone sembra parlare con qualcuno, annuisce, gesticola ampiamente, e qualche istante dopo sta già tornando indietro, verso di lei.
Solo successivamente, quando è abbastanza vicino, Ursula riesce a vedere che non è solo, ma accompagnato da un anziano granchio di piccole dimensioni e dall’aria stanca.
- È lei? – chiede il granchio al tritone, e lui annuisce. – Mostramela.
Il tritone le si avvicina, la allontana dalla parete contro la quale Ursula si è rintanata, sulla difensiva, e comincia a sfogliarla, lasciandole scivolare via di dosso i teli e le alghe con i quali la teneva nascosta agli occhi del mondo. Senza quella rassicurante protezione, e sotto lo sguardo indiscreto e inquisitore del granchio, Ursula si sente nuda ed in imbarazzo, e si stringe nelle spalle, cercando di farsi più piccola che può.
- Stai dritta. – la rimprovera il tritone, colpendola alla base della schiena. Lei scatta in avanti, irrigidendosi tutta ed abbandonando la posizione rannicchiata nella quale stava lentamente scivolando.
Il granchio le gira attorno, guardandola da ogni angolo e mugugnando fra sé. Ursula non riesce a capire cosa dica, e questo la fa stare sulle spine per tutto il tempo in cui lui la esamina.
- E' bella. - concede alla fine il granchio, allontanandosi velocemente, - Ottimo lavoro.
Ursula lo osserva schioccare le chele un paio di volte e confabulare con una sirena dai lunghi capelli biondi appuntati dietro la testa per qualche secondo, prima di allontanarsi nuovamente lungo il corridoio in compagnia dell'uomo che l'ha portata fino a lì.
La sirena le si avvicina subito, sorridendole amabilmente ed appoggiandole una mano sulla spalla con fare conciliante.
- Vieni, cara. - le dice, - Andiamo a prepararti per stasera.
Ursula non dice una parola, e la segue.
*
Attraverso i fori della maschera che le copre interamente il viso, così come il mantello che copre le sue forme strisciando sul pavimento, da dietro le quinte del palco Ursula osserva la platea, la moltitudine di sirene e tritoni seduti ai tavoli a chiacchierare amabilmente del più e del meno. Le pesanti, vistose collane delle sirene brillano dei riflessi cangianti dell'acqua trasparente nella quale sono immersi, e il colorito appena più scuro degli uomini risalta sensuale sui colori sgargianti delle loro pinne.
Il principe Tritone, seduto sul proprio trono a fianco di quello molto più grande e imponente del padre, sembra annoiarsi terribilmente. Nonostante i mille colori e suoni che riempiono l'enorme salone delle feste continuino a distrarla, gli occhi di Ursula non possono che tornare a lui alla fine di ogni curiosa esplorazione di ogni angolo della stanza.
I racconti sull'abbagliante bellezza del principe si sono spinti senza alcuna difficoltà perfino nell'angolo remoto di oceano nel quale Ursula ha vissuto fino a solo pochi giorni fa, ma le descrizioni che di lui facevano i viaggiatori e i cantori non gli rendono giustizia. Tritone è alto, slanciato, ha spalle possenti, un ampio torace dalla liscia pelle bruna che contrasta piacevolmente con il turchese vivo della sua coda, e i lunghi capelli rossicci che gli incorniciano il viso, assieme alla barba dello stesso colore, gli danno un'aria quasi misteriosa, da viaggiatore. Ma non è solo questo, c'è qualcosa di più. I suoi occhi sono irrequieti, danzano svelti sulle persone che lo circondano, si accendono di interesse per un attimo e poi si spengono subito dopo, come se niente fosse in grado di mantenere viva la sua attenzione per più di un paio di secondi.
Quando il granchio che l'ha esaminata al suo arrivo passa dietro le quinte ad avvertire lei e le sirene mascherate esattamente come lei che fra qualche minuto andranno in scena, di tenere a mente la coreografia e di stare attente a non sbagliare, Ursula si allontana dal tendone che ancora la nasconde agli occhi del pubblico e raggiunge il suo posto designato al centro del palco.
Al pensiero che gli occhi di Tritone saranno fissi su di lei non appena quel tendone si solleverà, e che anche lei non avrà più di un paio di secondi per accendere il suo interesse o vederlo spegnersi per sempre, le batte un po' più forte il cuore.
*
Gli occhi di Tritone la seguono senza posa. Pur nel buio in cui è stata gettata la sala quando le luci sono state puntate sul palco, Ursula può vedere i suoi occhi brillare mentre, affascinati, seguono i suoi movimenti. Non è più brava delle altre, a ballare, anzi, probabilmente è stato esattamente il contrario ad attirare per primo lo sguardo del principe. A tenerlo su di lei, però, fisso e attento mentre il suo fiato resta sospeso come quello di tutti gli altri tritoni e sirene presenti fra il pubblico, non è la sua scarsa dimestichezza coi passi di danza, ma quel poco di lei che s'intravede quando il mantello, seguendola nei movimenti, si apre in uno spiraglio a mostrare il biancore cinereo delle sue braccia, o la curva invitante del suo seno fasciato dal corpetto nero, o il modo in cui i fianchi le si allargano in una curva dolce e molto più abbondante rispetto a quella delle altre danzatrici, lasciando posto ai tentacoli invece che alla coda.
Quando la danza finisce, e le luci tornano ad illuminare più apertamente la sala, uno scroscio di applausi accoglie le ballerine mascherate nel momento in cui, grate, si inchinano.
Anche Tritone applaude. In piedi di fronte al suo trono.
*
E' il granchio che la accompagna nelle stanze del principe, più tardi, a conclusione della serata. Gli ospiti sono andati tutti via e il palazzo reale è tutto un affaccendarsi di domestiche e camerieri che portano via stoviglie, ripuliscono la sala in cui si è tenuto il ricevimento, chiudono le tende e preparano il castello per la notte. Ursula si muove silenziosa e discreta per i corridoi, al suo fianco l'anziano granchio intervalla raccomandazioni - "non parlare se non interrogata", "mostrati rispettosa ed educata", "compiaci il principe qualunque dovessero essere le sue richieste" - e lunghi momenti di silenzio dei quali Ursula approfitta per godere della bellezza del castello adesso che il trambusto della festa si è dissolto e le ampie volte dei soffitti decorati accolgono il suo sguardo con benevolenza, mostrandosi a lei pienamente, ora che non c'è nient'altro a distrarla.
Ha sempre sognato di vivere in un posto come questo. Il crepaccio in cui viveva prima, si rende conto adesso, non era degno neanche di essere chiamato casa.
Si fermano alla fine di un lungo corridoio, di fronte a un'enorme porta d'oro e corallo. Il granchio la spalanca senza troppe cerimonie, introducendola all'interno di una piccola ma sfarzosa anticamera. Le indica il divano addossato alla parete alla sua sinistra.
- Siedi e aspetta qui. - dice severo, senza degnarla di uno sguardo, prima di avviarsi deciso verso la porta che si apre sulla parete di fronte. Ursula si avvicina al divano e lascia scorrere lo sguardo sul ricco e pesante tessuto che lo riveste. Pensa che dovrebbe obbedire all'ordine del granchio e sedersi, ma poi i suoi occhi vengono catturati dai complicati ghirigori rosso acceso che decorano la parete, e dimentica di farlo. Quando il granchio torna da lei, lei è così presa da non notarlo neanche, costringendolo ad esibirsi in un discreto ma infastidito colpo di tosse per attirare la sua attenzione.
Ursula si volta a guardarlo di scatto, imbarazzata dalla propria stessa stupidità. Fa per chiedere scusa, ma il granchio si esibisce in un mezzo inchino, indicandole con una chela la porta semidischiusa oltre la quale si trova la stanza di Tritone.
- Il principe ti aspetta. - dice semplicemente. Ursula annuisce e si avvia nella direzione indicata.
Le è stato ordinato di continuare ad indossare la maschera e il mantello col quale s'è presentata sul palco. Le è stato spiegato che lei è il regalo di compleanno per il principe. Ha abbastanza senso - si dice mentre, tremando appena, oltrepassa la porta - che lui voglia concedersi il piacere di scartarla.
- Finalmente.
La voce di Tritone è bassa, potente. Vibra nell'acqua e le vibra sulla pelle, ed Ursula deglutisce, smarrita.
Il principe la aspetta in piedi, nel centro della stanza. Ha sfilato la pesante collana d'oro zecchino che indossava durante la festa, ed anche la corona - più piccola di quella del padre ma comunque ingombrante - non gli pesa più sul capo. Entrambi i gioielli giacciono dimenticati su un mobile di legno scuro, dall'aspetto antico.
- Maestà. - lo saluta Ursula con un inchino. Sorprendentemente, lui ride.
- Chiamami Tritone. - la esorta.
Gli occhi spalancati, lei gli lancia un'occhiata allarmata.
- Non credo mi sia concesso, maestà. - gli ricorda titubante. Lui sorride, però, guardandola attentamente, senza vergogna, gli occhi scuri fissi nei suoi.
- Te lo sto concedendo io adesso. - dice. Ursula trattiene il respiro e non dice niente, ma si permette un breve cenno del capo per fargli capire di aver compreso. - Bene. - sorride lui, giovialmente, nuotandole più vicino. Le ruota intorno, e lei si costringe a non seguirlo con lo sguardo, anche se il modo in cui i suoi occhi si posano così direttamente su di lei e il modo in cui le sue labbra si piegano in un sorriso interessato mentre la esamina la fanno sentire in imbarazzo, esposta, nonostante sia ancora nascosta sotto il mantello. - Ti ho vista danzare, - le dice Tritone, fermandosi finalmente di fronte a lei, - Sei brava.
Ursula abbassa lo sguardo, ritraendosi appena.
- Non lo sono affatto, principe. - risponde.
- No, è vero. - Tritone ride divertito, e lei, avvampando d'imbarazzo e vergogna, sposta nuovamente gli occhi su di lui, sentendosi ridicola e sciocca. Il sorriso di Tritone, però, non ha mutato disegno né consistenza. Le pesa ancora addosso, così calmo, rilassato, compiaciuto. - Ma hai grazia. - aggiunge, - So che, se ricevessi delle lezioni, danzeresti benissimo.
Il calore della pelle di Ursula, sotto la maschera e il mantello, è diventato insopportabile. L'imbarazzo la soffoca, l'incertezza la confonde. Non sa cosa aspettarsi e non sa nemmeno cosa vorrebbe che accadesse. Da un lato prega perché Tritone la congedi, la faccia accompagnare in un'altra stanza e non chieda più di lei. Dall'altro vuole solo che quelle dita lunghe e scure si stringano attorno al laccio che le tiene chiuso il mantello sul petto e lo sciolgano.
- Posso? - Tritone solleva entrambe le mani, portandole ai lati del suo viso, accennando a sfilarle la maschera. Stupita dalla domanda, Ursula in un primo momento non ne capisce il senso.
- Mi state chiedendo il permesso? - domanda in un filo di voce.
Tritone le risponde con una risata cristallina e divertita.
- Non è mia abitudine spogliare una donna senza il suo consenso. - le risponde, come fosse un'ovvietà.
Ursula annuisce lentamente, ed in breve il peso della maschera sfarzosamente decorata con cristalli e conchiglie che le copriva interamente il volto viene allontanato dal suo viso, lasciandola scoperta agli occhi del principe.
Lui osserva l'onda ribelle dei suoi capelli corvini, i suoi occhi grigi e freddi che riflettono la luce della stanza e la lieve sfumatura azzurrognola della pelle chiarissima delle sue palpebre, e trattiene il fiato.
- Sei bellissima. - le sussurra, accarezzandole il viso in punta di dita.
Ursula si ritrae appena al suo tocco, come scottasse, ma quando lui le prende il viso fra le mani, i pollici che le sfiorano gli zigomi seguendone la forma elegante, si abbandona alle sue carezze con un sospiro trattenuto a stento, sentendosi addosso il quale lui sorride.
- Posso? - chiede ancora, le dita di una mano che si stringono attorno al fiocco nero poco sotto il suo mento.
Ursula annuisce. Il mantello, accompagnato dalla corrente, cade a terra qualche metro più in là con un soffio leggero.
*
Ursula non sa che ore siano, o da quanto tempo si trovi con lui in quella stanza, quando Tritone finalmente si dà pace e si lascia ricadere sul letto accanto a lei con un sorriso soddisfatto. Si sente stanca ma appagata, e non ha neanche il tempo di chiedersi se sia appropriato passare la notte lì con lui o se non dovrebbe prepararsi per essere accompagnata in camera propria, che lui le gira un braccio forte attorno alle spalle, tirandosela contro. Lei si concede un risolino divertito, appoggiando il capo nell'incavo della sua spalla e disegnando sul suo petto con la punta di un dito ghirigori invisibili che ricordano i disegni che decorano le pareti anche di questa stanza.
- Non sei molto regale, come sovrano. - si permette di commentare, mentre lui le accarezza distrattamente i capelli.
Tritone ride, divertito dalla sua sfacciataggine.
- E' una fortuna che io non sia un sovrano, allora. - annuisce, gli occhi che scrutano il soffitto senza nemmeno vederlo.
- Lo sarai, prima o poi. - gli fa notare lei, il sorriso che si allarga appena mentre la sua pelle si riempie di brividi di piacere ogni volta che le lunghe dita di Tritone sciolgono un nodo fra i suoi capelli.
- Di certo non stanotte. - ride il principe, voltandosi verso di lei e sovrastandola col proprio corpo. Sotto il suo peso, Ursula ride e si fa minuscola. Quando lui si china su di lei, Ursula accoglie le sue labbra con le proprie già dischiuse, sciogliendosi in un bacio lungo e lento dal quale si allontana qualche minuto dopo, confusa ma sorridente.
- Forse dovrei andare... - suggerisce dubbiosa, lanciando un'occhiata incerta verso la porta. Non è pratica di etichetta, ma è abbastanza sicura che non sia appropriato, per una cortigiana, dormire nelle stanze private del principe.
- Il protocollo lo suggerisce, sì. - le risponde Tritone, stringendole il mento fra le dita per invitarla a guardarlo, - Io però non ho intenzione di lasciartelo fare.
Si china a baciarla di nuovo meno di un secondo dopo, stringendola fra le braccia ed avvicinandosi a lei nel modo che lei ha già imparato a riconoscere come un'esplicita richiesta. Alla quale ha già imparato a rispondere di sì.
*
Nonostante la disapprovazione di Ambrosius - il granchio che sembra occuparsi di tutto, a palazzo, dalla gestione delle cucine a quella della casa, dall'organizzazione delle feste a quella degli appuntamenti dei sovrani e del principe stesso - Tritone insiste per averla accanto il più spesso possibile, ogni volta che può. Le dona nuovi abiti, nuovi gioielli, insiste perché venga spostata in una camera più prossima alla sua, le assegna delle dame di compagnia ed un posto a tavola accanto a sé. Ursula vorrebbe potersi abituare a tutti questi cambiamenti, ma la velocità con cui tutto avviene glielo impedisce. Durante i pranzi e le cene, siano essi intimi e per la sola famiglia reale o faraonici ricevimenti per tutta la nobiltà di Atlantica, Tritone non lascia mai che lei si sieda in un posto diverso da quello immediatamente alla sua destra o alla sua sinistra, e parla solo con lei. Sembra che nessuno in tutto il regno sia ugualmente in grado di attirare la sua attenzione, nessuna dama ha occhi altrettanto belli, forme altrettanto sinuose, una voce altrettanto armoniosa da destare il suo interesse e tenerlo vivo, quando ad Ursula basta attraversare una porta per calamitare il suo sguardo.
Lei e Tritone passano insieme intere giornate. A volte, neanche escono dalla sua stanza. Capita che Tritone si ritiri in camera propria dopo cena, le chieda di raggiungerlo e, una volta appurato che non ci sono appuntamenti ad attenderlo per l'indomani, si trattenga a letto con lei fino al tardo pomeriggio del giorno dopo, saltando perfino i pasti, come non esistesse nulla di più gustoso da assaggiare delle labbra di Ursula, del sale sulla sua pelle così bianca, della dolcezza di ogni centimetro nascosto del suo corpo.
Ursula è un mistero col quale può intrattenersi per ore. Non fa che porle domande dalla mattina alla sera, le chiede della sua vita prima di arrivare ad Atlantica, del posto in cui abitava, di sua madre, di tutte le meraviglie che ha visto durante il viaggio. Ursula abbassa le proprie difese poco alla volta, le mani esperte e gentili di Tritone che sembrano volerla guidare passo dopo passo. E così, dopo qualche reticenza, gli parla del Mediterraneo, delle sue acque calde, delle imponenti scogliere che lambiva, del crepaccio in cui Ursula viveva con sua madre e delle altre innumerevoli e nascoste fessure nelle montagne inabissate in cui usava nascondersi quando voleva passare un po' di tempo sola con se stessa. Gli parla anche di sua madre, del loro rapporto, di come siano sempre state distanti, di come in realtà a lei non fosse mai interessato stabilire con lei un rapporto differente da quello che già avevano. Gli parla dei suoi insegnamenti, delle piccole magie che le ha insegnato.
- Magie? - chiede Tritone, gli occhi che si illuminano come sempre di fronte a qualcosa di nuovo ed inaspettato, - Che tipo di magie?
Ursula si schernisce.
- Piccoli giochi di prestigio, più che altro. - ride, accarezzandogli la barba mentre lui si lascia stringere in un abbraccio sensuale dai suoi tentacoli, appoggiandole il mento sul ventre dalla curva morbida, appena accennata. - Niente di davvero particolare.
- Non ci credo. - ride lui, scuotendo il capo, - Avanti, stupiscimi.
Lei prova a fargli cambiare idea, gli dice che in ogni caso non sarà spettacolare, né divertente, né affascinante, ma lui non si lascia fermare dalle sue proteste, e un bacio dopo l'altro la convince a mostrargli qualcosa.
Tritone ordina il pranzo e pretende di averlo in camera. Quando la sirena col vassoio varca la porta della sua stanza, Ursula si solleva dal letto con un movimento fulmineo, le ruota intorno stringendola in un vortice di bolle d'aria e recita qualche parola nella lingua del suo popolo. Nel momento in cui le bolle si dissolvono, la sirena è scomparsa. Al suo posto, una piccola pianta marina con due occhi enormi, tristi, gialli e stanchi, e solo un filo di voce, come un lamento addolorato, a sfuggirle dalle labbra.
Tritone scoppia a ridere, entusiasta.
- E' fantastico! - dice, sollevandosi a propria volta dal letto per raggiungerla dove si trova, in piedi accanto alla piccola alga sofferente, e cingerla da dietro in un abbraccio affettuoso. - Sei fantastica. - ribadisce, baciandole il collo, poi il mento, e infine le labbra.
Ursula ride, gli si stringe contro, pensa di non essere mai stata così felice. Riporta la sirena al proprio aspetto originale e la osserva scappare via terrorizzata e urlante, lasciandosi alle spalle il vassoio rovesciato per terra e Tritone che, ridendo ancora, cerca di scusarsi e tranquillizzarla, senza però neanche pensare all'eventualità di abbandonare l'abbraccio caldo di Ursula per correrle dietro e rassicurarla.
Nessuno viene punito per quel gioco crudele ma tutto sommato infantile: di certo non Tritone, che l'ha preteso, né Ursula, che ne è stata l'esecutrice materiale. La sirena che ne è stata la vittima smette di occuparsi degli appartamenti privati del principe, e sebbene sia stata lei stessa a richiedere che le sue mansioni venissero cambiate non si fa scrupolo di raccontare quello che è successo in camera del principe.
E' allora che cominciano a girare le malelingue, che sirene e tritoni per tutta la città cominciano a parlare di Ursula la strega, dei suoi misteriosi, oscuri poteri, dei suoi spaventosi sortilegi, di come chiaramente tenga in pugno il principe, del quale deve avere in qualche modo rubato l'anima, privandolo del suo libero arbitrio.
La prima volta che sente due domestiche parlare dell'argomento, Ursula sta facendo una passeggiata nel grande giardino marino all'interno delle mura del palazzo reale. Mentre guarda in alto, sorridendo di piacere nell'osservare il riflesso dei raggi solari danzare tremulo sulla superficie del mare, viene attirata dalle voci basse e sibilanti delle due sirene, e fingendo di non averle sentite ed essere perciò ancora intenta a raccogliere fiori di posidonia si avvicina appena, per ascoltarle meglio.
- Il principe non è più lo stesso. - dice una delle due.
- La sua anima è nera, adesso. - le fa eco l'altra.
- Hai notato come lo tiene in pugno quella strega? - insiste la prima, - Come lui si pieghi al suo volere senza batter ciglio?
La seconda annuisce, convinta.
- Non può essere che magia.
Quando, più tardi quello stesso giorno, racconta l'accaduto a Tritone, lui scoppia a ridere in quel modo pieno e sicuro che vena la sua voce di tonalità quasi derisorie ogni volta che sente qualcosa di particolarmente ridicolo e stupido.
- Quante sciocchezze. - le dice, le mani che scivolano già affamate lungo la curva sinuosa della sua schiena, sciogliendo i lacci dell'elegante corpetto tempestato di coralli che le ha regalato non più di un paio di giorni prima, - La gente di questo paese non ti capisce, Ursula. Non potrà mai capirti. Sono tutti troppo piccoli e stupidi.
- Stai parlando della tua gente. - gli fa notare lei con un sorriso canzonatorio, stringendogli le braccia al collo e lasciandosi accarezzare dalle sue mani esperte.
Tritone ride, stringendosi nelle spalle.
- Ursula, sirene e tritoni sono belli da guardare e poco più, - le confessa, - In fondo, non siamo altro che pesci.
Divertita dalla battuta, Ursula ride di gusto, mentre Tritone, dopo averla condotta sul letto, scivola lento con le labbra lungo il profilo dei suoi seni.
*
Tritone ha ventun anni quando suo padre il sovrano si ammala gravemente, ed inizialmente Ursula è così accecata dalla propria stessa felicità, da quanto perfetta sia la sua vita al momento, da non capire le devastanti conseguenze che una cosa così apparentemente distante dalla sua relazione con Tritone, così apparentemente naturale - sua maestà è molto anziano, ormai, è andato indebolendosi sempre più, e la sua ultima malattia non è che il naturale complicarsi di numerosi malori che, inevitabilmente, lo condurranno verso la fine della propria vita - potrebbe avere sulla sua quotidianità.
Sono le piccole cose a risvegliarla. Improvvisamente, Tritone ha degli impegni. Non può più trattenersi con lei fino a tardi, non passa più con lei l'interezza del suo tempo. Il suo tocco è sempre caldo, i suoi baci sono sempre appassionati, il suo sguardo arde sempre della stessa sfumatura affezionata e impetuosa col quale l'ha sempre osservata che fossero soli o meno, ma il tempo che possono passare insieme è sempre di meno, ed anche l'attenzione che lui può concederle comincia inesorabilmente a scemare.
Ursula non lo biasima, per questo. Legge sul suo viso la preoccupazione per suo padre, la tristezza per la sofferenza di sua madre, un dolore profondo che cerca di nascondere sotto la propria forza e la paura per ciò che ci si aspetterà da lui una volta che sarà salito al trono quando l'inevitabile sarà accaduto.
Certe notti la chiama a sé e, dopo averla baciata con forza, non vuole altro che restarle accanto fino all'alba. La stringe fra le braccia quasi disperatamente, sussurrandole sulla pelle che non vuole che tutto cambi. Che farà l'impossibile perché resti tutto com'è adesso, specie fra loro.
Ursula non dubita mai, neanche per un secondo, della sincerità delle sue parole. Perché dovrebbe, dopotutto? Tritone non ha mai giocato con i suoi sentimenti, non ha mai infranto le proprie promesse, anzi, non le ha mai promesso niente che non fosse sicuro di poterle dare.
Quelle notti, quando lo sente tremare sotto le dita, Ursula lo stringe a sé in un abbraccio protettivo e gli accarezza dolcemente i capelli, cullandolo finché non si addormenta, e sorridendo fra sé pensa che si tratta solo di una fase, solo di un periodo buio. Passerà, e tutto tornerà perfetto esattamente com'era. Forse, si concede di fantasticare, quando lui sarà re le chiederà perfino di sposarlo. E nell'intrattenersi con quella fantasia di bambina, Ursula si assopisce accanto a lui, senza più pensare a niente.
Ma i dettagli le sfuggono, proprio come le sfugge di mano la situazione, o lei si rifiuta di vederli, proprio come si rifiuta di accettare il quadro generale per com'è in realtà.
Una sera - lei e Tritone non si sono visti per tutto il giorno, e per la prima volta dopo anni non è stato lui a chiamarla nelle proprie stanze, ma lei a presentarsi, titubante e un po' spaventata per non aver ricevuto sue notizie fin dalla mattina - Tritone è distante. Non fisicamente - quando lei gli si avvicina e, trovandolo seduto sul proprio letto, gli appoggia una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione, risponde ai suoi tocchi come sempre, la attira nel solito abbraccio affamato e impetuoso, la bacia con la stessa passione, la sfiora con lo stesso senso di delicata adorazione che animava i suoi tocchi fino al giorno prima -, ma emotivamente, mentalmente. I suoi occhi sono freddi. Lo sono quando si posano su di lei, lo sono mentre la sfiora, mentre la stringe a sé, mentre le si preme contro fra le lenzuola. Lo sono perfino quando, dopo il piacere, restano stretti l'uno all'altra, ed Ursula si rende conto per la prima volta di essergli rimasta aggrappata addosso più di quanto lui sia rimasto aggrappato addosso a lei.
Tritone non le dice niente, quella notte, nonostante sia chiaro che c’è qualcosa di nuovo nell'aria.
Athena arriva ad Atlantica il giorno dopo, di buon mattino.
*
E' una giovane donna semplice, Athena. Ursula la osserva da lontano, il volto protetto da un velo, stretta in un abito che Tritone le ha regalato, e non può che pensare a quanto semplice sia. Non le è mai piaciuto pensare male della gente, specie senza conoscerla, ma Athena, davvero, è così insulsa. Il solo immaginarla accanto a Tritone, così magra e fragile e di statura minuta, quegli occhi azzurri così grandi e infantili, i lineamenti dolci da principessa delle fiabe, le manda brividi di fastidio su e giù lungo la spina dorsale. Un uomo come Tritone, pensa con amarezza, dovrebbe avere al suo fianco una donna del suo stesso livello. Ed Athena chiaramente non lo è.
Anche se, a differenza di Ursula, entra a palazzo dalla porta principale.
*
Quella sera, quando Tritone la chiama in camera propria, è lei a mantenere una certa distanza da lui. Si siede sul letto al suo fianco, ma non lo sfiora nemmeno. Tritone sembra ferito dal suo comportamento, eppure impiega minuti interi per raccogliere coraggio a sufficienza da sollevare una mano ed accarezzarle i capelli.
- Perché non me l'hai detto? - sibila lei, allontanandosi con uno scatto infastidito.
Tritone torna subito ad abbassare lo sguardo.
- Non è stata una mia decisione. - sospira, passandosi una mano fra i capelli in un gesto stanco, - Mio padre potrebbe non sopravvivere ai prossimi due giorni. Mi ha fatto promettere di sposarmi, così che possa lasciare il regno nelle mie mani... - esita per qualche istante, prima di continuare, - ...e nelle mani di una regina che ne sia degna.
Negli ultimi anni, restare sorda e cieca alle malelingue, sia a corte che in città, è stato sempre più difficile, ma Ursula ha tirato avanti con coraggio, a testa alta, sapendo di avere al suo fianco Tritone, per il quale parole come quelle che venivano dette sul suo conto alle sue spalle non avevano il minimo valore. Per lui, per quest'uomo forte e indomito, per quest'uomo sincero e onesto, per quest'uomo che con un tocco era stato in grado di donarle una vita nuova, la vita che Ursula aveva sempre desiderato, quella che in fondo aveva sempre saputo di meritare, per quest'uomo di cui s'era innamorata valeva la pena sopportare qualsiasi cosa, anche il dolore sordo ma insistente, martellante, con cui quelle parole al veleno venivano accolte dalle sue orecchie malgrado lei facesse di tutto per non dare loro peso.
Ora, sapere che queste non sono parole in cui Tritone crede, ma alle quali deve attenersi comunque, fa ancora più male di quanto farebbe se improvvisamente lui si voltasse a guardarla e le dicesse che non l'ama più, o che addirittura la disprezza.
Si allontana dal letto, indietreggiando. Trema di rabbia come mai in vita sua.
- E' tutto qui, allora? - dice, la voce spezzata dalle lacrime incombenti, provando ancora più rabbia per se stessa al pensiero di non riuscire a trattenerle, - Vogliono costringerti a sposarti con qualcuno, chiunque, purché non sia io? E tu intendi accettarlo?
Tritone le solleva addosso un paio d'occhi stanchi e spenti, gli occhi di un uomo che ha provato a combattere ma che, ad un certo punto, si è chiesto se ne valesse davvero la pena, e ha trovato l'esistenza della domanda stessa una risposta sufficiente.
- Trascende ogni mio controllo. - le dice. Non c'è sentimento nella sua voce.
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Ad ucciderla dentro, poco a poco, non è la distanza di Tritone. Non è smettere progressivamente di andarlo a trovare nelle sue stanze, o cominciare ad incrociarlo sempre meno spesso perfino nei corridoi a palazzo. Non è la mancanza del suo tocco, o il peso della sua indifferenza quando, sempre più raramente, i loro sguardi si incrociano durante i balli e le feste ufficiali o quando si ritrovano entrambi per caso a passeggiare in giardino.
Ad ucciderla dentro non è la nostalgia. Non sono i ricordi dei lunghi anni passati insieme fra quelle mura, mano nella mano. Non è perdere il proprio posto d'onore al suo fianco a tavola, o il diritto al primo ballo durante i ricevimenti di gala.
Non sono gli sguardi delle sirene e dei tritoni che la circondano, ad ucciderla. Non sono le occhiate delle sue dame di compagnia, che non riescono neanche a trattenere quanto compiaciute siano all'idea che i suoi artigli abbiano perso presa sull'anima del principe. Non sono i bisbigli e i sussurri sempre più rumorosi della gente, le cattiverie masticate all'ombra degli archi nei corridoi del palazzo, non sono le bugie sul suo conto messe in giro dai numerosi sostenitori della futura regina, non sono le voci sulle sue perversioni, sulla sua cattiveria, sull'oscurità della sua magia, queste sciocchezze, questi dettagli, non la scalfiscono nemmeno. Come protetta da una conchiglia, Ursula nuota in mezzo a queste minuzie senza lasciarsene neanche sfiorare.
Ad ucciderla, stranamente, non è nemmeno il modo in cui Tritone, giorno dopo giorno, comincia a guardare Athena. Non è la luce che gli vede negli occhi, quel modo particolare in cui cominciano ad accendersi, come se ogni dettaglio di lei lo stupisse, pur nella sua più assoluta semplicità. Come se il castano chiarissimo dei suoi capelli lunghi lo abbagliasse, come se i suoi occhi azzurri e puliti come specchi lo ipnotizzassero, come se quel suo sorriso color fragola avesse una forma così perfetta da non riuscire a smettere di fissarlo incantato. No, ad ucciderla non è questo, non è arrivare a capire, finalmente, dopo anni, che Tritone non l'ha mai amata, che forse ha creduto di farlo, che forse si è sentito avvinto a lei fino a credere davvero di poter essere innamorato quando in realtà non lo era, quando in realtà la loro relazione viveva in quell'attimo eterno in cui, in quanto principe, lui poteva ancora permettersi di fare storie per ogni minimo capriccio, e convincersi che quel capriccio fosse una cosa enorme, senza la quale non avrebbe mai potuto vivere, come lei.
Capire questo non la uccide. La ferisce, la ferisce profondamente, perché lei invece aveva creduto possibile che ciò che li legava potesse durare in eterno, e sapere adesso che Tritone invece probabilmente non si è mai nemmeno posto il problema la ferisce davvero.
Ma Ursula guarisce da questa ferita, e per quanto profonda e dolorosa sia non è questa ad ucciderla.
Ad ucciderla è Athena. Athena stessa. Athena che sa chi è lei, Athena che l'ha sempre saputo, perché queste cose le capisci al volo quando ami qualcuno, ed Athena, in composto, educato silenzio, ama Tritone. Athena che, pur sapendo chi è lei, e cosa ha significato per Tritone, e cosa forse ancora potrebbe significare se ostinatamente provasse a riprendere il posto che aveva creduto suo di diritto, non la caccia.
Ursula aspetta per settimane che il gentile invito ad abbandonare i suoi appartamenti arrivi, ma non arriva mai. Aspetta dei mesi, poi, e l'invito continua a non arrivare. Aspetta degli anni, e sta seduta in ultima fila al matrimonio, e il suo posto a tavola si allontana sempre di più da quello della nuova coppia reale, ed assiste all'incoronazione in piedi assieme a tutte le altre dame di corte, e poi assiste alle gravidanze della regina, alla nascita delle principesse, ed osserva il volto di Tritone farsi più spigoloso, i suoi lineamenti farsi più duri sotto il peso della responsabilità che la sua corona comporta, e quell'invito continua a non arrivare.
E quando capisce che il problema non è che la regina si sia abbassata a tollerarla, ma che non la ritiene una minaccia affatto, è in quel momento momento che l'ultima parte di lei muore, e la nuova Ursula che risorge dalle ceneri della sua vecchia se stessa è una persona diversa. La maschera che per anni tutti hanno cercato di cucirle addosso è finalmente diventata lo specchio esatto del suo vero viso.
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Uccidere Athena non è difficile. E' la prima volta che prende una vita, e si sarebbe aspettata che la cosa avesse su di lei un maggiore effetto, ma così non è. Non è difficile trovarla in giardino, osservarla mentre, circondata dalle sue dame di compagnia, ride e scherza ascoltando i nuovi pettegolezzi riguardo questa o quella nobildonna recentemente divenuta moglie di questo o quel gentiluomo dai nobili natali e per questo arrivata a palazzo. Nell'avvicinarsi alla panchina sulla quale lei e le altre sirene sono sedute, si chiede se non dovrebbe per caso provare del rimorso per ciò che sta per fare.
Non ne prova affatto, e questa probabilmente è una risposta sufficiente.
Quando la vede avvicinarsi, Athena le solleva gli occhi addosso con sincero stupore, così come le altre sirene. Non hanno mai parlato, da quando lei è arrivata a palazzo. Non lo faranno neanche adesso.
Le labbra della regina si tendono in un sorriso nervoso ma sincero. Quel sorriso è, da solo, più crudele di qualsiasi parola carica di disprezzo Ursula abbia sentito a palazzo nel corso degli anni.
Nessuno la vede lanciare l'incantesimo su Athena e sulle sirene che la accompagnano. D'altronde, nessuno ne ha bisogno, per capire che è stata lei, quando tutto ciò che viene ritrovato della regina è la sua piccola, elegante corona, su un letto di alghe secche e prive di vita.
Vengono a prenderla in camera sua - una camera che, come il suo posto a tavola, come il suo stesso corpo, come il suo stesso cuore, nel corso degli anni è andata allontanandosi sempre di più da Tritone - meno di due ore dopo. La trovano in piedi, avvolta nel suo abito più sfarzoso ed elegante - anche questo dono di Tritone, naturalmente -, le mani compostamente giunte in grembo, lo sguardo fiero, i capelli che le scivolano sulle spalle in un'onda scura come inchiostro.
La trascinano da Tritone senza riguardo, ma lei non lascia che la loro violenza riesca a distruggere la sua maschera di compostezza. Trova Tritone da solo, seduto sul proprio trono, la corona di Athena fra le mani, gli occhi bassi, arrossati dalle lacrime, i lineamenti stanchi. Ursula lo osserva e lo trova invecchiato tantissimo, come se solo adesso riuscisse davvero a vedere chiaramente il peso degli anni su quelle sue spalle così forti, alle quali spesso soleva aggrapparsi durante i loro incontri notturni.
- Perché l'hai fatto, Ursula? - le chiede il re, la voce roca, ridotta a poco più che un rantolo, - Avresti potuto lasciar perdere. Restare qui a palazzo per sempre, trovare un brav'uomo, magari sposarti. Non doveva finire così.
Le labbra di Ursula si piegano in un sorriso amaro mentre realizza che per Tritone sarebbe stato perfetto continuare ad andare avanti e vivere in quella bugia per tutto il resto delle loro vite. Chissà, magari se Athena fosse morta più in là con gli anni, per cause naturali, ciò che sarebbe rimasto allora di Tritone sarebbe tornato da ciò che sarebbe rimasto allora di lei, ed avrebbero potuto passare insieme gli ultimi loro anni della loro vita adulta, così come avevano passato i primi.
E' così evidente che, oltre a non averla mai amata, Tritone non l'ha mai nemmeno capita, che quasi le scappa da ridere, adesso.
- Non avrebbe mai potuto finire diversamente, Tritone. - gli confessa. E' l'ultimo pezzo di sé che gli lascia. Quando solleva gli occhi nei suoi, è di nuovo un'altra Ursula, è già la Strega del Mare. - Cosa intendi fare, adesso? Uccidermi?
Lo vede nuotarle incontro con furia, animato solo dalla rabbia e dal dolore. Quelle mani così belle, che Ursula ha tanto amato, Tritone le stringe adesso attorno al suo collo, sollevandola da terra. La guarda dal basso con disprezzo, ed Ursula gli ricambia l'occhiata senza neanche fingere di non odiarlo.
Poi la presa delle sue mani si affievolisce, e lui la lascia andare. Lei scatta indietro, una mano alla gola, respirando affannosamente. Giura di ucciderlo lì, in quel momento. E se esiste qualcosa di peggiore della morte, aggiunge, se invecchiando riuscirà a scoprire qualcosa di ancora più doloroso, sarà quello il destino di Tritone, quando lei finalmente riuscirà ad averlo nuovamente in pugno.
- Sei bandita dal palazzo, Ursula. - dice Tritone, la voce grave, senza nemmeno guardarla in viso, - Dal palazzo e dal regno.
Allontanandosi nell'ombra, Ursula non trova nient'altro da aggiungere.