telefilm: carole hudson

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Drammatico.
Pairing: Kurt/Blaine, Kurt/Dave.
Rating: R/NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Angst, Non per stomaci delicati, Abuse, OOC, What If?.
- Kurt ha qualcosa di strano. Qualcosa che Dave non riesce completamente ad afferrare, e che allo stesso tempo non riesce neanche ad ignorare. Lo scoprirà, comunque, e una volta scopertolo non potrà fare altro che cercare di porre rimedio. A suo modo.
Note: Questa storia è l'agghiaccio. *ride* E', tipo, la classica storia che mai nella vita avrei pensato di poter scrivere. Va contro tutti i miei principi, e infatti si vede, perché è tremenda XD Che poi è il motivo per il quale di sicuro non le farò pubblicità e penso proprio che resterà qui, confinata sul Poly, di modo che solo i forti di stomaco possano trovarla. La tragedia. *sospira*
Insomma, gli avvisi (compreso l'OOC che mi è costato, sappiatelo) sono tutti lì. Prendetene accuratamente nota, prima di avventurarvi. XD
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YOUR HEART IS AN EMPTY ROOM

Quando Kurt comincia a cambiare, Dave se ne accorge subito, e la prima cosa che fa è ricacciare quel pensiero molesto in fondo allo stomaco, da dove è risalito in uno scatto violento non appena l’ha visto entrare nell’aula che il preside Figgins ha fatto adibire per gli incontri del PFLAG. Nasconde con stizza e ostinazione questa consapevolezza perché lui non è mai stato un osservatore, non è mai stato uno attento ai dettagli, o uno che notasse le sottigliezze, e tutte quelle cose che in genere rendono alcuni esseri umani sensibili – in barba allo stereotipo per cui gli omosessuali dovrebbero possedere almeno un briciolo di sensibilità, per essere credibili nel loro ruolo; be’, lui viaggia fuori dallo schema comune anche in quel senso, allora – e neanche Kurt è stato in grado di cambiarlo in quel senso – di Kurt ha sempre notato ben altro che i semplici dettagli, ed in genere già l’insieme da solo bastava a confonderlo abbastanza da non fargli neanche venire in mente di soffermarsi sui particolari – e perciò è strano, molto strano, quasi disturbante notare la diversità adesso.
Eppure c’è, palese in maniera quasi fastidiosa. È un dettaglio così insignificante che Dave non è neanche sicuro che riuscirebbe ad indicarlo se qualcuno glielo chiedesse, eppure stona così tanto, nell’insieme talmente perfetto che usualmente Kurt è ai suoi occhi, che a Dave riesce perfino difficile guardarlo.
Kurt non si comporta differentemente rispetto al solito. D’accordo, forse è un po’ più silenzioso di altre volte, quando non gli tocca piazzarsi al centro del circolo per animare un po’ la discussione che, senza la sua guida, ogni tanto finisce per arenarsi su argomenti troppo tristi perché i ragazzi ancora alle prime armi con questo genere di cose non decidano di tacere all’improvviso, lasciandola cadere nel silenzio. A parte questi momenti, in effetti sta un po’ sulle sue, in effetti si tiene lontano dal centro dell’azione, in effetti non tocca neanche gli stuzzichini che la signora Hudson ha portato prima che la riunione cominciasse, il che è strano, perché ne va matto, e non ci vuole un grande osservatore per saperlo, dal momento che usualmente Kurt non molla mai il tavolo sul quale sono poggiati i vassoi, per assicurarsene una fornitura continua nel corso delle due ore di durata dell’incontro.
Stavolta no, però, stavolta non lo fa e Dave si agita, perché se da un lato gli riesce difficile continuare a fissarlo – un po’ per quel senso di disturbo che questo fantomatico dettaglio invisibile gli provoca, un po’ perché sarebbe maleducato, e un po’ perché sarebbe come darsi via in un niente, ed è stato troppo bravo a nascondere almeno questo, fino ad ora, che non ci tiene proprio a rovinare tutto adesso, ora che è così vicino ad uscire dal liceo, non vederlo più e farsela passare definitivamente – dall’altro lato non riesce a smettere. Kurt è seduto dall’altro lato del cerchio, rispetto a lui, vagamente decentrato, ed ogni due, tre minuti Dave deve per forza voltarsi a guardarlo, come lo stesse controllando.
È un po’ preoccupato, non riesce a convincersi di non esserlo. E questa cosa è così stupida che quasi si prenderebbe a calci da solo.
Uno dei nuovi ragazzini entrati a far parte del circolo di recente è in piedi, adesso, e sta parlando a bassa voce. Dev’essere uno del primo anno, Dave non lo conosce. Forse non lo conoscerebbe neanche se fosse del secondo o del terzo, non sembra un tipo che frequenti la squadra di football e, a parte Kurt, Dave non ha amici all’infuori di quella ristrettissima cerchia. Comunque, il ragazzino sta parlando di quanto sia stato male per mesi prima di capire che era arrivato il momento di chiedere aiuto a qualcuno, perché da solo non riusciva a venire fuori dal casino che s’era combinato in testa da solo, e Kurt lo ascolta. Dave no. Dave fissa Kurt e nota particolari che non avrebbe mai notato, in condizioni normali. Tipo il lieve tremolio delle sue gambe accavallate, o il modo in cui si tortura le dita, o ancora la linea estremamente piatta e tesa delle sue labbra piene.
Quando il ragazzo smette di parlare, Dave non se ne accorge perché l’ha sentito smettere, o perché l’ha sentito cominciare a piangere, o perché ha sentito il trambusto attorno a sé, tutti i ragazzi e le ragazze che si sono alzati per andarlo a consolare – ma non Kurt, no, lui ci mette un po’ a ingranare col contatto fisico, e per quanto possa essere partecipe delle sofferenze di un ragazzo che ha affrontato il proprio calvario prima di uscire allo scoperto, non andrà mai ad abbracciarlo o a dargli una pacca sulla spalla solo perché qualcuno si aspetta da lui che lo faccia per educazione. No, quando il ragazzo smette di parlare, Dave se ne accorge perché tutti i muscoli tesi del corpo di Kurt si rilassano in un respiro, le sue mani tornano placide e intrecciate sul suo grembo, le sue gambe smettono di tremare, la linea delle labbra si scioglie nella curva dolce di un sorriso appena accennato.
Dave distoglie lo sguardo, arrossendo furiosamente. Intorno a lui, tutti applaudono perché il ragazzo è riuscito a condividere finalmente la propria esperienza dopo ben due settimane di incontri. Non può fare a meno di chiedersi cosa succederà quando sarà lui – che è lì dall’inizio, ufficialmente solo perché è obbligato a partecipare agli incontri per sviluppare un senso di tolleranza che, a quanto pare, non possiede – ad alzarsi dalla propria sedia ed annunciare al gruppo che ha qualcosa da condividere. Come lo guarderanno tutti? Quando quel giorno arriverà – se mai arriverà – come lo guarderà Kurt?
- Ehi. – lo saluta Kurt con un sorriso, e Dave solleva lo sguardo su di lui, accorgendosi del fatto che devono essere passati parecchi minuti dall’ultima volta che s’è guardato intorno, perché l’aula è quasi completamente vuota, eccezion fatta per la signora Hudson che recupera i vassoi semivuoti, - Pensi di restare lì a scaldare la sedia ancora a lungo? Dovremmo finire di riordinare.
- Uh, no. – scuote il capo Dave, alzandosi in piedi, - Cioè, sì, potete sistemare. Intendo, vi do una mano. – chiarifica, recuperando la propria sedia e riportandola a posto dietro un banco, e procedendo poi a fare lo stesso con le altre sedie del circolo. Nel mentre, guarda Kurt, che si aggira per la classe vuota rimettendo a posto sedie, riallineando banchi e ripulendo tracce di gesso dalla lavagna, e deglutisce. Vorrebbe chiedergli “c’è qualche possibilità, una su un milione, che io non sia pazzo nel pensare che ci sia qualcosa che non va in te? Stai bene?”, ma non lo fa, perché non è sicuro di come suonerebbe, e l’idea di esporsi troppo lo terrorizza.
- Siamo pronti? – domanda la signora Hudson, guardandosi intorno, - Possiamo andare?
Kurt annuisce sorridendole, e muove perfino un passo verso di lei prima di voltarsi nuovamente verso Dave.
- Tu hai come tornare a casa? – gli chiede. Dave, preso alla sprovvista dall’interessamento, distoglie lo sguardo e scrolla le spalle.
- Tornerò a piedi. – borbotta.
- Cosa? – quasi strilla la signora Hudson, sconvolta, - Ma neanche per sogno! Ha nevicato per tutto il pomeriggio e c’è un freddo glaciale! – scuote energicamente il capo, mentre Kurt si volta ancora a guardarla con un sorrisetto intenerito che, per qualche secondo, gli restituisce un’immagine più normale, quasi rassicurante, che Dave può guardare sentendosi riscaldare dentro senza dover necessariamente distogliere lo sguardo. – Casa tua è solo ad un paio di isolati dalla nostra, vero? – continua la donna, e Dave annuisce, più per educazione che per altro. – Bene, conclude lei, sorridendo soddisfatta, - Allora vieni con noi. Così mi aiuti a riportare in casa i vassoi con gli avanzi, e poi posso riportarti a casa tua in macchina.
Dave indietreggia, guardandosi attorno sulla difensiva, mentre la signora Hudson decide per lui, strillando che non lo lascerà tornare a casa da solo con questo tempaccio, e che quindi si diano entrambi una mossa a prepararsi, mentre lei porta la macchina più vicina all’ingresso della scuola.
- Non so se… - comincia Dave quando la vede sparire in corridoio, ma Kurt si copre la bocca con una mano e lascia andare un risolino divertito che lo spiazza, lo ipnotizza e lo confonde al tempo stesso.
- È inutile resistere, - lo avverte, - non si rassegnerà fino a quando non ti avrà riportato sano e salvo a casa tua.
Dave arrossisce incerto, guardando altrove.
- Sicuro che non è un problema? – domanda a bassa voce.
Kurt scuote il capo, sorridendogli incoraggiante, e quando lo vede esitare ancora sbuffa, appendendo una mano al fianco e sporgendolo un po’ lateralmente, in una posa vagamente insofferente.
- Oh, andiamo, David, - dice, usando il suo nome per esteso come ogni volta in cui sente il bisogno di essere severo con lui, - se io ho deciso di provare a darti fiducia, potresti usarmi la cortesia di farlo anche tu con te stesso? Un po’ di sicurezza non ti farebbe male, ti aiuterebbe anche ad aprirti. – si interrompe un secondo, riflettendo sulle proprie stesse parole, e poi precisa, - Non è che stia cercando di forzarti a fare coming out, - dice in un sussurro, - ma…
- Ho capito, ho capito. – si affretta a interromperlo lui, agitando le braccia ed annuendo freneticamente, - Dio, Hummel, potresti provare ad essere un po’ più discreto. – borbotta, e Kurt risponde con un ghignetto divertito e supponente, inarcando un sopracciglio.
Non hanno il tempo di portare a termine la conversazione, perché la signora Hudson rientra in aula, stringendosi in un abbraccio protettivo, piena di fiocchi di neve fra i capelli.
- Suggerisco il cappuccio. – annuisce rabbrividendo. – Allora, andiamo?
*
Durante il viaggio in macchina, Dave è silenzioso, ma nessuno se ne stupisce. Le riunioni del PFLAG lo rendono sempre di umore cupo e scontroso, e sia Kurt – col quale si ferma sempre a chiacchierare un po’ dopo ogni riunione, essendo lui l’unico col quale si senta vagamente libero di parlare di quello che ha provato ascoltando gli altri – sia la signora Hudson – che è sempre lì intorno a recuperare stuzzichini e, quindi, ha avuto modo di osservarne il comportamento – sanno bene che spingerlo a parlare controvoglia non sortirà alcun effetto oltre al costringerlo a chiudersi ancora di più in se stesso, perciò non lo forzano. Kurt, d’altronde, riempie da solo il silenzio abbastanza efficacemente, raccontando nei dettagli alla donna chi è scoppiato a piangere, come, quando, perché e da chi è stato consolato.
Le lacrime mettono Dave a disagio, specie in un contesto come quello delle riunioni del PFLAG. Ogni volta che qualcuno racconta la propria storia e le emozioni diventano tali da non poterle più contenere, e magari qual qualcuno si mette a piangere e qualche altro, commosso, lo segue a ruota, lui non può fare altro che sentirsi fuori posto, come se non appartenesse a quella categoria di persone. Non è una questione di razzismo e non si tratta di qualche parte del suo cervello più ostinata delle altre che cerca di convincerlo di non essere gay – Dave ha superato quello scoglio, ormai, anche se questo ancora non lo sa neanche Kurt – è una cosa diversa, è una questione emotiva. Ogni volta che pensa a come si sentirebbe se raccontasse tutto dall’inizio, di come si sente, di quello che ha fatto per nasconderlo e tutto il resto, tutto ciò che riesce a percepire è una grande rabbia, un grande senso di perdita e, giusto in fondo, una sensazione pulsante e luminosa di liberazione che però gli sembra troppo piccola e lontana per poterne attingere a piene mani per provare a sentirsi meglio. Non è sicuro che queste sensazioni lo porterebbero a piangere, e quindi non può fare a meno di pensare che forse c’è qualcosa di sbagliato, in lui. Forse lui dovrebbe piangere, dovrebbe sentirsi spinto a farlo, d’altronde cosa c’è di male nelle lacrime? Niente, no? Ha pianto, quando si è scusato con Kurt. Be’, forse non ha proprio pianto-pianto, forse non gli sono scese proprio lacrime lungo le guance, ma lui si sentiva compresso e imbarazzato proprio come se lo stesse facendo, per cui non è che ci sia molta differenza, in fondo.
Non sente nessun bisogno di piangere, però, quando pensa ad un probabile coming out. Forse, pensa, il bisogno verrà quando effettivamente farà coming out, ma se così non dovesse essere? Magari lui sarà lì, in piedi davanti alla propria seggiolina, e racconterà tutto, e alla fine i suoi occhi saranno asciutti e la gente non saprà come prenderlo, perché tutti si aspetteranno da lui che pianga, e lui invece non lo farà.
Dave sospira, guardando fuori dal finestrino. Kurt sta ancora parlando di quel ragazzino e della sua storia, e dice a Carole “mi sono così commosso!”, e Dave vorrebbe dirgli “però non sembravi commosso, sembravi teso”, ma non ha il tempo di farlo e, anche se l’avesse, probabilmente non ne avrebbe le palle, e comunque la macchina si ferma e non nevica nemmeno più, e davanti casa di Kurt c’è un’automobile che Dave ha imparato a conoscere e odiare, un’automobile che fa brillare gli occhi di Kurt in un modo che Dave odia, che ancora oggi, nonostante tutta la strada che ha fatto, gli fa stringere i pugni e tremare le mani tanta è la voglia di fare del male a qualcosa che lo prende quando la vede.
L’automobile di Blaine.
- Ehi! – cinguetta Kurt, catapultandosi fuori dalla macchina nel momento in cui si ferma completamente. Dave non vorrebbe guardare, ma guarda. Lo vede planare allegro fra le braccia di quel tipo, e trattiene il respiro per non ringhiare.
- Mi dai una mano, Dave? – domanda la signora Hudson con un sorriso, e Dave annuisce, scendendo dalla macchina e recuperando i vassoi, tutti e tre insieme. Non sono proprio facilissimi da maneggiare, perché sono mezzi vuoti e faticano a stare in equilibrio, un po’ come lui che fatica a stare in equilibrio sul vialetto lastricato bagnato di neve che conduce alla porta d’ingresso, ma è nauseato dalla sola idea di fare tre volte avanti e indietro per recuperarli ad uno ad uno, ed essere costretto a posare gli occhi ogni singola volta su Kurt e Blaine che parlano fitto e si stringono l’uno all’altro e ogni tanto, solo ogni tanto, si sfiorano le labbra in un bacio appena accennato che lo disturba anche più di quanto lo disturberebbe un bacio vero, perciò si concentra e cerca di non combinare nessun disastro; quando i vassoi sono al sicuro sul tavolo della cucina, e la signora Hudson recupera nuovamente le chiavi della macchina per riaccompagnarlo, lui tira su un sorriso grato ma imbarazzato, e scuote il capo.
- Ha smesso di nevicare, preferisco tornare a casa a piedi. – si giustifica.
- Ma fa ancora così freddo… - prova la donna, ma lui scuote il capo un’altra volta.
- Sul serio, lo preferisco. – insiste, e poi la saluta educatamente, tornando fuori.
Kurt e Blaine sono ancora lì, naturalmente. Non perché Blaine non abbia il permesso di entrare in casa – figurarsi, è stato accolto come un figlio dal primo giorno – ma perché probabilmente ad entrambi piace prendersi un po’ di tempo per stare da soli senza dover per forza a che fare con tutto il resto della variopinta famiglia di Kurt. Dave distoglie lo sguardo, inspirando ed espirando profondamente per cercare di mantenere la calma, e prova a passare loro a qualche metro di distanza, per imboccare la strada di casa senza che lo notino, ma naturalmente ciò non avviene.
- Dave! – lo chiama Kurt, correndogli dietro e trascinando con sé anche Blaine, la mano del quale stringe nella propria con forza, come fosse intenzionato a non lasciarla andare per nessun motivo al mondo, - Cosa fai, vai via senza salutare? – lo prende in giro in un borbottio giocoso, fingendo di essersi offeso per il suo tentativo di fuga.
- È che sono già in ritardo… - si giustifica lui, stringendosi nelle spalle. E poi, visto che sa ce comunque deve farlo, aggiunge, - Ciao, Blaine.
Il ragazzo risponde con un mezzo sorriso partecipe, ma Dave non riesce a non vederci dentro anche una scintilla di superiorità. È convinto che Blaine sappia – Blaine non è come Kurt, Kurt certe volte pur di continuare a ignorare una verità scomoda è disposto a mentire a se stesso fino al ridicolo, ma Blaine no; Blaine capisce, Blaine probabilmente sa perfettamente che a Dave Kurt piace, che non l’ha baciato solo perché era l’unico ragazzo gay nei dintorni, che la sua non era solo una richiesta di aiuto, ma di qualcosa di ben più preciso e specifico. Blaine sa, e sorride in questo modo perché sa anche che Dave non ha nessuna speranza. Perché a Kurt non potrà mai piacere un tipo come lui, e perché lui, in ogni caso, non avrà mai il coraggio di confessargli i propri sentimenti.
- Allora ci vediamo domani? – domanda Kurt, incoraggiante. Per un secondo, Dave si sente preso alla sprovvista: non c’è nessun incontro del PFLAG in programma per domani, quindi per quale motivo Kurt dovrebbe dargli appuntamento? Poi ricorda: i Bully Whips, i turni di sorveglianza, deve accompagnarlo da un’aula all’altra. Si sforza di sorridergli e annuisce, e Kurt ridacchia della sua incertezza. – Bene. A domani. – sorride, per poi voltarsi nuovamente in direzione di Blaine, e cominciare a condurlo verso casa.
Ora che non ha più fretta di scappare, Dave può permettersi di rimanere lì sul marciapiedi, a due passi dalla cassetta della posta, ad osservarli camminare elegantemente lungo il vialetto e poi entrare in casa, e finalmente riesce ad individuarlo. Quel particolare, quella stranezza che ha reso Kurt difficile da guardare per tutto il pomeriggio. È un marchio scuro. Sul collo.
*
Quando Kurt si presenta a scuola con dieci chili in meno addosso, non serve poi essere un grande osservatore per accorgersene, e ciononostante sembrano tutti ben determinati a non farlo, cosa che rende Dave vagamente inquieto. Kurt sparisce dentro i propri vestiti, ma siccome sorride tanto e non fa che strillare di essere felice, così felice che più felice non si può, sono tutti disposti a passare sopra al particolare, come se non contasse niente.
Ma Kurt è così magro che sembra fragile il doppio, e già prima non è che desse una grande idea di solidità, e la sua pelle è ancora più bianca e trasparente del solito, e i suoi sorrisi sono più ampi, sì, ma sembrano plastificati, e Dave si ritrova nuovamente in condizione di non riuscire a guardarlo e contemporaneamente non riuscire a staccargli gli occhi di dosso quando gli capita di intravederlo da qualche parte.
La riunione è appena finita, e gli studenti ancora emotivamente molto scossi – ormai sono quasi in trenta, fra ragazze e ragazzi, e Dave comincia a sentirsi un po’ stupido quando pensa che non fa ancora davvero parte del gruppo; per questo, cerca di non pensarci troppo spesso, dal momento che comunque sa che di fare coming out, almeno per ora, non se ne parla nemmeno – e Kurt, in genere sempre primo ad alzarsi per congedare il gruppo, resta seduto al proprio posto, come facesse fatica ad alzarsi.
In condizioni normali, Dave non troverebbe mai il coraggio di chiedergli qualcosa, ma Kurt è davvero troppo magro, troppo pallido e troppo strano per impedirselo, perciò gli va vicino e gli si siede accanto, mentre anche gli ultimi studenti abbandonano l’aula, dandosi appuntamento per il giorno dopo o per la riunione successiva.
- Ma stai bene? – domanda senza la minima delicatezza. Kurt si volta a guardarlo, spalancando gli occhi, e solo in quel momento Dave capisce che sostanzialmente non si scambiano una parola da giorni e la prima cosa che ha fatto lui è stata sedersi al suo fianco e ficcare il naso nei suoi affari, peraltro con una brutalità che come unica risposta meriterebbe solo che Kurt si alzasse e lo mollasse lì per andarsene.
Kurt, però, resta lì. Accavalla le gambe e incrocia le braccia sul petto, sulla difensiva, e guarda altrove, ma risponde.
- Come mai me lo chiedi?
Dave scrolla le spalle, appoggiandosi allo schienale della sedia e guardandosi intorno a propria volta, giusto per non tenere gli occhi incollati al profilo di Kurt.
- Sembri strano. – risponde, inumidendosi le labbra e schiarendosi la voce per farsi coraggio, - Intendo, non sembra che tu stia bene.
- Cosa vorrebbe dire questo? – domanda Kurt, lanciandogli un’occhiata brevissima e poi tornando a fissare ostinatamente la parete di fronte a sé, dall’altro lato della stanza.
- Be’, ce li ho gli occhi, lo vedo quando qualcuno sta male, intendo, fisicamente male! – sbotta Dave, infastidito dalla sua freddezza.
- Cosa domandi a fare, allora, se conosci già la risposta? – insiste Kurt, alzandosi in piedi. – Lasciami in pace. – conclude, dirigendosi a grandi passi verso la porta, diretto probabilmente all’auditorium.
- Ehi! – lo ferma Dave, scattando in piedi a propria volta ed allungando una mano per afferrargli un polso, - Mi sto solo preoccupando, potresti—
- Ahi! – soffia Kurt, ritraendo la mano. Le dita di Dave non si erano ancora neanche chiuse attorno a lui, e per questo gli riesce molto facilmente di sottrarsi alla sua stretta. Per lo stesso motivo, però, è decisamente improbabile che sia stato lui a fargli male, e nel momento in cui lo realizza Dave si ferma a metà di un passo, guardando Kurt con gli occhi sgranati, mentre Kurt gli restituisce lo stesso sguardo, solo un po’ più spaventato, stringendosi la mano al petto.
- Che ti sei fatto? – domanda, indicando il polso con un cenno del capo. Nota solo in questo momento che indossa uno di quei maglioncini dalle maniche lunghissime che spesso portava fino a un paio di anni fa. È quasi interamente coperto dalla spalla alla punta delle dita. Cerca di ripetersi che probabilmente è solo per il freddo, ma non può fare a meno di trovarlo strano.
- Niente. – risponde subito Kurt, scuotendo il capo, e poi, rendendosi conto che non può mentire, aggiusta il tiro. – Me lo sono slogato. Mentre ballavo. Non è un gran problema, ma non stringerlo.
- Oh… - riprende a respirare più tranquillamente Dave, tornando anche a rilassare i muscoli tesi delle spalle e delle braccia, - Ok. Comunque, ero solo preoccupato. Non c’è bisogno di rispondermi male solo perché mi interesso. Sei stato tu a dirmi che dovrei essere più sicuro, o no?
Kurt sospira, passandosi una mano fra i capelli ed ostinandosi a tornare a guardare altrove.
- Scusa. – dice a bassa voce, - Sono un po’ teso.
- Stai anche diventando trasparente. – insiste Dave, acido, ma quando Kurt scatta a guardarlo, gli occhi nuovamente spalancati e pieni di paura, si rende conto di aver passato un confine, e si tira subito indietro. – Scusa, non volevo… intendo, non sono fatti miei.
Kurt apre e chiude la bocca un paio di volte, come stesse sforzandosi di cercare qualcosa da rispondergli, un qualche commento sarcastico che possa rimetterlo al suo posto, o qualcosa del genere, ma evidentemente non trova nulla, perché dopo qualche secondo di silenzio preferisce voltargli le spalle ed abbandonare l’aula, rifugiandosi nell’auditorium ben prima dell’inizio delle prove del glee club.
A Dave non resta molto addosso, se non la sensazione di essersi spinto troppo in avanti ed aver combinato un casino, come gli servissero altri motivi per sentirsi a disagio attorno a Kurt.
Cerca di lasciarsi rassicurare dalla scusa che Kurt ha usato per giustificare quel dolore al polso, ma la verità è che non può fare a meno di pensare che se il ballo è anche la causa di tutti i chili che ha perso, allora Kurt dovrebbe andarci più piano. E in generale, in realtà, se anche la causa non fosse il ballo, probabilmente Kurt dovrebbe andarci più piano comunque.
*
Poi un giorno succede che Kurt non viene a scuola, e questa cosa non solo rovina tutta l’attenta programmazione della giornata che Santana aveva approntato per Dave perché tenesse bene a mente anche gli orari in cui doveva portare in giro Kurt da un’aula all’altra, ma è anche strano, perché Kurt non si assenta mai. È uno degli studenti col numero di presenze più alto di tutto il liceo, e Dave non può fare a meno di preoccuparsi. Per qualche motivo, i vestiti troppo larghi, il pallore, la generale tristezza e il polso dolorante di Kurt non lo lasciano in pace. È ben consapevole che potrebbe semplicemente essersi preso un raffreddore, ma questo non riesce a tranquillizzarlo del tutto.
Si giustifica con se stesso dicendosi che è sicuramente un effetto collaterale del senso di responsabilità che percepisce per tutta la questione dei Bully Whips, ma la verità è che sa perfettamente che non è vero, e l’imbarazzo che prova nei confronti della situazione generale non è comunque sufficiente a tenerlo lontano da casa Hummel, quando la giornata scolastica finisce. Deve comunque passare per quella strada, e lo fa ripetendosi che non deve fermarsi, non deve attraversare il vialetto, non deve suonare il campanello e non deve restare lì per chiedere informazioni a chiunque gli apra la porta, ma sono esattamente le cose che fa quando la casa entra nel suo raggio visivo, e non riesce a impedirselo.
- Oh, Dave. – gli sorride la signora Hudson, - Sì, Kurt non sta bene. Il problema è che non è qui. – Dave aggrotta le sopracciglia, preso alla sprovvista, e lei lo rassicura con una risatina. – È andato a trovare Blaine alla Dalton, ieri, ma poi non s’è sentito bene, e visto che ha la febbre non se l’è sentita di tornare indietro, per cui è rimasto lì. Gli dirò che sei passato, gli farà piacere.
Dave annuisce, la saluta e riprende a camminare per la propria strada, ma non riesce a togliersi dalla testa il pensiero che dovrebbe controllare. È un pensiero ridicolo e idiota, insomma, Kurt è con Blaine, se davvero sta così male di sicuro non è da solo a prendersi cura di se stesso, ma questa consapevolezza non impedisce a Dave di chiedere in prestito la macchina a suo padre – ed ottenerla, complice l’acquazzone che si riversa giù dal cielo mentre lui è ancora per strada – e guidare direttamente fino alla Dalton.
Arriva verso metà pomeriggio, e ha già smesso di piovere. Quando varca il cancello principale, è sconvolto dall’enormità di quello che vede: solo l’edificio scolastico sarà grande il doppio rispetto al McKinley, ed i due edifici che suppone siano i dormitori si estendono per decine e decine di metri in lunghezza, dando a chi li guarda l’illusione di poter contenere una quantità di stanze molto superiore – Dave ne è sicuro – rispetto a quelle che servono per una scuola privata come questa.
Si intrufola direttamente in uno dei dormitori, dove un ragazzo di poco più grande di lui sta seduto dietro un tavolo con due registri aperti di fronte a sé. Dave non li guarda neanche, sta già cominciando a sentirsi molto più nervoso di quanto non dovrebbe e comunque non è più tanto convinto – se mai ne è stato – che venire fin qui sia stata una buona idea.
- Blaine Anderson… - dice a bassa voce. Il ragazzo sta leggendo una rivista di motociclismo, e non solleva neanche gli occhi su di lui, si limita a gettare un’occhiata svagata ad uno dei registri e poi sfogliare un’altra pagina della rivista.
- È a lezione. – risponde atono, - Ripassa più tardi.
- Veramente io starei cercando il suo ragazzo. – insiste allora Dave, parlando velocemente, per evitare di interrompersi a metà perché si è pentito di averlo detto. Cosa che comunque fa quando il ragazzo, finalmente, gli solleva gli occhi addosso, inarcando un sopracciglio. – Kurt Hummel… - si sforza di dire Dave, deglutendo pesantemente, - Dovrebbe trovarsi qui.
Il ragazzo mette via la rivista e controlla più accuratamente l’altro registro, che dev’essere quello degli ospiti. Lo scorre con un dito e poi batte quello stesso dito un paio di volte in corrispondenza di una riga in cui, in effetti, è segnato il nome di Kurt.
- Sì, è in camera sua. – ammette, - Ma probabilmente non dovresti disturbarlo. Né essere qui, in questo momento.
Dave aggrotta le sopracciglia, perché sa che è vero.
- Mi ha chiamato lui. – mente, sperando che questo sia sufficiente ad eliminare ogni sospetto, di qualsiasi tipo possa essere, - Se non mi vede arrivare, si preoccuperà.
Il ragazzo sembra stupito dalla sua affermazione, ma allo stesso tempo si ferma a riflettere abbastanza a lungo da far capire a Dave che la trova plausibile. Quando, alla fine, il ragazzo scrolla le spalle e gli comunica il numero della stanza ed il piano al quale deve recarsi, indicandogli gli ascensori in fondo al corridoio, Dave non può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, ringraziando distrattamente.
Quarto piano, stanza 109. Dave controlla scrupolosamente le targhette numerate sulle porte, per essere sicuro di non sbagliare, e quando la trova bussa lievemente, un paio di volte. Il silenzio che si protrae dopo quel gesto dura anche troppo, per i suoi gusti, ma alla fine Kurt risponde.
- Blaine non c’è. – dice, la voce distante e molto più nervosa di quanto dovrebbe essere.
- Kurt… - lo chiama Dave, bussando ancora, ed evidentemente Kurt non deve riconoscerlo, perché la sua risposta è raggelante per quanto è assurda e incomprensibile, al punto che Dave non riesce quasi nemmeno ad assimilarla.
- Per favore… - dice in un pigolio esausto, - Sono stanco, per oggi basta.
- Che…? – biascica Dave, talmente preso alla sprovvista da entrare in confusione, - Kurt, sono Karofsky! – precisa, bussando ancora una volta, e dall’interno della stanza giungono chiarissimi i suoni ora più frenetici, ora più quieti e ovattati, di qualcuno che si scaraventa giù dal letto e si veste in fretta e furia.
Kurt apre la porta qualche secondo dopo, col fiatone, una camicia spiegazzata ed un paio di pantaloni addosso e i capelli tutti in disordine.
- Che… che ci fai qui? – domanda, gli occhi spalancati, pieni di terrore.
Dave non sa neanche cosa dovrebbe fare. Kurt potrebbe anche invitarlo a entrare, ma Dave non è sicuro di volerlo. Non sa neanche se accetterebbe.
- Ero preoccupato. – deglutisce, ed è la cosa più sincera che può dire, in questo momento, - Sono passato da casa tua, ma…
- Lo so che sei passato da casa mia, Carole mi ha chiamato poco fa. – lo interrompe lui, stringendo convulsamente le mani attorno allo stipite della porta, - Perché sei venuto?
- Ero preoccupato, ti ho detto. – ripete lui, aggrottando le sopracciglia e sentendo già montargli nello stomaco la familiare sensazione di rabbia frustrata che Kurt è sempre capace di generare in lui ogni volta che, dopo una piccola apertura, torna a richiudersi a riccio.
- Ho capito che sei preoccupato, ma dovresti cominciare a preoccuparti di meno. – ribatte Kurt, gelido, - Sto benissimo.
- Lo vedo. – soffia Dave, - Non sembra neanche che tu abbia la febbre, in realtà, quindi direi che non mi voglio certo fare i fatti tuoi, ma qui qualcuno sta dicendo cazzate a qualcun altro.
- Quello che dico ai miei genitori non sono fatti tuoi. – risponde Kurt, spalancando gli occhi, oltraggiato, - Ora, se non ti dispiace, tornatene da dove sei venuto, grazie.
Dave stringe forte i pugni lungo i fianchi, trattenendo un ringhio di gola.
- Sicuro… - dice cupo, voltandogli le spalle e camminando svelto verso l’ascensore. Si ferma a metà percorso, però, voltandosi indietro repentinamente, e Kurt è ancora lì, che lo guarda dalla soglia della porta. – A cosa ti riferivi, prima? – domanda. Kurt inarca un sopracciglio.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando. – dice freddamente, e Dave ritorna verso di lui in un paio di ampi passi rabbiosi.
- Prima di aprire, quando ho chiamato il tuo nome. – dice, la voce che quasi gli trema dall’irritazione, - Hai detto “sono stanco, per oggi basta”. Non credo proprio che tu stessi parlando con me. Con chi credevi di stare parlando? E che volevi dire con quella frase?
- Ero ancora mezzo addormentato! – si difende Kurt, stringendosi nelle spalle e provando a chiudere la porta per lasciarne aperto solo uno spiraglio, cosa che Dave gli impedisce di fare piantando una mano contro la superficie liscia in legno scuro, - Non lo so nemmeno cos’è che ho detto! David, devi andartene. – dice quindi, più serio, e nella sua voce c’è una traccia di preoccupazione che Dave non è sicuro di riuscire a interpretare correttamente.
- Kurt? – domanda qualcuno alle spalle di Dave. Non ci mette molto, a riconoscere la sua voce. – È tutto a posto?
- Blaine! – sorride immediatamente il ragazzo, - Sei tornato.
Blaine gli ricambia il sorriso, avvicinandosi di qualche passo, e Dave istintivamente indietreggia, allontanandosi dalla porta.
- Karofsky, stai ricominciando? – domanda con fare minaccioso, per poi voltarsi a guardare Kurt. Dave lo vede chiaramente essere sul punto di dire qualcosa con aria preoccupata, qualcosa tipo “ti stava infastidendo?” o qualcosa del genere, puoi sempre prevedere quando qualcuno sta per dire una frase simile, perché le espressioni della gente spesso sembrano preimpostate in un dato modo. Specie quando non sono sincere. In ogni caso, l’espressione di Blaine diventa immediatamente molto più sincera, e per questo anche molto più spaventosa, quando si incupisce all’improvviso. – Ma come sei conciato? – domanda, e Kurt, arrossendo violentemente, si stringe la camicia al petto con una mano, coprendosi dove i due bottoni aperti lo lasciavano scoperto.
- Dave stava andando via. – dice Kurt, parlando a bassa voce, come stesse giustificandosi, - Ha saputo da Carole che non stavo bene ed è voluto passare per salutarmi, ma ora va via subito. Vero, Dave? – domanda, lanciandogli un’altra occhiata piena di quella preoccupazione che prima era stata solo accennata.
Dave ne ha paura, perché è qualcosa che non dovrebbe trovarsi negli occhi di Kurt. È qualcosa che non dovrebbe trovarsi negli occhi di nessuno, eppure è lì. La sensazione di essersi tirato sulle spalle una situazione molto più complessa di quanto lui possa gestire è spaventosamente intensa, al punto da costringerlo ad annuire velocemente e correre via lungo il corridoio, rifugiandosi nell’ascensore il prima possibile.
Non è per niente sicuro di aver capito cosa sia successo. In realtà, non è neanche sicuro di volerlo scoprire.
*
Quando Kurt torna a scuola, due giorni dopo, è ancora più magro di come lo ricordava. Solo a guardarlo si sente fisicamente male, e perciò evita di farlo per la maggior parte del tempo, ma è costretto a farlo quando, durante la riunione del PFLAG, Kurt si siede proprio di fronte a lui. Non fa che tremare per tutto il tempo, e Dave ne è terrorizzato. Kurt è l’ombra del ragazzo che era fino a sei mesi fa, è l’ombra del ragazzo al quale bastava lanciargli un’occhiata impietosa da un lato all’altro del corridoio per farlo sentire in pericolo, vulnerabile, esposto.
Vorrebbe avvicinarlo, subito dopo la conclusione della riunione, ma Kurt non gliene dà il tempo. Scappa in auditorium, e lì Dave non può seguirlo, perché quelli del glee club, nonostante tutta la situazione con Santana – forse, in parte, proprio per quello – non lo vedono ancora di buon occhio, e lui in realtà non è che abbia faticato più di tanto per entrare nelle loro grazie, per cui preferisce tenersene alla larga. Lo cerca, dopo gli allenamenti di football, ma non riesce a trovarlo, e suppone che se ne sia già tornato a casa, motivo per il quale anche lui va via.
Sulla strada, comunque, il suo sguardo viene attirato da un drappello di persone raggruppate attorno a tre coppie di ballerini. Si avvicina, attirato dalla scena, perché è piuttosto strano vedere dal vivo persone come loro, che prima di quel momento ha visto solo in televisione, a quelle gare di danza delle quali sua madre sembra non poter fare a meno. indossano costumi particolari, molto colorati, e la gente attorno a loro batte le mani al ritmo della musica nell’osservarli volteggiare elegantemente sulla piattaforma circolare in legno che hanno montato su uno slargo del marciapiede.
- Ciao, - lo saluta un ragazzo con un ridicolo cravattino colorato coordinato con un cappello ugualmente ridicolo, - ti interessano due biglietti? Magari per portarci la tua ragazza. – offre con un sorriso.
Dave a stento lo guarda, impegnato com’è a scrutare interessato le mosse dei ballerini. Due in particolare attirano la sua attenzione. Hanno la pelle scura, sembrano portoricani, o qualcosa del genere. Lei ha capelli lunghi e ricci e si stringe a lui sensuale e abbandonata. Lui le posa una mano alla base della schiena, guidandola nei movimenti mentre lei ancheggia docile, premendosi contro il suo corpo.
- Che stanno facendo…? – domanda curiosamente.
- Ballano la lambada. – risponde il ragazzo, divertito. Dave scuote il capo e lo fissa in cagnesco.
- Sì, lo vedo anch’io, questo. – sbotta, - Perché lo stanno facendo qui in mezzo alla strada? – precisa.
- Questo ci riporta al nostro principale argomento di conversazione. Quella che cercavo di intavolare mentre tu non mi ascoltavi. – annuisce il ragazzo, ridacchiando e sventolandogli i biglietti davanti alla faccia. – C’è uno spettacolo, stasera, stiamo vendendo gli ultimi biglietti.
- Uno spettacolo di che tipo? – domanda lui, e il ragazzo inarca un sopracciglio.
- Sai, credo che tu non avresti comunque nessuna ragazza da portare a vederlo. – commenta, - Mi sembri un po’ lento. Uno spettacolo di danza, no? È rimasto qualche biglietto invenduto e stiamo facendo un po’ di promozione per vedere se riusciamo a fare il tutto esaurito. Sarebbe una gran cosa, riusciremmo a pagarci il viaggio per la finale a New York. Sai, un concorso. Abbiamo passato le semifinali e tutto. Per cui, se sei interessato—
- Hai detto uno spettacolo di danza? – domanda Dave, riportandogli gli occhi addosso dopo un altro paio di secondi passato ad osservare i ballerini in scena, che nel mentre hanno cambiato costume e anche tipo di ballo. Non ha neanche bisogno di pensarci su, le associazioni mentali si fanno da sole. Danza. Kurt. Kurt non sta bene. Lui ha bisogno di tempo di passare in sua compagnia. Lo porterà allo spettacolo.
Compra due biglietti, e quasi si spacca una gamba rischiando di scivolare per terra quando imbocca di corsa la strada per casa di Kurt.
*
Kurt non sembra entusiasta dell’invito, ma per la verità non sembra neanche infastidito. È un po’ difficile inquadrare il suo stato d’animo, se continua a fissarlo come non riuscisse a capacitarsi della sua esistenza in vita, ma Dave è abbastanza sicuro che lo sgomento che gli legge negli occhi non sia dovuto al fastidio di sentirsi invitare ad uscire proprio da lui, quanto più ad un senso di stupore generale legato sì al fatto che non si aspettava che Dave potesse mai invitarlo ad uscire – per assistere a uno spettacolo di danza, poi – ma anche ad una sorta di sorpresa nel riscoprirsi lusingato da una richiesta simile.
- Stasera? – domanda, - Ma non so neanche… ma perché hai deciso di invitare me?
- Non è che avevo i biglietti in mano e ho pensato a te a caso, Hummel, li ho comprati apposta. – borbotta Dave, salvo arrossire furiosamente quando si rende conto di ciò che le parole che ha appena detto implicano. – Intendo… - prova a salvare la situazione, ma Kurt si stringe nelle spalle e ridacchia, divertito, e il suono è sufficiente a confondergli i pensieri abbastanza da non riuscire a trovare neanche una scusa plausibile da rifilargli, motivo per il quale, alla fine, preferisce stare zitto.
- Credo di aver capito. – dice con un sorriso, - E grazie. Sei molto gentile.
- Significa che verrai? – domanda subito lui, ansioso. Kurt arrossisce ed indietreggia di qualche centimetro, esitando vistosamente. Si mordicchia il labbro inferiore e guarda in basso, riflettendo per qualche secondo, mentre il cuore di Dave batte così forte che lui lo sente fisicamente spingere contro la sua cassa toracica, probabilmente intenzionato a sfondarla per andarsene, incapace di sostenere il carico di emozioni che gli confonde il cervello.
- Sì. – dice Kurt alla fine. È un sussurro talmente impercettibile che Dave schiude le labbra per chiedergli di ripetere, giusto per essere certo di non aver preso un abbaglio colossale, ma Kurt lo anticipa, ripetendolo più ad alta voce. Sul suo volto pallido, le guance arrossate spiccano come se si fosse versato addosso un barattolo di salsa di pomodoro. È adorabile.
Dave non riesce a smettere di sorridere come un idiota, per tutto il tragitto fino a casa.
*
Quando Dave torna a sedersi al suo fianco, portandogli la bibita che ha chiesto ed un hot dog da sgranocchiare in attesa dell’inizio del secondo tempo dello spettacolo, Kurt ridacchia, imbarazzato.
- Sei sempre stato così gentile, quando non mi spintonavi contro tutti gli armadietti della scuola, e io non me ne sono mai accorto, o è una cosa che hai cominciato a fare solo di recente? – domanda, accettando l’hot dog con un cenno di ringraziamento e posando l’enorme bicchiere contenente la bibita sulla panchina di legno sulla quale sono seduti. Dave distoglie lo sguardo, arrossendo vistosamente.
- Non è molto carino da parte tua fare battute su questo argomento. – borbotta.
- Perché no? – domanda Kurt, le labbra piegate in un sorriso sereno e rilassato, il primo che Dave gli veda fare da troppo tempo per non essere felice di rivederlo, - In fondo, sono io quello che dovrebbe esserne traumatizzato, no? Tu dovresti subire la tua punizione e basta.
- Mi sembra che qua si stiano ponendo le basi per un rapporto piuttosto sbilanciato… - borbotta ancora Dave, ma gli salta il cuore in gola quando sente Kurt irrigidirsi all’improvviso al suo fianco, stringendo le dita attorno al suo hot dog con tanta forza che quasi si sporca con la senape. - …ho detto qualcosa di sbagliato? – domanda ansioso, e Kurt si affretta a scuotere il capo ed avvolgere meglio il panino nella carta, per scongiurare pericoli eccessivi.
- No, scusa. – sorride ancora, - Sono solo un po’ nervoso.
- E perché? – domanda Dave. Kurt si volta a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
- Secondo te? – ritorce, - Mi hai chiesto di uscire…
Dave arrossisce furiosamente, scuotendo il capo.
- Sì, ma non in quel senso! – gracchia, preso alla sprovvista. Kurt ride.
- No? – lo prende in giro, - Dai, scherzo. Sei stato carino a portarmi fuori, specie visto come ti ho trattato ultimamente.
Dave distoglie lo sguardo, incapace di obbligare al suo flusso sanguigno di riprendere a scorrere in modo da non fargli illuminare la stanza col rossore delle proprie guance, specie ora che la sala, nel brusio della gente attorno a loro, torna buia, e i tecnici lasciano accese solo le luci che illuminano la pista da ballo.
- Mi hai trattato in maniera particolare? – chiede, - Non me ne sono accorto.
Kurt ride ancora, gli occhi già incollati alla pista.
- Adesso la gentilezza si sta trasformando in stupidità, e non sono tanto sicuro che tu non stia flirtando. – commenta con un ghigno.
- Ma piantala! – sbotta Dave, arrossendo ancora, - Ma ti diverti?
- Sì. – ammette Kurt, stringendosi nelle spalle. Dave sospira, e cerca di rilassarti contro lo schienale della panca, mentre due ballerini entrano in pista. – Oh, il tango! – squittisce Kurt, giungendo le mani sotto il mento. Dave lo guarda, inarcando un sopracciglio.
- Come fai a capirlo? Non si sono ancora neanche mossi.
- Dave, è evidente da come sono vestiti, via. Lei in nero, gonna con spacco che in qualsiasi altro contesto le porterebbe solo guai, calze a rete, capelli appuntati sulla nuca… lui pantaloni neri, camicia rossa, una rosa in mano… non ti dice niente? – sbuffa Kurt, quasi sconvolto dalla sua palese ignoranza in materia, quando lo vede scuotere il capo. – Sono ancora convinto che, più che le riunioni del PFLAG, a te servano un paio di pomeriggi alla settimana da passare a casa mia a guardare DVD o facendo shopping al GAP.
- Sì, certo. – sospira Dave, scuotendo il capo e concentrandosi sui ballerini. Sono bravi, almeno, per quanto può saperne lui, cioè molto poco. Mentre osserva la ragazza girare attorno al ragazzo, aggrapparsi alle sue spalle e poi lasciare che lui la afferri per un polso per riportarla di fronte a sé e premersela contro, muovendo un paio di passi in avanti e poi un paio di passi indietro, prima di cominciare a ballare sul serio, Dave non può fare a meno di sperare che questi ragazzi vincano qualsiasi cosa debbano andare a vincere, a New York. Si sente molto grato nei confronti del mondo intero perché adesso può stare seduto al fianco di Kurt a sentirlo sospirare innamorato per ciò che vede, ma in special modo crede di dovere un ringraziamento a questi ragazzi, che l’hanno reso possibile, perciò, fra una sbirciatina rubata al profilo sereno di Kurt e l’altra, si concede anche di augurare loro buona fortuna.
Poi, la luce biancastra del cellulare di Kurt si diffonde nell’ambiente, e Dave ne è allo stesso tempo attirato e infastidito. Si volta per chiedergli di spegnerlo, ma l’espressione che gli vede cristallizzata sul viso è sufficiente a fargli trattenere il fiato: Kurt ha gli occhi spalancati, pieni di paura, ed una mano a coprirsi le labbra. L’ha già visto così una volta, ma è abbastanza sicuro di non essere il motivo per cui lo sta venendo così adesso, perciò gli si avvicina.
- Kurt…? – sussurra, e senza volerlo sbircia lo schermo del cellulare.
Il messaggio recita “so dove sei”. C’è scritto “Blaine”, proprio sopra il testo. Le due cose messe insieme fanno scorrere un brivido talmente lungo e intenso, lungo la schiena di Dave, che deve per forza raddrizzarsi, per scrollarselo di dosso, mentre Kurt spegne frettolosamente il cellulare e se lo stringe al petto.
- Kurt, ma che diavolo—
- L’hai visto? – domanda Kurt, la voce che trema, - Dio… devo andare. – biascica, alzandosi in piedi e cominciando a chiedere permesso alle persone sedute nella loro stessa fila, per uscire di lì il più in fretta possibile.
- Kurt! – lo chiama lui, bisbigliando per non dare fastidio, - Aspetta!
- Non seguirmi! – lo avverte lui, prima di sparire oltre la porta d’ingresso. Dave impreca sottovoce, e poi si alza, decidendo di non seguire il suo consiglio e venendo perciò sommerso dagli insulti e dalle lamentele della gente quando a propria volta si fa strada nell’intricato groviglio delle loro ginocchia, per andargli dietro.
Lo cerca ovunque, attorno all’edificio, e quando non riesce a trovarlo decide di dirigersi verso la macchina, per cercarlo più velocemente nelle strade intorno. Probabilmente ha già ripreso la via di casa, se si muove in fretta dovrebbe riuscire a recuperarlo prima che arrivi. La situazione non gli piace, vedere Kurt così teso e sconvolto non gli piace e decisamente non gli piace il contenuto del messaggio che ha intravisto poco fa. Quale razza di fidanzato scrive una cosa simile al proprio ragazzo? È una cosa così inquietante che solo a pensarci la schiena di Dave si riempie nuovamente di brividi.
Individua la propria automobile, si avvicina e fa per aprire lo sportello, ma quando sente il singhiozzo minuscolo che proviene dal lato opposto rispetto a quello in cui si trova non ci mette molto a capire che Kurt dev’essere ancora lì. Gira attorno alla vettura e, non appena lo vede seduto lì per terra, tutto raggomitolato su se stesso, le spalle scosse dai singhiozzi e la schiena appoggiata allo sportello della macchina, si inginocchia al suo fianco.
- Kurt… - lo chiama piano, - Ma che ti è preso? Cos’era quel messaggio?
- Dave, devi andartene. – singhiozza Kurt, scuotendo energicamente il capo ma continuando a nascondersi dietro le proprie stesse braccia, - Per favore, vattene via.
- Non posso! – sbotta Dave, poggiandogli una mano su una spalla, - Cioè, non voglio, ma anche se volessi non potrei, visto che se stai seduto qui rischio di metterti sotto appena parto.
- Non sapevo dove altro andare! – strilla in risposta Kurt, sollevando lo sguardo. Ha gli occhi arrossati e gonfi di lacrime, e i capelli tutti scompigliati sulla fronte, - Carole deve avergli detto dov’eravamo, avevo bisogno di nascondermi, se lui mi trova…
- Se lui ti trova?! – esclama Dave, sconvolto, - Kurt… senti, mi sembra evidente che qui c’è qualcosa che non va. Già quando sono venuto alla Dalton non mi è sembrato che la situazione fosse del tutto normale, ma adesso stai dicendo delle cose che o non hanno senso… - si interrompe, deglutendo faticosamente, - …o ne hanno uno che non mi piace per niente. – Kurt distoglie lo sguardo, mordendosi un labbro e continuando a piangere in silenzio, forzandosi orgogliosamente e testardamente a tenere gli occhi aperti il più possibile, per cercare di farsi scivolare fra le ciglia meno lacrime. Ma quelle sono così tante, e si gonfiano così in fretta, che continuano a rotolargli lungo le guance anche se lui cerca di fare l’impossibile per trattenerle. – Kurt, ascoltami… - sospira Dave, rassegnandosi a sedersi per terra al suo fianco, - voglio aiutarti. Tu hai aiutato me anche quando io non volevo, ed ora mi sembra che sia tu quello che non vuole essere aiutato per nessun motivo al mondo. Il punto è che me ne frego del fatto che tu non voglia essere aiutato, come te ne sei fregato tu quando la situazione era invertita. Quindi adesso prendi un bel respiro e raccontami tutto, fin dall’inizio.
Kurt tira su col naso, asciugandosi gli occhi con i palmi di entrambe le mani, e poi appoggia la testa contro la portiera alle proprie spalle, chiudendo gli occhi e lasciandosi accarezzare la pelle accaldata e arrossata del viso dalla brezza tagliente e fredda della sera, per cercare un po’ di sollievo.
Quando riapre gli occhi, Dave stringe i pugni, perché qualcosa dentro di lui pulsa insistentemente per avvisarlo che, molto probabilmente, qualsiasi cosa Kurt gli racconterà adesso gli darà molti più brividi di quanti gliene abbia già dati quel messaggio sul cellulare.
Dave non è sicuro di sentirsi pronto, ma il punto è che non gl’importa di esserlo.
*
Comincia quando Kurt dice a Blaine che vorrebbe tornare al McKinley. “Posso farlo,” gli dice, “non c’è bisogno di preoccuparsi. La situazione è sotto controllo. Santana si è occupata di Karofsky.”
Blaine però non sembra preoccupato. Blaine è cupo, scontroso, aggrotta le sopracciglia e mette il broncio come un bambino al quale abbiano rotto il giocattolo preferito. Kurt non capisce cosa stia succedendo. Non lo capisce nell’immediato, quando Blaine smette di farsi sentire la sera per la buonanotte per lunghissimi periodi e poi riprende a comportarsi normalmente, facendogli pensare di essere ammattito, di avere solo immaginato le stranezze e il malumore e il disinteresse che gli attribuisce.
Questa è la cosa peggiore, a ripensarci adesso. È la cosa peggiore, dice a Dave, pensare di aver creduto, anche solo per un istante, di essere stato quello in difetto. Di essersi immaginato tutto, di aver perfino trattato Blaine in maniera ingiusta, facendogli notare quando sembrava trascurarlo o ignorarlo del tutto mentre invece Blaine magari stava solo avendo qualche altro problema che, sul momento, gli impediva di stargli dietro coccolandolo come al solito. Aver pensato di essersi comportato solo come uno stupido, ingrato, viziato, capriccioso. Mentre invece era vero. Mentre invece Blaine lo faceva apposta, ad accorciare ed allungare il cordone ombelicale che li univa, solo per giocare con la sua testa. Per metterlo nella posizione di non capire più cosa fosse reale e cosa no, cosa vedesse perché era lì e cosa immaginasse perché pensava che fosse lì per davvero quando invece non c’era affatto.
Kurt non capisce cosa stia succedendo in quell’istante, e non lo capisce nemmeno giorni dopo, quando Blaine gli dice che d’accordo, lui non ha nulla in contrario al suo trasferimento, che continuerà ad amarlo anche se potranno vedersi molto meno spesso, che tutto ciò che vuole è che lui sia felice.
E poi gli chiede di fare l’amore. Glielo chiede, come non ha mai fatto prima. “Fai l’amore con me,” gli dice, “fallo per me.” E Kurt non riesce a trovare neanche un motivo valido per dirgli di no, o forse un motivo ci sarebbe, ed è che non si sente ancora pronto, ma dopo tutto quello che Blaine gli ha detto, davvero, come può rifiutarlo?
Kurt non capisce cosa sta accadendo neanche in quel momento. Non lo capisce quando, dopo aver fatto l’amore, Blaine non si fa sentire per una settimana intera. Kurt prova a chiamarlo ininterrottamente, e lui non risponde mai, e Kurt cerca di distrarsi con l’emozione che prova per essere ritornato a casa, al McKinley, coi New Directions, impegnato nelle mille attività che il ritorno a scuola gli ha permesso di intraprendere, ma non è mai abbastanza per fargli smettere di pensare a lui, e fa sempre troppo male non sentirlo per tanti giorni consecutivamente.
Poi è Blaine a chiamarlo, e la felicità che Kurt prova nel sentire anche solo la sua voce è sufficiente per farlo scoppiare a piangere. Gli chiede perché l’abbia ignorato così a lungo, forse perché ha fatto qualcosa di sbagliato? Forse l’ha fatto arrabbiare?, e Blaine ride di tutte le sue paure. “No, tesoro, sono solo stato impegnato. Fai lavorare troppo il cervello,” gli dice, e Kurt si vergogna così tanto che vorrebbe sparire. Si è immaginato tutto, non era vero niente, è solo uno stupido ragazzino in cerca di continue attenzioni, e Blaine dovrebbe stare lontano da lui, perché lui non se lo merita.
Quando si incontrano, due giorni dopo, Kurt piange per ore. Non sa spiegarsi neanche perché. Stretto fra le sue braccia piange e piange, vergognandosi come un criminale, e Blaine asciuga tutte le sue lacrime in punta di lingua, e poi glielo chiede ancora. “Fai l’amore con me, fallo per me,” e Kurt non deve neanche più dire di sì. Blaine chiede, lui dà. Tiene gli occhi chiusi e il viso nascosto dietro l’avambraccio per tutto il tempo, sentendosi male, quasi nauseato, per ogni minuto che Blaine passa piantato in profondità dentro al suo corpo.
Ancora una volta, Blaine non si fa più sentire. Passano due settimane, e di lui nessuna traccia. Kurt piange ogni giorno. Inizialmente si dice che prima o poi le lacrime cominceranno a diminuire, ma non è vero. Non è mai vero. Alla fine, prende la macchina e guida fino a Westerville. Blaine lo accoglie in camera propria sorridendo, come non fosse successo niente. E Kurt sa già cosa significa quel sorriso. “Ma che sciocchezza, ti sei immaginato tutto,” si dice. Blaine non ha più neanche bisogno di chiedergli di fare l’amore con lui, Kurt lo bacia e tutto il resto viene da sé, troppo facilmente per pensarci, troppo per non fare almeno un po’ male.
Stavolta, Blaine non smette di farsi sentire. Riprende a chiamarlo ogni giorno, riprendono le ore passate su Skype a parlare del più e del meno quando non riescono a vedersi, riprendono le telefonate fiume del weekend, riprendono gli sms della buonanotte, riprende l’abitudine a trovare ogni scusa plausibile per evitare gli altri impegni e potersi vedere più spesso. Riprende tutto come prima, e Kurt si sente sempre peggio. Ormai non capisce più nemmeno perché. Qualsiasi cosa Blaine faccia lo fa sentire colpevole. Ogni volta che lo guarda, si sente disgustoso per avere anche solo provato a pensare qualcosa di cattivo su di lui. Non riesce quasi a stargli accanto, ma non potrebbe stare senza, e non ha la minima idea di come sia riuscito ad arrivare a questo punto immaginando tutto da solo.
La richiesta, poi arriva all’improvviso. “C’è questo mio amico…” dice Blaine, e poi glielo chiede. “Fai l’amore con lui, fallo per me,” e Kurt spalanca gli occhi e dice no. Dice no con violenza, si allontana da lui con uno scatto furioso e recupera la borsa, oltraggiato, indietreggiando verso la porta. Gli chiede cosa gli passi per la testa, ma Blaine non risponde. Aggrotta le sopracciglia, scrolla le spalle. “Era solo un favore,” dice. La frase da sola è sufficiente a sconvolgere Kurt ben oltre le sue capacità di sopportazione. Gira sui tacchi e va via, e per i primi giorni, quando ovviamente Blaine non si fa più sentire, Kurt riesce perfino a pensare che va bene così. Chi se ne frega, è pazzo, non lo merita.
Poi, la morsa allo stomaco comincia a farsi sentire. È nostalgia, è bisogno, Kurt ha voglia di Blaine e il solo pensiero lo disgusta, ma è così. Ha voglia di sentirsi addosso le sue mani, ha voglia di sentire la sua voce, ha voglia perfino di sentirsi come si sente mentre scopano. Che non è mai un sentimento piacevole. Ma gli manca perfino quello. Perciò torna da lui. Torna da lui e lo fa senza pensare alle conseguenze. Forse perché le immagina, e preferisce non farlo.
Le conseguenze sono quelle che si aspetta. Quando Blaine gli parla nuovamente del suo amico, “sicuramente lo conosci, è nei Warblers anche lui”, Kurt sa già cosa aspettarsi. Se dice no, saranno altre due settimane di assenza. Forse anche di più. Al solo pensiero, il suo corpo non regge. Gli si annoda lo stomaco, gli si attorcigliano le viscere, si sente nauseato, svuotato, stanco e non vuole, non vuole, non può. Perciò dice sì. Lo dice una volta, e poi due, e poi tre. E gli amici aumentano. Uno per volta, due o più insieme. Kurt perde il senso del limite, non ricorda più come si fa a negargli qualcosa, e Blaine lo sa. Blaine lo sa perché è stato lui a portarlo fin lì. L’ha fatto consapevolmente, e questa è la seconda cosa peggiore, così dice a Dave, piangendo così forte da farsi dolore il petto. Questa è la seconda cosa peggiore. L’essersi messo nelle sue mani spontaneamente. Non essere stato capace di frenarlo in nessun modo.
Essere stato tanto stupido da credere all’amore solo perché per la prima volta qualcuno l’aveva fatto sentire amato.
*
- Sapevo che vi avrei trovati qui a rivangare. Siete un cliché. Molto più di quanto non lo fossimo io e te, Kurt. E immagino che non ci sia modo di sistemare questa storia senza che qualcuno ne pianga le conseguenze, giusto? – dice Blaine, in piedi di fronte a loro, ancora seduti per terra, - Prima di ogni cosa, non ho tempo per le sciocchezze. E non ho tempo per te, Karofsky. Vai a farti un giro, devo parlare con Kurt.
- Neanche per idea. – ringhia Dave, scattando in piedi, - Tu ora scompari. Per sempre. E non ti avvicini a Kurt mai più finché sei vivo. E io potrei prendere in considerazione l’idea di non prenderti a sprangate sulla nuca e non denunciarti alla polizia.
- Oh, sì, prendimi a sprangate sulla nuca e poi vai alla polizia, sono sicuro che saranno molto interessati alla tua storia. – ride Blaine, - O alla tua, - aggiunge, voltandosi a guardare Kurt, - della quale non puoi dimostrare niente. Per dire la verità, non sono neanche sicuro di aver fatto qualcosa di realmente illegale. Ti ho sempre chiesto cosa volevi fare, sei sempre stato tu a rispondermi di sì. – dice con un mezzo ghigno che però non sembra affatto realmente divertito. Kurt non riesce nemmeno a guardarlo. Si copre il volto con entrambe le mani e Dave non ha bisogno di molto altro, per decidere cosa deve fare.
La spranga potrebbe non essere necessaria.
*
Kurt ritorna di corsa, rosso in volto, trafelato, imbarazzato oltre ogni dire. Scarta il ghiacciolo che ha comprato dal chiosco in fondo alla strada e lo appoggia sull’occhio già gonfio e giallastro di Dave, inginocchiandosi al suo fianco e sospirando pesantemente.
- Non avevano del ghiaccio vero, mi sono dovuto accontentare. – gli spiega, - Sarai un po’ appiccicoso, ma almeno la tua faccia non diventerà il doppio più grossa.
- Visto che lo è già abbastanza… - commenta Dave con una risatina, e Kurt arrossisce ancora più violentemente, tirandogli uno schiaffetto contro una spalla.
- Non fare ironia, cretino. – lo rimprovera, e poi sospira ancora. – Non pensavo che sarebbe riuscito a colpirti. Certo che sei un idiota, sei alto e largo il doppio e ti fai prendere così a pugni in faccia…
- Un solo pugno. – borbotta Dave, quasi offeso, - Mi sono distratto per un secondo e la sua statura ridicola gli ha permesso di muoversi più velocemente di quanto pensassi. Ma a lui è andata comunque peggio.
Kurt si lascia andare ad un sorrisetto divertito, e Dave sa che lo fa perché sta pensando al labbro ed al sopracciglio spaccato di Blaine e a quanto sangue perdeva mentre si allontanava zoppicando e piangendo in maniera ridicola.
- Sai cosa? – dice, - Mi sento ancora più stupido, adesso. Ti sono bastati dieci minuti di botte per farlo fuggire via in lacrime. Ti rendi conto di quanti mesi abbia passato io piangendo disperatamente perché non sapevo cosa fare? È imbarazzante. – sbuffa contrariato, sedendosi al suo fianco. – Toh, continua a premerti il ghiacciolo contro l’occhio. – si raccomanda, passandogli il ghiacciolo tenendolo saldamente per il bastoncino di legno.
- Dovresti sentirti fortunato, invece, perché almeno hai trovato uno come me che aveva la soluzione a portata di mano. – borbotta Dave, ubbidendo all’ordine. C’è tanto di quel freddo che il ghiacciolo neanche si scioglie. Gli rimarrà appiccicato alla faccia.
Kurt lancia un’occhiata alle mani di Dave, e fa una smorfia addolorata. Quando Blaine si è allontanato e lui ha potuto avvicinarsi per guardarle, le nocche erano così scorticate da sanguinare. Le hanno avvolte in due pezzetti di stoffa che Kurt ha strappato da una camicia che improvvisamente sembrava molto meno di valore di quanto non apparisse quando, una settimana prima, l’ha comprata per un prezzo allucinante durante lo shopping del venerdì, ma Kurt non riuscirà a levarsi la loro immagine dalla testa tanto facilmente.
- Mi dispiace per le tue mani. – dice a bassa voce, - È… è assurdo che tu abbia dovuto farlo. Mi dispiace moltissimo.
- Oh, per piacere. – sbotta Dave, scrollando le spalle, - Cercavo solo una scusa per prenderlo a pugni da mesi. Sono io che dovrei ringraziare te. La Furia decisamente si sente molto grata, in questo momento. Un po’ ammaccata e dolorante, ma grata in ogni caso.
- La Furia… - Kurt sorride appena, stringendosi nelle spalle e sedendosi abbastanza vicino da potergli sfiorare un fianco col proprio, - Sono contento che tu l’abbia presentata prima a Blaine che a me. – aggiunge con una mezza risatina.
Dave gli lancia un’occhiata e si sente arrossire così tanto che perfino il ghiacciolo comincia a sciogliersi.
- Mi sa che al ritorno dovrai guidare tu. – gli dice per cambiare argomento, lanciando un’occhiata al cielo limpido e ghiacciato sopra di loro. Kurt annuisce. Non sembra granché infastidito dall’idea, e Dave si concede un sorriso sollevato. Poteva andare peggio, o forse no, ma comunque non importa. L’importante è che sia passata.
Genere: Commedia.
Pairing: Dave/Kurt.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Dave Karofsky ha una missione, e fosse anche l'ultima cosa che fa nella propria vita la porterà a termine. Anche se ciò comporta mettere piede nel luogo più spaventoso che conosca.
Note: Storie che si aprono e si chiudono nel giro di un paio di giorni, io vi amo, e dovrei scrivere solo voi. Anche se siete assurde, come questa.
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HORROR HOUSE

Casa Hummel-Hudson è, come al solito, assolutamente terrificante. Dave è consapevole del fatto che in realtà sia una casa normalissima, perfino accogliente, di quelle che ispirano amore, famiglia, affollati pranzi di Natale e del Ringraziamento o di qualsiasi altra cosa sia possibile festeggiare con tavoli lunghi più di sei metri ed almeno una cinquantina di sedie attorno, col vischio appeso sopra ogni porta e miriadi di bambini sovrappeso vestiti da mostriciattoli che inseguono gatti paffuti agitando bastoncini di zucchero e inciampando su zucche finemente decorate mentre cuccioli di labrador con enormi occhi color cioccolato uggiolano lanciandosi felicemente addosso agli ospiti e rotolando sulle proprie stesse zampette incerte in sul background musicale di un estasiato coro di “aww”, ma lui la teme. Ne è terrorizzato. Essa è peggio di un castello incantato protetto da boschi di rovi e da draghi infuriati, e perciò, ogni volta che è costretto a visitarla, si immagina sempre come se fosse Shrek, pronto ad introdursi in questo spaventoso maniero per salvare la sua Fiona.
Pensa a Shrek perché pensare ad un principe stile damerino-di-Biancaneve (la cui canzone d’amore Kurt conosce a memoria) sarebbe estremamente inappropriato, per lui. Non riesce a immaginarsi in calzamaglia e mantellino e col rossetto – perché palesemente il principe di Biancaneve ce l’aveva, il dannato rossetto – mentre si sdilinquisce sotto il balcone di Kurt cantando nenie intollerabili sulla meraviglia della sua pelle bianca come la neve e delle sue gote rosse come mele eccetera eccetera. No, quello era il metodo di Blaine, e lui è stato mollato. Quindi Dave non ripercorrerebbe il sentiero già battuto da lui neanche per tutto l’oro del mondo.
Il punto della questione, comunque, non è tanto immaginarsi sotto forma di un principe palesemente gay o di un orco verde palesemente disgustoso, no, quanto più cercare di immaginarsi in mezzo ad una quest il più avventurosa e spaventosa possibile, perché onestamente l’idea di avere paura di questa dannata casa proprio in quanto casa della famiglia Hummel-Hudson è disturbante. No, lui non ha paura di una stupida casa. O di chi la abita. Assolutamente.
Lui ha paura perché lui ha una missione da compiere. Una questione di vita o di morte. Una cosa di un’importanza talmente esagerata da meritare di essere trattata con tutto il rispetto e il sacro timore che si riserverebbe ad una crociata, o qualcosa di simile.
Per questo Dave Karofsky ha paura.
Non certo perché i membri della famiglia del ragazzo che gli piace – nonché, per certi versi, anche il ragazzo stesso – sono fra le creature più assurde e spaventose che gli sia mai capitato di incontrare in tutto il corso della sua vita.
Ormai è passato quasi un anno esatto dalla prima volta che, costretto dalle circostanze, si è ritrovato sulla soglia di questa casa. Dovrebbe ormai essere abituato a frequentarla, visto che a quella prima occasione – il primo PFLAG Meeting organizzato dalla nuova e scintillante Gay-Straight Students Alliance di cui Kurt per parecchi mesi è stato socio e consocio fondatore, presidente ed unico partecipante che non si trovasse lì perché obbligato dal programma scolastico – ne sono seguite poi moltissime altre, che si sono poi naturalmente trasformate in allegri pomeriggi passati assieme a Kurt non perché obbligato da una nota del preside Figgins ma per semplice desiderio di farlo, e in tutto questo tempo Dave ha imparato a conoscere le insidie e gli anfratti nascosti, le numerose trappole che ogni angolo di quella struttura ha in serbo per lui, pronta a sguinzagliare forze demoniache al suo solo passaggio, ma ciononostante ancora ne ha paura. Anche perché molti dei tranelli che la casa degli orrori gli tende lui dovrebbe avere imparato a scansarli con grazia e agilità, e invece niente. Forse proprio perché grazia e agilità non rientrano esattamente in nessuna delle poche pagine che compongono il suo vocabolario. Kurt ha provato ad aggiungerle sui bordi bianchi di quel vocabolario immaginario con un pastello rosa, spargendo porporina ovunque, ma non ha ottenuto altro che una gran confusione e una crisi isterica da parte di Dave che, al ventesimo tentativo di fargli pronunciare le frasi per esteso senza contrazioni si è messo a piangere in un angolo strillando che se le contrazioni erano state inventate era stato per aiutare la gente, quindi erano una cosa buona, quindi andavano utilizzate, e quindi Kurt era inutilmente crudele contro la lingua inglese nel cercare di impedirgli di farne buon uso.
Insomma, in assenza di grazia e agilità, conoscere a memoria le insidie di quel luogo tremendo non è di alcun aiuto, e difatti ogni qualvolta Dave si ritrova a varcare la soglia dei cancelli infernali per entrarvi lo fa col cuore in gola, l’ansia tipica del condannato a morte ad attanagliargli il petto e lo stomaco, costringendolo a sudare – cosa che odia, perché sa che Kurt la nota, e ciò è oltremodo fastidioso – e a respirare affannosamente – altra cosa che odia, perché così sembra che i passi gli costino fatica, e questo palesemente aumenta l’impressione che a suo modo di vedere Kurt ha sempre avuto di lui, e cioè che lui fosse molto più sovrappeso di quanto in realtà Dave poi non sia; Dave è certo che, nella testa di Kurt, lui sia un ciccione rotolante, e questa cosa lo angoscia a livelli difficilmente comprensibili, livelli che lui stesso faticava a inquadrare in una qualsiasi definizione razionale, prima di capire la triste, spaventosa e devastante verità.
Triste, spaventosa e devastante verità che è un po’ il punto cardine di tutte le motivazioni per le quali Dave continua a presentarsi a casa Hummel-Hudson nonostante la odi; ed è un po’ il punto cardine di tutte le motivazioni per le quali Dave si trova qui adesso, anche, pronto a compiere l’ultimo passo verso la confessione finale.
Deglutendo forzatamente e rischiando di soffocarsi con la propria stessa saliva come un imbecille, Dave si decide finalmente a suonare il campanello. Non passa molto prima che riesca a percepire l’ormai familiare scalpiccio di piccoli e graziosi piedi di donna, e passa ancora meno fra il momento in cui percepisce questo suono e quello, quasi immediatamente successivo, in cui la porta di casa si spalanca sul sorriso esagitato e luminoso di Carole.
Dave si tira istantaneamente indietro. Questa creatura lo disturba profondamente. Può sembrare forse il livello più semplice da superare all’interno della quest mentale che, in un palese sfoggio di totale schizofrenia, si è costruito attorno, ma ciò non toglie che sia un arduo nemico anche lei.
Per prima cosa, la donna abbraccia.
La donna abbraccia.
Tutti gli esseri umani che abbiano compiuto quarant’anni dovrebbero essere a conoscenza della regola basilare di convivenza con gli adolescenti maschi dagli anni diciassette in su, secondo cui essi non vanno toccati per nessun motivo che non sia l’intenzione di infilargli una mano nelle mutande e masturbarli, ed anche in quel caso né prima, né durante, né tantomeno dopo sono compresi gli abbracci.
Gli abbracci sono il male. E quella donna li usa come arma contro di lui.
Cercando di dare fondo a tutta la propria atletica destrezza, Dave si ingegna nel provare a passarle accanto superando la minaccia delle sue braccia già tese verso di lui, ma ovviamente fallisce. Non c’è atletica destrezza, in lui, ed è per questo che fa la guardia e non il quarterback. A lui viene bene lanciarsi sulle persone e schiacciarle a morte, non sfuggire alle loro fameliche braccia desiderose di stringerlo in teneri abbracci materni. Ma lui poi non ha bisogno di teneri abbracci materni, lui possiede già una madre che ottempera a tutte le sue necessità di provare dell’imbarazzo per contatti assolutamente inappropriati come questo! Che la madre di Hudson se ne stia al posto suo, per carità di Dio.
- Dave! – urlacchia la donna, avvolgendogli le braccia attorno al collo in un palese tentativo di soffocamento, - Che piacere vederti. Capiti giusto a proposito, ho appena sfornato una crostata di albicocche che è semplicemente la fine del mondo. Ti va di provarla? – domanda zuccherina. Dave, se potesse, incrocerebbe gli indici e strillerebbe “vade retro, satana!”. Cosa crede di fare agitandoti davanti agli occhi i suoi turpi tentativi di ingrassarti? Non sa che all’usuale programma di sollevamento pesi ora hai aggiunto anche una corsetta attorno al parco alle sei di ogni mattina per perdere un po’ di peso? Nessuno qui presta la dovuta attenzione ai tuoi tentativi di non apparire come un disgustoso botolo ciccioso agli occhi di Kurt! Mostri. Sono tutti mostri, ecco cosa.
- Ehm, no, signora Hudson, grazie mille. – declina educatamente, scuotendo il capo. – Senta, Kurt è in casa? Dovrei parlargli.
- Oh, ma sì, naturalmente. – risponde lei in un cinguettio estasiato, - Vieni, accomodati pure. – lo invita, ed è allora, entrando in casa, che Dave percepisce l’approssimarsi di un ulteriore pericolo.
- Chi è, Carole? – tuona burbera la voce del signor Hummel, e Dave rabbrividisce da capo a piedi.
Anche quell’uomo, come quasi tutto il resto di ciò che quella casa contiene, lo terrorizza a morte. Ma Dave ha ottimi motivi per sentirsene terrorizzato, anche se Burt non fa quasi mai niente di inappropriato, quando lui è nei dintorni. Non cerca di abbracciarlo, tanto per cominciare, non cerca di offrirgli torte ipercaloriche, non cerca di legare con lui a tutti i costi parlando di football – anche perché, Dave ne è quasi certo, se affrontassero l’argomento come minimo scoprirebbero di tifare per due squadre avversarie e porre così il definitivo mattone sul muro d’odio reciproco che ormai da più di un anno stanno alacremente costruendo fra loro – insomma, se ne sta più o meno sulle sue, e questo Dave lo apprezza e lo rispetta.
Ma quell’uomo gli è saltato addosso, un anno e mezzo fa. Quell’uomo gli è letteralmente saltato addosso scaraventandolo contro un armadietto e poi scaraventandosi contro di lui e premendogli un dannato avambraccio contro la gola nel bel mezzo di un maledetto corridoio scolastico pieno di studenti e professori che ovviamente smaniavano per interessarsi di qualsiasi cosa che non fosse la violenza che lui stava subendo in quel momento. Queste non sono cose che una persona possa dimenticare facilmente. E quindi, anche se sa perfettamente che Burt non si sognerebbe mai di ripetere la propria eroica performance in difesa della virtù violata del suo unico figlio maschio adesso che tanto tempo è passato e tante cose sono cambiate, Dave ritiene comunque di avere ancora il diritto di mostrare sacro timore nei confronti di questo soggetto dall’aria cupa e inquietante.
Gli si avvicina pertanto con una certa reverenza.
- ‘Sera, signor Hummel. – saluta con un educato cenno del capo, - Cercavo suo figlio.
- Il tuo hobby preferito. – risponde l’uomo, lanciandogli un’indecifrabile occhiata di ghiaccio. Alle volte Dave ha seriamente l’impressione che Burt si stia preparando a diventare il suocero peggiore nella storia dell’uomo. Usualmente a Dave non piace lasciarsi andare al pensiero, perché la suocerizzazione mentale di Burt implica la proiezione virtuale di tutta una serie di filmini dietro i quali Dave può perdere anche ore intere fissando il vuoto con aria persa e la bavetta alla bocca, ma ci sono momenti in cui è difficile ignorare la sensazione, specie quando lo vede diventare così improvvisamente suoceresco tutto assieme. È inquietante, è qualcosa nel suo sguardo, nelle battute amare che fa, nel modo in cui si muove, qualcosa di spaventoso che, se Dave sapesse controllarsi appena meno di quanto non sappia controllarsi – che pure è molto poco, in realtà – lo porterebbe a strillacchiare “signor Hummel, la smetta, non l’ho ancora sposato, buon Dio!”. Fortunatamente, mai una frase simile è sfuggita dalle sue labbra. Ancora.
Ma la paura che ciò possa accadere da un momento all’altro è forte, e sicuramente Dave non riuscirà più a trattenersi, e l’Inferno verrà pertanto rovesciato sulla terra sovvertendone gli equilibri e causando distruzioni e morte ovunque, se lui continua a rimanere attorno al signor Hummel a farsi suocertrollare. Motivo per il quale risponde alla battuta con una lieve risatina e poi si avventura coraggiosamente al piano di sopra, dove lo aspettano il penultimo livello e il boss finale.
A un occhio meno esperto, o a un osservatore occasionale, potrebbe forse sembrare che Finn Hudson non sia esattamente ascrivibile all’elenco dei soggetti pericolosi che abitano in questa casa. Il curioso di passaggio potrebbe forse ridere del profondo terrore che attanaglia il cuore di Dave nel salire le scale, perché penserebbe “ohibò! Dopo aver superato gli appiccicosi abbracci di mamma Carole e dopo essere sopravvissuti al terrificante atteggiamento di papà Burt, cosa mai potrebbe farti paura adesso? Non c’è niente che Finn possa inventarsi per rappresentare per te un pericolo maggiore”, ecco, questo direbbe il pellegrino distratto della domenica, e naturalmente sarebbe in errore.
I problemi con Finn sono cominciati prima, in realtà, prima che Dave capisse di essersi preso una cotta di quelle pesanti per il di lui fratellastro, prima che tale fratellastro si mettesse in testa di organizzare i PFLAG Meeting che avevano condotto Dave a prendere atto di questa verità, prima ancora, a onor del vero, perfino che il fratellastro in esame decidesse di tornare al McKinley. Tutto era cominciato con gli zombie. Era stata colpa dei dannati zombie, ecco. Era stato allora, in occasione di quel ridicolo bootcamp, che Finn aveva cominciato a interessarsi, e che Dave aveva cominciato a temere.
Finn è sostanzialmente insostenibile. Appiccicato come una cozza e stupido uguale, vive la sua vita costantemente immerso in un flusso di canzoni che si canta nella testa continuativamente, e che ogni tanto lo portano ad esplodere e a cominciare a cantare pure nella vita vera, sotto gli occhi di tutti. In questo senso, lui e quella nana della sua ragazza isterica e dall’indubbio cattivo gusto nel vestire sono fatti decisamente l’uno per l’altra. Ma questo non è il punto della questione, il punto della questione è che Finn ha sempre avuto questo spiccato atteggiamento da gallo alfa del pollaio, se un qualcosa di simile a un gallo alfa del pollaio esiste, per cui qualsiasi problema c’è lo deve risolvere lui, e qualsiasi difficoltà uno dei suoi ragazzi possa avere lui deve farsene carico sulle proprie sbilenche spalle da spaventapasseri spelacchiato.
È questo che è successo durante il bootcamp. Nel corso della loro breve ma indubbiamente intensa frequentazione in quel periodo, Dave potrebbe – o non potrebbe, si parla naturalmente per ipotesi – essersi comportato con Finn come se, in qualche modo, lontanamente, da un certo punto di vista, sotto una luce particolare ed inclinando la testa di novantacinque gradi rispetto all’asse di rotazione terrestre, stesse cercando da lui dell’approvazione, o dell’aiuto. Potrebbe – o non potrebbe, sempre – avere espresso a parole l’intenzione di stringere con lui un legame amicale di un certo qual tipo, intenzione che avrebbe potuto essere giudicata come tale solo guardandola attraverso uno specchio in grado di ingrandire e allo stesso tempo ribaltare l’immagine riflessa, ma che cionondimeno avrebbe potuto essere interpretata in questo modo. Potrebbe o non potrebbe avere fatto tutto ciò, e questo potrebbe – o non potrebbe, naturalmente – essere stato l’errore più grande della sua intera esistenza, perché da quel momento lui è diventato anche un problema di Finn. Una cosa che Finn doveva incaricarsi di risolvere in quanto quarterback, cantante solista dei New Directions e protagonista principale del ridicolo teen-show che si gira da solo in testa quando è convinto che nessuno lo guardi, e che – Dave ne è sicuro – deve essere scritto coi piedi, anche solo per il fatto di avere lui come protagonista.
Insomma, Finn ha deciso, in quel giorno lontano, che doveva essere lui a risolvere tutti i problemi di Dave Karofsky. Ed è stato molto palese nel farglielo sapere, prima cercando di legare con lui in qualsiasi ridicolo modo – mostrandogli fumetti idioti ed aspettandosi che Dave li trovasse divertenti ed esaltanti come sembrava fare lui, per dire, o approcciandolo casualmente durante gli allenamenti per parlare di tattica quando non aveva mai fatto una cosa del genere prima di quel momento – e poi cercando di convincerlo a rapire Kurt per riportarlo al McKinley, sottraendolo all’abbraccio in puro cotone traspirante della divisa della Dalton.
È stato allora che Dave ha sentito la necessità di porre un limite, e l’ha posto, oh!, se l’ha posto, e fortunatamente dopo lo spiacevole episodio del “Dave! Vieni con me a chiedere scusa a Kurt!” “Mai nella vita, Hudson” i rapporti fra lui e Finn si sono raffreddati a sufficienza da rientrare in una zona meno pericolosa – anche perché poi Finn ha ritenuto più opportuno mettersi a fare cose allucinanti tipo cambiare ragazza due volte in due mesi e imbastire banchetti ai quali offriva se stesso per pochi spiccioli come d’altronde a Dave sembra anche logico, visto che chi pagherebbe più di pochi spiccioli per baciare Finn Hudson? – ma ora tutto sta precipitando nuovamente. E per ora si intende naturalmente da sei mesi a questa parte, ovvero da quando la frequentazione di Dave di casa Hummel-Hudson e dei suoi spaventosi misteri s’è fatta più assidua, e da quando lui ha cominciato a sospettare di essersi innamorato di Kurt.
Finn deve essersi accorto, in qualche modo, del suo imbarazzo. Delle difficoltà che ha di stare attorno a Kurt senza arrossire, agitarsi, rovesciare bicchieri di coca cola sulle tovaglie, inciampare, muoversi in maniera scoordinata, urtare mobili, frantumare inermi stoviglie e scaraventare involontariamente a terra placide bocce contenenti innocenti pesci rossi per salvare i quali è poi costretto a lanciarsi verso il primo lavandino disponibile per riempire bicchieri d’acqua che possano fungere da abitazioni provvisorie finché una nuova boccia non viene acquistata.
Sono, naturalmente, tutte prove indiziarie. A chi non è mai capitato di arrossire a caso? O di colpire involontariamente qualcosa mentre si era distratti? O di rovesciare il contenuto di un bicchiere per pura e semplice goffaggine? Sono cose assolutamente normali. Nessuno dovrebbe poter desumere un qualche disagio da dettagli così palesemente insignificanti, anche se occasionalmente capita che tutte queste cose si verifichino contestualmente nel giro di una mezz’ora. Ma Finn evidentemente ha un sesto senso che gli permette di comprendere chissà cosa anche da questi irrisori episodi, ed ha quindi intuito che Dave ha un problema.
Ciò non sarebbe un problema per Dave, se Finn si limitasse a tenersi questi infamanti sospetti casualmente corrispondenti a verità per sé, ma dal momento che, come già detto in precedenza, l’animo profondamente egocentrico di Hudson gli impedisce di stare alla larga dai problemi della gente, ecco che il dramma si verifica in tutta la sua drammatica drammaticità: ogni volta che Dave sale al piano di sopra, sa già che Finn Hudson sarà lì, pronto a lanciare la sua rete per catturarlo. E infatti, puntualmente, anche stavolta accade.
- Karofsky. – lo chiama piano, attirando la sua attenzione da un angolo del corridoio, addossato alla parete del quale lui sta appoggiato, tutto storto e goffo come la sua allucinante statura gli impone, le braccia incrociate sul petto e sul volto un’espressione talmente investigativa che potrebbe esserlo di più solo se indossasse un impermeabile color kaki e un cappello a tesa larga appropriatamente misterioso.
- Hudson… - si lamenta Dave, coprendosi il viso con entrambe le mani e fermandosi in mezzo al corridoio, - Cosa diavolo ci fai qui?
- Be’, è casa mia. – risponde placido Finn, staccandosi dalla parete e avvicinandosi di un paio di passi.
- Intendevo qui, in mezzo al corridoio. – ribatte Dave con un sospiro, inarcando un sopracciglio. – Seriamente, se tu pensi che sia normale stare qui nascosto nell’ombra ad aspettarmi ogni volta che vengo a trovare Kurt, allora—
- Se c’è qualcuno che non dovrebbe mai parlare di normalità, Karofsky, quello sei tu. – lo interrompe Finn, fermandosi a un paio di passi da lui, e cioè comunque troppo vicino rispetto ai normali standard di distanza che due adolescenti maschi della loro età dovrebbero rispettare, anche se uno dei due è gay. – Questo perché tu hai un problema, e prima o poi dovrai dirmi di cosa si tratta.
- Perché?! – sbotta Dave, allargando le braccia ai lati del corpo, - Se anche avessi un problema, spiegami per quale oscuro motivo dovrei venirlo a dire a te! Non siamo neanche amici!
Finn spalanca gli occhi, indietreggiando appena. Sembra perfino oltraggiato, e Dave non può fare altro che complimentarsi con se stesso perché, pur andando del tutto alla cieca, sembra aver trovato una contromisura adeguata alla smania di controllo che agita il cervello di Finn impedendogli di badare solamente ai fatti propri.
- Questo è un colpo basso, coso. – annuncia con voce tremula, indietreggiando ancora, presumibilmente verso la propria stanza.
- Non chiamarmi coso, coso! – strilla Dave, oltraggiato tanto quanto lui, muovendosi speditamente verso camera di Kurt. Questo luogo è per lui assolutamente insostenibile. Dovrebbe essere così semplice entrare in una casa, salire al piano di sopra e bussare ad una porta per andare a trovare un amico! E invece per lui è tutto difficilissimo! E naturalmente non è certo per colpa sua o della sua incommentabile goffaggine nel momento in cui deve avere a che fare con altri esseri umani con cui interagire. Nossignore, per niente. Sono gli abitanti del luogo che sono pazzi.
Anche adesso che non ci sono più ostacoli fra lui e il suo obbiettivo finale, in realtà, la paura non lo abbandona. E questo perché Kurt è pazzo tanto quanto i suoi familiari, come ovviamente era prevedibile. E la pazzia di Kurt supera in qualsiasi scala di misurazione di gran lunga la pazzia di tutti gli altri. È un po’ come se all’inizio della catena di montaggio che ha poi prodotto la famiglia Hummel-Hudson ci fosse un enorme barile pieno di pazzia, e degli stampini in cui questa pazzia andava versata per creare esseri umani che ne fossero ricolmi. Sono stati creati Burt, Carole e Finn, pieni di pazzia fino all’orlo, come uova, e nonostante questo con tutta la pazzia avanzata si sarebbero potuti realizzare almeno altri quattro o cinque esseri umani ugualmente strabordanti di pazzia, ma era rimasto un solo stampino, e quindi tutta la pazzia rimanente è stata versata in quello, creando un essere umano talmente ripieno ed esondante di pazzia da rappresentare il matto definitivo. E questo era Kurt. Non stiamo parlando di un semplice boss di fine livello. Questo è il boss finale.
Prima di bussare alla porta, Dave si prende un momento solo per se stesso e, fissando le venature del legno con aria ipnotizzata e vagamente assente, si chiede chi glielo stia facendo fare. Perché, pur ben consapevole della pericolosità del generale livello di insanità che si respira in questa casa, vuole comunque varcare questa soglia e chiedere a Kurt di diventare il suo ragazzo e andare con lui al ballo studentesco?
Aspetta la risposta per qualche secondo, ma quella non fa in tempo ad arrivare perché, dalle profondità del corridoio, comincia a venire fuori la voce lamentosa di Finn che riprende a cercarlo, probabilmente credendo che un secondo tentativo di venire a capo del suo problema sarà meno infruttuoso del precedente. Terrorizzato dalla sola idea di trovarsi nuovamente faccia a faccia con lui, Dave bussa un paio di volte, sorridendo sollevato quando la porta si apre e lo accoglie oltre la soglia il sorriso estasiato di Kurt.
- Dave! – lo chiama festoso, - Vieni, vieni! – saltella, afferrandolo per un braccio e trascinandolo all’interno per poi chiudersi immediatamente la porta alle spalle. Dave si concede di immaginare quella stessa porta sbattere sul naso già peraltro abbastanza brutto di Hudson, ed è l’ultimo pensiero distratto che si consente di indirizzare a qualcuno che non sia Kurt, prima di concentrarsi esclusivamente su di lui, e naturalmente sulla propria fondamentale missione.
- Ehm, Kurt, ciao. – lo saluta, mentre Kurt continua a trascinarlo verso quella che è la sua cabina armadio, e che in realtà più che una cabina armadio è un appartamento indipendente dotato di bagno privato e di una stanza in più all’interno della quale Kurt ha montato la propria macchina per cucire, e che sostanzialmente utilizza come sartoria personale. – Non hai idea della fatica che ho fatto per arrivare fin qui.
- Fatica? – domanda Kurt, completamente disinteressato all’argomento, posando Dave su un enorme pouf rosa fastidiosamente peloso, - David, non dire sciocchezze, casa mia e casa tua distano appena due isolati. Sei un po’ sovrappeso, ma è letteralmente impossibile che pochi passi ti abbiano stancato a questo punto. – sbotta, mentre una fitta di dolore all’altezza del petto annuncia a Dave che il suo sistema nervoso ha stabilito che è più facile morire che intavolare una conversazione sensata con Kurt, ed ha pertanto avviato la procedura di autodistruzione.
- Uh… sì. – piagnucola Dave, guardando in basso e cercando di affondare nella peluria del pouf per scomparire alla vista il più possibile, - No, non intendevo in quel senso, comunque ok. Senti, Kurt, ho bisogno di parlarti. – prova, con piglio più sicuro, ma Kurt lancia un urletto stridulo che gli scompiglia tutti i capelli e Dave salta sul posto, una mano sul petto, guardandosi attorno per assicurarsi che nessun animale strano sia apparso all’improvviso a generare la paura di Kurt.
Ovviamente, non c’è nessuno strano animale. Solo Kurt, il quale sta reggendo fra le mani una giacca di un qualche tessuto assurdamente traslucido di un intenso color ciclamino, ed un berretto in coordinato, con un’elegante fascia di seta nera tutta attorno alla tesa.
- Guarda! – strilla, prendendo il tutto ed esponendoglielo con orgoglio, - È finalmente pronta!
- …non ho idea di cosa tu stia parlando. – ammette Dave, fissandolo con sconcerto. – Comunque, ti sarei grato se potessi ascoltarmi un attimo, voglio—
- Ma come non hai idea di cosa io stia parlando?! – sbotta Kurt, praticamente spalmandogli la giacca sulla faccia, come se averla a due millimetri dagli occhi, schiacciata contro il naso e mezza infilata in bocca dalla foga con la quale è stata premuta contro il suo viso, potesse aiutarlo a visualizzarla meglio. – È la nuova divisa per i Bully Whips! – squittisce estatico, ritirandola verso di sé solo per stringersela al petto come un figlio adorato.
Il programma di protezione degli adolescenti gay dal bullismo imperante al McKinley ha fatto molta strada da quando, più di un anno fa, Santana e Dave l’hanno messo in pratica per la prima volta. Adesso è un’organizzazione, con dei capi, dei responsabili, una gerarchia e una ventina di iscritti solo fra le guardie del corpo. Insomma, sostanzialmente è diventata una casta di cui Dave fa ancora orgogliosamente parte, anche se solo in veste di rappresentanza, un’attività che lo riempie anche di un certo orgoglio, specie quando gli chiedono di andare in giro per gli altri licei di Lima e delle città limitrofe, per tenere ispirati discorsi sulla bontà del programma e sui suoi sicuri effetti sulla vivibilità degli ambienti scolastici.
Già da un po’ Kurt blaterava dell’impossibilità di tenere ancora quella divisa così rustica e rudimentale, adesso che i Bully Whips sono una cosa molto più seria di quella che erano all’inizio, ma Dave non pensava che dicesse sul serio. E in ogni caso non gli interessa parlare della nuova divisa proprio in questo momento, a una settimana dal ballo. E comunque non indosserà mai niente che sia color ciclamino, dovesse morire nel tentativo di impedire a qualcuno di infilargliela addosso.
- Kurt, possiamo parlarne dopo? – tenta, la voce tremula e l’aria di uno che ha decisamente bisogno di più comprensione dal mondo circostante. Kurt, naturalmente, lo fissa di rimando, inarcando un sopracciglio, con l’aria di uno che se ti aspetti comprensione da lui, buona fortuna.
- No, naturalmente! – strilla, - Adesso ho bisogno che tu ti spogli. – aggiunge, annuendo perentorio. Dave spalanca gli occhi, salta in piedi e rovescia il pouf, il quale urta la torre di scatole di scarpe vuote che Kurt conserva in un angolo, le quali rovinano a terra sparpagliandosi ovunque e gettando l’intero ambiente nel caos primordiale.
- Cosa?! – grida quindi, giungendo le mani sul petto come a proteggersi, - Che?! No!
- Dave! – ribatte Kurt, sconvolto, - Devi provare la giacca! Voglio vedere come veste!
- No! – insiste Dave, sconvolto, sconcertato e con una gran voglia di lanciarsi contro la prima finestra disponibile e sparire nell’iperspazio, - Me ne vado!
- Che?! Ma sei appena arrivato! – sbotta Kurt, afferrandolo per le maniche della felpa, - Andiamo, via questa roba!
- No! – si agita Dave, turbato fin quasi alle lacrime. Non può lasciare che Kurt lo spogli! Ma che storia è?! Non ha senso! Perché la sua quest ha improvvisamente preso questa piega assolutamente delirante? Lui aveva un piano! Doveva soltanto seguirlo! E invece eccolo qui che cerca di difendersi da una palese violenza sessuale dopo aver evitato madri, scansato padri, dribblato fratellastri e rovesciato colonne alte metri di scatole di scarpe vuote! No, non può lasciare che questo accada. Non può lasciare assolutamente che questo accada prima di… prima di…! – Kurt! – strilla, afferrando il ragazzo per entrambe le spalle e scuotendolo un paio di volte per obbligarlo a interrompersi, - Mi piaci! Ti prego, diventa il mio ragazzo! Voglio che tu venga al ballo studentesco con me! – butta fuori, tutto d’un fiato, e quando riapre gli occhi, terrorizzato, sente il bisogno fisico di provvedere a suicidarsi quanto prima nell’osservare lo smarrimento e lo sconcerto nelle iridi chiarissime di Kurt.
- Cos… che? – biascica, fissandolo sgomento. Dave si allontana da lui, grattandosi la nuca, e si schiarisce la voce, recuperando dalle profondità della propria coscienza il discorsetto che s’era preparato prima di arrivare e che naturalmente, con tutte le cose che sono successe, non ha ancora avuto modo di pronunciare.
- È… è dal ballo dell’anno scorso che rimpiango di non aver seguito il tuo consiglio. – comincia, stringendosi nelle spalle, - Sai, fare la differenza, dire la verità. Ballare con te. – aggiunge, lanciando a Kurt un’occhiata vagamente imbarazzata e tornando poi a fissarsi la punta delle scarpe. – È da allora che aspetto questo momento, per cercare di… di riparare. Perché… - guarda Kurt ancora una volta, arrossendo violentemente e gettando alle ortiche il discorso perché non ci si può davvero aspettare che un uomo provato da mille pericoli quale lui è parli in maniera assennata, adesso. Andrà a braccio, sperando che Kurt capisca. - …perché, oh, perché mi piaci, e vorrei avere un’occasione di dimostrarti che sono un bravo ragazzo, e— cioè, te l’ho dimostrato già più volte nel corso dell’anno che sono un bravo ragazzo, con tutta la questione del PFLAG, e i Bully Whips, e tutto, ma vorrei dimostrartelo di più, e siccome mi piaci davvero tanto, e siccome non c’è più quel tizio che ti portavi dietro fino all’anno scorso, e non c’è più, vero? no che non c’è più, sì? E insomma, vorrei davvero che—
- Dave! – lo interrompe all’improvviso Kurt, e Dave non ha altra scelta che smettere di parlare per la duplice ragione che Kurt sta ridendo e la sua risata suona come campane in festa, e che comunque sta premendo il palmo di una mano contro la sua bocca per zittirlo. – Calmati un secondo. – ridacchia. Dave produce un suono naturalmente incomprensibile contro la sua mano, e poi si placa. Solo allora, Kurt la ritira, ridacchiando ancora una volta. – È… abbastanza inaspettato. – dice. Ma non sembra disgustato. Questo è già un enorme segnale positivo rispetto a quello che Dave aveva prefigurato. Qualcosa di orribile che comprendeva cose potenzialmente pericolose puntate verso parti del corpo potenzialmente molto dolenti. – Non so bene cosa pensare di tutta la questione del piacersi e dello stare insieme, intendo… - scrolla le spalle con un risolino, - non è che tu non mi piaccia, ma è un po’ fare il passo troppo lungo rispetto alla gamba, ti pare?
Dave abbassa il viso, lo sguardo e, se potesse, abbasserebbe pure le orecchie.
- S-Sì… - ammette, dispiaciuto, e sta per chiedere a Kurt se questo vuol dire che non andrà nemmeno al ballo con lui, quando Kurt gioca d’anticipo e sorride ancora.
- Al ballo con te però ci vengo volentieri. – lo rassicura, - Anche io rimpiango di non avere avuto l’occasione di ballar col mio legittimo sovrano. – ridacchia. Dave arrossisce vistosamente, ma immagina che Kurt non abbia la minima idea di cosa queste parole possano implicare se viste in un’ottica appena più da flirt spensierato rispetto a quella dalla quale Kurt stesso le sta guardando, e quindi, per non traumatizzarlo ulteriormente, non sottolinea la cosa. Si limita a sorridere fiducioso, per la prima volta da quando è entrato in questa casa, e quando Kurt, pochi secondi più tardi, gli chiede se può occuparsi lui del suo look per quella sera, lui è talmente felice, sereno e soddisfatto di sé che non si dà neanche la pena di darsi dell’idiota e mettersi a piangere.