telefilm: lindsey petersen

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia
Pairing: Justin/Brian.
Rating: R
AVVISI: AU, Chanslash.
- La vita di Brian Kinney è perfetta. Ha un buon lavoro, è un bell'uomo, ha un figlio stupendo e una splendida moglie. Quello che ancora non sa è che la sua vita ha deciso di sconvolgersi, facendo posto a Justin, il maliziosissimo figlio della sorella di sua moglie...
Commento dell'autrice: Non riesco a credere di averla davvero finita XD Sono estremamente felice di aver portato a termine questa piccola impresa, e devo dire una serie di cose e ringraziare un po’ di persone, quindi datemi un po’ del vostro tempo.
Prima di tutto, rispondo alla domanda che sicuramente tutti voi vi starete ponendo: perché “Simple&Clean”? Ebbene… non lo so è_é! XD All’inizio, doveva rappresentare la personalità del giovane Justin che, pur con la sua innocenza, avrebbe dovuto essere colui che riusciva a creare una breccia nell’integrità di Brian, convincendolo a fare le porcate è_é Adesso, immagino che rifletta la personalità del ragazzo solo per contrasto XD
Anyway, mi sono accorta che una personalità docile e innocente non sarebbe servita allo scopo quando ho deciso che in questa storia Brian sarebbe stato etero. Il che lo porta già automaticamente OOC, immagino, ma va be’ XD Il merito di tutto questo è da imputare alla Caska e al Kaw. Stavo parlando in chat con la prima, infatti, quando il secondo le ha suggerito di farmi organizzare qualcosa con il cast etero di QaF US – che è uno sconvolgimento mica male se si pensa che praticamente la totalità dei personaggi di quel telefilm è irrimediabilmente e orgogliosamente gay. Ma ho deciso di cogliere parzialmente l’idea perché mi sembrava figa. Quindi grazie alla Caska e al Kaw ^_^!
Poi grazie anche a Idreim, perché se non mi avesse posto un limite di tempo tale da accendermi una fiammella sotto alle natiche, difficilmente mi sarei mossa produttivamente in questo senso X’D
Infine, il tema. È rispecchiato nella storia solo per metà, purtroppo :\ Non c’è il “mist of morning”. Però c’è tutto il “deep in the night”, e che vi basti XD Comunque era un tema bellissimo, quasi mi dispiace di non essere riuscita a svilupparlo nella sua pienezza. Immagino potrei riciclarlo per qualcosa al di fuori della Community, o magari per un concorso, se si farà utilizzando le melodies come ispirazione.
Ok, ecco tutto è_é Spero che l’esperimentino vi sia piaciuto :
PS: Scritta per il set di temi “Melodies of Life”, della True Colors Community.
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SIMPLE & CLEAN
Melody#30. We met in the mist of morning, and parted deep in the night


Era un uomo di successo, possedeva tutto ciò che fosse possibile desiderare. Era bello e affascinante, il suo ascendente sul prossimo era indiscutibile, era ricco e astuto, non aveva problemi sul lavoro, la sua era una famiglia rispettabile, aveva una bella moglie, innamorata e intelligente, e un bambino stupendo che avrebbe fatto un anno di lì a un mese.
Non c’era nulla, nella vita di Brian Kinney, che potesse considerarsi meno che perfetto.
*

- Bri?
Sua moglie Lindsey si affacciò dalla porta della camera da letto, chiamandolo discretamente. Lui aprì appena gli occhi.
- Mh… - mugugnò, senza sollevare il capo dal cuscino.
- E’ ora di svegliarsi! – disse lei, allegra.
Solo allora, vedendo minacciato il suo diritto al sonno, si degnò di sollevare lo sguardo sull’orologio.
- …fanculo, Linz, sono le otto del mattino!
- Eh, sì, lo so, ma ti devi svegliare lo stesso.
- Ma è sabato!!!
- Oh, come sei noioso, avrai tutto domani per riposarti in santa pace… oggi ho bisogno di te.
- Che? Perché?!
- Perché, come ti ripeto da circa quindici giorni, oggi alla galleria c’è l’inaugurazione della mostra che ho curato, e tu devi badare a Gus.
- …l’avevo completamente dimenticato…
- Sì, l’avevo intuito.
- Ma non puoi portarlo da Micheal?!
- Non puoi scaricare sul tuo migliore amico i tuoi doveri di padre!
- Sì che posso! Avanti, ti prego, Micheal e Ben adorano Gus…
- Mi dispiace, preferisco che almeno una volta ogni mille anni sia suo padre a prendersi cura di lui, e non i suoi “zii”.
- Guarda che ho sentito le virgolette nella voce! Cos’hanno che non va Micheal e Ben?
Lindsey sospirò, esasperata.
- Assolutamente niente, Brian. Solo, non sono i suoi genitori.
- …
- Avanti. Fa’ questo sforzo. Non ti chiedo tanto, solo di stare con lui fino a stasera! Puoi sopravvivere!
Brian lanciò un lamento soffocato, sprofondando di più fra le lenzuola.
Poi sospirò profondamente e si alzò in piedi, sotto lo sguardo soddisfatto di sua moglie.
*

- Mangerai. Oh, se mangerai.
Il bambino lo guardò, le manine strette attorno al giocattolo che lui gli aveva dato perché smettesse di piangere.
- Molla quel giocattolo e mangia! – ordinò Brian, minacciandolo col cucchiaio pieno di pappa davanti alla bocca.
Gus fece una smorfia e guardò altrove, imbronciato.
- Insomma! – gridò l’uomo, esasperato, cercando di forzare le labbra del bambino col cucchiaio.
Proprio in quel momento squillò il telefono.
- Pronto?
- Tesoro?
- Linz! Torna subito qui!
- Cosa…? Ma che…?
- Quel bambino è un ribelle! Si rifiuta di mangiare, si rifiuta di obbedire agli ordini, si rifiuta di smettere di fare casino, insomma, torna a casa e toglimelo da davanti agli occhi, prima che faccia qualcosa di cui potrei pentirmi!
- …Bri. Devi calmarti, adesso.
- Questo è impossibile!
- No, Bri. Devi fare uno sforzo e calmarti. Insomma, è solo un bambino, non può essere così drammatico…
- Può. Può, credimi.
- Oh, al diavolo, ti ho chiesto un favore e tu me lo farai!
- Così non è un favore, è un obbligo!
- Non mi frega un accidenti di cos’è. E poi…
Pausa.
- …e poi?
- Ecco… c’è una cosa che ho… come dire, “dimenticato” di dirti, stamattina.
- …queste virgolette…
- Temo di doverti chiedere un altro favore, tesoro.
- No!
- E’ troppo tardi per rifiutare…
- Linz! Cosa CAZZO stai cercando di dirmi?!
- Ecco… ti ricordi mia sorella, vero?
- E’ ovvio che mi ricordo tua sorella, Linz, va’ al punto.
- Ecco, vedi, mia sorella ha un figlio…
- SI’ LINZ, CONOSCO PERFETTAMENTE IL TUO ALBERO GENEALOGICO!!!
- Sì… ehm… insomma, mia sorella deve allontanarsi fino a stanotte, e dal momento che Justin non può stare da solo per tutto questo tempo…
- COSA?!
- Lo sta portando da noi. Rimarrà fino a quando sua madre non sarà tornata.
- Lindsey! Dovrei badare a due mocciosi?!
- Be’… solo fino a quando non sarò tornata a casa stasera, dai… e poi comunque Justin non è più un moccioso, ha già sedici anni…
- E allora perché non se ne sta a casa sua?!
- Brian! Cerca di finirla!
- Ma insomma, cazzo, non vedo quel bambino da quando aveva qualcosa come otto anni!
- Be’, se fossi venuto a una qualsiasi festa di Natale, o di Pasqua, o magari del suo compleanno, ultimamente, forse adesso non saresti così in imbarazzo…
- Non sono in imbarazzo, sono incazzato perché mi vuoi costringere a fare qualcosa che non voglio!
- Tesoro…
- NON CHIAMARMI TESORO!!!
- …sarò a casa verso le sei. Fatti forza, dai.
- Linz?!
Conversazione interrotta.
Rimase ad inveire contro il telefono muto ancora per quale secondo, prima di voltarsi a guardare suo figlio che, terrorizzato, stropicciava fra le mani il pupazzo, sul punto di piangere.
- Gus… Gus… devi mangiare… altrimenti papà potrebbe fare uno sproposito…
Lo sguardo iniettato di sangue dovette convincere il bambino, che ripulì il piatto fino all’ultima stellina al pomodoro.
*

Il campanello squillò immediatamente, quando si appisolò sul divano. Non ebbe neanche il tempo di irritarsi, che quello squillò di nuovo, e ancora, componendo una stonata e gracchiante versione de “La vecchia fattoria” che prese a rimbombargli nel cervello – e non smise più.
- Arrivo, arrivo! – gridò, esasperato, muovendosi stancamente verso la porta del loft, massaggiandosi le tempie con due dita, - Chi diavolo è?
- Sono Justin! – rispose una vocina entusiasta, al di là dell’uscio.
Eccolo qui, l’altro mostriciattolo, pensò con sommo disappunto aprendo la porta.
Justin lo guardò a lungo, sorridendo, le mani dietro la schiena e il capo lievemente inclinato di lato, in un’adorabile posa da bravo bambino così spudoratamente artefatta da essere quasi divertente.
S’introdusse in casa sua senza neanche chiedergli permesso, andando direttamente a buttarsi sul divano e afferrando il telecomando per accendere la televisione con tale velocità e naturalezza da far pensare di essere nato appositamente per questo.
- Ciao anche a te, Justin! – disse ironico, piantando le mani sui fianchi.
Il ragazzo si limitò a sollevare una mano e agitarla distrattamente, senza proferire parola.
- Se scendessi i piedi da mio divano in pelle da quasi quindicimila dollari, forse potrei cominciare a odiarti di meno. – lo avvertì, astioso, avvicinandosi a lui e guardandolo con fastidio.
Solo allora Justin sollevò lo sguardo su di lui, inclinando graziosamente gli angoli della bocca verso il basso.
- Ma… tu allora mi odi, zio Brian…? – chiese, piagnucoloso, stringendosi nelle spalle.
- Primo: - disse Brian infastidito, cercando di mantenersi calmo, - non azzardarti mai più a chiamarmi zio.
- Ah, no…? – chiese Justin, sorridendo malizioso ed enigmatico, - Avevo immaginato potessi trovarlo piacevole…
- …ma tu chi sei, una specie di diavolo pestifero e malizioso…?
Il ragazzo ridacchiò, sedendosi composto e spegnendo la tv.
- Una specie. – annuì tranquillo, socchiudendo gli occhi. – Secondo?
- …eh?
- Hai detto “primo”, poco fa. Quindi deve esserci un “secondo” e magari anche un “terzo”.
- Non c’è nessun secondo e meno che mai ci sarà un terzo! – sbraitò Brian incrociando le braccia sul petto.
- Come vuoi, come vuoi… - disse Justin scrollando le spalle e tornando a distendersi sul divano.
- Oh, al diavolo! Secondo: non mettere i piedi su questo dannato divano! Se proprio devi distenderti, togliti le scarpe.
Sfidandolo con un sorriso, Justin sfilò lentamente le sneakers, abbandonandole con noncuranza sul pavimento e tornando a distendersi scompostamente.
In quel momento, un vagito strozzato annunciò il risveglio di Gus.
Gli occhi del ragazzo si illuminarono.
- Allora Gus è qui! – disse gioioso, scattando in piedi, - Credevo fosse con sua madre!
- No, è qui. – sospirò Brian, già distrutto dal pensiero di dover avere a che fare con due mocciosi talmente problematici per tutto il pomeriggio. – Sta’ fermo qui e non ti muovere neanche se crolla la casa. Vado a vedere cos’ha.
- Se vuoi – suggerì Justin, come fosse stata una cosa di poco conto, - posso prendermi io cura di lui.
E per la prima volta Brian pensò di essersi sbagliato, in fondo, sul suo conto.
Fino a quel momento, aveva visto Justin come una parte integrante del problema. Ma in fin dei conti poteva anche esserne la soluzione. Dopotutto aveva già sedici anni, possedeva perfino responsabilità penale, in caso di problemi, e…
…sì, magari poteva andare.
- Sai come occuparti dei bambini? – chiese dubbioso.
- Non che ci voglia un nobel per far giocare un neonato. – rispose Justin, sbuffando, - Sì, penso di poter portare a termine la missione senza troppe difficoltà.
- Ti avverto: Lindsey ti ucciderà, se succede qualcosa al pupo.
Justin ghignò, alzandosi in piedi.
- No, Lindsey ucciderà te. Io mi limiterò ad assistere divertito.
Sconvolto dal ghigno e dalle parole, osservò per un pezzo il ragazzo farsi strada verso la cameretta che avevano ricavato accanto al soppalco che era la loro camera da letto, prima di decidersi a seguirlo.
- Ehi… cos’è che intendevi…?
Justin ridacchiò, prendendo in braccio il bambino che, appena fu arrivato alla giusta altezza, cominciò immediatamente a giocare col suo naso.
- Ma niente, stavo solo scherzando. – disse, sorridendo angelicamente mentre faceva saltare Gus fra le braccia – fra le sue risatine divertite.
- Ehi, ehi, frena un secondo! Tutti questi sbalzi non saranno pericolosi…?
Justin sospirò, assicurandosi per bene Gus fra le braccia.
- Sul serio, pensi che potrei usare questo bambino per farti avere dei problemi? Non sono pazzo, almeno non fino a questo punto.
- …ma tu hai davvero sedici anni…?
- In realtà li devo ancora compiere. Ma mancano solo un paio di mesi. – spiegò trionfante, cercando nella cesta dei giochi un sonaglino da dare al bimbo.
- Capisco. – si arrese lui, - Allora senti, dal momento che qua mi sembra tutto a posto… penso che andrò di là a… a portarmi avanti col lavoro, immagino.
Justin annuì, piazzando Gus nel suo lettino e prendendo due pupazzi per organizzare uno spettacolino in suo onore.
Rassicurato, Brian tornò in salotto e si sedette davanti al computer, ma non ebbe neanche il tempo di accenderlo che Justin uscì dalla stanzetta di Gus e cominciò a gironzolargli intorno, in cerca di qualcosa da fare.
- Ti sei già annoiato? – chiese, trattenendo a stento l’irritazione nella voce.
- No, figurati, quel bambino è adorabile, avrei continuato a giocare con lui molto volentieri. Solo che evidentemente quella era solo una pausa di veglia fra un pisolino e l’altro.
- Vuoi dire che si è riaddormentato di già?
Justin annuì sospirando e continuando a vagare intorno al computer come un’anima in pena.
- Incredibile. Vorrei avere lo stesso potere che hai utilizzato tu. – commentò lui, stupito, osservandolo nelle sue rivoluzioni attorno a lui.
- Non ho usato nessun potere… però immagino che tu debba essere un pessimo padre, se non riesci neanche a far addormentare tuo figlio.
- Ehi ehi, adesso, andiamoci piano…
- Senti, hai mica un programma di grafica, su questo pc? – chiese il ragazzo d’improvviso, osservando con interesse lo schermo.
- Ovvio. – annuì lui, - Sono un pubblicitario.
Lo sguardo di Justin si illuminò.
- Non è che me lo lasceresti per un po’? Posso farti vedere cosa sono capace di fare!
- …tu disegni al computer?
- Già. – confermò sorridendo, - Aspetta solo un attimo, vado a recuperare la penna grafica e torno subito…
E così dicendo si allontanò verso l’ingresso, dove, Brian se ne accorse solo in quel momento, aveva abbandonato uno zainetto di piccole dimensioni pieno fino all’orlo, dal quale tirò fuori una piccola penna attaccata a una tavoletta e un cavo USB.
- Allora, ti sposti? – chiese sgarbatamente a Brian quando gli fu tornato accanto.
Preso alla sprovvista, Brian non poté fare altro che annuire e alzarsi, lasciandogli il posto sulla sedia.
Nel giro di una ventina di minuti, l’opera era completa. Dominava lo schermo in tutta la sua grazia, rifulgendo dei colori più brillanti che Brian avesse mai visto e mostrando una tale perfezione anatomica che avrebbe fatto invidia a un professionista del settore.
Sorridendo stupito, Brian pensò al talento di Lindsey e immaginò dovesse essere una cosa di famiglia, dopotutto.
- Pensi che potresti usarlo per una qualche pubblicità? – chiese Justin a bruciapelo, rimirando la sua opera mentre si puntellava il mento con la penna.
Brian lo guardò, sollevando un sopracciglio.
- Come pensi potrei utilizzare un’immagine del genere? – gli chiese di rimando, mettendo una mano su un fianco e lanciando un’occhiata dubbiosa ai due uomini sorridenti che, immobili, si rotolavano nel letto, completamente nudi.
- Forse per una pubblicità sui preservativi. – suggerì il ragazzo con un sorriso furbo, - Guarda come sembrano felici.
Brian sospirò, allontanandosi verso la cucina.
- Sì, certo. – disse, con tono canzonatorio, - Dovrei proprio presentarlo al mio capo, domani, immagino che mi chiederebbe di diventare socio della compagnia e mi affiderebbe immediatamente la prossima campagna per la Sony. Certo, ovviamente prima dovrebbe resistere all’impulso di buttarmi fuori a calci dal suo studio e licenziarmi per oltraggio al pudore, ma va be’…
- Oltraggio al pudore? Esiste una legge vera per una cosa del genere?
- Mh. Ma avevo già intuito tu non ne fossi a conoscenza…
- Zietto, - chiese improvvisamente il biondo, alzandosi in piedi e chiudendo il programma senza salvare il file, - ma tu quanti anni hai?
La domanda l’allarmò.
Perché diavolo il ragazzino si sentiva in diritto di verificare la sua età?
- Tu quanti me ne dai? – chiese, cercando di mascherare l’inquietudine mentre afferrava una bottiglia d’acqua dal frigo.
- Fisicamente o mentalmente?
...prego?
- Fisicamente… - rispose, un po’ incerto, sorseggiando l’acqua.
- Direi non più di trenta.
Grazie a Dio.
- …e mentalmente…?
- Mh… è questo quello che non riesco a capire… - mugugnò Justin alzando gli occhi al soffitto, pensoso, - Malgrado sembri così giovane all’apparenza, parlandoti sembri così… così…
- …
- Così vecchio
- VECCHIO?!
- Ma sì, tutto questo parlare di pudore, e “scendi i piedi dal divano, Justin!”, e “non sarà pericoloso, Justin?” e “Linz ti ucciderà, Justin!”… non ti senti già vecchissimo a parlare così…?
E il fatto che la sua massima aspirazione in quel momento fosse avere una bella tazza di tisana in mano per potersi calmare e poi lanciarla furiosamente in testa a quel dannato ragazzino lo rendeva più o meno vecchio?
- Non so di cosa tu stia parlando. – disse, digrignando i denti e chiudendo il frigorifero con uno scatto nervoso.
Justin sorrise, il sorriso radioso dei vincenti.
Fu allora che Brian ricordò che in famiglia lo chiamavano Raggio di Sole, e non stentava a capire perché. Quel maledetto moccioso aveva le due file di denti più perfetti che avesse mai visto, circondate da labbra sottili ed eleganti che avrebbe potuto descrivere solo come “portate per il sorriso”. Sì, quel ragazzo sembrava avere un vero talento per il sorriso. Non avrebbe saputo spiegarlo meglio di così. Ma gli sembrava già abbastanza azzeccato, come accostamento: Justin e il sorriso perenne.
Quando scese dalle nuvole, Justin si era nuovamente seduto al computer, e s’era totalmente immerso in una partita a scacchi col cervello elettronico che si prospettava parecchio difficile da risolvere vittoriosamente. I suoi occhi saettavano veloci da una pedina all’altra, mentre la mano destra tamburellava inquieta sul mouse, stando attenta a non schiacciare niente che potesse causare una reazione sullo schermo. Si mordeva il labbro inferiore, corrugando le sopracciglia in un’espressione di massima concentrazione.
Brian gli si avvicinò da dietro, sporgendosi in avanti per avere una migliore visuale delle pedine in campo.
- Hai già perso. – sorrise ironico, appoggiandosi coi gomiti alle sue spalle.
- Non ancora. – grugnì Justin, irritato.
Puntualmente, il computer fece scacco matto con la mossa successiva. Brian scoppiò a ridere, rimettendosi dritto e dirigendosi nuovamente verso la camera del bambino, per verificare che fosse tutto a posto.
Justin scattò in piedi, irritato.
- Mi hai deconcentrato!
- Ma va’… avevi già perso, te l’ho detto.
- Ecco vedi? – disse il ragazzo con un sorrisetto crudele stampato sul volto, incrociando le braccia sul petto, - Parli proprio come un nonno.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Si voltò, muovendosi a passo veloce verso quella che, aveva già deciso, sarebbe stata la sua vittima e afferrandolo per le spalle, spingendolo senza troppi riguardi sul divano e costringendolo a mettersi seduto e tacere.
- Non ti azzardare a darmi mai più del vecchio, stupido ragazzino viziato e strafottente. – lo minacciò, puntandogli un dito contro, - O te la vedrai brutta. Parecchio.
Justin sorrise, sfidandolo.
- Del tipo, potresti anche picchiarmi?
- Oh, sì. – rispose lui senza esitazioni, - Non mi sono mai fatto scrupoli in questo senso. E il fatto tu sia un ragazzino non mi spaventa.
- E il fatto che io sia il nipote di Lindsey?
- Neanche questo. Sei suo nipote, mica il mio.
Justin si lasciò andare ad un momento di silenzio meditativo, e Brian ne approfittò per sancire la sua definitiva vittoria.
- Allora, hai ancora voglia di sfidarmi?
Per tutta risposta, Justin si alzò in piedi, lo fissò per qualche secondo con un paio d’occhi indefinibili, poi sorrise per l’ennesima volta, si sollevò sulle punte e lo baciò sulle labbra.
Così.
Senza alcun preavviso.
E senza alcun motivo, soprattutto.
- Adesso sta’ un po’ zitto, zietto. – concluse ridacchiando e lasciandosi andare nuovamente sul divano, alla ricerca del telecomando.
- Che… - balbettò lui, sconvolto, - Che cosa… cosa hai…
- Sssh. – lo zittì Justin, che nel frattempo aveva trovato il telecomando e acceso la tv, - Parlano di Ethan, è il mio musicista preferito. Accidenti quanto è carino quel ragazzo…
- Justin, vorresti…
- Mi stai facendo perdere la notizia!
Decidendosi finalmente a chiudere la bocca e a cercare di pensare come una persona normale, Brian annuì come se ci fosse qualcosa cui annuire, si chinò, recuperò il telecomando e spense il televisore.
- Adesso ascoltami.
- Che palle, stavo seguendo… - borbottò Justin, incrociando le braccia e buttandosi all’indietro sul divano.
- Va bene. Se ne parlerà poi. Adesso parliamo di questa cosa.
Il ragazzo lo fissò stupito, come non capisse dove volesse andare a parare.
- Il fatto che Ethan è il mio musicista preferito? Che c’è, non ti torna che mi possa piacere il violino?
- Chissenefrega di Ethan e del violino, sto parlando del fatto che mi hai baciato, poco fa!!!
Justin strinse le labbra, fingendo innocenza.
- E quello tu lo chiami bacio? Ci saluto mia madre, così…
- Ma io non sono tua madre!
- Ed è meglio che lei non sappia che ho salutato così anche te… - ridacchiò Justin, coprendosi la bocca con una mano.
- Ma cosa sei, gay? – chiese lui esasperato, e nel momento stesso in cui lo chiese realizzò quanto stupida fosse quella domanda di fronte alla chiara evidenza dei fatti.
- No, ma cosa dici? Mi piacciono solo gli zietti odiosi e non ho potuto resistere a te.
- Senti, questa… questa storia dello zietto s’è fatta insopportabile. Adesso la pianti e mi giuri che non oserai mai più fare una cosa simile.
- …chiamarti zietto?
- BACIARMI!
Justin sbuffò, guardandolo di sbieco dal basso.
- E va bene, prometto.
Sospirando sollevato, Brian si rilassò e pensò a qualcosa da dire, e mentre era ancora immerso nei suoi pensieri Justin si risollevò in piedi e, con tutta la calma del mondo, lo baciò di nuovo.
Esterrefatto, non poté fare altro che continuare a fissarlo.
- …di cos’è che abbiamo parlato, fino a poco fa?
Justin sorrise, alzandosi in piedi e dirigendosi a passo sicuro verso il bagno.
- Aria fritta. – rispose, scomparendo oltre la porta.
*

- Pronto, Bri?
- Linz. Oddio. Grazie al cielo. Senti, devi tornare immediatamente a casa.
- Ma… cosa è successo? Qualche problema con Gus? – chiese la donna, allarmata.
- No. No, Gus dorme tranquillamente. Sono io che sto uscendo di testa.
- Eh?
- Senti, quel ragazzino…
- Oh, Justin è arrivato, dunque?
- Sì, dannazione. Sì, e io non ne posso già più.
- Ah… in questo caso ho una brutta notizia per te, tesoro…
- No! – quasi gridò, deglutendo a fatica, - Ti prego, no, non dirmelo…
- Ma ecco, è che la mostra è stata un successo e il direttore della galleria ha invitato noi organizzatori a cena per festeggiare… ha già prenotato, capisci…?
- Non capisco! Non voglio capire! Torna a casa! – implorò, con tono lamentoso, stringendo la cornetta fra le mani.
- Insomma, Brian. – sbottò Lindsey, esasperata dal suo comportamento, - Non capisco veramente cos’hai oggi. Sembri un bambino! Mi chiedo se ho fatto bene a lasciarti sola con Gus, mi chiedo se tu abbia le capacità mentali per occuparti di tuo figlio!
- Ma il problema non è il bambino, Lindsey! Il problema è l’altro!
- Ma fallo stare al computer e lascia che si diverta da solo giocando a un video game come tutti i ragazzini della sua età! Dio, Brian! Non posso mancare a questa cena, quindi fai un piccolo sforzo e resisti.
Brian sospirò, sentendosi sconfitto su ogni fronte.
- In ogni caso non dovrei fare troppo tardi. Fa’ cenare Gus e mettilo a letto. Non avrai problemi, vedrai. – concluse con voce dolce, terminando la chiamata.
In quel momento, Justin uscì dalla cameretta di Gus, portando in braccio il bimbo che, sorridente, si tendeva tutto verso il suo papà, probabilmente in cerca della sua cena.
Dio, pensò Brian, passandosi stancamente una mano sugli occhi, devo bere qualcosa.
*

- E quindi è uscita stamattina lasciandoti il bambino e senza neanche dirti che sarei venuto anche io? – esclamò Justin, spalancando la bocca come se quella fosse la notizia più sconvolgente del mondo.
- Proprio così! – disse lui, solennemente, buttando giù l’ennesimo bicchiere di scotch, - Dimmi se non è un comportamento crudele.
- Crudelissimo! – annuì il ragazzino, porgendogli il bicchiere per farselo riempire di nuovo.
- Non dovresti bere tanto… - borbottò lui, senza per questo sentirsi in dovere di strappargli il bicchiere di mano e impedirgli di bere ancora, - Sei solo un ragazzino!
- Aaaah, reggo benissimo l’alcool! – protestò Justin battendo il bicchiere sul tavolo.
- Ssssh! – disse immediatamente Brian, portandosi un dito davanti alle labbra e riempiendogli il bicchiere di un’altra buona dose di scotch, - Sveglierai il bambino!
Per tutta risposta, Justin rise sguaiatamente, un attimo prima di buttare giù il drink.
- Gus dormirà come un sasso per tutta la notte, gli hai dato tanta di quella pappa che non riuscirà neanche a muoversi prima di domattina!
- Lo spero… - sbuffò l’uomo, abbandonandosi sul tavolo con aria disperata, - Badare ai bambini non è proprio la mia cosa.
- Oh, non essere severo con te stesso… - lo consolò Justin bevendo l’ultimo sorso di scotch e poi alzandosi in piedi, per raggiungerlo, con passo molle e incerto, al suo posto, - Non sei stato tanto male come babysitter. Almeno con me.
- Sei ubriaco! – rise lui, trovando il tutto esilarante, - Non sei attendibile, e poi il fatto che ti abbia fatto ubriacare testimonia il fatto che di fatto io non sia affatto un bravo babysitter…
Justin scoppiò a ridere, sbraitando “fatto, di fatto, affatto!”, subito seguito da Brian, che si appoggiò al suo braccio per non scivolare a terra in preda alle convulsioni.
- Sai che anche mia madre è stata molto crudele con me? – si lamentò Justin, appena si fu ripreso dalla risata.
- Davvero? – chiese Brian risistemandosi sulla sedia e spalancando gli occhi, - Che ti ha fatto?
- Vuoi sapere perché mi ha mandato qui oggi? – gli chiese, agitandogli un dito davanti agli occhi.
Brian annuì interessato, appoggiando il mento alle mani giunte.
- Perché sa che quando sono solo porto i ragazzi in casa! – rivelò Justin ricominciando a ridere.
- Ooooh… - si meravigliò lui, guardandolo fisso, - Quindi frustra la tua vita sessuale…
- Proprio così! A lei e a mio padre non va affatto giù che io sia gay… infatti non mi mandano qui se non hanno proprio bisogno, perché credono… pff… credono che i tuoi amici mi influenzino…
- No! – esclamò lui, sconvolto, sentendosi una ragazzina pettegola, - Hanno paura di Mike e Ben…?
- Proprio così! – ripeté Justin, crollando seduto per terra.
Brian reputò quel crollo molto divertente, e, ridacchiando come un ossesso, scese dalla sedia per accucciarglisi accanto e domandargli se si fosse fatto male.
- Noooo, sto benissimo! – disse Justin con tono trionfante, - Il mio sedere è abituato a ben altro! – e così dicendo scoppiò nuovamente a ridere, seguito a ruota da Brian, che cominciava a sentirsi più confuso che altro ma sicuramente circondato da cose esageratamente spassose.
- Sai cosa mi tirerebbe un po’ su…? – chiese Justin, dopo essersi calmato, tirando su col naso.
- No, dimmelo tu… - disse Brian, invitandolo a continuare con un interessato cenno del capo.
Sorridendo radioso, Justin si sporse un po’ in avanti, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Quando si ritirò, Brian lo guardò negli occhi, improvvisamente dimentico di tutto quello che lo faceva ridere fino a poco prima, ma ancora talmente confuso che non avrebbe saputo muovere un muscolo neanche se ne fosse andato della sua vita.
Cosa che, in un certo senso, era esatta.
Justin gli rivolse un sorrisino minuscolo, e lui lo trovò assolutamente adorabile.
Era sicuramente colpa dell’alcool, doveva essere colpa dell’alcool…
Il ragazzino si fece nuovamente avanti, passandogli lievemente la lingua sulle labbra. A Brian sembrò di averle dischiuse per riflesso, ma così non doveva essere, perché Justin, immaginando probabilmente che non ci fosse terreno per avanzare, si fece indietro; ma appena l’uomo lo sentì indietreggiare, la sua mano partì automaticamente a cingerlo dietro la nuca, riportandolo vicino e stringendoselo contro, baciandolo con passione senza neanche passare dal preliminare bacetto a labbra serrate.
Justin gli si aggrappò alla maglia, mettendosi in ginocchio e avanzando fino ad incastrarsi perfettamente fra le sue gambe, sfiorando la sua eccitazione con le ginocchia, attraverso i pantaloni.
Ebbe solo un attimo per chiedersi cosa diavolo stesse facendo. Solo un attimo. Solo l’attimo in cui Justin si separò da lui per riprendere fiato. Perché nel momento in cui le loro labbra tornarono a sfiorarsi, nel momento in cui le mani del ragazzo attaccarono l’orlo della sua maglietta, tirandolo affannosamente verso l’alto nel tentativo di liberarsene, nel momento in cui le sue mani andarono a cercare, incerte e timorose, il bottone dei suoi jeans, e nel momento in cui lo trovarono, e nel momento in cui afferrò con foga la cerniera e la tirò verso il basso in un colpo solo, schiacciandosi contro a quello stupendo corpo adolescente, divorando il sorriso di quel ragazzino con baci famelici, veloci e ansiosi…
…il suono orribile del citofono disturbò con forza il fluire disordinato dei suoi pensieri. Una volta. Due volte. Tre volte.
Riportandolo alla realtà.
Spalancò gli occhi, ritrovandosi mezzo nudo e col fiatone disteso sul pavimento, con le mani perse da qualche parte sotto la maglietta di Justin. Il quale sembrava sconvolto quanto lui.
Si alzò faticosamente in piedi, massaggiandosi la fronte come se sentisse dolore alla testa, mentre in realtà stava solo cercando di rendere meno confusi i suoi pensieri, spazzando via tutto il residuo dell’alcool e del profumo di Justin, ancora così attaccato a lui da sembrare il suo.
Si mosse verso il citofono, mentre il ragazzo si rimetteva in piedi e si ricomponeva, muto come un pesce.
- Sì? – rispose, sollevando la cornetta e attendendo una risposta.
- Brian?
Era la sorella di Lindsey.
- Sì.
- Oddio, ho pensato che non ci fossi, non rispondevi più! Scusa per l’orario…
Gettò uno sguardo all’orologio appeso alla parete in fondo al loft.
Come avevano fatto le tre di notte ad arrivare così presto?
E dove diavolo era finita Lindsey?!
- Niente. – rispose atono.
- Senti, Justin è ancora sveglio?
Si guardò indietro. Sì, Justin era sveglio e faceva vagare nervosamente lo sguardo da lui al pavimento, le braccia ficcate nelle tasche dei jeans e un adorabile rossore a imporporargli il volto.
- Sì.
- Ah, bene. Allora lo fai scendere, per favore?
- Mh… sì… ciao…
- Ciao, e grazie di tutto!
Ripose il citofono al suo posto e si voltò, riportando la sua attenzione sul ragazzo in piedi nel centro della stanza.
- E’ tua madre. – disse, indicando la porta con il pollice. – Vuole che scendi.
- Mh. – annuì Justin, guardandosi intorno alla ricerca della giacca e dello zaino.
Brian lo osservò recuperare tutte le sue cose senza muovere un muscolo. Solo quando gli fu vicino si azzardò a fare qualcosa. Gli diede una pacca sulla spalla. E quando Justin sollevò lo sguardo sul suo viso, vide che sorrideva tranquillo, e si sentì meglio.
*

Era un uomo di successo, possedeva tutto ciò che fosse possibile desiderare. Era bello e affascinante, il suo ascendente sul prossimo era indiscutibile, era ricco e astuto, non aveva problemi sul lavoro, la sua era una famiglia rispettabile, aveva una bella moglie, innamorata e intelligente, e un bambino stupendo che avrebbe fatto un anno di lì a un mese.
Justin usciva da casa sua, sorridendo come un folletto e agitando una mano per salutarlo.
Osservandolo svanire oltre la porta, come fosse stato un sogno, o già un ricordo, non poté fare a meno di sogghignare, guardando con impazienza alla prossima occasione che avrebbe avuto per rivederlo.
Non c’era nulla, nella vita di Brian Kinney, che potesse considerarsi meno che perfetto.