animanga: rin matsuoka

Le nuove storie sono in alto.

Pairing: Rin/Ai.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, BDSM, Underage, Bondage, PWP.
- Rin, Ai e una corda molto stretta (e nient'altro).
Note: Scritta per la seconda settimana delle Badwrong Weeks, a tema BDSM, Non-con, Dub-con e Violence, su prompt Shibari.
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WICKED AND DIVINE

- Rin-senpai, è troppo stretto.
Aiichiro si lamenta, ma la sua voce è dolce e densa come caramello. Rin lo guarda trattenendo il fiato per un attimo – la sua pelle bianchissima, i punti in cui i nodi vi pressano contro arrossandola, i segni che la corda gli lascia addosso quando lui prova a muoversi e lei si sposta di qualche millimetro, tendendosi, adattandosi alla sua nuova posizione per lasciargli ancora meno spazio di manovra, l’accenno di lacrime nel turchese dei suoi occhi, le sue labbra gonfie e umide di baci, quello inferiore che lui continua a stringere fra i denti quando Rin si avvicina abbastanza da baciarlo ancora ma finisce per non baciarlo mai.
È bellissimo, ma non è ancora perfetto.
Rin è sempre stato un perfezionista.
- Un attimo di pazienza. – gli dice, la voce che trema di voglia mentre gli si avvicina ancora e lo gira su un fianco. Sulla sua schiena, i nodi formano una catena che segue la curva sinuosa della sua spina dorsale. Si allargano in rombi perfettamente simmetrici e si chiudono a croce sopra ogni singola vertebra. Rin tira la corda con l’indice, la sente vibrare come la corda di una chitarra. Emette un suono basso che gli stringe lo stomaco e forza un gemito sulle labbra di Ai, che stringe le cosce istintivamente, tremando appena.
Rin aggrotta le sopracciglia, una mano che scivola lungo la sua coscia.
- Puoi ancora muoverti? – gli domanda.
Ai geme ancora. Prova a muovere le spalle e nel movimento la corda scivola sopra i suoi capezzoli eretti e turgidi. Per un attimo gli manca il fiato ed esala un sospiro arreso, mentre una goccia di liquido preseminale scivola dalla punta della sua erezione giù lungo la coscia sulla quale è appoggiata, facendogli il solletico, coprendolo di brividi.
Può ancora muovere le gambe troppo agevolmente, Rin lo nota dal modo in cui riesce a distenderle per qualche centimetro nel tentativo di aiutare la goccia a scivolare più in fretta, per liberarsi del fastidio.
- Aspetta, - dice, sollevandogli le gambe per raggiungere i nodi attorno alle ginocchia, - Stringo un po’ qui.
- Posso muovermi solo pochissimo, Rin-senpai, - mugola Ai ondeggiando i fianchi, impaziente, - Per favore…
- No. – Rin scuote il capo, severo, - Non va ancora bene.
Aiichiro inspira ed espira, chiudendo gli occhi. Rin sa che a questo punto è così duro che non sono più le corde a fargli male, che tutto quello che vuole è essere girato su un fianco e scopato fino a urlare, ma l’attesa renderà l’orgasmo più intenso, l’impossibilità di muoversi lo renderà travolgente – ed è questo che Rin vuole. Travolgerlo. Quel suo visetto pulito da bambino. La sua pelle, tutta bianca e rosa. Le sue labbra piene, invitanti come caramelle. Vuole sovrastarlo, maneggiarlo come una bambola, sentirlo arrendersi a lui completamente. Quello che già vede nei suoi occhi lucidi quando Aiichiro lo guarda in classe o durante gli allenamenti in piscina, vuole vederlo anche qui, vuole vederlo riflettersi nel suo corpo, vuole saperlo del tutto abbandonato alle sue mani, vuole sentirsi come se per qualche minuto, quei minuti in cui Ai si avvicina stringendo la corda fra le mani delicate e lo bacia piano, chiedendogli se gli va di giocare con quell’innocenza del tutto priva di malizia che rende le sue parole ancora più sporche, quei minuti in cui Ai si stende sul letto, incrocia le braccia dietro la schiena, piega le gambe ed aspetta i nodi, per quei minuti lui potesse decidere ogni cosa per Ai. Quando provare piacere. Quando provare dolore. Quando ricevere un bacio, una sculacciata o una carezza. O l’ondata di piacere bollente della sua erezione che si fa strada dentro di lui.
- Prova a muoverti adesso. – gli dice piano, piegandosi su di lui. Lo bacia sotto un orecchio ed Ai si lecca le labbra ed obbedisce.
- …non ci riesco. – ammette in un gemito liquido.
Rin sorride, accarezzandogli un fianco. La corda si incrocia anche lì, affondando nella sua pelle ogni volta che Ai prova a spostare il peso su un altro punto del corpo. Può sentirlo respirare affannosamente e sa che il dolore è già confuso, adesso, non sa più se esiste per segnalare il pericolo o la promessa di qualcosa di piacevole.
- Rin-senpai… - lo chiama Ai, pianissimo, un filo di voce che gli si insinua sottopelle, ipnotizzandolo. Preme le dita contro la sua coscia, lasciando l’impronta bianca dei propri polpastrelli, un’impronta che sbiadisce subito, non appena smette di toccarlo.
I segni della corda, invece, quelli restano. Rin li osserva per qualche istante, la testa che si svuota. Per un momento Ai non è più una persona, è un’opera d’arte, la cosa più perfetta che Rin abbia mai creato con le sue mani.
Poi Ai lo chiama ancora e l’opera d’arte torna una cosa viva, una cosa viva e pulsante. Rin lascia scivolare la mano lungo la sua coscia, percorrendone la lunghezza in punta di dita. Dita che si chiudono attorno alla sua erezione, la accarezzano lentamente.
La voce di Ai si spezza in un gemito piagnucoloso, il suo respiro si fa più svelto, più concitato. Rin sente la curva morbidissima del suo pancino che si solleva e si abbassa contro il suo pollice mentre lo masturba.
- Rin-senpai, ti prego, - piagnucola Ai, provando a muoversi, a scivolare verso di lui sul materasso. I nodi affondano, Ai si ferma subito.
Rin sorride, baciandogli il collo.
- Ho capito, ho capito. – gli sussurra addosso, stendendosi su un fianco alle sue spalle. Ai prova a voltarsi per chiedere un bacio, ma la torsione del collo serve solo a spingere i nodi ancora più in profondità sulle sue scapole e sulla curva della sua spalla, perciò smette subito di provarci e appoggia la testa contro il cuscino, espirando pesantemente mentre chiude gli occhi.
- Ti prego… - mugola soltanto, inarcando la schiena, offrendoglisi senza vergogna.
Rin gli appoggia una mano su una natica, stringendo piano. Ne saggia la consistenza sul palmo bene aperto, la morbidezza della carne, l’accenno di muscoli non ancora pienamente sviluppati. Aiichiro è ancora così piccolo, cedevole sotto le dita, modellabile come cera. Rin lo accarezza e poi espone la sua apertura, osservandola contrarsi in uno spasmo di voglia.
Non può più aspettare.
Stringe la propria erezione fra le dita, accarezzandosi un paio di volte prima di spingerne la punta contro l’apertura di Ai. Lui geme ad alta voce, il suo intero corpo si tende, i nodi si stringono, lo inchiodano al materasso.
- Fa male? – chiede Rin, affondando dentro di lui lento come una tortura.
- Sì. – mugola Ai, le guance arrossate, le labbra umide dischiuse per lasciar scivolare fuori i gemiti.
Rin sorride contro la sua pelle.
- Bene. – risponde.
Gli stringe un fianco con una mano più per sentirlo sotto le dita che perché gli serva per tenerlo fermo, e spinge i fianchi in avanti, sfidando la frizione, la forza con cui i muscoli di Ai si tendono attorno alla sua erezione. Gli si pianta dentro fino in fondo, i testicoli che sbattono contro le sue natiche, l’aria che per un secondo si riempie del suono delle loro pelli che collidono violentemente l’una contro l’altra, riecheggiando nel silenzio della loro stanza come uno schiaffo.
Aiichiro grida, gettando indietro il capo, e poi grida ancora per il movimento brusco. La sua erezione arrossata si tende, sfiorandogli la curva dello stomaco. Vuole disperatamente essere toccato e Rin non aspetta che debba chiederlo, riprendendo a masturbarlo piano mentre lo scopa forte, fortissimo, ogni spinta più profonda della precedente, come volesse occupare tutto lo spazio disponibile, tutto quello che c’è.
- Rin-senpai, - mugola Aiichiro, i fianchi che seguono il movimento delle mani di Rin, per quanto possono, - Per favore, sto… voglio venire, fammi venire, ti prego.
- Come siamo impazienti. – risponde Rin, fingendo disappunto. La maschera regge solo per qualche istante, il tempo di scivolare fuori dal corpo di Ai quasi completamente, di rallentare il movimento della propria mano fin quasi a fermarsi, di dargli l’illusione di potersi alzare ed andarsene, di poterlo lasciare lì prima di aver raggiunto l’orgasmo, per scavargli quel vuoto nello stomaco che presto riempirà di piacere.
- Senpai, ti prego, - Aiichiro singhiozza, le guance rigate di lacrime, - Ti prego, non ti fermare.
Rin stende le labbra in un sorriso indulgente, baciandolo dietro un orecchio e poi lungo il collo.
- D’accordo, Ai. – sussurra.
Riprende a spingersi con forza dentro di lui, i fianchi che ondeggiano più velocemente, adesso. Le carezze attorno alla sua erezione sono ugualmente veloci, impongono al suo respiro un ritmo concitato e confuso. Ai prende a gemere a voce così alta che per un secondo Rin si preoccupa che qualcuno possa sentirli, ma poi lo guarda, il rossore delle sue guance, i capelli tutti scompigliati sulla testa, il punto esatto in cui i loro corpi si fondono in uno dove la sua erezione scompare dentro al suo corpo oltre l’anello teso dei muscoli attorno alla sua apertura, e non gli importa più che qualcuno possa sentirli, l’importante è che possa sentirli lui.
Viene con un gemito controllato, svuotandosi dentro di lui in getti caldi e improvvisi. Ai viene subito dopo, come se il suo orgasmo fosse stato richiamato dal proprio. Schizza sulla curva della sua pancia, sulle dita di Rin, sulle lenzuola. Rin sente il bisogno irresistibile di leccarlo, e prima ancora di essere riuscito a superare i brividi del suo stesso orgasmo sta già uscendo da lui, costringendo Ai ad un gemito bagnato mentre sente il suo sperma scivolare fuori dalla propria apertura a colare lungo la curva delle natiche.
- Senpai…? – domanda, confuso dal movimento improvviso.
Senza rispondere, Rin lo volta sulla schiena e gli lecca la pancia, poi il cazzo ancora teso, fino a ripulirlo del tutto.
Lo prende in bocca perché non riesce a farne a meno e si sofferma sulla sommità per qualche secondo, disegnando cerchi bagnati con la punta della lingua attorno alla fessurina in cima.
Ai scoppia in un singhiozzo che lo scuote tutto e poi affonda i denti nel labbro inferiore con tanta forza da tagliarsi. Rin lo nota e si allontana subito, sorridendo piano.
- Troppo presto? – domanda, passandogli il pollice sulle labbra per farlo smettere di morderle.
Ai schiude le palpebre e lo guarda con occhi liquidi. Annuisce piano, riprendendo a respirare normalmente.
- Va bene, - sospira paziente Rin, tornando a distendersi al suo fianco, - Più tardi.
Ai ridacchia piano, cercando di sciogliere i muscoli ancora tesi dall’orgasmo.
- Mi dispiace, senpai, - dice.
- Fai bene, - risponde Rin, ridendo a sua volta, - Sai quanto mi piace prendertelo in bocca.
- Infatti volevo fermarti, quando ho capito che volevi leccarmi, - sospira Ai, appoggiandosi a lui, - Sapevo che sarebbe finita così.
- Se avessi provato a fermarmi, mi sarei arrabbiato ancora di più. – annuisce Rin. Sa di poterlo dire solo perché in realtà non è arrabbiato per niente, ed Ai non aveva davvero nessun motivo di scusarsi.
Lentamente, gli accarezza le braccia, strette dalle corde ancora perfettamente tese. Hanno tenuto benissimo. Sono stati bravi, tutti e due.
- Fa male? – chiede.
- Sono un po’ indolenzito, - risponde Ai, voltando il capo verso di lui e nascondendolo contro la curva del suo collo, - Ma non fa male. Voglio restare così ancora un po’.
- Devo sciogliere i nodi, Ai. – sospira Rin, accarezzandogli il collo.
- Solo un pochino, - insiste Ai, strofinando il naso contro di lui come un gattino in cerca di coccole, - Pochi minuti. Per favore.
Rin sospira ancora, scuotendo il capo.
- Ti vizio troppo, - risponde.
Ma per sciogliere i nodi aspetta ancora qualche istante.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Makoto/Rin, Makoto/Haruka, Rin/Haruka, Rin/Haruka/Makoto.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Angst, What If?, Missing Moment.
- What If?/Missing Moment dell'episodio nove di Free! Eternal Summer. Rin entra in camera di Makoto ed Haruka per parlare con Haruka, ma trova solo Makoto. Nudo.
Note: In realtà ero partita con l'idea di scrivere porno ispirato a questa cosa. Poi però lo spirito dell'episodio nove ha preso possesso della mia anima, e lì ero perduta.
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SPEAKING A DEAD LANGUAGE

Si guardano negli occhi per un paio di secondi infiniti durante i quali Rin smette di respirare, e Makoto lo fissa sgomento, talmente preso alla sprovvista da non riuscire neanche a pensare alla possibilità di coprirsi, anche se solo con le mani. Durano un’eternità, questi due secondi, e Rin se li sente pesare addosso come anni mentre osserva le guance di Makoto cambiare colore, arrossarsi prima lievemente, poi con sempre maggiore intensità finché non diventano dello stesso colore delle mele mature, due pomelli da cartone animato che si fanno ancora più rossi quando gli occhi di Rin, inesorabilmente, scivolano lungo il suo corpo, fermandosi all’altezza dell’inguine.
Oh mio Dio.
Non può vederlo, ma sa che lo sguardo di Makoto segue il suo. Se ne accorge senza possibilità di dubbio quando all’improvviso la voce di Makoto spezza il silenzio in uno strillo infantile.
- Rin! – dice, le mani che scattano a coprirsi, - La porta! Chiudi la porta!
Come se l’avessero appena svegliato, Rin ci mette un po’ a tornare presente a se stesso. Sbatte le palpebre con aria confusa, torna a guardare Makoto in viso e solo quando vede riflesso il panico nei suoi occhi verdi si volta di scatto, afferrando la maniglia della porta e spingendo finché non sente la serratura scattare.
Gli batte il cuore così forte che si sente mancare il respiro.
Continua a fissare la porta perché non vuole voltarsi indietro. Riesce a sentire Makoto armeggiare coi suoi vestiti, indossarli uno dopo l’altro, e pensa che sono suoni che dovrebbero calmarlo, ma per qualche motivo stanno avendo su di lui l’effetto opposto. Continua a pensare alla pelle di Makoto, leggermente abbronzata e ancora umida dopo la doccia, e ai vestiti che gli scivolano addosso, attaccandosi al suo corpo, impacciandogli i movimenti.
Gli si stringe lo stomaco in un nodo doloroso e digrigna i denti in un gesto involontario di cui non si accorge finché non cominciano a fargli male.
- Scusa. – biascica, la mano ancora stretta attorno alla maniglia, - Non sapevo—Intendo, non pensavo—
- Rin, avresti potuto bussare! – risponde Makoto con quel tono lamentoso che usa soltanto quando è molto imbarazzato o molto infastidito da qualcosa.
- Non mi aspettavo nemmeno di trovarla aperta, la porta! – si agita Rin, lasciando andare la maniglia e stringendo le mani lungo i fianchi, - Perché non l’avete chiusa a chiave?!
- Haru… - considera Makoto, pensoso, - Deve averla lasciata aperta quando è uscito.
Rin si volta a guardarlo. Lo trova già vestito – indossa una maglietta che Rin ha visto forse più volte addosso ad Haruka di quante non l’abbia vista addosso a lui. Un tempo il particolare l’avrebbe disturbato – non avrebbe saputo spiegarsene il motivo, ma l’avrebbe disturbato. Adesso è come una breve parentesi all’interno di un discorso più ampio. Ne prende nota come una cosa che già conosce. Può vedersi scrollare le spalle senza motivo, come gli servisse un movimento specifico per passare oltre.
- Dov’è andato? – domanda.
Makoto risponde con uno di quei sorrisi che lasciano sempre Rin interdetto fra la possibilità di prenderlo a schiaffi e quella di dargli un bacio. Makoto ha sempre avuto quest’effetto, su di lui. In un certo senso, lo capisce ancora meno di quanto capisca Haru. Però con Makoto è più facile avere a che fare, e in un certo senso a Rin piace di più.
- Forse aveva voglia di fare una corsa. – ipotizza Makoto. Non dice altro, anche se Rin sa che lo sta pensando. Sa che Makoto al novantanove virgola nove percento sa esattamente cos’ha Haru per la testa in questo momento, ma non ne parla, nemmeno con lui (soprattutto con lui), perché se lo facesse gli sembrerebbe di tradire la sua fiducia, di rivelare in qualche modo un segreto che Haruka non gli ha mai rivelato ma che comunque si aspetta che Makoto continui a custodire gelosamente a prescindere da tutto il resto.
C’è sempre stata tutta una lunghissima conversazione silenziosa, fra Haruka e Makoto. Hanno cominciato a parlare fra loro prima ancora di cominciare a parlare davvero, e dal momento che funzionava hanno continuato ad andare avanti così per anni. Continuano, anche adesso. E per quanto silenziose siano le loro voci, sovrastarne il suono all’interno delle loro teste è praticamente impossibile.
Tant’è che Rin, quando ci ha provato, ha dovuto mettersi a urlare.
- Non dovrebbe andare in giro così la sera prima di una gara. – borbotta, incrociando le braccia sul petto, - Domani sarà stanco. Seriamente, cos’ha al posto del cervello? Non capisce quanto sono importanti queste gare per il suo futuro?
Makoto risponde con un altro di quei sorrisi privati la cui traduzione a Rin sfugge del tutto. Sente i propri muscoli tendersi in uno scatto nervoso, e cerca di mantenere la calma.
- Penso che Haru lo sappia, - risponde Makoto, - E che a modo suo ci stia già pensando. Anche se non ne parla.
È così tipico di loro, pensa in un altro scatto di rabbia, sentendosi forzato a guardare altrove per smettere di fissare il sorriso perfetto di Makoto. Non hanno idea, né Haru né Makoto, di quanto sia difficile star loro dietro. Di quanto sia dura per Rin provare continuamente a cercare di dare voce a cose che nessuno dei due dice. È costretto a parlare per tre, se vuole avere una conversazione. È una cosa così sfiancante che pensa che forse dovrebbe lasciare perdere più volte di quante spesso non riesca a tollerare.
A volte vorrebbe discuterne con Sousuke. Cercare di spiegargli questa situazione. Dirgli, non lo vedono. Non li vedono, gli sforzi che faccio. Visto quanto sono stato lontano, sto provando, sto provando con tutte le mie forze a tornare vicino, ma mentre io non c’ero loro hanno sviluppato un linguaggio segreto, un linguaggio che parlano con gli occhi, e io non so parlare la loro stessa lingua, e il loro è un dialogo nel quale non posso inserirmi.
Sa già cosa gli direbbe Sousuke, però. Che dovrebbe concentrarsi su altro, sul suo futuro, non quello di Nanase e Tachibana, e poi volterebbe lo sguardo, chiudendo la conversazione. A Sousuke non piace parlare di Haruka e Makoto. A Sousuke non piace neanche sentirli nominare. Rin non ne capisce il motivo e quando ci pensa riesce solo a sospirare.
Le persone sono così complicate. Nessuno dice mai quello che pensa veramente, anche se sarebbe tutto molto più semplice se lo facessero. Sono tutti così gelosi dei loro sentimenti. Tutti così spaventati di esporre una parte vulnerabile. Non riescono a capire una cosa che Rin invece ha capito tanto tempo fa – non esiste una parte che non sia vulnerabile. Siamo tutti pelle sensibile e carne tenera, esposta al dolore come alla gioia ogni minuto, ogni secondo. Tutto può fare male, perfino le cose più piccole, perfino le cose più irrilevanti, e il silenzio complica solo tutto.
Rin ha deciso che il silenzio non gli appartiene più.
- Come si aspetta che io lo sappia se non ne parla? – dice a mezza voce, lo sguardo un po’ perso. Makoto se ne accorge, perché Makoto si accorge sempre di tutto. Sembra programmato per notarli, questi dettagli. Rin immagina che quando passi le tue giornate al fianco di una persona come Haruka per forza di cose la tua mente si modifica in sua funzione. Dal momento che Haruka non parla mai, impari a capirlo da quello che non dice.
Rin non ci sarebbe mai riuscito. Anche se fosse rimasto. Anche se fosse rimasto un milione di anni. Non avrebbe mai imparato.
- Volevi parlargli? – chiede Makoto dolcemente, alzando appena la voce per tirarlo fuori da quel momento il più delicatamente possibile. Ci riesce, perché Makoto riesce sempre a fare tutto quello che vuole.
- Sì. – risponde Rin, - Volevo chiedergli se ha già deciso cosa fare dopo. Ma vedo che come al solito continua a scappare.
Makoto sorride, sedendosi sulla sponda del letto. Ha un asciugamano attorno al collo, ed è già tutto umido perché non si è ancora asciugato i capelli. Anche il resto dei suoi vestiti, come Rin aveva immaginato, gli si è tutto appiccicato addosso perché, nella fretta di rivestirsi, non ha prima pensato ad asciugarsi. Sospira, pensando distintamente che è un bene che lui, Haruka e Makoto non si vedano tutti i giorni. Ogni volta che è con loro tutto quello che vuole fare è coprirli di domande e tenerli d’occhio per evitare che facciano qualcosa di stupido. Non gli piace comportarsi in questo modo, sa che non è questo il suo posto. E inoltre sa che ad Haruka e Makoto questo non serve. Ma è più forte di lui.
Prende uno sgabello e lo trascina vicino al letto, sedendosi di fronte a Makoto.
- E tu? – gli domanda.
Makoto gli solleva addosso un’occhiata smarrita, onestamente confusa dalla domanda. È abituato a sentirsi rivolgere domande riguardo ad Haruka, ma l’idea che qualcuno possa rivolgergli una domanda per sapere come sta lui, a cosa pensi lui, quali siano i suoi progetti, gli è del tutto estranea.
È una cosa disturbante.
Makoto ed Haruka sono un organismo unico all’interno del quale Haruka ha occupato tutti gli spazi e il ruolo di Makoto è quello di fare da collante per essere sicuro che il corpo non cada a pezzi, sfaldandosi per ogni minimo movimento. È un’entità che nasconde la sua volontà propria per concentrarsi sul tenere insieme quella di qualcun altro.
Rin detesta il solo pensiero. Si sente soffocare alla sola idea.
- Io? – domanda Makoto, piegando appena il capo.
- Sì, tu. – insiste lui, brusco, - Hai pensato a cosa farai dopo? Con i tuoi tempi, è possibile che almeno un paio di osservatori si interessino a te. Se uno di loro ti contattasse, cosa faresti?
Makoto lo guarda per qualche istante, gli occhi verdi che brillano di una luce speciale di cui Rin si sente il calore addosso, e poi, mentre Makoto balbetta un “io…” stentato, mentre cerca le parole per esprimersi, Rin improvvisamente ha un’epifania. O forse no, forse epifania non è il termine più corretto, perché non viene investito da nessuna consapevolezza, non diventa tutto a un tratte consapevole di un qualche misterioso segreto che prima gli sfuggiva. Non è un’epifania, è una premonizione.
Non voglio sentire. Adesso Makoto parlerà e mi dirà che vuole restare. O che vuole andare via. Che vorrà fare qualsiasi cosa Haru voglia fare, che andrà o resterà a seconda della decisione che Haru prenderà a proposito del proprio futuro.
E io non voglio sentire.

- Non dobbiamo parlarne per forza, se non vuoi. – si obbliga a dire, il cuore che gli martella nel petto. Si chiede se sia così che Haru si sente ogni volta che capisce che dovrebbero parlare di quello che succederà dopo il diploma e poi invece non lo fanno. Si chiede se il suo cuore batta così forte al pensiero di perdere Makoto, perdere l’idea di Makoto, per colpa di qualcosa di più grande che lui non riesce a capire.
Forse è per questo, si dice, che non parlano mai. Perché è vero che siamo pelle e carne esposta al dolore in ogni momento, ma ci sono ferite che non si rimarginano e da quelle l’istinto ci porta a proteggerci anche se è stupido, anche se è inutile.
Rin ci pensa in quell’istante per la prima volta.
Lui sa cosa vuole dalla propria vita. Non si vede qui, fra dieci anni. Non si vede fermo, fra dieci anni. Non si vede sereno e contento di una cosa piccola accettata per non rischiare di fare un salto troppo lungo e cadere nel vuoto, fra dieci anni.
Se guarda bene, con più attenzione, vede Haruka e Makoto al suo fianco in quel momento? Quando sarà lontano da tutto questo, quando la scuola sarà un ricordo distante come un sogno, quando avrà allungato le dita per afferrare quello che vuole, Haruka e Makoto saranno lì con lui? Saranno qui? Saranno… cosa? Ancora impegnati nella loro fitta conversazione a due fatta di sguardi e sorrisi appena accennati, di gesti senza eco, di abbracci impalpabili, di carezze ferme alle intenzioni? Mentre Rin si allontana, e si allontana, e non li sente, e non li vede, rassegnato a sentirli parlare una lingua che non comprende finché le loro voci non saranno che un bisbiglio, e poi più niente?
Makoto abbassa lo sguardo, le labbra piegate in un sorriso incerto.
- Grazie. – dice.
Rin annuisce, ma lo stomaco gli fa così male che ha quasi la nausea. Si alza in piedi e pensa di andare via. Lasciarsi tutto questo alle spalle. Può sentire la voce di Sousuke rimbombargli nelle orecchie. Pensa a te stesso, Rin, è il tuo futuro, è il tuo sogno, è più importante di quelli degli altri. E Rin sa che è vero. Sa che, se avesse lasciato Makoto libero di parlare, poco fa, se Makoto gli avesse detto “Haruka probabilmente resterà qui, ed io resterò con lui anche se qualche università dovesse notarmi”, il suo futuro non sarebbe cambiato di una virgola. Lui avrebbe continuato ad andare per la sua strada, rassegnandosi giorno dopo giorno all’idea di perderli.
E questo fa ancora più male.
- Io non vi capisco. – dice, abbassando lo sguardo, - Né te, né Haruka. Non vi capisco. Vorrei… ma non ci riesco. Ci provo, ma non ottengo nessun risultato. Eppure, - solleva lo sguardo addosso a Makoto, trovando i suoi occhi a fissarlo di rimando, - Non posso fare a meno di continuare a provarci. Continuo a insistere anche se a volte mi sembra di parlare con un muro. Forse dovrei smettere, ma insistere è l’unica cosa che so fare. È l’unica cosa a cui riesco a pensare per provare a raggiungervi, in qualche modo. – abbassa lo sguardo un’altra volta, sulla propria mano sollevata, il palmo rivolto verso l’alto. La chiude a pugno in un gesto secco. – Sono qui a pochi passi da voi, ma ogni tanto mi sembra di stare ancora dall’altra parte del mondo.
Makoto lo guarda, le sopracciglia inarcate in un’espressione triste. Rin sa che gli dispiace. Makoto può percepire come si sente, e ne soffre perché è lui a causargli quel dolore, anche se indirettamente e senza volerlo. Quando Rin glielo legge negli occhi, si pente subito di aver parlato. Ma dire le cose a Makoto è molto più semplice che dirle ad Haru. C’è un muro attorno ad Haru che Rin non riesce ad attraversare senza sfondarlo. Il muro di Makoto invece è una barriera più morbida. Ogni tanto, solo ogni tanto, Rin è capace di passarvi attraverso e andargli più vicino. Ed è facile lasciarsi andare, in quelle occasioni, perché in quello spazio minuscolo fra se stesso e il suo muro Makoto tiene tutto il calore del mondo. E c’è un angolino che non è ancora stato occupato da Haru, e Rin sa che quell’angolino è lì per lui, quando vuole provare a raggiungerlo. Ed anche se dopo un po’ sente sempre il bisogno di andare via, è grato a Makoto per quello spazio che gli riserva, per la gentilezza che gli fa nel tenerlo sgombro in sua attesa.
- Rin. – dice Makoto. Il suono della sua voce è dolce come quello di una mamma, e Rin arrossisce quando ci pensa, perché è una cosa stupida. – Io ti sento molto vicino.
Rin gli solleva addosso lo sguardo, le labbra dischiuse in un’espressione sorpresa. Lo trova sorridente e sereno come al solito, e arrossisce ancora. Dai capelli bagnati di Makoto scende una gocciolina d’acqua che percorre lenta e ostinata la linea della sua mascella e poi scivola lungo il mento. Rin la osserva per concentrarsi su qualcosa di diverso rispetto agli occhi di Makoto, ma sa già che non è una buona idea.
Gli si avvicina, coprendo la distanza che li separa in un passo incerto. Quando le sue ginocchia sfiorano quelle di Makoto, pensa “è fatta”, ma non sa che cosa. L’unica cosa che riesce a riconoscere è una sensazione che, prima di quel momento, aveva provato solo con Haru. La sensazione precisa di essere stato libero fino a pochi secondi prima, e di essere poi stato attaccato ad un gancio all’improvviso quando si è avvicinato. Ne ha sentito come lo schiocco metallico, ed ora sa che, anche se provasse ad allontanarsi, non ci riuscirebbe.
- …un po’ mi dai sui nervi. – borbotta, sollevando le mani ed appoggiandogliele sulle spalle.
Makoto ride, e non si tira indietro quando Rin solleva una gamba e gli si siede a cavalcioni in grembo, guardandolo più da vicino.
Non ha bisogno di chiedergli cosa sta facendo. Probabilmente perché già lo sa. Ed è un bene, perché Rin invece non ne ha idea. Sta seguendo un istinto di cui non è sicuro di potersi fidare, un istinto che sussurra “più vicino”, anche se vicino non è ancora abbastanza. Gli scivola addosso, stendendo le gambe sul materasso. Poi le richiude dietro la schiena di Makoto, stringendoselo addosso. Non fa nient’altro, anche se sa che dovrebbe. Dovrebbe prendersi le sue responsabilità ed essere lui a fare il primo passo, ma non lo fa, perché ne ha paura. Perché se si sporgesse a baciarlo e Makoto si tirasse indietro, Rin saprebbe che Haruka si è messo in mezzo, senza parlare, senza nemmeno essere lì, e non potrebbe sopportarlo.
È Makoto ad avvicinarsi per primo, invece. Sfiora le labbra di Rin con le proprie chiudendo gli occhi non come se non volesse vederlo, ma come se non avesse bisogno di farlo. Rin gli sente addosso il sapore di Haruka in un’eco indefinita di cui non riesce a spiegarsi la ragione finché non accetta che quel sapore è lì perché Haruka è lì. Haruka è sempre lì. Non è in mezzo, ma con loro. Anche quando non c’è, anche quando non parla. Per il solo fatto che loro possono sentirlo, lui è lì.
Makoto schiude le labbra e la sua lingua accarezza lenta quella di Rin, mentre Rin piega il capo, si stringe a lui e chiude le dita attorno al tessuto bagnato della sua maglietta, tirandola piano per invitarlo a toglierla. Makoto si allontana solo per afferrarla da dietro e sfilarla dalla testa, lasciandola ricadere sul letto accanto a loro. Rin lo guarda, guarda la sua pelle nuda e liscia, le linee dei muscoli in rilievo, le curve e gli spigoli del suo corpo, e si sente invadere da un’invidia bruciante di cui non riesce ad identificare l’obiettivo. Non sa se è geloso di Haruka perché sul corpo di Makoto ha impresso il proprio nome prima ancora che Rin arrivasse nelle loro vite, e non sa se è geloso di Makoto perché il suo corpo si è imposto sulla memoria fisica di Haruka dandogli un’idea a cui aggrapparsi prima che Rin potesse arrivare ad imporgliene una nuova. Forse è una combinazione di entrambe le cose. E forse questa è una battaglia che Rin non può vincere, per cui è molto più semplice smettere di pensare, lasciarsi andare al calore di Makoto, alla forma delle sue spalle sotto le dita quando Rin gli si preme addosso, muovendosi lento contro di lui.
Makoto non è infastidito. Non è arrabbiato, non è nemmeno confuso. Gli piega le labbra l’ombra di un sorriso che sembra aver capito tutto senza bisogno di alcuna spiegazione. Non c’è niente di strano, si dice Rin, arreso al rossore che gli colora le guance mentre lo guarda in faccia, che Haruka continui a tornare da lui. Haruka non è mai in grado di spiegarsi, e Makoto non ha mai bisogno di una spiegazione per capire. Rin spiega sempre troppo, e fa sempre troppe domande. Fra Makoto e se stesso, forse anche lui sceglierebbe Makoto.
Le labbra di Makoto gli scivolano lungo il collo in una carezza bagnata, e Rin geme, il corpo in fiamme, bruciante di voglia. Makoto gli stringe le braccia attorno ai fianchi, girandosi appena per aiutarlo a sedersi sul materasso. Poi sale anche lui sul letto, con le ginocchia, mentre Rin indietreggia finché le sue mani non incontrano i cuscini. Solo allora si ferma, e guarda Makoto aspettandosi da lui una risposta per tutte le domande che vorrebbe e non riesce a fare adesso.
Makoto si china su di lui e lo bacia ancora, abbassandosi i pantaloni lungo i fianchi, e Rin decide che è una risposta sufficiente.
Gli tremano le mani, quando lo vede nudo. Tutto a un tratto è quasi minaccioso, l’erezione tesa puntata contro di lui, più massiccia di quanto Rin non avesse mai pensato. Lo colpisce anche l’idea di essere completamente vestito mentre Makoto è completamente nudo. È un’idea che lo spaventa, vederlo così scoperto ed esposto nonostante tutto quello che è successo in passato. Per un istante si sente sopraffatto dal rispetto nei suoi confronti. È una sensazione talmente forte da dargli il capogiro, da annullare tutte le altre, perfino l’eccitazione. Makoto è una persona grandissima, e Rin non è sicuro che sarà mai pronto a dirgli addio.
Si sfila la maglietta in un gesto frettoloso. Gli resta incastrata attorno alla testa e Makoto ride senza prenderlo in giro, trovando l’unico modo di alleggerire la tensione senza farlo arrabbiare. Rin piega le labbra in un broncio carico di un disappunto di cui non sente minimamente il peso, che scompare subito quando Makoto lo bacia ancora.
Non si sente più minacciato, adesso. Si sente teso di curiosità e desiderio, e spinge i pantaloni lungo le gambe assieme alle mutande, restando nudo sotto di lui. Makoto si solleva sulle ginocchia senza guardarlo, senza mai smettere di baciarlo, e le sue mani lo accarezzano per tutto il corpo, bene aperte, vigili e attente. Rin si rende conto di averle volute sentire così fin dal principio. Non saprebbe identificare un momento preciso, però sa che è un momento lontano. Avere aspettato fino ad adesso gli sembra assurdo, non gli sembra nemmeno possibile.
Schiude le gambe, invitandolo ad avvicinarsi di più. Makoto lo fa senza chiedergli niente, neanche quello che vuole, forse semplicemente perché lo sa già. Si inumidisce le dita e lo accarezza fra le natiche, il suo è un tocco lieve che fa venire voglia a Rin di ringhiare “di più” ma che allo stesso tempo lo spinge quasi di prepotenza in una bolla di calma che gli rilassa i muscoli, che lo invita ad aspettare, a lasciarlo fare.
Rin chiude gli occhi, e anche se in questo momento gli sembra di volere tutto e subito, si affida alle mani di Makoto, e pensa ad Haruka. Pensa, è così che Makoto lo tocca? È così che lo fa sentire? Ed io sarei in grado di toccarlo così, di farlo sentire in questo modo?
Poi i pensieri gli scivolano fuori dalla testa in un gemito quando sente l’erezione di Makoto premere contro la sua apertura. Istintivamente affonda le dita nelle sue spalle e trattiene il respiro. La voce di Makoto lo raggiunge ovattata, come se lui fosse un sogno e Rin stesse per svegliarsi ma non volesse rassegnarsi a lasciarlo andare.
- Dimmelo, se ti faccio male.
Quando entra fa male, sì, ma Rin non glielo dice perché non vuole che si fermi. Si affida al silenzio anche se aveva deciso che non lo avrebbe più fatto, e prova a parlare a Makoto nella sua stessa lingua, la lingua delle espressioni appena accennate, dei tocchi fugaci, dei gemiti bassi e dei cenni confusi. Non è come avere improvvisamente imparato a parlarla. Piuttosto è come avere trovato un canale di comunicazione simile, non del tutto identico ma universale abbastanza per capirne le regole anche se non le si conosce. Attraverso quel linguaggio, Makoto impara a conoscere il corpo di Rin mentre Rin impara a spiegarglielo senza usare le parole.
È una connessione troppo intensa per durare, Rin lo sa e, istintivamente, pensa ancora ad Haruka, e a quel suo continuo ritrarsi, rinchiudersi nel silenzio anche con Makoto. Pensa che forse è per questo che lo fa. Perché Rin non è l’unica persona intensa nella sua vita. Anche Makoto lo è, pur se in un altro modo, un modo che Haruka riesce a tollerare più a lungo, ma dal quale ha comunque bisogno di una tregua di tanto in tanto. Makoto è abbastanza intelligente da concedergliela prima che Haruka senta la necessità di chiedergliela. Rin non ha mai imparato a farlo e non è sicuro che lo farebbe anche se sapesse come.
Makoto si allontana da lui quasi subito, dopo l’orgasmo. Scivola fuori dal suo corpo e si stende sulla schiena al suo fianco. Le loro spalle si sfiorano perché il letto non è abbastanza grande da consentire una distanza maggiore, ma non importa. Rin deve comunque trattenersi per non voltarsi e avvolgerglisi attorno come una coperta. È la prima cosa che gli viene in mente, il desiderio di abbracciarlo. Sono una di quelle persone, pensa con un sorriso, una di quelle che vogliono continuare a stringere anche quando non è più necessario.
- Ti senti meglio? – gli domanda Makoto. Onestamente, Rin non sa cosa rispondere.
- Non lo so. – dice, fissando il soffitto, - Sono confuso. Continuo a pensare ad Haru.
Makoto ride divertito, sfiorando il dorso della sua mano con le nocche.
- Già. – dice, - Anch’io.
Rin annuisce come se avesse capito qualcosa. In realtà non è così, si sente molto più confuso di prima. Ha molta più paura di quello che li aspetta di quanto non ne avesse prima di cominciare a parlare con Makoto. Forse sarebbe stato meglio che non ne parlassero affatto, pensa, ma l’idea gli mette addosso una tristezza enorme. Si volta a guardarlo, scruta il suo profilo nella luce giallastra della stanza, quel suo sorriso immobile, così sereno.
- Makoto, - chiede a bassa voce, - Non ti fa paura, il futuro?
Il sorriso di Makoto si allarga un po’, ma non si volta a guardarlo.
- Mi fanno paura un sacco di cose. – dice, - Però non ho paura di perdere te ed Haru, Rin. Questo no. E non dovresti neanche tu.
Rin lo guarda ancora un po’, senza sapere se dovrebbe sentirsi rassicurato o meno. Le parole di Makoto gli scaldano il cuore, ma non sa se questo sarà sufficiente. Sente ancora di voler parlare con Haru, la voglia non è passata. L’idea di dover aspettare un altro giorno per ottenere delle risposte lo schiaccia. Ma si sente ancora piacevolmente intorpidito, e per il momento decide di lasciare perdere, e lo comunica a Makoto con uno sbuffo che lo fa ridere.
Resterebbe lì sdraiato ancora per un po’, ora come ora, ma presto qualcuno bussa alla porta e Rin sa che deve trattarsi di Nagisa prima ancora di sentire la sua voce. Lui e Makoto scattano in piedi insieme, ridendo a metà fra l’imbarazzo e il divertimento. Per un istante o due Rin si sente il cuore leggerissimo. Pensa ad Haru, lo immagina correre sul lungomare, concentrato e serio come sempre. Per quell’istante, aspettare fino a domani non gli pesa più.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Sousuke/Rin.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Shota, Lemon.
- "Alle elementari Sosuke e Rin si toccavano abitualmente a vicenda, ma non ne hanno mai parlato. Adesso che sono in camera insieme, è il momento di farlo (e magari di recuperare le vecchie abitudini)." (Sono pigra e come riassunto uso il testo del prompt della Caska CHE D'ALTRONDE E' PERFETTO E RIASSUME QUESTA STORIA NELLA SUA INTEREZZA.)
Note: Tributo SouRin alla Free! Notte Bianca #4
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
SUGAR ON YOUR SOUL

Da ragazzini, una volta, si erano baciati. Non era stato strano, ai tempi era sembrato ad entrambi piuttosto naturale. Erano a casa di Rin, come capitava spesso. Rin chiedeva a Sousuke di restare con lui quasi tutti i giorni, e la maggior parte delle volte Sousuke finiva per restare in camera con lui a chiacchierare del più e del meno per tutto il pomeriggio, finché la luce del sole cominciava a diventare di un arancione così scuro da sembrare quasi rosso, ed a quel punto Rin doveva lasciarlo andare per forza, o si sarebbe fatto buio prima che Sousuke riuscisse a tornare a casa propria.
A Rin non piaceva restare a casa da solo. Lui e sua sorella si volevano molto bene, Sousuke poteva vederlo chiaramente nei gesti teneri che spesso si scambiavano quando erano insieme (Rin pettinava i capelli lunghissimi di Gou con una devozione quasi commovente, e poi lasciava che lei pettinasse i propri e lo riempisse di codini, mollette e fermagli da bambina, solo perché sapeva che questo la divertiva, ad esempio), ma non parlavano molto. Non riuscivano, da soli, a riempire il silenzio che si era abbattuto su quella casa proprio come l’onda anomala che aveva rovesciato la barca di suo padre anni prima.
Con lui, Rin parlava tutto il tempo. Era un inarrestabile fiume in piena di parole, e tutto di lui era rumoroso, sovraccarico. Monologhi infiniti, risate fortissime, un sacco di gesti per accompagnare quei lunghi discorsi. Non era un modo per non piangere, Sousuke poteva vederlo, era soltanto il modo che Rin aveva trovato per domare il silenzio, per ridurlo a una cosa piccola, insignificante. Sousuke non era mai stato un bambino di molte parole, ma parlava con Rin. Parlava tantissimo con Rin, perché sapeva che Rin non voleva soltanto ascoltare il suono della propria voce, ma anche quello della sua. Non era solo il silenzio a infastidirlo, era l’assenza di conversazioni. Sousuke l’aveva capito subito e molto facilmente, come se qualcuno gliel’avesse suggerito sussurrandoglielo all’orecchio, ed aveva agito di conseguenza con naturalezza. Semplicemente, siccome Rin lo voleva, andava fatto.
Si erano baciati, dunque, più o meno per lo stesso motivo. Quel tardo pomeriggio invernale, Rin voleva essere baciato tantissimo. Sousuke lo sentiva sottopelle, era un invito impossibile da rifiutare e Rin lo stava mandando consapevolmente, senza dirlo ad alta voce ma rendendolo comunque chiaro ed esplicito abbastanza. Il modo in cui si piegava sul tavolo, verso di lui, il modo in cui schiudeva le labbra e se le inumidiva sfiorandole con la lingua, il modo in cui i suoi occhi sembravano rifiutarsi di lasciare quelli di Sousuke anche solo per un istante.
Rin voleva essere baciato. Lo voleva, per cui andava fatto.
Non che l’idea lo disturbasse, naturalmente. Non era una forzatura, e avrebbe mentito se avesse detto che anche lui non aveva pensato alla possibilità di baciarlo così tante volte da aver probabilmente affrontato qualsiasi tipo di possibile scenario ipotetico nel farlo. Semplicemente non era abituato a ragionare in termini di cosa-voglio-io-da-lui, quando Rin si trovava nei paraggi. Era sempre di-cosa-ha-bisogno-lui-da-me.
Così, si erano baciati. Mentre il cielo diventava buio, e per una volta a nessuno dei due importava, Sousuke gli era scivolato accanto, si era fermato a guardarlo a lungo – Rin era così bello, con quei capelli lisci e gli occhi così grandi e quel sorriso da mordere e la linea del collo dalla curva perfetta – e poi si era sporto in avanti, premendo le proprie labbra contro le sue senza neanche sapere cosa fare dopo, sperando di riuscire a farsi guidare dall’istinto
Era stato imbarazzante, ma l’imbarazzo era durato così poco che alla fine era sembrato ad entrambi un dettaglio irrilevante. Si erano baciati ancora e ancora e un istante dopo l’altro era cambiato tutto, Rin aveva schiuso le labbra, aveva sfiorato le sue con la lingua e Sousuke aveva voluto tantissimo fare lo stesso. Si erano baciati come gli adulti, ed era stato bellissimo, perciò entrambi avevano deciso che non ci sarebbe stato niente di male nel ripetere l’esperienza.
L’avevano deciso senza parlare, come decidevano tutto il resto. Il più delle volte discutere qualcosa equivaleva semplicemente a notificare all’altro una decisione già presa, aspettandosi che l’altro fosse d’accordo – cosa che in effetti accadeva quasi sempre. Avevano litigato, qualche volta, ma era inevitabile che accadesse, visto quanto erano testardi e visto anche il fatto che ad entrambi piaceva tirare in due direzioni opposte solo per vedere quanto a lungo poteva tendersi la corda prima di spezzarsi. Ma erano state occasioni sparse e tutto sommato irrilevanti, Sousuke era sicuro che, crescendo, le avrebbero tutte dimenticate.
Non avevano litigato quella volta, comunque. Non avevano neanche discusso. Non che ci fosse molto da dire. Era successo. Era piaciuto a entrambi. Non c’era motivo per cui avrebbero dovuto rinunciare a quello o a quello che era venuto dopo come conseguenza. Stare vicini, sempre più vicini, toccarsi sopra i vestiti. Le mani piccole e ancora delicate di Rin, dalla pelle così chiara rispetto a quella di Sousuke, specialmente in inverno, strette con una tensione tutta nuova attorno alle sue spalle, le dita che si muovevano lentamente, tastando i muscoli sotto la maglia pesante. Le gambe chiuse, le cosce che si stringono in uno spasmo e che poi rilasciano la tensione, aprendosi appena. La naturalezza del movimento quando Rin gli era caduto in grembo, seduto a cavalcioni su di lui, e si erano guardati per un istante, confusi dai baci e dalle carezze, chiudendosi se avrebbero dovuto spostarsi, se quello fosse tirare un po’ troppo, ma poi avevano deciso che non importava, sempre senza dire una parola, riprendendo a baciarsi in silenzio mentre la mano aperta di Sousuke scivolava lungo la curva invitante della schiena di Rin.
Un giorno Rin gli aveva infilato la mano dentro i pantaloni, e poi, nel toccarlo, aveva sussultato, come stupito dal suo stesso gesto. Per un istante erano rimasti entrambi immobili a fissarsi, intimamente convinti che quello doveva per forza essere il momento in cui sarebbe finito tutto, il momento in cui uno dei due si sarebbe allontanato ed avrebbe finto che niente di tutto quello fosse mai accaduto, mettendo un punto a tutta la vicenda.
Rin però non si era allontanato, e Sousuke non gliel’aveva chiesto. Quindi, le dita di Rin si erano chiuse attorno alla sua erezione e l’avevano stretta gentilmente, quasi avesse paura di fargli male, muovendosi piano dall’alto verso il basso e poi al contrario, masturbandolo un po’ goffamente. Che fosse goffo, a Sousuke non era importato. Né mentre accadeva né dopo l’orgasmo.
Aveva imparato in fretta, comunque, così come aveva smesso subito di allontanare la mano di Sousuke con imbarazzo evidente ogni volta che era lui a provare a toccarlo. La prima volta che era successo – Dio, non fa nessuna fatica a ricordarlo neanche adesso –, Sousuke non era riuscito a staccargli gli occhi di dosso per tutto il tempo. Rin era rimasto sdraiato sul tatami, gli occhi serrati e la testa piegata ad esporre il collo arrossato dai baci, le labbra umide arricciate in un’espressione quasi sofferta che si era sciolta all’improvviso in un gemito e in un sospiro quando era venuto, schizzandosi addosso più di quanto fosse riuscito a sporcare la mano di Sousuke. Era così bello che a Sousuke aveva fatto quasi male, si era detto “vorrei che fossi mio, vorrei che fossi mio per sempre”, due settimane dopo Rin gli aveva detto che stava per trasferirsi all’Iwatobi.
L’aveva fatto con la solita semplicità, senza parlarne con lui prima, semplicemente notificandoglielo come un fatto già deciso – come in effetti era. “Ho deciso di andare all’Iwatobi,” gli aveva detto, senza pensare a quali conseguenze questo potesse avere su di lui. Perché avrebbe dovuto farlo, d’altronde? Aveva forse pensato alle conseguenze quando l’aveva silenziosamente implorato per giorni di baciarlo fino a fargli arrossare e gonfiare le labbra, fino a che fosse sfinito? Aveva pensato alle conseguenze quando aveva cominciato a toccarlo, ad infilargli una mano dentro i pantaloni? Quando aveva schiuso le gambe per lui, quelle cosce così morbide e così bianche, da bambina, aveva pensato alle conseguenze? Mai. E Sousuke gliel’aveva lasciato fare. L’aveva lasciato libero di vivere in un mondo in cui, qualsiasi cosa facesse, a Sousuke sarebbe andata bene. Era colpa sua, sua soltanto, non di Rin, se adesso stava male.
Lancia uno sguardo a Rin, seduto alla propria scrivania, intento a fare i compiti. La canottiera gli lascia nude le scapole, e si è appiccicata alla sua pelle ancora bagnata dopo la doccia. Ogni tanto, Rin se la scolla di dosso con un grugnito insoddisfatto, ed ogni volta Sousuke osserva il movimento del suo braccio e gli si stringe lo stomaco in uno spasmo di voglia che non sa come domare.
Se fossero ancora bambini, se adesso fosse cinque anni fa, sarebbe tutto molto più semplice. Potrebbe baciarlo senza dire una parola, e sa che a Rin andrebbe bene. Potrebbe toccarlo senza chiedere niente, ed a Rin non servirebbero spiegazioni. Ma è passato troppo tempo, e Rin è una persona diversa, anche se non gli piace ammetterlo, e quel meccanismo perfetto che guidava le loro mani quando erano bambini non può più funzionare allo stesso modo, gli ingranaggi si sono gonfiati e non si incastrano più con la stessa automatica semplicità.
Sousuke si solleva a sedere, le gambe che scivolano nel vuoto, presto seguite dal resto del suo corpo. Atterra sul pavimento con un tonfo sordo, attutito della moquette che lo ricopre. Rin si volta a guardarlo subito, sfilando uno degli auricolari. L’eco metallico della chiassosa canzone che stava ascoltando rompe il silenzio prima della sua voce.
- Sousuke? – chiede guardandolo.
Sousuke si china e gli sfila dall’orecchio anche l’altro auricolare, mettendo via il lettore MP3.
- Dobbiamo parlare. – gli dice.
Dal modo in cui Rin arrossisce, capisce che ci stava pensando anche lui. Per un momento la cosa lo sorprende, poi però capisce che era semplicemente inevitabile. Non passi più di un anno a condividere quello che loro condividevano da ragazzini in quella camera per poi dimenticarlo come non fosse mai accaduto. In qualche modo lo solletica piacevolmente il pensiero che il ricordo di quei pomeriggi potrebbe essere stata la prima cosa a riaffiorare nella mente di Rin quando si sono rivisti qualche giorno fa.
- Di cosa? – borbotta Rin, guardando altrove. Sousuke lo fissa senza vergogna per qualche secondo, e poi lo rimprovera.
- Non fare finta di niente, - gli dice, - Non sto giocando.
Gli anni hanno reso Rin più complicato e meno sincero, pensa Sousuke quando lo vede ostinarsi a fissare un punto imprecisato da qualche parte alla sua destra.
- Non so di cosa stai parlando. – gli dice. Sousuke sa che sta mentendo, e decide di ricordarglielo in ogni caso.
Stinge le dita attorno al tessuto della canottiera, sollevandolo di peso dalla sedia. Rin è così sorpreso che non muove un muscolo, spalanca gli occhi e schiude le labbra per dire qualcosa ma non ne ha il tempo: Sousuke lo bacia con la voglia di chi ha aspettato questo momento per cinque anni, le labbra affamate già dischiuse e la lingua pronta a cercare quella di Rin, ad accarezzarla svelta, esplorando la sua bocca senza pudore, stringendolo contro in un abbraccio dal quale Rin non riesce a liberarsi, principalmente perché neanche ci prova.
Si allontana dopo qualche secondo, guardandolo negli occhi.
- Di questo. – gli dice.
Rin si passa una mano sulla bocca, distogliendo lo sguardo.
- Questo non è parlare. – risponde in un borbottio confuso.
- Invece sì. – insiste Sousuke, spingendolo verso la scrivania finché Rin non è costretto a sollevarcisi sopra, appoggiandosi al bordo per non cadere all’indietro, - Volevo solo mettere in chiaro che questa volta sta succedendo perché lo vogliamo.
- Perché, - biascica Rin, piegando il capo e schiudendo le labbra in attesa del bacio che Sousuke gli lascia addosso il secondo dopo, - Quand’è successo l’ultima volta non era così?
- Smettila di fingere di non capire quello che ti sto dicendo. – quasi ringhia Sousuke, un suono basso, di gola, al quale Rin reagisce trattenendo il capo per un istante e poi deglutendo a fatica.
- … pensavo che sarebbe successo naturalmente. – dice Rin a bassa voce, rispondendo ai baci di Sousuke e schiudendo lievemente le gambe quando lo vede avvicinarsi, per fargli posto contro di sé, - Pensavo che non avremmo avuto bisogno di parlarne. Non ne abbiamo mai avuto bisogno prima.
- Adesso è diverso. – gli spiega Sousuke, parlandogli addosso, - Sei diverso tu.
- Sono sempre lo stesso. – Rin solleva le braccia, stringendogliele attorno al collo e ondeggiando il bacino per andare incontro ai movimenti di quello di Sousuke, che si preme contro di lui con forza, lasciandogli addosso l’impronta immaginaria della sua erezione schiacciata contro la coscia.
Sousuke non vuole dirgli che non è vero, primo perché fa male anche a lui e secondo perché sa che, in questo momento, Rin non vuole sentirselo ripetere. Ha gli occhi chiusi e la testa piegata all’indietro, dalle sue labbra dischiuse fuoriesce una litania di sospiri e gemiti che riecheggiano nel silenzio intorno a loro, e questa è sempre stata la loro dimensione perfetta, in fondo, questo silenzio così pieno di loro da rimbombare nelle orecchie di entrambi.
Sousuke si allontana appena, violentando la sua stessa voglia di continuare a baciare Rin finché non sarà Rin a implorarlo di smetterla. Rin si lamenta, invece, geme e stringe le cosce forti attorno ai suoi fianchi, cercando di trattenerlo il più vicino possibile. Sousuke è più forte, però, e si allontana ancora, sfilandosi la maglietta ed osservando gli occhi di Rin illuminarsi di voglia nell’osservare il suo petto nudo.
- Cazzo… - bisbiglia, allungando le mani verso di lui e lasciandogliele scorrere sulle spalle e poi giù lungo i fianchi torniti, prima di risalire verso i pettorali gonfi e tesi, - Sei enorme. – gli sfugge dalle labbra in un altro gemito scomposto.
Sousuke non riesce a trattenere un sorriso, mentre torna ad avvicinarsi solo per un secondo, il tempo di premergli un altro bacio lievissimo sulle labbra, prima di inginocchiarsi di fronte a lui.
- Che stai facendo? – si lagna Rin. Preferirebbe che Sousuke lo toccasse e basta, lui può leggerglielo in faccia e la cosa lo diverte. Invece, stringe fra le mani l’elastico dei suoi pantaloni e poi li tira giù in un gesto secco, insieme alle mutande, sporgendosi in avanti per sfiorare l’erezione tesa di Rin con la punta della lingua. Lui geme più forte, gettando indietro il capo e stringendo le mani attorno al bordo del tavolo. – Ah… Sousuke… - ansima, passandosi la lingua sulle labbra, - Aspetta, non—
Sousuke non aspetta, però, ha aspettato cinque anni ed ha appena deciso che basta così. Si china su di lui all’improvviso, lasciandosi scivolare la sua erezione in bocca, fra la lingua e il palato, fin quasi in gola. Rin urla senza ritegno, stringendogli le dita di una mano attorno ai capelli e tirando forte, ma non forte abbastanza da farlo allontanare, e Sousuke prende il gesto per quello che in effetti è, un invito a continuare, a fare di più. Succhia forte, muovendo la lingua tutta intorno alla punta, sopra la fessura in cima, e poi scivolando più in basso, avvolgendo in una carezza bagnata anche tutto il resto della sua lunghezza, sottolineandone le nervature, seguendole come indicazioni su una mappa.
Rin muove i fianchi con urgenza, spingendosi dentro la sua bocca e poi ritirandosi un attimo prima che diventi troppo, ma anche se è bellissimo, e gli piace da impazzire, vuole di più, e Sousuke lo percepisce nel tremito che lo sconvolge sottopelle quando Rin stringe le dita attorno ai suoi capelli con più forza, attirandolo verso l’alto. Lo segue solo quando comincia a fare male, e Rin lo bacia subito, arrabbiato, frustrato, mordendogli le labbra e la lingua e strusciando il cazzo ancora bagnato di saliva contro il rigonfiamento evidente nei suoi pantaloni.
- Tiralo fuori. – dice con impazienza, sistemandosi meglio sulla scrivania, - Sbrigati.
Per un attimo, Sousuke gioca con la possibilità di tenerlo sulle spine per qualche istante, vederlo arrabbiarsi e ringhiare e scuoterlo per le spalle e magari spogliarlo con le sue mani, ma è un pensiero fugace, perché l’impazienza di Rin non è che un’ombra paragonata a quella che brucia dentro di lui.
Si abbassa i pantaloni in un movimento svelto e sfacciato, e Rin trattiene il fiato, spalancandogli gli occhi addosso. A Sousuke scappa quasi da ridere per l’espressione di stupore assoluto che gli ingentilisce i tratti del viso, facendolo assomigliare per un secondo al bimbette con le guance lisce e arrossate che era qualche anno fa.
- Toccalo. – dice invece, avvicinandosi di qualche centimetro.
Rin deglutisce, mentre nei suoi occhi terrore e desiderio si danno battaglia. Allunga una mano, però, le punte delle dita che tremano appena mentre sfiora la sua erezione, calda, tesa ed enorme di desiderio.
È un attimo e la sta già stringendo fra le dita, accarezzandola velocemente. Lo attira più vicino e Sousuke obbedisce, stringendogli le braccia attorno alla vita e strattonando con forza la sua canottiera per allargarne la scollatura, almeno abbastanza da potergli accarezzare le clavicole in punta di lingua.
- Mi spaccherai in due. – geme Rin, aggrappandosi alle sue spalle con la mano libera mentre continua a masturbarlo con l’altra.
Sousuke gli ride addosso, senza fiato, affondando i denti nella curva solida della sua spalla.
- Sopravvivrai. – gli dice, come per rassicurarlo.
- No, non hai capito. – Rin scuote il capo, sollevando appena il bacino e stendendo la schiena, - Non vedo l’ora.
Sousuke lo osserva schiudere le gambe ed offrirglisi senza pudore, la sua apertura stretta ed esposta pronta a riceverlo, e un secondo dopo gli è addosso, la punta del cazzo che preme per entrare mentre Rin si morde le labbra con tanta forza da farle diventare rosse.
- Spingi. – gli geme addosso Rin, andandogli incontro col proprio bacino, - Più forte. – poi sembra rendersi conto di cosa sta dicendo, e le sue labbra si schiudono in un sorriso un po’ stupido mentre l’erezione di Sousuke riesce finalmente ad aprirsi un varco oltre l’anello stretto dei suo muscoli, facendosi strada dentro il suo corpo. Lui la accoglie con un sospiro che sa di sollievo perfino più di quanto sappia di piacere, strofinando il naso contro la sua guancia. – Sto parlando abbastanza? – chiede.
Sousuke ride ancora, piantando le mani contro la scrivania – i muscoli in tensione, sui quali Rin lascia scorrere le dita ancora e ancora e ancora, come non riuscisse a saziarsi della sua consistenza sotto i polpastrelli – cercando un punto d’appoggio per scoparlo più forte. Entra dentro di lui e poi esce fin quasi a scivolare del tutto fuori, ma Rin lo trattiene, le gambe annodate attorno ai suo fianchi, i muscoli che si contraggono con forza attorno al suo cazzo e lo risucchiano dentro ogni volta, invitandolo ad affondare più in profondità.
Rin geme senza controllo, ed alza la voce più di quanto dovrebbe quando la mano di Sousuke si chiude attorno alla sua erezione, che quasi scompare fra le sue dita mentre lo masturba seguendo lo stesso ritmo col quale lo scopa, ascoltando i suoi gemiti farsi più liquidi e confusi, finché l’orgasmo non lo scuote tutto da dentro, costringendolo a un fremito incontrollabile che lo lascia stremato non appena si esaurisce.
Sousuke si spinge dentro di lui ancora un paio di volte, e poi gli viene dentro, godendo della sensazione quando lo sente rabbrividire e chiudersi attorno a lui con un ultimo spasmo, prima di lasciarlo andare.
Scivola fuori dal suo corpo con naturalezza, e Rin mette giù le gambe, restando appoggiato alla scrivania ma piantando i piedi per terra come non si fidasse della propria capacità di reggersi in piedi senza un aiuto. Appena le dita toccano il pavimento, l’orgasmo di Sousuke gli scivola lungo l’interno coscia, facendogli il solletico.
- Dovrò andarmi a lavare di nuovo. – commenta con un sospiro infastidito.
Sousuke ride ad alta voce.
- Sì, - dice, - Ti si legge proprio in faccia quanto ti dispiaccia la cosa.
Ride anche Rin, semplicemente perché ha sempre trovato difficile non farlo quando lo sta facendo anche Sousuke. Poi sospira, mettendosi dritto e tirandosi su i pantaloni prima di stiracchiarsi pigramente, il volto rilassato in un’espressione perfettamente soddisfatta.
- Visto che vuoi sentirtelo dire, - gli sorride sfacciato, - Questa non sarà l’ultima volta.
- Mi rassicuri. – gli sorride Sousuke di rimando, - Non so come l’avrei presa se mi avessi detto che ti trasferivi da qualche altra parte fra una settimana o due.
Rin ride divertito, gettando indietro il capo. Possono scherzarne solo perché ora sono di nuovo entrambi qui. È bello potersi lasciare tutto questo alle spalle, pensa Sousuke mentre osserva Rin abbandonare la stanza, chiudendo la porta. Silenziosamente, si arrampica sul letto e si lascia andare sul materasso, sospirando soddisfatto. Quando Rin torna, qualche minuto più tardi, non si stupisce di sentirsi dire “e vieni di sotto, stronzo”, e sta già ubbidendo, prima ancora di rendersene conto.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Sousuke/Rin.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, Shota, Lemon, Self.
- La scuola sta per finire e l'estate sta per arrivare. Una volta che sarà trascorsa, Rin si trasferirà all'Iwatobi per inseguire il proprio sogno. Prima che tutto questo accade, però, lui e Sousuke condividono un'ultima memoria indimenticabile.
Note: Questa storia è la dimostrazione pratica della pazzia mia e della Caska, che da quando abbiamo saputo che Sousuke sarà presente nella seconda stagione di Free! siamo ufficialmente SBROCCATE MALISSIMO, ed abbiamo cominciato non solo a congetturare sul loro rapporto, ma anche su quello che sarà di loro una volta che si saranno messi insieme ritrovati. Sarà meraviglioso.
Nel mentre io volevo scriverli da shotini, e quindi ho scritto questa cosa in cui c'è dell'angst e poi c'è del porno randomico. Visto che sono piccoli è molto randomico, ma guarda quanto me ne frega.
Scritta per il MMOM (su ispirazione di Anonimo, di Lucio Battisti), ed anche per la prima Badwrong Week, because of shota. Che bel mese è maggio, eh?
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READ MY MIND

Non c’è nessuno a parte loro sulla strada silenziosa e lievemente in pendenza che costeggia il lungomare, ed il silenzio che riempie l’aria, interrotto appena dal rumore delle onde in lontananza e da quello più vicino dei loro passi, è estremamente piacevole. Il sole tramonta all’orizzonte, un movimento lentissimo sul quale Rin si concentra per darsi qualcosa a cui pensare, e accende l’aria di un colorito dorato che fa risaltare l’abbronzatura di Sousuke. Un altro dettaglio a cui è meglio non pensare.
Il silenzio non lo infastidisce. Generalmente non lo sopporta, ma con Sousuke è diverso. Quando parlano, lo fanno per dirsi qualcosa, e non sentono il bisogno di riempire gli spazi vuoti rovesciandosi addosso chiacchiere senza senso. Parlano poco anche perché in genere non hanno molto da dirsi ad alta voce. Sousuke ha un talento speciale per capire cosa passa per la testa di Rin senza avere bisogno di sentirselo dire, una caratteristica che ogni tanto gli dà sui nervi, ma che a volte è un sollievo.
Come oggi, ad esempio.
Oggi è una di quelle giornate strane in cui Rin non è in grado di tradurre in pensieri coerenti la matassa confusa che gli ingombra la testa. Non è esattamente triste e non è neanche esattamente felice, è qualcosa a metà fra l’ansia e l’apatia, una sensazione che gli si allarga dentro lenta e vischiosa come un’ondata di petrolio, e che rende ovattate tutte le altre. Dovrebbe essere eccitato all’idea di trasferirsi all’Iwatobi, e non è che non lo sia, ma è nervoso, forse un po’ spaventato, e non riesce a godersi il momento.
È fastidioso, pensa distrattamente, rallentando il passo. Dovrebbe essere contento. Vorrebbe esserlo.
Sousuke si ferma all’improvviso, e Rin è costretto a farlo a propria volta se non vuole superarlo e lasciarlo indietro. L’idea lo disturba, l’atto fisico di lasciarlo indietro adesso, più di quanto non lo disturberà dopo l’estate cambiare scuola e smettere del tutto di vederlo.
- Fermiamoci qui. – dice lui seccamente, indicando con un cenno del capo un punto riparato ai piedi del pendio che fa da scorciatoia per la strada verso il porto.
Rin ci pensa qualche istante, mordendosi il labbro inferiore. Si sente un po’ a disagio. Non impazzisce all’idea di restare fermo e solo con Sousuke da qualche parte troppo a lungo. Sousuke può essere difficile da sopportare, quando ti guarda e tu sai che ti sta scavando dentro anche se non dice niente.
- No… - mugola, accennando a riprendere a camminare, - È tardi. Vado a casa.
Sousuke si muove senza che Rin se ne accorga, stringendo le lunghe dita attorno al suo polso magro e impedendogli di andare avanti.
- Fermiamoci qui. – ripete con lo stesso tono asciutto di prima, - Solo un po’.
Rin trattiene il respiro per un secondo, e poi deglutisce, annuendo piano. Sousuke comincia a scendere lungo il pendio, e Rin lo segue, e sa che Sousuke è perfettamente cosciente del fatto che potrebbe lasciarlo e Rin continuerebbe a seguirlo, ma la stretta delle sue dita attorno al polso di Rin non si scioglie né si allenta, nemmeno per un attimo.
Lo lascia andare solo quando finalmente si sono seduti entrambi sull’erba, sulle giacche piegate in modo da non sporcarsi i vestiti. Rin si raccoglie in un mucchio d’ossa da pulcino e bronci da manuale, le ginocchia strette al petto e la frangetta che scende a coprirgli metà del viso. Sousuke si appoggia indietro sui gomiti, gli occhi fissi sul molo a qualche centinaio di metri da lì. Una mezza dozzina di pescatori fa già la spola da terra ai due pescherecci ormeggiati lì vicino, preparandoli per la pesca notturna. Gli uomini sono distanti abbastanza da non essere più grandi di pupazzetti di plastica, i volti indistinguibili, le parole che si perdono nel suono costante delle onde che si infrangono a riva. È consolante vederli così lontani e piccoli, pensa Rin, perché vuol dire che anche per loro lui e Sousuke non sono che puntini minuscoli, impossibili da vedere sulla distesa verde sulla quale sono mezzi sdraiati.
- Quanti giorni ancora? – domanda Sousuke distrattamente, quasi sovrappensiero.
- Cinque. – risponde Rin senza guardarlo.
- Ah. – Sousuke annuisce lentamente, - Già.
Cinque giorni alla fine dell’anno scolastico. L’estate avanza, già calda abbastanza da appiccicarsi sotto la maglietta in una patina leggera di sudore tiepido. Cinque giorni e poi saranno le vacanze estive, e poi sarà l’Iwatobi. Sarà un passo più vicino al suo sogno, e un passo più lontano da Sousuke.
Più di un passo, in realtà.
- Non dovresti sentirti in colpa, sai? – dice Sousuke all’improvviso, la voce sempre calma e piatta, che si solleva appena nell’inflessione della domanda.
- Non mi sento in colpa per niente. – ribatte Rin, stringendo le braccia attorno alle ginocchia. Non si volta a guardare Sousuke perché sa già in che modo lo sta osservando lui, infastidito dalla sua ostinazione.
- Dimmi che bisogno c’è di mentirmi. – risponde infatti, quasi offeso.
Rin si volta di scatto verso di lui, la voce ridotta a un ringhio furioso.
- Cosa ti fa pensare che ti stia mentendo?
L’espressione di Sousuke non cambia di una virgola, e la cosa fa sentire Rin talmente a disagio che, dopo qualche istante, si ritrova costretto ad abbassare lo sguardo. L’intrusione silenziosa di Sousuke nella sua testa è inarrestabile, e a volte lui vorrebbe essere in grado di offrirgli una qualche menzogna credibile, per tenerlo lontano. Perché così è troppo vicino. Anche se non si toccano nemmeno un po’— è già troppo vicino.
- Rin. – la sua voce risuona con la precisione di un taglio netto nel silenzio perfetto che li avvolge, squarciandolo. Rin trattiene il respiro perché se la sente addosso, appuntita e minacciosa, lucida e tagliente come una lama. – Non sono sicuro che questo sia quello che vuoi.
Rin affonda le dita nelle pieghe dei pantaloni, cercando di impedirsi di tremare. Temeva questo momento, il momento in cui Sousuke l’avrebbe guardato in faccia e avrebbe dato voce per lui ai pensieri che lui stesso ha ignorato fino ad adesso.
- Invece voglio. – risponde, la voce sottile.
- Non lo stai facendo per te stesso. – insiste Sousuke.
- Invece sì.
- Invece no. – la voce di Sousuke è più vicina. Anche lui. – Lo stai facendo per tuo padre, ma lui non—
- Non dirlo. – Rin si volta così velocemente che gli fanno male i muscoli alla base della schiena. Preme con forza il palmo della mano contro le labbra dischiuse di Sousuke, impedendogli di parlare ancora, e afferra convulsamente un lembo della sua maglietta fra le dita dell’altra mano, come ad impedirgli di scappare. Come se Sousuke volesse.
Sousuke non si scompone. Stringe le dita attorno al suo polso e allontana la sua mano dalla propria bocca. Resta in silenzio per qualche istante, guardandolo dritto negli occhi senza vergogna.
- Va bene. – dice quindi, - Ma tu sai cosa volevo dirti.
È vero, Rin lo sa. Lo sa perché si è già detto le stesse cose un milione di volte. Suo padre non c’è più e anche vincere un relay – o anche vincerne milioni – non servirà a riportarlo indietro, solo a rendere più amaro il suo ricordo. Ma questa non è una scelta, non è neanche una decisione, è un richiamo atavico, un istinto primordiale, e Rin non può ignorarlo, non potrebbe neanche se volesse. È il suo stesso sangue che lo chiama, e quindi questo dev’essere quello che vuole. Dev’esserlo per forza, perché Rin non può tollerare il pensiero di non volerlo davvero e doverlo fare lo stesso.
Abbassa lo sguardo, evitando quello di Sousuke, che continua a scrutarlo in silenzio per qualche secondo, prima di sospirare.
- Mi dispiace. – dice, sciogliendo la stretta attorno al suo polso, - Lo so che non è quello che vuoi sentirti dire. Forse nemmeno quello di cui hai bisogno. Però era quello che volevo dirti io. E siccome non ti vedrò più…
- Non dire neanche questo. – Rin quasi lo implora, la voce bassa, confusa in un lamento infantile.
Sousuke sorride indulgente, posandogli una mano sulla testa e accarezzandogli piano i capelli.
- Non mi lasci dire niente, - ride un po’, - Rin-chan.
Rin gli solleva addosso un altro sguardo imbronciato, le labbra piegate verso il basso.
- Non chiamarmi in quel modo. – protesta offeso.
Sousuke ride.
- Dimmelo tu cosa posso fare! – lo prende in giro, divertito, - Come mi muovo, sbaglio!
Rin si allunga appena verso di lui, premendo le labbra contro la sua guancia in un gesto poco pensato, ma in compenso profondamente onesto. Si ritrae subito dopo, imbarazzato dal suo stesso movimento, la frangetta che ricade a coprirgli gli occhi.
- Non è come ti muovi, il problema, è che non smetti di parlare.
Gli occhi di Sousuke si fanno più scuri per un attimo, mentre il sole tramonta e l’aria comincia a raffreddarsi. Rin non vuole più guardarlo, ma si ritrova costretto a farlo quando due dita lo invitano a sollevare il capo, premendo gentilmente sotto il suo mento.
- Vorrei non doverti dire addio. – confessa Sousuke, la voce netta, sicura, ma anche incredibilmente triste.
- Allora non farlo. – Rin deglutisce a fatica, cercando di reggere il suo sguardo. È più difficile del previsto, ma non dura a lungo. Sousuke si piega su di lui, poggiando le proprie labbra contro le sue in un bacio infantile, confuso, che vuole un sacco di cose e non sa come prendersele. È solo uno sfregamento insistito, all’inizio, è solo lui che piega la testa come ha visto fare nei drama in televisione, un contatto asciutto e stupido che lo fa sentire in imbarazzo, finché Sousuke non schiude le proprie, e Rin può sentire il tocco bagnato della sua lingua, e si ritrae, sorpreso e un po’ spaventato.
Sousuke lo guarda serio, sembra tanto più grande di lui in questo momento. Sono i suoi occhi, si dice Rin, mordendosi un labbro. Lo fanno sembrare così adulto e maturo, nonostante abbia la sua stessa età.
Non sente il bisogno di chiedergli se è vero che non abbia mai baciato nessuno prima di questo momento, perché lo sa già. E Rin non sente il bisogno di chiedergli se lui invece l’abbia già fatto, perché non vuole saperlo.
- Voglio darti un ricordo che duri per sempre. – dice Sousuke a bassa voce, e quel suono gli vibra addosso come una carezza. Rin deglutisce a fatica e abbassa lo sguardo, imbarazzato. Si passa la lingua sulle labbra e ci trova il sapore di Sousuke, e pensa senza accorgersene di volerne ancora.
Sousuke gli si avvicina ancora, stringendogli le spalle fra le dita più per attirare la sua attenzione che per tenerlo fermo. Rin solleva il viso nella sua direzione, le labbra già dischiuse anche se non ha idea di averlo fatto apposta, e la vaga consapevolezza di essere ancora troppo piccolo per quello che vuole in questo momento, per quello che Sousuke può dargli, per quello che sta per accadere, è troppo distante, troppo impalpabile per poterle dare un peso adesso.
Chiude gli occhi quando Sousuke lo bacia ancora, non perché voglia ma perché è così che l’ha sempre visto accadere, e quello che ha visto è tutto quello che ha adesso per provare a dare un senso a queste sensazioni. Così chiude gli occhi e prova a lasciarsi andare, nonostante tutto il suo corpo sia in tensione, nonostante gli faccia male lo stomaco, un dolore che non riconosce, completamente diverso da tutti quelli che ha provato nella sua vita, una sorta di intorpidimento che si allarga come un’onda e il cui epicentro si trova da qualche parte nel suo bassoventre, in un punto caldo e teso che, nella confusione del momento, non riesce ad identificare.
Si è sentito così altre volte, ma era solo, Sousuke non lo stava baciando, e comunque anche tutte quelle altre volte non aveva idea di cosa fare di se stesso, di come spegnere quella sensazione così acuta, che gli impediva di pensare a qualsiasi altra cosa. Si nascondeva a letto, sotto le coperte, la faccia premuta contro il cuscino, e aspettava che passasse. Ora non può farlo, ora la lingua di Sousuke si muove lenta contro la sua, e tutto il suo corpo si tende nel tentativo di stargli più vicino, e il calore che sente non sembra volersi esaurire mai.
Sousuke si volta, lo spinge verso il basso, lo guida. Rin sente l’umidità dell’erba contro la pelle accaldata della nuca e del viso, ed è piacevole. Non gli importa di quanto si macchieranno i suoi vestiti, non gli importa di sapere che mamma lo rimprovererà e che Gou lo assillerà per ore chiedendogli come se le sia procurate, e poi gli terrà il broncio per giorni quando lui si rifiuterà di risponderle. Sente il peso del corpo di Sousuke sul proprio, ed è bello sentirlo lì, così vicino. Finché ancora c’è.
Schiudere le gambe è un movimento logico, naturale. Stanno fra i piedi, impediscono a Sousuke di venire più vicino, e così Rin le schiude e Sousuke vi cade in mezzo, e quando i loro bacini si toccano, anche se attraverso il tessuto ruvido e spesso dei jeans, le loro labbra si dischiudono all’unisono in un gemito sorpreso, che li forza entrambi ad aprire gli occhi e guardarsi per la prima volta da quando hanno cominciato a baciarsi. Gli occhi di Sousuke sono torbidi e persi, e Rin non riesce a decifrarli. Le sue labbra sono lucide di saliva e gonfie di baci, e Rin vuole baciarlo ancora, e siccome lo vuole decide di prenderselo. Si sporge in avanti, allacciandogli le braccia attorno al collo, le labbra già dischiuse, la bocca pronta ad accogliere la lingua di Sousuke, che mentre lo bacia gli lascia scorrere le mani lungo i fianchi in un movimento inizialmente lento, che si fa più svelto, più confuso, più affamato col passare dei secondi.
Rin sente la punta delle dita di Sousuke farsi strada sotto la sua maglietta. Polpastrelli caldi e un po’ ruvidi sfiorano la pelle liscia della sua pancia, ne seguono la curva infantile. Ha ancora il pancino e tutti lo prendono in giro per questo, a scuola. “Rin-chan è così morbido, sembra una ragazzina.” Ma sa che Sousuke non sta pensando a questo, mentre lo tocca, e il pensiero gli dà i brividi. Si lecca le labbra mentre esala un altro gemito senza fiato, inarcando la schiena per spingere il proprio corpo contro quello di Sousuke, così diverso dal suo, più solido, più robusto, la pancia piatta tesa sotto la maglietta leggera, i bicipiti contratti che escono in una curva invitante dalle maniche corte, le cosce tornite che gonfiano i pantaloni, che le contengono appena.
Lo stomaco gli si contrae ancora in uno spasmo di desiderio che cerca di reprimere senza risultati. Gli sfugge dalle labbra un lamento frustrato, e Sousuke apre gli occhi ancora una volta e interrompe la propria esplorazione per guardarlo. Rin, le guance arrossate e il respiro pesante, lo fissa di rimando, mordicchiandosi l’interno di una guancia. Vuole essere toccato e non sa come chiederglielo, perciò resta in silenzio, confidando nella capacità di Sousuke di capirlo senza parole.
Sousuke si china a baciarlo ancora, e lascia rispondere le proprie mani. Le sue dita si stringono attorno al bottone dei jeans di Rin, sfilandolo dall’asola prima di abbassare la cerniera in un gesto lento. Rin ascolta il suono della zip che scorre verso il basso, tremando quando la sente arrivare alla fine del proprio percorso, e trema più forte quando le dita di Sousuke oltrepassano l’elastico stretto delle mutandine, sfiorando la punta bollente della sua erezione.
Nessuno l’ha mai toccato in quel punto. Non pelle contro pelle, mai. Nemmeno lui stesso. Si è toccato, ogni tanto, confusamente, senza avere la minima idea di cosa stesse facendo, strofinando il palmo della mano contro il proprio inguine, ma sempre attraverso qualche indumento. Invece le dita di Sousuke lo toccano senza niente in mezzo, e sono calde, lievemente sudate, e scivolano svelte lungo la sua erezione dopo essersi chiuse attorno a lui, e la sensazione di calore e piacere che si sprigiona da quello sfregamento è così forte che Rin getta indietro il capo, geme ad alta voce ed è costretto e stringere le mani attorno alle spalle larghe di Sousuke, affondando le dita nel cotone della sua maglietta, preda di una vertigine che non può farlo cadere, ma che lo fa sentire sospeso nel vuoto e pronto a precipitare.
Finisce troppo presto, e in un certo senso non in maniera soddisfacente come Rin avrebbe sperato. L’eccitazione monta e poi si scioglie in un orgasmo appena bagnato, solo un paio di gocce che luccicano sulla punta della sua erezione per qualche secondo e poi rotolano via, scomparendo in pochissimo tempo. È la prima volta che viene. La sensazione lo confonde, lo lascia intorpidito e incerto. Solleva lo sguardo su Sousuke, ma lui non lo sta più guardando. Si è spostato, non abbastanza da allontanarsi ma a sufficienza da non pesargli più addosso, e tiene la mano con lui l’ha toccato sollevata a mezz’aria, mentre rovista con l’altra sul fondo del proprio zainetto, recuperando un pacchetto di fazzolettini. Ne usa uno per pulirsi e poi porge l’altro a Rin, che fa lo stesso guardando fisso per terra, le guance arroventate dall’imbarazzo.
La prima sensazione che riesce a farsi strada nella sua mente quando riesce finalmente a rimettere ordine fra i propri pensieri è il senso di colpa. Si volta a guardare Sousuke, che si è seduto nella stessa posizione di prima ed ha ripreso a guardare il mare nel punto in cui si confonde col cielo adesso che c’è ancora luce ma il sole è sparito del tutto oltre l’orizzonte. Si morde un labbro, strisciando sull’erba verso di lui.
- Vuoi… - si offre incerto.
- No. – risponde Sousuke, scuotendo il capo. Non lo guarda, ma Rin ne è grato, perché non vuole smettere di guardarlo e invece sa che dovrebbe farlo se Sousuke finisse per voltarsi verso di lui. – Quello era solo per te. Un regalo.
- Non di addio. – si affretta a precisare Rin, ansioso.
- No. – Sousuke piega le labbra in un sorriso indulgente, - Di buona fortuna, e arrivederci.
Rin annuisce in silenzio, tornando a raggomitolarsi seduto sulla propria giacca. Fissa il mare anche lui per qualche minuto, cercando di indovinare il punto esatto che sta guardando anche Sousuke, per prolungare quel momento il più a lungo possibile. Ma l’aria della sera si raffredda, e il momento passa, e quando da arancione il cielo comincia a diventare blu Rin capisce che deve tornare a casa.
Dal momento che Sousuke non accenna a muoversi, è lui ad alzarsi per primo.
- Devo andare, adesso. – dice, quasi scusandosi.
- Lo so. – Sousuke annuisce.
Rin si morde un labbro, incerto.
- Non vieni con me? – domanda piano.
Sousuke scuote il capo e finalmente si volta a guardarlo, sorridendogli rassicurante.
- Tu vai avanti, - dice, - Io poi ti raggiungo.
Ci metterà degli anni, ma Rin in quel momento non lo sa, neanche lo sospetta, ed anche se lo sapesse non vorrebbe pensarci. Annuisce, salutandolo senza dire niente, imboccando la strada che lo riporterà a casa. Sente già la sua mancanza, ma si scrolla la sensazione di dosso pensando all’estate, all’Iwatobi, alla sua promessa, al sogno di suo padre. Per qualche motivo non ne ha più paura, adesso. Domani lo dirà a Sousuke. Ne sarà contento.
Genere: Erotico.
Pairing: Nessuno.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Self.
- Fin da piccolo, Rin ha sempre voluto una sola cosa. (No, non diventare il più grande nuotatore al mondo.)
Note: Voglio scrivere questa fic da quando io e la Caska, durante un'ispirata conversazione telefonica, abbiamo deciso che in realtà Rin piange sempre perché in realtà lui vorrebbe solo essere sfondato da un uccello enorme, e nessuno lo capisce, e lui poverino è costretto a fingersi un top quando in realtà è un bottom senza speranza, la qual cosa lo frustra fino alle lacrime. Povero Rin.
Poi a darmi la scusa per mettere in pratica il mio malvagio piano (?) è stato il MMOM, con la sua annuale carica di wank. Quest'anno il Def si è superato e, invece dei soliti dieci prompt, ce ne ha dati trentuno. Eqquindi io per forza dovrò scrivere trentuno fic. Questa era ispirata ad A.D.I.D.A.S. dei Korn, per ovvi motivi XD More will come. E' una minaccia promessa.
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A.D.I.D.A.S.

Fin da piccolissimo, non ha mai voluto altro. Ogni tanto immagina come potrebbe essere parlarne con Haruka e Makoto, chiedere loro se abbiano mai provato qualcosa di simile oppure se pensano che sia una cosa strana, e quando ci pensa finisce sempre per ringhiare di frustrazione e schiacciarsi il cuscino contro la faccia con forza, nel tentativo di soffocare via i pensieri. Anche se sono così ingombranti che fa una fatica del cazzo anche solo a cercare di ignorarli, figurarsi scacciarli via.
In ogni caso è sicuro che né Haruka né Makoto capirebbero. Ormai si sente abbastanza tranquillo da poter parlare con loro di quasi tutto, ma il sesso è questa grande nuvola di mistero che aleggia su tutti quanti e rende impossibile la discussione. Rin immagina che sia perché loro sono cresciuti in Giappone, mentre lui no. In Australia – così come più o meno nel resto del mondo civilizzato – parlare di sesso fra ragazzi è una cosa normalissima. Lui ricorda non solo i ragazzi più grandi, ma anche i suoi coetanei, a Sydney, parlarne come se fosse la cosa più banale del mondo, dicendo ad alta voce anche le robe più luride. Era imbarazzante, le prime volte, ma è diventato sempre più normale col passare del tempo, ed ora che è tornato in Giappone ed ha ripreso a frequentare tutti quanti spesso gli capita di dire qualcosa e fermarsi all’improvviso per notare come intorno a lui tutti siano arrossiti e abbiano smesso di parlare senza una motivazione valida, salvo poi realizzare di aver detto qualcosa di imbarazzante, e finire per sentirsi imbarazzato di riflesso.
No, non potrebbe parlarne con Haruka e Makoto, sarebbe ridicolo. Finirebbero per guardarlo come se fosse un alieno, Haruka sempre con quella sua espressione insopportabile, le sopracciglia inarcate, e Makoto sconvolto come se avessi preso un gattino a mazzate di fronte a lui dopo averlo legato alla sedia per costringerlo a guardare. Quelle non sono due persone con cui è possibile parlare di cose del genere. Ryugazaki, naturalmente, è fuori discussione, Rin non lo conosce abbastanza e, per quel poco che sa, è abbastanza sicuro che, se mai lui si avvicinasse con l’intenzione di affrontare un discorso simile, quello finirebbe per arrampicarsi sul primo albero disponibile e fingersi morto come un opossum finché lui non fosse andato via. Il che naturalmente lascia fuori solo Nagisa, e Rin è abbastanza sicuro che Nagisa sarebbe entusiasta all’idea di affrontare l’argomento (con chiunque, peraltro), ma per qualche ragione questo è proprio il motivo per cui Rin non ci proverebbe mai.
Potrebbe anche parlarne con Ai, volendo, ma Ai è pazzo. Rin non si fida di lui. Tende a prendere tutto troppo a cuore e riversare entusiasmo eccessivo sopra ogni cosa che Rin gli confida. Solo Dio sa che cosa potrebbe succedere se Rin gli parlasse di una cosa simile. Il suo istinto di conservazione gli dice che non è il caso.
Il fatto è che questa cosa è così fastidiosa che forse parlarne con qualcuno lo aiuterebbe a smaltire un po’ di frustrazione, ma dal momento che non può la frustrazione non fa che aumentare, e certe sere, quando chiude gli occhi e, anche se non vuole, comincia a fantasticare, è quasi insopportabile.
La prima volta che gli è venuto duro per davvero – duro per qualcosa di relativo al sesso e non per qualche randomica reazione corporea notturna o uno strofinio involontario contro qualche superficie morbida – è stato guardando un tizio che si masturbava su internet. Aveva dodici anni. Non è che fosse andato cercandola, una roba così, ma sì, stava cercando porno su internet. Non sapeva bene che tipo di porno, in realtà aveva subito capito che non doveva essere lui a cercare il tipo di porno giusto, gira e rigira sarebbe stato il tipo di porno giusto a trovare lui, e poi il tizio era apparso sulla pubblicità di un altro sito, Rin era andato in quella direzione e bam!, durissimo in meno di dieci secondi.
Aveva un affare di dimensioni surreali, il tizio. Rin non ne vedeva neanche la faccia e, peraltro, anche il fisico non è che fosse chissà che, ma quel cazzo era enorme, ed era stato come vedere la luce per la prima volta, tipo, un enorme cartello pubblicitario al neon si era acceso dentro la sua testa e diceva “questa è la roba per te, Rin”, e Rin aveva subito pensato lo voglio dentro. Prima ancora di capire le implicazioni pratiche di quel desiderio. Lo voglio dentro.
È stata la sua fantasia principale da quel momento in poi. L’unica, per un sacco di tempo. È stato in grado di masturbarsi per giorni seguendo sempre la traccia della stessa fantasia, lui schiacciato a pancia in giù contro il materasso mentre qualcuno dietro di lui lo tiene fermo per i fianchi e lo sbatte con tanta forza da fargli tremare il letto sotto le ginocchia. Certe sere non riesce neanche ad addormentarsi se prima non si è masturbato pensandoci. Certi giorni la frustrazione per non poterlo avere, per non poter sentire cosa si prova in realtà quando una cosa tanto enorme ti entra dentro, risvegliando tutti i tuoi sensi e scuotendoti fin nelle ossa, è talmente tanta che potrebbe perfino mettersi a piangere. Ogni tanto le dita sono sufficienti, ogni tanto riesce a farsele bastare, ma la maggior parte delle volte no.
Sospirando, si alza dal letto, passandosi una mano fra i capelli per ravviarli all’indietro. Si chiede dove sia finito Ai. Almeno, se ci fosse lui a riempire il silenzio appiccicoso della stanza, potrebbe distrarsi, smettere di pensarci, strappare questo fastidioso chiodo fisso dalle pareti del suo cervello e provare a concentrarsi su altro, ma lui non c’è, e non c’è niente da fare in questa camera vuota a parte continuare a fantasticare su cose che non può avere, e Rin è abbastanza sicuro che, continuando di questo passo, avrà un breakdown nervoso prima del diploma, e poi nota la busta fare capolino da uno dei cassetti della sua scrivania, e improvvisamente si ferma a fissarla.
È abbastanza sicuro di non averla messa lui lì. Anche perché, se l’avesse fatto, quella busta non sporgerebbe fuori come fa adesso. È anche abbastanza sicuro che non dovrebbe interessarsene, magari è roba di Ai che, disordinato com’è, l’ha infilata nel suo cassetto confondendolo con il proprio, ma al momento sta cercando una distrazione – una qualsiasi – così disperatamente che decide di mettere la riservatezza da parte e si china per aprire il cassetto ed estrarre la busta senza rovinarla.
Il punto è che, quando il cassetto viene aperto, la busta scivola sul pavimento e finisce dimenticata, perché proprio lì accanto, sul fondo, sopra gli appunti di non ricorda nemmeno che materia ordinatamente impilati, c’è un dildo gigantesco che Rin è sicuro, senza alcun margine di errore, di non avere mai visto.
Inizialmente si limita a fissarlo, tutti i muscoli del suo corpo immobili, come congelati. Sarà lungo almeno una trentina di centimetri, e spesso quanto il suo pugno chiuso. È nero e lucido, e sulla superficie sono riprodotte le pieghe e le nervature di un cazzo vero, con una precisione tale che è più facile del previsto dimenticare che si tratta di un’imitazione in PVC, perfino nonostante il colore. Non c’è niente di simulato nella fitta di desiderio che prende Rin allo stomaco quando il suo cervello riesce finalmente a gestire la consapevolezza della presenza di quell’oggetto in camera sua. Qualsiasi altra cosa perde importanza, mentre si china a recuperare il dildo dal cassetto, sollevandolo per poterlo osservare meglio.
È così bello. Rin ha smesso da tempo di essere un tipo da grandi chiacchiere, ma anche da ragazzino, quando bastava un niente per indurlo a parlare ininterrottamente per ore, la vista di un’erezione tesa e fremente ha sempre azzerato la sua capacità di formare pensieri coerenti. Non gliene frega niente di pensare coerentemente. Vuole solo questa cosa piantata dentro il più profondamente possibile, ovunque va bene, non importa, lo vuole così tanto che se non lo avrà adesso sarà costretto a mettersi a urlare.
Dà un’altra occhiata al cassetto e nota il piccolo tubetto monodose di lubrificante lasciato palesemente da Dio per la sua gioia, e lo prende in mano, tornando verso il letto. Si siede sulla sponda e poi scivola all’indietro sul materasso, fino a toccare la parete con le spalle.
Appoggia il tubetto sul materasso al proprio fianco, perché non ne ha bisogno adesso. Solleva il dildo, deglutendo a fatica. Ha letteralmente l’acquolina in bocca, ed è una cosa piuttosto imbarazzante, o almeno lo sarebbe se gliene fregasse qualcosa dell’imbarazzo. È difficile badarci quando stringe fra le mani questa cosa enorme, e sa di poterne fare ciò che vuole.
La solleva ancora, appoggiando le labbra sulla punta. Il sapore non è quello che si sarebbe aspettato. Lo pensava più pungente, più gommoso. Invece non è male. Lascia scorrere la lingua attorno alla sommità in movimenti lenti, circolari, abituandosi alla forma, alle irregolarità della superficie, alle dimensioni. Poi schiude le labbra, e il dildo gli scivola in bocca. Rin lo sente riempirla fino a rendere impossibile il passaggio dell’aria, lo sente premere sulla lingua e contro il palato, e si abbandona al riflesso spontaneo che lo costringe a succhiare e deglutire. Manda giù solo saliva, ma il pensiero di quello che potrebbe essere lo eccita fino a fargli dolere lo stomaco un’altra volta, e sotto i pantaloni della tuta è così duro da fare male.
In un gesto nervoso, si solleva sulle ginocchia, appoggiando il dildo sul materasso accanto a sé. Afferra il cuscino e lo sprimaccia fino a farne una palla informe, sulla quale si sdraia dopo essersi abbassato i pantaloni in fretta e furia, le guance arrossate dalla vergogna e dalla voglia. Si sistema in modo da tenere solo il bacino sollevato, la schiena un arco perfetto mentre afferra il dildo con una mano e stappa il tubetto di lubrificante con l’altra. Non sa quanto dovrebbe usarne e non è sicuro che quello contenuto nel tubetto sarà sufficiente. Decide di usarlo tutto e la sensazione viscida e un po’ bagnata che sente spandersi sotto i polpastrelli non lo infastidisce neanche un quarto di quanto aveva immaginato.
Mordendosi un labbro, affamato e impaziente, si piega quanto può, stringendo il dildo in una mano forte a sufficienza da tenerlo in posizione mentre lo guida verso la propria apertura, ma non abbastanza da lasciarselo sfuggire dalle dita. Lo lascia scivolare fra le proprie natiche in un movimento lento, verso l’alto prima e verso il basso poi, chiudendo gli occhi e rilasciando un sospiro tremante quando sente la punta minacciare di scivolargli dentro, per poi passare oltre con un sussulto improvviso.
Gli sfugge dalle labbra un gemito disperato privo di pudore, mentre prende a strofinarsi contro il cuscino. Non può più aspettare. Gli sembra di avere aspettato tutta la vita per questo. E forse non è quello che vorrebbe davvero, ma probabilmente è meglio così, perché forse quello che vuole davvero al momento non è davvero quello che gli serve. Quello che gli serve è qualcosa di enorme, qualcosa che possa riempirlo tutto, qualcosa che possa farlo sentire pieno fino a scoppiare e che possa poi svuotarlo per intero quando scivola fuori. Gli serve una cosa come questa, ma che possa controllare. E non c’è niente di meglio rispetto al dildo gigantesco che stringe convulsamente fra le dita, per questo.
Geme ancora, un misto confuso di dolore, frustrazione ed eccitazione, quando finalmente riesce a spingere la punta oltre la resistenza ostinata dell’anello di muscoli stretto attorno alla sua apertura. Sente la forma tiepida e dura del dildo farsi strada dentro di sé, ne sente i contorni con una precisione spaventosa, così acuta, all’inizio, da disegnare nella sua mente un’immagine perfetta di quello che sta accadendo, anche se non può vederlo. Dura solo pochi istanti, è un flash improvviso che si annacqua e sbiadisce quando comincia a muovere il dildo avanti e indietro, ma nella sua memoria resta la traccia di quell’immagine, e della prima scarica di piacere e dolore che l’ha seguita, e Rin la tiene stretta fra le dita come tiene stretto il dildo, nascondendo il viso contro il materasso mentre i suoi fianchi seguono il movimento che la sua mano gli impone, costringendolo a strofinare la propria erezione dolorosamente tesa e arrossata dal desiderio contro il cuscino, morbido abbastanza da fornirgli un incavo accogliente per le sue spinte.
È una sensazione piacevole, ma non quanto quella della penetrazione. Il dildo che gli scivola dentro lo riempie di brividi, di scariche di piacere così intense da lasciarlo stordito. Quando viene, non è perché si stava strusciando contro il cuscino. È perché ha finalmente ottenuto quello che voleva, spingendo il dildo dentro di sé fino alla base, sentendosi spalancarsi al suo passaggio fino a sentirsi fischiare le orecchie per il rombo furioso del sangue dentro ogni capillare del suo corpo.
Quando la sensazione comincia a sbiadire abbastanza da consentirgli di aprire gli occhi, ricordare dove si trova e provare ad imporre un ritmo meno frenetico al proprio respiro, Rin si solleva sui gomiti, gemendo appena per il dolore che gli provoca il dildo ancora dentro di lui a causa del movimento. Lo stringe fra le dita con cautela, guidandolo fuori e poi tornando a stendersi a pancia in giù sul materasso. Si sente esausto e tutto intorpidito. Se non ritenesse fuori discussione la sola idea di farsi trovare in quelle condizioni da Ai quando finalmente si deciderà a rientrare in camera, crollerebbe addormentato in quel momento senza aspettare un secondo di più.
Invece si alza in piedi, mugolando di disappunto, per provare a ripulire un po’ prima di dover fornire al suo compagno di stanza spiegazioni che non è sicuro di voler dare. Ed è allora che nota la busta scivolata fuori dal cassetto quando l’ha aperto. È caduta per terra e, preso com’era da tutto il resto, l’aveva completamente dimenticata.
La solleva dal pavimento, guardandola per qualche istante da un lato e dall’altro per cercare una qualche indicazione sulla busta. Non c’è niente, perciò, alla fine, scrollando le spalle, decide di tagliare corto ed aprirla.
All’interno è contenuto solo un biglietto bianco, semplicissimo. Vi sono scritte sopra solo poche righe.

Senpai,
non hai bisogno di dirmi niente.
Lo so.
Questo regalo è per te.
Fanne buon uso.


Stringe il biglietto fra le dita, rabbrividendo fin nel profondo. Non è firmato, ma non è necessario un genio per capire da parte di chi è. Ai gli fa una paura bestia. Non è sicuro di voler continuare a dividere la stanza con lui.
Lancia un’occhiata all’enorme dildo nero ancora da ripulire e poi nascondere da qualche parte, e non è sicuro di cosa dovrebbe pensare di tutta questa situazione. Vorrebbe davvero poterne parlare con Haruka e Makoto, ma dopo attenta riflessione decide di lasciare perdere. In qualche modo ne verrà a capo da solo. O forse non ne verrà a capo affatto, ma stranamente, in questo momento, non ne sente davvero nemmeno il bisogno.
Genere: Romantico, Erotico.
Pairing: Rin/Ai.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon.
- "Comincia a sentire i gemiti fin dal corridoio."
Note: Non è Notte Bianca se non do almeno una prova al mondo che il RinAi è the kinkiest ship who ever sailed, a soprattutto che qualsiasi versione di Rin non lo dipinga come un disperato affamato di cazzo a cui piace prenderlo TANTISSIMO è una versione inaccurata del suo personaggio. Evviva me.
Scritta sul prompt "RinAi, Ai scopre che a Rin piace masturbarsi davanti allo specchio - e, di conseguenza, anche farci porcate davanti". Mi è piaciuto perché è così IC che volevo piangere dalla bellezza XD
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MIRROR MIRROR ON THE WALL
(who's the gayest of them all)

Comincia a sentire i gemiti fin dal corridoio. Mentre il desiderio gli stringe lo stomaco in una morsa dolorosa, si chiede distrattamente se al senpai non importi essere ascoltato, mentre fa queste cose. D’altronde, come l’ha sentito lui avrebbe potuto sentirlo chiunque altro. Sarebbe stato imbarazzante se fosse stato Mikoshiba senpai a trovarlo, al suo posto. Ma Matsuoka senpai continua a gemere senza ritegno, e sembra che di essere scoperto non gli importi davvero più di tanto, perciò Aiichiro si avvicina alla porta della stanza e la schiude discretamente, spiando all’interno attraverso lo spiraglio.
Il senpai è in piedi davanti allo specchio, e si tocca piano, lentamente, appena con la punta delle dita. È completamente nudo, e la curva della sua schiena è una linea ipnotica dalla quale Aiichiro non riesce a staccare gli occhi.
Attraverso le tende bianche e semitrasparenti tirate sulla finestra, la luce del sole passa senza difficoltà, rischiarando la stanza. Brilla sulla pelle lievemente abbronzata del senpai, mettendo in evidenza le linee nette e decise dei suoi muscoli mentre si tendono e si contraggono nello sforzo di tenere il piacere sotto controllo, per impedirgli di esplodere all’improvviso finché non è arrivato il momento giusto.
Aiichiro trattiene il fiato e deglutisce rumorosamente, o almeno così gli sembra, ma il senpai non si accorge di niente, e continua a fissare la propria immagine nello specchio attraverso le palpebre socchiuse. Si scruta con occhi pesanti di voglia, ed Aiichiro si ritrova a leggersi addosso quello stesso desiderio quando scorge il proprio riflesso nello specchio, assieme a quello del senpai.
Le dita strette attorno alla maniglia, Aiichiro si sente tremare, e poi si sente morire d’imbarazzo e vergogna nel momento in cui il senpai si china sullo specchio, appoggia la fronte sulla superficie riflettente e poi ruota lentamente il capo, voltandosi a guardarlo.
- Entri o no? – chiede, la voce arrochita dal desiderio ascoltando la quale Aiichiro non può fare a meno di ripensare ai gemiti che gli ha sentito pronunciare fino a un minuto prima.
Annuisce velocemente, entrando in camera e chiudendosi la porta alle spalle in un gesto affrettato e nervoso. Poi torna a voltarsi verso il senpai, come non volesse togliergli gli occhi di dosso neanche per un secondo, anche se non è chiaro nemmeno a lui se sia semplice voglia o una certa paura.
Il senpai, comunque, smette di curarsi della sua presenza molto presto. Restando appoggiato allo specchio, torna a guardarsi pochi istanti dopo, riprendendo il movimento lento delle dita lungo la propria erezione. Non si può neanche dire che si stia davvero masturbando, perché continua a sfiorarsi solo distrattamente, strofinando appena i polpastrelli contro la pelle arrossata e tesa di desiderio. Aiichiro non capisce se stia aspettando qualcosa o se semplicemente gli piaccia spingersi fino al limite massimo oltre il quale il piacere diventa un imperativo piuttosto che un diversivo.
Non è la prima volta che lo vede nudo, ma per qualche motivo si sente come se lo fosse. È la situazione, si dice, profondamente diversa rispetto a quello che è stato dividere lo spogliatoio con lui dopo un allenamento, o rispetto a quello che è giornalmente svegliarsi insieme e cambiarsi d’abito nella stessa stanza senza nessun imbarazzo.
Forse perché in questo momento il senpai non è solo nudo, ma esposto. Perché si sta toccando e non prova nessun imbarazzo neanche a mostrargli una cosa privata e segreta come quella. Perché gli sta mostrando proprio tutto, perché dove non arrivano gli occhi affamati di Aiichiro viene loro in aiuto lo specchio, che riflette la sua espressione persa, gli addominali tesi, i pettorali contratti, il bicipite gonfio nello sforzo di allungare il braccio e poi ritrarlo, seguendo la linea decisa della sua erezione.
Confuso dal movimento, stordito dai gemiti del senpai che ben presto cominciano a riempire il silenzio imbarazzato della stanza, Aiichiro si avvicina. Si solleva appena sulla punta dei piedi, spiando il riflesso del senpai nello specchio da sopra la curva della sua spalla. Vi appoggia sopra il mento e poi piega il capo, affondando il naso fra i capelli del senpai. Odorano di shampoo alla vaniglia. Il senpai deve avere appena fatto la doccia.
- Ti piace guardarti nello specchio, senpai? – gli domanda all’orecchio, aggrappandosi alle sue spalle e strofinando la punta del naso lungo la linea del suo collo, - Perché?
- Perché non dovrebbe? – risponde secco lui, piegando appena il capo, cercando un bacio.
Aiichiro esita, resta a pochi centimetri da lui. Poi deglutisce ed arriccia le labbra, sporgendosi verso di lui. Il senpai lo bacia senza grazia, mordendogli la lingua, le labbra, e poi il mento e una guancia.
Aiichiro geme, e lancia un’altra occhiata all’immagine riflessa nello specchio. Adesso il senpai non è più da solo, non c’è più solo lui a sfiorarsi guardandosi, adesso sono insieme, ed Aiichiro può guardarsi sfiorare il petto del senpai con le dita, può guardarsi mordergli una spalle, baciargli il collo. Può guardarsi mentre scivola con la punta della lingua lungo la linea netta della sua mascella, e la vista lo eccita.
- Sei bello. – gli sussurra addosso. Il senpai ringhia, irritato.
- Sta’ zitto. – gli dice, - Non rovinare tutto dicendo stronzate.
- Scusa. – risponde subito Aiichiro, arrossendo imbarazzato. Non sa cosa fare, vorrebbe chiedere al senpai ma ha paura di venire rimproverato ancora. Lui e il senpai non sono mai stati così vicini, e gli piace la naturalezza con la quale invece si sono avvicinati stavolta. Gli piace sentire il calore della pelle del senpai contro la sua, sentire il suo profumo così vicino, sentirsi vibrare la sua voce addosso, dentro, anche quando gli parla bruscamente. Non vuole interrompere questo contatto, e perciò non fa niente per cambiare la situazione.
- Ai, sei irritante. – dice il senpai dopo un po’, ed Aiichiro arrossisce ancora, agitandosi. Il senpai però non sembra arrabbiato, solo infastidito. – Spostati un po’… - gli dice, ed Aiichiro si allontana di qualche centimetro, lasciandogli giusto lo spazio per muoversi.
Al senpai non ne serve molto, comunque. Appoggia entrambe le mani aperte contro la parete, ai due lati dello specchio, si china in avanti e solleva il sedere, schiudendo le gambe.
- Se-Senpai…! – balbetta Aiichiro, guardando confusamente la sua schiena piegata e poi il suo viso riflesso nello specchio, come aspettandosi una risposta.
Il senpai fa schioccare la lingua, infastidito, e gli lancia un’occhiata severa.
- Hai bisogno dei sottotitoli? – domanda ruvido.
Aiichiro deglutisce, scuotendo il capo. No, non ha bisogno dei sottotitoli. Sembra tutto troppo bello per essere vero, eppure è anche tutto troppo fisico, troppo reale per essere un sogno. La pelle del senpai è calda e morbida sotto i suoi polpastrelli, il suo profumo è forte e piacevole, il suono della sua voce è intenso, penetrante, ed Aiichiro si sente svenire mentre pensa che il senpai gli sta chiedendo di fare questo, si sta piegando per lui, si sta esponendo per lui, vuole che sia lui a dargli piacere, e adesso non gli importa nemmeno che glielo stia chiedendo solo perché lì intorno non c’è nessun altro, lo farà e basta, perché lo vuole da impazzire.
Si sistema dietro di lui, appoggiando entrambe le mani ai suoi fianchi sodi. Il senpai schiude le gambe un altro po’, gli lancia un’occhiata indecifrabile attraverso lo specchio e poi si appoggia indietro contro di lui, strusciandosi contro la sua erezione, ancora imprigionata dai pantaloni della tuta. Se ne libera velocemente, quasi con fastidio. Si appoggia sul senpai e si lascia scivolare fra le sue natiche, comprimendole lateralmente perché si chiudano attorno alla sua erezione, avvolgendola. La pelle del senpai è caldissima e lievemente umida, e muovendosi Aiichiro percepisce la propria erezione sfregarsi contro la sua apertura. La sente muoversi al suo tocco, schiudersi appena quando la stuzzica con la punta del pene, quasi ad invitarlo ad entrare.
Si morde un labbro con forza, scivolando ancora una volta fra le sue natiche. Sulla punta della propria erezione può vedere già brillare il riflesso delle prime gocce di liquido preseminale. La afferra con una mano e la strofina con forza contro l’apertura del senpai, lubrificandolo. Il senpai geme, chiude le mani a pugno.
- Scopami. – dice in un ringhio basso, - Adesso.
Aiichiro chiude le mani attorno ai suoi fianchi un’altra volta, e lo tiene fermo mentre affonda in un colpo dentro di lui. Il senpai inarca la schiena, gettando indietro il capo. Aiichiro vede le punte dei suoi capelli rossi solleticargli la nuca e per qualche motivo le trova così eccitanti che non può fare a meno di allungare una mano e stringere qualche ciocca tra le dita, tirandoglieli lievemente.
Il senpai china ancora un po’ il capo all’indietro, accompagnandolo nel movimento, e poi gli lancia un’occhiata arrabbiata.
- Chi ti ha dato il permesso di farlo? – chiede in un grugnito.
- Ne-Nessuno, senpai. – risponde Aiichiro, arrossendo. Poi abbassa lo sguardo sulla curva della sua schiena, e continuare sembra subito meno difficile. – Me lo sono preso. – dice.
Quasi si aspetta che il senpai si arrabbi ancora, che si allontani, che lo rimproveri e gli dica di stare al suo posto, ma il senpai non fa niente del genere. Anzi, in seguito alle sue parole sembra cambiare completamente. Aiichiro lo sente rabbrividire sotto le dita, e poi lo vede muoversi velocemente avanti e indietro, andando incontro alle sue spinte, accogliendolo in profondità dentro di sé. Geme ad alta voce, ogni tanto sussurra il suo nome, e quando Aiichiro capisce che ha dato la risposta esatta, che ha detto proprio quello che il senpai voleva sentirsi dire, è così felice che quasi gli viene da piangere.
Ma non ha tempo né modo di farlo, perché il senpai si muove troppo velocemente, contrae i muscoli attorno a lui, stringendo la sua erezione in una morsa all’interno della quale è quasi troppo difficile perfino muoversi. Lo tiene prigioniero dentro di sé, concedendogli di uscire e rientrare solo per un paio di centimetri ad ogni spinta, e tutto quello che Aiichiro pensa è che vorrebbe continuare così per sempre, tutto quello che vuole è il ripetersi continuo di due istanti infiniti, quello in cui affonda nel corpo del senpai e quello in cui ne esce solo per tornare ad affondare dentro di lui ancora.
Si piega sulla sua schiena, appoggiando il mento alla sua spalla e guardandosi riflesso assieme a lui nello specchio. Il senpai è rosso in viso, ha gli occhi chiusi e la bocca aperta, e con la mano accarezza velocemente la propria erezione allo stesso ritmo delle spinte di Aiichiro. Quando viene, schizza contro lo specchio, una linea biancastra irregolare che taglia in due i loro corpi ancora stretti l’uno all’altro. Poi si ferma, ansimante, stringe le gambe ed aspetta che anche Aiichiro abbia finito.
Quando viene, Aiichiro si allontana da lui a fatica, con le gambe tremanti. Vede il proprio orgasmo scivolare giù lungo una coscia del senpai ed arrossisce subito. Imbarazzato, si copre il viso e scuote il capo.
- Scusa, senpai! – dice, senza neanche sapere per quale motivo si stia scusando.
Il senpai si volta a guardarlo, dritto sulle gambe, apparentemente impassibile. Poi sospira, solleva un braccio e gli appoggia la mano sulla testa, scompigliandogli i capelli in una carezza affettuosa.
- Sei proprio un bambino. – gli dice.
Aiichiro solleva lo sguardo, e quando vede che il senpai gli sta sorridendo non riesce a trattenersi.
- Senpai! – urla, gettandogli le braccia al collo.
- Ai—! – lo rimprovera il senpai, cercando di tenerlo a distanza, - E smettila! Che schifo, siamo tutti appiccicosi, levati!
- Non m’importa! – Aiichiro scuote il capo, nascondendo il viso contro la curva del collo del senpai, ed il senpai sbuffa, smettendo di provare ad allontanarlo. Gli appoggia nuovamente una mano sulla testa, accarezzandogli i capelli, e gli gira un braccio attorno alla vita, stringendolo a sé.
- Va bene… - borbotta, - Solo cinque minuti, però.
Aiichiro decide che se li farà bastare.
Genere: Commedia, Erotico.
Pairing: Makoto/Rin.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon.
- Makoto e Rin escono spesso insieme per fare shopping, ed a Makoto la compagnia del "nuovo" Rin, più allegro e spensierato di quanto non fosse in passato, anche se non riesce del tutto a spiegarsela. Forse l'occasione del tentato acquisto di una canottiera che manda Rin letteralmente fuori di sé potrebbe essere quella giusta per capirci qualcosa. O forse no.
Note: Sono palesemente incapace di passare una Free! White Night senza scrivere almeno una shottina MakoRin XD Non riesco. L'occasiona, a questo giro, mi è stata data da un prompt bellissimo ("Makoto e Rin vanno spesso a fare shopping ma è faticoso 'tenere a bada l'entusiamo' del rosso nei camerini") che peraltro mi ha aiutata a vedere la luce, perché per la Maritombola avevo questo prompt civetteria di cui letteralmente non sapevo che farmi. E invece dovevo solo ricevere la rivelazione e capire che non esiste alcun prompt ridicolmente gay che non possa essere associato a Rin. Dio ti benedica, Rin.
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I LOVE SHOPPING COL MIGLIORE AMICO QUASI FIDANZATO DEL MIO MIGLIORE AMICO QUASI EX FIDANZATO

Ogni tanto, mentre camminano per strada e Rin si ferma d’improvviso davanti a qualche vetrina uggiolando di piacere alla sola vista di un vestito, o mentre chiacchierano del più e del meno e, dopo una battuta, Rin lo prende a braccetto, camminandogli troppo vicino o facendo qualcosa di altrettanto civettuolo, Makoto ripensa al passato, a quand’erano bambini, e si chiede se sia sempre stato così e lui abbia solo mancato di notarlo, o se in questo modo Rin ci sia diventato col tempo, mentre nessuno di loro guardava, magari mentre si trovava in Australia e nessuno poteva tenerlo d’occhio.
Non che passare del tempo con Rin gli dispiaccia, e non che questa versione più allegra e spensierata di Rin lo infastidisca – vederlo strillare per un paio di pantaloni o una canottiera può essere imbarazzante, è vero, ma è comunque un sostanziale passo avanti rispetto ad osservarlo mentre si comporta da psicopatico e cerca di attentare alla salute mentale di Haruka –, ma se ne chiede i motivi. Qualcosa dev’essere successo, sì, qualcosa che ha cambiato Rin, che l’ha reso quello che è adesso. Qualcosa dev’essere capitato per forza, perché Makoto si rifiuta di credere che un tale cambiamento sia potuto avvenire da un giorno all’altro come l’avvento di una nuova moda o qualcosa del genere.
- Makoto, dobbiamo assolutamente entrare qui. – dice Rin, fermandosi nel mezzo del marciapiede di fronte ad una vetrina illuminata ed afferrando Makoto per un lembo della giacca per costringerlo a fermarsi a sua volta.
- Rin, comincia ad essere tardi… - tenta Makoto, lanciando un’occhiata incerta ai lampioni che iniziano ad accendersi lungo la strada, - Possiamo tornare domani, o un altro giorno, che ne dici?
- Dico che avevi promesso di accompagnarmi. – risponde Rin, voltandosi a guardarlo. La piccola fedora nera che porta sul capo, associata al broncio in cui piega le labbra mentre lo fissa risentito, contribuisce a rendere i tratti del suo viso allo stesso tempo incredibilmente femminili e incredibilmente infantili. Makoto non è sicuro di cosa pensa a riguardo. – Ti stai rimangiando la promessa?
- N-No, Rin, certo che no. – sorride a fatica, sollevando le braccia in segno di resa e scuotendo il capo, - È solo che siamo stati in giro per tutto il pomeriggio ed è quasi sera. Dovremmo rientrare. Tua madre sarà preoccupata.
Rin aggrotta le sopracciglia, gonfiando le guance come un criceto.
- Non c’entra niente mia madre. – borbotta, - Vuoi tornare a casa perché vuoi andare da Haru.
Makoto arrossisce, indietreggiando appena.
- Voglio solo passare da casa sua per essere sicuro che mangi.
- Sì, certo, perché lui aspetta che te per ricordarsi di nutrirsi. – Rin sospira, scuotendo il capo. Le mani sui fianchi stringono in vita la canottiera bianca larga che scende fino a metà coscia sui jeans aderenti infilati dentro gli stivaletti neri. – Dai, ti prometto che stiamo solo mezz’ora. Voglio provare quella. – conclude, indicando la canottiera nera addosso ad uno dei manichini senza testa all’interno della vetrina.
La canottiera, conclude Makoto dopo un rapido esame, è oscena. E non c’è neanche bisogno di osservarla nel dettaglio. Troppo aderente per potere davvero essere indossata da un uomo, troppo corta per non lasciare scoperti e nudi i fianchi, dalla scollatura troppo profonda per non sembrare un’istigazione a delinquere, o comunque un invito abbastanza esplicito a compiere atti osceni in luogo pubblico.
- Ma sei sicuro? – deglutisce Makoto, voltandosi a guardare Rin con il terrore negli occhi, - Non sarà un po’ eccessiva?
Rin si volta a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
- Eccessiva? – chiede. Makoto osserva i vestiti che indossa e sospira.
- D’accordo. – risponde quindi, - Ma non più di mezz’ora, Rin, dico sul serio. Possiamo tornare un altro giorno.
- Non ce ne sarà bisogno. – conclude Rin, agitando una mano a mezz’aria mentre entra nel negozio. Makoto lo segue a ruota, sospirando profondamente.
Il negozio è quasi del tutto vuoto, anche a causa dell’ora tarda. Le commesse si aggirano fra i banconi e gli scaffali con aria stanca, un paio di loro si erano sfilate le scarpe e chiacchieravano sedute su un paio di vecchi sgabelli di legno, ma appena li vedono entrare si ricompongono subito e sorridono affabili, chiedendo loro se abbiano bisogno di aiuto. Rin scuote il capo e le liquida con un sorriso stirato.
- Facciamo da noi. – risponde per sé e per Makoto. Poi lo trascina verso uno stand. – Ecco! – dice entusiasta, passando in rassegna le varie taglie.
Makoto fa lo stesso, sperando di dargli una mano a trovare quella giusta più in fretta.
- Dovrebbe essere questa. – dice, sfilando la gruccia dall’asta metallica e mostrandola a Rin, il quale gli si volta subito a lanciargli un’occhiataccia.
- Ma sei scemo? – sbotta offeso.
Makoto indietreggia appena, preso alla sprovvista. Riguarda l’etichetta, per essere certo di non essersi confuso e aver preso per sbaglio una taglia più grande, ma non sembra così.
- Non è quella giusta? – domanda incerto.
- Be’, sì, certo che è quella giusta. – sbuffa Rin, piegando il capo ed arricciando le labbra in un broncio, - Ma la voglio più piccola. – torna a frugare fra le varie magliette appese, e poi il suo volto si illumina all’improvviso. – Ecco! Questa qui. – stabilisce.
È palesemente una taglia troppo piccola, se ne accorgerebbe anche un bambino, ma Makoto non ha intenzione di mettersi a litigare adesso, specie perché significherebbe ritardare ulteriormente il ritorno a casa, per cui si limita ad annuire e seguire Rin verso i camerini.
Il negozio è piccolo, ed i camerini – tutti naturalmente vuoti – sono solo tre. Uno accanto all’altro, chiusi da pesanti tende rosse, hanno un’aria piuttosto triste ma sono forniti al loro interno di un enorme specchio parietale che Rin dimostra di apprezzare parecchio.
- Faccio presto. – assicura, sparendo oltre la tenda rossa. Makoto lo sente armeggiare faticosamente per un po’, poi sente solo silenzio per qualche secondo, poi di nuovo un confuso rumore di stoffa che scivola addosso alla pelle, l’inconfondibile rumore secco di una zip che si blocca ed infine il grugnito insoddisfatto di Rin.
- Te l’avevo detto che non era la tua taglia. – ride Makoto, prendendolo in giro.
La faccia di Rin appare da uno spiraglio aperto lateralmente nella tenda. Ha le guance arrossate e gli occhi che brillano di imbarazzo.
- Invece di essere odioso, vieni a darmi una mano.
Makoto arrossisce immediatamente, indietreggiando.
- Cosa?! – domanda.
- Muoviti! – sbotta Rin, - Non volevi tornare a casa presto?
- Ma non è meglio se vado a prendere quella della tua misura? – suggerisce speranzoso. Rin aggrotta le sopracciglia.
- Muoviti. – ripete, e Makoto sa che non si riferisce a quello che ha appena suggerito.
Rassegnato, sospira pesantemente. Pochi secondi dopo, si fa forza ed oltrepassa la tenda.
Rin gli dà le spalle, ma appena lo sente entrare si volta subito a guardarlo, piegando il capo all’indietro. Ha appoggiato la fedora sullo sgabello e i suoi capelli sono tutti scompigliati. Nel gesto, una ciocca più lunga gli scivola sul naso, e lui la scaccia con una smorfia.
- Alla buon’ora. – borbotta. – La zip non sale.
La canottiera ha una cerniera che la percorre orizzontalmente dalla base della schiena alla nuca. Da solo, Rin è riuscito a tirarla su solo per qualche centimetro.
- È troppo stretta, Rin. – sospira Makoto, - Non salirà mai.
Rin si volta a guardarlo ancora, offrendogli un sorriso di sfida.
- Non sei abbastanza forte da tirarla su? – domanda.
Makoto non sa se sia la sua espressione, o se semplicemente tutti gli esseri umani, lui compreso, possiedano un qualche segmento di codice genetico che impone di cedere a qualunque sfida Rin proponga, ma aggrotta le sopracciglia e sbuffa.
- Non riuscirai neanche a respirare. – gli dice, ma si avvicina, gli appoggia una mano sulla schiena e con l’altra cerca di tirare su la cerniera.
Rin rabbrividisce sotto il suo tocco.
- Hai le mani gelate. – borbotta.
- Senti, mi hai chiesto tu aiuto. – sbuffa lui, lanciandogli un’occhiataccia attraverso lo specchio, - Almeno non lagnarti.
- Non sta servendo a niente, il tuo aiuto! – protesta Rin, - La cerniera è ancora bloccata!
- Questo perché la canottiera non è della tua taglia, mettitelo in testa! – insiste Makoto, - Sei odioso. – confessa poi in un improvviso accesso di sincerità.
- Anche tu. – ribatte Rin, asciutto. Poi sospira, e si appoggia indietro contro di lui, lanciando uno sguardo insoddisfatto al soffitto. – Dici che sto ingrassando?
- Dico che sei un cretino. – sbotta Makoto, schiaffeggiandogli piano un fianco, - Cosa c’entra ingrassare, adesso? Sono la schiena e le spalle. Non lo vedi che ci esplodi, dentro questa canottiera? Se anche riuscissi a chiuderla, si strapperebbe in cinque minuti.
- Sì, ma… - protesta Rin con tono lamentoso, - Questa taglia davanti mi sta da Dio. – e, per conferma, si volta verso Makoto, per lasciarsi ammirare.
In effetti, Makoto non può dire che la maglia gli stia male. È così stretta che sembra gliel’abbiano disegnata addosso. Aderisce perfettamente ad ogni curva e ad ogni linea dei suoi pettorali pieni e scolpiti, e se aguzza la vista Makoto può perfino vedere le linee degli addominali impresse sul tessuto, e questo nonostante in questo momento Rin non li stia nemmeno contraendo per renderli più evidenti.
Deglutisce a fatica.
- È vero. – conferma. – Ma conciato così non puoi andare da nessuna parte, Rin.
Lui inarca un sopracciglio.
- Non posso andare da nessuna delle parti che frequenti tu e il resto del manipolo di sfigati che frequenti. – risponde.
Makoto gli lancia un’occhiata poco impressionata, e Rin ride.
- Scherzavo. – dice, facendogli una linguaccia, - Ma lo stesso. Certo non posso andare a scuola vestito così, certo non posso andarci agli allenamenti, ma posso andare per locali la sera. – scrolla le spalle, - È per questo che la voglio.
- No. – insiste Makoto, - È proprio quello che intendevo. Non puoi andarci nemmeno in giro per locali.
Rin aggrotta le sopracciglia.
- E perché? – domanda con voce cupa.
Silenziosamente, Makoto si avvicina di un passo, e poi di un altro, costringendolo a indietreggiare e schiacciarsi contro lo specchio.
- Perché è indecente. – risponde, - E non puoi uscire vestito così. Neanche per andare in fondo alla strada e poi tornare indietro.
Ancora stretto fra il suo corpo e lo specchio, Rin si concede un sorrisino soddisfatto.
- Però ti piace come mi sta. – dice ammiccante.
Makoto aggrotta le sopracciglia, imbarazzato.
- Non c’entra niente, questo.
- Sì che c’entra, invece. – insiste Rin, sollevando una mano e premendola contro il suo inguine, - C’entra un sacco. – aggiunge con una mezza risata nel sentirlo già duro sotto le dita.
- Rin! – cerca di protestare lui, provando ad indietreggiare, ma nel camerino non c’è spazio, e dopo qualche secondo non c’è nemmeno più aria da respirare, perché Rin si solleva appena sulle punte e, afferrandolo per il bavero della giacca, lo costringe a piegarsi in avanti, e poco dopo lo sta già baciando, e Makoto sa che potrebbe continuare a respirare dal naso, ma semplicemente non si ricorda più come si fa, perciò annaspa, e si allontana da Rin con un gesto brusco, guardandolo confusamente. Gli sono scivolati gli occhiali sul naso, e Rin solleva una mano per sfilarglieli del tutto. Ne piega le asticelle e li appoggia sullo sgabello accanto alla sua fedora. – Rin… - mugola ancora Makoto, cercando di riprenderli ma senza sforzarsi eccessivamente, ed arrendendosi subito quando la mano di Rin intercetta la sua, intrecciando le sue dita con le proprie, - Che cosa stai facendo?
- Non lo so, seguo l’ispirazione del momento. – ride Rin, sollevandosi ancora sulle punte e coprendo di baci la linea della sua mascella, - O forse volevo farlo da quando abbiamo cominciato a uscire insieme e mi sto decidendo solo adesso.
- E questo cosa vorrebbe dire? – mugola Makoto, piegando il capo per cercare di sfuggire ai suoi baci ma finendo per offrirgli il collo, un invito che Rin non si lascia sfuggire.
- Niente. – gli sussurra in una mezza risata sulla pelle, - Prendilo per un diversivo. Non potrò comprare la maglietta, ma uscire da qui completamente a mani vuote sarebbe deprimente.
- Sì, ma è tardi, Rin… - si lamenta lui, cercando ancora una volta di allontanarsi.
Rin gli lascia scivolare la giacca lungo le spalle e lui decide di restare lì.
- Cos’è, preferisci tornare subito da Haru? – domanda a bassa voce.
E la risposta sarebbe sì. Dovrebbe essere sì. Ma la realtà è che in questo momento di risposte il cervello di Makoto non riesce nemmeno a formularne. Per cui non dice niente, si limita a lasciare perdere – perché tanto l’ha capito che protestare ulteriormente sarà del tutto inutile; e poi nemmeno vuole, in realtà – e chinarsi verso Rin, baciandolo sulla bocca, le labbra serrate.
Rin gli scoppia a ridere addosso, allontanandosi.
- Primo bacio che dai? – gli domanda. Makoto arrossisce, e Rin ride ancora. – Non importa. – dice, - Ti faccio vedere di nuovo come si fa.
Lo bacia ancora, e stavolta Makoto ricorda che può respirare. E ricorda anche che può toccarlo, che non gli morderà via una mano se ci prova. Perché qualcosa è cambiato, e ha cambiato Rin, e Rin adesso è una persona che squittisce per i vestiti, che ti trascina nei camerini e che ti insegna a baciare mentre ti spoglia così discretamente che tu quasi nemmeno te ne accorgi. È una persona che puoi toccare senza paura, e Makoto lo tocca, lasciando scivolare le dita oltre la cerniera della canottiera, ancora aperta sulla schiena, sentendo i muscoli che si contraggono e si muovono sotto la sua pelle.
Geme contro le sue labbra, e Rin sorride, allontanandosi piano. Makoto si guarda e scopre di non indossare più la camicia. Non sa come reagire alla cosa, perciò resta in piedi, arrossisce e non si muove. Ma combatte strenuamente l’impulso di coprirsi, e Rin sorride soddisfatto.
Poi si china e si inginocchia di fronte a lui, stringe la fibbia della cintura dei suoi pantaloni fra le dita e gliela toglie in un gesto svelto, quasi esperto, direbbe Makoto, se potesse parlare. Ma ha la gola e le labbra secche e vorrebbe che Rin lo baciasse di nuovo per risolvere il problema, ma Rin è troppo lontano, accucciato sul pavimento, e quando si china in avanti non è per baciarlo sulle labbra, ma per baciare qualcos’altro. E quando Makoto se ne accorge, e capisce cosa sta per accadere, vorrebbe strillargli di non farlo, che non si fa, ma non ci riesce, perché Rin preme gli fa cenno di fare silenzio, premendosi l’indice contro le labbra e il naso.
- Non vorrai mica che ci scoprano? – commenta con una risatina. E Makoto dubita che le commesse, oltre le pesanti tende di velluto rosso che li nascondono ai loro occhi, non abbiano già capito cosa sta succedendo in quel camerino, ma no, Dio, no, non vuole che li fermino, perciò affonda i denti nel labbro inferiore e chiude gli occhi, e poi li riapre, perché perdersi questo spettacolo, davvero, non esiste.
Rin si avvicina alla sua erezione squadrandola con gli occhi pesanti di voglia. Ne accarezza l’intera lunghezza con la lingua, dalla base alla punta, e poi la stringe fra le dita, strofinando il pollice contro la sommità esposta e già bagnata. Poi si china su di lui, lasciandosi scivolare il suo cazzo fra le labbra, accogliendolo fra il palato e la lingua giù quasi fino in gola, e quando Makoto, confuso dal suo calore bagnato, emette un gemito roco di desiderio Rin indietreggia, e poi avanza di nuovo. Un movimento impercettibile che è più un invito che una dichiarazione d’intenti, e infatti Makoto capisce di dover fare da solo, e l’idea lo eccita ancora di più.
Appoggia una mano sulla sommità della testa di Rin, stringe le sue ciocche ribelli fra le dita e lo tiene fermo mentre ondeggia il bacino avanti e indietro, scopandogli la bocca velocemente. Rin geme, e quel gemito vibra attorno alla sua erezione e si trasforma in un brivido che gli si arrampica lungo la spina dorsale, rendendogli le gambe molli al punto da costringerlo ad allungare un braccio ed appoggiarsi allo specchio.
Rin si allontana da lui, ansimando un po’. Si lecca le labbra e poi si solleva in piedi, premendogli addosso un bacio quasi affettuoso. Stringe nuovamente la sua erezione bagnata fra le dita e lo masturba piano, lentamente, quasi volesse solo assicurarsi di tenerlo sveglio mentre decide il da farsi.
- Va bene se lo facciamo? – sussurra, strofinando il naso contro il suo come un gattino, - O si arrabbia qualcuno?
- Rin… - mugola Makoto, appoggiando la fronte contro la sua, - Smettila.
- Cosa, questo? – lo prende in giro lui, rallentando il ritmo delle proprie carezze.
- No. – risponde Makoto in un grugnito, appoggiando la propria mano sulla sua e costringendolo a riprendere a muoversi come prima, - Smettila di farmi pensare ad Haru. – dice poi, onestamente.
È con la stessa onesta che Rin gli sorride.
- Va bene. – dice, premendogli un altro bacio sulle labbra, - Questa mezz’ora è tutta nostra.
- Ormai saranno rimasti meno di venti minuti. – sorride Makoto, imbarazzato, mentre lo osserva voltarsi verso lo specchio.
- Basteranno. – ride Rin.
Poi si piega in avanti, e nel movimento si lascia scivolare i jeans lungo i fianchi, restando praticamente nudo di fronte a lui. La canottiera aperta sulla schiena sembra quasi un audace vestito da donna, e Makoto è turbato dall’effetto che il pensiero ha su di lui.
Incapace di trattenersi oltre, afferra Rin per i fianchi e preme la propria erezione contro la sua apertura, ma quando prova ad entrare scivola per ben due volte, e mugola insoddisfatto.
- Rin… - sbuffa, sperando che lui abbia una soluzione adeguata per il problema, e Rin ride, prendendolo in giro.
- Aspetta. – dice. Makoto guarda in basso, e in pochi secondi vede le dita di Rin spuntare da sotto il suo corpo. Ne segue i movimenti, vede che sono umide di saliva e trattiene il fiato quando le vede sfiorare con attenzione la sua apertura, prima di scivolare dentro il suo corpo in un gesto fluido al quale Rin risponde con un gemito liquido e spezzato.
Pensava di non poter vedere niente di più eccitante di Rin con il suo cazzo in bocca. Poi pensava di non poter vedere niente di più eccitante di Rin piegato in avanti per lui. Adesso vede Rin masturbarsi così, e gli sembra di impazzire, di non potere più aspettare. Stringe le dita contro i suoi fianchi fino a lasciargli macchie bianche sulla pelle che diventano rossissime nel momento stesso in cui sposta le dita altro, e Rin sembra cogliere la sua silenziosa richiesta, perché smette di masturbarsi subito.
- Adesso dovrebbe entrare. – dice pratico. Makoto lo guarda, così aperto ed esposto, e deglutisce pesantemente, e poi trattiene il respiro mentre preme la punta della propria erezione contro di lui e la osserva scivolare fluida oltre l’anello di muscoli contratto.
È tutt’altro tipo di calore ad accoglierlo, completamente differente dalla sua bocca. Rin è stretto e caldo tutto intorno a lui, e quando Makoto si muove lui risponde contraendo i muscoli, portando Makoto ad un passo dall’orgasmo senza però mai consentirgli di rilasciarlo. E dopo un po’ Makoto perde il senso del tempo, e potrebbero essere passati venti minuti come vent’anni in un lampo. Sente l’orgasmo montare come la marea, e Rin si muove sempre più svelto, andando incontro alle sue spinte. Sente lo schioccare delle loro pelli ogni volta che i loro bacini si incontrano a metà strada e sente i gemiti soffocati di Rin, e sente i propri, ed anche se non sa che pensare, e non capisce come questa cosa stia potendo accadere, quello che sa è che gli piace tantissimo, e che qualunque cosa sia successa per rendere Rin quello che è adesso, be’, dev’essere stata per forza una cosa bellissima, e lui è contento che sia accaduta.
Rin viene all’improvviso, stringendosi tutto attorno a lui. Sorpreso da quanto più stretto il passaggio diventa e dalla forza con la quale i suoi muscoli si contraggono attorno alla sua erezione tesa, Makoto viene a propria volta, incapace di trattenere un gemito più rumoroso degli altri.
Scivola fuori dal suo corpo, appoggiandosi alla parete alle proprie spalle come non avesse più forza per reggersi in piedi da solo, il che potrà essere un pelo esagerato e melodrammatico, ma corrisponde più o meno vagamente alla verità. Non è ancora in grado di ragionare lucidamente ed ha un po’ paura di quello che il suo cervello gli dirà quando sarà tornato a farlo, perciò cerca di mantenersi in quel limbo confuso in cui ogni cosa è Rin ancora per qualche istante. È un posto piacevole in cui trascorrere una parentesi di esistenza.
Per un paio di secondi, Rin sembra intorpidito, come bloccato in quella posizione un po’ scomoda. Poi raddrizza la schiena e si stiracchia, emettendo un mugolio compiaciuto. Prova ad inspirare a pieni polmoni, ma col petto così compresso dalla canottiera non riesce, perciò si volta a lanciare un’occhiata divertita a Makoto da sopra una spalla.
- Ti dispiace? – chiede, offrendogli la schiena.
- Ah—no, figurati. – si affretta a rispondere Makoto, sfilando il gancio che tiene chiusa la zip. Rin si sfila la canotta e la appende alla gruccia, poi si pulisce sommariamente e si tira su i pantaloni, prima di indossare la canottiera bianca.
Imbarazzato all’idea di restare l’unico nudo in quel camerino, Makoto si affretta a seguire il suo esempio, arrossendo vistosamente. Rin lo nota, e scoppia a ridere.
- Makoto, smettila! Quanto la fai grossa.
- Ma non ho detto niente. – protesta lui, offeso.
Rin ride ancora, e la sua risata risuona allegra come uno scampanellio, o come la risata di una ragazzina.
- Non ce n’era bisogno. – risponde, e Makoto arrossisce ancora di più.
- … senti, - dice quindi, lasciando affiorare un sorriso alle labbra, - Devo proprio chiedertelo: ma cosa ti è successo?
- Mh? – domanda Rin, indossando il cappello e voltandosi verso lo specchio per sistemarselo sulla testa, - Che intendi?
- Be’, sei completamente diverso. – ride Makoto, - Mi piaci, ma… sei completamente diverso.
Rin gli lancia un’occhiata divertita attraverso lo specchio, e sorride invitante.
- Quanto sei scemo, Makoto. – commenta, voltandosi per uscire dal camerino. Alla domanda però non risponde.
Genere: Commedia.
Pairing: Rin/Ai, Makoto/Haruka.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash.
- "L’idea della cena a quattro era stata di Makoto, inizialmente. O forse era stata di Haruka e Makoto l’aveva soltanto assorbita per osmosi, e l’aveva poi proposta come propria per risparmiare ad Haruka la fatica di farlo da sé."
Note: Scritta per la Notte Bianca #2 della pagina No, ma io Free! lo guardo per la trama, eh? (♥) su prompt MakoHaru e RinAi. I quattro cenano insieme. Finiscono a parlare di sesso e Makoto e Haruka pensano di essere molto spinti, ma quando Rin e Ai iniziano a raccontare quello che fanno loro, il mondo crolla, una roba plottata con la Caska basandosi sull'headcanon per il quale la vita sessuale di tutte le coppie di Free! è assolutamente vanilla se paragonata a quella del RinAi.
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INVITO A CENA CON DELITTO

L’idea della cena a quattro era stata di Makoto, inizialmente. O forse era stata di Haruka e Makoto l’aveva soltanto assorbita per osmosi, e l’aveva poi proposta come propria per risparmiare ad Haruka la fatica di farlo da sé. Era per questi dettagli, d’altronde, che la loro relazione funzionava così bene, quella speciale telepatia alla cui esistenza Rin, inizialmente, si era rifiutato di credere, ma della quale, sulla lunga distanza, non aveva potuto che ammettere l’esistenza, con conseguenze che poi si erano sostanzialmente risolte nel rimescolare un po’ la loro routine, costringendo sia lui che Haruka a smettere di inseguire il sogno di una relazione che li avrebbe sicuramente resi due psicopatici nel giro di due mesi, per trovare qualcosa di meglio, che li facesse stare bene.
Non si erano mai serbati rancore a vicenda, tantomeno Rin ne aveva mai serbato nei confronti di Makoto. Odiare Makoto, aveva scoperto col passare dei mesi, era letteralmente impossibile. Quando anche, ogni tanto, si comportava in modo fastidioso, o si trincerava dietro uno di quegli atteggiamenti da martire penitente che Rin gli avrebbe volentieri strappato di dosso a unghiate, bastava guardarlo anche mezzo secondo in viso e il suo sorriso, di qualunque tipo fosse – triste, divertito, dolce –, era in grado di farti dimenticare ogni cosa. Makoto era una di quelle persone che non odi mai, che potrebbero farti di tutto ma tu torneresti sempre comunque a perdonarle. In più, Makoto non faceva mai letteralmente niente di male, per cui anche quella di perdonarlo era una fatica che non dovevi mai fare. Se c’era una persona con la quale Rin potesse convivere pacificamente era lui, perciò interrompere ogni rapporto per un motivo ridicolo del tipo “mi ha portato via il ragazzo!”, quando poi non era nemmeno vero, non era mai stata neanche un’opzione.
Per Haruka le cose erano lievemente più complesse, ma d’altronde lo erano sempre state. La sua idea di Rin era l’idea di qualcosa di passeggero che invece lui avrebbe voluto ancorarsi addosso, in qualsiasi forma purché ci riuscisse, per cui era spaventato, onestamente spaventato dal pensiero che la loro nuova “organizzazione sentimentale” – come amava chiamarla Rei, dichiarando di non volerci avere niente a che fare quando Nagisa gli proponeva di chiudere il cerchio infilandosi nel suo letto a sorpresa durante la notte entrando attraverso la finestra – potesse dare a Rin un qualche motivo per sparire di nuovo.
Da cui, l’idea delle attività in comune. Da cui, la cena.
Di fronte all’usuale piatto di sgombro arrosto, quella sera, Rin ed Aiichiro presero posto di fronte a Makoto ed Haruka e si lasciarono scivolare serenamente nel più imbarazzato dei silenzi, interrotto solo ogni tanto dal rumore delle forchette contro i piatti e dei bicchieri che venivano sollevati e riposati sul tavolo quando qualcuno aveva sete. Nonostante Ai fosse recentemente diventato una specie di estensione di Rin, e nonostante questo processo di assorbimento all’interno del suo corpo come un terzo braccio o qualcosa di ugualmente ridicolo ma irrinunciabile fosse stato genericamente accolto bene un po’ da tutti, contenti, per una volta, di vedere Rin in grado di relazionarsi in maniera sana con un altro essere umano che non fosse il proprio riflesso nello specchio, la sua presenza portava ancora un po’ di imbarazzo, nel gruppo, specie quando finiva involontariamente per ridurre a zero gli argomenti di conversazione – dal momento che Rin aveva tassativamente proibito agli altri di parlare del loro comune passato di fronte ad Ai, per non farlo sentire tagliato fuori o meno importante.
Fu Haruka, esasperato da un silenzio durato ormai più di mezz’ora, il primo a spezzarlo.
- Insomma. – disse a bassa voce, il viso composto nella solita maschera di indifferenza, - State insieme da quanto, ormai?
- Sette mesi. – rispose trionfante Aiichiro, sorridendo felice come faceva ogni volta che poteva discutere del suo argomento di conversazione preferito, ovvero l’epica battaglia che aveva combattuto contro “i demoni del passato di Matsuoka-senpai”, come gli piaceva chiamarli, per conquistare il suo amore, - E venticinque giorni.
- Quanta precisione. – rise Makoto, terminando il suo sgombro, - Fai il conto alla rovescia per celebrare l’ottavo?
- Naturalmente. – annuì Aiichiro, entusiasta.
- Ai. – sospirò Rin, aggrottando le sopracciglia, - Ti prendono in giro.
- Solo un pochino. – rispose Haruka, senza cambiare espressione, sollevando una mano ed avvicinando il pollice e l’indice per indicare quanto poco.
- Lasciatelo in pace. – sorrise Rin, allungando una mano ed appoggiandola sulla testa di Aiichiro, scompigliandogli appena il caschetto, - Lo sapete com’è.
- Ma è divertente. – rise Makoto, e poi si voltò a guardare Ai, sorridendo gentilmente, - Lo facciamo per affetto, eh. – si affrettò a rassicurarlo, - È bello vedervi insieme. Sembrate felici.
- Siamo più che felici. – ribatté Rin, - Felici e soddisfatti, grazie mille.
Haruka aggrottò lievemente le sopracciglia, lanciando a Rin un’occhiata indecifrabile da sotto in su. Aveva accettato senza troppi problemi l’idea che Rin potesse mettersi con qualcuno e che quel qualcuno non potesse in alcun modo essere lui, ma non si poteva comunque dimenticare il fatto che, per anni, Rin fosse stato il suo unico chiodo fisso a parte l’acqua, in un modo o nell’altro. Questo sentimento così vecchio a tratti ritornava a galla senza che lui potesse fare niente per fermarlo, senza che nemmeno se ne accorgesse, e questo lo portava, ogni tanto, solo ogni tanto, ad infastidirsi. Il che portava poi sempre a casini vari ed eventuali, perché Rin ed Haruka non erano in grado di gestire in maniera normale neanche una fisiologica irritazione da gelosia. Ogni cosa finiva per trasformarsi in una competizione di qualche tipo, e infatti Makoto non si stupì particolarmente di sentire pronunciare ad Haruka il commento che pronunciò. Lo temette, ma stupirsene, no, non più di tanto.
- Noi siamo più felici. – dichiarò con ingiustificabile sicurezza, - E più soddisfatti.
Rin aggrottò le sopracciglia, fissandolo astioso.
- Che vorrebbe dire? – borbottò.
- C’è un così bel tempo, fuori! – disse Makoto, battendo le mani, - Non pensi anche tu, Nitori-kun?
- Uh—? – biascicò Aiichiro, guardandolo con smarrimento, - Ma piove.
- Potremmo uscire tutti insieme a fare una passeggiata. – insistette Makoto, sperando che ciò fosse sufficiente a deviare la conversazione prima che avesse il tempo di trasformarsi in una guerra mondiale. Ma nel vedere che né Rin né Haruka sembravano inclini a smettere di fissarsi con rabbia, aggiunse – Potremmo andare a nuotare da qualche parte! – convinto che, di fronte a questo, Haruka avrebbe ceduto senza alcun dubbio.
E invece no.
E Makoto capì che non c’era più niente da fare – e si rassegnò al pensiero – quando, di fronte alla prospettiva di andare a nuotare, fosse anche in una pozzanghera, Haruka non aveva nemmeno distolto lo sguardo.
- Ieri, - disse Haruka, senza cambiare espressione, - Stavo cucinando lo sgombro. Indossavo il costume, e sopra il costume solo il grembiule. Makoto è tornato a casa dopo aver fatto la spesa e, appena mi ha visto, ha lasciato cadere le buste per terra e mi ha scopato sul ripiano della cucina.
- Ha—Haru! – urlò Makoto, voltandosi a guardarlo all’improvviso e coprendosi il viso con entrambe le mani per tentare di nascondere l’imbarazzo che gli arrossava le guance, - N—Non dire queste cose!
- Perché? – domandò Haruka, scrollando le spalle, - È vero. E se Rin dice di essere più felice e soddisfatto di me, deve dire qualcosa di almeno altrettanto bello.
Per un paio di secondi, Rin sembrò sul punto di rispondere qualche cosa. Aiichiro, seduto educatamente al suo fianco, le belle sopracciglia sottili aggrottate a disegnare una linea perfetta sopra i suoi occhi azzurri, lo fissava intensamente, aspettando diligente la sua risposta.
Dopo quel paio di secondi, però, Rin si limitò a distogliere lo sguardo, scrollando le spalle.
- Hai ragione, - disse, - Siete più felici e soddisfatti voi.
Haruka stava per concedersi uno sbuffo ed un’espressione altezzosa per festeggiare la propria vittoria, quando Aiichiro batté entrambe le mani contro il tavolo.
- Cosa?! – strillò, - Ma— Matsuoka-senpai!
- Riuscirai mai ad abituarti a chiamarmi Rin?
- …ma mi hai detto che ti piace quando ti chiamo Matsuoka-senpai, soprattutto quando—
- Ai! – lo rimproverò Rin con un’occhiataccia, ma Aiichiro, infastidito, scosse il capo e lo fissò con ostinazione, ben deciso a non lasciarsi zittire sul punto.
- No! – disse, - Rin. Non è vero. – poi si voltò verso Haruka, sorridendo. – Ieri io e il senpai siamo andati in piscina di notte, mentre tutti dormivano. Il senpai mi ha legato alla scaletta con gli occhialini, mi ha infilato la cuffietta appallottolata in bocca e poi mi ha scopato in acqua! Subito dopo, io mi sono immerso e gliel’ho preso in bocca in apnea! Cinque minuti interi!
- C—Cosa? – biascicò Makoto, arrossendo ancora, mentre Haruka, al suo fianco, spalancava gli occhi.
- E il giorno prima! – proseguì Aiichiro, - Il giorno prima, quando sono tornato in camera dopo il mio allenamento pomeridiano, ho trovato il senpai che strillava al telefono con Kou-chan, rimproverandola per aver lasciato in camera sua il suo costume da bagno, e allora gli ho chiesto di indossarlo e lui l’ha fatto, e poi mi ha chiesto di scoparlo con ancora il costume addosso, ed io l’ho fatto, ed è stato bellissimo!
- Ma— Ma il costume da bagno di Kou! – strillò Makoto, lanciando sguardi ormai quasi isterici a Rin, ad Haruka e poi di nuovo a Rin.
- E il giorno prima ancora! – continuò Aiichiro, ormai inarrestabile, - Quando il senpai è tornato dalla mensa io avevo appena finito di riordinare la mia scrivania, e lui mi ha detto che ero stato così bravo da meritarmi un premio, per cui mi ha fatto piegare in avanti e mi ha leccato per quarantacinque minuti, facendomi venire senza neanche masturbarmi! O, aspetta. – si interruppe, dubbioso, - Forse questo è stato all’inizio della settimana, forse due giorni fa abbiamo usato il dildo a due teste…? – chiese, lanciando a Rin un’occhiata genuinamente curiosa.
- Adesso basta! – sbottò lui, premendo la propria mano contro la bocca di Aiichiro per impedirgli di continuare a parlare, nonostante il ragazzino continuasse a borbottare contro la sua pelle parole incomprensibili, - Basta così. – sospirò, prima di voltarsi a guardare Haruka.
Lo trovò bianco in volto, praticamente cereo, gli occhi azzurri ormai diventati due pozze enormi che quasi sembravano mangiargli via metà della faccia.
- È… - domandò Haruka, deglutendo a fatica, - È tutto vero? Quello che ha detto?
Rin rifletté per qualche secondo sulle proprie possibilità, prima di decidere cosa rispondere. E ad annunciare l’arrivo della decisione fu un sospiro arreso.
- No. – ammise con tono lamentoso, - No, Ai vi stava solo prendendo in giro. Era una piccola vendetta per averlo preso in giro perché fa la conta dei giorni. – si voltò a guardare Aiichiro, liberandogli la bocca, - Non è così, Ai?
Aiichiro lo guardò per un paio di secondi, sbattendo le lunghe ciglia ricurve e poi sospirando e abbassando lo sguardo.
- È così. – biascicò, chinando il capo verso Haruka e Makoto, - Vi chiedo scusa, è stato un comportamento infantile da parte mia. Non lo farò più. Mi dispiace di avere inventato cose così imbarazzanti. Perdonatemi!
Prima di dire qualsiasi cosa, Makoto si voltò a guardare Haruka, e si permise di sorridere solo quando vide il suo volto riacquistare colore.
- Non preoccuparti. – disse quindi, rivolgendosi ad Aiichiro, - Stavamo solo giocando.
Rin annuì, e poi si alzò in piedi.
- Adesso è il caso di andare via. – disse, - Siamo in ritardo.
Aiichiro annuì a propria volta, alzandosi in piedi per seguirlo.
Makoto ed Haruka li osservarono allontanarsi sulla soglia della porta, Haruka perfettamente immobile, Makoto agitando una mano in segno di saluto.
- Dildo a due teste, mh? – rise Makoto, - Non poteva che essere uno scherzo.
Haruka gli lanciò un’occhiata incerta e poi sbuffò, scrollando le spalle.
- Vado a farmi un bagno. – dichiarò. Makoto ritenne opportuno non insistere.
*
- Matsuoka-senpai? – lo chiamò Aiichiro, e Rin lasciò andare uno sbuffo lamentoso, lanciando uno sguardo supplice al grigio cielo invernale sopra le loro teste.
- Rin, - sbottò infastidito, - In che lingua te lo devo dire? Chiamami Rin quando siamo in pubblico!
- Ma siamo solo noi due, adesso, Matsuoka-senpai. – ribatté Aiichiro con un sorriso sereno che non ammetteva repliche mentre lasciava scivolare le mani attorno al suo gomito, prendendolo a braccetto, - Comunque, perché hai mentito?
- Eh? – borbottò Rin, passandosi una mano fra i capelli.
- Le cose che ho raccontato erano tutte vere. – rispose Aiichiro, - Ma tu hai detto che stavo solo scherzando. Perché hai mentito?
Rin sollevò gli occhi al cielo un’altra volta, scuotendo il capo.
- Quello che Haruka non sa non lo spinge a lasciarsi consumare dall’acqua fino a sciogliersi come un ghiacciolo. – rispose, e poi aggiunse, sorridendo, - Lasciamogli credere di essere più felice di noi, se ne ha bisogno.
- Oh. – disse Aiichiro, annuendo appena e lasciandolo andare. Rin riuscì ad avanzare solo di qualche passo prima che la voce di Aiichiro lo fermasse, chiamandolo. – Senpai! – disse, correndogli dietro. Quando giunse accanto a lui, aveva le labbra piegate agli angoli da un sorriso da monello che diede a Rin dei brividi nient’affatto spiacevoli. – Resta il fatto che hai mentito. – disse, - E quindi dovrò punirti, una volta che saremo tornati in camera.
Rin sorrise a propria volta, annuendo impercettibilmente.
Aveva giusto voglia di provare un po’ di spanking.
Genere: Romantico.
Pairing: Rin/Ai.
Rating: PG.
AVVERTIMENTI: Slash, Fluff.
- "Non può dire che trovarlo in piscina a quest’ora lo stupisca più di tanto, in realtà."
Note: Scritta per la Notte Bianca #2 della pagina No, ma io Free! lo guardo per la trama, eh? (♥) su prompt RinAi. Bacio sott'acqua nella piscina della Samezuka. Di notte.
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NIGHTSWIMMING

Non può dire che trovarlo in piscina a quest’ora lo stupisca più di tanto, in realtà. Quando s’è svegliato e si è ritrovato solo in camera – dopo aver sbirciato giù dal proprio letto ed aver trovato quello del senpai vuoto – ha capito subito che il senpai doveva essere uscito, e vista l’ora non c’era altro posto che la piscina in cui potesse trovarsi.
L’ha fatto spesso, il senpai, recentemente. Svegliarsi di notte per andare a nuotare da solo in piscina, cioè. Aiichiro lo sa— be’, non perché l’abbia spiato, ovviamente. Seguire qualcuno per vedere dove va perché si è preoccupati che possa fare qualcosa di stupido non conta come spiarlo, no? E poi non è che sia rimasto lì nascosto a guardarlo notare. Il più delle volte, almeno. Ecco, sì, il più delle volte l’ha semplicemente seguito fino in piscina – per assicurarsi che stesse bene, ovviamente – e poi è tornato in camera – dopo aver continuato ad assicurarsi che stesse bene almeno per una decina di minuti; o anche mezz’ora –, non è mica mai rimasto a guardarlo nuotare così a lungo da dover poi scappare via in fretta per evitare di farsi scoprire un minuto dopo che il senpai uscisse dalla vasca. Almeno, non più di un paio di volte, ecco.
In ogni caso, il senpai ultimamente è andato spesso in piscina di notte, da solo, per nuotare, ed Aiichiro non sa bene perché, ma gli piace che il senpai lo faccia, perché ha una bella espressione mentre galleggia immobile, dondolando sulla superficie, con gli occhi chiusi e un sorriso largo e soddisfatto a piegargli le labbra. È proprio carino— non che Aiichiro lo direbbe mai al senpai, naturalmente. Il senpai si arrabbierebbe ed Aiichiro non vuole farlo arrabbiare. Anche perché il senpai, quando si arrabbia, lo minaccia di cambiare stanza, ed anche se questa minaccia ha cominciato a diventare più un gioco a due che una minaccia vera, negli ultimi tempi – “Ai, sistema la scrivania o cambio stanza!” “Ai, pulisci per terra o cambio stanza!”, “Ai, fai tutti i tuoi compiti o cambio stanza!” “Ai, butta qualcuna di quelle orribili statuette a forma di mucca o cambio stanza!” – ad Aiichiro non piace sentirglielo dire, e perciò cerca di fare il possibile per non farlo arrabbiare.
Così com’è adesso, le braccia larghe ai lati del corpo, le gambe appena divaricate, il capo lievemente rovesciato all’indietro, i capelli che galleggiano appena sotto la superficie dell’acqua, allargandosi in una chiazza rossa scura attorno alla sua testa, il senpai sembra fluttuare nel vuoto, ed è bellissimo. Sembra così libero, così felice. Aiichiro sa che è importante, per lui, e cerca di non disturbarlo. Sa che dovrebbe andare via, se non vuole che finisca come tutte le altre volte— no, come quelle due volte che è rimasto troppo a lungo ed ha rischiato di farsi scoprire, ma non riesce a muoversi. Il senpai è così bello. Aiichiro sogna di essere bello nello stesso modo, un giorno. Anche se forse non è essere così bello che vorrebbe, forse vorrebbe solo poter dire “è mio” quando pensa a quanto bello è il senpai.
- Ai. – dice il senpai all’improvviso, ed Aiichiro sente il cuore arrampicarsi fino in gola e soffocarlo, - Vieni fuori, dai.
Per un attimo, Aiichiro accarezza la possibilità di fingere di non trovarsi lì, voltare le spalle e scappare. Il senpai non può averlo visto, forse, se corre via, alla fine si convincerà di esserselo immaginato. Ma le sue gambe si muovono come dotate di una volontà propria, rispondendo alla richiesta del senpai nell’unico modo possibile, ed Aiichiro viene fuori dal suo nascondiglio, vergognandosi come mai in vita sua, stringendosi nelle spalle e guardando fisso il pavimento, avanzando a passettini minuscoli, come un bambino colto in flagrante a fare qualcosa che gli era stato esplicitamente proibito di fare.
- Senpai… - biascica, fermandosi a bordovasca e guardando altrove, - Mi dispiace.
Il senpai continua a sorridere, galleggiando indisturbato, e non apre nemmeno gli occhi, per rispondere.
- Ti sembro arrabbiato? – chiede.
No, il senpai non sembra arrabbiato. Ed Aiichiro lo sa com’è il senpai, quando si arrabbia, perciò scuote il capo. Poi si ricorda che il senpai non può vederlo e, un po’ imbarazzato, ripete la propria risposta ad alta voce. Troppo alta, forse, perché il suono riecheggia fastidiosamente, rimbalzando sulle pareti piastrellate e ritornando alle sue orecchie distorto.
Il senpai apre gli occhi, e finalmente lo guarda. Ma non smette di sorridere.
- Sei nervoso? – domanda.
Aiichiro guarda altrove, scrollando le spalle senza rispondere perché sa che, se parlasse, la sua voce finirebbe per tremare, tradendolo.
- Ti va di nuotare con me? – domanda il senpai, ed Aiichiro non riesce a trattenersi dal voltare di scatto il capo per guardarlo ed assicurarsi che stia dicendo sul serio. Da quando ha riallacciato i rapporti coi suoi amici d’infanzia, il senpai è diventato una persona molto meno complicata, da gestire, ma Aiichiro non l’ha mai visto così sereno, così disponibile, così completamente felice e rilassato. È una cosa preziosa, scopre all’improvviso, questo sorriso così tranquillo. Anche nei suoi momenti migliori, prima di adesso il senpai ha sempre avuto qualcosa di cupo, negli occhi e nel sorriso, qualcosa che tradiva immediatamente il suo nervosismo, la sua insoddisfazione, la sua infelicità.
Non c’è più traccia di quell’ombra sul suo volto, adesso, e nel notarlo, nel rendersene conto, Aiichiro arrossisce, e non ha più bisogno di ammettere niente, perché quello che prova diventa immediatamente così chiaro, dentro di lui, da non rendere necessaria nessuna confessione.
Annuisce impercettibilmente, con un movimento minuscolo che però il senpai nuota lo stesso, e sfila la maglietta ed i pantaloni del pigiama. È un po’ imbarazzato all’idea di nuotare indossando la biancheria intima, ma in questo momento non potrebbe rifiutare un invito del senpai neanche se fosse una richiesta assurda e impossibile, per cui decide di ignorare l’imbarazzo e, dopo essersi seduto sul bordo, lasciarsi scivolare all’interno della piscina.
Si immerge completamente, restando al di sotto della superficie per qualche secondo per godersi il calore dell’acqua sulla pelle. Può ancora percepire il senpai muoversi da qualche parte attorno a lui, ondeggiare appena le gambe e le braccia per rimanere a galla.
Quando riemerge, il senpai quasi sembra aspettarlo. I capelli bagnati gli si appiccicano addosso, sulle guance e sul collo, ed Aiichiro deve combattere l’impulso di scostarglieli di dosso solo per toccarlo, perché non l’ha mai visto più bello di così.
- Come… - domanda, la voce un po’ arrochita dall’imbarazzo e dal prolungato silenzio, - Come facevi a sapere che ero lì?
- Non sei molto discreto, quando segui le persone. – ride il senpai, ed anche la sua risata riecheggia per tutta la piscina, come la voce di Aiichiro, ma al contrario di quello della sua voce ad Aiichiro sembra il suono più piacevole di sempre. – Ho sempre saputo che venivi a spiarmi.
- Non ti spiavo! – protesta animatamente lui, aggrottando le sopracciglia, - Volevo solo essere sicuro che stessi bene, senpai!
- Cosa pensavi che avrei potuto fare? – ride ancora il senpai, allungando una mano a scompigliargli il caschetto bagnato sulla testa, - Ti sembro uno che fa cose stupide? Ti preoccupi sempre per delle cose ridicole.
Imbarazzato, Aiichiro abbassa lo sguardo.
- Non posso fare a meno di preoccuparmi. – ammette, le guance pallide che si colorano appena, - Forse è verso che non sei una persona che fa cose stupide, senpai, ma prima… quando andavi via… e volevi stare da solo… be’, quella era una cosa altrettanto stupida, da fare! – dice, tornando a guardarlo, - Non dovresti mai stare da solo, senpai. Qualsiasi cosa— qualsiasi cosa tu debba affrontare, puoi affrontarla con— con noi.
Il sorriso del senpai di allarga appena, gli occhi che si riducono a due fessure, brillanti come quelli dei gatti.
- Con voi o con te? – domanda, prendendolo in giro.
Indispettito, Aiichiro si immerge nell’acqua fino al naso e borbotta qualcosa. Le sue parole generano un piccolo vortice di bollicine che risale in superficie e poi si disperde, ed il senpai ride ancora, ma il suono della sua risata è diverso, non assomiglia a nessun’altra delle risate che Aiichiro gli ha sentito fare. È un suono dolce. Ed Aiichiro vorrebbe poter dire “è mio” anche di questo.
- Sei proprio scemo. – dice il senpai a bassa voce, - Ti preoccupi di cose sceme, ed inventi scuse sceme per seguirmi ovunque, e quando ti scopro e te lo dico ti imbarazzi e ti arrabbi ed è scemo anche questo.
- Senpai! – borbotta lui, piegando le labbra in un broncio offeso, - Smettila di—
- Ma mi piaci per questo. – dice il senpai, e qualsiasi cosa Aiichiro volesse chiedergli di smettere di fare non ha più senso, al momento, perché questo, questo, il senpai può farlo quando vuole. Può dirglielo quando vuole.
- …cosa… - prova a domandare, ma il senpai non gli lascia il tempo di concludere, e si immerge. Resta sott’acqua un minuto, poi due. – Senpai…? – domanda Aiichiro. Il senpai non riemerge. – Senpai! – strilla, e si immerge anche lui, aspettandosi di trovarlo svenuto o chissà che.
Ma il senpai non è svenuto. Il senpai sorride sott’acqua, e lo guarda con gli occhi bene aperti, e anche stavolta sembra quasi aspettarlo, e Aiichiro non sa bene come dovrebbe prenderla, o cosa dovrebbe fare, ma poi il senpai si avvicina in un movimento fluido, appoggia le mani sulle sue spalle per portarlo alla sua altezza, chiude gli occhi e lo bacia.
Dura pochissimo – e non è affatto come Aiichiro aveva sempre immaginato il loro primo bacio; non che l’abbia immaginato più di un paio di decine di volte, comunque – ma è lo stesso abbastanza per confonderlo come niente ha mai fatto prima. Eppure, allo stesso tempo, in qualche modo rende tutto ancora più chiaro.
Il senpai lo lascia andare ed Aiichiro torna a galla, quasi saltando sulla superficie come una boa. Il senpai riemerge pochi istanti dopo, le labbra tirate in un sorriso divertito, e comincia subito a nuotare verso la scaletta. Aiichiro lo osserva passargli oltre e poi si affretta a chiamarlo, correndogli dietro.
- S-Senpai! – grida, - Aspettami!
Il senpai non lo aspetta in acqua, ma si ferma a bordovasca, e quando anche Aiichiro raggiunge la scaletta gli tende la propria mano per aiutarlo ad uscire. Aiichiro arrossisce, ma accetta il suo aiuto, e poco dopo accetta anche l’asciugamano che il senpai gli porge. Ne aveva portati due. Il pensiero lo fa arrossire ancora.
- Ai. – lo chiama quindi il senpai, e Aiichiro solleva istantaneamente lo sguardo su di lui. Lo trova già voltato di spalle, ma ha piegato il collo in modo da potersi guardare indietro. In modo da poter guardare lui. – La prossima volta che mi segui di nascosto, cambio stanza. – lo minaccia sorridendo.
Aiichiro abbassa di nuovo lo sguardo, stringendo l’asciugamano al petto, imbarazzato.
- Scusa, senpai. – dice.
- E poi non hai bisogno di seguirmi di nascosto. – conclude il senpai, scrollando le spalle e cominciando ad allontanarsi, - Puoi venire con me.
Aiichiro solleva lo sguardo un’altra volta, illuminandosi in viso.
- Senpai… - sussurra, - Grazie!
Il senpai non gli risponde, ma ad Aiichiro va benissimo così.
Genere: Erotico.
Pairing: Rin/Ai.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Crossdressing.
- "In questo momento, il fatto che Ai abbia promesso di disfarsi delle cazzo di uniformi e poi non abbia mantenuto la parola è del tutto irrilevante, perché Rin l’ha sorpreso mentre stava provando la sua davanti allo specchio e semplicemente non è riuscito a resistere al desiderio di spingerlo verso il letto, stenderlo sulla schiena ed insinuarsi fra le sue cosce per scoparlo."
Note: Scritta per la Notte Bianca #2 della pagina No, ma io Free! lo guardo per la trama, eh? (♥) su prompt RinAi, p0rn, Nitori aveva promesso di restituire lui le uniformi da maido, ma non l'ha fatto, courtesy of quella mente perversa della Caska. Il RinAi chiama zozzeria infinita e noi lo amiamo per questo.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
TAKE TURNS

In questo momento, il fatto che Ai abbia promesso di disfarsi delle cazzo di uniformi e poi non abbia mantenuto la parola è del tutto irrilevante, perché Rin l’ha sorpreso mentre stava provando la sua davanti allo specchio e semplicemente non è riuscito a resistere al desiderio di spingerlo verso il letto, stenderlo sulla schiena ed insinuarsi fra le sue cosce per scoparlo. Ai ha finto di opporre resistenza per dieci secondi – una litania di “senpai— aspetta— chiudi la porta— se qualcuno ci vede…!” che Rin avrebbe del tutto ignorato se non fosse stata pronunciata con un tono lamentoso che già da solo è stato in grado di farlo eccitare ancora più della vista di Ai fasciato in quel vestitino nero cortissimo, le calze alte strette attorno alle cosce e la crestina fra i capelli corti – poi si è lasciato sfuggire un gemito ed ha gettato indietro il capo. La crestina gli è scivolata via dalla testa ed i suoi capelli chiari si sono sparsi come piccoli raggi di sole attorno a lui, sul cuscino, e Rin ha rinunciato a capirci ancora qualcosa. Ha rinunciato ad arrabbiarsi e si è anche ripromesso di non rimproverare Ai per aver mentito, una volta che avranno finito.
- Senpai…! – geme lui, stringendo le ginocchia mentre serra le dita attorno alle lenzuola, - Per favore…
- Se tieni le gambe così, non vedo niente. – protesta Rin in un ringhio basso e frustrato. Appoggia le mani sulle sue ginocchia e lo costringe a spalancare le gambe in un gesto secco, autoritario, che Ai accoglie con un gridolino strozzato, ma senza protestare. E adesso è nudo, esposto, l’ampia gonna del vestito da cameriera tutta arrotolata gli lascia scoperta metà della pancia, una curva così bianca e morbida che solo a guardarla a Rin viene voglia di smettere di scoparlo solo per chinarglisi addosso e coprirlo di baci e morsi. Ma gli basta guardare più in basso, al punto in cui la sua erezione scivola svelta, senza difficoltà, dentro e fuori dal corpo di Aiichiro, bagnata e lucida di saliva e lubrificante, per farsi passare la voglia di smettere. Non vuole nient’altro, dalla vita, che poter continuare a scoparsi questo ragazzino esattamente com’è conciato adesso, col vestito da cameriera tutto stropicciato addosso, le gambe lisce e bianche, da ragazzina, fasciate in quelle calze strettissime ed i capelli tutti scompigliati sul cuscino, la frangetta arruffata sulla fronte, gli occhi chiusi e le labbra umide bene aperte, mentre il silenzio della stanza si riempie dei loro gemiti, dei loro sospiri e del cigolio irregolare del letto che sembra spostarsi di qualche centimetro ogni volta che Rin si spinge con più forza dentro di lui.
- Senpai, aspetta… - mugola Aiichiro, schiudendo gli occhi azzurri appena umidi di lacrime. Rin lo guarda e non riesce a trattenere l’impulso di chinarsi a baciarlo. Gli morde le labbra, poi ne lecca i contorni con la punta della lingua, lo bacia con foga, affamato, impaziente, e i gemiti di Ai gli vibrano sulle labbra, assieme alle proteste che, finché continua a baciarlo, non sarà mai in grado di pronunciare ad alta voce.
Lo lascia andare più di un minuto dopo, e non ha mai smesso di spingersi con forza dentro di lui, stringendogli le mani attorno ai fianchi per tenerlo fermo nonostante ogni spinta finisse comunque per farlo risalire appena lungo il materasso, verso il cuscino. Adesso, Aiichiro è praticamente seduto, la schiena premuta a metà contro la ringhiera metallica alla testa del letto. Ha le guance arrossate e il suo petto, compresso dal corpetto strettissimo dell’uniforme, si alza e si abbassa affannosamente al ritmo frenetico dei suoi respiri.
- Senpai… - pigola con quella vocetta da bambino che Rin non è mai riuscito a trovare davvero irritante, - Aspetta un secondo, non venire ancora…
- Che cazzo… - borbotta Rin, contrariato. Ma Ai gli ha chiesto di non venire, e quindi lui chiude gli occhi, appoggia la fronte alla sua e rallenta il ritmo delle proprie spinte, ricacciando l’accenno di orgasmo che già gli infiammava il bassoventre indietro fin quanto può, mentre le labbra arrossate di Aiichiro, gonfie ed umide di baci e morsi, si appoggiano lievissime sulle sue tempie, sulle sue guance e sulle sue labbra.
- Bravo… - gli sussurra addosso Ai, strusciando il viso contro il suo come un gattino in cerca di coccole, - Sei sempre così paziente con me, senpai.
- Piantala di dire stronzate e dimmi cosa vuoi. – gli ringhia Rin contro una spalla, approfittando della sua vicinanza per strappare un morso a quella curva così liscia e morbida, e lasciare sulla sua pelle il segno della propria presenza.
- Metti la tua divisa, - miagola Ai, dimenando appena i fianchi, concedendo alla sua erezione di scivolare per appena un paio di centimetri dentro di lui e poi quasi uscirne, - Per favore, anche io voglio… ti prego.
- Vuoi cosa? – ringhia ancora Rin, stringendo con forza le mani attorno ai fianchi di Aiichiro, sentendo la fermezza dei suoi muscoli cedere lievemente sotto la pressione delle proprie dita, - Dimmelo. – quasi lo implora, già pregustando il piacere che solo sentire quella parola gli darà.
- Voglio scoparti, senpai. – bisbiglia Ai, prima di lasciarsi scivolare in bocca il suo lobo e succhiarlo piano, tracciandone i contorni con la punta della lingua.
Rin geme, e si spinge un paio di volte dentro di lui con violenza, fino a sentire lo schiocco della propria pelle umida contro la sua, godendo dei brevi urletti sorpresi con cui Aiichiro accoglie la sua erezione dentro il proprio corpo. Poi si allontana, scivolando fuori dal suo corpo in un gesto fluido e scendendo dal letto senza mai staccargli gli occhi di dosso.
Mentre Rin raggiunge la sedia sulla spalliera della quale giace ripiegata la sua divisa da cameriera, Aiichiro si mette seduto sul letto, la schiena contro la parete, e si masturba lentamente, quasi pigramente, mordicchiandosi le labbra di tanto in tanto mentre lo osserva indossarla il più velocemente possibile.
Quando Rin finisce di tirarsi su le calze, Ai si solleva sulle ginocchia e tende le braccia verso di lui in un gesto impaziente, e Rin quasi gli corre incontro, salendo sul letto e stringendoselo contro. Le loro labbra impattano in un bacio famelico a metà strada, ma Rin ne sfugge in fretta, si stende sullo stomaco e poi solleva il bacino. La gonna gli si solleva subito, scivolando lungo la curva sinuosa della sua schiena, ed in pochi secondi può già sentire le mani di Ai massaggiargli le natiche, poi esporre la sua apertura, e subito dopo sente addosso la sua bocca, la sua lingua che si fa strada dentro di lui mentre le sue dita delicate e lievemente umide massaggiano delicatamente i suoi testicoli.
Rin geme senza ritegno, spingendo indietro il bacino per chiedere di più, ed Ai non lo fa aspettare. Si solleva ancora sulle ginocchia, tira su la gonna e poi stringe la propria erezione fra le dita, guidandola dentro di lui. Rin inarca la schiena e si lascia sfuggire dalle labbra un gemito carico di piacere, mentre ondeggia i fianchi per assecondare le spinte di Ai, che si fanno sempre più svelte man mano che il ragazzino sente l’orgasmo farsi più vicino.
- Senpai— - piagnucola Aiichiro, chinandosi su di lui e nascondendo il viso fra i suoi capelli, - Sto per venire—
E Rin non dice niente, si limita a stringere la propria erezione fra le dita, masturbandosi svelto mentre il piacere porta i suoi muscoli a contrarsi in spasmi involontari e violenti attorno all’erezione di Aiichiro, causandogli un orgasmo che arriva quasi troppo all’improvviso, e che lo lascia confuso, intontito dal piacere, quasi sdraiato sulla schiena tesa di Rin mentre anche lui viene, sporcando la gonna che si è allargata sotto di lui a causa dei loro movimenti frenetici.
Rin si lascia andare steso sul letto, respirando a fatica, la faccia seminascosta contro il cuscino. Ai sembra incapace di muoversi per minuti interi, poi scivola fuori dal suo corpo e si scava un posto sotto il suo avambraccio, stringendosi fra il suo petto e il materasso mentre Rin, infastidito da tutti quei movimenti e dall’ondeggiare del letto sotto i loro corpi, borbotta qualcosa di incomprensibile.
- Senpai, per favore, non farmi ridare indietro queste uniformi. – chiede Aiichiro, stringendogli le braccia attorno al collo e guardandolo con aria supplice, - Voglio usarle ancora qualche volta, prima di riportarle al negozio!
- Se le usassimo ancora “qualche volta”, Ai, altro che riportarle al negozio. – sospira Rin, - Ci toccherà bruciarle.
Ma Aiichiro piega le labbra in quel broncio da bambino al quale Rin è completamente incapace di resistere, e lui sa già che queste cazzo di uniformi finiranno per tenerle a tempo indeterminato.
Genere: Erotico.
Pairing: Makoto/Rin.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, AU.
- "Non c’è abbastanza luce, nella stanza, per riuscire anche solo ad intravedere il viso dell’uomo nascosto dai pesanti tendaggi che scendono dal baldacchino, avvolgendo il letto in una coltre scura e pesante che contribuisce a rendere l’ambiente soffocante."
Note: Scritta per la Notte Bianca #2 della pagina No, ma io Free! lo guardo per la trama, eh? (♥) su prompt Arabian!Au. Rin ordina a Makoto di farlo con lui.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
THE DEAL

Non c’è abbastanza luce, nella stanza, per riuscire anche solo ad intravedere il viso dell’uomo nascosto dai pesanti tendaggi che scendono dal baldacchino, avvolgendo il letto in una coltre scura e pesante che contribuisce a rendere l’ambiente soffocante.
- Avvicinati. – dice il sultano. La sua voce è profonda, ruvida. Makoto sospira, avvicinandosi di un passo. Un altro come ne ha visti tanti, nel corso dei suoi viaggi, convinti che un regno, del denaro, una corona immaginaria possano renderti padrone di qualcosa al di là dei confini di ciò che possiedi.
- Va bene, così? – domanda, cercando di mostrarsi cortese, stirando un sorriso gentile sulle labbra.
- No. – risponde il sultano al di là delle tende, la voce carica di disappunto. – Più vicino. Non riesco a vederti.
Makoto si avvicina ancora.
- Forse sarebbe stato più semplice, - suggerisce, - Se vostra maestà avesse accettato di incontrarmi fuori. Sicuramente sarebbe stato più facile, per voi, capire cosa acquistare.
Il sultano non risponde immediatamente. Makoto resta in silenzio, ascoltando il lieve fruscio delle lenzuola sotto il suo corpo quando si sposta fra i cuscini.
- Cosa acquistare? – chiede infine.
Makoto sorride, stringendosi nelle spalle, lievemente imbarazzato.
- Tutta la mia merce, - spiega, - È nel mio carro. Non l’ho portato con me all’interno del palazzo, ovviamente.
- Ovviamente. – gli fa eco il sultano, ma c’è una punta di scherno, nella sua voce. – E cosa ti fa pensare che mi interessasse acquistare qualche articolo di quelli che tieni in vendita lì? – domanda retorico.
Preso alla sprovvista dalla domanda inattesa – e, considerato il contesto, abbastanza surreale – Makoto indietreggia appena.
- Sono un mercante, maestà. – dice titubante, - Vendere merce è quello che faccio.
- Lo spero bene. – risponde il sultano. Makoto lo ascolta sollevarsi in ginocchio ed avvicinarsi ai tendaggi. Poi, le sue dita abbronzate, cariche di anelli, spuntano attraverso uno spiraglio fra gli strati di tessuto, e ne scostano i lembi. Makoto osserva il resto del suo corpo emergere come apparendo da dietro un sipario, e trattiene il respiro. – Non è per comprare la tua merce che ti ho fatto venire qui. – spiega il sultano. C’è un sorriso malizioso, quasi felino, a piegare le sue labbra, e le linee dritte e dure del suo corpo sono perfettamente visibili nonostante l’ampia, voluminosa veste che indossa, e che gli lascia scoperti gli avambracci ed il collo, anch’essi, come le dita, carichi di pesanti gioielli d’oro.
- Per quale motivo, allora, maestà? – domanda Makoto, deglutendo a fatica, e poi, rendendosi conto della propria impertinenza, si affretta ad aggiungere: - Se posso chiedere.
Il sultano sembra divertito da quell’esitazione, e scivola sinuoso giù dal letto, avvicinandosi a Makoto lentamente, un passo dopo l’altro. Sembra studiarlo, gli occhi che si muovono attenti per coprire l’intera superficie del suo corpo – i capelli corti, gli occhi verdi, il petto abbronzato – e Makoto ha come l’impressione che, se non la giudicasse una cosa sconveniente, si metterebbe a girargli intorno per osservarlo da ogni lato, per valutarlo come una bestia acquistata al mercato, ed improvvisamente gli sembra di capire il motivo per cui si trova lì, da solo, senza la sua merce, e tutti i muscoli del suo corpo si tendono in uno spasmo nervoso.
- Non potresti chiedere. – risponde infine il sultano, sollevando le mani ed appendendole alla cintura mollemente annodata attorno ai fianchi, - Ma ti risponderò lo stesso. – sorride. – Quando sono entrato in città, ho notato subito che possedevi qualcosa di interessante. Non fra gli scaffali del tuo misero carretto, però. – aggiunge, il sorriso che si allarga, mostrando le punte affilate dei denti bianchissimi, da predatore.
Makoto rabbrividisce, cercando di deglutire senza però riuscirci.
- …maestà—
- Se pensi che ti lascerò uscire da questo palazzo senza essere soddisfatto dalla transazione, - lo interrompe immediatamente il sultano, prima di lasciargli il tempo di protestare, - Sei fuori strada. O non mi conosci. – sorride ancora, sicuro di sé, - Vedi, in qualche modo io ottengo sempre ciò che voglio. – solleva una mano, appoggiandogliela al petto, e poi la lascia scivolare verso il basso, le dita che si chiudono attorno al colletto della giacca e ne scostano i lembi, scoprendo centimetri di pelle abbronzata al di sotto, - Sono disposto a pagare, ma se il denaro non dovesse essere abbastanza, troverò qualche altro modo per convincerti.
Makoto si lascia attraversare da un brivido di paura. Mentre tenta di mantenere i nervi saldi, quel brivido non è neanche del tutto spiacevole.
- Maestà, - prova a dire, - Sono sicuro che una cortigiana riuscirebbe a soddisfare i vostri desideri molto meglio di come potrei mai riuscire io.
Il sultano lo squadra dall’alto in basso senza vergogna, e poi scuote il capo.
- Non penso proprio. – risponde.
Makoto deglutisce e guarda altrove.
- …allora forse un cortigiano, se—
- Sta’ zitto. – ordina il sultano, guardandolo improvvisamente negli occhi. Makoto obbedisce, trattenendo il respiro e stringendo i pugni lungo i fianchi, attorno al tessuto ruvido dei pantaloni.
Il silenzio si fa pesante, all’interno della stanza, mentre il sultano solleva una mano e la lascia scivolare nuovamente all’interno della giacca di Makoto, quasi strattonandogliela via di dosso. Makoto fa del proprio meglio per restare immobile, nonostante le spinte secche del sultano, ma quando si ritrova mezzo nudo, la giacca abbandonata sul pavimento ai suoi piedi e solo i pantaloni rimasti a coprirlo, non può fare a meno di tremare impercettibilmente.
Non impercettibilmente abbastanza perché il sultano non se ne accorga, però.
- Hai paura? – domanda, lanciandogli un’occhiata indecifrabile. Incerto su come rispondere, Makoto preferisce non dire niente. – Fai bene. – risponde da sé il sultano, poggiando entrambe le mani sui suoi fianchi e saggiandone la consistenza al di là del tessuto dei pantaloni, ma non è davvero paura, quella che Makoto sente. È un brivido strano, diverso, che gli si appiccica alla pelle come l’aria calda e umida e pesante d’incenso che riempie la stanza, rendendo ovattati i suoni.
Le dita del sultano si agganciano attorno all’elastico che tiene chiusi i pantaloni di Makoto, e tirano. Il sultano indietreggia verso il letto, e Makoto avanza, seguendo il suo ordine silenzioso e implicito, e poi si ferma quando lui lo lascia andare e si siede sul letto. Makoto lo guarda dall’alto e ha l’impressione di trovarlo molto più piccolo di quanto non sembrasse quando era in piedi. C’è una luce quasi infantile, nei suoi occhi, una scintilla che gli accende qualcosa dentro. Senza accorgersene, si morde un labbro, e quando lo realizza capisce che si sta trattenendo.
Lo capisce anche il sultano, sulle cui labbra si apre un sorriso soddisfatto, superiore. Makoto lo osserva indietreggiare, sollevarsi sul materasso e poi scivolare fino a ritrovarsi seduto, le spalle contro la pesante testiera decorata in legno massiccio. Resta immobile solo per una frazione di secondo, un tempo minimo che Makoto è comunque perfettamente in grado di dilatare fino a percepirlo come un secolo di attesa. Poi schiude le gambe, e Makoto trattiene il respiro, ma non riesce a trattenere il gemito che gli sale alle labbra nell’accorgersi che il sultano è nudo, sotto la ricca veste che indossa.
- Vieni. – dice il sultano, sollevando una mano per sciogliere il turbante annodato sulla testa. I suoi capelli rossi scivolano in ciocche lisce ma ribelli lungo le sue guance ed il suo collo, e sulla fronte, e sugli occhi. Le scosta con un gesto distratto, abitudinario, e poi lascia le dita fra i capelli, a tenerli indietro, mentre inclina il capo. – Scopami. – dice.
La prima reazione del corpo di Makoto è uno slancio in avanti, interrotto solo dal letto, contro il quale le sue ginocchia sbattono quando prova ad avvicinarsi senza guardare in basso. Indietreggia appena, con un gemito addolorato, e il sultano ride, scuotendo il capo, ma non commenta, e di questo Makoto gli è grato.
Sfila i pantaloni, nonostante il sultano non gliel’abbia chiesto esplicitamente, ma sa di aver fatto bene quando i suoi occhi scrutano affamati fra le sue gambe, e lì si fermano, l’ombra di un sorriso soddisfatto a piegargli le labbra. È facile, in quell’ambiente chiuso, perdere il senso della realtà, e smettere di chiedersi se questo gioco non sia in realtà troppo pericoloso, se la transazione, come l’ha chiamata il sultano, sarà vantaggiosa per entrambi. Makoto si arrampica sul letto e scivola senza difficoltà fra le cosce dischiuse del sultano, che si stende sotto di lui e solleva il bacino, strusciandoglisi addosso lentamente, leccandosi le labbra.
Makoto geme al contatto delle loro pelli, ma quando prova a stringerlo fra le braccia il sultano lo scaccia senza troppe cerimonie, scuotendo il capo.
- Non voglio questo, da te. – spiega, premendogli una mano contro il petto. Makoto indietreggia, spaventato, ma il sultano si limita a ribaltare le loro posizioni, sollevandosi sulle ginocchia e forzandolo a stendersi sulla schiena. – Voglio questo. – dice, e Makoto lo osserva schiudere le gambe, salirgli a cavalcioni addosso e poi discendere su di lui, muovendosi lentamente avanti e indietro.
Makoto solleva entrambe le mani e le chiude con forza attorno ai fianchi del sultano. Poi, infastidito dalla sensazione tattile dei vestiti, anziché della pelle tiepida e lievemente sudata, sotto i polpastrelli, si affanna a scivolare al di sotto del tessuto. Le sue dita si stringono attorno alla sua vita sottile ma muscolosa, impongono un ritmo diverso ai suoi movimenti, e le labbra del sultano si schiudono in una serie di gemiti sorpresi, mentre si appoggia con entrambe le mani al petto di Makoto per non cadergli addosso.
Funziona per meno di un paio di minuti. Poi, i gemiti del sultano si trasformano in sbuffi frustrati, ma prima ancora che Makoto possa temere di non essere in grado di riuscire a soddisfarlo, il sultano si solleva appena, afferra la sua erezione tra le dita e poi la guida all’interno del proprio corpo senza neanche bisogno di guardare in basso, dopo averne strusciato la punta già bagnata contro la propria apertura un paio di volte.
Scende su di lui lentissimo, e lo fa apposta, torturandolo. Makoto geme e serra le mani attorno ai suoi fianchi, cercando disperatamente di tirarselo addosso, ma il sultano sorride, oppone resistenza e si rifiuta di muoversi seguendo alcun desiderio che non sia il proprio, e Makoto si rassegna, ma quando lo vede gettare indietro il capo ed esalare un gemito arreso capisce che in realtà non si trattava di una guerra, che nessuno vince o perde, che c’è solo uno scambio, e si rilassa.
Il sultano si muove sopra di lui, lento all’inizio, poi più svelto. Makoto abbassa lo sguardo e vede flash della propria erezione apparire e scomparire all’interno del suo corpo, e poi sente il calore umido del corpo del sultano attorno a sé, sente le contrazioni forti dei suoi muscoli attorno alla sua erezione che, con prepotenza, si scava un posto proprio in profondità dentro al suo corpo, e le sue dita scattano a chiudersi attorno all’erezione svettante del sultano, come dotate di vita propria.
Lo masturba velocemente, la mano grande, dalle dita lunghe, avvolta completamente attorno a lui, ed il sultano adesso non si limita più a scivolargli addosso per prenderlo più profondamente possibile, ma quando si solleva lo fa spingendo la propria erezione all’interno dell’incavo della sua mano chiusa.
I suoi movimenti si fanno più affrettati, meno precisi, ma Makoto, seguendo l’onda dell’orgasmo che monta nel bassoventre, non se ne accorge nemmeno. Vede il sultano tremare, percepisce la fatica nei muscoli tesi delle sue cosce, nei tendini contratti sotto le ginocchia e sulle braccia, ma il piacere non diminuisce, anzi, sembra gonfiarsi, gonfiarsi e basta da qualche parte dentro di loro, e come epicentro ha quell’unico punto in cui i loro corpi si uniscono, e da quell’unico punto poi esplode, diffondendosi sottopelle come una scarica elettrica, e Makoto lo accoglie gettando indietro il capo in un urlo affaticato, ed il sultano invece lo accoglie lasciandosi ricadere seduto su di lui, sentendo la sua erezione premere profondissima dentro di lui, sentendola aprirsi un ultimo spazio sentendo l’orgasmo di Makoto riversarsi in schizzi caldi dentro al suo corpo.
Makoto apre gli occhi a fatica, il petto che si alza e si abbassa al ritmo dei propri respiri affannati. Il sultano ha gli occhi aperti ma appannati, e le labbra dischiuse, umide. Makoto prova l’impulso improvviso di baciarlo, e non è in grado di trattenersi. Lo afferra per la nuca, trascinandolo in basso, premendo le proprie labbra contro le sue e lasciandovi scivolare la lingua in mezzo in una carezza affamata approfittando di quell’unico momento di esitazione che il sultano si concede prima di cominciare a dimenarsi e premere entrambe le mani contro il suo petto nel tentativo di allontanarsi.
Le sue rimostranze durano un paio di secondi, poi si spengono lentamente, ed il sultano si lascia baciare. Una piccola vittoria per festeggiare la quale Makoto si concede un sorriso.
Il sultano si solleva in piedi, guardando in basso con disappunto.
- Non farlo mai più. – lo rimprovera, - A meno che non sia io a chiedertelo.
- Vuol dire che ci sarà una prossima volta? – domanda Makoto con un sorriso. Il sultano risponde con uno sbuffo e poi si allontana da lui, risistemandosi addosso i vestiti ed allontanandosi verso una zona più appartata della stanza, oltre il baldacchino, dove lo sguardo di Makoto non può seguirlo.
Makoto si alza in piedi e raccoglie i propri indumenti da terra. Li indossa sbrigativamente e poi, quando la sua nudità non è più un problema imbarazzante, se li sistema addosso. Poi si volta, e nota che il sultano è tornato indietro, si è appoggiato con una spalla ad una delle colonne di legno intagliate che reggono il baldacchino ed ha incrociato le spalle sul petto, ed ora lo osserva con aria fintamente annoiata, un po’ impaziente.
- Allora? – sbotta, - Che ci fai ancora qui?
Makoto si concede una mezza risata che nasconde dietro una mano.
- Vostra maestà. – lo saluta con un inchino.
- Rin. – lo corregge lui, guardando altrove, le guance appena arrossate, - Chiamami Rin.
Makoto sorride ancora, ma nessuno dei due dice altro.
Quando, un paio di giorni dopo, Makoto riceve un altro invito per presentarsi a palazzo, non si preoccupa più di dover lasciare la sua merce indietro.
Genere: Erotico.
Pairing: Haruka/Rin/Makoto.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Threesome, Shota.
- Rin invita Haruka e Makoto a passare un pomeriggio insieme, convinto che nel pomeriggio potranno andare in spiaggia a nuotare. Peccato che si metta a piovere, e lui si ritrovi improvvisamente obbligato a trovare un modo per passare il tempo.
Note: Non so, ieri a una certa m'è presa di scrivere porno shota ed oggi verso sera avevo 4k di roba che potrebbe anche essere la più zozza che io abbia scritto quest'anno, almeno fino ad ora XD Evviva Free!, evviva l'OT3, evviva gli shotini, evviva le turbe mentali di Rin e il cazzo enorme di Makoto. *cough*
Scritta per la quarta settimana del #summerCOWT, su prompt pioggia d'estate, per votare per la splendida Artémis ♥
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THUNDERSTRUCK

Fuori piove già da un po’, e Rin sente di aver esaurito tutte le proprie risorse. Hanno giocato ai videogiochi, hanno guardato i cartoni animati, hanno parlato di cosa vogliono fare per il resto dell’estate – per due ore circa Rin si è divertito a descrivere nel dettaglio tutto ciò che farà in Australia quando si sarà trasferito, godendo sottilmente, quasi senza accorgersene, sia dell’espressione corrucciata di Haruka sia di quella più triste di Makoto che lo fissava – ed adesso non c’è davvero più niente da fare, e fuori continua a piovere.
Non dovrebbe piovere così, d’estate. L’estate non è una stagione da pioggia, l’estate dovrebbe essere una stagione calda per andare a fare il bagno, così Haruka non guarderebbe più fuori dalla finestra con l’aria di voler colare giù dal davanzale assieme alle gocce che si schiantano contro il vetro, e Rin non dovrebbe stare lì a fare il buffone per intrattenere lui e Makoto. Dopotutto è stata una sua idea quella di passare il pomeriggio insieme. Se loro si annoiano, è colpa sua. Se si annoiano, non vorranno più passare il tempo con lui, e invece hanno una staffetta da affrontare insieme di lì a poche settimane, e Rin non vuole che si allontanino. Non Haruka e Makoto, non adesso, almeno.
Sarebbe molto più facile se potessero uscire. Non piove così forte, Rin è sicuro che riuscirebbero ad arrivare in spiaggia e potrebbero fare il bagno. Magari non potrebbero allontanarsi troppo dalla riva, ma almeno Haruka, una volta a mollo, sarebbe tranquillo. Makoto, probabilmente, invece no, ma Rin non può pensare a troppe cose tutte insieme. Troppe cose tutte insieme lo confondono, e se deve per forza stabilire una scala di priorità non può certo prendersi in giro e mettere chiunque non sia Haruka al primo posto.
Mamma, però, quando le ha chiesto se potevano almeno uscire a fare una passeggiata, non ha voluto saperne. Lo conosce, e deve avergli letto negli occhi qualcosa che non l’ha convinta, perché ha negato risolutamente e ha detto a tutti e tre di tornare in camera a giocare. Poco dopo, ha portato loro del succo di frutta e dei biscotti, dicendo “visto? Potete divertirvi anche in casa”, e poi è andata via.
Adesso i bicchieri sono vuoti da un pezzo e sul piattino di porcellana bianca non sono rimaste che poche briciole, ma il problema resta, e loro non si stanno divertendo affatto.
- Ohi, Makoto. – sbuffa Rin, sollevando lo sguardo su di lui senza però sollevare la testa dalle braccia incrociate sul tavolo, - Ti va di fare una gara?
Makoto inarca le sopracciglia, fissandolo con evidente preoccupazione. Si sente in imbarazzo perché Rin si è rivolto a lui e non ad Haruka, ma allo stesso tempo è consapevole che si trattasse di una cosa ovvia. Da quando si sono incontrati la prima volta, volendo fare una gara Rin non ha mai chiesto ad Haruka. Forse perché ha perso la prima – anche se quella non è che fosse proprio una gara ufficiale – e non ci tiene a ripetere l’esperienza tanto presto.
- Una gara? – domanda Makoto, sbattendo le ciglia, - Che gara?
Rin non lo sa, ovviamente. Tutto quello che sa è che il suo cervello gli ha ordinato di inventarsi qualcosa per combattere la noia e quell’insopportabile sensazione di immobilità, e l’unica cosa alla quale è riuscito a pensare abbastanza in fretta è stata la parola “gara”. È sempre la parola “gara”.
Mentre si arrovella, cercando qualcosa da dire per non sembrare stupido, gli torna in mente la piscina, e i ragazzi più grandi sotto le docce. Si è fermato ad osservarli di nascosto più spesso di quanto non sia intenzionato ad ammettere anche con se stesso, ma ricorda le loro parole, i loro scherzi e le loro risate. Le labbra gli si arricciano in un sorriso furbo mentre piega appena il capo in un gesto inconsapevolmente provocante, i capelli rossi che gli scivolano sul collo, scoprendolo e solleticandogli la nuca.
- Facciamo una gara a chi ce l’ha più grosso. – dice.
La reazione di Makoto è immediata: stringe le mani a pugno e si irrigidisce tutto, spalancando gli occhi. Raddrizza la schiena, allontanandosi impercettibilmente.
- Ma… - balbetta, - Ma, Rin…
- Cosa? – ghigna lui, sollevando la testa, - Ti vergogni? – lancia un’occhiata ad Haruka ed il suo ghigno si allarga ancora di più, - Non vuoi farglielo vedere?
L’espressione di Haruka non cambia di un millimetro, ma d’altronde raramente capita che lo faccia, per cui Rin non se ne preoccupa. Torna a guardare Makoto, invece. Makoto che, nel frattempo, è arrossito fino alla punta delle orecchie e si sta agitando tutto, le gambe che tremano, piegate sotto il tavolo basso, e le braccia che si agitano a mezz’aria.
- Ma è che— - pigola imbarazzato, - E’ che, Rin—
- Smettila di fare il bambino. – la voce di Haruka risuona nell’aria completamente immobile della cameretta di Rin, ed è seguita da un silenzio che si prolunga, nel quale si sente solo il picchiettare della pioggia contro il vetro della finestra. – Non hai niente di cui vergognarti.
- Giusto! – gli fa eco Rin, euforico, entusiasta di aver trovato qualcos’altro da fare prima di cena, - Visto? E poi lo faremo insieme, al mio via ci abbasseremo i pantaloni nello stesso momento, così nessuno dovrà farlo per primo. E visto che non possiamo essere obbiettivi, Haru sarà il giudice.
- Che— Che cosa?! – geme Makoto, stridulo, arrossendo ancora di più, - No!
- Per me va bene. – scrolla le spalle Haruka, appoggiandosi al pavimento con entrambe le mani e stendendo le gambe.
- Ma nessuno mi sta a sentire? – piagnucola Makoto, abbassando lo sguardo. Rin gli offre in risposta solo una risata, e poi lo afferra per le spalle, tirandogli la maglietta per costringerlo ad alzarsi. Controvoglia, Makoto non può che obbedire, spinto dalla sua ostinazione e dallo sguardo fisso di Haruka, ed in pochi secondi si sistemano entrambi in piedi, l’uno accanto all’altro, proprio di fronte a lui.
- Okay. – dice Rin, - Sbottoniamoci i pantaloni.
Le mani di Makoto tremano, ma obbediscono quando Rin sfila il bottone dall’asola per primo, e poi abbassa la cerniera dei jeans che indossa. Haruka li fissa senza emozione, sbattendo le ciglia di tanto in tanto, con l’aria di uno che guarda qualcosa di molto noioso solo perché sa che fra un po’ lo spettacolo comincerà a cambiare ritmo.
- Ready, - dice Rin in un inglese quasi del tutto privo di accento, - Set, go!
Il fruscio dei pantaloni che scivolano lungo le loro gambe è lievissimo, ma riesce comunque a cancellare il rumore della pioggia per un paio di secondi. Rin abbassa lo sguardo su se stesso e sorride compiaciuto, oggi è in giornata buona.
Poi si volta a guardare Makoto, e gli casca il mondo addosso.
L’uccello di Makoto è enorme. E Rin non è un grande esperto di tredicenni, ora che ci pensa non gli è ancora mai capitato di vedere quello di Haruka e Nagisa sotto la doccia, perché loro smettono sempre di nuotare prima di lui, così come Makoto, e non capita mai che vadano via insieme, ma in compenso ha visto quelli di un sacco di ragazzi più grandi, e Makoto è gigantesco, è grosso quasi come quelli lì, è grosso da fare paura, è grosso da perderci la testa.
I pensieri gli si accalcano nel cervello senza che lui riesca a frenarli o ad ordinarli, gli si agitano nella testa immagini disturbanti, e su tutte l’istantanea così recente di quel coso enorme, così enorme che vorrebbe guardare altrove ma non ci riesce. Gli si stringe lo stomaco in una morsa che quasi gli mozza il respiro. Non si rende conto di aver cambiato espressione, ma Haruka lo vede, e le sue labbra si piegano in un ghigno divertito che non gli aveva mai visto addosso prima d’ora.
- Mi sa che abbiamo un vincitore. – dice atono. Rin arrossisce violentemente.
- Sta’ zitto! – urla, la voce appena un po’ troppo alta e stridula. Si schiarisce la gola e torna a guardare Makoto. – Ma com’è possibile? – bisbiglia avvicinandosi, quasi piegato in due per osservarlo meglio. Stupito da quel gesto, Makoto si ritrae, accennando a tirarsi su i pantaloni, ma Rin gli stringe i polsi fra le dita, fermandolo. – Aspetta! – dice, - Fammi guardare.
- Ma Rin, - piagnucola Makoto, gli occhi pieni di lacrime d’imbarazzo, - Per favore!
- Smettila di fare la bimbetta! – abbaia Rin, rimproverandolo aspramente, - Fammi vedere. – conclude più tranquillamente. Poi si mette in ginocchio proprio di fronte a lui, ed allunga una mano nella sua direzione, sfiorandone la lunghezza con due dita. Lo sente rabbrividire sotto i polpastrelli, e quel brivido gli passa addosso come se Makoto gliel’avesse attaccato.
- Rin, no. – mugola, afferrandogli un polso e stringendo, - Non— se lo tocchi—
- Lo so benissimo cosa succede se lo tocco, Makoto. – sbuffa Rin, lanciandogli un’occhiata infastidita, - Sei proprio scemo.
- Ma se lo sai, non farlo, no?! – sbotta Makoto, strattonandogli un po’ la mano per costringerlo a lasciarlo. Rin si rifiuta, però, e stringe le dita attorno a lui, massaggiandolo piano.
- E smettila. – dice, tutto assorto in quello che sta facendo, - Voglio vedere come diventa. Se è così grosso adesso…
- Rin… - Makoto geme, serrando le dita attorno al polso di Rin senza però più provare ad allontanarlo, come se avesse soltanto bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Rin gli lancia un’occhiata dal basso, arricciando le labbra in un mezzo broncio, ed al solo vederlo Makoto arrossisce così violentemente che Rin non può fare a meno di sorridere, solleticato da un’idea estemporanea.
- Voglio provare. – dice. Makoto spalanca gli occhi e trattiene il fiato.
- No! – quasi strilla, terrorizzato, - No, Rin, aspetta!
Ma Rin non aspetta, d’altronde non l’ha mai fatto. Non pensa neanche che c’è Haruka, ancora seduto da qualche parte nella stanza, che li guarda e chissà cosa pensa. A Rin non interessa poi tanto, per adesso. Le reazioni di Makoto sono molto più divertenti.
Si avvicina lentamente, ma non perché abbia paura. Lo fa di proposito perché gli piace sentire Makoto tremare di paura e aspettativa sotto le dita. E quando serra le labbra attorno alla punta del suo cazzo e succhia piano, come se avesse fra le dita un leccalecca, il gemito forte e scomposto che Makoto si lascia sfuggire è talmente piacevole che Rin se lo sente gocciolare lento lungo la schiena in un brivido che glielo fa venire duro all’istante.
Si allontana, schiude gli occhi e lo guarda, e adesso è duro anche Makoto. Prevedibilmente, è ancora più grosso di prima. Non si è solo allungato, è anche gonfiato, e la pelle attorno alla lunghezza è talmente tesa da lasciare scoperta la punta, che brilla della saliva di Rin e del liquido pre-seminale che gocciola già dal buchetto in cima.
Senza accorgersene, Rin si lecca le labbra, cercandosi addosso il sapore di Makoto, e sorride quando lo trova.
- Mi piace un sacco. – ammette onestamente, - Ed è davvero enorme. – lascia scivolare la mano chiusa a pugno per tutta la lunghezza, e Makoto ormai è ridotto ad una massa di ossa robuste e muscoli tremanti. È quasi ridicolo, perché è così grande che Rin si sente quasi sopraffatto, ma allo stesso tempo ha gli occhi pieni di lacrime e le guance rossissime, e sembra così un bambino che Rin non può fare a meno di intenerirsi. Poi si ricorda di Haruka, perché il suo cervello può andare avanti solo per un limitato periodo di tempo prima di ripresentargli davanti agli occhi la sua immagine, ed istintivamente si volta a cercarlo. Lo trova ancora seduto, immobile nella stessa posizione in cui era quando l’ha guardato l’ultima volta, e punta un dito contro l’erezione di Makoto, senza staccargli gli occhi di dosso. – Tu non sei curioso? – gli chiede, - Non lo vuoi toccare?
Haruka scrolla le spalle, affatto impressionato.
- Makoto me lo lascia toccare quasi ogni giorno. – rivela senza particolari imbarazzi.
- Ha— Haru-chan! – geme Makoto in un lamento strozzato, - Non—
- Ma perché ti vergogni? – domande Haruka, piantandogli addosso un paio d’occhi di un azzurro gelato e impossibile, - L’hai visto cosa ti ha fatto? Non c’è niente per cui imbarazzarti.
- E’ vero. – conferma Rin, ma non può impedire alle proprie labbra di piegarsi in una smorfia infastidita al pensiero di Makoto ed Haruka che fanno queste cose da soli, per conto loro. Certo, è comprensibile, si conoscono da quando erano bambini, Rin è solo l’ultimo arrivato. Non può certo essere geloso di tutto quello che facevano mentre ancora lui non li conosceva. Però lo è.
- …voglio vedere se entra. – dice tutto d’un fiato. E sa che è principalmente la gelosia a parlare – il suo cervello non concepisce che Makoto possa avere qualcosa di Haruka che lui non ha, che Haruka possa avere qualcosa di Makoto che lui non può prendere, che entrambi condividano qualcosa alla quale lui non può nemmeno avvicinarsi –, ma non è solo quello. È anche curiosità, è la sensazione dell’uccello enorme di Makoto sulla lingua, il suo sapore in bocca che gli scivola giù per la gola, la sua durezza sotto le dita.
Vuole provare, e lo sguardo impassibile di Haruka non lo fermerà, e le lagne di Makoto nemmeno.
Si volta, ruotando sulle ginocchia, e si piega in avanti, le mani bene aperte sul pavimento. Volta indietro il capo per guardare Makoto.
- Dai! – dice.
È una parola sola, ma nel cervello di Makoto fa da interruttore e provoca una detonazione che lo lascia stordito. Rin glielo legge negli occhi e sorride.
- Dai. – ripete più dolcemente.
- Rin, non so se—
- Eddai, Makoto! – sbotta Rin, - Cos’è, vuoi farmi implorare? Sei insopportabile.
Makoto si irrigidisce tutto, mortificato dal rimprovero, e deglutisce, stringendo i pugni come per darsi coraggio.
- Va bene… - dice con un filo di voce, - Scusami.
Haruka pianta entrambi i gomiti sul tavolo ed appoggia il mento sui palmi delle mani a coppa, sulle labbra l’ombra di un sorriso divertito.
- Makoto, - dice, - Sei proprio stupido.
Makoto arrossisce ancora ed abbassa lo sguardo, chiudendo le mani attorno ai fianchi magri di Rin. Anche le sue mani sono grandi, pensa Rin, passandosi la lingua sulle labbra, mentre sente qualcosa contrarsi e fare quasi male appena sotto lo stomaco.
Stringe i pugni, pensando che farà male. Non può non fare male. Anche se Makoto esita, anche se lo sfiora con le dita bagnate, la punta del pollice che preme dentro di lui, allargando la sua apertura, non può che fare male, perché Makoto è troppo grosso.
Chiude gli occhi e digrigna i denti nel sentire la sommità gonfia e calda del suo cazzo premere contro di lui, cercare di farsi strada dentro al suo corpo. I fianchi di Makoto si muovono lievemente in avanti e Rin lo sente sgusciare fra le sue natiche, bagnato e bollente, e gli sfugge di bocca un gemito un po’ troppo infantile, per i suoi gusti, che cerca con poco successo di ricacciarsi in gola.
- Non va… - mugola Makoto, quasi scusandosi per la propria incompetenza, - Non riesco.
- Non stai provando abbastanza. – ringhia Rin. Lancia un’occhiata ad Haruka e vede i suoi occhi, la sua espressione indifferente, e capisce che loro devono averlo già fatto, devono aver provato per forza, e Makoto, con Haruka, dev’esserci riuscito. Per forza. E Rin non può accettarlo. Stende un braccio indietro, afferrando Makoto per un fianco per impedirgli di allontanarsi. – Riprova. – dice risoluto.
Makoto deglutisce e non sembra entusiasta, all’idea, ma ha ormai capito che ribellarsi e provare a sottrarsi agli ordini di Rin sarà del tutto inutile, perché lui non glielo lascerà fare. Perciò stringe delicatamente la propria erezione fra le dita e la guida nuovamente verso l’apertura arrossata di Rin, provando a spingersi di nuovo dentro di lui. Stavolta, la punta riesce ad entrare per un paio di centimetri, e Rin, sentendosi già tirato all’inverosimile, sbatte un pugno contro il pavimento, respirando affannosamente.
- Rin, non voglio farti male. – dice Makoto con tono implorante, ma anche lui respira a fatica, e le sue dita forti sono strette intorno ai fianchi di Rin al punto da lasciargli segni arrossati sulla pelle lievemente abbronzata. – Lasciami—
- Sta’ zitto. – ruggisce Rin, rendendosi conto di essersi morso le labbra con troppa forza solo quando comincia a sentirle indolenzite. Molla la presa, passando la lingua sul segno dei denti e rabbrividendo di piacere. – Haruka— vieni qui.
Haruka spalanca gli occhi ed inarca le sopracciglia, e per un secondo tutto il suo corpo si irrigidisce in una posa statica e innaturale, i gomiti ancora premuti sul tavolo, le mani ancora aperte, i palmi rivolti verso l’alto, ma il mento sollevato, le labbra dischiuse in un’espressione sorpresa. Rin sogghigna soddisfatto, realizzando che non si aspettava di essere chiamato in causa a questo punto, e che la cosa lo turba.
Lo stupore di Haruka dura solo un paio di secondi, comunque. Una volta passato, a lui non resta che alzarsi e raggiungerli, e lo fa, inginocchiandosi di fronte a Rin e poi sedendosi a gambe incrociate a qualche centimetro da lui.
Rin ha bisogno di distrarsi, perché Makoto fa male, ma lui non ha intenzione di rinunciare a prenderlo dentro quanto più può. Ormai è una questione di principio. Se solo solleva gli occhi sulla faccia da stronzetto imperturbabile di Haruka, si sente divampare dentro un incendio. Non può accettare di essere da meno di lui, non può assolutamente accettarlo.
Solleva entrambe le mani e le lascia planare goffamente sul bottone che tiene chiusi i pantaloni di Haruka. Lo sfila dall’asola e poi li tira giù con forza, quasi strattonando, finché Haruka non capisce l’antifona e solleva i fianchi dal pavimento, lasciandoseli scivolare giù lungo le cosce snelle, dai muscoli già ben definiti. Rin non è stupito di vedere che indossa il costume da bagno, sotto i pantaloni, e ride divertito mentre abbassa anche quello.
- Rin— - mugola Makoto, dietro di lui, e Rin sta quasi per abbaiargli contro di stare zitto, una buona volta, ma poi lo sente avvicinarsi un po’ per sbirciare la scena oltre la sua spalla, e nel movimento lo sente farsi strada dentro di lui per un buon paio di centimetri in più. Soffocata dal bruciore, la sensazione di piacere è comunque nitida e così improvvisa da colpirlo quasi con violenza. Sente nuovamente il sapore di Makoto in bocca, sente il fantasma della consistenza della sua erezione sulla lingua e d’un tratto vuole di nuovo quella sensazione.
Guarda in basso, ed anche Haruka ormai è duro. Solo perché li ha guardati, pensa Rin con soddisfazione, è diventato durissimo, e non hanno nemmeno dovuto toccarlo.
La dimensioni di Haruka non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle di Makoto – Rin dubita che qualcosa, nel mondo, lo sia – ma dovrà farselo bastare per forza. Si china su di lui, piegando la schiena in modo da esporsi ancora di più per Makoto, che geme profondamente nel sentirsi scivolare ancora più in profondità dentro di lui. La strenua resistenza del suo corpo, della sua apertura arrossata e irritata dalla forzatura e dallo sfregamento, sta cominciando ad affievolirsi, e Rin lascia andare un gemito liquido di trionfo e soddisfazione mentre serra le labbra attorno al cazzo durissimo di Haruka e succhia, succhia fortissimo, come se dovesse succhiargli via l’anima per rubargliela.
Haruka non geme. Gli sfugge dalle labbra un mugugno minuscolo, appena udibile, ma non importa, perché anche se non lo sente parlare Rin sa che gli sta piacendo. Ne ha la certezza quando Haruka solleva una mano e gli afferra i capelli, tirandolo verso l’alto e poi spingendolo verso il basso, per fargli capire cosa vuole anche senza dirglielo. E Rin lo capisce al volo, pianta entrambe le mani per terra e le usa come perno per sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente su di lui. E più lui si muove, più Makoto perde il controllo, rapito dallo spettacolo che gli offrono.
Rin lo sente muoversi confusamente contro di lui, lo sente affondare e poi ritrarsi, ma il suo cazzo è talmente gonfio che a lui sembra di riuscire a contenerlo a stento, gli sembra che ogni volta che si tira indietro minacci di uscire, ed il pensiero è straziante e delizioso allo stesso tempo.
Haruka getta indietro il capo, gli occhi chiusi e il respiro affannoso, mentre la lingua di Rin gli si attorciglia attorno al cazzo, la punta che si strofina contro il palato ogni volta che la sua testa si solleva e poi si riabbassa su di lui. Rin succhia ancora una volta, forte, e stavolta Haruka geme, e i fianchi di Makoto scattano in avanti in un movimento improvviso, imperioso e involontario, che spinge Rin quasi oltre il limite ma che è troppo maldestro per non spingerlo ad uscire da lui con uno schiocco bagnato ed osceno.
Rin si solleva, separandosi controvoglia dall’erezione di Haruka, solo perché la scarica di dolore che gli si è arrampicata lungo la spina dorsale è stata troppo intensa per non sfogarla in un lamento.
- Scusa! – pigola Makoto, stringendogli le natiche fra le mani e lasciandovi scorrere in mezzo la sua erezione in una carezza premurosa, - Aspetta, so come fare. – dice quindi, annuendo a se stesso.
Rin geme ancora, ed a questo punto sarebbe disposto a lasciarsi fare di tutto. Nonostante il dolore e l’indolenzimento, è così duro che si sente impazzire, non ce la fa più. Si getta su Haruka, prendendolo in bocca fino alla base e succhiando affamato, mentre le mani di Makoto gli scorrono lungo le cosce, invitandolo a chiudere le gambe. Lui segue le sue direttive senza nemmeno accorgersene, ed è felice di averlo fatto quando sente il cazzo enorme e durissimo e bagnato di Makoto scivolargli fra le cosce. Lo sente strofinarsi contro i testicoli e contro la propria erezione turgida per tutta la sua lunghezza, e se non fosse così impegnato a farsi scivolare giù Haruka dritto in gola si metterebbe a urlare di piacere.
È troppo bello per durare, e infatti dura pochissimo. Due spinte, e Rin viene con un gemito soffocato, schizzando sul pavimento. Confuso e scosso dai brividi, solleva il viso, lasciandosi scappare l’uccello di Haruka dalla bocca, ma non prima di averlo leccato un’ultima volta dalla base alla punta. Haruka stringe forte le palpebre, si morde il labbro inferiore e poi gli viene addosso, e Rin fa appena in tempo a chiudere gli occhi prima di sentire il suo orgasmo colargli giù lungo una guancia. Tira fuori la lingua e ne lecca via una goccia, sente il sapore di Haruka in bocca e gli sorride. Haruka arrossisce, e questo gli piace quasi più di un orgasmo.
Ci mette un po’ a realizzare di stare ancora dondolando velocemente avanti e indietro. Poi sente i gemiti soffocati di Makoto e capisce che lui non è ancora venuto. Sconvolto, piega il collo per lanciargli un’occhiata ed assicurarsi di aver capito bene, e Makoto è bellissimo. C’è un velo di sudore che gli copre la fronte, ha gli occhi chiusi e i capelli scompigliati sulla testa, le sue labbra bagnate sono dischiuse ed ogni tanto la lingua fa capolino per inumidirle. I muscoli delle sue spalle sono tesi, così come quelli delle sue braccia, e le sue mani sono chiuse con forza attorno ai fianchi di Rin. È durissimo, mentre si strofina veloce nello spazio fra le sue cosce, bagnato e gocciolante di sperma e sudore, e la sensazione è intensa quasi al punto da farglielo tornare duro un’altra volta.
Fortunatamente, Makoto dimostra di essere anche lui umano quando, pochi secondi dopo, si lascia sfuggire un gemito piagnucoloso e viene. Rin sente gli schizzi caldi del suo orgasmo gocciolargli lungo lo stomaco e le cosce, ed il suo corpo è scosso da un brivido tale che all’improvviso non riesce più a reggersi sulle mani, e si accascia contro Haruka. È tutto indolenzito e comincia a sentire la fatica, tutto il suo corpo si rifiuta risolutamente di muoversi e lui non si sente carico abbastanza da costringerlo a farlo controvoglia.
Makoto quasi gli si sdraia addosso, respirando forte contro la sua nuca. Gli sbuffi di fiato lo solleticano e lo irritano un po’, ma nel momento in cui Haruka solleva una mano e gliela passa fra i capelli, scostandoglieli delicatamente dagli occhi, dalla fronte e dalle guance sudate, a Rin non importa più.
- Non è stato malaccio. – dice con un sorriso ironico, voltandosi sulla schiena ed appoggiando la testa sulle gambe nude di Haruka mentre Makoto gli lascia appena lo spazio per muoversi prima di lasciarsi ricadere con uno sbuffo su di lui, anche lui appoggiando il capo fra le ginocchia di Haruka. – Potreste tornare domani? – domanda, il sorriso che si allarga in un ghigno malizioso, - Ho sentito al telegiornale che dovrebbe piovere per tutto il resto della settimana.
Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico.
Pairing: Makoto/Haruka, Rin/Haruka, Rin/Haruka/Makoto.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Threesome, Lemon, Angst.
- "Makoto lascia Haruka un paio di settimane dopo il ritorno di Rin dall’Australia. Si sente obbligato a farlo, in un certo senso, quando li trova avvinghiati l’uno all’altro contro il lavandino della cucina, in casa di Haruka."
Note: Credevo fosse una PWP, invece erano feels. Però almeno il porno c'è.
La storia partecipa alla seconda settimana del #summerCOWT, sfida 3, prompt altrove, e alla sfida di 500themes_ita sul prompt #75 (Sollievo miracoloso).
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A WAVE WASHING OVER ME

Makoto lascia Haruka un paio di settimane dopo il ritorno di Rin dall’Australia. Si sente obbligato a farlo, in un certo senso, quando li trova avvinghiati l’uno all’altro contro il lavandino della cucina, in casa di Haruka.
Non può dire che trovarli in quelle condizioni lo stupisca, d’altronde ha sempre saputo che qualcosa del genere sarebbe successa, prima o poi. Ha sempre saputo che prima o poi Rin sarebbe tornato e questa non è che la naturale conseguenza del suo ritorno.
Haruka ha sempre girato attorno a Rin come un piccolo pianeta solitario attorno al suo sole. Makoto ci pensa e ci ripensa e non riesce a trovare un paragone più azzeccato di questo. La faccia del pianeta-Haruka sembrava illuminarsi di riflesso solo col sorriso del sole-Rin.
La luna-Makoto gravitava silenziosamente attorno al pianeta-Haruka, satellite in ombra, legato alla gravità di entrambi.
Diventare il ragazzo di Haruka è stata una fortuna insperata, un’occasione che Makoto non aveva mai creduto avrebbe potuto presentarsi alla sua porta. Certo, non c’è mai stato niente di ufficiale tra loro – non c’è neanche adesso – ma nel corso degli ultimi anni il loro rapporto si è evoluto. E Makoto non ha fatto niente perché questo miracolo si verificasse, cosa che l’ha reso ancora più prezioso.
Semplicemente, nel corso della lunga eclissi che è passata dall’ultimo raggio di Rin al successivo, Haruka s’è andato avvicinando. Makoto non ha fatto niente per favorire il suo avvicinamento, troppo spaventato dalla possibilità che, muovendosi troppo, potesse allontanarlo, ma non ha neanche fatto niente per fermarlo, decidendo per la prima volta nella sua vita di correre il rischio, lanciarsi ad occhi chiusi contro la fortuna.
Si è concesso di sperare contro ogni prudenza alla quale il suo lungo rapporto con Haruka l’avesse abituato, insomma. Ha scommesso su se stesso contro il ricordo indelebile del sorriso enorme di un Rin irraggiungibile.
Apparentemente, almeno a giudicare dalla fame con la quale Haruka e Rin si mordono le labbra a vicenda, ha perso.
- Makoto. – dice Rin, riportandolo troppo velocemente sulla terra mentre si volta a guardarlo. Makoto non può fare a meno di notare che una delle sue mani resta appesa al fianco di Haruka, che non fa niente per scrollarsela di dosso. È una dichiarazione di possesso, ed una di appartenenza. È un gesto che dice, da solo, tutto quello che Makoto avrebbe preferito non dover sentire dire mai. – Non voglio vedere isterismi di nessun tipo. Stai calmo.
Le parole di Rin suonano alle orecchie di Makoto come le parole di un pazzo. Spalanca gli occhi e si volta a guardare Haruka. Haruka gli ricambia l’occhiata con la solita inespressività assoluta, ma d’altronde Makoto può contare sulle punte delle dita le volte in cui ha visto i suoi occhi accendersi di una qualche emozione, ed in nessuno di quei casi la sua persona era in alcun modo contemplata.
- Lascia che ti spieghi. – dice Rin, e Makoto trema. Sentirsi dire “non è come sembra” sarebbe troppo da sopportare perfino per lui.
- Mi sembra che sia già tutto molto chiaro. – risponde Makoto.
Rin aggrotta le sopracciglia e chiude la bocca, irritato dal dovergli dare ragione. Makoto sa cosa Rin vorrebbe dirgli, vorrebbe spiegargli che quello che c’è fra lui ed Haruka non deve necessariamente influenzare quello che condivide con Makoto, che sono due cose diverse, che possono coesistere, che forse dovrebbero coesistere. Ma Makoto non ha alcun bisogno di sentirsi dire niente del genere, perché li conosce, e già lo sa.
Fra Haruka e Rin c’è qualcosa che risuona. Haruka è completamente sopraffatto da Rin, lui gli accende qualcosa dentro, è una scintilla che lo rende diverso, ed Haruka è innamorato della persona che diventa quando è con lui. I suoi occhi cambiano colore quando sono insieme, la sua pelle si riscalda quando si toccano, c’è una connessione chimica, un’eco molecolare, atomica, che li lega l’uno all’altro con filamenti invisibili. È sempre stato così, dalla prima volta che si sono visti.
Rin guarda Haruka e vede la sfida di una vita. Guarda il suo volto algido, la linea netta e rigida delle sue labbra, e non desidera altro che possederlo. Vincerlo, abbatterlo, disfarlo – ma non è lui che vuole distruggere, sono le sue difese. L’obiettivo eterno di Rin è spogliare Haruka di tutto, ridurlo al suo nucleo morbido e pulsante ed affondarci i denti. Prenderne un morso e trattenerlo per sé.
Il loro è un richiamo assoluto, istintivo, animalesco. Non ha niente a che vedere con i sentimenti che spingono Makoto verso entrambi. Non ha niente dell’adorazione assoluta che Makoto riserva ad Haruka, non ha niente del fascino oscuro e magnetico che Rin esercita su di lui.
Makoto sa che sono tutte cose che possono coesistere. La sua devozione per Haruka, la totale dipendenza di Haruka nei suoi confronti, la sua fascinazione nei confronti di Rin e la curiosità che Rin sente stuzzicata dentro di sé nei suoi confronti, e la fame primordiale che avvolge Rin ed Haruka in un bozzolo segreto che dipende solo da loro due. Tutto può trovare uno spazio, tutto può incastrarsi nella stessa situazione, possono dividere i tempi e gli spazi e possono farlo a lungo, ma c’è qualcos’altro, dietro, qualcosa che Rin non prende mai nemmeno in considerazione perché non ha la mentalità giusta per farlo.
D’altronde, Rin non è mai stato bravo a parlare d’amore. È sempre stato un campione a scherzarci su, è sempre stato fenomenale ad evitarlo, scansandolo come una brutta malattia, non è mai stato bravo a capirlo. La possibilità di essere innamorato di Haruka non l’ha mai neanche sfiorato, come d’altronde Makoto sospetta non abbia neanche mai sfiorato Haruka stesso.
Forse nessuno dei due ne sente il bisogno, ma la verità è che non si sono mai dati una possibilità di provarci. Non ne hanno avuto il tempo, il loro rapporto si è bruciato troppo in fretta, e ne sono rimaste solo ceneri ardenti che tornano a prendere fuoco ogni volta che si vedono.
Ma vivere questa cosa come l’abbiamo vissuta noi non è normale, pensa Makoto, abbassando lo sguardo di fronte a quello severo di Rin e a quello di ghiaccio di Haruka, Una persona dovrebbe stare con un’altra persona, qualcuno che possa farlo stare bene, che possa amarlo completamente. Una persona come Haruka merita di stare con qualcuno che ama e che possa amarlo a sua volta. Forse quella persona è Rin.
- Io penso che sia meglio chiuderla qui. – dice in un filo di voce. Non alza lo sguardo perché non vuole vedere l’espressione di Haruka restare sempre uguale. Preferisce non guardare e concedersi l’illusione di immaginarlo piegare le labbra in una smorfia triste, anche se non fa niente per fermarlo.
Rin fa schioccare la lingua, irritato.
- Mi sembrava di aver detto “niente isterismi”. – dice.
Makoto gli offre un sorriso di scuse. Non sa neanche per cosa si sta scusando. Forse di esistere.
- Non ne sto facendo. – dice, - È solo meglio così.
- No, questo sei solo tu che fai l’attrice drammatica del cinema muto degli anni Venti. – ritorce Rin, acido, - Makoto il martire seriale, Makoto che si sacrifica, Makoto che se ne va perché “è meglio così, vi lascio a voi stessi”, bella roba.
- Cosa dovrei fare, restare qui mentre ti sbatti il mio ragazzo davanti a me? – insiste Makoto con lo stesso sorriso evanescente, gli occhi piantati sul pavimento, - Hai vinto, Rin. È quello che hai sempre voluto, vero? Hai vinto. Haruka è tuo.
- Sei un coglione. – ringhia Rin.
Il sorriso di Makoto si fa ancora più triste.
- Sì. – annuisce.
- Sì, ma non per i motivi che pensi tu! – insiste Rin, alzando la voce, - Sei sempre il solito, non sei cambiato affatto! Sei un codardo spaventato dalla sua stessa ombra, sei—
- Rin.
La voce di Haruka è bassa, un sussurro appena udibile, ma non appena la sente Rin chiude la bocca. Haruka gli appoggia una mano alla spalla e Rin ringhia un’ultima volta, ma si fa indietro, e lascia stare.
Makoto allora solleva lo sguardo, trova il volto di Haruka ed è sempre il solito, non è cambiato. Lo fissa, le labbra dischiuse, un fremito di speranza negli occhi. Forse mi chiederà di restare, pensa, Forse dirà a Rin di andarsene, e chiederà a me di restare.
- Vattene, allora. – dice invece Haruka.
Makoto pensa solo che avrebbe dovuto saperlo.
*
Lo incontra per caso una settimana dopo, al centro commerciale. Rin sta leccando un ghiacciolo con l’aria di uno che può permettersi di fare un po’ quel cazzo che gli pare e, guardandolo, Makoto cerca di pensare ad un singolo avvenimento della sua recente settimana, e non ne ricorda nemmeno uno. Sa di essere andato a scuola, sa di aver saltato tutti gli allenamenti del club di nuoto, sa di essere tornato a casa e di aver fatto i compiti e badato ai suoi fratelli, sa tutte queste cose ma nessun avvenimento gli è rimasto attaccato alla memoria, e per qualche motivo si sente in difetto.
Rin è solo, e Makoto si stupisce di non trovarlo con Haruka. Non sa perché si stupisca, Rin non gli è mai sembrato il tipo da rimanere sempre appiccicato al suo ragazzo, e di sicuro Haruka non lo è – ci pensa e gli vengono in mente con una facilità dolorosa almeno un centinaio di occasioni in cui è stato lui a doverlo cercare per primo per passare un po’ di tempo con lui, anche quando stavano insieme –, ma in qualche modo è come se avesse sempre creduto che, una volta che quei due si fossero finalmente trovati, poi separarli, anche solo per qualche secondo al giorno, sarebbe stato impossibile. E lo turba vedere coi propri occhi che così non è.
Comunque, non ha nessuna voglia di fermarsi a parlare con lui, e cerca di passargli oltre, ma naturalmente, nel momento esatto in cui lui gli attraversa la strada, Rin tira un calcio alla sedia vuota che ha di fronte, mandandogliela praticamente a sbattere contro le ginocchia.
- Siediti. – dice.
Makoto deglutisce, quando i loro sguardi si incontrano.
- … forse è meglio se vado. – prova. Rin sbatte la mano contro il tavolo con tanta forza da far girare quasi tutti i clienti seduti ai loro tavolini tutto intorno.
- Makoto, se non la smetti giuro che ti prendo a pugni. – dice. – Ora piantala di fare la testa di cazzo, siediti e facciamo conversazione.
Makoto vorrebbe avere la forza di mandarlo a quel paese, e invece non riesce a fare altro che sospirare e sedersi, lo zaino fra le ginocchia, le mani abbandonate in grembo.
Rin continua a leccare il suo ghiacciolo. Makoto gli lancia un’occhiata e, come al solito, è sconvolto dalla naturalezza della sua sfacciataggine. Rin non è mai stato una persona particolarmente sincera e genuina, c’è sempre stato un che di artefatto in lui, ma Makoto ha sempre creduto fosse normale. Nessuno è naturalmente dotato di tanto fascino. Tanto, d’accordo, ma non quanto ne aveva Rin fin dall’infanzia. Da bambino Rin avrebbe potuto scatenare uragani con un sorriso. Ora fa lo stesso con uno sguardo.
Tuttavia, per quanto artefatto e a tratti forzato fosse il suo modo di fare, la sicurezza, la confidenza che Rin aveva nei riguardi del proprio corpo non era mai stata fasulla. Si vedeva quanto a proprio agio si sentisse all’interno della propria pelle, la indossava come un vestito di sartoria cucito su misura, un completo elegante abituato ad attirare gli sguardi della gente.
Makoto lo ha sempre invidiato per questo. Era stato un bambino troppo grosso, dall’ossatura troppo robusta. Troppo alto per la sua età, con le spalle troppo larghe per le magliette della sua taglia, le gambe troppo lunghe per i pantaloni della sua misura. Rin aveva sempre avuto il fisico giusto, l’altezza giusta. Lui ed Haruka sono sempre stati così simili. Di una bellezza assolutamente inavvicinabile, per lui.
Non è mai riuscito ad odiare Haruka, per questo. Ma Rin sì. A tratti, nel corso della sua infanzia – a tratti, anche adesso –, Makoto ha odiato Rin. Makoto lo odia ancora.
- Non mi chiedi niente? – domanda Rin. È così nervoso ed irritato che gli trema la voce. È sempre stato così emotivo. La sua qualità redentrice. E sa come usarla – ogni volta che Makoto pensa che lo prenderebbe volentieri a pugni in faccia, quel tremito nella voce di Rin, quella luce incerta nei suoi occhi, quel modo di piegare le labbra come in preda a un tormento segreto che non lo lascia mai in pace, è in grado di scatenargli dentro reazioni surreali, ed a quel punto vorrebbe solo abbracciarlo, premersi forte il suo viso contro il petto e dirgli “va bene, Rin, ho capito. È tutto a posto. Piangi, se devi, arrabbiati, se devi, prendimi a pugni, se vuoi. Sfogati”, e qualsiasi odio possa aver provato per lui fino ad un secondo prima svanisce in quell’improvviso, divampante desiderio di tenerlo stretto e farlo stare bene.
Rin è sempre stato un’anima inquieta. Makoto ha sempre avuto una predisposizione naturale per quelli come lui.
Vorrebbe sospirare e dire “cosa vuoi che ti chieda, Rin”. Invece sospira comunque e segue le regole del gioco.
- Come stai? – domanda. Rin ha detto di voler fare conversazione. Quindi faranno conversazione. Rin non accetta mai che le cose vadano differentemente da come le ha pianificate. Niente fa eccezione, nella sua vita. Se le cose non vanno come dice lui, lui prende e va via.
È un’opzione che, se non fosse così disperatamente innamorato di Haruka – al punto da sapere che, se Rin andasse via per causa sua, Haruka non riuscirebbe mai a perdonarlo –, Makoto prenderebbe volentieri in considerazione.
- Una merda, grazie. – risponde Rin. Lecca il bastoncino attorno al quale il ghiacciolo è andato scomparendo negli ultimi minuti, una lappata dopo l’altra, e poi lo getta nel cestino poco distante. – Tu?
Makoto lo conosce a sufficienza da sapere che non gliene frega assolutamente niente, di come sta lui, perciò non perde tempo a rispondere.
- Perché stai male? – domanda invece, lo sguardo basso, forzandosi addosso un sorriso dietro al quale si sente più sicuro.
- Non ti viene in mente nessuna possibile risposta? – domanda Rin, acido. Makoto scuote lentamente il capo, e Rin grugnisce, frustrato. – Allora te ne do una io. Lo sai in che condizioni è rimasto Haruka fin dal giorno in cui l’hai mollato?
Makoto stringe le dita attorno allo zaino.
- È felice? – domanda.
- No, testa di cazzo che non sei altro, no che non è felice. E sei ancora più idiota di quanto pensassi se lo credi davvero.
Makoto abbassa lo sguardo e non dice niente.
- Be’? – domanda Rin.
Makoto tace ancora.
- Makoto!
- Ma cosa vuoi che ti dica?! – esplode lui tutto insieme. L’ondata che gli riempie il petto è un miscuglio confuso di rabbia, frustrazione e tristezza. Cosa gliene frega, di come sta Haruka? Cosa gliene frega se si lascia morire annegato in una vasca da bagno? Cosa gliene frega se smette di mangiare e dormire, cosa? Deve pensare a se stesso! Al suo cuore, al vuoto disgustoso e appiccicaticcio che sente allargarsi nel petto, una pozza di catrame nerissimo dalla quale si sente inghiottito quando anche solo pensa all’eventualità di accettarne l’esistenza! Come può pensare ad Haruka? Come può pensare che sta male? Chi ci pensa a lui? C’è Rin, con Haruka! Per quanto Haruka possa stare male, c’è Rin con lui! Ma Rin non è con Makoto, no! Ovviamente no. Con Makoto c’è solo Makoto, e Makoto si detesta. – Lasciami in pace, Rin. – dice in un rantolo, stringendo i pugni al punto da farsi male da solo ficcandosi le unghie nei palmi, - Lasciami in pace e basta.
Rin non dice niente per un sacco di tempo. Resta così perfettamente silenzioso ed immobile che ad un certo punto Makoto è costretto a guardarlo per assicurarsi che sia ancora lì. C’è ancora. Lo guarda, è furioso. Quando parla, lo fa con un ringhio nella voce trattenuto a stento.
- Makoto. – dice, - Haruka non è nemmeno uscito di casa, negli ultimi giorni. E guardami, - aggiunge indicandosi, - Io ti sembro il tipo da poter stare dietro alle sue paranoie autistiche del cazzo? Quando lo vedo accucciato in quella vasca da bagno di merda, con l’occhio languido che strilla “Makoto, Makoto, dove sei? Perché non sei qui a salvarmi da me stesso?”, secondo te a me cosa viene voglia di fare? Mi viene voglia di prendergli la mano e aiutarlo ad uscire? No, cazzo. Mi viene voglia di affogarlo.
Makoto trema visibilmente, spalancando gli occhi. Lo fissa, le labbra dischiuse, gli occhi pieni di confusione.
- Sicuramente—
- Esagero? – domanda Rin, - No. – poi sospira, passandosi una mano fra i capelli in un gesto al cui magnetismo Makoto non si è mai abituato. Qualcosa nel modo in cui le sue dita si perdono in quella massa arruffata di capelli rossi, qualcosa nella sua espressione quando accade. C’è un erotismo sfacciato che si emana da ogni gesto di Rin, una specie di fiotto liquido e caldo che, a tratti, Makoto si sente addosso con una chiarezza disturbante. – Senti, Makoto, io non ho idea di cosa tu abbia pensato quando hai deciso di mollarlo, ma se pensi che lasciarci soli a noi stessi sia la soluzione ideale, o stai mentendo a te stesso, o non ci conosci affatto. Insomma, - sorride appena, quasi tristemente, - Io ed Haruka siamo due psicopatici, completamente inadatti alla vita. Con tutte le cazzate che ci riempiono il cervello si potrebbero foderare gli oceani. – Makoto lo ascolta, il respiro che si fa sempre più sottile con ogni parola che gli sente pronunciare. E poi Rin lo dice. – Abbiamo bisogno di te.
Rin lo dice, e nella testa di Makoto esplode l’universo. Gli si accende una luce abbagliante nel cervello, e quando capisce quanto cazzo si sente felice gli sta già battendo il cuore talmente forte che sente gli occhi riempirsi di lacrime e il respiro farsi affannoso.
Rin si irrigidisce sulla sedia e la sua espressione cambia completamente, diventa simile ad un’espressione che Makoto ha già visto. Lo osserva stringere le mani attorno ai braccioli della sedia e sollevarsi appena dalla seduta, piantandogli addosso un’occhiata spaventata.
- Makoto, stai bene? – domanda. Makoto non riesce a parlare. Rin si alza del tutto in piedi e si precipita accanto a lui, gli appoggia la mano aperta sulla schiena e preme un po’, chinandosi su di lui. – Makoto! – quasi urla.
Makoto deglutisce e ricorda, prende un respiro profondo e si volta a guardarlo, sorridendogli.
- È tutto a posto. – dice, - Tranquillo.
Rin espira, sollevato, e raddrizza la schiena. Ma non gli toglie le mani di dosso.
- Meno male. – dice, - Credevo che ti stesse succedendo di nuovo.
Non ha bisogno di specificare che cosa, ed improvvisamente Makoto si sente invaso dai ricordi. Un Rin infinitamente più piccolo ma sempre curiosamente uguale a se stesso, nonostante i cambiamenti, lo guarda e piange. “Ho avuto paura,” gli dice. “Haruka sta bene,” gli risponde lui. “Non per lui,” insiste il piccolo Rin, “Per te.”
Makoto è sempre stato geloso della connessione fra Haruka e Rin. Ne era geloso perché sentiva che Haruka avrebbe dovuto appartenergli – lui gli era sempre stato accanto, no? Se lo meritava. Era suo, doveva essere suo – ed era geloso anche perché Rin sembrava così inafferrabile, così fuori dalla sua portata. Non sarebbe mai riuscito a toccardo, si diceva, forse Haruka un giorno l’avrebbe fatto, ma lui? Per lui Rin sarebbe sempre rimasto troppo distante, così pensava.
Però forse si sbagliava.
*
Rin lo porta a casa di Haruka, ovviamente. C’è silenzio ovunque, ma entrambi sanno bene dove trovarlo, e quando entrano in bagno lo trovano sdraiato nella vasca, i capelli bagnati, gli occhi un po’ spenti, il delfino di plastica che galleggia mollemente nello spazio fra le sue ginocchia. Haruka si volta verso di loro e, quando vede Makoto, spalanca gli occhi. Li spalanca proprio, come un bambino sorpreso di fronte ad un regalo, e poi scatta in piedi, schizzando acqua dappertutto.
Makoto non l’ha mai visto tanto felice di vederlo. Non sta sorridendo, non dice niente, la sua espressione non è tanto diversa dal solito, ma Makoto riesce lo stesso a capire che è contento. Forse è il modo particolare in cui gli brillano gli occhi – forse è semplicemente il fatto che, appena realizza la sua presenza lì, appena ne è veramente cosciente, Haruka scavalca il bordo della vasca e, rischiando di spezzarsi l’osso del collo scivolando coi piedi sul pavimento bagnato, si lancia contro di lui.
Non cerca un abbraccio, cerca una collisione di corpi. Makoto gli si offre a braccia aperte, sente il suo petto schiantarsi quasi con violenza contro il proprio, sente l’acqua della sua pelle trasferirsi sui suoi vestiti, renderli pesanti e trasparenti, e gli sta bene.
Rin, al suo fianco, sorride, anche se è un sorriso storto.
- Sei geloso? – gli domanda in una risata sorpresa, - Ma mi hai portato tu qui.
- Questo non cambia niente. – ride Rin, passandosi una mano fra i capelli, e Makoto pensa che forse è giusto che certe dinamiche non cambino, per quanto stupide e infantili possano essere. Saranno tutti e tre per sempre gelosi l’uno dell’altro in modi sempre diversi. Ed è una cosa stupida, ed è una cosa buffa, ed è una cosa piacevole.
Makoto guarda in basso ed Haruka lo sta fissando, le sopracciglia aggrottate.
- Non farlo mai più. – gli dice. Asciutto e diretto, come sempre. Makoto annuisce e promette anche se non gli è stato chiesto di farlo. È una sua scelta, lui lavora meglio sotto il peso della responsabilità.
Haruka si solleva sulle punte per premergli un bacio urgente sulle labbra. Un po’ preso alla sprovvista, sulle prime Makoto non sa che fare, e resta lì, completamente immobile, mentre Haruka gli ficca le dita nelle spalle e lo attira a sé. Rin ride di gusto, gettando indietro il capo.
- Gli sei mancato più di quanto pensavi, pare. – lo prende in giro. Haruka si allontana da Makoto per lanciargli un’occhiata furiosa.
- Sta’ zitto. – dice, poi si volta a guardare Makoto, le sopracciglia aggrottate. – E tu, baciami. – ordina. Makoto non se lo fa ripetere due volte.
La questione del sesso, quando Makoto ed Haruka stavano insieme, era sempre stata molto naturale. Makoto aveva riflettuto spesso sull’argomento, quando ancora non stavano insieme, che poi è un altro modo per dire che aveva fantasticato di brutto, al punto da avere paura che, quando la cosa si sarebbe verificata –se si sarebbe verificata affatto – sarebbe stata una delusione.
Era stato talmente idiota da crederci, ma ovviamente quando era successo aveva capito di essersi solo preso in giro per anni per cercare di non illudersi troppo. La prima volta con Haruka era stata meravigliosa. Incredibile. Molto meglio di qualsiasi fantasia. L’aveva sentito ovunque, ovunque intorno a sé, ed era stato grandioso. Non aveva mai voluto altro, ed era stato grandioso.
Haruka, però, era sempre stato molto passivo, a riguardo. Gli piaceva, o almeno sembrava piacergli parecchio, ma aveva sempre lasciato che fosse Makoto a cercarlo per primo. Non sembrava mai veramente affamato di lui.
Ora Makoto schiude le labbra e cerca con la propria lingua quella di Haruka, e si stupisce di trovarla già in cerca della sua, invece che immobile e in attesa. Haruka gli stringe le braccia intorno al collo e si preme forte contro di lui, nervoso ed elettrico per la prima volta in assoluto da quando hanno cominciato a toccarsi, e Makoto sente sulle sue labbra un sapore diverso. Ed anche se non l’ha mai assaggiato, sa che è quello di Rin. E capisce che questo è quello che è cambiato, che adesso c’è Rin in mezzo. Che Haruka non avrebbe mai potuto baciarlo così, senza di lui. Il bisogno di Haruka è custodito nel segreto del tocco di Rin fin dalla prima volta che si sono visti. Fin dal primo istante in cui si sono guardati, Rin immerso in piscina, Haruka ritto a bordovasca. Haruka ha visto il sorriso di Rin e ha deciso che sarebbe stato lui il padrone delle sue voglie. Nessun altro. Così come Makoto è convinto di essere lui l’affidatario unico ed esclusivo del suo affetto incondizionato.
Quando sente le dita di Haruka insinuarsi bruscamente sotto la sua camicia dopo averla strattonata a lungo per tirargliela fuori dai pantaloni, il suo primo istinto è quello di perdercisi completamente. Haruka lo tocca come nuota, affamato e disperato ma anche con totale fiducia e abbandono. E Makoto ha voluto questo tocco così a lungo che, in un primo momento, la sola idea di fermarlo suona come una blasfemia alle sue orecchie.
Poi ricorda che Rin è lì, che non hanno ancora discusso questa strana situazione, che forse dovrebbero. E stringe i polsi di Haruka fra le dita, allontanandoselo di dosso.
- Aspetta, - dice contro le sue labbra, dal momento che Haruka non sembra affatto intenzionato a smettere di baciarlo, - Dobbiamo—
- Stare zitti e continuare. – dice Rin, inarcando un sopracciglio. Makoto gli solleva addosso lo sguardo e nota che si è spostato alle spalle di Haruka, troppo vicino per essere li per caso. Guarda in basso e nota le sue dita già intente a fargli scivolare il costume da bagno lungo le cosce, e deglutisce quando l’erezione di Haruka fa capolino oltre l’orlo, sobbalzando appena nel momento in cui il tessuto elastico la scopre.
- Ma… - Makoto annaspa, lanciando occhiate preoccupate ad entrambi. Sarà normale, questa cosa? Sarà giusta così?
Rin sospira e scuote il capo, annoiato.
- Makoto, sei sempre stato una palla al piede. – dice con aria rassegnata, - La situazione è semplice: - spiega, sollevando un braccio e stringendolo attorno alle spalle di Haruka, mentre appoggia il mento sulla curva del suo collo, - Lui è mio, e io non lo mollo. È anche tuo, però, e per quanto mi piacerebbe poter avere l’esclusiva, non può funzionare. Quindi, da ora in poi, ci si muove in tre. O così, o niente. Adeguati.
Makoto sbatte le palpebre un paio di volte, abbastanza allucinato dalla situazione da perdere di vista per qualche secondo anche la vicinanza così pressante di Haruka ed il calore della sua pelle nuda e bagnata contro la propria.
Ci pensa Haruka, come al solito, a riportare la sua attenzione su di sé. Gli stringe il mento fra le dita e lo costringe a voltarsi e piegare il collo per guardarlo, e gli parla solo quando è sicuro di avere i suoi occhi addosso.
- Quello che questo cretino sta cercando di dirti è che io vi voglio entrambi e non sono disposto ad accettare niente di meno. Adeguati a questo. – conclude, prima di tirarlo giù con forza, schiacciandoselo addosso e baciandolo voracemente, con la bocca aperta, la lingua bagnata che preme sulle sue labbra per forzarle ad aprirsi.
Non c’è altra legge che Makoto conosca che non sia quella di adeguarsi ad ogni voglia di Haruka, e perciò chiude gli occhi e decide di lasciarsi andare. Gli tornano in mente le parole di Rin quando li ha trovati a baciarsi in cucina – “niente isterismi, Makoto” – e si dice che è stato un idiota. Sarebbe stato tutto molto più semplice se si fosse fermato ad ascoltare. Non Rin, e per una volta neanche Haruka: solo se stesso.
Le mani di Rin scorrono veloci sul petto di Haruka, ne tracciano le linee sode e definite, e Makoto sente addosso le sue nocche ossute, e la sua pelle si ricopre di brividi. Haruka solleva il bacino e si struscia impaziente contro di lui, e Makoto ha appena il tempo di pensare che, però, le cose si sono fatte serie proprio in fretta, che subito il pensiero viene sostituito dalla consapevolezza di potercisi abituare altrettanto in fretta. Si allontana dalle labbra di Haruka solo per scivolargli lungo il collo, e sbatte la testa contro Rin, che, in risposta, gli tira uno scappellotto sulla nuca.
- Vai dall’altro lato. – borbotta, - Non lo vedi che qui è occupato?
Makoto non può fare a meno di ridere, e ride perfino più forte quando vede anche Haruka sorridere appena, gli occhi chiusi, totalmente abbandonato alle sue carezze e ai morsi affamati che Rin affonda nella sua spalla. Diligentemente, lascia un piccolo bacio sul segno dei denti di Rin – che Rin si premura di ricalcare immediatamente dopo che lui si allontana – e poi piega il capo, risalendo la linea del collo di Haruka in punta di lingua, fino a raggiungere il lobo. Lo prende fra le labbra, succhia, morde e lecca, Haruka si lascia sfuggire un gemito e poi decide che basta così.
Makoto sente le sue mani premere con decisione contro il petto – le ignora, loro risalgono lungo le sue spalle, si aggrappano e graffiano, ed allora Makoto apre gli occhi e sorride.
- Okay, - dice sorridendo, - Okay, ho capito.
Haruka sbuffa, scuote la testa per liberarsi gli occhi dalla frangetta bagnata e poi si volta. Makoto lo osserva allacciare le braccia dietro al collo di Rin e baciarlo quasi con violenza. Guardarli baciarsi è un po’ come guardarli nuotare l’uno contro l’altro. Usualmente, ad Haruka non interesserebbe minimamente una competizione in quel senso, ma per qualche motivo se è Rin ad essere coinvolto diventa imperativo mettercela tutta per prendere il controllo. Giocano a sopraffarsi a vicenda, ed in quella gara continua è talmente palese che si appartengono senza speranza che Makoto ne sarebbe quasi geloso (ancora), se non stringesse i fianchi di Haruka fra le mani, se non potesse affondare le dita negli spigoli netti del suo bacino, se non potesse stringere con forza le sue natiche e sentirle opporre resistenza, dure come fottuto marmo, contro i suoi palmi bene aperti.
È facile ritrovare il ritmo, lo stesso ritmo col quale facevano l’amore prima di lasciarsi. È facile anche se c’è Rin, il che gli fa pensare che forse Rin è sempre stato lì, in fondo, in qualche modo. Invisibile, stava nascosto dentro Haruka, nel suo sguardo lontano e distratto, ma c’era. E così è più facile accettarlo adesso, accettare che, mentre Makoto accarezza Haruka e poi forza la sua apertura con le dita, allargandole per farsi spazio dentro il suo corpo, Rin è lì, e lo tocca, e gli lascia scivolare le mani addosso con tanta forza da lasciargli la pelle arrossata, e gli morde le labbra fino a farle diventare gonfie e lucide e rosse come lamponi, e si struscia contro di lui, e poi avvolge le loro erezioni con le dita e le accarezza, masturbandosi con lui e contro di lui.
Sono bellissimi, e Makoto vuole diventare una parte di tutto questo. Lo vuole con un’intensità che lo spaventa. Si lecca una mano e si accarezza un paio di volte, poi punta la propria erezione contro Haruka con fissa in testa l’idea di trafiggerlo, chiude gli occhi e spinge. Affonda dentro di lui strappandogli dalle labbra un gemito roco che somiglia ad un lamento, e quasi si aspetta che Haruka cerchi di allontanarsi, di sfuggirgli, ma Haruka va incontro alle sue spinte, si schiaccia contro di lui, inarca la schiena per prenderlo più profondamente e gli si apre attorno con fiducia, solo per poi contrarre i muscoli attorno al suo cazzo con tanta forza da farlo sentire in trappola.
È così stretto che fa quasi male, è quasi troppo. Però è bellissimo, e mentre lo scopa con gli occhi chiusi come in un sogno, Makoto pensa davvero di essere stato un idiota. Pensa che forse, da qualche parte nello spazio e nel tempo, c’è una versione alternativa di sé che ha avuto meno paura, che ha detto subito sì, che è rimasta ad ascoltare fin dal primo istante, e che è stata molto più felice di lui. Pensa a tutto quello che avrebbe potuto avere fin dall’inizio – i gemiti di Haruka soffocati contro le labbra di Rin, la solidità delle braccia di Rin sotto le sue dita mentre gli richiude addosso le mani e lo usa per tenere Haruka più stretto, schiacciato fra i loro corpi – e sì, si sente proprio un idiota.
Poi Haruka viene, all’improvviso e con un gemito spezzato, uno schizzo bianco e trasparente contro gli addominali contratti di Rin. E Makoto non pensa più a niente, a parte spingere più forte. I gemiti di Haruka si fanno più profondi e più confusi, e proprio quando stanno per diventare imprecazioni il corpo di Makoto cede, e lui segue con i fianchi l’ondata di piacere che gli monta nel bassoventre e poi si abbatte su Haruka, sul pallore della sua spina dorsale, curva come una falce di luna, lasciando Makoto svuotato e senza forze.
Rin non è venuto. Makoto se ne accorge ma si sente troppo drenato per potersene davvero interessare. Haruka, però, non è della stessa opinione. Non aspetta neanche di riprendere fiato: Makoto lo osserva cadere sulle ginocchia in un movimento fluido, afferrare Rin per i fianchi e poi prenderlo in bocca senza la minima esitazione, con la voglia di uno che non ha aspettato altro per anni.
Le labbra di Haruka si chiudono con forza attorno all’erezione di Rin, Makoto lo sente succhiare e sa che il suono dovrebbe infastidirlo, solo che non lo fa. Piuttosto solleva gli occhi su Rin, sui lineamenti del suo volto adesso così rilassati, e poi guarda in basso, alla mano che ha poggiato sulla testa di Haruka, alle dita che ogni tanto si stringono attorno ai suoi capelli scuri, tirano un po’, poi premono per dettare alla sua testa il ritmo per muoversi avanti e indietro, abbastanza per affondare fino alla base dentro la sua bocca ma non per costringerlo a strozzarsi.
All’inizio, Haruka succhia con gli occhi chiusi, perfettamente soddisfatto anche solo dall’idea di quello che sta facendo. Poi schiude le palpebre, guarda in alto. Il suo sguardo incontra quello di Rin e non riesce più a mollarlo, e Makoto sente qualcosa di fisico e intenso passare fra loro, e trattiene il respiro.
Rin geme, chiude le dita attorno ai capelli di Haruka e se lo stacca di dosso appena in tempo per venirgli in faccia. Haruka chiude gli occhi e la bocca, ma non si sposta. Poi riapre gli occhi, sbuffa appena e si lecca le labbra, assaggiando l’orgasmo di Rin con curiosità e interesse, come se si fosse chiesto di cosa sapesse fin dalla prima volta che l’ha visto.
Haruka è sempre stato strano, fin da piccolo. Forse se lo chiedeva davvero, pensa Makoto. Ed è consapevole di perdersi in questi pensieri stupidi solo perché non vuole guardare in basso, perché sa di averlo di nuovo duro.
Sospira pesantemente, passandosi una mano fra i capelli e sperando che passi. Spera anche di non attirare troppo l’attenzione di Haruka e Rin, ma ovviamente, sentendolo sospirare, loro si voltano a guardarlo. Haruka solleva un sopracciglio con l’aria di uno che non vuole neanche sentirne parlare, mentre Rin getta indietro il capo, passandosi una mano fra i capelli per scostarseli dal viso, e ride di gusto, appoggiandosi al lavandino alle sue spalle.
- Makoto, sei assurdo. – commenta fra una risata e l’altra, - Haruka, ci pensi tu? Visto che sei un portento.
Haruka lo studia con un certo interesse, restando in silenzio per qualche secondo. Poi sbuffa.
- Troppa fatica. – conclude, aprendo la bocca al massimo ed indicandosela come a dimostrare che, per riuscire a soddisfarlo, gli servirebbe una mascella molto più snodata di quella che la natura gli ha dato in dono per supportare la sua scarsissima mobilità espressiva.
Rin scoppia a ridere un’altra volta, così convulsamente da doversi piegare in due. Haruka, infastidito dal chiasso, gli tira una botta dietro la testa.
- Non fare casino, sei sguaiato. – lo rimprovera. Poi si volta a guardare la vasca da bagno ancora piena. Si avvicina e immerge due dita nell’acqua. Trovandola ancora tiepida, sorride lievemente. – Ho bisogno di un bagno. – sentenzia. Non aspetta neanche un commento da parte loro prima di immergersi.
Rin ride ancora e batte una pacca amichevole sulle spalla di Makoto, che lo fissa allucinato, rendendosi conto – finalmente – di quello che è effettivamente successo nel corso dell’ultima mezz’ora.
- Vieni, dai. – dice Rin, guidandolo fuori dal bagno, - Tanto lo sai che ne avrà almeno per un’oretta. – Makoto annuisce vagamente, e il sorriso di Rin si allarga in un ghigno malizioso che gli lascia scoperti i denti. – E poi, noi due abbiamo un sacco di tempo perduto da recuperare.
A Makoto non sfugge affatto l’implicazione delle sue parole, specie quando intercetta il suo sguardo abbracciare quasi con soddisfazione la sua erezione ancora svettante.
Può abituarsi in fretta anche a quello.
Genere: Introspettivo.
Pairing: (accennate) Makoto/Haruka, Haruka/Rin.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Gen, Angst.
- "È in quel momento che lo sente, un lamento basso, continuato, e subito pensa “un fantasma”, e gli corre un brivido gelato lungo la schiena."
Note: Questa storia è interamente colpa della Caska ed io pretendo che se ne prenda la responsabilità, perché io sugli shotini di Free! volevo scrivere solo porno stupido e porco, ed invece lei è arrivata a darmi notizie canon angst tremende su High Speed! e io non ho potuto evitare di scrivere questa cosa tremenda T__T Watch Free!, they said, it will be fun, they said.
La storia partecipa alla seconda settimana del #summerCOWT, sfida 3, prompt altrove, e alla sfida di 500themes_ita sul prompt #79 (Momento tragico).
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CUT ADRIFT, BUT STILL FLOATING

A Makoto non piace molto aggirarsi per la piscina quando è vuota e sta per chiudere. Sembra che tutti quei rumori che, quando è piena, suonano assolutamente normali – lo sciabordio dell’acqua contro le piastrelle in ceramica, il gocciolio delle docce, il fruscio degli alberi di fuori – si mettano tutti d’accordo per suonare il triplo più inquietanti e spaventosi quando possono riecheggiare nel silenzio vuoto del tardo pomeriggio.
Non ci sono bambini che ridono e non ci sono passi che risuonano e non ci sono gli splash assordanti dei ragazzini che si tuffano e quelli un po’ più discreti delle bracciate, non c’è niente a parte il silenzio – il silenzio sembra sempre così reale, nei posti così grandi, quasi fisico, quasi minaccioso – e Makoto comincia a pentirsi di aver lasciato che tutti gli altri bambini facessero la doccia prima di lui.
Haruka non l’ha aspettato, e la cosa lo rende triste. Forse, se Haruka fosse rimasto ora non avrebbe così paura, il silenzio non lo inquieterebbe così tanto. Haruka non parla molto, ma in realtà non ne ha bisogno: la sua presenza riempie lo spazio e, con lui, Makoto non ha paura.
È in quel momento che lo sente, un lamento basso, continuato, e subito pensa “un fantasma”, e gli corre un brivido gelato lungo la schiena. Gli tornano in mente le parole di Nagisa, la sua vocetta infantile mentre gli racconta “ma come, non lo sai? Questo posto è stregato!”, e stringe le braccia attorno allo zainetto in un gesto convulso, spalancando gli occhi e digrignando i denti.
Il lamento viene dallo spogliatoio. Ogni tanto si interrompe, e poi riprende in un riecheggiare continuo di singhiozzi e mugolii e brevi colpi di tosse inframezzati dal familiare tirare su col naso dei bambini molto piccoli.
“Un bimbo della nostra età,” dice Nagisa nella sua testa, “È affogato in piscina e da quel giorno il suo fantasma infesta il centro sportivo. Si sente solo e tutto quello che vuole è qualcuno con cui giocare. Per questo, quando ogni tanto senti qualcuno afferrarti la caviglia sott’acqua, devi nuotare più veloce!, perché potrebbe essere lui.”
Makoto manda giù un groppo enorme di saliva, aria e paura e si avventura giù per il corridoio, verso lo spogliatoio. Non sa perché lo stia facendo, sarebbe sicuramente meglio voltarsi e correre a perdifiato verso l’uscita, il più velocemente possibile, ma quei singhiozzi continui e spezzati sembrano attirarlo verso di loro, e ad un certo punto Makoto ha come l’impressione di non riuscire più a controllare le proprie stesse gambe.
Entra nello spogliatoio il più silenziosamente possibile, trattenendo il respiro, stringendo lo zaino al petto come fosse uno scudo. Lancia attorno a sé un’occhiata terrorizzata, convinto che improvvisamente vedrà spuntarsi davanti agli occhi il cadavere di un bambino imputridito dall’acqua – l’acqua fa questo, ai morti, sfilaccia la pelle, scava dentro gli occhi, mangia la carne attorno alle ossa, ti strappa via il colore dal viso, il calore dalle mani, l’anima dalla gola – ma qualcuno singhiozza, e quel qualcuno è un ragazzino della sua età, e quel ragazzino ha i capelli rossi e i fianchi stretti e la pelle chiara e gli occhi che brillano al buio, ed è Rin, raggomitolato in un angolo, sotto la doccia ormai chiusa che insiste a gocciolargli in testa, e nel vederlo a Makoto si stringe qualcosa nel petto.
- Rin…? – lo chiama piano, avvicinandosi quasi con timore reverenziale, una mano protesa in avanti come se si trovasse davanti un cane spaventato e volesse farsi annusare per fargli capire che può sentirsi al sicuro.
Rin solleva la testa con uno scatto istintivo, dardeggiandolo con un’occhiata di fuoco, i denti serrati, le guance arrossate dallo sforzo del piangere. Sembra calmarsi, però, quando vede che si tratta solo di lui. Per qualche motivo, Rin lo trova del tutto inoffensivo. Per qualche motivo, questa cosa fa dolere il petto a Makoto in un punto nuovo, che non aveva mai sofferto prima.
“Sa che non sei una minaccia, per lui,” dice una voce cattiva nella sua testa, e Makoto non sa spiegarsi perché la trovi così irritante. Dovrebbe essere felice di non essere un pericolo per Rin, ma non è così. I contorni del viso di Haruka si condensano per un secondo davanti ai suoi occhi, ma scompaiono subito, inghiottiti dall’acqua, come spesso succede anche ad Haruka stesso quando Makoto, seduto a bordovasca, lo guarda nuotare in piscina.
Rin, nel mentre, ha smesso di stringersi le ginocchia al petto in un abbraccio tremante e si è alzato in piedi. Si asciuga gli occhi col dorso della mano, le spalle ancora scosse dai singhiozzi, ed abbozza un sorriso incerto.
- Credevo di essere rimasto solo io. – dice, stringendosi nelle spalle. Si avvicina alla panchina e solleva un asciugamano, col quale si asciuga sbrigativamente prima di indossare la felpa. Makoto si sente più in imbarazzo di lui, ha come l’impressione di avere appena ficcato il naso in qualcosa che non lo riguardava minimamente, e si sente in colpa, anche se sa di non averlo fatto apposta. – Scusa per lo spettacolo. È imbarazzante.
Makoto scuote il capo, stringendosi ancora lo zainetto contro il petto. Ora non ha più paura di poter vedere un fantasma, ma per qualche motivo Rin lo turba. Specie la velocità con cui è riuscito a piegare le proprie labbra arrossate dai morsi nel solito sorriso sereno e positivo, specie dopo aver pianto così tanto e così disperatamente. C’è qualcosa di sbagliato, in questo, qualcosa che lo preoccupa.
- Senti, - dice Rin, quando lo vede restare lì in piedi senza fare né dire niente, - Questo non dirlo ad Haruka, okay?
Makoto aggrotta le sopracciglia in un’espressione confusa.
- Perché? – domanda. La risatina di Rin riecheggia per tutta la stanza vuota, rimbalzando contro le pareti come l’eco delle gocce d’acqua che si schiantano sul pavimento piastrellato delle docce.
- Be’, mi prenderebbe in giro se sapessi che mi hai trovato qui a piangere come una femminuccia.
“Haru-chan non farebbe mai niente del genere,” pensa Makoto. Poi il ricordo di un giorno lontano – lacrime sulle guance, la mano di Haruka che lascia la sua, la sua schiena sbiadita dal pianto mentre lui si allontana senza voltarsi mai indietro – lo raggiunge veloce e forte come uno schiaffo, e Makoto pianta gli occhi per terra, stringendo le dita attorno allo zainetto.
Forse Haruka non prenderebbe mai in giro Rin per aver saputo che ha pianto, però forse lo abbandonerebbe.
Gli passa un lampo per la testa, una possibilità vaga – d’altronde, Haruka è sempre appiccicato a Rin, in questi giorni, è vero? D’altronde, Haruka non passa più tanto tempo con Makoto, da quando Rin si è messo in mezzo, è vero? D’altronde, Haruka non ha mai guardato Makoto con gli occhi con cui guarda Rin, è vero? – ma la mette subito da parte, sentendosi uno schifo anche solo per averla pensata.
- Non preoccuparti. – dice, con la voce che trema un po’, - Non gli dirò niente.
Vorrebbe andare via, perché non gli piace l’effetto che Rin ha su di lui. Non gli piace la persona che diventa quando è in sua compagnia. Vorrebbe essere una persona migliore, vorrebbe essere più gentile, vorrebbe essere meglio di ciò che è, ma la verità è che, quando si trova al suo fianco, diventa meschino, cattivo. E adesso Rin sorride ma i suoi occhi sono ancora rossi, e le sue guance sono ancora rosse, e la sua voce trema ancora un po’, e Makoto si sente così in colpa che vorrebbe sprofondare in un buco enorme fino al centro della terra e non risalire mai più in superficie.
Poi pensa al buio, e si sente tremare dentro. Per non perdere il controllo, mette il pensiero da parte, e si aggrappa con tutte le sue forze all’immagine del viso di Haruka per uscirne.
Per la prima volta, non basta. Ma la voce di Rin fa il resto.
- Posso chiederti una cosa? – domanda. Makoto solleva lo sguardo e fortunatamente è di nuovo lì, è saldo sulle gambe, non sta tremando, non si è messo a piangere. Poi tutto precipita. – Tu eri lì, vero?
Makoto spalanca gli occhi. Non sa perché, ma istintivamente sa già di cosa Rin sta parlando. Stringe i pugni e serra le labbra, perché non sa cosa rispondere. Il sorriso di Rin si allarga un po’.
- Tu eri lì quando la barca è affondata. – dice, - L’hai visto, mentre succedeva.
Il cuore di Makoto batte così forte che se lo sente scoppiare nel petto. Gli occhi di Rin danzano dal suo volto al pavimento, e brillano di una luce strana, quella di chi si fa del male consapevolmente.
- Com’è stato?
Makoto deglutisce a vuoto, le labbra che tremano. La memoria lo trasporta in un luogo diverso, distante nel tempo. I piedi sulla sabbia, il mare agitato di un colore così cupo da non sembrare più nemmeno l’oceano. Le urla, la confusione. Pioveva, forse? O stava solo piangendo?
- Orribile.
Rin annuisce, come avesse davvero avuto bisogno di sentirlo dire da lui per rendersene conto. Poi la sua voce si fa più dolce, sottile.
- Tu ci credi nei fantasmi, Makoto?
Makoto trema ancora. Odia essere qui, odia questa conversazione, odia tutto quello che sta accadendo ed odia Rin, lo odia tantissimo, per le cose che gli dice, per quello che lo costringe ad affrontare, per gli oceani che gli smuove dentro.
- Tu? – domanda con un filo di voce invece di rispondere, perché sa che rispondere di sì sarebbe ridicolo e, per qualche motivo, non vuole rendersi ridicolo davanti a Rin, - Tu ci credi?
Rin gli sorride con più sicurezza, adesso, le mani infilate nelle tasche della felpa.
- Io ci spero. – dice, - Se esistono, so che mio padre mi guarda, e lo renderò fiero di suo figlio.
La risposta è talmente inaspettata che Makoto sente scivolare tutta la paura e tutta la rabbia fuori da sé. Le sue spalle si rilassano, e le sue labbra si piegano in una smorfia incuriosita mentre fissa Rin come avesse improvvisamente cambiato colore.
- E come pensi di riuscirci? – domanda.
Rin ride, e Makoto capisce Haruka per la prima volta.
- Vedrai. – dice annuendo, - Sarà così fiero di me che tornerà indietro apposta per dirmelo.
Così preso alla sprovvista dalla sicurezza di Rin da non sapere nemmeno che cosa dire, Makoto annuisce vagamente. Spera solo di non essere lì, quando il fantasma del padre di Rin tornerà indietro dal mondo dei morti, perché se c’è una cosa di cui è sicuro adesso è che, se Rin vuole qualcosa, troverà un modo per ottenerla, e sarà disposto a fare di tutto per riuscirci.
- Mi raccomando, eh. – gli ricorda Rin, afferrando il proprio borsone e dirigendosi verso l’uscita a passo spedito, - Acqua in bocca con Haruka.
Curioso che usi proprio quest’espressione, pensa Makoto, portandosi una mano alla gola e stringendo appena. Lui il sapore dell’acqua in bocca lo sente già.
Genere: Erotico.
Pairing: Rin/Haruka.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Incest, AU.
- "Quand’era piccolo e aveva sete, sua madre gli diceva che prima o poi gli sarebbe passata."
Note: Scritta per la Notte Bianca #10 su prompt Free!, Arabian!AU, Rin è il sultano di un oasi, Haruka l'ultimo arrivato nel suo harem. Arabian!AU, signore e signori.
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THIRST

Quand’era piccolo e aveva sete, sua madre gli diceva che prima o poi gli sarebbe passata. Si sarebbe abituato, la scarsità d’acqua gli sarebbe entrata dentro, sarebbe diventata parte integrante della sua vita, e lui avrebbe smesso di pensarci. Si sarebbe accorto all’improvviso di avere sete solo quando vedeva dell’acqua o ne percepiva l’odore o la presenza nell’umidità dell’aria, e per tutto il resto del tempo sarebbe riuscito ad andare avanti senza problemi, dapprima ignorando il bisogno di bere e poi dimenticandolo del tutto.
La maggior parte dei bambini smetteva di chiedere acqua intorno ai sei anni. A dodici, Haruka ancora chiedeva di bere dalle sei alle dieci volte al giorno.
Quando il carro dell’acqua passava per il villaggio, fermandosi in piazza per riempire i secchi e le borracce di chi poteva pagare, sua madre parlava con le altre donne del posto e scuoteva il capo, sconsolata. “Haruka sarà la nostra rovina,” diceva a bassa voce, consegnando tutti i propri risparmi all’uomo sul carretto e porgendogli i due secchi perché li riempisse, “Beve in continuazione. Dobbiamo nascondere i secchi d’acqua in alto, così che lui non li possa raggiungere. E quando ci rifiutiamo di dargli da bere almeno tre volte al giorno, piange. Piange, piange tutta la notte,” concludeva con un singhiozzo stremato, coprendosi il viso al ricordo delle lunghe ore notturne silenziose spezzate solo dal pianto disperato di Haruka, dall’urlo devastante della sua sete perenne.
Haruka avrebbe fatto di tutto per un po’ d’acqua. Ogni tanto, dopo una notte particolarmente dura da affrontare, si alzava presto, di buon mattino, si avvolgeva nel proprio mantello e copriva il capo con un turbante e partiva alla ricerca di una fonte d’acqua, nonostante sapesse benissimo che non ce n’erano per chilometri intorno al villaggio. Il caldo secco del deserto gli si attaccava alla gola, rendendo il suo respiro quasi un rantolo, ma lui continuava a camminare, determinato, convinto che prima o poi avrebbe trovato un fiume, o un piccolo lago, o anche solo un pozzo o un abbeveratoio. Quando l’avesse trovato, aveva deciso, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata spogliarsi e immergersi nell’acqua fin sopra la testa, e restare lì, sospeso, finché il suo corpo non ne avesse assorbita abbastanza da ritenersi soddisfatto, anche se avessero dovuto servigli delle ore per raggiungere quel risultato.
Quando, a sedici anni, aveva capito che non avrebbe mai trovato dell’acqua a meno di andare via di casa, posto di fronte al bivio fra restare ed andarsene, Haruka aveva scelto di andarsene. Tutti sapevano che c’erano solo due modi per trovare l’acqua, da quelle parti: partire, lasciare il deserto, affrontare un lungo viaggio per mare rischiando la vita alla ricerca di terre più fertili, oppure restare, e trasferirsi in un’oasi. E tutti sapevano qual era l’unico modo per entrare in un’oasi.
Ritto in piedi in mezzo alla stanza, Haruka si lasciava osservare da Matsuoka-san senza ricambiarle lo sguardo. La ragazza gli girava intorno senza pudore, scrutandolo da ogni lato, ogni tanto toccandolo senza particolari imbarazzi per saggiare la consistenza dei muscoli sotto la pelle, navigata come un’esperta. Non era difficile capire quale fosse il suo ruolo a palazzo, evidentemente si occupava dell’esame dei ragazzi prima che venissero ammessi nell’harem.
Dopo avergli accarezzato le spalle e le braccia, ed aver osservato da vicino fianchi e gambe, Gou, ritenendosi soddisfatta, si allontanò da lui e lo fronteggiò, le braccia incrociate sul seno stretto in una fascia che la copriva appena, la gonna cortissima che le lasciava scoperta la curva abbondante dei fianchi.
- Sei un po’ magro, ma non c’è male. – aveva sentenziato, annuendo, - A Rin non sono mai piaciuti troppo grossi, dopotutto.
Rin Matsuoka era il sovrano dell’oasi più grande della zona, la stessa oasi dalla quale proveniva l’acqua che veniva settimanalmente venduta anche al villaggio di Haruka. Lo aspettava già steso sul proprio letto, nell’ombra della propria camera, quando Gou gli permise di passare.
Rigido sulla soglia della porta, Haruka non mosse un passo, limitandosi a guardare dritto davanti a sé senza dire una parola.
- Avvicinati. – disse Rin, sollevandosi appena a sedere ed appoggiando la schiena contro i numerosi cuscini che aveva alle spalle. Nella penombra così profonda gettata sulla stanza dalle pesanti tende in velluto che coprivano le finestre, non era possibile distinguere con precisione i lineamenti del suo viso. Su Rin Matsuoka circolavano molte leggende, si diceva che avesse gli occhi di fuoco, che i suoi denti fossero appuntiti come quelli dei pescecani, la sua lingua velenosa come quella di un serpente. – Hai sete? – chiese, allungando una mano a recuperare una brocca sul comodino e versandosi un bicchiere d’acqua, che sorseggiò svogliatamente, le labbra dischiuse in un ghigno sardonico che lasciava intravedere il bagliore bianchissimo dei denti affilati sotto le labbra.
Haruka lo osservò bere lentamente, con appagamento ma senza sete, e nel riflesso della lucentezza pericolosa di quel sorriso comprese che tutte le leggende erano vere, e Rin Matsuoka era un uomo pericoloso.
- Non ti sei ancora avvicinato. – disse Rin, posando il bicchiere sul mobiletto a fianco al letto con un rumore sordo e netto, quasi severo, - E non hai risposto alla domanda.
Haruka si schiarì la gola, accennando a muovere un paio di passi più vicino al letto.
- Sì, signore. Ho sete.
Il ghigno di Rin si fece più ampio. Haruka lo osservò leccarsi le labbra e si sentì stringere lo stomaco in una morsa. Poteva sentire l’odore dell’acqua nell’aria, poteva sentirgli l’odore dell’acqua addosso.
Ho sete ho sete ho sete da morire.
- Naturalmente ce l’hai. – Rin scivolò lentamente giù dal letto, avvicinandosi piano. Indossava una lunga casacca nera lievemente sdrucita, e pantaloni dello stesso colore. Era pieno di gioielli – una collana sul petto lasciato nudo dalla scollatura ampia, bracciali attorcigliati lungo gli avambracci dal polso al gomito, pesanti anelli su quasi tutte le dita. Sulla testa, un po’ pendente su una spalla, portava avvolto un turbante rosso che non serviva a contenere la massa scompigliata dei suoi capelli, che scendevano in ciocche disordinate sulla sua fronte e ai lati del suo viso, sfiorando le guance fino al mento. – Tutti quelli che vengono qui hanno sete. – continuò a parlare a bassa voce, girandogli attorno come un predatore, gli occhi famelici che lo sfioravano in carezze senza vergogna, - Sai quanta acqua mi rimarrebbe se dessi da bere a chiunque sia mai venuto a bussare alla mia porta chiedendone un po’?
Haruka sollevò gli occhi nei suoi. Non c’era simpatia, negli occhi di Rin Matsuoka. Non c’era empatia, non c’era comprensione. Non c’era nemmeno divertimento, però. C’era una maschera ironica e crudele su un volto spento, del tutto disinteressato. Quell’uomo non era crudele perché voleva, era crudele solo perché poteva permetterselo. Haruka lo guardava e non si sentiva odiato, né compatito, né disprezzato, s’è per questo.
Non sentiva niente. Proprio un bel niente.
- Perciò, - riprese Rin, tornando a sedersi sulla sponda del letto, le mani ben piantate sul materasso e le gambe lievemente divaricate, - Se vuoi bere, meritatelo.
Haruka gli si avvicinò ancora di un passo. Le sue ginocchia sfioravano quelle di Rin, e per parecchi secondi nessuno dei due sembrò intenzionato a muoversi. L’odore dell’acqua nell’aria era così forte che Haruka poteva quasi sentirlo appoggiarsi in goccioline umide sulla propria stessa pelle. Era una sensazione troppo invitante per rifiutare la tentazione.
Senza dire una parola, appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Rin, sollevandosi abbastanza per poi ricadere senza un suono seduto a cavalcioni sul suo grembo. Rin ghignò soddisfatto, un braccio già avvolto attorno alla sua vita sottile. Haruka rabbrividì al contatto della propria pelle accaldata coi gioielli gelidi che ricoprivano il braccio di Rin, ma la sensazione di sollievo fresco e improvviso sulla sua pelle riarsa dal sole non fece che acuire il desiderio di bere. Si morse un labbro, incapace di comprendere se si sentisse più assetato o affamato. Alle volte, la parola sete non era sufficiente a descrivere il trasporto col quale desiderava l’acqua. Non era sete, era fame, cieca e devastante. Avrebbe voluto poterla mordere, l’acqua, sentirla cedere come carne sotto i denti. Non era sete, era fame, e c’era fame anche negli occhi di Rin, in quel suo inquietante sorriso sghembo. Era una fame di tipo diverso, ma Haruka poteva comprenderla, poteva condividerla.
Strinse la presa attorno alle sue spalle, sentendole tese sotto i vestiti. Rin lasciò scivolare la mano giù lungo la sua schiena, scendendo a stringergli una natica fra le dita e sogghignando divertito quando Haruka non reagì in alcun modo a quel tocco.
- Non riesco a capire se sei abituato a lasciare che gli altri ti tocchino, o se sei solamente frigido. – commentò, lasciandolo andare solo per portare la mano all’altezza del viso. Haruka lo osservò inespressivo mentre si leccava il palmo della mano fino alla punta delle dita. – Vediamo quanto dura.
Haruka chiuse gli occhi, espirando piano. Il tocco umido delle dita di Rin lungo la sua schiena e poi oltre l’orlo dei pantaloni era piacevole. Avrebbe voluto che fosse ancora più bagnato. Si leccò le labbra e poi se le morse con forza, il pensiero dell’acqua svelto a risvegliargli dentro quella fame senza confini, come sempre. Istintivamente, si sollevò appena sulle ginocchia, ondeggiando il bacino per seguire i movimenti delle dita di Rin mentre lo accarezzavano ruvidamente fra le natiche.
Rin sorrise soddisfatto, sporgendosi in avanti e chiudendo le labbra attorno alla curva del collo di Haruka, che presto lo sentì succhiare affamato, quasi violento. Gli sfuggì un gemito che divenne un lamento quando sentì le punte dei suoi denti affilati pungergli e graffiargli la pelle, ed istintivamente portò una mano alla testa di Rin, afferrandolo per i capelli e strattonando un po’ per costringerlo a mollare la presa, ottenendo però in risposta solo che lui affondasse ancora di più nella sua carne. Haruka gemette ancora, stupito di trovare la sensazione più piacevole di quanto non avrebbe mai potuto pensare. Forse dipendeva dalla pressione delle dita di Rin, dalla sensazione sempre più bagnata che percepiva fra le natiche, che lo costringeva a contrarsi e rilassarsi nel tentativo di attirarlo dentro di sé, di risucchiarlo come in un vortice.
- Sei durato poco. – commentò Rin in una risata soddisfatta. Haruka si concesse di aprirgli gli occhi addosso solo per un attimo, e nel momento esatto in cui lo fece il sorriso sulle labbra di Rin sfumò e scomparve, lasciandoli entrambi per un secondo immobili ed inespressivi a fissarsi.
Poi Haruka si sentì afferrare per i capelli e per i fianchi nello stesso istante, ed il secondo dopo era disteso sul letto, le gambe spalancate, il collo teso all’indietro in uno spasmo di dolore acuto e penetrante mentre sentiva Rin farsi strada dentro di sé, aprirlo fino in fondo in un colpo unico, preciso, violento, quasi un marchio, simile a quello che i suoi denti gli avevano lasciato sul collo, ma ancora più profondo.
Ansimando affannosamente, richiuse con forza le gambe attorno ai fianchi di Rin, spingendolo ancora più profondamente dentro di sé. Rin gemette, stringendo le dita attorno alle lenzuola e tirando appena, e si lasciò sfuggire un’imprecazione fra i denti, che tornarono a brillare, appuntiti, letali, quando la smorfia in cui le sue labbra erano piegate si distese in un altro di quei suoi ghigni da predatore.
- Vuoi l’acqua così tanto o ti piace solo da impazzire? – domandò a bassa voce, scivolando con le dita lungo una coscia di Haruka, graffiandolo con le unghie solo per costringerlo a mollare un po’ la presa, in modo da lasciarlo libero di muoversi dentro di lui.
Haruka dischiuse gli occhi, la sua espressione identica a prima, le labbra dischiuse, rosse e gonfie e appena umide e quegli occhi azzurri così freddi. Rin ringhiò di gola, chinandosi su di lui fino a parlargli addosso.
- La tua espressione mi irrita. – disse, mordendogli il labbro inferiore, - Te la strapperò di dosso, fosse l’ultima cosa che faccio. – concluse, baciandolo profondamente, senza riguardi, in un collidere di lingua labbra e denti che toglieva il fiato.
Haruka gemette nella sua bocca, allungando le braccia ad afferrarlo per i risvolti della casacca, non per spingerlo lontano da sé, ma per attirarlo più vicino. Schiuse le labbra lasciando libero accesso alla fame di Rin, lo stomaco contratto in uno spasmo, il dolore che si diffondeva dappertutto, e poi quelle scariche violente, quegli accessi di piacere fulminanti che lo lasciavano stordito, gli annebbiavano la vista, lo riempivano di bianco nel cervello a intervalli irregolari, senza che lui riuscisse mai a prevederle, ad aspettarsele, a prepararsi adeguatamente per il loro arrivo.
Rin si muoveva selvaggio dentro di lui, concentrato solo ed unicamente sulla forza che imprimeva alle proprie spinte. Haruka gettò indietro il capo, si morse un labbro per non urlare, poi Rin lo toccò fra le gambe, strinse la sua erezione fra le dita e la fece scivolare velocemente all’interno del suo pugno chiuso, ed Haruka spalancò la bocca, ed anche se dalla sua gola non sfuggì che un rantolo le sue labbra tremarono, e i suoi occhi diventarono più lucidi, e tutta la superficie del suo corpo, ogni singolo muscolo perfettamente definito e guizzante sotto la pelle si tese fino allo stremo.
Rin si spinse dentro di lui un’ultima volta, più profondamente, ed Haruka gemette, aggrappandosi disperatamente alle coperte e trattenendo il respiro per un secondo che si estese nel tempo e poi esplose, e d’improvviso il suo corpo divenne pesante e intorpidito, e lui si ritrovò a ricadere sul materasso senza neanche avere avuto il tempo di accorgersi di essersi sollevato, prima.
Rin venne dentro di lui senza lasciarsi sfuggire neanche un’esclamazione di piacere, ed Haruka ebbe come l’impressione che avrebbe dovuto sentirsi irritato dal dettaglio, come se Rin gli avesse lanciato una sfida, e lui l’avesse persa. E l’impressione divenne una certezza quando scorse il profilo del solito sorriso soddisfatto farsi strada sulle sue labbra, ed aggrottò le sopracciglia, lasciandosi sfuggire uno sbuffo contrariato mentre incrociava le braccia sul petto e guardava ostinatamente altrove.
Per qualche motivo, invece di infuriarsi, Rin scoppiò a ridere.
- A-ha! – esclamò divertito, - Ho vinto.
Haruka si voltò a guardarlo in uno scatto furioso, bene intenzionato a mandarlo a quel paese, acqua o non acqua, ma il sorriso che trovò quando incontrò il suo viso era diverso dai ghigni a cui Rin l’aveva già abituato. Era un sorriso differente, più morbido. Suo malgrado, Haruka non trovò la voce per parlargli, però lo osservò attentamente mentre Rin allungava un braccio sopra di lui, raggiungendo la caraffa sul comodino e versando un altro bicchiere d’acqua, che stavolta passò a lui.
- Tieni. – disse con un piccolo cenno del capo. Poi il sorriso tornò un ghigno, stavolta quasi giocoso. – La prossima volta, se sei bravo abbastanza, ti faccio fare il bagno.
Haruka mandò giù l’intero contenuto del bicchiere in un sorso, ed in un attimo fu già pronto a riprovare.
Genere: Erotico.
Pairing: Rin/Gou.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Incest, Lemon, Underage.
- "Non è più tornata a guardarlo nuotare, e vive per gli intervalli in cui Rin resta a casa, e lei può continuare a guardarlo da lontano, nascosta, così che lui non possa vederla."
Note: Scritta per la Notte Bianca #10 su prompt Free!, Gou/Rin, (shotacon) a casa da soli. Il primo porno italiano esplicito su Free!, gente. Ed è het. #c'èchipuò #echinonpuò #iopuò
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YOU MAKE A SOUND, THE SPELL IS BOUND

In casa, Rin si annoia tantissimo. Gou spesso lo spia, nascosta in corridoio, dietro lo stipite della porta. Si affaccia appena e lo vede seduto sul letto, gli auricolari ficcati nelle orecchie e la console portatile fra le mani, ed anche se è solo una bambina capisce perfettamente che suo fratello non si sta divertendo, sta solo passando il tempo, ingannando lo scorrere dei minuti in attesa di essere libero di uscire di casa per correre agli allenamenti in piscina.
Gou ha visto Rin nuotare. Ha visto Rin in compagnia dei suoi amici. L’ha visto ridere e scherzare, sedersi a bordovasca, dondolando i piedi nell’acqua, e sparare battute a raffica. L’ha visto girare un braccio attorno ad uno di quei ragazzini e stringerlo a sé, l’ha visto tuffarsi di testa e riemergere svariati secondi dopo e sfrecciare velocissimo da un lato all’altro della piscina, e poi riemergere, strapparsi la cuffietta di dosso, sollevare gli occhialini sulla fronte – il segno della plastica e della gomma impresso in una linea rossa irregolare sulla sua pelle bianca – e chiedere il tempo all’allenatore, e poi lasciarsi andare ad un’esclamazione vittoriosa se la risposta lo soddisfaceva.
L’ha visto sorridere. Ha visto un sorriso che Rin, in casa, non si lascia mai sfuggire, e ne è stata gelosa. L’ha voluto per sé e ha saputo in un istante, istintivamente, di non poterlo mai avere.
Non è più tornata a guardarlo nuotare, e vive per gli intervalli in cui Rin resta a casa, e lei può continuare a guardarlo da lontano, nascosta, così che lui non possa vederla. Sa che non lo vedrà mai sorridere in quel modo in nessun posto che non sia la piscina, ma se quel sorriso sboccia in un posto abbastanza lontano da lei perché lei non possa vederlo, allora lei può illudersi che quel sorriso non esista. Che suo fratello sia solo l’ombra evanescente e un po’ cupa che attraversa le stanze in silenzio, poi si chiude nella propria e, sempre in silenzio, resta immobile per ore finché non è il momento di andare. Se quello è l’unico Rin che può avere, allora è anche l’unico che vuole conoscere.
- Puoi anche uscire, da lì. Ti vedo.
La voce di Rin la prende alla sprovvista, congelandola sul posto. Improvvisamente, le tremano le gambe, e le sue piccole dita si chiudono attorno allo stipite della porta in un movimento convulso, quasi doloroso. Rin solleva gli occhi dal videogioco e le pianta in viso uno sguardo gelido, senza espressione, i capelli che gli ricadono in ciocche disordinate davanti al viso e le labbra chiuse in una linea retta senza calore.
- Scusa. – balbetta incerta Gou, muovendo un paio di passi all’interno della stanza. Camera di Rin rispecchia completamente il carattere di suo fratello, quando si trova in casa. È fredda e impersonale, non ci sono poster attaccati alle pareti, non ci sono adesivi appiccicati ai mobili, le lenzuola e il copriletto sono bianchi e grigi come le pareti. Gou ha visto l’armadietto di Rin nello spogliatoio, in piscina. È pieno di fotografie, adesivi, ritagli di riviste, pupazzetti. L’unica cosa che Rin porta a casa, dalla piscina, sono i trofei, e solo perché sono i loro genitori ad insistere. Gou ha la sensazione che, potendo, Rin lascerebbe lì anche quelli. C’è una frattura, nella mente di suo fratello. Ci sono due Rin diversi, uno in piscina ed uno lontano dalla piscina, e mischiare le due cose sembra irritarlo. Ed infatti, i trofei non sono in camera sua, ma su una mensola in corridoio, il più lontano possibile da lui.
- Non scusarti. – dice Rin, studiandola attentamente, - Hai fatto qualcosa di male?
- No! – si affretta a rispondere Gou scuotendo la testa, la lunga coda rossa che ondeggia sulla sua schiena, - No, ti stavo solo guardando, giuro!
Rin inarca un sopracciglio, mettendo giù il videogioco e sollevando una gamba sul letto per appoggiare il gomito sul ginocchio.
- E perché? – domanda, la lieve inflessione acuta della sua voce è l’unico dettaglio che lascia trapelare la sua curiosità. L’espressione sul suo viso, però, resta la stessa.
Gou abbassa lo sguardo, imbarazzata. La risposta la conosce, e non dovrebbe essere così difficile dirlo ad alta voce. Perché sei bello e guardarti da lontano è l’unico modo in cui posso averti tutto per me, dovrebbe dirgli. Forse lui non capirebbe, ma non avrebbe importanza. Sarebbe una risposta e dovrebbe farsela bastare. E lei potrebbe andare via e mettersi tutto questo imbarazzo alle spalle e non pensarci più, e trovare un altro modo per rubare a suo fratello istanti di vita senza che lui se ne accorga.
Invece non dice niente. Resta lì, in piedi, a torturarsi l’orlo della gonnellina corta, stringendo le gambe e guardando ostinatamente in basso, mentre sente le guance andare a fuoco.
Rin sospira, scivolando sul letto per sedersi più vicino al bordo, i piedi ben piantati per terra.
- Avvicinati. – le dice.
Gou solleva improvvisamente lo sguardo, incontra gli occhi freddi di suo fratello e istintivamente sa di dover andare via. Sì, dovrebbe smettere di ascoltarlo ed andare via, subito, e invece i suoi piedi la conducono più vicino a lui, un passo silenzioso dopo l’altro, fino a stargli vicino abbastanza da sentire l’odore della sua pelle.
Rin odora sempre di cloro. Quando mamma si lamenta, e gli chiede di andarsi a fare un’altra doccia, Rin ghigna e le risponde che diecimila docce non servirebbero a togliergli quell’odore di dosso.
A Gou, l’odore di Rin piace. A Gou piace tutto, di Rin. Anche i dettagli spiacevoli, anche quella freddezza che rende il suo sguardo così distante.
Poi Rin solleva una mano e le accarezza il viso, e Gou sente le ginocchia tremare, e trattiene il respiro.
- Ti ho vista spesso. – dice Rin, le dita sottili che le scivolano giù lungo una guancia, e poi lungo il collo, - Perché mi spii?
Gou deglutisce a fatica, gli occhi spalancati, fissi sul volto immobile di suo fratello. Si morde un labbro e guarda in basso, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime di imbarazzo e paura. Questa cosa non dovrebbe stare accadendo. È sbagliata e pericolosa e spaventosa e Gou non è pronta, Gou non la vuole. Non vuole parlare di queste cose con Rin. Sarebbe molto più facile poter continuare a guardarlo da lontano, in silenzio, senza spiegare niente, senza rischiare niente.
Le dita di Rin si chiudono piano ma con fermezza attorno al suo mento, obbligandola a sollevare lo sguardo.
- Perché? – domanda ancora.
A Gou sfugge un lamento terrorizzato, ma Rin non la lascia andare.
- Il modo in cui mi guardi… - riprende Rin, ma dopo aver cominciato resta in silenzio a lungo, gli occhi fissi in quelli di Gou. Lei si aspetta di sentirgli dire che lo odia, che non vuole più che lei lo guardi in quel modo, che prometta di girargli al largo. Ma le labbra di Rin si piegano in un sorriso obliquo e misterioso, e lui dice qualcosa di completamente inatteso. – Mi piace, - dice, - Il modo in cui mi guardi mi piace. – e Gou si sente sciogliere qualcosa sul cuore, e quel qualcosa è caldo e intenso e le gocciola sullo stomaco, e poi più in basso. E non riesce a capire il calore che sente fra le cosce, è una sensazione nuova, non del tutto spiacevole, non del tutto piacevole, che brucia dentro, che le lascia sulla pelle una traccia bagnata a cui non è per niente abituata.
- C’è un ragazzo, - dice Rin, la mano che scivola lentamente giù per il petto di Gou, fermandosi in corrispondenza della curva del seno appena accennato sotto la maglietta leggera, - In piscina. Lui mi guarda nello stesso modo.
Le dita di Rin stringono appena, e la memoria di Gou torna a quel giorno in piscina, al braccio di suo fratello stretto attorno alle spalle di quel ragazzino. Un’ombra sfocata di capelli neri, la pennellata azzurra degli occhi, trasparente come un acquerello. Per un attimo vede solo le dita di Rin strette attorno a quella spalla rotonda, e poi le sente stringersi di nuovo su di lei, e geme.
Rin non parla ancora del ragazzo in piscina, quello che lo guarda come lo guarda Gou. Per qualche ragione, sembra che quello che ha detto sia un motivo sufficiente per continuare a fare quello che stava facendo. La sua mano viaggia spedita lungo il corpicino magro di Gou, scivolando sui fianchi piatti, scendendo fino al ginocchio e poi risalendo la coscia dall’interno. Gou geme ancora, trema, e poi la voce severa di suo fratello le ordina di guardarlo, e lei spalanca gli occhi e glieli pianta addosso. Sono pieni di lacrime, ma Rin non lo vede, o forse non gli interessa. Sente sulla punta delle dita che Gou non vuole che si fermi, e Gou sa che, se Rin smettesse di accarezzarla, allora si metterebbe a piangere per davvero.
Suo fratello non le è mai stato così vicino, non è mai stato così suo.
Rin la accarezza con un dito da sopra le mutandine. Lascia scivolare il polpastrello su di lei, e lo ritrae bagnato dalla sua voglia. Gou lo osserva sollevarlo all’altezza delle labbra e poi succhiarlo con gusto, e i loro sguardi non si allontanano mai l’uno dall’altro. Gou vorrebbe dirgli di non farlo, che non si fanno, queste cose, che può fare tutto quello che vuole, con lei, ma lì è sporco e lui non dovrebbe mettere quel dito in bocca, ma per qualche motivo dalla sua gola esce solo un filo d’aria, un rantolo soffocato senza significato.
Rin sorride obliquo, e fa schioccare la lingua.
- Sai di buono. – le dice. Il viso in fiamme, Gou respira affannosamente. Sente ancora la pressione del dito di suo fratello fra le gambe, anche se quel dito adesso non è più lì, anche se adesso lui non la sta più toccando. Tutto quello che riesce a pensare è che vuole sentirlo addosso di nuovo, e non sa se sia perché Rin lo sente, o perché semplicemente lo vuole, ma poco dopo succede ancora. La stringe per le spalle, la attira vicino. Gou ha letto abbastanza manga da sapere cosa aspettarsi, e vuole un bacio, lo vuole tantissimo, vuole sentire il sapore delle labbra di suo fratello sulle sue, lo vuole tanto che le batte il cuore fortissimo se solo ci pensa, ma Rin non la bacia. Rin scende dal letto e la solleva, stendendola senza troppi complimenti sul materasso.
Non le dice niente, e Gou non sa più cosa aspettarsi. Non sa dove Rin abbia imparato queste cose, dove le abbia viste. Per un attimo ha paura che la lascerà lì, così, e andrà via, ma Rin le mette le mani sulle ginocchia e la spinge ad aprire le gambe. Imbarazzata, lei porta entrambe le mani a coprirsi, anche se indossa ancora le mutandine. Ma le sente bagnate addosso, e per qualche motivo sente di doversi nascondere.
Rin non è d’accordo. La afferra per entrambi i polsi e le inchioda le mani al materasso, sopra la testa.
- No. – le dice. Non aggiunge altro, no e basta. A Gou basta.
Guarda in basso, osservandolo mentre la scruta con interesse, quasi studiandola. Poi stringe le sue mutandine fra le dita e le tira lentamente verso il basso, lasciandogliele scivolare lungo le cosce magre. È nuda in pochi secondi, e l’istinto le ordina ancora una volta di chiudere le gambe, di nascondersi, di scappare, ma la voce di Rin - no - nella testa - no - la inchioda sul posto - no - a quel materasso.
Suo fratello si china su di lei. La lecca piano, assaggiandola senza fretta.
- Sai di buono. – le ripete. Il soffio del suo respiro sulla pelle bagnata la stordisce. Poi sente le sue labbra, i baci lievi che le lascia addosso. Le sente chiudersi all’improvviso su di lei, stringere e succhiare. Sente i suoi denti sfiorarla, poi la sua lingua che preme più in basso, si sente aprirsi al suo passaggio. I suoni che riempiono l’aria fanno paura. Gli schiocchi, i guizzi bagnati, i suoi gemiti profondi, la voce di Rin, i suoi sussurri, le parole che le lascia scivolare addosso. Gou non ne capisce nemmeno una. Rin le dice cose, ma ha la bocca piena di lei, e non riesce a parlare. Gou pensa che in fondo è meglio così, non è sicura di voler sapere cosa Rin le stia dicendo.
Si sente contrarsi, stringersi attorno a qualcosa che dovrebbe essere da qualche parte e invece non c’è. Geme ad alta voce mentre la lingua di suo fratello si muove veloce fuori e dentro di lei, e il calore che si è andato raccogliendo in una pozzanghera trasparente nel suo bassoventre esplode in un brivido che la scuote violento come un terremoto, ed è troppo bello, e fa quasi male, e la lingua di Rin, mentre insiste ad accarezzarla dal basso verso l’alto, diventa subito fastidiosa. Gou trema, geme, sente due grossi lacrimoni rotolarle lungo le guance ed afferra la testa di suo fratello con entrambe le mani, allontanandolo da sé.
Rin la guarda senza un’emozione, ha le lucide e assaggia ancora una volta il suo sapore in punta di lingua. Poi deglutisce – Gou osserva il suo pomo d’Adamo appena accennato fare su e giù lungo la gola sottile, e il tempo si ferma in quell’istante, e poi riparte – e sorride. Non è quel sorriso lì, non è il sorriso della piscina, non è il sorriso di quando Rin è felice. È il suo solito sorriso storto, quella linea obliqua che gli taglia il viso in due, dandogli un’aria quasi cattiva.
Gou chiude le gambe, si mette seduta, tira la gonna giù lungo le cosce per coprirsi il più possibile, nonostante sia corta. Rin, ancora in ginocchio, si allunga a recuperare le sue mutandine e gliele passa, prima di alzarsi in piedi. Poi si arrampica sul letto, e quasi in una reazione automatica Gou si rimette in piedi e si allontana di qualche passo. Rin la guarda a lungo, sbattendo le palpebre, e poi scrolla le spalle.
- Come vuoi. – dice, - A dopo.
Gou non ha idea di cosa sia successo, ma sa che questo vuol dire che deve andare. Si volta e corre in camera propria, sbattendosi la porta alle spalle. Il cuore le batte all’impazzata, rimbombandole in testa, assordandola. Per molti minuti, non riesce a sentire altro. Poi sente la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi velocemente, e sa che Rin è uscito. Un veloce sguardo all’orologio sul comodino le conferma che è uscito per andare in piscina, e che non tornerà fino a sera.
Nel silenzio assoluto e irreale della casa, sapendosi sola, Gou si lascia scivolare una mano addosso. Non ha ancora rimesso le mutandine, e si ferma ad accarezzarsi piano per qualche secondo. È ancora calda di lui, è ancora bagnata di lui. Se lo sente ancora addosso, quasi dentro, come fosse ancora lì.
Si aggrappa a quella sensazione così disperatamente che le esplode un dolore sordo in tutto il corpo. Pensa distrattamente che dovrà abituarcisi. Crescere le dimostra che è proprio così.
Genere: Commedia.
Pairing: Rin/Haruka/Makoto.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash, Threesome, Flashfic.
- "La soluzione era giunta, non richiesta, dopo mesi di riflessione, in un momento in cui ormai sia Rin che Makoto avevano finito per abituarsi alle ritrosie di Haruka quasi fossero normale routine."
Note: Scritta per la Notte Bianca #10 su prompt Free!, Rin/Makoto/Haruka, "L'importante è che si faccia in acqua."
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LA NATURA DIPOLARE DELL’ACQUA

La soluzione era giunta, non richiesta, dopo mesi di riflessione, in un momento in cui ormai sia Rin che Makoto avevano finito per abituarsi alle ritrosie di Haruka quasi fossero normale routine.
Haruka aveva un codice di comportamento molto preciso, ai limiti dell’ossessivo-compulsivo, in effetti. Essendo sempre stato così, ed essendo Haruka rimasto stoicamente fedele a se stesso nel corso degli anni, nessuno dei due si era particolarmente stupito quando, la prima volta che avevano provato a mettergli le mani addosso insieme, Haruka aveva premuto entrambe le mani contro il petto di Rin, che lo assaliva da davanti, ed era scivolato lontano dal corpo di Makoto, che lo stringeva da dietro, allontanandosi in un movimento fluido di un paio di passi, per poi sparire in corridoio, i passi lenti e strascicati chiaramente diretti verso il bagno.
- Dio, non di nuovo. – aveva mugolato Rin, lasciandosi ricadere di peso sul letto.
- Si prenderà un raffreddore. – aveva osservato Makoto con un sospiro.
- Dio, - aveva ripetuto Rin con un sincero lamento di dolore, - Non di nuovo.
Ci avevano riprovato altre volte, dopo quell’imbarazzante fiasco, ma la risposta di Haruka era stata sempre la stessa. Qualunque fosse il momento, in qualsiasi posizione si trovasse, in qualsiasi stanza l’avessero rinchiuso nel tentativo di avere ragione una volta per tutte di quei suoi no così silenziosi eppure così decisi, non importava quanto Haruka stesso avesse voglia di andare avanti: si alzava ed andava via, possibilmente diretto verso la pozza d’acqua più vicina, dove si sarebbe spogliato da sé molto più velocemente di quanto Rin e Makoto non avrebbero mai potuto fare, per immergersi fin sopra ai capelli e tornare in pace con se stesso e col mondo.
- Sai cosa? – commentava Rin, di tanto in tanto, - Alle volte mi sembra di avere a che fare con un ritardato. Potrebbero anche metterci in galera per, boh, circonvenzione d’incapace, se riusciamo a portarcelo a letto.
- Forse hai ragione. – sospirava Makoto, appoggiando le spalle alla parete e rilassandole appena, attirandosi uno sguardo famelico da parte di Rin, - Forse è meglio se non ci riusciamo mai.
A quel punto, usualmente, si guardavano intensamente negli occhi per una manciata di secondi e poi sospiravano, affranti, stabilendo di riprovarci il giorno dopo.
Quando avevano deciso di provarci in tre per risolvere alla base il problema che impediva al cervello palesemente bloccato di Haruka di scegliere uno qualsiasi fra loro due, ad entrambi era sembrata la soluzione migliore, e per un po’ di tempo, finché le cose si erano fermate a venti centimetri di lingua in gola nelle docce e a finte-casuali toccatine sopra i vestiti negli angoli bui delle scale prima e dopo le lezioni, era andato tutto alla grande. Era stato quando le cose avevano cominciato a spostarsi sotto, pelle contro pelle, che qualcosa nel cervello di Haruka era andato storto.
Non erano mai stati in grado di capire cosa. Avevano provato a porgli delle domande, ad aiutarlo a spiegare, ma ogni tentativo si risolveva soltanto in una scrollata di spalle ed un laconico “non lo so, non sembra giusto” da parte di Haruka che né Rin né Makoto erano mai stati in grado di interpretare correttamente, dal momento che avevano provato a cambiare situazione, posizione, luogo, data, ora e sistemazione una quantità imprecisata ma enorme di volte e non erano mai stati capaci di trovare la soluzione giusta.
E poi, all’improvviso, la soluzione.
Haruka era sparito in bagno già da una buona ventina di minuti quando Rin e Makoto, annoiati dall’attesa, avevano deciso di raggiungerlo. L’avevano trovato seduto in un angolino della vasca, intento come al solito a fissare quello stupido pupazzo galleggiante a forma di delfino come se i suoi occhi neri a bottoncino celassero chissà che intimo segreto. Alle volte, entrambi erano gelosi di quello stupido delfino, ma nessuno dei due era stupido abbastanza da ammetterlo.
- Ti spiace se quantomeno ti facciamo compagnia? – aveva domandato Rin, sarcastico, già tutto intento a sbottonarsi la camicia. Makoto l’aveva imitato, lanciando ad Haruka un’occhiata curiosa, ma lui aveva risposto solo con una scrollatina di spalle, chiaramente disinteressato a qualsiasi cosa potesse accadere da quel momento in poi, purché accadesse in acqua.
Ed era stato allora che Rin e Makoto si erano guardati negli occhi, le labbra dischiuse, due espressioni gemelle di puro sconcerto, ed avevano capito.
A quel punto, era stato molto facile. Erano scivolati entrambi nella vasca da bagno, stringendosi un po’. Makoto si era sistemato alle spalle di Haruka, accogliendolo contro il proprio petto e massaggiandogli la schiena con le mani grandi bene aperte, mentre Rin si era accucciato di fronte a lui, lanciandogli uno dei suoi ghigni taglienti, vicino abbastanza da osservarsi riflesso nei suoi occhi freddi.
- Ho un’idea. – aveva detto, un tremito divertito della voce, mentre guardava in basso, al corpo nudo di Haruka che sembrava sciogliersi morbido e rilassato sotto la superficie dell’acqua.
Makoto aveva riso, chinandosi in avanti per lasciare un bacio gentile sulla nuca di Haruka, lasciandosi solleticare il naso dalle punte dei suoi capelli bagnati.
- Proviamo? – aveva chiesto, sporgendosi in avanti ancora un po’ per mordere piano la spalla di Haruka prima di cercare i suoi occhi.
Haruka era arrossito appena, e poi aveva scrollato nuovamente le spalle. Più che un vero e proprio sì, un tacito assenso, ma comunque più di quanto entrambi fossero riusciti a strappargli nel corso degli ultimi mesi.
Rin aveva allungato una mano, lasciandola scivolare fra le cosce tornite di Haruka con un’urgenza che aveva dato a Makoto i brividi come se la fosse sentita scorrere addosso. Haruka non si era allontanato. Makoto l’aveva sentito appoggiarsi meglio contro il suo petto, rilasciando il capo contro una delle sue spalle per spingere il bacino lievemente in avanti, invitando Rin a toccarlo ancora.
Rin aveva ghignato soddisfatto.
- Vittoria. – aveva sussurrato, chinandosi a baciarlo, famelico.
Nessuno aveva fatto caso a chi fosse arrivato primo, secondo o terzo, quella sera.