telefilm: valerio flaviano

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Non per stomaci delicati, Violence, Drug, Rape, Creepiness generalizzata.
- Storia breve dei fratelli Flaviano.
Note: Prima che la vergogna mi sommerga, faccio una piena confessione e la sottoscrivo: sì, sto guardando Distretto di Polizia. Sì, solo l'ottava stagione. Sì, solo ed esclusivamente perché c'è dentro Jesus Emiliano Coltorti. Che fa una parte strafiga e cattiva e psicotica, all'interno della quale ha un fratello col quale ha un rapporto malaterrimo, pieno di UST e tocchiccioso a livelli indecenti XD Ed è proprio sulla loro relazione che, aiutata da uno dei prompt dell'ultima settimana del COW-T @ maridichallenge (per la precisione, la quote "Impegnarsi vuol dire soprattutto rischiare. Non solo la vita, ma la propria serenità.", di Roberto Saviano), che ho deciso di scrivere questa storia. Potevo metterci dell'incest, e invece niente, solo un sacco di creepiness e roba oggettivamente badwrong. Che culo, eh?
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PLAYING HOUSE IN THE RUINS OF US

"Impegnarsi vuol dire soprattutto rischiare. Non solo la vita, ma la propria serenità."

Giulio non era mai stato tanto normale, e Valerio l’aveva sempre saputo.
Quand’era piccolo, ma proprio piccolissimo, tanto piccolo da dover stare ancora nella culla, Valerio si occupava di lui – doveva per forza, né sua madre né suo padre erano mai stati granché affidabili, in quel senso – e poteva passare ore ad osservarlo. Solo che Giulio non si muoveva tanto. Non piangeva quasi mai, non faceva versetti, non giocava con la roba che aveva nel lettino, non si spostava granché, per la maggior parte del tempo sembrava che neanche respirasse, salvo poi uscirsene ogni tanto con un sospirone talmente profondo che non si capiva proprio come riuscisse a entrare in un corpicino così piccolo. E guardava tutto con quei suoi occhi enormi e chiari, ma senza curiosità, come se la realtà lo annoiasse in maniera quasi insopportabile.
Valerio si issava sulle punte, aggrappandosi alle grate in legno del lettino, ed avvicinava un dito alla sua mano paffuta, aspettandosi di vedere quelle dita cicciotte chiudersi attorno al suo, ma questo non accadeva mai. Giulio rimaneva lì con la manina aperta, e quando Valerio faceva tanto di premere la punta del dito contro il suo palmo, per forzarlo ad una qualche reazione, tutto ciò che otteneva era che Giulio si mettesse a spingere a propria volta, opponendogli tutta la resistenza che la sua età e la sua poca forza gli consentivano.
Fin dal principio, Valerio aveva capito che quel fratellino già così ostinato gli avrebbe dato del filo da torcere. L’affetto che provava per lui non era in discussione – c’era qualcosa che gli si scioglieva puntualmente nel petto, colando fin sullo stomaco e riscaldandolo dall’interno, ogni volta che le labbra di Giulio si tendevano in una smorfietta vagamente differente da quella apatica e indolente che generalmente sembrava ostentare come ne andasse addirittura orgoglioso – ma altrettanto non si poteva dire della sua capacità di avere a che fare con lui. Valerio non aveva mai avuto pazienza e non aveva nessuna voglia di farsi crescere una ghiandola apposita per tollerare l’indisponenza del fratellino, ma giocoforza aveva dovuto imparare ad abituarsi, dal momento che col passare del tempo la situazione non era affatto migliorata.
A cinque anni, Giulio aveva cominciato ad ammazzare le lucertole. Se ne vergognava, infatti lo faceva solo quando era solo. Valerio l’aveva beccato un pigro pomeriggio d’agosto, riemergendo dalla propria stanza sudato come non avesse fatto una doccia gelida dieci minuti prima di mettersi a dormire per cercare di far passare un po’ il tempo. L’aveva trovato sul porticato dopo averlo inutilmente cercato per tutti e due i piani della villa al mare che i loro genitori avevano acquistato anni prima, e dove andavano sempre a passare l’estate quando il caldo in città si faceva troppo soffocante. Stava lì, seduto sui talloni, la frangetta biondiccia che gli solleticava il naso, e guardava per terra.
- Che fai? – gli aveva chiesto, avvicinandoglisi. Giulio aveva fatto un balzo e s’era ritrovato col sedere per terra in meno di un secondo, gli occhi spalancati e una mano sul cuore. Valerio l’aveva guardato per qualche secondo, aveva fissato le sue labbra tremolanti e gli occhi colmi di spavento, e poi aveva lasciato che il proprio sguardo scivolasse sul pavimento, fino a inquadrare la figura della lucertola inchiodata al terreno come in croce, uno spillo ad ogni zampa ed un altro mezzo conficcato nella gola.
- Credevo che era mamma. – aveva detto Giulio, ed era stato il suo tono calmo a costringere Valerio a tornare a guardarlo. La sua espressione era tornata assolutamente neutra ed assorta. Sul suo viso non c’era più traccia dell’inquietudine che sembrava dominarlo fino a pochi secondi prima. – Stavo solo giocando.
- A fare fuori le lucertole? – gli aveva chiesto lui, appendendo una mano al fianco e guardandolo dall’alto. Giulio s’era concesso un sorriso minuscolo.
- Mi piace come si muovono. – aveva risposto, e poi aveva conficcato lo spillo più in profondità nella gola della lucertola, che aveva preso a dimenarsi con furia perfino maggiore, mentre rivoletti di sangue denso e scuro stillavano da tutte le sue ferite, allargando disgustose pozzanghere sotto il suo corpicino tremante.
- Staccale la testa. – aveva detto Valerio dopo qualche secondo di quello spettacolo raccapricciante, - Non vedi che la stai torturando? Così ci metterà una vita a morire.
Giulio aveva scrollato le spalle. Invece di ubbidire, aveva tirato fuori un coltellino a serramanico dalla tasca centrale della salopette sporca di terra che indossava. Aveva fatto scattare la lama e poi si era messo a fare a fettine la coda del rettile. Piccoli cubetti, come faceva sua madre con la carne per lo spezzatino.
- E ora? – aveva chiesto Valerio, - Che vuoi fare?
Giulio aveva sorriso ancora.
- Voglio vedere se è più veloce lei a morire o la coda a ricrescere.
I brividi erano durati solo qualche attimo. Dopodiché, si era accucciato al suo fianco ed avevano passato il pomeriggio a guardare. La lucertola era morta per prima.
Quel coltellino a serramanico era servito per fare un bel po’ di cose, dopo. Quasi tutte avevano coinvolto spargimenti di sangue, peraltro. Niente che si fosse mai spinto oltre un certo limite, naturalmente. L’idea di usare la lama contro gli altri bambini, ad esempio, non li aveva mai nemmeno sfiorati, anche perché erano entrambi piuttosto solitari e di altri bambini, intorno a loro, non è che se ne vedessero spesso, ma sugli animaletti che spesso trovavano nascosti nel giardino che circondava tutta la villa, quello sì, era accaduto spesso.
L’ultimo era stato un cucciolo di gatto. L’avevano trovato nascosto dietro un cespuglio, era cieco, senza neanche un pelo ed era nato senza una zampa. La madre doveva averlo lasciato lì portando via tutti gli altri cuccioli sani dopo il parto.
Aveva miagolato per tutto il tempo mentre Giulio, con metodo quasi scientifico – ormai aveva quasi undici anni, ed aveva passato gli ultimi cinque a sfogliare l’enorme enciclopedia anatomica illustrata che papà teneva in studio, coccolandoselo come neanche un libro di fiabe – gli amputava le restanti zampette e poi lo apriva in due seguendo una linea nettissima dal collo alla base del ventre, maneggiando il serramanico con la precisione di un bisturi.
Valerio non aveva mai staccato gli occhi dal viso di suo fratello, fino alla conclusione dell’operazione. Era teso e nervoso, la sua fronte era imperlata di goccioline di sudore che non si arrischiavano a scivolare lungo il profilo del suo viso e finivano intrappolate nella folta frangetta che ancora gli copriva la faccia quasi fino al naso. Quando il gatto aveva smesso di miagolare – c’erano intestini sparsi per tutto il gradino sul quale avevano lavorato per ore, fin quasi al tramonto – Giulio si era allontanato barcollando, sporco di sangue fino ai gomiti. Aveva lasciato cadere il coltellino per terra e poi, appoggiandosi al muro, si era piegato sulle ginocchia ed aveva vomitato.
Ripulire tutto era stata una fatica. Avevano deciso insieme di fermarsi lì.
A tredici anni, Giulio si era innamorato per la prima volta. La ragazza era bella da morire, e soprattutto era di Valerio. L’aveva conosciuta durante una festa a casa di un amico. Aveva ventidue anni e studiava giurisprudenza, ma a nessuno fregava un cazzo di cosa studiasse. Valerio l’aveva portata alla villa al mare, nonostante facesse ancora un certo freschetto. I loro genitori erano, naturalmente, ancora a Roma. Giulio si era mosso con loro, e sulla porta di casa la ragazza si era azzardata a chiedere a Valerio se dovesse restare pure per la sera. L’aveva chiesto con aria un po’ scocciata, come avesse fatto dei programmi che la presenza del fratellino minore dallo sguardo impassibile mandava inevitabilmente all’aria.
Valerio l’aveva afferrata per i capelli e l’aveva scaraventata di faccia contro lo stipite della porta. Lei era svenuta subito, non aveva avuto neanche il tempo di urlare, nonostante l’urto le avesse praticamente rotto il naso e fatto saltare per aria due incisivi. Valerio era entrato in casa trascinandosi dietro il suo corpo immobile e lasciando per terra una scia di sangue denso e colloso come la bava di una lumaca. Giulio era entrato subito dopo di lei, chiudendosi la porta alle spalle. Valerio aveva gettato la ragazza sul divano, sfilandole le mutandine e schiudendole le cosce.
- Vai. – aveva detto a Giulio, il quale però non si era mosso subito. Pensoso, era rimasto sulle sue per qualche secondo, soppesando la situazione e grattandosi il mento.
- Mi fa schifo. – aveva detto poi, - La sua faccia è rivoltante.
Valerio aveva scrollato le spalle e poi l’aveva rigirata sullo stomaco, in modo che Giulio non potesse più vederla.
- Ora? – aveva chiesto. Giulio aveva sorriso.
- Ora va bene. – aveva annuito, prima di avvicinarsi.
La ragazza era rinvenuta poco dopo, Giulio era ancora completamente affondato dentro di lei e si muoveva svelto, entrando e uscendo dal suo corpo caldo che non opponeva la minima resistenza alle sue spinte sempre più profonde e violente. Dapprima erano stati solo dei lamenti soffusi, che poi pian piano si erano fatti più rumorosi e spaventati, fino a trasformarsi in vere e proprie urla. Valerio aveva continuato a guardare il fratello – le mani piantate nei fianchi della ragazza e il sesso bagnato di lei che si affacciava appena per scomparire poi immediatamente fra le sue natiche – e si era chiesto se si sarebbe comportato con lei come si era comportato da piccolo col gattino, quasi godendo dei suoi miagolii disperati.
- Falla stare zitta. – aveva invece detto Giulio dopo pochi istanti. Valerio l’aveva fatta stare zitta.
Sbarazzarsi del corpo era stato perfino più difficile che pulire il cortile dopo la storia del gatto. Anche stavolta, avevano deciso entrambi di non farlo più.
Giulio non era mai stato tanto normale, comunque, e Valerio, se mai lo era stato prima, aveva comunque smesso di esserlo molto presto. Quella della criminalità non era stata una scelta, ma un richiamo del sangue. Un bisogno, quasi una chiamata, una vocazione. Giulio sembrava fatto apposta per maneggiare le armi, era evidente dalla cura che riservava alla manutenzione di tutte le sue pistole. Poteva perderci interi pomeriggi, smontarle e pulirle fin nel più nascosto anfratto e poi rimontarle, provarle e ricominciare da capo. Sembrava che frugare nelle profondità delle sue pistole gli desse perfino più piacere che solleticare quelle delle numerose donne che si portava a letto. Dopo quella volta non aveva più avuto bisogno dell’intercessione del fratello, fortunatamente, e questo aveva tolto un peso dalle spalle di Valerio. A lui le donne avevano smesso di piacere da tempo. Esaurita la spinta puramente ormonale dell’adolescenza – un periodo in cui non scopare poteva seriamente portarlo a dare di matto in modi atroci – le donne avevano cominciato a ridursi a pesi morti da trascinarsi dietro, proprio come la ragazza svenuta che aveva offerto a suo fratello. A Giulio invece le donne piacevano un casino, anche se Valerio pensava fermamente che gli piacessero tanto solo perché poteva comportarsi con loro esattamente come s’era sempre comportato con tutti gli animaletti che, da bambino, aveva torturato senza fare una piega nel giardino davanti alla villa.
Era diventato tutto troppo piccolo, comunque, in pochissimo tempo. Furti troppo piccoli, omicidi troppo piccoli, perfino entrate economiche troppo piccole. Esattamente come quando, da bambino, partendo dalle lucertole Giulio era arrivato ai gattini, assieme a Valerio, da adulto, era partito dai furtarelli casuali per arrivare agli omicidi passando per i furti sistematici, lo spaccio, il contrabbando di armi e il mercenariato. E sul suo viso l’espressione non era mai cambiata. Sempre vuota, sempre impassibile, piegata ogni tanto appena di qualche centimetro verso un estremo emotivo o il suo opposto, e non ci sarebbe stato nulla, nel mondo, che Valerio avrebbe desiderato di più di vedere suo fratello ridere fino alle lacrime, o piangere fino a vomitare dal dolore. Avrebbe voluto sentire le sue emozioni montare e poi esplodere, ma Giulio non si lasciava scappare niente. Sembrava che quelle emozioni che Valerio avrebbe tanto voluto vedergli addosso, lui nemmeno le provasse.
Era arrivata la noia. Con la noia, erano arrivati i tentativi di scacciarla via. Il rally, l’alta velocità, le corse in condizioni sempre meno protette. L’incidente, la gamba fatta a pezzi, la morfina. Altra noia. Il viso di Giulio che si faceva sempre più spento, i suoi occhi sempre più vuoti. Passava le ore immobile in balcone, nell’appartamento che condividevano in centro città, semidisteso sulla sdraio a fissare l’orizzonte, le linee sempre uguali dei palazzi, l’intricato saliscendi dei tetti sullo sfondo del cielo di Roma. Un giorno l’aveva trovato seduto a gambe incrociate come un ragazzino, lo sguardo fisso in un punto imprecisato sulla strada dieci piani più sotto e la pistola in mano. Lentamente, si lasciava scivolare la canna lungo il profilo del viso. La tempia, la guancia, il mento. Il metallo ghiacciato gli ricopriva la pelle di brividi, ma nei suoi occhi e nella sua espressione non c’era traccia di fastidio. Per lunghissimi minuti, la bocca della pistola aveva sfiorato la sua in un bacio spaventoso e freddo. Poi, centimetro dopo centimetro, la canna era sparita fra le sue labbra, dentro la sua bocca. Sembrava la stesse accarezzando con la lingua, con la stessa pigra lascivia con la quale il suo indice stava accarezzando il grilletto. Si era fermato da solo, sfilandosi la canna dalla bocca con un gesto repentino e violento, per lasciarsela ricadere morbidamente fra le gambe prima di prendersi il volto fra le mani. Valerio aveva avuto appena il tempo di nascondersi in cucina, per evitare di essere visto, quando lui si era alzato per andarsi a fare una dose di morfina.
Forse era stato per non vederlo più in quelle condizioni che Valerio gli si era avvicinato, quel giorno, e gli si era seduto accanto.
- Ho conosciuto una, - gli aveva detto, - si chiama Melissa.
Giulio sembrava non averlo neanche sentito.
- È bona da paura. – aveva insistito Valerio, - Se vuoi te la porto.
Giulio aveva scrollato le spalle, totalmente disinteressato.
- Senti… - aveva concluso, passandosi nervosamente una mano sulla nuca, - Questa qui è la donna di un pezzo grosso, ma si vede che lo odia. Se lo vuole togliere dai coglioni, e mi ha detto che ‘sto tizio, oltre a gestire una bisca clandestina, ha le mani in pasta con un tipo che procura droga a mezza Roma.
- Non me ne frega un cazzo dello spaccio, Valerio. – aveva detto Giulio, atono, continuando a fissare il cielo.
Valerio aveva inspirato ed espirato con pazienza, avvicinandosi ancora un po’.
- Ti dico quello che faremo. – gli aveva detto, - Stasera noi usciremo. Andremo ad incontrare Melissa. Lei ci spiegherà per bene di cosa si tratta. Stiamo parlando di miliardi, qui, Giulio. Non stiamo parlando di spaccio. Stiamo parlando di diventare re.
- Non me ne frega un cazzo neanche di diventare re. – aveva sillabato Giulio. La sua voce non aveva neanche cambiato inflessione. – Lo sai cosa mi piacerebbe? Mi piacerebbe tornare nella nostra vecchia casa al mare. E non zoppicare più. E avere di nuovo undici anni. E giocare come facevamo da piccoli.
Valerio gli aveva lanciato una mezza occhiata accigliata, come a cercare di capire se stesse scherzando o fosse serio, ma la sua espressione era come al solito sempre uguale a se stessa, indecifrabile.
- Sai che non è possibile. – gli aveva risposto. Giulio aveva sorriso impercettibilmente.
- Sì, lo so. – aveva annuito, - Infatti noi stasera usciremo, ed andremo a incontrare Melissa. Lei ci spiegherà per bene di cosa si tratta e noi ricominceremo da capo con questa nuova cosa. Ma prima o poi finirà anche lei, come finisce tutto. E torneremo qui. Senza niente da fare e senza idee.
Valerio aveva sospirato, scuotendo il capo.
- Non questa volta. – aveva detto, - Questa volta sarà diverso.
Giulio aveva sorriso ancora, con più convinzione, voltandosi a guardarlo.
- Magari questa volta mi ammazzano. – aveva ridacchiato. Più che un’ipotesi, sembrava una preghiera.
- Mi assicurerò che non accada. – aveva detto Valerio, guardandolo dritto negli occhi. Giulio aveva inspirato profondamente e poi s’era alzato in piedi di scatto, mordicchiandosi l’interno di una guancia con forza per cercare di ignorare il dolore alla gamba.
- Va bene. – aveva detto, sistemandosi i pantaloni in vita, - Adesso andiamo.
La serata era andata bene. Giulio era sembrato abbastanza interessato. All’affare, e anche a Melissa. Quella sera, tornando a casa, Valerio gli aveva fatto un regalo. Una siringa e un bel po’ di morfina tutta per lui. Più di quanta non ne avesse mai vista durante il periodo in cui la morfina poteva ancora prescrivergliela il medico. Giulio gli aveva sorriso, era parso contento.
Valerio aveva passato la notte a guardarlo dormire, accarezzando la pistola e chiedendosi se sarebbe riuscito a mostrare un’espressione vera, se gli avesse sparato lui.