animanga: roy mustang

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia.
Pairing: Havoc/Mustang/Hughes accennato.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Threesome (accennato), Switchgender, Flashfic.
- "L’ho trovato— trovata— quello che è, comunque, era già così quando sono arrivato."
Note: Scritta per la Notte Bianca @ maridichallenge, su prompt Fullmetal Alchemist, genderswitch.
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CLOSE THE DOOR

- Quando è successo? – chiede Hughes, inarcando un sopracciglio. Il suo tono è calmo, professionale. Abbastanza inquietante, data la situazione. È come se la notizia non l’avesse sconvolto per niente, la qual cosa è semplicemente impossibile, soprattutto guardando il divano e ciò che vi sta seduto sopra.
- Uhm, non ne sono sicuro. – risponde Havoc, grattandosi nervosamente la nuca, - L’ho trovato— trovata— quello che è, comunque, era già così quando sono arrivato.
Hughes si gratta il mento con aria pensosa, assottigliando gli occhi e chinandosi appena. Sul divano, ciò che resta di Roy Mustang si stringe nelle spalle. La divisa, ora che le sue spalle sono più piccole e la loro curva è più dolce, è troppo grande, e cade da tutte le parti lasciando scoperti centimetri di pelle rosa dal profumo talmente intenso da lasciarlo un po’ stordito. Si rimette dritto, vagamente turbato, accarezzandosi il pizzetto.
- Si ha qualche idea su chi possa aver fatto una cosa del genere? – chiede, cercando di mantenere il proprio tono il più distaccato possibile.
Havoc scuote il capo e scrolla le spalle.
- Nessuna. È semplicemente… successo. Anche lui— lei— dice che non lo sa. O almeno, così mi è sembrato di capire.
Hughes si volta a guardarlo, incerto.
- Ti è sembrato di capire? – chiede.
- Sì, be’. – gesticola Havoc, distogliendo lo sguardo, - Non è che proprio parli. Mugugna, più che altro.
Hughes inarca un sopracciglio e si china nuovamente su Mustang, cercando di ignorare il suo profumo e di restare presente a se stesso. Tra l’altro, è abbastanza allucinante che Mustang puzzasse come un caprone fino all’ultima volta che l’ha visto, da bravo maschio particolarmente reticente nei confronti dell’acqua, ed ora invece profumi di rosa e gelsomino come se l’odore venisse da una fonte inesauribile dentro di lui.
- Roy? – lo chiama, - Dimmi qualcosa. Spiegami cosa è successo.
Mustang scuote con forza il capo, strizzando le palpebre. Si stringe nelle spalle così tanto da diventare minuscolo, e la frangetta scura scende a coprirgli gli occhi, incredibilmente più grandi e liquidi di come Hughes li ricordasse. Havoc, da qualche parte accanto a lui, deglutisce pesantemente, e solo dopo un paio di occhiate più approfondite Hughes riesce a capire che ciò è dovuto al fatto che, nel movimento, i pantaloni ormai larghissimi di Mustang sono scivolati un po’ lungo i suoi fianchi, scoprendo un po’ delle natiche tonde e sode.
Scuote con forza il capo, poggiando una mano sulla spalla di Mustang, pentendosene immediatamente ma lasciandola comunque lì per buona misura.
- Roy, avanti. – dice più dolcemente, accarezzandolo appena nel tentativo di rassicurarlo, - Raccontami tutto.
La voce di Roy è solo un sussurro, quando finalmente si decide a parlare. Havoc spalanca gli occhi e trattiene il respiro mentre Mustang si solleva sulle ginocchia, tirando su le gambe sotto il sedere nel tentativo di non lasciar scivolare troppo i pantaloni lungo le cosce bianche e lisce, e si aggrappa con forza alla camicia di Hughes, obbligandolo ad abbassarsi finché le sue labbra rosa non sfiorano il lobo del suo orecchio.
- Non so cosa è successo. – mugola appena, - E la mia voce è tremenda… - commenta in un piagnucolio stanco. Torna a sedersi, i vestiti tutti scomposti e la casacca che si abbassa ancora un po’, lasciando intravedere un accenno di seno. – Odio tutto questo. – si lamenta, coprendosi il viso con entrambe le mani, mentre la maglia scende ancora, mostra la curva della sua schiena ed un’altra porzione di curva del seno.
Hughes deglutisce faticosamente, inumidendosi le labbra. Havoc lo guarda con terrore crescente, notando il rigonfiamento evidente nei suoi pantaloni all’altezza del cavallo. Lo spaventa, ma non quanto lo spaventi il proprio stesso sesso talmente duro da fare male in mezzo alle gambe.
- Havoc. – lo chiama Hughes, il tono basso e grave. Mustang tira su col naso e lascia andare un lamento così involontariamente sexy da dargli i brividi. – Chiudi la porta.
Il terrore di Havoc raggiunge il proprio apice, mentre i suoi occhi si spalancano e tutti i suoi arti si tendono.
- Cosa…? – prova a chiedere, sperando che Hughes si metta e ridere e gli dica che stava solo scherzando. Hughes, invece, si siede accanto a Mustang e gli toglie la casacca di dosso, delicatamente. Roy si volta a guardarlo con aria incerta, gli occhi rossi, umidi e un po’ persi.
- Maes…? – lo chiama in un miagolio lagnoso. L’erezione di Havoc si tende un po’ di più.
- Chiudi la porta. – ripete Hughes, senza smettere di guardare Mustang negli occhi nemmeno per un secondo. Havoc si riscuote, e obbedisce.
Genere: Romantico, Triste.
Pairing: SheskaxMaes principalmente, un po' di sano RoyxRiza e un po' di velato AlxEd.
Rating: R
AVVISI: What if?, Incompleta.
- Maes Hughes è un uomo fedele. Maes Hughes non tradirebbe mai la fiducia di sua moglie o quella della sua amata figlia. Maes Hughes è abbastanza forte da resistere ad ogni tentazione. O forse no.
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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GROUNDLESS
Capitolo 1
Ragionevole deviazione


- Sheska, il tuo prossimo compito è...
- BASTA!
Detonazione improvvisa e violenta.
- Non la sopporto più! Non capisco se mi ha presa qui per schiavizzarmi o che altro, ma non ce la faccio più! Pensavo di stare facendo qualcosa per cui dopo sarei stata ricompensata, e invece vengo ricompensata solo con altro lavoro, ancora lavoro, sempre e solo lavoro, e se devo essere completamente sincera la paga non è poi tutto questo granché! Maledico il giorno in cui Ed mi ha raccomandata e soprattutto, sopra ogni cosa, Signore, maledico, maledico, maledico con tutto il cuore il giorno in cui ho incontrato lei, Tenente Colonnello Hughes!!!
Lei si bloccò, le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni strettissimi. Lo sguardo fiero di rabbia e cieca frustrazione sferzava il militare. Faceva quasi male. Fisicamente. Lui la guardò per un po', sentendosi sopraffatto dallo stupore.
- Sh...
- No! Non ascolterò una sola parola di comando! E non mi lascerò riportare all'ordine! Basta, mi licenzio!
- Ma...
- La smetta, Hughes! Non posso più ascoltarla, la sua voce mi infastidisce, mi è insopportabile, basta, basta, basta!
- Sheska, scusa.
Ed era il suo turno di spalancare gli occhi.
- Come ha detto, prego...?
- ...ti ho chiesto scusa.
Ammutolita, continuò a fissarlo, in attesa di... qualunque altra cosa. Qualunque altra cosa, però, non arrivò; poco dopo, si rassegnò a chiedere ulteriori spiegazioni.
- ...perché?
- ...come perché?! Sheska, che storie mi fai?! Prima esplodi in lamentele, e poi quando ti chiedo scusa mi chiedi anche perché?!
- Be', sì.
- Come "sì"?
- Sì. Perché voglio vedere di cosa si sta scusando.
- Ma... di tutto quello che mi hai detto prima…
- ...altro...?
- ...sono sicuro che non faticherai a trovare dell'altro...
- Per esempio essere una persona insopportabilmente stressante, essere noiosamente fissato su sua figlia, non dare un attimo di tregua a chi le sta intorno e...
- Ok, ho capito di essere una pessima persona, puoi finirla qui...
Un po' imbarazzata, lei si strinse nelle spalle.
- Ma... no, non è una pessima persona...
Lui portò una mano alla fronte, sospirando confuso.
- Sheska, non ti seguo più...
- Intendo, non è come se si dovesse scusare di esistere, Signor Hughes. Lei è una brava persona, ha tante buone qualità, è leale, è fedele, è un buon amico, è un bell'uomo e...
S'interruppe, realizzando in un secondo di non essere riuscita a frenare la lingua al momento giusto. Sollevò lo sguardo per cercare di cogliere la reazione dell'uomo alle sue ultime parole, ma sul suo viso non c'era traccia di sorpresa o imbarazzo.
- Ecco... intendevo...
In realtà non avrebbe saputo dire cosa intendesse. Forse perché non intendeva niente. Era stanca, sì. Aveva voglia di sfogarsi, pure. E l'aveva fatto, senza stare troppo a pensare. Ma come, da questo, fosse arrivata a dare a quell'uomo del bell'uomo, be', un mistero. E perché lui rimanesse così impassibile, poi, era un mistero ancora più intricato e fastidioso.
Non sapendo cos'altro dire, rimase in silenzio e tornò al suo posto. Lui, un po' stupito dal suo comportamento, rimase a guardarla ancora per qualche minuto, come cercando di risolverla; non riuscendoci, dopo poco tornò anche lui alle sue faccende.
- ...qual era il prossimo lavoro che voleva assegnarmi, Signore...?
- Eh... la trascrizione successiva in ordine cronologico rispetto all'ultima che hai completato...
- Sissignore.
Afferrò una pila di fogli e, lentamente, cominciò a trascrivere tutto ciò che ricordava.
Ad annunciarle che Hughes s'era avvicinato a lei non fu il suo odore, né la sua ombra, né un qualsivoglia spostamento d'aria. Fu la foto di Elysia, che le apparve davanti agli occhi, sorridente e splendente nella luce del mattino, in groppa a un cavallo a dondolo dall'aria costosa.
- Non è adorabile? - chiese la sua voce melensa - poté immaginare il suo amore paterno sprizzare da ogni poro della sua pelle - Farà quattro anni fra poco! Guardalaguardalaguardala!!!
Furente, cercò di trattenersi, ma riuscì ben poco.
- SIGNORE! Ha capito un'accidenti di quello che le ho detto prima, sì o no?!
Intimorito, lui conservò la foto e fece un passo indietro.
- She...
- E basta! Dannato cocciuto insopportabile! Non ce la faccio più a sentirti parlare della tua dannata famiglia perfetta, e della tua mogliettina perfetta, e della tua figlioletta perfetta, e della tua vita perfetta!!! Smettila!!!
Sorvolò sul "tu" inappropriato.
- Sheska, cos'hai?
Lei si irrigidì tutta, stringendosi nelle spalle.
- Sono... innervosita dal tuo chiacchiericcio! - lo accusò, decisa.
- Non dirlo con quegli occhi!
- Quali occhi?!
- Quegli occhi! Come se fosse veramente questo il tuo problema!
- L-Lo è!
- Avrei potuto crederti se mi avessi detto "Signore, non sopporto sentirla parlare continuamente dei fatti suoi a lavoro". Inceve, nel tuo discorso, hai infilato tutta una sequela di "perfetti" che mi danno da pensare...
Agitata, tentò la fuga, voltandosi e cercando di imboccare la porta. Gesto codardo, sì, ma che alternativa aveva se non voleva che il problema venisse definitivamente fuori?
- Sheska!
Aumentò l'ampiezza del passo, desiderosa di uscire al più presto.
No, non le lasciò fare nemmeno questo. L'afferrò per un braccio proprio mentre era lì, a due centimetri dal suo obiettivo, a due centimetri dalla salvezza.
- Sheska.
La costrinse a voltarsi, tirandola delicatamente. Vicinissimo com'era, ora sì, riusciva a sentirne l'odore. Era un odore rassicurante. Proprio da padre di famiglia. Totalmente dissimile dai profumi economici e di cattivo gusto che usavano i militari le rare volte che si davano una lavata. Non sapeva se a darle più fastidio era la sua presenza così incombente o quel dannato profumo che, insistentemente, le ricordava "ehi, è sposato, ha una figlia, è un uomo rispettabile, PIANTALA di pensarci".
Abbassò lo sguardo. Per tutta risposta, lui l'afferrò per il mento e la costrinse a risollevarlo.
- Parla.
- Niente da dire, Signore.
- Stai negando di avere qualche problema con me?
- Sissignore.
- Sai che, se arrivo a lasciarti andare senza aver risolto niente, puoi considerare il discorso chiuso, così come la tua permanenza qui?
- Sissignore.
- Ed è quello che vuoi?
- Nossignore. Ma non ho molta scelta.
- Perché?
- Cause di forza maggiore, Signore.
- ...non sei mai stata tanto formale, prima.
- Forse avrei dovuto, Signore.
Lui la tenne più stretta per il mento, facendole male.
- E forse invece non dovresti neanche adesso! - sbottò, irritato.
- Neanche lei è mai stato così, Signore.
- Mi infastidisce che i miei sottoposti debbano avere problemi di cui non vogliono parlarmi. Soprattutto se sono coinvolto io.
- Sono problemi personali, Signore.
Fu questo, probabilmente, l'errore più grosso.
- In che senso?
- ...come, Signore?
- Come possono essere problemi personali se io ne sono coinvolto?
- ...lei... non c'entra, infatti.
- Stai esitando.
- Si sbaglia.
- Sheska.
- Non...
- ...?
- Non mi chiami per nome, la prego. Mi ha chiamata per nome già troppe volte, oggi. Non è bello.
- Perché?
- Non mi sento a mio agio, Signore. Perché io la chiamo Signor Hughes, e lei invece mi chiama col mio nome di battesimo.
- Chiamami Maes, dammi del tu e dimmi cos'è che ti sconvolge tanto, una buona volta. - disse lui, risoluto, muovendosi verso la sua scrivania e trascinandola per il mento, che non aveva ancora abbandonato.
- Mi... mi lasci andare, Signore...
- Solo un attimo.
Facendo pressione su una spalla, la costrinse a sedersi dietro la scrivania, sulla grande poltrona girevole in pelle. Solo allora la lasciò libera e, mettendo le mani sui fianchi, si limitò a guardarla, in attesa di spiegazioni. Lei non ne fornì una.
- Parla, Sheska; sto perdendo la pazienza.
- Signore, parlare vuol dire andare via.
- Tu dimmi solo come devo costringerti. Ormai, si tratta di questo, no? Non parlerai se non sotto tortura. Mi sbaglio?
- ...temo di no, Signore.
- Appunto. Consiglia tu il metodo. Consiglia il metodo coercitivo che ti sembra più semplice da superare. Giuro che lo renderò talmente insopportabile che crollerai al primo minuto.
Speventata, lo fissò dal basso, incerta sul da farsi.
- S-Signore... come mai è così-
- E' diventata una questione personale. - la interruppe lui.
Lei prese a fissare il pavimento. Lui le si chinò sopra.
- Sheska.
- Signore, le ho chiesto-
- Ti ho dato il permesso di chiamarmi per nome, se non lo usi è un problema tuo.
- La smetta di interrompermi, santo cielo! - sbottò, irritata, fissandolo con astio.
- Oh. Ecco. Questo è l'atteggiamento che voglio. Come poco fa. Sputamelo in faccia, quello che devi dirmi, e facciamola finita!
- Mi piaci moltissimo, idiota!
Interdetto, lui rimase a fissarla con occhi vacui, cercando di dare un senso a quanto aveva appena sentito.
- ...spiegati...
Lei sospirò, imbarazzata, smettendo di sostenere il suo sguardo.
- Non è così difficile. Puoi arrivarci anche tu.
- Nel senso che mi apprezzi come superiore...?
- Questo sarebbe impossibile.
- Nel senso... che mi apprezzi come collega?
- Anche questo...
- Nel senso...
- Nel senso che ti apprezzo come uomo. Nel senso che mi piaci. - si trattenne un attimo, stringendo i denti, - Nel senso che ti desidero, a volte.
Dopodiché, furono sopraffatti dal silenzio. Almeno fino a quando lui, con una di quelle buffe espressioni che metteva su quando voleva fare il finto tonto, le si avvicinò e, mormorando contrariato, le chiese "Come, a volte?".
- A volte! - rispose lei, terribilmente imbarazzata.
- Non sempre?
- Che discorso è?! Com'è possibile desiderare qualcuno ogni volta che lo si vede?
- COSA?! E' il tuo, che è un discorso assurdo! Se ti piace qualcuno, ti piace sempre!
- Ma tu mi piaci sempre!
- E non mi desideri sempre?
- No!
- E cosa fai, quando mi desideri?
- Mi arrabbio perché non posso averti, che domande!
- ...e quindi poco fa...
Ahi.
A ripensarci bene, forse fu questo qui l'errore più grosso. Quello imperdonabile. Quello della condanna.
Incapace di trovare alcunché da rispondere, si chiuse in un ostinato mutismo, che lui si occupò di riempire con perizia.
- Sheska, sono un uomo sposato. Amo mia moglie. E soprattutto amo Elysia. Solo pensare di poter far loro del male mi fa venire la nausea...
Strinse le labbra, cercando di trattenere le lacrime. Era questo che aveva cercato disperatamente di evitare, fino a quel momento.
- Nonostante questo, non posso dire tu mi sia indifferente, purtroppo.
...eh?
Lo guardò, e i suoi occhi espressero uno stupore tale che lui si sentì in dovere di rispondere.
- Avanti. Non so, credi faccia così con tutti i subordinati che non mi vogliono parlare dei loro problemi personali? Cosa cavolo vuoi che me ne freghi dei problemi personali dei miei subordinati?
Oddio.
- Oh. Parla.
Cos'avrebbe dovuto dire?
- ...
- Non so, dimmi che ti faccio schifo, o che apprezzi la mia sincerità, qualunque cosa. Solo, dì qualcosa.
- ...cos'è che dovrei dire? Non è come se mi avessi detto "Oh, Sheska, anche tu mi piaci tantissimo! Scappiamo insieme!" o una cosa simile...
- Invece ti ho detto più di quanto non mi fosse concesso di dirti. Sei una brava lettrice o no? Leggi fra le righe.
No, fra le sue non riusciva. Dannato mistero ambulante.
- Mi dispiace, Signore. Non so cosa dirle.
Lui la fissò un po', con uno sguardo tra l'affranto e il rassegnato. Sospirando, si mise una mano fra i capelli, portandoli indietro, e, sistemando gli occhiali sul naso, si voltò e cominciò a camminare verso la porta.
Poi, il corpo di Sheska decise di smettere di seguire gli ordini del cervello e cominciare ad agire da solo. E lì cominciarono i guai.
Si alzò in piedi, aggrappandosi con forza alla sua schiena.
- Maes!
Lui si fermò, lì, in mezzo alla stanza, e non disse nulla. Solo, attese.
- Maes...
Lei strinse la presa sull'uniforme, spiegazzandola all'altezza delle scapole.
- Una... volta sola... - bisbigliò, nascondendo il viso nel tessuto.
- ...eh? - chiese lui, spalancando gli occhi, incredulo.
Lei si nascose ancora di più.
- Una volta sola. Concedimela. Ti prego.
Sconvolto. Sconvolto era la parola.
- Scusa. Ti prego.
Finalmente, sì voltò. Quando lei riuscì a guardarlo nuovamente in viso, vide che sorrideva. Era il sorriso che aveva sempre pensato fosse tutto di Glacier. Quello stesso sorriso che poi era diventato anche di Elysia. La Tenerezza.
- Allora ce l'avevi, qualcosa da dire...
Imbarazzata da quanto lo trovasse bello in quel momento, non riuscì a guardarlo ancora, e si abbandonò alle sue braccia che, sicure, la ressero, trainandola dolcemente fino alla scrivania e lasciandola accomodarsi sul ripiano in legno massiccio. Quando lui le accarezzò una guancia e poi, le dischiuse le labbra con un bacio umido al sapore di caffé appena preso, le sembrò di essere nel posto più vicino alla Gioia che avesse mai visitato fino a quel momento.
Baciare Hughes era meglio che leggere.
Alle sue mani bastarono pochi minuti per insinuarsi sotto i suoi vestiti.
- Non voglio che poi ti penta... - disse lei, ansimando, quando intuì che il bacio sarebbe diventato qualcos'altro.
- Me ne pentirò comunque. - rispose lui, chinandosi sul suo collo e divorandone il biancore e la morbidezza con le labbra bagnate. - Quindi, per ora, lasciami fare.
Le sbottonò lentamente la camicetta, e lasciò che lei s'industriasse a spogliarlo dell'uniforme. Lasciò che lei si concentrasse nello scompigliargli i capelli mentre lui, sempre baciandola, la sfiorava sotto la biancheria. E poi lasciò che chiudesse gli occhi, che smettesse di pensare al resto, e lasciò sé stesso dimenticare tutto mentre con bramosia le sfilava le mutandine e le schiudeva le cosce.
- Maes, aspetta... devo dirti… sei il primo...
Fu tentato di fermarsi. L'avrebbe fatto, se lei non si fosse pressata contro di lui in quel modo. Nel modo di chi sa e accetta. Nel modo dell'amante rassegnata.
Provò qualcosa, accidenti a lei. Provò qualcosa di speciale. Provò il brivido delle prime volte con Glacier, e più gli sembrava impossibile più ne era certo.
Quando lei, ansante, s'abbandonò sul tavolo, lui la guardò, e la vide così minuta, nuda e indifesa che non riuscì a non chinarsi su di lei per coprirla e proteggerla. E sapeva che era l'atteggiamento sbagliato. Sapeva che non era un atteggiamento da "una volta sola". Sapeva che da quel momento in poi non avrebbe fatto altro che darsi del maledetto bastardo per ogni ora e ogni giorno della sua vita.
Ma lei continuò a stare lì, piccolissima e adorabile, con gli occhi chiusi e i capelli scompigliati, sotto di lui, in balia delle sue carezze tenere. E per molti minuti, lui continuò a stare tranquillo.

Genere: Introspettivo, Triste, Romantico a suo modo XD
Personaggi: Edward, Alphonse, Roy.
Pairing: Edward/Alphonse, blandissimi Roy/Edward e Alphonse/Winry, non perché apprezzi ma perché funzionali XD
Rating: R
AVVISI: AU, Incest, Shounen-ai.
- E' il giorno del matrimonio di Alphonse, e Edward vorrebbe essere felice per lui. O almeno essere abbastanza furioso da sputare in faccia a suo fratello tutto il risentimento che prova per lui e poi andarsene via da vincente.
Commento dell'autrice: No, non odiatemi, questa non è una RoyEd ç_____ç Roy è lì soltanto perché mi serviva un personaggio come lui proprio lì ç___ç Le RoyEd mi fanno senso, io sono una RoyAi e non tradirò la mia fede ç_ç Ciononostante :O non dubito che potrei riutilizzare l’espediente XD il pensiero di Ed che utilizza il colonnello per consolarsi mi stuzzica :3
Allora, andiamo con ordine XD Prima di tutto, un ringraziamento immenserrimo a Makichan O_O! Perché davvero, se non fosse stato per lei questa storia non sarebbe MAI nata O_O Infatti, qualche giorno fa ha proposto sul forum dell’EFP una serie di temi ispirati dalla tracklist dell’album “Violator”, dei Depeche Mode, 1990. Un album del quale conoscevo solo le due canzoni più famose, “Personal Jesus” e “Enjoy The Silence”. Ciononostante, scorrendo la breve lista (son solo nove pezzi) “Blue Dress” mi ha colpito, se non altro per l’infinita varietà di cose che si poteva mettere su avendo come “restrizione” soltanto questa. Poi me la sono anche procurata e ho cominciato a venerarla, ma questo è un altro paio di maniche :o
Al e Ed sono venuti a galla quasi subito X3 E devo dire che il tema che poi qui nella storia è trattato con lo stesso spazio di tutti gli altri temi malinconici/tristerrimi affrontati, ovvero il fatto che Ed potesse sentirsi in qualche modo “consolato” dall’osservare il suo adorato fratellino sposarsi senza però essere opportunamente vestito XD è stato il primo che mi è venuto in mente. L’immagine lampante dei fratelli che discutono e di Ed che silenziosamente implora Al di vestirsi in quel modo. E Al che accetta. Perché ha capito? Perché è succube? Perché è naturalmente uke? :O Non si sa, non ho voluto affrontarlo e d’altronde la cosa era assolutamente incentrata su Ed.
Ed, che io amo ç____ç Anche se nelle storie che scrivo soffre sempre come un dannato O.o Juccha dice che lo sto portando “al limite dell’umanamente prostrabile” XD Ma non ci posso fare niente, lui è già così emo per natura che invoglia a continuare a battere sulla stessa strada >_< (…che ho detto…?).
AU perché… perché mi viene facile scrivere AU su questi due, e perché scrivere AU mi piace 9_9 Povere adorate bistrattate.
E non odiatemi per il WinryAl, è esattamente come il RoyEd, si chiamano scelte obbligate XD
Comunque, le uniche restrizioni del concorso era che la storia presentasse un riferimento alla musica in generale (la marcia nuziale X3) e un altro alla canzone in sé da cui si prendeva ispirazione (e qui sono ben due :3 La citazione all’inizio che dà impronta alla storia e poi quando Ed dice che adesso sa come funziona il mondo XD e che riprende i versi “Because when you learn / you’ll know what makes the world turn” è_é) e mi sembra di non avere fallito almeno in questo XD
…ora, prima di diventare davvero prolissa (e non lo sono già O.o) concludo ringraziandovi di aver letto fino a qui XD
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BLUE DRESS
(or The Wedding Dress)
Violator#8. Blue dress


“Put it on
And don't say a word
[...]
Put it on
And stand before my eyes
Put it on
Please don't question why”
“Blue Dress” – Depeche Mode


“Congratulazioni, immagino.
E- Dio, ti sei vestito davvero così?”
Sono le prime cose che mi vengono in mente, quando ti guardo e mi chiedo “cos’è che vorrei dirti nel giorno del tuo matrimonio?”.
Congratulazioni perché, be’, sei grande, davvero. Guardati, come sei cresciuto. Guarda come sei alto. Voglio dire, sei un ragazzo così bello e intelligente, e allegro, anche. E poi nessuno in famiglia o fra i nostri amici avrebbe mai scommesso un centesimo su te e Winry. Cioè, era chiaro che veniva dietro a me. Chi avrebbe mai potuto immaginare che con una confessione, un mazzo di rose e un bacio appassionato tu potessi sconvolgerla tanto da… da convincerla a sposarti, in definitiva. Per questo, congratulazioni davvero.
Mi guardo intorno, la chiesa è già quasi piena, e mi viene da ridere, ma in realtà più ci penso più mi sento impazzire.
Farò finta che sia tutto a posto solo fino alla fine della funzione, giusto il tempo di sorriderti e dirti che sono felice per te – Dio sa se vorrei fosse vero – e poi osservarti uscire da questa stupida chiesetta campagnola e salire in macchina verso il ristorante; dopodiché probabilmente dirò a nostro padre di trovarsi un passaggio alternativo, prenderò la macchina anch’io e tornerò a casa, mi butterò sul tuo letto e piangerò tanto da sputare i polmoni; e poi magari mi sciacquerò il viso e verrò al tuo dannato pranzo di nozze.
Però ti avverto, potrei prenderti a pugni.
Sputare fuori i polmoni potrebbe mettermi di malumore.
- Elric, sei venuto alla fine?
Mi volto, e la presenza del Colonnello Mustang mi sconvolge – più di quanto non dovrebbe e decisamente più di quanto meriterebbe, comunque.
Cerco di sorridere e vorrei spaccargli il muso. La presenza di quest’uomo mi irrita, lo sai, perché diavolo l’hai invitato?
- Non potevo mancare al matrimonio di mio fratello.
Non sei obbligato a portargli rispetto, fuori dalla caserma, sai?
- Sì che potevi. Soprattutto visto che al posto della sposa vorresti esserci tu.
E neanche io lo sono.
Fanculo.
- Sta’ zitto, stronzo! – bisbiglio agitato, guardandomi intorno.
Dio, sono terrorizzato.
E lui sorride, oh, così tranquillo che mi da’ sui nervi.
È così orgoglioso di avermi messo in imbarazzo. L’ho detto e lo ripeto, stronzo.
- Dovresti usare un linguaggio più educato, Elric. Sei in chiesa, lo sai?
Gli lancio un’occhiata di sbieco e cerco di ignorarlo, incrociando le braccia sul petto.
- Colonnello! Ce l’ha fatta, alla fine!
Ti avvicini allegro, sorridendo apertamente. Le braccia spalancate, il passo ampio e svelto, sei così sciolto, sei così adorabile, sembri voler stringerti contro il mondo intero.
Come fai ad avere uno sguardo tanto limpido? Come fai ad avere un cuore tanto grande?
Io… io non riesco nemmeno a guardarti, Cristo.
Mustang sorride, stringendoti una mano e congratulandosi con te.
- Il tenente Hawkeye? – chiedi, guardando oltre la spalla del colonnello, cercando la figura della donna – sei davvero così abituato a vederla dietro di lui? Quanto mi fa ridere questo pensiero… quando io incontro Mustang, lui è sempre solo.
- Arriverà. – dice lui, tranquillo, salutandoti e raggiungendo il suo posto fra gli invitati dello sposo.
Per un secondo, rimani a guardarmi come se volessi chiedermi qualcosa
Per un secondo, m’illudo tu sappia davvero cosa dovresti chiedermi.
Dopodiché sorridi con quel tuo solito sorriso piccolo ed educato, ti volti e torni nei pressi dell’altare, dove il prete ti aspetta per continuare a parlare.
Io vorrei uccidermi, ma seguo Mustang come un cagnolino, e mi siedo al suo fianco.
Alla fine, per quanto la cosa mi faccia incazzare, non posso negare di aver bisogno della sua presenza.
- Be’? – chiede lui, sorridendomi cattivo, - Non posso mica consolarti qui, Elric, rischieremmo la dannazione eterna.
È inutile che ironizzi.
Tanto, io la dannazione eterna me la aspetto certa e doppia, ormai.
- Non dire str- stupidaggini, Mustang. È il matrimonio di mio fratello, cerca di comportarti bene.
- Da quando sei tu a darmi ordini? Non mi sembra sia mai successo.
- Oggi sei nel mio territorio.
Lui ridacchia, stringendosi nelle spalle.
- Vuol dire che ti ricorderò la lezione quando tornerai nel mio, di territorio.
Aaah, quanto voglio morire, Dio.
Perché non posso sprofondare adesso, perché?
- Spiegami solo una cosa, Elric.
- Mh.
- Perché diavolo tuo fratello s’è vestito di blu…?
Un incomprensibile moto d’agitazione mi prende, mentre non posso fare a meno di sbottare in un risolino agitato.
*

- Nii-san, ma tu sei sicuro che vada bene…?
- Ma certo, Al.
- Ma… è che io ho sempre creduto che lo sposo dovesse indossare uno smoking nero… capisci…?
- Ma va’, Al. Quelle che hanno le limitazioni nel vestire sono le spose. Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio e così via.
- Sì, ma…
- Oh, insomma! Se non ti va puoi semplicemente toglierlo e prenderne un altro! Per quello che mi interessa, poi…
- …no, va bene. Prendo questo.

*

- Ho la vaga sensazione che sia tua la colpa.
- Mia? – chiedo, simulando indignazione, - Non l’ho mica aiutato a scegliersi il vestito!
Lui mi guarda diffidente per qualche secondo, prima di sorridere.
- So che non dovrei, d’altronde non dici mai la verità, ma ti credo. Immagino che neanche tu saresti abbastanza forte da sopportare di aiutare la persona che ami a organizzare il suo matrimonio con un’altra.
Immagini male, Mustang.
Mai sottovalutare la potenza di un fratello innamorato.
Mai sottovalutare la potenza di Edward Elric, in ogni caso.
- Vuoi smetterla di parlare di questa storia? – mi lamento, agitato, - Il fatto… il fatto che mi sia confidato… - bisbiglio, sentendomi talmente misero che vorrei flagellarmi, - non ti autorizza a utilizzarlo contro di me.
Mustang sbuffa e torna a guardarsi intorno, lasciandomi libero di sprofondare di nuovo nei miei pensieri.
In realtà vorrei avere la fortuna di potermi dire realmente agitato o nervoso o irritato, per tutto questo. Vorrei potere alzarmi da questo posto, guardarti con disgusto e urlarti contro tutto il mio disprezzo, perché mi hai tradito, perché mi hai illuso, perché non mi hai mai amato – e non so quale di queste tre cose sia vera, anche se probabilmente sono tutte stupide invenzioni della mia mente – e poi voltarti le spalle e semplicemente andarmene via.
Solo, ecco, vorrei uscire dalla tua vita come vittorioso. Vorrei essere la figura elegante che esce dalla porta principale, spalle dritte e petto in fuori, passo deciso e occhi brillanti di determinazione.
Ed eccomi qua, invece, sconfitto, sconfitto e annoiato. Annoiato, sì.
Mi dà noia, questa cosa. Mi dà noia il fatto di averti amato totalmente e disperatamente per qualcosa come tutta la mia vita e mi dà noia il fatto tu non te ne sia mai accorto, e mi dà noia il fatto di non essere mai riuscito a dirtelo e mi dà noia la consapevolezza che in fondo è stato meglio così.
Ormai ho vent’anni, Al. Ormai lo so, come va il mondo. Ormai lo so che due fratelli non possono stare insieme, che un rapporto come questo non vedrebbe la luce neanche se tu provassi lo stesso per me, e che comunque, in ogni dannatissimo caso, non posso pilotare i tuoi sentimenti, e i tuoi sentimenti sono per Winry, e a questa cosa mi devo soltanto rassegnare, sperando di abituarmici presto.
Lo so adesso, Al.
Ma nessuno mi ha avvertito prima.
Nessuno mi ha avvertito quando avevo dodici anni e ti guardavo dormire e pensavo che eri carino e avrei voluto abbracciarti, nessuno allora mi ha detto “stai attento, ti farai male”, come faceva mamma quando eravamo piccoli e facevamo qualche sciocchezza. E quando poi a sedici anni ho provato il desiderio spasmodico e irrefrenabile di toccarti dove non avrei mai dovuto, era già troppo tardi. Ero già troppo oltre. E tu eri già troppo dentro.
Sollevo di scatto il capo quando sento il pianoforte intonare le note della marcia nuziale.
Non so neanche perché sono così ansioso, adesso.
Mustang mi guarda e, accorgendosi della mia tensione, mi dà un’amichevole pacca sulla spalla, probabilmente nel tentativo di rassicurarmi.
Non capisco cosa gli faccia pensare di poterlo fare.
Sinceramente, non capisco cosa gli faccia pensare di essere in grado di potermi fare stare meglio.
Solo perché scopiamo.
Come se una scopata fosse un atto intimo.
Non è più intimo di uno qualsiasi dei nostri saluti al mattino, Al. Non è più intimo di una qualsiasi occhiata prima di andare a letto. Non è più intimo di niente che ci sia stato fra te e me.
…non capirò mai il cervello degli uomini.
Dovrei cominciare a frequentare l’altro sesso, immagino.
Winry appare dal fondo della sala. È proprio bella. Di sicuro avrete dei figli splendidi.
Nostro padre la conduce a braccetto lungo la navata, verso l’altare, e non mi ha mai colpito tanto come adesso il fatto che conosco questa ragazza da tutta una vita, che vive con noi da quando i suoi non ci sono più, che per me è come una sorella, e che mi sembra allucinante sia proprio lei a portarmi via te.
Della funzione non riesco a seguire molto. So che le mie mani tremano e sudano come non hanno mai fatto, so che mi sto mordendo le labbra da qualcosa come mezzora e mi fanno male, so che ho fastidio agli occhi a causa della frangetta e so che Mustang mi sta fissando perché sento il suo sguardo appiccicoso e irritante correre in brividi su tutta la superficie del mio corpo.
Dev’essere uno spettacolo rivoltante.
Quest’uomo che si sforza di non piangere.
Ridicolo.
*

- Nii-san… tu… sei proprio sicuro che andrà bene lo stesso, se mi vestirò così, vero…?
- Certo che ne sono sicuro, Al.
- …
- …che diavolo c’è ancora?!
- Niente! Voglio dire… Nii-san, è un giorno molto importante per me, e io-
- Al.
- …
- Al, mettiti questo vestito e basta.

*

Al, ma tu non ti sei chiesto niente? Tu non ti sei chiesto come mai il tuo stupido fratello ci tenesse così tanto, a farti indossare proprio quel vestito blu? Non ti sei mai chiesto perché, dal momento che gli sposi, dannazione, gli sposi si vestono di nero…?
È perché così non sembri uno che si sta sposando, Al, tesoro.
Così sembri un ragazzo che è capitato lì per caso, che non aveva alcuna intenzione di ancorare il suo futuro a quello di un’altra persona, un ragazzo che si è trovato fra capo e collo l’obbligo di soddisfare un accordo, non sembri uno sposo, sembri un costretto di malavoglia.
Questo mi alleggerisce, Al. Non so se puoi capire quanto.
- Chi è a conoscenza di qualche impedimento per il quale quest’uomo e questa donna non dovrebbero unirsi in matrimonio, parli ora o taccia per sempre.
Dio.
Quand’è che siamo arrivati a questo punto?
Come al solito, non comprendo bene quello che sta succedendo. È miracolosa, questa mia capacità di rendermi l’essere più ottuso del mondo, quando non mi fa piacere capire che sto facendo una cazzata.
So solo che adesso sono in piedi.
Che tutta la chiesa mi sta guardando.
Che tu mi stai guardando, e sembri implorarmi con gli occhi di tacere, e questa è la cosa che mi fa più male, anche se probabilmente nel tuo sguardo c’è riflessa solo inquietudine e un pizzico di curiosità.
E io questa mia bocca non la vorrei semplicemente aprire, la vorrei spalancare, vorrei gridare, vorrei abbracciarti e portarti via, e mi odieresti, lo so, e m’importerebbe solo per cinque minuti e forse meno, lo giuro, e Mustang solleva un braccio, discreto, e mi tira per la giacca come un bambino piccolo, e quando lo guardo negli occhi sento la sua voce, nella mia testa, che dice “lascialo andare, lascia stare, è meglio, fidati”, ed è straziante, è straziante perché è vero, è straziante perché è giusto e perché io e le cose giuste a quanto pare non andiamo d’accordo, e allora mi fermo. E ti guardo. E sorrido. E sono sicuro di stare piangendo.
- Congratulazioni. – balbetto, cercando di essere chiaro perché non avrei la forza di ripeterlo.
E anche tu mi sorridi.
E io per la prima volta capisco davvero che non c’è altro da dire.
*

Immobile sulla soglia della chiesa, saluto gli invitati e ho un sorriso per tutti, e credo che la voglia di piangere sia ormai passata, o che quantomeno si sia nascosta bene in un posto dove io non posso vederla; la pace assoluta che regna sovrana nella mia testa e che distende i miei nervi, mi aiuta ad assicurarmi che tutti sappiano dove devono andare, che nessuno rimanga a piedi e che nessuna borsetta venga abbandonata sulle panchine della chiesa.
Mustang rimane al mio fianco, è rimasto lì per tutto il tempo come un guardiano, e penso che più tardi lo ringrazierò. Perché penso se lo meriti.
Vedi, Al, Mustang per me non è un tradimento. Non è amore, non è neanche intimità, non condividiamo niente, quasi neanche ci parliamo, se non quando non sono abbastanza forte da tenermi tutto dentro e andare avanti comunque. In generale, a Mustang io non penso. In generale, Mustang neanche esiste.
Ma tu, Al… per te è diverso. Winry non è un modo per consolarti, Winry non è una cosa che c’è ma per quello che t’importa potrebbe anche non esserci, Winry è la persona di cui sei innamorato, Winry è la tua persona speciale, la persona con cui hai scelto di passare tutta la vita, e poco importa se magari in futuro litigherete e vi lascerete, perché tu, poco fa, hai scelto, hai deciso, hai detto sì, e questo vuol dire che hai pensato “sì, io con questa donna voglio stare per sempre”, e non importa quanto fugace o poco convinto possa essere stato questo pensiero nella tua testa, c’è stato, è abbastanza.
Io non ho mai pensato qualcosa del genere per qualcuno che non fossi tu. Mai mai mai. Davvero.
E anche se adesso, osservandoti andare via, mi rendo conto che sono un uomo fortunato, perché avrei potuto combinare un disastro ma in qualche modo sono riuscito a evitarlo, questo non mi impedisce di stare male.
Non mi impedirà mai di stare male.
E questo mi fa sentire un condannato, Al, mi fa sentire senza scampo.
E siccome non è bello, tesoro, penso anche che ti odierò per un po’.
Ma non importa. Anche se non sai niente, so che tu capirai. So che tu perdonerai.
Mi basta che lo faccia tu per tutti e due.
Mustang mi dà una pacca sulla schiena e mi risveglia dalla trance.
- Sono andati via tutti. – mi informa atono, guardandosi intorno.
Io annuisco al nulla e fisso la tua macchina che si allontana, sparendo in fretta fra le altre macchine in tangenziale.
- Torniamo in città?
Annuisco ancora.
Non so perché non riesco a parlare.
- Vuoi andare al ristorante?
Stringo le labbra e nego risolutamente.
Certo, parlo bene, parlo da grand’uomo, ma resto un vigliacco.
Mustang si guarda intorno con aria circospetta, e dopo essersi assicurato di non vedere nessuno mi prende per mano, in un gesto discreto ed educato che quasi mi commuove.
Mi sforzo di sorridergli, mentre ci muoviamo insieme verso la sua macchina.
Genere: Comico.
Pairing: RoyxRiza.
Personaggi: Roy, Riza.
Rating: PG
AVVISI: Drabble, What If?.
- Riza chiede aiuto per buttare fuori la spazzatura. Roy non è convinto di volerla aiutare, ma che gli piaccia vederla arrabbiata, quello sì...
Conto Parole: 100
Commento dell'autrice: E' nata guardando un'immagine ben precisa, quella della festa è___é Roy in quell'immagine non sta guardando Riza in faccia XD Proprio no XD Solo che poi, nonostante volessi scrivere qualcosa su quel momento preciso, la storia è migrata su una cosa di tipo più familiare, da convivenza °_° Ma - e ancora non so come - ha mantenuto l'impegno iniziale XD
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Direzione Riza


- Roy, c’è da andare a buttare la spazzatura…
- Mh…
Il mugolio distratto indispettì Riza, che però non spostò lo sguardo dalle stoviglie che stava lavando. Ostinatamente, cercò di mostrarsi superiore.
- Certo, non voglio obbligarti. Ma potresti anche dare una mano, ogni tanto.
- Mh-hm, sì, certo.
Rischiò di rompere un piatto, stringendolo fra le mani.
Si voltò d’improvviso, abbassandosi un po’ per poterlo guardare negli occhi, dato che lui era seduto.
- ROY MUSTANG! DI CORSA A BUTTARE LA SPAZZATURA! E GUARDAMI NEGLI OCCHI, QUANDO TI PARLO!
Ma, dalla sua privilegiata postazione ribassata, Roy stava guardando tutt’altro…