rp: socrate

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Malinconico/Introspettivo
Pairing: Socrate/Alcibiade.
Rating: PG
AVVISI: Boy's love, Underage, RPS.
- Il primo incontro fra Socrate ed Alcibiade.
Note: Naturalmente come la mia mente malata vorrebbe che si fosse svolto *_* Un primo incontro da oscar, con tutti quei fiori intorno... comunque è ormai appurato, il mio amore per quei due non è umano. Trascende anche il divino, oserei dire ^_^ Stavolta, più che trattare della relazione fra loro, ho deciso di parlare della figura del ragazzo in particolare. Secondo me Alcibiade è un personaggio splendidamente triste, nella sua perfezione. Io lo amo *.*
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Petali


Gloria, onore, ricchezza, intelligenza, bellezza, cultura, sedici anni e già a capo dell’intero esercito ateniese. Alcibiade. Un prodigio. Il prodigio, l’orgoglio di Atene, invidiato e famoso in tutta la Grecia, perfino dall’odiata Sparta. Viveva le sue giornate tra velluti e porpora, saltuariamente tra la polvere ed il sangue del campo di battaglia. Classica, l’insoddisfazione continua della sua vita. Come era possibile che fosse insoddisfatto? Lui, proprio lui?
- Signor Alcibiade… è arrivato il professore…
Il bel giovane si girò sul triclinio; una gamba rimase scoperta dalla tunica, la serva lasciò correre lo sguardo, lui se ne accorse ma non ci badò.
- Oggi non mi sento.
- Ma… signore…
- Non mi sento.
Con un tono gelido chela zittì.
Odiava già il semplice fatto di essere una dipendente di quel moccioso. Odiava ancor più il suo comportamento arrogante, del quale non capiva il motivo. E soprattutto odiava l’incredibile rispetto e referenza che la sua voce imponeva. La sua intelligenza, la sua dialettica e la sua bellezza facevano il resto. Questo era insopportabile.
Ma fece un leggero inchino, annuì e si industriò nel cercare le parole per comunicare all’eminente professore orientale, che aveva fatto tutta quella strada attirato dall’intelligenza portentosa di Alcibiade e soprattutto dal ricco compenso offerto dal suo tutore Pericle – nientemeno che Pericle! – che sarebbe dovuto tornare a casa a mani vuote.
Uscì dalla stanza, chiedendosi cosa rendesse quel ragazzo così giovane, la cui vita era appena iniziata e si prospettava già così splendente, così vuoto ed insoddisfatto. Forse, pensò, nella sua così lungimirante intelligenza, vedeva il suo futuro, la sua fine ingloriosa, il tradimento, la solitudine, l’immenso nulla che l’avrebbe circondato alla prima occasione sfavorevole. Ma lei non poteva saperlo.

**

Cos’è che odiasse tanto nei fiori, non riusciva a realizzarlo appieno. Nel bagaglio della sua ancor scarsa esperienza, non riusciva a trovare le parole adatte per esprimere il sentimento truce e rabbioso che l’avrebbe portato a pestare ogni singola margherita, strappare ogni rosa, distruggere ogni violetta.
Quando, nella sua solitudine, si permetteva di soddisfare quel folle desiderio, sui fiori nel vaso che Pericle faceva cambiare ogni mattina sul davanzale della finestra della sua stanza, si rammaricava che i fiori non sanguinassero, che lui non potesse avere una riprova, una conferma della loro sofferenza.
I fiori, creature così stupide e vuote. Fragili, in balia dei venti e delle emozioni umane. O delle concessioni umane.
“Pianterò un geranio”, come dire “geranio, ti concedo di vivere”.
Una ragazza che distrugge il floreale regalo del fidanzato traditore, “fiore, per mio desiderio, cessa ora di vivere”.
Sei tutto. Non sei più nulla. Nelle mani di qualcuno. Nella sua mente. Nel suo cuore. Suo, sebbene così distante da esso, per forma e pensiero. Nessun pensiero.
Fiori. Molte cose uguali, molte cose inutili.
Odiava i fiori. Trovava senza senso l’immenso giardino colorato che si estendeva al di là della sua casa. TUTTI quei colori. Bambini che corrono ed urlano. TUTTI quei suoni e quei movimenti. NULLA di interessante.
Arrivato in un punto imprecisato e sconosciuto del giardino, si guardò intorno in cerca di un punto di riferimento. Non ne trovò.
Quando all’improvviso, un sasso ed un uomo seduto a contare petali.
Incuriosito, si avvicinò. Sul piede di guerra, come sempre.
- Cosa ci fai tu qui?
Senza rispetto. Per nessuno. Sei Alcibiade, infondo. Potrebbe anche esserti stato concesso da Zeus.
L’uomo alzò lo sguardo fissandolo stupito. Doveva avere più o meno intorno ai venticinque anni. Sembrava un uomo poco interessante, non fosse stato per quegli occhi, così penetranti e profondi, magnetici…
- Voi dovete essere Alcibiade.
Il ragazzo lo guardò con aria di sufficienza.
- Si, sono io. Tu, piuttosto, cosa vuoi?
Si accorse che il suo tono di voce era più odioso del normale, ma non si scusò.
L’uomo sorrise.
- Non voglio nulla in particolare. Riflettevo.
Alcibiade fece scorrere il giovane sguardo.
- Ma chi sei?
- Il mio nome è Socrate.
Disse alzandosi in piedi e sovrastandolo con la sua altezza. Lui cercò di farsi più alto, con scarsi risultati.
- Milito anche nel vostro esercito.
- Bè, ci sono moltissimi soldati nel mio esercito, ma nessuno si permette di entrare nel mio giardino e distruggere tutti i fiori!
Quanto si sentiva ipocrita, in quel momento. Avrebbe voluto essere lui il primo a farlo.
L’uomo guardò nuovamente i petali colorati che giacevano per terra, ormai privi di fiori, dimentico del ragazzo al suo fianco. Poi, come in trance, ricominciò a parlare.
- Se l’uomo sapesse usare tutte le sue potenzialità, non sarebbe mai insoddisfatto. Sarebbe simile ad un dio.
Lui spalancò gli occhi.
- Cosa intendi dire?
. Intendo dire… l’uomo è come un fiore. Attorno a sé ci sono tutti i suoi petali, le sue occasioni. Per esempio, diventare un militare, un musicista, uno scrittore, un filosofo, un contadino, un funzionario… tantissime opportunità. Ma purtroppo, sceltane una, tutte le altre si dissolvono, cadendo come se qualcuno le staccasse dal fiore principale. E così, gli uomini restano con un solo petalo, e magari dopo un po’ non son più soddisfatti da quel singolo colore e ne vorrebbero mille altri o anche solo quella manciata di cui ne avevano all’inizio. È così, credo, che nasce l’insoddisfazione.
- Tu… sei un filosofo?
Gli chiese. Era la prima volta che ne vedeva uno.
- Io sono uno a cui piace stare a riflettere sulle cose.
Rispose Socrate sorridendo imbarazzato.
Il ragazzo guardò in basso. Anche lui era come i fiori di cui aveva parlato Socrate, pieno di rimpianti per non aver potuto tenere tutti i suoi petali.
- Non c’è via di scampo per i fiori con quel solo petalo?
Socrate sorrise comprensivo.
- I fiori con un solo petalo sono sempre anziani e prossimi alla morte. I fiori più giovani credono di aver perso tutti i loro petali, ma in realtà ne hanno ancora tanti a disposizione.
- E come si trovano?
- Basta cercarli nella mente. Siediti qui.
Gli fece posto sul masso.
- Adesso tu hai questo sguardo curioso sul volto. Quando sei arrivato mi rimproveravi di fare qualcosa che tu stesso avresti fatto volentieri. Però, quando ti ho fatto riflettere sui motivi che ti spingevano, ti sei rilassato, ed adesso cerchi una via di fuga. Ma lascia che ti rassicuri: non ne hai bisogno. Il fatto che tu abbia già cambiato atteggiamento nei miei confronti è prova che hai ancora petali.
Alcibiade lanciò uno sguardo ai fiori più in là.
- No, filosofo, ti sbagli. La mia vita non ha più possibilità. Sarò guerriero fino a quando non avrò raggiunto la maggiore età, dopodiché verrò iniziato alla politica. Sono pur sempre il figlio adottivo di Pericle…
- Questa rassegnazione non si addice ad un viso giovane e bello come il tuo. Quello che ti sfugge è che tu hai ancora le possibilità di tenere i tuoi petali. I fiori dei quali parlavo prima non sono stati avvisati in tempo ed hanno capito troppo tardi. Tu, invece, sai. Quindi puoi ancora prendere tutto.
- E sarei in grado di farlo? Di mantenere il ritmo? Di adempiere ai miei doveri e contemporaneamente seguire la strada che più mi piace?
Sorridendo, Socrate pensò che era ancora un ragazzino, infondo, e si capiva dalle sue domande e dallo sguardo. Provò un intenso moto di tenerezza e si sentì legato. Ma non fece nulla.
- Questo non posso certo dirtelo io. È qualcosa che proverai crescendo.
Si alzò in piedi, quella conversazione era durata abbastanza.
- Adesso io devo andare. Spero che non distruggerai più i fiori.
Il ragazzo rimase seduto e si guardò intorno. Ancora, non gli piacevano. Ma si sentiva in qualche modo unito a loro, simile. Ugualmente vuoto, almeno. Si lasciò prendere dalla tristezza, ma sollevò subito lo sguardo.
- Ci penserò.
Ancora, Socrate sorrise, e si avviò senza salutare verso est.
Alcibiade rimase lì ancora a lungo, pensando con rammarico che aveva già pero un petalo. La possibilità di rivederlo.
Genere: Malinconico/Romantico/Filosofico O_o
Pairing: Socrate/Alcibiade.
Rating: G
AVVISI: Boy's love, RPS.
- Alcibiade va a trovare Socrate in cella il giorno prima della sua morte.
Note: Questa fanfiction l’ho scritta di getto dopo aver letto “Storia della filosofia greca” di Luciano De Crescenzo e “Il Critone” ed “Apologia di Socrate” di Platone. Mi è sempre piaciuta la leggenda secondo la quale Socrate avrebbe avuto una relazione con Alcibiade, perché lui era uno dei più inavvicinabili e meravigliosi fra i greci… bellissimo, intelligentissimo, coraggioso, impetuoso, passionale… un ragazzo perfetto, no? E la cosa più bella è che fu proprio Alcibiade ad innamorarsi di Socrate! Questo da un’idea della magnificenza del filosofo… comunque, forse questa mia storia è stata un esperimento un po’ azzardato, per via dei molti riferimenti filosofici e storici… ho cercato di mettere le note per dar meglio l’idea, ma non so quanto bene ci sia riuscita… voi cercate solo di leggerla come una storia d’amore, ok? ^_^
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La memoria


Quell’ambiente era buio e freddo, e lui non ci era assolutamente abituato. Pensando alla propria vita gli veniva in mente il profumo d’incenso e la porpora dei mantelli, e la morbidezza lucente della seta.
Ed anche se della *sua* vita non sapeva praticamente nulla, sapeva per certo che le fredde mura di una prigione non erano il luogo adatto a Socrate. Non lo erano. Va bene che nella sua mente innamorata l’aveva sempre immaginato accanto a sé su un triclinio a due piazze, ma oltre questo, sicuramente la prigione non era il luogo adatto per una mente come quella, per un uomo come quello…
- Siete venuto anche oggi, Alcibiade?
Non rispose, guardò fisso il carceriere, che aprì la cella e si defilò immediatamente.
Entrò in silenzio, mutando lo sguardo. Era una cosa che gli veniva naturale fare, in presenza di Socrate. Perché lo rendeva impaziente ma tranquillo.
Lo vide con la testa appoggiata al muro dietro quell’ammasso di cenci che si ostinavano a chiamare letto, e di nuovo la sua espressione cambiò in triste e rassegnata. La nave da Delo* era arrivata da poco. Quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.
Mentre si trovava così immerso nei suoi pensieri, Socrate aprì gli occhi e gli sorrise allegramente.
- Non ti aspettavo! Critone** è appena andato via…
Immaginò che non ne sapesse ancora niente, e si sedette al suo fianco.
- Ho deciso di venire, anche se ti avevo detto che non lo avrei fatto.
Socrate gli sorrise con benevolenza.
- Questo lo immaginavo. Non sei tipo da desistere facilmente, tu…
Ricambiò un sorriso triste.
- Devo dirti una cosa…
- E’ arrivata la nave.
Alcibiade alzò di scatto il viso.
- C-Come…?
- Critone mi ha detto che si vociferava sarebbe arrivata presto… poi ho visto la tua espressione… incredibili, i collegamenti che ci porta a fare la ragione!
Il filosofo vide il giovane uomo al suo fianco stringere i pugni.
- Suvvia, Alcibiade… dì, tu credi negli dèi?
- Socrate, scusami, ma non sono proprio in vena di filosofeggiare, oggi…
- Se l’uomo che ami ti chiedesse una conversazione come ultimo desiderio prima di morire?
Pensò che avrebbe voluto che lui gli chiedesse tutt’altro, ma lasciò correre.
- E sia…
Sbuffò.
- Ed allora rispondi alla mia domanda. Tu credi negli dèi?
Lui ci pensò un po’.
- Credo solo che gli dèi siano demoni, perché altrimenti non mi spiego come possano far accadere tutto questo ad un uomo come te!
- Adesso non entriamo nel particolare, eh? Dimmi solo se in generale ci credi.
- …si…
- Bene. Ora, tu sai che gli dèi non possono essere altro che giusti, in quanto esseri superiori, no?
- E proprio per questo io…!
- Attenzione! Ho detto giusti! Ora ascoltami bene. Se gli dèi fossero sempre buoni o sempre cattivi rischierebbero di incorrere in ingiustizie giudicando esseri buoni o cattivi, no? Forse che un buono non perdona sempre anche il più empio? O forse che un cattivo non esita a far del male anche al migliore?
- Si, è vero…
- Ed allora, mio caro Alcibiade, capisci bene che dio non è sinonimo di buono ma di giusto.
Lui sbuffò, annoiato.
- Si, ma non capisco dove vuoi andare a parare.
Socrate gli si fece più vicino, sorridendo furbescamente, provocando immediatamente un’ondata di rosso sulle gote di Alcibiade.
- Voglio dire che il mio destino è stato scelto per me non in maniera buona o cattiva, ma semplicemente in maniera giusta, ed essendo la giustizia il valore per me fondamentale debbo solo accettarla in silenzio. D’altronde, io ho fatto tutto il possibile per difendermi… se non ho potuto convincere nessuno vuol dire che doveva andare così.
Concluse appoggiandosi nuovamente al muro.
- Si…
Rispose l’altro.
- Ti ho visto e sentito, al processo. Ma adesso il tuo ragionamento non mi convince più tanto. Non sei forse stato accusato – ed ingiustamente – dal popolo ateniese? Cosa c’entrano gli dèi?
Socrate sorrise teneramente.
- E’ perché la cicuta*** ti sembra troppo vicina, le tue orecchie non mi ascoltano più…
- Tu puoi dire quello che vuoi, ma…
Si sentì improvvisamente circondato di calore. Socrate gli aveva messo un braccio intorno alla spalla, ed ora lo stava abbracciando. Non era mai successo prima. Era la prima volta che si lasciava andare ad una simile tenerezza, con lui. Gli venne da piangere.
- E’ vero, potrei. Potrei dire ciò che voglio, ma non mi va più di parlare. Se non per dirti un’ultima cosa.
Si sistemò meglio fra le sue braccia, accostando l’orecchio al suo petto per sentire quel cuore che presto avrebbe smesso di battere.
- E cioè, che tu stai appena sbocciando. Sei già così splendido, e la tua vita è appena iniziata. Perciò, non sprecarla in rivolte in mio nome o in ore passate a gettar lacrime. Ti guarderò, sai? Mi sto raccomandando.
Guardarono entrambi in basso, l’uno il pavimento, l’altro l’uomo che teneva stretto.
Socrate sentì qualche singhiozzo in più rispetto a quelli che avrebbe dovuto sentire, e si stupì molto nel riconoscere di stare effettivamente piangendo.
Alcibiade rise sommessamente.
- Bravo maestro, mi dici di non piangere e poi…
Ridacchiarono insieme, per qualche minuto. Si stringevano a vicenda.
E… si; alla fine, nonostante tutto quello che aveva fatto e detto, gli sarebbe un po’ dispiaciuto, morire.
- Socrate…
Si sentì chiamare poco dopo.
- Mi chiedi di non piangerti… ma non puoi chiedermi di dimenticarti…
- Cosa fare del mio ricordo è una decisione che devi prendere tu solo… ma… se puoi… pensami comunque, ogni tanto…
Alcibiade si tirò su con le braccia, e lo guardò un po’. Ed in quello sguardo ricambiato ebbe la certezza del suo amore.
Gli baciò leggermente le labbra, lasciandolo fra lo stupito ed il confuso.
- Questo bacio…
Disse Socrate poco dopo.
- …forse avresti fatto meglio a non darmelo.
- Era l’ultimo desiderio dell’uomo che ti ama.
Rispose lui prontamente.
Poi si sorrisero e si separarono.
Mentre stava per uscire dalla cella, Socrate lo chiamò.
- Voglio che tu non venga, domani.
Alcibiade si voltò a guardarlo mentre una lacrima ricava il suo bel volto.
- Non verrò. Stavolta è promesso.
 


Note:
* Il tribunale aveva deciso che Socrate fosse giustiziato il giorno dopo l’arrivo di una nave proveniente da Delo.
** Critone è un amico di Socrate che quando sente che la nave sta per arrivare va a trovarlo in cella e cerca di convincerlo a fuggire. Socrate gli smonta tutte le basi e lo manda a cosuccia. Tutto questo è raccontato nel “Critone” di Platone.
*** Anticamente i prigionieri come Socrate venivano giustiziati facendo bere loro il veleno ricavato dalla cicuta. Era una morte graduale e non dolorosa, simile al sonno.