telefilm: justin taylor

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia
Pairing: Justin/Brian.
Rating: R
AVVISI: AU, Chanslash.
- La vita di Brian Kinney è perfetta. Ha un buon lavoro, è un bell'uomo, ha un figlio stupendo e una splendida moglie. Quello che ancora non sa è che la sua vita ha deciso di sconvolgersi, facendo posto a Justin, il maliziosissimo figlio della sorella di sua moglie...
Commento dell'autrice: Non riesco a credere di averla davvero finita XD Sono estremamente felice di aver portato a termine questa piccola impresa, e devo dire una serie di cose e ringraziare un po’ di persone, quindi datemi un po’ del vostro tempo.
Prima di tutto, rispondo alla domanda che sicuramente tutti voi vi starete ponendo: perché “Simple&Clean”? Ebbene… non lo so è_é! XD All’inizio, doveva rappresentare la personalità del giovane Justin che, pur con la sua innocenza, avrebbe dovuto essere colui che riusciva a creare una breccia nell’integrità di Brian, convincendolo a fare le porcate è_é Adesso, immagino che rifletta la personalità del ragazzo solo per contrasto XD
Anyway, mi sono accorta che una personalità docile e innocente non sarebbe servita allo scopo quando ho deciso che in questa storia Brian sarebbe stato etero. Il che lo porta già automaticamente OOC, immagino, ma va be’ XD Il merito di tutto questo è da imputare alla Caska e al Kaw. Stavo parlando in chat con la prima, infatti, quando il secondo le ha suggerito di farmi organizzare qualcosa con il cast etero di QaF US – che è uno sconvolgimento mica male se si pensa che praticamente la totalità dei personaggi di quel telefilm è irrimediabilmente e orgogliosamente gay. Ma ho deciso di cogliere parzialmente l’idea perché mi sembrava figa. Quindi grazie alla Caska e al Kaw ^_^!
Poi grazie anche a Idreim, perché se non mi avesse posto un limite di tempo tale da accendermi una fiammella sotto alle natiche, difficilmente mi sarei mossa produttivamente in questo senso X’D
Infine, il tema. È rispecchiato nella storia solo per metà, purtroppo :\ Non c’è il “mist of morning”. Però c’è tutto il “deep in the night”, e che vi basti XD Comunque era un tema bellissimo, quasi mi dispiace di non essere riuscita a svilupparlo nella sua pienezza. Immagino potrei riciclarlo per qualcosa al di fuori della Community, o magari per un concorso, se si farà utilizzando le melodies come ispirazione.
Ok, ecco tutto è_é Spero che l’esperimentino vi sia piaciuto :
PS: Scritta per il set di temi “Melodies of Life”, della True Colors Community.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
SIMPLE & CLEAN
Melody#30. We met in the mist of morning, and parted deep in the night


Era un uomo di successo, possedeva tutto ciò che fosse possibile desiderare. Era bello e affascinante, il suo ascendente sul prossimo era indiscutibile, era ricco e astuto, non aveva problemi sul lavoro, la sua era una famiglia rispettabile, aveva una bella moglie, innamorata e intelligente, e un bambino stupendo che avrebbe fatto un anno di lì a un mese.
Non c’era nulla, nella vita di Brian Kinney, che potesse considerarsi meno che perfetto.
*

- Bri?
Sua moglie Lindsey si affacciò dalla porta della camera da letto, chiamandolo discretamente. Lui aprì appena gli occhi.
- Mh… - mugugnò, senza sollevare il capo dal cuscino.
- E’ ora di svegliarsi! – disse lei, allegra.
Solo allora, vedendo minacciato il suo diritto al sonno, si degnò di sollevare lo sguardo sull’orologio.
- …fanculo, Linz, sono le otto del mattino!
- Eh, sì, lo so, ma ti devi svegliare lo stesso.
- Ma è sabato!!!
- Oh, come sei noioso, avrai tutto domani per riposarti in santa pace… oggi ho bisogno di te.
- Che? Perché?!
- Perché, come ti ripeto da circa quindici giorni, oggi alla galleria c’è l’inaugurazione della mostra che ho curato, e tu devi badare a Gus.
- …l’avevo completamente dimenticato…
- Sì, l’avevo intuito.
- Ma non puoi portarlo da Micheal?!
- Non puoi scaricare sul tuo migliore amico i tuoi doveri di padre!
- Sì che posso! Avanti, ti prego, Micheal e Ben adorano Gus…
- Mi dispiace, preferisco che almeno una volta ogni mille anni sia suo padre a prendersi cura di lui, e non i suoi “zii”.
- Guarda che ho sentito le virgolette nella voce! Cos’hanno che non va Micheal e Ben?
Lindsey sospirò, esasperata.
- Assolutamente niente, Brian. Solo, non sono i suoi genitori.
- …
- Avanti. Fa’ questo sforzo. Non ti chiedo tanto, solo di stare con lui fino a stasera! Puoi sopravvivere!
Brian lanciò un lamento soffocato, sprofondando di più fra le lenzuola.
Poi sospirò profondamente e si alzò in piedi, sotto lo sguardo soddisfatto di sua moglie.
*

- Mangerai. Oh, se mangerai.
Il bambino lo guardò, le manine strette attorno al giocattolo che lui gli aveva dato perché smettesse di piangere.
- Molla quel giocattolo e mangia! – ordinò Brian, minacciandolo col cucchiaio pieno di pappa davanti alla bocca.
Gus fece una smorfia e guardò altrove, imbronciato.
- Insomma! – gridò l’uomo, esasperato, cercando di forzare le labbra del bambino col cucchiaio.
Proprio in quel momento squillò il telefono.
- Pronto?
- Tesoro?
- Linz! Torna subito qui!
- Cosa…? Ma che…?
- Quel bambino è un ribelle! Si rifiuta di mangiare, si rifiuta di obbedire agli ordini, si rifiuta di smettere di fare casino, insomma, torna a casa e toglimelo da davanti agli occhi, prima che faccia qualcosa di cui potrei pentirmi!
- …Bri. Devi calmarti, adesso.
- Questo è impossibile!
- No, Bri. Devi fare uno sforzo e calmarti. Insomma, è solo un bambino, non può essere così drammatico…
- Può. Può, credimi.
- Oh, al diavolo, ti ho chiesto un favore e tu me lo farai!
- Così non è un favore, è un obbligo!
- Non mi frega un accidenti di cos’è. E poi…
Pausa.
- …e poi?
- Ecco… c’è una cosa che ho… come dire, “dimenticato” di dirti, stamattina.
- …queste virgolette…
- Temo di doverti chiedere un altro favore, tesoro.
- No!
- E’ troppo tardi per rifiutare…
- Linz! Cosa CAZZO stai cercando di dirmi?!
- Ecco… ti ricordi mia sorella, vero?
- E’ ovvio che mi ricordo tua sorella, Linz, va’ al punto.
- Ecco, vedi, mia sorella ha un figlio…
- SI’ LINZ, CONOSCO PERFETTAMENTE IL TUO ALBERO GENEALOGICO!!!
- Sì… ehm… insomma, mia sorella deve allontanarsi fino a stanotte, e dal momento che Justin non può stare da solo per tutto questo tempo…
- COSA?!
- Lo sta portando da noi. Rimarrà fino a quando sua madre non sarà tornata.
- Lindsey! Dovrei badare a due mocciosi?!
- Be’… solo fino a quando non sarò tornata a casa stasera, dai… e poi comunque Justin non è più un moccioso, ha già sedici anni…
- E allora perché non se ne sta a casa sua?!
- Brian! Cerca di finirla!
- Ma insomma, cazzo, non vedo quel bambino da quando aveva qualcosa come otto anni!
- Be’, se fossi venuto a una qualsiasi festa di Natale, o di Pasqua, o magari del suo compleanno, ultimamente, forse adesso non saresti così in imbarazzo…
- Non sono in imbarazzo, sono incazzato perché mi vuoi costringere a fare qualcosa che non voglio!
- Tesoro…
- NON CHIAMARMI TESORO!!!
- …sarò a casa verso le sei. Fatti forza, dai.
- Linz?!
Conversazione interrotta.
Rimase ad inveire contro il telefono muto ancora per quale secondo, prima di voltarsi a guardare suo figlio che, terrorizzato, stropicciava fra le mani il pupazzo, sul punto di piangere.
- Gus… Gus… devi mangiare… altrimenti papà potrebbe fare uno sproposito…
Lo sguardo iniettato di sangue dovette convincere il bambino, che ripulì il piatto fino all’ultima stellina al pomodoro.
*

Il campanello squillò immediatamente, quando si appisolò sul divano. Non ebbe neanche il tempo di irritarsi, che quello squillò di nuovo, e ancora, componendo una stonata e gracchiante versione de “La vecchia fattoria” che prese a rimbombargli nel cervello – e non smise più.
- Arrivo, arrivo! – gridò, esasperato, muovendosi stancamente verso la porta del loft, massaggiandosi le tempie con due dita, - Chi diavolo è?
- Sono Justin! – rispose una vocina entusiasta, al di là dell’uscio.
Eccolo qui, l’altro mostriciattolo, pensò con sommo disappunto aprendo la porta.
Justin lo guardò a lungo, sorridendo, le mani dietro la schiena e il capo lievemente inclinato di lato, in un’adorabile posa da bravo bambino così spudoratamente artefatta da essere quasi divertente.
S’introdusse in casa sua senza neanche chiedergli permesso, andando direttamente a buttarsi sul divano e afferrando il telecomando per accendere la televisione con tale velocità e naturalezza da far pensare di essere nato appositamente per questo.
- Ciao anche a te, Justin! – disse ironico, piantando le mani sui fianchi.
Il ragazzo si limitò a sollevare una mano e agitarla distrattamente, senza proferire parola.
- Se scendessi i piedi da mio divano in pelle da quasi quindicimila dollari, forse potrei cominciare a odiarti di meno. – lo avvertì, astioso, avvicinandosi a lui e guardandolo con fastidio.
Solo allora Justin sollevò lo sguardo su di lui, inclinando graziosamente gli angoli della bocca verso il basso.
- Ma… tu allora mi odi, zio Brian…? – chiese, piagnucoloso, stringendosi nelle spalle.
- Primo: - disse Brian infastidito, cercando di mantenersi calmo, - non azzardarti mai più a chiamarmi zio.
- Ah, no…? – chiese Justin, sorridendo malizioso ed enigmatico, - Avevo immaginato potessi trovarlo piacevole…
- …ma tu chi sei, una specie di diavolo pestifero e malizioso…?
Il ragazzo ridacchiò, sedendosi composto e spegnendo la tv.
- Una specie. – annuì tranquillo, socchiudendo gli occhi. – Secondo?
- …eh?
- Hai detto “primo”, poco fa. Quindi deve esserci un “secondo” e magari anche un “terzo”.
- Non c’è nessun secondo e meno che mai ci sarà un terzo! – sbraitò Brian incrociando le braccia sul petto.
- Come vuoi, come vuoi… - disse Justin scrollando le spalle e tornando a distendersi sul divano.
- Oh, al diavolo! Secondo: non mettere i piedi su questo dannato divano! Se proprio devi distenderti, togliti le scarpe.
Sfidandolo con un sorriso, Justin sfilò lentamente le sneakers, abbandonandole con noncuranza sul pavimento e tornando a distendersi scompostamente.
In quel momento, un vagito strozzato annunciò il risveglio di Gus.
Gli occhi del ragazzo si illuminarono.
- Allora Gus è qui! – disse gioioso, scattando in piedi, - Credevo fosse con sua madre!
- No, è qui. – sospirò Brian, già distrutto dal pensiero di dover avere a che fare con due mocciosi talmente problematici per tutto il pomeriggio. – Sta’ fermo qui e non ti muovere neanche se crolla la casa. Vado a vedere cos’ha.
- Se vuoi – suggerì Justin, come fosse stata una cosa di poco conto, - posso prendermi io cura di lui.
E per la prima volta Brian pensò di essersi sbagliato, in fondo, sul suo conto.
Fino a quel momento, aveva visto Justin come una parte integrante del problema. Ma in fin dei conti poteva anche esserne la soluzione. Dopotutto aveva già sedici anni, possedeva perfino responsabilità penale, in caso di problemi, e…
…sì, magari poteva andare.
- Sai come occuparti dei bambini? – chiese dubbioso.
- Non che ci voglia un nobel per far giocare un neonato. – rispose Justin, sbuffando, - Sì, penso di poter portare a termine la missione senza troppe difficoltà.
- Ti avverto: Lindsey ti ucciderà, se succede qualcosa al pupo.
Justin ghignò, alzandosi in piedi.
- No, Lindsey ucciderà te. Io mi limiterò ad assistere divertito.
Sconvolto dal ghigno e dalle parole, osservò per un pezzo il ragazzo farsi strada verso la cameretta che avevano ricavato accanto al soppalco che era la loro camera da letto, prima di decidersi a seguirlo.
- Ehi… cos’è che intendevi…?
Justin ridacchiò, prendendo in braccio il bambino che, appena fu arrivato alla giusta altezza, cominciò immediatamente a giocare col suo naso.
- Ma niente, stavo solo scherzando. – disse, sorridendo angelicamente mentre faceva saltare Gus fra le braccia – fra le sue risatine divertite.
- Ehi, ehi, frena un secondo! Tutti questi sbalzi non saranno pericolosi…?
Justin sospirò, assicurandosi per bene Gus fra le braccia.
- Sul serio, pensi che potrei usare questo bambino per farti avere dei problemi? Non sono pazzo, almeno non fino a questo punto.
- …ma tu hai davvero sedici anni…?
- In realtà li devo ancora compiere. Ma mancano solo un paio di mesi. – spiegò trionfante, cercando nella cesta dei giochi un sonaglino da dare al bimbo.
- Capisco. – si arrese lui, - Allora senti, dal momento che qua mi sembra tutto a posto… penso che andrò di là a… a portarmi avanti col lavoro, immagino.
Justin annuì, piazzando Gus nel suo lettino e prendendo due pupazzi per organizzare uno spettacolino in suo onore.
Rassicurato, Brian tornò in salotto e si sedette davanti al computer, ma non ebbe neanche il tempo di accenderlo che Justin uscì dalla stanzetta di Gus e cominciò a gironzolargli intorno, in cerca di qualcosa da fare.
- Ti sei già annoiato? – chiese, trattenendo a stento l’irritazione nella voce.
- No, figurati, quel bambino è adorabile, avrei continuato a giocare con lui molto volentieri. Solo che evidentemente quella era solo una pausa di veglia fra un pisolino e l’altro.
- Vuoi dire che si è riaddormentato di già?
Justin annuì sospirando e continuando a vagare intorno al computer come un’anima in pena.
- Incredibile. Vorrei avere lo stesso potere che hai utilizzato tu. – commentò lui, stupito, osservandolo nelle sue rivoluzioni attorno a lui.
- Non ho usato nessun potere… però immagino che tu debba essere un pessimo padre, se non riesci neanche a far addormentare tuo figlio.
- Ehi ehi, adesso, andiamoci piano…
- Senti, hai mica un programma di grafica, su questo pc? – chiese il ragazzo d’improvviso, osservando con interesse lo schermo.
- Ovvio. – annuì lui, - Sono un pubblicitario.
Lo sguardo di Justin si illuminò.
- Non è che me lo lasceresti per un po’? Posso farti vedere cosa sono capace di fare!
- …tu disegni al computer?
- Già. – confermò sorridendo, - Aspetta solo un attimo, vado a recuperare la penna grafica e torno subito…
E così dicendo si allontanò verso l’ingresso, dove, Brian se ne accorse solo in quel momento, aveva abbandonato uno zainetto di piccole dimensioni pieno fino all’orlo, dal quale tirò fuori una piccola penna attaccata a una tavoletta e un cavo USB.
- Allora, ti sposti? – chiese sgarbatamente a Brian quando gli fu tornato accanto.
Preso alla sprovvista, Brian non poté fare altro che annuire e alzarsi, lasciandogli il posto sulla sedia.
Nel giro di una ventina di minuti, l’opera era completa. Dominava lo schermo in tutta la sua grazia, rifulgendo dei colori più brillanti che Brian avesse mai visto e mostrando una tale perfezione anatomica che avrebbe fatto invidia a un professionista del settore.
Sorridendo stupito, Brian pensò al talento di Lindsey e immaginò dovesse essere una cosa di famiglia, dopotutto.
- Pensi che potresti usarlo per una qualche pubblicità? – chiese Justin a bruciapelo, rimirando la sua opera mentre si puntellava il mento con la penna.
Brian lo guardò, sollevando un sopracciglio.
- Come pensi potrei utilizzare un’immagine del genere? – gli chiese di rimando, mettendo una mano su un fianco e lanciando un’occhiata dubbiosa ai due uomini sorridenti che, immobili, si rotolavano nel letto, completamente nudi.
- Forse per una pubblicità sui preservativi. – suggerì il ragazzo con un sorriso furbo, - Guarda come sembrano felici.
Brian sospirò, allontanandosi verso la cucina.
- Sì, certo. – disse, con tono canzonatorio, - Dovrei proprio presentarlo al mio capo, domani, immagino che mi chiederebbe di diventare socio della compagnia e mi affiderebbe immediatamente la prossima campagna per la Sony. Certo, ovviamente prima dovrebbe resistere all’impulso di buttarmi fuori a calci dal suo studio e licenziarmi per oltraggio al pudore, ma va be’…
- Oltraggio al pudore? Esiste una legge vera per una cosa del genere?
- Mh. Ma avevo già intuito tu non ne fossi a conoscenza…
- Zietto, - chiese improvvisamente il biondo, alzandosi in piedi e chiudendo il programma senza salvare il file, - ma tu quanti anni hai?
La domanda l’allarmò.
Perché diavolo il ragazzino si sentiva in diritto di verificare la sua età?
- Tu quanti me ne dai? – chiese, cercando di mascherare l’inquietudine mentre afferrava una bottiglia d’acqua dal frigo.
- Fisicamente o mentalmente?
...prego?
- Fisicamente… - rispose, un po’ incerto, sorseggiando l’acqua.
- Direi non più di trenta.
Grazie a Dio.
- …e mentalmente…?
- Mh… è questo quello che non riesco a capire… - mugugnò Justin alzando gli occhi al soffitto, pensoso, - Malgrado sembri così giovane all’apparenza, parlandoti sembri così… così…
- …
- Così vecchio
- VECCHIO?!
- Ma sì, tutto questo parlare di pudore, e “scendi i piedi dal divano, Justin!”, e “non sarà pericoloso, Justin?” e “Linz ti ucciderà, Justin!”… non ti senti già vecchissimo a parlare così…?
E il fatto che la sua massima aspirazione in quel momento fosse avere una bella tazza di tisana in mano per potersi calmare e poi lanciarla furiosamente in testa a quel dannato ragazzino lo rendeva più o meno vecchio?
- Non so di cosa tu stia parlando. – disse, digrignando i denti e chiudendo il frigorifero con uno scatto nervoso.
Justin sorrise, il sorriso radioso dei vincenti.
Fu allora che Brian ricordò che in famiglia lo chiamavano Raggio di Sole, e non stentava a capire perché. Quel maledetto moccioso aveva le due file di denti più perfetti che avesse mai visto, circondate da labbra sottili ed eleganti che avrebbe potuto descrivere solo come “portate per il sorriso”. Sì, quel ragazzo sembrava avere un vero talento per il sorriso. Non avrebbe saputo spiegarlo meglio di così. Ma gli sembrava già abbastanza azzeccato, come accostamento: Justin e il sorriso perenne.
Quando scese dalle nuvole, Justin si era nuovamente seduto al computer, e s’era totalmente immerso in una partita a scacchi col cervello elettronico che si prospettava parecchio difficile da risolvere vittoriosamente. I suoi occhi saettavano veloci da una pedina all’altra, mentre la mano destra tamburellava inquieta sul mouse, stando attenta a non schiacciare niente che potesse causare una reazione sullo schermo. Si mordeva il labbro inferiore, corrugando le sopracciglia in un’espressione di massima concentrazione.
Brian gli si avvicinò da dietro, sporgendosi in avanti per avere una migliore visuale delle pedine in campo.
- Hai già perso. – sorrise ironico, appoggiandosi coi gomiti alle sue spalle.
- Non ancora. – grugnì Justin, irritato.
Puntualmente, il computer fece scacco matto con la mossa successiva. Brian scoppiò a ridere, rimettendosi dritto e dirigendosi nuovamente verso la camera del bambino, per verificare che fosse tutto a posto.
Justin scattò in piedi, irritato.
- Mi hai deconcentrato!
- Ma va’… avevi già perso, te l’ho detto.
- Ecco vedi? – disse il ragazzo con un sorrisetto crudele stampato sul volto, incrociando le braccia sul petto, - Parli proprio come un nonno.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Si voltò, muovendosi a passo veloce verso quella che, aveva già deciso, sarebbe stata la sua vittima e afferrandolo per le spalle, spingendolo senza troppi riguardi sul divano e costringendolo a mettersi seduto e tacere.
- Non ti azzardare a darmi mai più del vecchio, stupido ragazzino viziato e strafottente. – lo minacciò, puntandogli un dito contro, - O te la vedrai brutta. Parecchio.
Justin sorrise, sfidandolo.
- Del tipo, potresti anche picchiarmi?
- Oh, sì. – rispose lui senza esitazioni, - Non mi sono mai fatto scrupoli in questo senso. E il fatto tu sia un ragazzino non mi spaventa.
- E il fatto che io sia il nipote di Lindsey?
- Neanche questo. Sei suo nipote, mica il mio.
Justin si lasciò andare ad un momento di silenzio meditativo, e Brian ne approfittò per sancire la sua definitiva vittoria.
- Allora, hai ancora voglia di sfidarmi?
Per tutta risposta, Justin si alzò in piedi, lo fissò per qualche secondo con un paio d’occhi indefinibili, poi sorrise per l’ennesima volta, si sollevò sulle punte e lo baciò sulle labbra.
Così.
Senza alcun preavviso.
E senza alcun motivo, soprattutto.
- Adesso sta’ un po’ zitto, zietto. – concluse ridacchiando e lasciandosi andare nuovamente sul divano, alla ricerca del telecomando.
- Che… - balbettò lui, sconvolto, - Che cosa… cosa hai…
- Sssh. – lo zittì Justin, che nel frattempo aveva trovato il telecomando e acceso la tv, - Parlano di Ethan, è il mio musicista preferito. Accidenti quanto è carino quel ragazzo…
- Justin, vorresti…
- Mi stai facendo perdere la notizia!
Decidendosi finalmente a chiudere la bocca e a cercare di pensare come una persona normale, Brian annuì come se ci fosse qualcosa cui annuire, si chinò, recuperò il telecomando e spense il televisore.
- Adesso ascoltami.
- Che palle, stavo seguendo… - borbottò Justin, incrociando le braccia e buttandosi all’indietro sul divano.
- Va bene. Se ne parlerà poi. Adesso parliamo di questa cosa.
Il ragazzo lo fissò stupito, come non capisse dove volesse andare a parare.
- Il fatto che Ethan è il mio musicista preferito? Che c’è, non ti torna che mi possa piacere il violino?
- Chissenefrega di Ethan e del violino, sto parlando del fatto che mi hai baciato, poco fa!!!
Justin strinse le labbra, fingendo innocenza.
- E quello tu lo chiami bacio? Ci saluto mia madre, così…
- Ma io non sono tua madre!
- Ed è meglio che lei non sappia che ho salutato così anche te… - ridacchiò Justin, coprendosi la bocca con una mano.
- Ma cosa sei, gay? – chiese lui esasperato, e nel momento stesso in cui lo chiese realizzò quanto stupida fosse quella domanda di fronte alla chiara evidenza dei fatti.
- No, ma cosa dici? Mi piacciono solo gli zietti odiosi e non ho potuto resistere a te.
- Senti, questa… questa storia dello zietto s’è fatta insopportabile. Adesso la pianti e mi giuri che non oserai mai più fare una cosa simile.
- …chiamarti zietto?
- BACIARMI!
Justin sbuffò, guardandolo di sbieco dal basso.
- E va bene, prometto.
Sospirando sollevato, Brian si rilassò e pensò a qualcosa da dire, e mentre era ancora immerso nei suoi pensieri Justin si risollevò in piedi e, con tutta la calma del mondo, lo baciò di nuovo.
Esterrefatto, non poté fare altro che continuare a fissarlo.
- …di cos’è che abbiamo parlato, fino a poco fa?
Justin sorrise, alzandosi in piedi e dirigendosi a passo sicuro verso il bagno.
- Aria fritta. – rispose, scomparendo oltre la porta.
*

- Pronto, Bri?
- Linz. Oddio. Grazie al cielo. Senti, devi tornare immediatamente a casa.
- Ma… cosa è successo? Qualche problema con Gus? – chiese la donna, allarmata.
- No. No, Gus dorme tranquillamente. Sono io che sto uscendo di testa.
- Eh?
- Senti, quel ragazzino…
- Oh, Justin è arrivato, dunque?
- Sì, dannazione. Sì, e io non ne posso già più.
- Ah… in questo caso ho una brutta notizia per te, tesoro…
- No! – quasi gridò, deglutendo a fatica, - Ti prego, no, non dirmelo…
- Ma ecco, è che la mostra è stata un successo e il direttore della galleria ha invitato noi organizzatori a cena per festeggiare… ha già prenotato, capisci…?
- Non capisco! Non voglio capire! Torna a casa! – implorò, con tono lamentoso, stringendo la cornetta fra le mani.
- Insomma, Brian. – sbottò Lindsey, esasperata dal suo comportamento, - Non capisco veramente cos’hai oggi. Sembri un bambino! Mi chiedo se ho fatto bene a lasciarti sola con Gus, mi chiedo se tu abbia le capacità mentali per occuparti di tuo figlio!
- Ma il problema non è il bambino, Lindsey! Il problema è l’altro!
- Ma fallo stare al computer e lascia che si diverta da solo giocando a un video game come tutti i ragazzini della sua età! Dio, Brian! Non posso mancare a questa cena, quindi fai un piccolo sforzo e resisti.
Brian sospirò, sentendosi sconfitto su ogni fronte.
- In ogni caso non dovrei fare troppo tardi. Fa’ cenare Gus e mettilo a letto. Non avrai problemi, vedrai. – concluse con voce dolce, terminando la chiamata.
In quel momento, Justin uscì dalla cameretta di Gus, portando in braccio il bimbo che, sorridente, si tendeva tutto verso il suo papà, probabilmente in cerca della sua cena.
Dio, pensò Brian, passandosi stancamente una mano sugli occhi, devo bere qualcosa.
*

- E quindi è uscita stamattina lasciandoti il bambino e senza neanche dirti che sarei venuto anche io? – esclamò Justin, spalancando la bocca come se quella fosse la notizia più sconvolgente del mondo.
- Proprio così! – disse lui, solennemente, buttando giù l’ennesimo bicchiere di scotch, - Dimmi se non è un comportamento crudele.
- Crudelissimo! – annuì il ragazzino, porgendogli il bicchiere per farselo riempire di nuovo.
- Non dovresti bere tanto… - borbottò lui, senza per questo sentirsi in dovere di strappargli il bicchiere di mano e impedirgli di bere ancora, - Sei solo un ragazzino!
- Aaaah, reggo benissimo l’alcool! – protestò Justin battendo il bicchiere sul tavolo.
- Ssssh! – disse immediatamente Brian, portandosi un dito davanti alle labbra e riempiendogli il bicchiere di un’altra buona dose di scotch, - Sveglierai il bambino!
Per tutta risposta, Justin rise sguaiatamente, un attimo prima di buttare giù il drink.
- Gus dormirà come un sasso per tutta la notte, gli hai dato tanta di quella pappa che non riuscirà neanche a muoversi prima di domattina!
- Lo spero… - sbuffò l’uomo, abbandonandosi sul tavolo con aria disperata, - Badare ai bambini non è proprio la mia cosa.
- Oh, non essere severo con te stesso… - lo consolò Justin bevendo l’ultimo sorso di scotch e poi alzandosi in piedi, per raggiungerlo, con passo molle e incerto, al suo posto, - Non sei stato tanto male come babysitter. Almeno con me.
- Sei ubriaco! – rise lui, trovando il tutto esilarante, - Non sei attendibile, e poi il fatto che ti abbia fatto ubriacare testimonia il fatto che di fatto io non sia affatto un bravo babysitter…
Justin scoppiò a ridere, sbraitando “fatto, di fatto, affatto!”, subito seguito da Brian, che si appoggiò al suo braccio per non scivolare a terra in preda alle convulsioni.
- Sai che anche mia madre è stata molto crudele con me? – si lamentò Justin, appena si fu ripreso dalla risata.
- Davvero? – chiese Brian risistemandosi sulla sedia e spalancando gli occhi, - Che ti ha fatto?
- Vuoi sapere perché mi ha mandato qui oggi? – gli chiese, agitandogli un dito davanti agli occhi.
Brian annuì interessato, appoggiando il mento alle mani giunte.
- Perché sa che quando sono solo porto i ragazzi in casa! – rivelò Justin ricominciando a ridere.
- Ooooh… - si meravigliò lui, guardandolo fisso, - Quindi frustra la tua vita sessuale…
- Proprio così! A lei e a mio padre non va affatto giù che io sia gay… infatti non mi mandano qui se non hanno proprio bisogno, perché credono… pff… credono che i tuoi amici mi influenzino…
- No! – esclamò lui, sconvolto, sentendosi una ragazzina pettegola, - Hanno paura di Mike e Ben…?
- Proprio così! – ripeté Justin, crollando seduto per terra.
Brian reputò quel crollo molto divertente, e, ridacchiando come un ossesso, scese dalla sedia per accucciarglisi accanto e domandargli se si fosse fatto male.
- Noooo, sto benissimo! – disse Justin con tono trionfante, - Il mio sedere è abituato a ben altro! – e così dicendo scoppiò nuovamente a ridere, seguito a ruota da Brian, che cominciava a sentirsi più confuso che altro ma sicuramente circondato da cose esageratamente spassose.
- Sai cosa mi tirerebbe un po’ su…? – chiese Justin, dopo essersi calmato, tirando su col naso.
- No, dimmelo tu… - disse Brian, invitandolo a continuare con un interessato cenno del capo.
Sorridendo radioso, Justin si sporse un po’ in avanti, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Quando si ritirò, Brian lo guardò negli occhi, improvvisamente dimentico di tutto quello che lo faceva ridere fino a poco prima, ma ancora talmente confuso che non avrebbe saputo muovere un muscolo neanche se ne fosse andato della sua vita.
Cosa che, in un certo senso, era esatta.
Justin gli rivolse un sorrisino minuscolo, e lui lo trovò assolutamente adorabile.
Era sicuramente colpa dell’alcool, doveva essere colpa dell’alcool…
Il ragazzino si fece nuovamente avanti, passandogli lievemente la lingua sulle labbra. A Brian sembrò di averle dischiuse per riflesso, ma così non doveva essere, perché Justin, immaginando probabilmente che non ci fosse terreno per avanzare, si fece indietro; ma appena l’uomo lo sentì indietreggiare, la sua mano partì automaticamente a cingerlo dietro la nuca, riportandolo vicino e stringendoselo contro, baciandolo con passione senza neanche passare dal preliminare bacetto a labbra serrate.
Justin gli si aggrappò alla maglia, mettendosi in ginocchio e avanzando fino ad incastrarsi perfettamente fra le sue gambe, sfiorando la sua eccitazione con le ginocchia, attraverso i pantaloni.
Ebbe solo un attimo per chiedersi cosa diavolo stesse facendo. Solo un attimo. Solo l’attimo in cui Justin si separò da lui per riprendere fiato. Perché nel momento in cui le loro labbra tornarono a sfiorarsi, nel momento in cui le mani del ragazzo attaccarono l’orlo della sua maglietta, tirandolo affannosamente verso l’alto nel tentativo di liberarsene, nel momento in cui le sue mani andarono a cercare, incerte e timorose, il bottone dei suoi jeans, e nel momento in cui lo trovarono, e nel momento in cui afferrò con foga la cerniera e la tirò verso il basso in un colpo solo, schiacciandosi contro a quello stupendo corpo adolescente, divorando il sorriso di quel ragazzino con baci famelici, veloci e ansiosi…
…il suono orribile del citofono disturbò con forza il fluire disordinato dei suoi pensieri. Una volta. Due volte. Tre volte.
Riportandolo alla realtà.
Spalancò gli occhi, ritrovandosi mezzo nudo e col fiatone disteso sul pavimento, con le mani perse da qualche parte sotto la maglietta di Justin. Il quale sembrava sconvolto quanto lui.
Si alzò faticosamente in piedi, massaggiandosi la fronte come se sentisse dolore alla testa, mentre in realtà stava solo cercando di rendere meno confusi i suoi pensieri, spazzando via tutto il residuo dell’alcool e del profumo di Justin, ancora così attaccato a lui da sembrare il suo.
Si mosse verso il citofono, mentre il ragazzo si rimetteva in piedi e si ricomponeva, muto come un pesce.
- Sì? – rispose, sollevando la cornetta e attendendo una risposta.
- Brian?
Era la sorella di Lindsey.
- Sì.
- Oddio, ho pensato che non ci fossi, non rispondevi più! Scusa per l’orario…
Gettò uno sguardo all’orologio appeso alla parete in fondo al loft.
Come avevano fatto le tre di notte ad arrivare così presto?
E dove diavolo era finita Lindsey?!
- Niente. – rispose atono.
- Senti, Justin è ancora sveglio?
Si guardò indietro. Sì, Justin era sveglio e faceva vagare nervosamente lo sguardo da lui al pavimento, le braccia ficcate nelle tasche dei jeans e un adorabile rossore a imporporargli il volto.
- Sì.
- Ah, bene. Allora lo fai scendere, per favore?
- Mh… sì… ciao…
- Ciao, e grazie di tutto!
Ripose il citofono al suo posto e si voltò, riportando la sua attenzione sul ragazzo in piedi nel centro della stanza.
- E’ tua madre. – disse, indicando la porta con il pollice. – Vuole che scendi.
- Mh. – annuì Justin, guardandosi intorno alla ricerca della giacca e dello zaino.
Brian lo osservò recuperare tutte le sue cose senza muovere un muscolo. Solo quando gli fu vicino si azzardò a fare qualcosa. Gli diede una pacca sulla spalla. E quando Justin sollevò lo sguardo sul suo viso, vide che sorrideva tranquillo, e si sentì meglio.
*

Era un uomo di successo, possedeva tutto ciò che fosse possibile desiderare. Era bello e affascinante, il suo ascendente sul prossimo era indiscutibile, era ricco e astuto, non aveva problemi sul lavoro, la sua era una famiglia rispettabile, aveva una bella moglie, innamorata e intelligente, e un bambino stupendo che avrebbe fatto un anno di lì a un mese.
Justin usciva da casa sua, sorridendo come un folletto e agitando una mano per salutarlo.
Osservandolo svanire oltre la porta, come fosse stato un sogno, o già un ricordo, non poté fare a meno di sogghignare, guardando con impazienza alla prossima occasione che avrebbe avuto per rivederlo.
Non c’era nulla, nella vita di Brian Kinney, che potesse considerarsi meno che perfetto.
Genere: Introspettivo
Pairing: Justin/Brian, Justin/Ethan.
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- “Caro stronzo, spero tu stia sputando sangue e bile da qualche parte, nascosto nell’angolo buio di una strada o piegato sul cesso sporco del Babylon.
Commento dell'autrice: La mia prima flash-fic O.o O almeno, la prima che mi accorgo di scrivere XD Non che avessi programmato di farla venir fuori così corta, solo che sinceramente non mi sembra ci sia altro da dire, e be’, non è colpa mia se la cosa si risolve in meno di 850 parole XD Comunque, un raccontino che, nella sua semplicità, apprezzo abbastanza. Non ci sono tanti giri di parole, chi pensa a chi e in che modo è abbastanza chiaro e buonanotte XD Beninteso, non credo affatto che Justin abbia provato meno che amore per Ethan, solo che il sentimento per Bri è cooooooooosì profondo e totalizzante che supera qualsiasi altro sentimento possa o potrà mai provare per qualcun altro in tutta la sua vita TçT Ok, basta fangirling XD Spero vi piaccia è_é
PS: Scritta per la True Colors Community.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
DEAR EX-BOYFRIEND…
#5 I hope your wish came true; mine betrayed me


“Caro stronzo, spero tu stia sputando sangue e bile da qualche parte, nascosto nell’angolo buio di una strada o piegato sul cesso sporco del Babylon.”

- Just? Che fai?
Chiuse la posta elettronica con uno scatto isterico, saltando sulla sedia.
- Niente, Ethan, non preoccuparti…
Aspettò che il suo ragazzo si avvicinasse a lui e lo baciasse lievemente sulle labbra, cingendogli le spalle con entrambe le braccia.
- Tempo da perdere?
- Già. – ridacchiò, - Tu? Esercitazione?
- Stavo giusto prendendo il violino. Ti do fastidio se suono sul letto?
- No, no, fai pure. Sai che mi piace ascoltarti.
Ethan sorrise e si separò da lui, raggiungendo il letto a grandi falcate e cominciando a suonare quasi subito.
Lui riaprì la posta elettronica.

“Caro pezzo di merda, spero tu ti stia rotolando nel tuo letto, in preda ai dolorosissimi spasmi di una malattia mortale rarissima e incurabile che affligge solo gli stronzi come te, abbandonato da parenti, amici e amanti e costretto a guardare Sex and the City giorno e notte.”

- Ma che hai da battere così sulla tastiera? – chiese Ethan, scoppiando a ridere, - Fai un casino assurdo!
Imbarazzato, Justin si strinse nelle spalle e sorrise.
- Non preoccuparti, sto solo scrivendo una mail.
Ethan annuì e sorrise, ricominciando a suonare.
Justin rilesse e cancellò quello che aveva scritto fino a quel momento, e ripartì da zero.

“Cara testa di cazzo, voglio che tu sappia che meglio di come sto non potrei stare, e che penso che mollarti sia stata la cosa migliore che mi sia mai capitato di fare; e voglio che tu sappia anche che spero tu invece stia annegando nel senso di colpa e nel disgusto per te stesso, che sarebbe anche il minimo, dopo quello che mi hai fatto passare. Inoltre, voglio che tu sappia che non ti rimpiango neanche per un cazzo, e che ormai stai diventando più insignificante di un ricordo idiota di millenni fa.”

- Just, si romperà se continua a pressare i tasti così.
La voce di Ethan lo risvegliò dalla trance in cui era piombato, e lo costrinse a cancellare in fretta e furia le righe colme di rancore che apparivano sullo schermo, senza neanche rileggerle.
- Scusa… - mormorò, passandosi una mano sugli occhi e stiracchiandosi.
- Dev’essere importante! – ridacchiò Ethan, stendendosi sul letto e posando il violino nella sua custodia.
Justin lo guardò.
- Mh… ma no… - disse sorridendogli e alzandosi per raggiungerlo.
Ethan rispose al sorriso – quell’appartamento era pieno di sorrisi, per quanto neanche la metà fossero reale espressione di gioia - e si scostò lievemente per fargli posto accanto a sé. Justin si lasciò stringere fra le braccia, ed Ethan gli permise di nascondere il viso sul suo collo, godendo del contatto del suo respiro caldo sulla sua pelle fredda d’inverno.
- Tutto a posto? – gli chiese, accarezzandogli i capelli.
Justin annuì, strofinandoglisi contro come un gattino affettuoso, ed Ethan capì che stava pensando a Brian. Avrebbe potuto lasciarsi sopraffare dalla gelosia e rodersi in silenzio, oppure avrebbe potuto incazzarsi e andare via, mollandolo lì, solo, sul letto, senza neanche una spiegazione, ma non sarebbe servito a niente, la sua mente sarebbe stata ancora tutta un concentrato di Brian e per lui, in quel cervellino tormentato, non sarebbe rimasto neanche un posticino minuscolo per una minuscola dichiarazione d’affetto, perciò preferì restare, chinarsi su di lui, baciarlo e sfiorarlo sotto i vestiti, nella speranza di riuscire, almeno per una ventina di minuti, a rendersi esclusiva dei suoi pensieri.
*

“Caro Brian. In realtà sono triste. In realtà mi sento solo. In realtà Ethan mi consola ma non mi aiuta. In realtà non ho mai desiderato che fra noi due finisse così, e in realtà ora che è successo mi sento impantanato nel rimpianto e nei ricordi di te, che mi restano aggrappati addosso come zavorre e non mollano. In realtà, Bri, non sognavo che tu mi chiedessi di sposarti, né volevo legarti a me controvoglia e per sempre in qualche altro subdolo modo. In realtà, per esempio, non mi passava neanche per la testa di costringerti ad essermi fedele, o ad adottare un bambino e cose simili. In realtà mi bastava che mi stessi accanto fino a quando avresti potuto, mi bastava che permettessi a me di restarti vicino ogni volta che ne avessi avuto bisogno.
I miei sogni si sono dissolti come le bolle di sapone degli schiuma party in discoteca, sono esplose lasciandosi dietro un profumo agrodolce di nostalgia che mi rintontisce, e uno strato vischioso di ricordi che è ancora lì, e sul quale continuo a scivolare.
Il suo sogno è sempre stato un’ostinata, ingiustificata ed eterna affermazione d’indipendenza. E io spero che almeno tu sia soddisfatto.”


Ethan mugugnò nel sonno. Justin si voltò a guardarlo e desiderò essergli accanto al più presto possibile, prima di fare qualche pazzia.
Spense il computer dal pulsante sull’hard-disk, infischiandosene dei pericoli che correva il delicato e costosissimo apparecchio, quando non spento nella giusta maniera, e se ne tornò a letto.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Brian/Justin
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- Justin ha urgente bisogno di risolvere il problema che ha con Brian; la cosa, però, è particolarmente difficile, dal momento che proprio Brian non riesce a vedere questo problema dove stia.
Commento dell'autrice: Non ho molto da dire, riguardo a questa storia è_é E’ un’ipotesi di litigata molto plausibile in quel periodo, niente di più XD Scritta, as usual, oramai, per la True Colors writing community :*
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Breaking glasses
#4 If you fail to see the problem we have, one room full of walls I will try until the last drop falls


Lo spinse verso il basso, fino a che non fu completamente disteso. Lo guardò dall’alto, per qualche secondo, e poi gli si affiancò, tenendolo ancorato al letto con un braccio mentre fissava il soffitto.
- Abbiamo un problema.
Lui sospirò, roteò gli occhi e poi forzò la sua presa, riuscendo a liberarsi e alzarsi in piedi.
- Brian.
- “Avere un problema” è una cosa da lesbiche con figli. È una cosa da eterosessuali. È una cosa da persone che stanno insieme. Noi non siamo nulla di tutto questo, quindi non abbiamo proprio un cazzo di niente.
Si diresse in bagno senza più guardarlo, infilandosi nella doccia e aprendo il rubinetto, lasciandosi scorrere addosso acqua gelida per un tempo che gli sembrò infinito, prima di decidersi a mitigare il getto con un po’ d’acqua calda.
Quando Justin partiva con discorsi simili gli metteva sempre addosso una rabbia assurda. Come quando gli aveva chiesto se lo teneva in casa soltanto perché era stato picchiato quasi a morte e lui si sentiva in colpa. Per quale cazzo di motivo si ostinava a fargli domande simili?
Come se rispondere significasse qualcosa.
Mentre cercava di non pensare, sotto l’acqua ad occhi chiusi, sentì qualcuno entrare nel box doccia e cominciare a lavargli le spalle.
- Non voglio litigare… - disse Justin lasciandogli tanti baci lievi sulle scapole.
- Allora non parlare.
Si voltò e lo baciò, costringendolo col corpo ad appiattirsi contro il plexiglass delle pareti.
- No… Brian. Non va bene.
Lo guardò, per capire se stesse facendo sul serio. Se, davvero, volesse portare avanti quella inutile e cocciuta richiesta di spiegazioni. E di soluzioni - che per inciso, lui non aveva.
Capì che sì, faceva sul serio.
Chiuse l’acqua e uscì dalla doccia, avvolgendosi in un asciugamano rosso. Justin lo seguì a ruota.
- Brian.
- Smettila di ripetere il mio nome. – disse, vagando per il loft alla ricerca dei suoi jeans.
- Brian, non c’è motivo di fare così. Non voglio litigare, te l’ho già detto, voglio solo parlare…
- Sappi che ora come ora le cose si equivalgono.
- Non è così.
- E’ così per me, e mi basta. Dove cazzo ho messo i pantaloni…?
- Brian! Stai facendo il bambino!
- Sei tu che fai il bambino, Sonnyboy. Io non so più come chiarire la situazione con te, non so più cosa dirti perché tu capisca una buona volta.
- Cos’è che dovrei capire?
Si voltò, gli si avvicinò, lo fissò negli occhi.
- Noi non stiamo insieme. Perché io non sto con nessuno. E io non ti amo. Perché io non amo nessuno. Più chiaro di così, non so come dirtelo. – sentenziò riprendendo la ricerca appena interrotta.
Per qualche secondo, non sentì niente. Si sarebbe aspettato di sentire i passi di Justin sul pavimento, si sarebbe aspettato di sentire il fruscio dei suoi vestiti, mentre li indossava, e poi si sarebbe aspettato di vederlo uscire dall’appartamento, magari anche sbattendo la porta. E invece niente, non un suono, neanche sottilissimo. Continuò a cercare i jeans.
E poi, d’improvviso, tutti i suoni che non aveva sentito fino a quel momento si convogliarono in un unico frastornante rumore. Si voltò d’improvviso, spaventato.
Justin aveva rovesciato un tavolino di cristallo, mandandolo in frantumi.
- Cosa cazzo…?
- Dobbiamo parlare.
- Vaffanculo! Hai idea di quanto sia costato quel fottuto tavolino?!
- Non mi interessa.
- Interessa al mio portafogli!
- Stai tranquillo, Brian, troverai presto i soldi per comprartene uno più bello.
- Su questo puoi scommetterci, ma non cambia il fatto. Intendi ripagarmelo?
- Dobbiamo parlare.
- Questa non è una risposta!
- Dobbiamo parlare!
Si voltò.
- Ti dirò io cosa dobbiamo fare. Io devo trovare i miei jeans e pulire questo merdaio, tu devi uscire immediatamente da qui e andare a farti fottere, ecco tutto.
Mosse qualche passo verso la cucina, furioso. Dopo neanche dieci secondi, sentì un rumore identico al primo. Stavolta era andato in frantumi un vaso.
- Justin, smettila!
- Dobbiamo parlare.
- Sai dire solo questo?
Era diventata una questione di principio. Si voltò e ricominciò a camminare verso la cucina, sentendo l’intenso bisogno di una forte dose d’alcool nel sangue.
Per tutta risposta, Justin cominciò sistematicamente a demolire casa sua, e a buttare per terra qualsiasi soprammobile fosse in grado di distruggersi una volta toccata terra.
- Justin, cazzo!
Impossibilitato a fare altrimenti, gli si avvicinò, spingendolo lontano dal reparto oggetti fragili, verso la camera da letto.
- Distruggerò tutto se non mi ascolti. Non rimarrà niente di sano, in questa casa. E, per tua informazione, col cazzo che intendo ripagarti alcunché.
Fu tentato di fargli del male, sul serio. Picchiarlo e basta. Forse così avrebbe risolto qualcosa.
Si trattenne.
- Abbiamo un problema. - riprese il ragazzo.
- Sì, ce l’abbiamo: tu sei pazzo.
- Non fare sarcasmo.
- Non lo sto facendo.
- Almeno ascolta le mie ragioni!
- Parla, cazzo, se può servire a farti smettere di fare in questo modo!
Per qualche secondo, Justin rimase in completo silenzio. Sembrava stare cercando le parole più adatte. Si sedette sul letto.
- Tu non mi ami. – disse infine.
Brian lo guardò stupito.
- Che novità. Te l’ho già detto io due minuti fa, ricordi? – commentò annoiato, dandogli le spalle.
- Brian! - lo richiamò lui, esasperato.
- Cosa?
- Non fare così! Carca di capire quello che ti sto dicendo!
- Oh, lo capisco perfettamente. Capisco che ti sei messo in testa chissà che idea del cazzo, da quando ti ho portato in questa casa. Che il mio discorso sulla “persona da cui volevo tornare alla sera” l’hai frainteso totalmente. Che non ti sei ancora ficcato in quella testa di cazzo che non ti amo né ti amerò mai.
Gli occhi di Justin si riempirono di lacrime.
- Ero abituato a sentirmi dire che non mi amavi. Ma la seconda parte è inedita, davvero.
- Adesso non fare come se non l’avessi sempre saputo.
- Beh, è così. Io credevo…
- Cosa? Che col tempo saresti riuscito a sciogliere il mio cuore ghiacciato e che, alla fine, ti avrei portato dei fiori e un anello di brillanti e ti avrei chiesto di sposarmi? Ma dove vivi, Justin? Che Brian conosci?
Il ragazzo si alzò dal letto, furioso.
- Conosco quello giusto. È che speravo di renderlo un po’ migliore.
- Sono già perfetto così, grazie.
- Oh, sì. Certo.
Sospirarono e uscirono dalla stanza. Brian si diresse in cucina, Justin a togliere da terra i cocci di vetro e di ceramica.
- Così non risolveremo mai niente. – disse, con rammarico, mentre raccoglieva i pezzi del vaso cinese che aveva distrutto.
Brian non rispose.
*

Quando Justin, praticamente, fuggì via con Ethan, non si stupì più di tanto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste.
Pairing: Brian/Justin
Rating: PG-13.
AVVISI: Boy's Love.
- E' la sera del suo compleanno, e prima di tornare a casa Justin decide di concedersi un capriccio, anche se è un capriccio stupido.
Commento dell'autrice: Dunque, una storia dove Justin si mostra molto fragile XD E’ quasi una figura tragicomica, perché è addirittura buffo nel suo essere così debole. Il fatto che si compri i fiori da solo, ad esempio, fa sogghignare, ma se ci si pensa è una cosa di una tristezza incredibile o.o Però mostra bene il grado di esasperazione cui è giunto questo povero ragazzo -.- E noi BrianxJustin si può dire quel che si vuole, ma in questo senso la “svolta Ethan” era necessaria e sacrosanta ù_ù Da cosa nasce questo racconto, in definitiva? Bene, ricordate la puntata del compleanno di Justin? Alla fine Brian si ferma davanti a un fioraio e pare voglia comprare qualcosa. Poi però va via senza prendere niente XD Quello è stato il momento in cui, citando la Littizzetto, tutti quanti abbiamo idealmente esclamato “Ti amo, bastardo!” XD Mi sembrava solo carino che quei fiori ci arrivassero da Justin, in un modo o nell’altro.
Ps: Ovviamente, scritta per la True Colors.
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Fresie
#28 Scent of dried flowers


Niente, solo quella sera si sentiva ridicolo al massimo, perché aveva fatto una cosa veramente idiota, e di cui si vergognava tantissimo, quindi era giusto un po’ irritato. E forse gli sarebbe bastato, non so, che Brian, tornando a casa, lo baciasse e gli proponesse di passare la serata insieme, loro due soli. Non un grande sacrificio, niente di cui avrebbe dovuto pentirsi per il resto della sua vita, non era come proibirgli per sempre l’ingresso al Babylon. Era giusto una cazzo di cena per la cazzo di sera del suo cazzo di compleanno.
E invece no, ovviamente. Invece era “beh? Che fai ancora così? Vestiti, andiamo da Woody’s!”. Chiaro.
Quand’è che avrebbe cominciato a capire cosa doveva aspettarsi da lui? Anzi, di più. Quand’è cge avrebbe cominciato a smetterla di aspettarsi qualcosa da Brian?
Stava odiando quella giornata. Prima la sorpresa del suo “regalo”, nudo e infiocchettato nel letto, poi quella cosa stupidissima che aveva fatto prima di tornare a casa, e adesso quello. No, Woody’s no.
- Non mi va di uscire stasera. Rimango a casa.
- Mh? Perché?
- Rimango a casa e basta.
Rimase a guardarlo scrollare le spalle, cambiarsi – camicia nera, jeans chiari aderenti, Brian all’ennesima potenza – e uscire di casa.
Una volta rimasto solo, entrò in camera da letto e si gettò sul materasso morbido, affondando il viso nel cuscino, sotto il quale fece scorrere una mano che, quando riemerse, teneva stretto un mazzo di fiori di piccole dimensioni.
Patetico.
Ebbene sì, s’era comprato i fiori da solo. L’impulso era stato troppo forte, quando era passato davanti al negozio e li aveva visti, e d’altronde, se avesse dovuto aspettare un gesto simile da Brian, sarebbe morto di vecchiaia prima di vederlo. Li aveva comprati, li aveva portati a casa e una volta varcata la soglia, ovviamente, s’era sentito tanto ridicolo che, spaventato dal possibile immediato e improvviso rientro di Brian, era corso a nasconderli nel primo posto a cui aveva pensato, proponendosi di eliminarli appena avesse avuto la possibilità di farlo senza essere visto.
Beh, quantomeno adesso poteva liberarsi dei fiori in tutta tranquillità, non l’avrebbe visto nessuno, meno che mai Brian.
Li guardò. Fresie.
Non sapeva neanche che esistesse un tipo di fiore chiamato fresia, fino a qualche ora prima. Avrebbero potuto rimanere per sempre i fiorellini rosa intravisti sul bancone del fioraio all’angolo della strada. E invece l’avevano colpito, così fragili com’erano, assisi in punta ad un gambo sottile e lunghissimo, costretti a piegare il capo per il proprio stesso peso, per il peso delle loro ambizioni. Forse ognuno di loro aveva pensato, nascendo, che avrebbe voluto diventare il fiore più bello, l’unico che tutti avrebbero guardato, l’unico di cui la pianta avrebbe avuto bisogno per sentirsi appagata.
E invece eccoli lì, tutti ammucchiati in cima, così precari. Circondati da foglie enormi che, chine anche loro, li nascondono.
Anche il loro colore. Tenue, pallidissimo alla base, assume tinte fortissime, quasi scure, sulle punte dei petali. Come se proseguendo nella crescita si fossero caricati di rabbia, e quell’ultimo grido viola fosse l’unica via per esprimere tutto quel risentimento accumulato.
- Che fiori sono quelli? – aveva chiesto alla commessa, indicandoglieli.
- Sono fresie. Vuole la pianta?
- No, ne me faccia un mazzetto. Piccolo.
- Eh… è un regalo?
- Sì.
- Allora devo dirle che dureranno poco. Sono fiori delicati, sono difficili da mantenere in vita…
- Me ne faccia un mazzetto e basta, ok?
La ragazza aveva scrollato le spalle e ubbidito senza dire altro.
Deboli e incazzati.
Che fiori tristi.
“Appassiranno fra poco?”, non poté fare a meno di pensare Justin, un po’ tragicamente, “Beh, non saranno gli unici”.
Si alzò dal letto e sollevò il materasso, nascondendovi sotto il mazzolino. Poi rimise tutto al suo posto e si addormentò.
*

Erano passati due giorni da quando aveva nascosto i fiori sotto il materasso, e cominciava a diffondersi nell’aria il lieve ma poco piacevole odore della conseguenza di quel gesto. Il naso sensibile di Brian non aveva pace.
Lo beccò a rovistare sotto i mobili e a mandare all’aria i cuscini di tutti i divani e le poltrone.
- Che diavolo stai combinando?
- Non lo vedi? Cerco la fonte.
- Di cosa?!
- Di questo dannato puzzo!
- Che?
- Non lo senti? Impossibile.
- Brian, non c’è proprio niente che puzza…
- Il mio senso dell’olfatto funziona ancora bene.
- Anche il mio.
- Ho dei seri dubbi, su questo.
Rise allegro, andando in bagno.
- Justin.
- Mh?
- Davvero non lo senti?
Si strinse nelle spalle, scrollando il capo.
- Magari sei solo tu che sei sudato…
Brian sollevò un sopracciglio.
- Mi prendi per il culo?
- No… magari hai solo bisogno di una doccia.
Gli sorrise e scomparve oltre la porta, spogliandosi e infilandosi nel box doccia. Aprì il getto dell’acqua calda, lo mitigò con quello dell’acqua fredda, chiuse gli occhi e attese. Brian lo raggiunse dieci secondi dopo.
Li avrebbe gettati via, quei fiori; erano rimasti abbastanza.
Genere: Introspettivo
Pairing: Brian/Justin
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- Da un po' di tempo, Justin è molto nervoso. Incontrare Brian al Liberty Diner può solo peggiorare le cose.
Commento dell'autrice: Mamma mia, com’è breve! Più delle altre, se possibile. E non ne sono neanche convinta al 100%, ma ora come ora non mi sento di rimetterci mano, soprattutto perché è stata una storia faticosa. È stato difficile farla venire fuori. Immagino che si noti. E immagino anche sia tutt’altro che positivo ^^ Non so, forse per lo stile, così diverso dal mio solito. Tutti questi a capo @.@ Tutte queste frasette secchissime. Non che io solitamente sia molto verbosa e prolissa, ma ci sono estremi ed estremi XD C’è comunque qualcosa che apprezzo, in questa fic, ed è il Justin che ho sentito scrivendo: apatico, desolato, nervoso, nostalgico e smarrito. È un Justin che tiene Ethan davvero in poco conto, temo XD Questo, penso, lo rende forse lievissimamente OOC. Ma, in tutta sincerità, dubito la cosa sia particolarmente fastidiosa XD Dovesse esserlo, avvertitemi, che metto l’avviso. Per quanto riguarda l’attinenza della storia al tema proposto dalla True Colors community (il numero 3)… beh, a me che ne ho scritto sembra abbastanza chiaro, ma in caso non lo fosse, lo preciserò adesso. Mi sembra di aver già detto in passato come ritenga Ethan un vero e proprio spartiacque. Cioè, ci sono Brian e Justin prima e poi ci sono Brian e Justin dopo di lui. E la loro relazione, fra prima e dopo, è completamente diversa. Ho voluto intendere quel “war” proprio come “l’avvenimento sconvolgente che ha cambiato la loro relazione”, e d’altronde la guerra fa questo, sconvolge e cambia. Invece, l’espressione “man who lived next door” mi trasmetteva la sensazione di qualcosa che un tempo era stata vicina, rassicurante, e che invece adesso è solo spaventosa, perché non la si riconosce più, è ignota. Ecco tutto. Un ultimo appunto va fatto per il titolo, che è composto da due versi della bellissima “Recognize” dei Flaw, che già che ci sono consiglio a tutti <3 Chiedo scusa per lo sproloquio ^^ Bye bye è.é
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Can’t seem to recognize (Who is this man I see?)
#3 Remember me? Before the war, I'm the man who lived next door.


Brian, quando ti capita di incrociarmi per strada o al Liberty Diner, hai mai l’impressione di non riconoscermi più?
E non parlo di una nuova acconciatura, di una nuova macchina o di una nuova espressione sul viso. È qualcosa di più profondo, più facilmente occultabile. Più discreto, e anche più evidente. Però forse è evidente solo per me. Non capisco, è una cosa a cui non so dare un nome, ma che sento, e che resiste, anche se non la battezzo.
*

- Mi fai un caffè?
È un po’ che non ti sorrido più, quando ti do da mangiare o da bere, te ne sei accorto?
- Arriva.
Afferro il bricco e verso un po’ di caffè nella tazza. È freddo. Sto imparando a calcolare l’orario dalla temperatura del caffè. E, per inciso, perché mi chiedi un caffè all’ora di pranzo?
Lo assaggi, tiri fuori la lingua in una smorfia disgustata.
- Che schifo!
Debbie appare magicamente al mio fianco.
- Non sarà Starbuck’s, ma sicuramente il mio caffè non fa schifo!
- Beh, il caffè di Starbuck’s non sarà poco caro come qui da te, ma almeno è caldo.
- Se hai qualcosa da ridire, sai dov’è la porta.
Poggio una mano sulla spalla della donna infuriata.
- Sbaglio mio. Gli ho dato il caffè di un’ora fa, è logico che non sia più buono. Adesso glielo rifaccio.
Lei mi accarezza una guancia.
- Siccome si tratta di lui, ti perdonerò, e ti avrei perdonate anche se nella tazzina, invece del caffè, avessi messo acqua sporca. Ma guai a te se lo rifai con un cliente vero, Raggio di Sole! – mi ammonisce, tirandomi uno schiaffetto.
- Deb, io sono un cliente vero. – si lamenta Brian con espressione falsamente addolorata.
Lei lo guarda in cagnesco per qualche secondo.
- Questo è ancora da accertare. – conclude tornando a prendere le ordinazioni.
Generalmente, in una situazione simile sorriderei.
È che ultimamente fatico a riconoscermi. E a riconoscerti.
Ti ricordi di me, Brian? Prima che succedesse tutto quello che è successo, ci conoscevamo bene. Ci conoscevamo meglio di così. E tu intuivi i miei pensieri, anche se continuavi a comportarti come al solito.
E adesso?
- Che hai, Sonnyboy?
Rabbrividisco.
Sta andando diversamente dal solito. Forse perché non sorrido più. Forse perché mi sembri un altro. Forse solo per questo fottutissimo soprannome agrodolce.
- Cos’è che non va?
Non va la tenerezza nella tua voce. Non va, perché non c’è mai stata. Mi spaventa, credo, e non capisco perché. So solo che non riesco neanche a guardarti.
- Niente. È tutto a posto.
Accendo la macchinetta e aspetto che il caffè venga fuori.
- Stai finalmente scoprendo che il tuo violinista non è il principe azzurro che credevi? È per questo che sei così giù di morale?
Odio quando tiri in ballo Ethan.
- Lascia stare.
Ti servo il caffè caldo e poi mi concentro sul lavandino, cominciando a sciacquare le stoviglie.
Ma c’è qualcosa che non va, mi sento scosso. Dannato Sonnyboy.
Sono distratto, e un piatto mi sfugge dalle mani, schiantandosi sul fondo del lavabo e spaccandosi in tre grandi pezzi più qualche piccolo frammento.
- Cazzo.
Non sollevo gli occhi perché so che mi stai guardando e non voglio incrociarti.
Cerco di raccogliere i pezzi, sperando che Debbie non si sia accorta del disastro. Mi tremano un po’ le mani.
- Merda.
- Ehi, ragazzino, datti una calmata. – sussurri avvolgendo un fazzoletto attorno al dito che mi sono appena tagliato.
- Brian, cazzo, mi lasci in pace?!
Ecco, forse è venuto fuori un po’ più nervoso, infastidito e scortese di quanto non volessi.
Mi guardi, sembri allibito.
- Stavo solo cercando di evitare che morissi dissanguato. Ma fai, fai pure.
Ti alzi in piedi.
- Grazie del caffè.
Esci dal locale.
Debbie mi si avvicina.
- Qualunque cosa tu gli abbia detto, dovresti farlo più spesso. – dice sorridendo. Poi nota il fazzoletto macchiato di sangue. – Ma sei ferito! Che diavolo ti ha fatto quell’animale?
- Non è stato lui, Deb. Ho rotto un piatto, mi dispiace…
- Non preoccuparti, ragazzo… vieni, ti do una pulita e ti disinfetto.
Mentre vengo investito dalle amorevoli premure di Debbie, realizzo. Non era paura, poco fa. Era una cazzo di insostenibile rabbia.
Stronzo, perché quella tenerezza non l’hai mai usata quando ancora stavamo insieme?
*

A me capita spesso, Brian. Ti guardo camminare, mangiare, ballare, vedo quest’uomo bellissimo, quest’uomo di successo, e non mi sembra quello con cui convivevo meno di un mese fa. Non riesco a capire se sia perché sei davvero cambiato o solo ti vedo così perché ad essere diverso sono io. E d’altronde, eri già bello prima, era tutto uguale a com’è ora.
A parte il fatto che non ti amo più.
Mi capita spesso di non riconoscerti, Brian. E di non riuscire neanche più a guardarti.
Genere: Romantico
Pairing: Brian/Justin
Rating: R
AVVISI: Slash.
- Justin intende portare a termine il compito che gli hanno assegnato a scuola. Brian non è d'accordo.
Commento dell'autrice: …comunque proprio non mi riesce di scrivere cose più lunghe di due pagine o.o Sarà perché i versi delle canzoni mi danno idee di “attimi”, di situazioni che cominciano e si esauriscono nell’arco di una giornata al massimo. Da un certo punto di vista, però, è anche meglio: mi permette di esplorare il rapporto fra Brian e Justin (che sia prima o dopo Ethan XD) in tutte le sue sfaccettature, senza però impelagarmi in una long story che magari risulterebbe anche pesante. La mia adorata pre-reader Juccha mi ha fatto notare che l’ultimo pezzo è melodrammatico XD Sinceramente non saprei. In ogni caso, mi piacevano moltissimo sia il suono del periodo che l’immagine che dava. Quindi ho voluto tenerlo ù_ù
PS: Terza storia scritta per la writing community True Colors.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Surrender
#15 Silent visions of rain


- Allora facevi parte anche tu delle migliaia di ragazzine che videro “Titanic” al cinema più di undici volte?
Justin sorride, continuando a rifinire lo schizzo sul blocco da disegno.
- L’ho visto solo una volta. Per accompagnare Daphne.
- Mi stai dicendo che quest’idea ridicola del ritratto sul divano è tutta farina del tuo sacco? Vergogna!
- Dai, smettila di lamentarti… fuori diluvia, hai di meglio da fare?
- Solitamente, quando diluvia sono nella backroom del Babylon, a ingannare il tempo in attesa che spiova.
- …facendoti succhiare il cazzo?
- E’ un passatempo efficace.
Justin ride, e anche Brian.
- Vuol dire che stasera ti sacrificherai a un passatempo più romantico…
- Sì. L’importante è che ti dia una mossa, o presto sarò ricoperto di piaghe da decubito.
- Gesù, sei peggio di una vecchia moglie.
- Questo non me lo dovevi dire!
Justin fa appena in tempo a puntargli una mano sul petto, perché lui non si alzi. Si lanciano un sorriso aperto di sfida. Stavolta vince Justin.
Questi momenti piacciono a tutti e due. Sono incredibilmente simili a qualcosa di stabile, cosa che li riempie di indefinita tenerezza, e però sono ancora liberissimi, cosa che li rassicura.
Fuori, il cielo nero viene squarciato da un lampo, e il tuono che lo segue fa tremare i vetri tanto forte che Justin ha quasi paura che si frantumino in mille pezzi.
Il ragazzo sospira, guardando fuori dalla finestra.
- Anche se mi sbrigassi a finire, dubito potremmo uscire, poi… - commenta con un pizzico di soddisfazione.
Brian sorride.
- Possiamo comunque trovare qualcosa di più divertente da fare, che non stare bloccati qui a disegnare, no?
- A parte il fatto che tu non stai disegnando…
- …il che rende la cosa ancora più noiosa…
- …dico, potresti anche farmi un favore, una volta ogni tanto. Te l’ho detto che mi serve per la scuola.
- Credevo che aveste già superato la fase dello studio anatomico del corpo umano.
- Credevi male… avanti! Ci sbrighiamo prima se la smetti di distrarmi!
Brian sbuffa e si distende supino.
- No, dai! Non puoi cambiare posizione!
- Sto scioperando. Avrò diritto almeno a questo.
- No, perché tecnicamente non stai lavorando, dal momento che non hai un contratto e non ti pago.
- Ragione in più per ribellarmi.
- Ok, ho capito, mi rendo conto che stare fermo per mezz’ora è per te un enorme sacrificio e già non ne puoi più. Facciamo una pausa.
- Grazie, signore!
Si alza in piedi di scatto, muovendo qualche passo per sgranchirsi le gambe. Anche Justin si alza, dirigendosi verso il frigorifero per bere qualcosa.
- Cazzo. – sente mormorare dietro di lui, e si volta per guardare.
Brian è davanti alla finestra e fissa la notte fuori. Il suo profilo si confonde nel buio – la piccola lampada accanto al divano non riesce a illuminare tutto l’ampio spazio del loft.
- Tempo di merda. – si lamenta.
Justin sente di amare questa pioggia almeno quanto Brian la odia.
Beve dalla bottiglia, la ripone in frigo e richiude lo sportello. Gli si avvicina. Non fa che guardarlo. Non potrebbe fare altrimenti. È nudo, e bellissimo. E per molti secondi non si sente altro che il rumore della pioggia, forte tanto da nascondere anche il loro respiro.
Lui si volta e lo fissa. In un attimo – Justin ne è certo – capisce tutto e sorride.
- Adesso è meglio rimettersi a lavoro… - gli dice con un sorriso di sfida, tornando a distendersi sul divano.
Justin si sente sotto tortura, e ha una dannata erezione che gli esplode nei pantaloni. Da un lato, prega perché lui non se ne accorga. Dall’altro, perché lo veda e gli salti addosso.
Sa bene che nel secondo caso poi passerebbe il resto della notte a brontolare fra sé, rimproverandosi quella sua assurda incapacità di resistergli, che lo rende psicologicamente frustrato… ma beh, per come la vede ora, meglio frustrato nell’animo che non nel corpo, e fanculo il resto.
Proponendosi comunque di non cedere per primo, riprende posto sulla sedia davanti al divano, e ricomincia a disegnare. Brian continua a sorridere, guardandolo negli occhi. Quando Justin incrocia il suo sguardo, non può più separarsene.
Poi, in un movimento quasi impercettibile, gli occhi di Brian vagano verso il basso e, per un nanosecondo, si fissano sul cavallo dei suoi pantaloni. Danno giusto una controllatina, si riempiono di malizia e poi tornano su.
Justin si alza in piedi, riesce appena a trattenersi dal gettare a terra il blocco da disegno e gli sale addosso, travolgendolo di baci.
Brian ride.
- Ma come? Devi disegnare! La scuola!
- Fanculo. Zitto e scopami.
La faccia del professore che domattina lo ricoprirà di rimproveri perché non ha portato a termine il compito puntualmente, svanisce in un baleno. Il richiamo del suo senso del dovere dura giusto il tempo di un lampo, il tempo di un bacio a fior di labbra, il tempo, per Brian, di stringerlo e fargli dimenticare l’universo.
Genere: Introspettivo
Pairing: Brian/Justin
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- "Mi sento come diviso in due. Due Justin vivono nel mio cervello, se lo contendono, ci giocano. E sembrano anche divertirsi parecchio, a giudicare da come mi stanno facendo impazzire." Justin agisce senza senso, e questo gli piace e non gli piace insieme.
Commento dell'autrice: Ecco la seconda shot per la serie “Melodies of love” dalla community True Colors. Rinnovo l’invito alla visita >_< A parte questo è_é Nella serie, non si fa alcun cenno alle presunte “scorribande notturne” di Justin al Babylon, quindi si può a tutti gli effetti dire che me le sia inventate di sana pianta °_° In ogni caso, non le ritengo un’ipotesi così improbabile… cioè, me lo vedo proprio Justin che esce di casa, quatto quatto, si infila al Babylon, incrocia le braccia e sparge odio in ogni dove XD Tra l’altro, questa shottina inquadra esattamente quello che credo essere stato il sentimento di Justin per Brian subito dopo averlo mollato. Credo sia difficile detestare qualcuno più di così… e contemporaneamente, comunque, amarlo tanto *-* Ah, sono pucci ç_ç Anche questa prende particolare ispirazione dai numerosi momenti di incontro/scontro fra i due… che sono sempre brevissimi, e seguono il copione che immagina Justin verso la fine XD Mi piacciono tanto *-* Forse farò una shot utilizzando solo quelli è_é Ma forse >.< E’ un po’ scurrile, ma Justin è un ragazzo scurrile, quindi va bene così °_° Detto ciò, enjoy è_é
PS: Il verso originale al posto dei “boy” prevedeva delle “girl”, ma va be’ XD
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The two of me
#2 The thing one boy fears in the night is another boy's paradise


Mi sento come diviso in due. Due Justin vivono nel mio cervello, se lo contendono, ci giocano. E sembrano anche divertirsi parecchio, a giudicare da come mi stanno facendo impazzire.
La mia è una situazione piacevole e spiacevole insieme. Piacevole perché, chiaramente, mi permette di agire da matto lunatico mentre mi giustifico con me stesso dicendomi che ad agire in quel modo è il Justin irrazionale nella mia testa, e non quello presente a sé stesso che alle prime luci dell’alba torna fra le braccia di Ethan. Spiacevole perché… eh, cazzo, non è mica una gioia, poi, guardare Ethan che è rimasto a letto a dormire per tutto il tempo e non immagina niente delle mie avventurose e segretissime scorribande notturne.
Immagino sia normale chiedersi per quale motivo, quando tutto tace, mi alzo in piedi, metto i più sensuali fra i miei vestiti e corro al Babylon come se non potessi resistere senza respirarne l’atmosfera festosa e sudata. Non ci vuole esattamente un genio per capire che lo faccio per vedere lui.
Il mistero da risolvere è per quale motivo abbia voglia di rivederlo, questo sì.
Avanti, Justin. Non sei forse fuggito perché tutto questo non ti piaceva più? Perché quello che Ethan ti stava offrendo ti era sembrato milioni di volte superiore a quello che avresti mai potuto ottenere restando?
Cazzo. Considerare, ragionare, soppesare non serve a niente. Davanti all’ingresso del locale non mi fermo mai.
*

Cerco di stare defilato, di farmi notare il meno possibile. Ci riesco sempre.
Non ballo da una vita e odio tutti quelli che lo fanno, perché io ne ho una voglia matta e devo stare inchiodato a questo muro per evitare che mi si veda troppo. O che qualcuno mi avvicini. Non perché non saprei resistere al brivido dell’avventura e mi butterei fra le sue braccia, ma perché mi darebbe fastidio rifiutare, e farlo con consapevolezza.
Un po’ mi manca quello che ero qualche mese fa. Solo un po’.
Ok, un po’ tanto.
Brian balla senza curarsi di niente e nessuno, al centro della pista. È vestito di nero. È dannatamente sexy. Come cazzo faccia a essere sempre così dannatamente sexy, lo sa solo lui. Che rabbia. Io mi sento talmente arrugginito, e ho solo diciott’anni, cazzo, lui ne ha più di trenta e guarda come si agita, per quanto stordito sia.
Sembra sempre così presente a sé stesso, anche quando è fuori di testa per le droghe. A me invece sembra di vivere in una realtà gommosa e ovattata che ha perso tutta la sua consistenza. Come se lo stordito fossi io. Questo mi fa pensare che Justin razionale sia molto più rincoglionito di Justin irrazionale. Perché quando Justin irrazionale entra qui dentro, e guarda i ragazzi ballare, e fissa gli occhi su Brian che non si accorge di lui, ricomincia a sentire tutto con estrema chiarezza. Sente di nuovo tutti gli spigoli della realtà, riesce quasi ad afferrarla, anche se ne sta alla larga. Justin razionale ha una paura fottuta della notte al Babylon. Justin irrazionale non vede l’ora, invece.
…e poi mi chiedo perché mi sembra di agire da psicopatico. Già penso da psicopatico, è logico.
*

Oh, merda.
Ok, devo avere sbagliato un passaggio.
Perché solitamente non mi si nota, davvero, non mi guarda nessuno.
Tantomeno lui.
E invece stavolta
Merda, merda, merda.
Mi guarda, sorride, smette di ballare, si avvicina.
Cristo, non potrei odiarlo di più.
Voglio scappare e resto inchiodato.
E perché diamine non la smetto di pensare per micro-frasi? Sono più intelligente di così!
Tremo al pensiero di cosa potrà dirmi.
Ti prego, fa che stia guardando qualcuno dietro di me. Fa che mi passi accanto e mi superi.
…oddio, sarebbe tremendo. Cancello tutto.
Puntualmente, mi si ferma di fronte. Continua a sorridere. Che razza di sorriso. Non capisco da dove uno stronzo come lui possa tirar fuori un sorrisino così angelico. È odioso, davvero.
- Posso offrirti da bere?
Per un attimo penso “tutto qui”? Riesco quasi ad illudermi di essere stato terrorizzato per nulla. Poi mi rendo conto che “posso offrirti da bere” è giusto l’inizio, e ricordo il motivo del mio terrore.
So già come funzionerà questa conversazione. Abbiamo fatto le prove generali per questo ogni mattina al Liberty Diner, e ogni altra volta in cui ci è capitato di vederci e parlare. Ogni precedente discussione, non è stato che prepararsi a quella di stasera.
Ora lui mi chiederà qualcosa a proposito di Ethan. Io, immancabilmente, risponderò che è tutto a posto, che non potrebbe andare meglio, che sono felicissimo, e Justin irrazionale, dentro il mio cervello, mi strattonerà e mi dirà “il cazzo che va tutto bene!”. Lui lo intuirà. Sorriderà felice come se gli avessi dato la soddisfazione più grande del mondo, anche se concretamente non gli avrò detto proprio nulla. Mi farà bere. Poi mi dirà qualcosa di incredibilmente brillante, o di incredibilmente stronzo, e subito dopo andrà a rimorchiare qualcuno nella backroom, lasciandomi qui a bere come un deficiente. Dopodiché, non mi resterà altro da fare che andare via con la coda fra le gambe, e per una volta di più lui avrà vinto, e tornare da Ethan sarà la mia ennesima sconfitta, anche se non dovrebbe essere così.
Vogliamo scommettere?
- Come sta il tuo fidanzato?
- Non credo te ne freghi un cazzo.
Vediamo se riesco a rendere meno scontato il copione, facendo l’acido.
Niente, sorride.
- Dovresti essere a casa con lui, ad aspettare l’alba sussurrandogli all’orecchio dolci frasi d’amore.
…beh, ha ragione, che dovrei dire?
- Ma in fondo è giusto, fai bene a volere uscire da quella casa. Almeno servirà a svagarti un po’. Sarebbe un vero peccato se ti stufassi di lui così presto… no?
Bastardo. Lo dicevo, io.
Resto senza parole mentre si allontana, seguendo passo passo il percorso che già la mia immaginazione aveva tracciato per lui. Io scolo la vodka tutta in un sorso. Mi faccio prendere da un momentaneo e spensierato capogiro, mentre la gola e l’esofago mi vanno a fuoco. Poi, a spintoni e gomitate, mi faccio strada verso l’uscita.
Anche per stasera, torno a casa.
Sono almeno cento a zero per te, Brian. Vaffanculo e sogni d’oro.
Genere: Introspettivo
Pairing: Brian/Justin
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- Brian può essere sicuro di poche cose, come di quelle di cui non ha assolutamente bisogno.
Commento dell'autrice: Prima storia ispirata da uno (per la precisione, il #1) dei temi della serie “Melodies of love”, dalla community True Colors (che vi consiglio di visitare perché, dannazione, è la prima writing community italiana, merita seguito!). In questa prima storia ho voluto parlare di Brian e di come si sente da quando Justin è andato via con Ethan. Essendo lui quello che è XD non potevo certo mettermi lì a parlare di depressioni sceme è_é Ho cercato di prenderla il più… brianamente possibile XD Tutta la cosa è nata dalla considerazione che, malgrado Justin sia andato via, e malgrado Brian sappia perfettamente che quello che desidera in realtà – anche se non lo ammetterà mai – è riaverlo indietro, continua a comportarsi con lui come il gran bastardo che è XD Personalmente, amo i dialoghi irritati che mettono su quando si incontrano *-* Forse l’ultima parte è un po’ melensa O.o Io credo che ci stia, poi giudicate voi è_é!
PS: In originale, il verso non conteneva un “he”, ma un “she”. L’ho dovuto cambiare, giocoforza XD
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Need not
#1 Don't be afraid, I promise that he will awake


Apre gli occhi. Il mattino esplode dietro le finestre, la luce invade il loft e anche il suo campo visivo, nonostante il paravento. Si stropiccia un po’ gli occhi e sbadiglia, voltandosi dall’altro lato nel disperato tentativo di riconquistare il sonno perduto. Si arrende, pochi minuti dopo, e si alza in piedi, raggiungendo il bagno con passi lenti e stanchi.
Una testa bionda e riccia emerge dalle coperte, si guarda intorno con curiosità e poi realizza.
- Che ore sono? – chiede a bassa voce.
Brian non lo sente, e se anche lo sentisse non risponderebbe, è troppo impegnato a lavare via tutto ciò che di appiccicoso gli è rimasto sulla pelle dopo la notte.
E anche a cercare di ricordare cosa cazzo è successo prima che si addormentasse.
Mh, ok. Dev’essere stata una cosa a tre, almeno. Ricorda che c’era un bruno. Lo ricorda perfettamente, ricorda la sua schiena sudata muoversi davanti ai suoi occhi, ricorda i capelli corti a lambirgli il collo, umidi e scuri.
Il biondo non lo ricorda proprio. Eppure, è lì. Qualcosa deve aver fatto.
Esce dalla doccia e si avvolge in un asciugamano di spugna proprio nel momento in cui il ragazzo entra in bagno.
- Ti dispiace se uso la doccia?
Scrolla le spalle, asciugandosi. Il ragazzo scompare nel box. Lui torna davanti al suo letto.
E il letto è sfatto e macchiato. Lancia un’imprecazione fra i denti e tira via le lenzuola di seta con rabbia. Lo infastidisce doverle portare in tintoria.
In pochi minuti, il ragazzo esce dalla doccia, si asciuga e comincia a rivestirsi.
- Che fine ha fatto l’altro? – gli chiede, quasi soprappensiero, mentre afferra un paio di jeans.
- Boh. Sarà andato via.
Brian spera non si sia nascosto da qualche parte dentro casa in attesa del momento giusto per rubargli qualcosa.
- E’ ora che vada via anche tu. – dice al biondino, senza premurarsi di guardarlo.
Quello sorride.
- Immaginavo che avresti detto una cosa simile…
- E allora perché sei ancora qui?
Il ragazzo lo guarda per qualche secondo, sembra seccato e contrariato. Chissenefrega. Brian sostiene il suo sguardo e sorride serafico. Il ragazzo afferra il giubbotto ed esce.
Per un secondo, realizza che tutta la storia del portare i ragazzi a casa – scopate a parte – è una gran rottura di coglioni. Tutti, o quasi tutti, credono ci sarà un seguito. E quando si svegliano, invece di realizzare di stare già invadendo impunemente il suo spazio vitale, aspettano. Una parola gentile, un invito a restare, qualsiasi cosa.
Illusi.
Brian non ha bisogno di comportarsi bene con loro per sapere che è ancora in grado di tenersi stretto un ragazzo, se vuole.
*

Chiede un caffellatte. Che gli viene servito, condito da un sorriso sottile che non può fare a meno di essere in parte infastidito dalla sua presenza. Ricambia con un sorriso allegro e aperto.
- Cos’è questo nervosismo? Va male col chitarrista?
- Ethan suona il violino.
- Quello che è.
- Va tutto benissimo.
- Ma dai? Mi era sembrato di vedere del dispiacere sul tuo faccino, Raggio di Sole.
- Sei tu che mi metti di malumore. – conclude Justin con una linguaccia ironica, mentre si volta per servire altri clienti.
Brian ridacchia fra sé, sorseggiando il caffellatte.
Debbie appare di fronte a lui, guardandolo in cagnesco.
- Perché non provi un po’ a lasciarlo in pace?
- Non era un locale pubblico, questo?
- Sarò costretta a mettere il divieto d’accesso sulla tua dannata faccia, se non la pianti con queste storie sul ragazzo di Justin. Sono seria.
- Ma davvero?
- Sai, Brian? Sei sempre stato un mistero, per me. Per quale motivo ti ostini a comportarti come ti comporti con le persone che ti amano, davvero, non l’ho mai capito. E sinceramente, non ci tengo. Smettila e basta, o dirò al cuoco di sputare nella tua cena.
- Agli ordini, comandante! – dice scattando in piedi e facendo il saluto militare.
Debbie si allontana, mugugnando fra sé qualcosa di poco carino. Il suo sguardo fugge casualmente su Justin, che ridacchia e scuote il capo. Nei suoi occhi, nelle pieghe delle sue labbra, una lieve nota di tenera nostalgia. È inconfondibile, quell’espressione lì.
Brian sorride e si avvia verso l’uscita.
Non ha bisogno di comportarsi gentilmente con Justin, per sapere di poter avere ancora quell’effetto su di lui.
*

La musica è fortissima, gli riempie le orecchie. Le luci lo abbagliano, gli odori dei corpi in movimento frenetico lo stordiscono. Il suo stesso movimento lo ipnotizza, quel ritmico spostare il peso da un piede all’altro, l’alternarsi agitato delle sue braccia, in alto e in basso, l’ondeggiare del capo. È in trance. Di più, è in estasi.
Rischia di non capire più niente entro la fine della serata. Gli sembra di avere in corpo più droga di quanta ne abbia mai vista in vita sua. Continua a ballare nel pensiero fisso che sudarla via potrebbe fargli bene.
Lancia un’occhiata a Micheal. È ancora fermo con Ben davanti al bancone del bar. Sa che non andrà via. Almeno, ha un passaggio per tornare a casa. Se c’è qualcosa che non si sente di fare, è guidare.
Un ragazzino lo avvicina e attacca a ballare con lui. Avrà sì e no sedici anni. È senza maglietta, e chiaramente anche lui ha preso qualcosa. Ha lo sguardo lucido e perso nel vuoto. Ansima un po’. Brian sospetta balli da ore. Non gli interessa andare a fondo della questione. Adocchia un ventenne poco più in là e gli si avvicina. L’espressione del viso è chiara, il ragazzo la coglie e ci sta.
Non ha neanche il tempo di avvicinarsi e sussurrargli qualcosa all’orecchio, che il sedicenne si rimette in mezzo, continuando insistentemente a provarci con lui. Brian solleva un sopracciglio e lo guarda per un secondo; dopodiché afferra il ventenne per il colletto della maglietta e, continuando a ballare, lo trascina nella backroom, lasciando il ragazzino con un palmo di naso.
Assolutamente no, Brian non ha bisogno di rimorchiare un minorenne per sapere di essere ancora in grado di far presa su ragazzi così giovani.
*

In realtà, Brian non ha bisogno di nessuna conferma.
Non ha certo bisogno di rimirarsi allo specchio per sapere di essere ancora bellissimo, allo stesso modo in cui non ha bisogno di controllare il suo nome all’anagrafe per sapere di chiamarsi Brian Kinney. Non ha bisogno di dichiarazioni di tristezza e rabbia, per sapere di essere dannatamente incazzato, anche se morirà prima di ammetterne il motivo. E soprattutto non ha bisogno di riempirsi il cervello di cantilene melense, promettendosi e assicurandosi che un giorno riconquisterà Justin.
Perché lui lo sa. Un giorno, Justin si sveglierà, così come s’è svegliato lui quella mattina, e si ritroverà nel suo letto. E il dannato chitarrista, o violinista, o quello che cazzo è, rimarrà un sogno che sfuma nel sole del mattino. E sul letto, tra le lenzuola di seta nera, a guardarlo svegliarsi ci sarà lui e nessun altro. È matematico, è ovvio, è naturale. Perché Brian sa perfettamente che ora come ora Justin vive in un’illusione dolcissima e splendida, e sa perfettamente che non la abbandonerà tanto facilmente. Ma verrà un momento in cui si scontrerà con qualcosa di duro e doloroso, verrà il momento in cui i suoi occhi si apriranno e saranno feriti dall’odioso pungere dei raggi del sole, e allora lui ritornerà, perché capirà che l’illusione era dolce ma fittizia, e la sua realtà, beh, quella potrà anche essere dolceamara, ma sicuramente è tangibile, ed è una cosa che di notte si può stringere fra le braccia.
Genere: Generale
Pairing: BrianxJustin, EthanxBrian.
Rating: R
AVVISI: AU, Boy's Love, Chanslash.
- Un giorno, all'improvviso, la vita di Justin decide di ribaltarsi senza chiedergli il permesso, e la sua ragazza lo lascia. Cosa? Justin ha una ragazza? Beh, non è l'unica cosa che cambia, in questo universo alternativo :) Justin frequenta il college e non sa di avere talento come disegnatore? Ed Ethan e Brian hanno un rapporto molto molto intimo? E, a proposito di Brian, almeno lui si sarà salvato da questa furia da stravolgimento? Be', almeno su una cosa possiamo stare tranquilli: l'OOC di questa storia non è lui ;D (Attenzione, varie situazioni sessualmente esplicite e linguaggio decisamente scurrile, siete avvertiti è_é")
Commento dell'autrice: Ci ho lavorato tanto per due lunghissime settimane >_< Ma alla fine ce l'ho fatta <3 Devo dire la verità, sulla trama non mi sono concentrata moltissimo, non è affatto originale XD Mi sono interessata molto di più della costruzione dell'AU *_* E non è stato facile XD Prima di tutto perché mi serviva, per esigenze di copione, che Ethan e Brian avessero quel rapporto (che io adoro, tra le altre cose) ù_ù E quindi comprenderete che ho dovuto superare una buona dose di ribrezzo per poter scrivere certe parti XD Certo, aiutava il fatto che Ethan fosse molto, molto, molto OOC (per usare un eufemismo), e quindi potessi anche smetterla di vederlo come "l'Ethan romaaaaaaantico e dolce che vuole osservare il sole albeggiare con Justin al suo fianco" e cominciare a vederlo come "il ragazzino incazzato e innamorato senza speranza", parte che, in questa storia, gli si addice decisamente di più XD In secondo luogo, è stato difficilissimo scegliere il destino di Justin O_O! Il progetto iniziale era che cedesse alla corte spietata di Brian e alla fine andassero a letto insieme e lui ammettesse di essere omosessuale. Ma era veramente troppo banale (:* Caska). Perciò, alla fine, ho optato per un "outing" di tipo diverso XD E' stata difficile anche la partizione della storia. Era nata per essere una oneshot; poi ho pensato che si potesse dividere in due parti; e quando ho pensato questo, già nella mia testa era divisa in tre XD Mi sono dovuta piegare è_é Ultima cosa, il bonus XD E' una cosettina abbastanza inutile, ma avevo fissa l'immagine di Micheal che urla a Debbie "Tu lo sapevi?!" e non ho trovato modo di inserirla nella storia principale, quindi ho dovuto, dovuto fare un capitolino a parte XD E vediamo se ne indovinate la particolarità :)
Scritta per la True Colors writing community.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Outing
#7 A life lived in lies is a life in denial


Prima Parte


Si svegliò, stropicciandosi gli occhi, ancora rintontito dalle vivide sensazioni del sogno notturno. Non ricordava niente, di quel sogno, tranne il calore, una strana sensazione di bagnato e… sì, l’eccitazione. Ma su quella poteva stendere un velo pietoso. Preferiva stenderci su un bel velo pietoso.
Generalmente ricordava i sogni che faceva, ma era ormai più di un mese che, di tutti i sogni che era sicuro di fare – il presentat arm del suo piccolo amico, là sotto, non lasciava dubbi – di tutti quei sogni ricordava solo quelle sensazioni vividissime che, per quanto decisamente gradevoli durante il sonno e al risveglio, durante il giorno, al solo pensarci, lo mettevano in imbarazzo e a disagio.
Guardò distrattamente la sveglia sul comodino e rischiò la morte istantanea per infarto.
Mezzogiorno e mezzo.
Immediatamente, pensò a Daphne.
Poi a quanto avesse dormito.
Poi di nuovo a Daphne.
Poi semplicemente “cazzo”.
Si massaggiò le tempie, confuso. Non ricordava a che ora fosse l’appuntamento con la sua ragazza, ma sicuramente era prima di mezzogiorno e mezzo. Al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il cellulare squillò, e lui sapeva che era lei, prima ancora di controllare il display. Daphne riusciva sempre a terrorizzarlo così, mettendogli in testa la delirante idea che riuscisse a leggergli nel pensiero, o percepire i suoi stati d’animo, o altre stronzate simili.
Rispose.
- Scusa. – disse, prima che lei potesse cominciare a parlare.
Daphne rimase in silenzio per qualche secondo.
- Dammi una spiegazione. – disse infine, nervosamente.
Lui sospirò.
- Essere un coglione?
- Dimmi qualcosa che già non sappia.
- Mi dispiace, davvero…
Lei singhiozzò.
- Senti, sono sotto casa tua. Mi apri?
- Ah… certo! Ma perché non l’hai detto prima? Ti avrei fatta salire subito!
Interruppe la conversazione e corse giù per le scale. Sua madre lo adocchiò dalla cucina, mentre passava davanti alla porta.
- Tesoro! Ti sei svegliato, finalmente…
- Ciao ma’.
Aprì la porta d’ingresso e se la ritrovò davanti. Aveva gli occhi rossi, ma il suo sguardo sapeva ancora minacciarlo molto efficacemente, quindi non commentò.
- Daph…? – la chiamò sua madre, quando si accorse di lei, - Oh, ma voi due non dovevate vedervi stamattina?
La ragazza sorrise alla donna.
- Sì, infatti avevamo deciso di vederci qui… è un problema?
- No, no, figurati! – disse Jennifer sorridendo, - Anzi, perché non rimani qui a pranzo?
- No, grazie, signora Taylor, devo tornare a casa presto…
- Sì, insomma, - si intromise Justin, - io sarei anche in mutande e vorrei chiudere la porta. Entra, Daph.
Appena varcò la soglia, prima che sua madre avesse il tempo di dire qualcos’altro – cosa che voleva fare, glielo si leggeva negli occhi, - lui prese la ragazza per mano e la condusse su per le scale, nella sua stanza.
Jennifer, osservandoli con la coda dell’occhio, sorrise della loro fretta. Non aveva capito niente, ma non se ne accorse.
*

Per un po’, rimasero in assoluto silenzio, fissando il pavimento, seduti sul letto. Poi, d’improvviso, Daphne si alzò, mosse qualche passo e infine si rivolse a Justin.
- Tra noi non va più bene. Spiegami perché.
- Avanti, Daph, solo perché oggi…
- Oggi?
- Va be’, un paio di volte…
- No, no, Justin. Adesso ti rinfresco la memoria.
Prese un gran respiro e cominciò a contare con le dita.
Uno.
- Due settimane fa, lunedì, dovevamo andare insieme alla festa di Pat. Invece sono dovuta andare da sola, facendo la figura della cretina davanti a tutti.
Due.
- Il giorno dopo, per farti perdonare, tu mi hai proposto di andare a mare insieme, e te ne sei completamente dimenticato.
Tre.
- Il giorno dopo dovevamo andare a ballare, ma ovviamente…
- Ok, ho capito, - la interruppe lui, vergognandosi tanto da voler sprofondare, - Non c’è bisogno che continui…
Lei si sedette nuovamente al suo fianco, le braccia abbandonate sul grembo.
- Justin, qualsiasi altra ragazza già alla terza volta si sarebbe rotta e ti avrebbe mollato. Sono già due settimane che mi ignori completamente e più di un mese che sei sempre distratto e con la testa fra le nuvole. Dimmi qual è il problema.
- Ma non c’è nessun problema…
- Avanti, non è il momento di…
- Dico sul serio! Non so che cos’ho, ma so che non mi è successo niente!
- Quindi sei cambiato così, tanto per fare, senza un perché!
- Daphne, ti prego…
- No, sono io che ti prego di spiegarmi! O di essere sincero, almeno!
Justin roteò gli occhi e sospirò.
- Ok. Senti. Da un mese circa faccio questi strani sogni…
Daphne spalancò gli occhi.
- Non saprei dirti cosa succede in questi sogni. Non me lo ricordo mai. Però sono loro che mi fanno sentire strano.
Lei non disse niente, continuando a fissarlo.
- Mi sento la testa vuota, capisci? Non penso a niente, non capisco più niente. Mi dispiace che questa cosa stia rovinando il nostro rapporto.
Daphne annuì. Si alzò in piedi.
- Questa è la peggior scusa che abbia mai sentito. – disse, sorridendo amaramente, - Potevi almeno inventarti il contenuto di questi fantomatici sogni, sarebbe stato più interessante.
Justin abbassò lo sguardo.
- E’ la verità. – concluse, un po’ irritato.
Lei annuì ancora.
- Certo. Ok, Justin. Ciao.
Uscì con calma, senza scatti nervosi, senza sbattere la porta, senza una lacrima. Si ricordò perfino di salutare sua madre, con voce talmente forte e chiara e allegra che poté sentirla anche lui. Come al solito.
Justin la immaginò uscire di casa, e gli vennero i brividi quando capì che la sua migliore amica di sempre e la sua amante degli ultimi sei mesi stavano uscendo contemporaneamente dalla sua vita, senza che lui potesse fare nulla per fermarle.
*

Non avrebbe saputo con chi altro parlare, perciò andò da Ethan.
Con Ethan aveva avuto una relazione tormentata. Era stato suo compagno di classe al liceo. Poi avevano preso strade diverse – nel senso che, mentre l’uno andava al college, l’altro aveva seguito la Via della Musica e s’era iscritto al conservatorio – ma avevano continuato a frequentarsi assiduamente.
D’improvviso, Ethan se n’era uscito con quella storia dell’essere gay. E con quell’altra storia del piacergli. Sì, proprio lui. E che la smettesse di fare una faccia da pesce, era normale, visto che lui era un bel ragazzo, gentile, eccetera eccetera.
E quindi a quel punto, comprensibilmente, s’erano un po’ allontanati. Nel senso che Justin s’era allontanato e di conseguenza – e altrettanto comprensibilmente – Ethan aveva cominciato a pensare fosse uno stronzo.
In effetti.
Naturalmente, quindi, quando, nel pieno del suo stato d’animo da sono-stato-mollato, Justin si presentò nel superattico polveroso e quasi fatiscente in cui Ethan viveva, il giovane violinista non ne fu esattamente entusiasta.
La prima reazione fu chiudergli la porta in faccia, dopo un’occhiata velocissima e senza neanche una parola.
- Ethan… - lo chiamò debolmente lui, appoggiandosi al portone in legno.
Lui dovette sentire lo smarrimento e la disperazione nella sua voce. Forse per questo si mosse a compassione e riaprì l’uscio, senza risparmiarsi però un’occhiata astiosa.
- Cosa vuoi?
- …vorrei entrare, tanto per cominciare…
- Chi ti dice che io voglia farti entrare, tanto per cominciare?
Lo guardò, serrando le labbra e incurvando le sopracciglia verso il basso.
- Sì, ho capito l’antifona, sai? Ma credi che con quella faccia da cane bastonato ti si debbano aprire le porte di tutte le case di Pittsburgh?
Non rispose.
- Ok. Dai, entra.
Lo vide sparire all’interno del monolocale, e lo seguì, chiudendosi la porta alle spalle.
- Accomodati. – gli disse, liberando il divano da una catasta di indumenti, - Posso offrirti qualcosa?
Justin scosse il capo. Ethan annuì e si sedette al suo fianco.
- Dunque. L’ultima volta che sei stato seduto su questo divano mi hai praticamente detto che ti facevo schifo. C’è qualcosa che tu possa dire adesso che mi faccia rimuovere questo brutto ricordo?
- Io non ti ho detto che mi fai schifo, Ethan…
- No, beh. Mi hai detto che ti fa schifo il pensiero di due uomini a fare sesso. Mmmh. Nel caso in cui ti fosse sfuggito, io faccio sesso con gli uomini.
- Avanti, sai cosa intendevo dire…
- Appunto, sai bene anche tu quello che intendevi dire. Esattamente quello che hai detto.
Justin sospirò.
- Senti, Ethan, sono venuto per un po’ di conforto, non per…
- Povero Justin triste. Confortiamolo, via. Non vorremo fare i cattivi proprio con lui, che è così dolce.
- …ma “voi” chi?
- Lascia perdere. Che è successo?
Justin fece una breve pausa, guardandosi intorno.
- Beh, in poche parole, la mia ragazza mi ha lasciato.
- Bene!
Justin lo guardò di sbieco.
- Non nel senso che adesso posso approfittarne io. Nel senso che mi fa piacere che tu sia stato mollato. È diverso.
- Va bene, anche io so capire le antifone, me ne vado…
- No che non le sai capire, non voglio che tu te ne vada. Volevo solo fare il bastardo per un po’, sono un ragazzo perfettamente normale. Ok, parliamone.
- Mh… Ecco, Daphne era la mia ragazza fino a ieri sera. Oggi mi ha lasciato… per colpa mia.
- Cosa hai fatto di male?
- Sono stato un po’… negligente.
- Negligente? Negligente? Negligente cosa? Hai dimenticato di oliarle le giunture? Hai dimenticato di chiudere il gas? Che vuol dire che sei stato negligente?
- Che non l’ho trattata bene, Ethan! L’ho trascurata, sono stato mentalmente e fisicamente assente, sono stato una persona di merda e mi ha lasciato!
- …come godo…
- Basta, mi sono rotto i coglioni! – quasi gridò, scattando in piedi.
Ethan si mise a ridere allegramente.
- Dai, Justin, scherzavo! Cioè, no, ma è uguale…
- Me ne vado.
Ethan rise ancora.
- Ok, ti accompagno alla porta.
Justin avrebbe voluto con tutto il cuore mandarlo a fanculo senza troppi complimenti, ma si forzò a oltrepassare silenziosamente la porta di casa e cominciare a scendere le scale. Quando fu arrivato al primo pianerottolo, Ethan lo chiamò.
- Stasera esci con me!
- …con te…?
- Sì, e un gruppo di amici. Non ti sto mica invitando a cena, sciogliti un po’. Ne hai chiaramente bisogno.
Justin annuì, per quanto poco convinto. Decidere di lasciarsi trascinare era sempre stato il suo forte.
*

Prendiamo Daphne, ad esempio.
Daphne era una ragazza spaventosamente forte e autoritaria. Era anche molto decisa e sicura di sé e di ciò che voleva.
Nel gennaio di quell’anno, ciò che aveva voluto era stato Justin, e, senza tanti complimenti, se l’era preso. Per lui era stato tutto molto facile. Erano già amici e confidenti. Era abituato ad averla sempre intorno, era abituato ad uscire con lei. Non aveva avuto bisogno di chiederle di diventare la sua ragazza, ci aveva pensato lei. S’erano perfino già baciati, un paio di volte. Il sesso era stata un’evoluzione naturale. Non aveva neanche dovuto aspettare l’approvazione di sua madre: quella donna, anche se fra loro non c’era mai stata nessuna intenzione di stare insieme, approvava da tanto di quel tempo che aveva cominciato a chiedersi quando avrebbe avuto una reale ragione per farlo.
Pensandoci, capiva anche lui di essere stato davvero assurdo in quell’ultimo periodo. E perché, poi? Sogni. E talmente inconsistenti! Assurdo, sì. E infatti era logico che Daphne reagisse male a una spiegazione come quella.
Il motivo doveva essere un altro. Chissà, magari non era più innamorato di lei. Effettivamente, era un po’ che fra loro le cose s’erano fatte un po’ freddine.
Comunque, che debolezza. Così com’era stato preso, era stato mollato quasi senza potere esprimere un’opinione. Vergogna.
*

- Sogni?
Ethan lo guardò come se lo stesse vedendo per la prima volta.
- Dici sul serio?
- Sì, già Daphne me l’ha detto, che è una scusa stupida…
- Non necessariamente.
- Già. – disse uno degli amici del ragazzo, - Per esempio, io ho scoperto di essere gay quando ho cominciato a sognare di fare sesso sulla spiaggia con Matthew McConaughey.
- Oh, - disse un altro ragazzo, - Ethan, non avevi detto che era etero?
- Lo spero per lui. – disse Ethan ridacchiando, - Se è gay e l’ha scoperto solo dopo avermi rifiutato, lo ammazzo.
- La mia vita è salva. Non sono gay. E non ho mai sognato di fare sesso con McConaughey. O chi per lui.
Tutto sommato, comunque, si stava divertendo ad uscire con gli amici di Ethan. Erano… cioè, può sembrare una cosa incredibilmente razzista da dirsi o da pensarsi, ma… ecco, erano intelligenti. Piacevoli. Allegri.
Insomma, non avrebbe mai creduto.
Si guardò intorno. La strada su cui camminavano, uno accanto all’altro, era molto ampia e illuminata, oltre che popolatissima. Ovunque Justin posasse lo sguardo, ragazzi in completi di pelle, maglie di cotone, maniche di camicia, uomini, uomini, uomini, ovunque. C’era anche qualche donna, a voler guardare oltre le frotte di maschi. Il punto era che, anche volendo guardare oltre, non ci si riusciva: i maschi erano troppi.
- Ma esattamente dov’è che siamo? – chiese, non senza un pizzico di agitazione.
I ragazzi risero.
- Beh, se sei gay, - spiegò Ethan sorridendo, - non c’è posto migliore per verificarlo. Questa è Liberty Avenue, l’universo parallelo omosessuale della ridente cittadina di Pittsburgh, Pennsylvania.
Justin spalancò gli occhi.
- Ma io…
- Sì, ok, ma non pretenderai mica che noi si rinunci ad un sabato sera al Babylon perché tu non sei gay, no?
- Ethan, quando mi hai proposto di uscire pensavo fosse per tirarmi su di morale.
- Non esattamente. Era per farti pensare ad altro. Di sicuro non penserai alla tua ex, circondato come sarai al Babylon.
Il Babylon, di fronte al quale arrivarono in pochi minuti, a quanto dicevano gli amici di Ethan era un locale enorme, pieno zeppo di uomini danzanti.
- Eccoci qua! – disse Ethan con gli occhi scintillanti.
- Eh… io penso che rimarrò fuori.
- Come se fosse più sicuro rispetto a dentro…
Justin si guardò intorno.
- Ok, - disse deglutendo, - vengo.
Ethan sorrise e si fiondò all’interno del locale. Gli altri ragazzi lo seguirono a ruota. Solo uno, un ragazzo carino, robusto, con una leggera barbetta bionda, rimase indietro, accanto a lui, a guardarlo, sorridendo.
- Che c’è? – chiese Justin, spaventato.
- Pensavo che tu dovevi piacere davvero tanto a Ethan.
Imbarazzato, si strinse nelle spalle.
- Non saprei.
- No, dico, perché Ethan non è certo tipo da club. Meno che mai da Babylon. Eppure, si è sacrificato con entusiasmo pur di portarti qui e metterti in difficoltà.
- Mh… molto gentile da parte sua.
- Beh, sì. Fossi stato io, ti avrei rotto il naso con un colpo di porta.
Sentendosi a disagio, Justin guardò altrove, fino a quando il ragazzo non gli batté un paio di colpetti cordiali su una spalla. Quando Justin si voltò, lui sorrideva rassicurante.
- Per fortuna io non sono Ethan, ma solo un suo amico. Stai tranquillo. Adesso entriamo, ok? Ethan non sarà tipo da Babylon, ma io non faccio che sognare la backroom per tutta la settimana. – disse, cominciando a salire le scale per entrare.
- Ehi… - lo fermò Justin, tirandolo per una manica, - Cos’è la backroom?
Il ragazzo rise.
- Sei carino, quindi non è così impossibile che qualcuno ti chieda se vuoi andarci. Basta che ti ricordi di dire che sei etero, se qualcuno cerca di farti scendere le scale verso un posto oscuro.
Justin annuì, e il ragazzo ricominciò a salire le scale, ma si voltò quasi subito.
- Ah, una cosa seria. E importante. Come dice sempre Brian, se devi prendere della merda, accetta solo quella che ti dà chi ci tiene alla tua vita, alias gli amici. Quindi, niente pilloline o polverine dagli sconosciuti, ok? Se ti serve qualcosa, chiedi a Steve.
- …?
- Il ragazzo che sogna sesso balneare con McConaughey.
- …ok…
- Bene.
- Eh… senti, chi è Brian?
- Lo vedrai subito, appena entrato, immagino. Si riconosce facilmente, è quello attorno a cui gravitano più uomini. Se gli vai vicino, non muoverti troppo, o capirà che sei una cosa viva e cercherà di scoparti.
- Eh?!
- Ok, ok. Lezioncina finita, entriamo. Ricordami di rimproverare Ethan, più tardi. Ti ha portato lui, avrebbe anche dovuto istruirti.
Il ragazzo, senza che Justin potesse saperne il nome o ringraziarlo, sparì al di là dell’uscio. Justin lo seguì senza aspettare un attimo.
*

L’interno del Babylon era favoloso. Luci di ogni tipo sembravano sommergere i ballerini, mentre una pioggia di brillantini li ricopriva da capo a piedi e la dance music più assordante che Justin avesse mai sentito governava i loro movimenti frenetici. L’unico inconveniente del locale era che fosse effettivamente pieno come un uovo, al punto che uno, per poter arrivare, tipo, al bar, non poteva esimersi dallo strusciare contro ogni essere di sesso maschile o vago durante il tragitto.
Quando riuscì ad arrivare al bar e a sedersi su uno sgabello, la musica stava cambiando ritmo. Ordinò una birra. Poco dopo, lo sgabello al suo fianco venne scostato e poi occupato da un uomo. Corti capelli castani, camicia era, jeans, stivaletti di pelle.
- Una birra. – disse al barista, sorridendo.
Justin si allontanò un poco. Mossa sbagliatissima. Il movimento, lo spostamento d’aria, forse, attirò l’attenzione dell’uomo, che si voltò a guardarlo.
- Sei nuovo? Non ti ho mai visto prima.
- Non sono di queste parti…
- Ah, capisco… prima volta?
- E ultima.
L’uomo rise.
- Sì, il Babylon mette a dura prova i nuovi arrivi.
Justin scrollò le spalle. Lo sconosciuto gli porse una mano.
- Brian.
Brian. Oddio.
Fingiti morto.
- Justin. – disse, stringendogli la mano.
- Piacere. Ti va di ballare?
- Non mi piace ballare.
- Mh. Allora vuoi andare direttamente nella backroom?
Chissà perché, gli venne da ridere. Forse per quel suo sorrisino così spavaldo, forse per il suo tono innocente e lascivo allo stesso tempo.
- Mi hanno detto di rispondere che sono eterosessuale, a questa domanda.
Brian rise di nuovo.
- Beh, nessuno è perfetto. Comunque, se vuoi possiamo risolvere anche questo problema.
Justin si alzò.
- Invece credo che andrò a casa mia…
Brian sorrise, alzandosi a sua volta.
- Allora ciao. Ci vediamo.
Justin sorrise, evasivo. E mentre cercava di allontanarsi, venne afferrato per il collo della maglietta e baciato quasi violentemente. Le labbra di quell’uomo, il sapore di alcool e sigarette, il suo odore pungente, la sua lingua bagnata e quel calore…
Quando Brian lo lasciò andare, era senza fiato.
- Dunque?
Si voltò. Ethan era lì, li guardava con un sorrisetto ironico e le braccia incrociate sul petto.
- Ethan Gold. – disse Brian guardandolo.
- Brian Kinney.
- Voi vi conoscete?
- Sì. – disse Ethan, - Abbiamo lavorato insieme. Ho fatto qualche jingle per lui; sai, fa il pubblicitario.
- Sì, sì, il ragazzo è modesto. - aggiunse Brian passandogli un braccio sulle spalle, - Me lo sono anche portato a letto un paio di volte. Questo è il suo vero merito. Intendo avermi convinto a farmelo per più di una volta sola.
Ethan sorrise.
- Capisco… - disse Justin ricominciando a farsi strada verso l’uscita.
Ethan lanciò uno sguardo complice a Brian, e lui lo lasciò libero di seguire Justin nella sua fuga.
*

- Quello era perché non sei gay, eh?
- Davvero, Ethan, fosse dipeso da me, quello non sarebbe proprio stato.
- Io diffido sempre da chi dice di non avere responsabilità in un bacio. O è uno stupido, o è un codardo.
- Ah-ha, grazie per la tua illuminante opinione.
- Uh, come sei incazzato… poco fa non sembrava.
- Poco fa non avevo ancora realizzato.
Ethan rise.
- Sì, certo. Ora dove vai?
- A casa mia! Ciao.
Justin si fermò d’improvviso, voltandosi a guardare Ethan, che portava, sul viso sorridente, un’odiosa espressione da “non hai ancora visto niente”. Sospirò.
- Grazie, comunque. Mi sono divertito.
Ethan si strinse nelle spalle.
- Quando vuoi.
*

Si svegliò di soprassalto, balzando a sedere sul letto. Era tornato a casa alle quattro, erano le cinque e mezzo quando aveva riaperto gli occhi, e ovviamente era ancora esausto. Avrebbe voluto continuare a dormire, ma non ci sarebbe mai riuscito. Perché dopo un mese era successo qualcosa di diverso.
Le sensazioni del sogno avevano preso corpo. Non sapeva se fosse la prima volta che succedeva o solo la prima volta che lo ricordava, ma non cambiava il fatto che ormai quel pensiero fosse lì, quasi fisico, comodamente assiso nel mezzo del suo cervello, dove era impossibile provare a ignorarlo.
Il suo sogno era improvvisamente diventato Brian.
*

Il giorno dopo, Ethan lo guardava sconvolto, dalla soglia della porta.
- Giuro che credevo non ti avrei più rivisto.
- Devo parlarti.
Ancora stupito, Ethan annuì e lo lasciò passare.
- Cos’è successo?
- Cosa c’era in quella cazzo di birra che m’hanno dato al bar? – chiese, agitato, camminando nervosamente su e giù per la stanza.
- Eh? Ti hanno messo della droga nel bicchiere?
- Non… non lo so…
- Aspetta, siediti un attimo. Mi sembri sconvolto.
Justin annuì e prese posto sul divano.
- Ora raccontami tutto. – disse Ethan sedendosi al suo fianco.
Justin sospirò profondamente, stringendo convulsamente i pugni.
- Sai i sogni di cui ti ho parlato? Stanotte sono riuscito a ricordare cosa succedeva.
- Oh! Cosa?
Si alzò nuovamente in piedi, mordendosi le labbra.
- Sesso. – disse, senza riuscire a guardare l’altro ragazzo negli occhi, - Con un uomo.
Ethan continuò a guardarlo tranquillamente, limitandosi a sollevare un sopracciglio.
- Non sembri molto stupito… - disse Justin incerto.
- Ovvio.
- …?
- Avanti, questo non fa mica di te un omosessuale. Eri chiaramente suggestionato… i nostri discorsi, Brian… be’, già Brian da solo sarebbe bastato a suggestionarti…
- Dici…?
- Sì. Chi era l’uomo del sogno?
- …lui.
- Ecco, appunto. Stai tranquillo: la tua virilità è in pericolo, ma non è ancora sconfitta.
- Non è divertente!
Ethan rise.
- Senti, ma per te, sinceramente, quanto sarebbe grave se fossi frocio davvero?
Justin lo guardò con sufficienza.
- Oh, no. Non riuscirai a farmi dire che non è nulla di male e che è perfettamente naturale, solo per non offenderti. Il solo pensiero mi dà i brividi.
- Oddio, - disse Ethan, ridendo, - questa atavica paura degli etero di riscoprirsi non-etero!
Rimasero un po’ in silenzio, guardando il vuoto.
- Allora… - mormorò Ethan poco dopo, - Stasera esci ancora con noi?
Justin sorrise.
- Non penso proprio.
*

- Ethan, che sorpresa!
Brian si fece largo tra la folla, raggiungendolo. Sorrideva in maniera tanto allegra che lui si sentì come forzato a fare altrettanto.
- Mi sorprende la tua cordialità, Brian.
- Ha-ha. Come mai ultimamente frequenti tanto il Babylon? Mi sembrava di ricordare che non fosse abbastanza artistico per i tuoi gusti.
Il ragazzo scrollò le spalle.
- Dovrò pur svagarmi, una volta ogni tanto.
- Non hai mai detto niente di più intelligente. E dov’è il biondino di ieri… come si chiamava…?
- Justin.
- Sì, lui.
- Brian, davvero, se avevi delle mire su di lui, dovresti fartele passare. È etero. Rassegnati.
- Ieri l’ha detto anche a me, ma non diceva sul serio.
- Sì che diceva sul serio, fidati. Lo conosco da anni. Ha appena rotto con la sua ragazza…
- Chissà perché, eh? – sorrise, furbo.
- Ma smettila.
- Sì, sì. Balliamo?
- Stasera sei rimasto senza compagnia…?
- No. Stasera ho scelto la tua.
Brian. Dì ciò che vuoi e l’avrai.
Mentre si dirigeva al suo fianco verso la pista da ballo, pensò che avrebbe dovuto mettere in guardia Justin. Anzi, che non avrebbe dovuto affatto portarlo in quel posto. Essere visto da Brian e conseguentemente finire nel suo letto, per quel ragazzo sembrava un’ipotesi troppo spiacevolmente probabile.
*

Caddero sul letto con un lieve fruscio di lenzuola. Tra un bacio e l’altro, Ethan trovò il fiato per parlare.
- Non ti dirò dove puoi trovarlo.
- No…?
- No. A meno che prima tu non ammetta di avermi portato qui solo per saperlo.
- Ok, lo ammetto.
- …Brian, sei terribile.
Sorrise.
- Lo sono…?
Mosse la mano sul cavallo dei suoi pantaloni.
- Mh… smettila. No, davvero.
Non smise. Eluse i vestiti e non smise affatto.
Ethan prese quella sega come un anticipo. Avrebbe avuto il resto dopo avergli detto tutto quello che sapeva su Justin.