rp: franco combi

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico.
Pairing: José/Zlatan.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Angst (lieve), Slash.
- Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì, Sabato e Domenica.
Note: Scritta per la Criticombola su prompt 68. “Pensavo non saresti mai tornato.” “Non sei mai stato bravo con le valutazioni di questo tipo.”, e ispirata in gran parte dal telefilm Dollhouse, ma comprensibile anche senza averlo mai visto, per la gioia di noi tutti.
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Doll
68. “Pensavo non saresti mai tornato.” “Non sei mai stato bravo con le valutazioni di questo tipo.”


Martedì, ore 10.30
 
- Sei in ritardo.
I campi di Appiano Gentile sono silenziosi e vuoti. Ed enormi. Zlatan non riuscirà mai ad abituarcisi, ne ricorda uno solo e pure sgangherato. Ormai sono due anni – due anni? Due anni – che è tornato, due anni che cammina su quella sterminata distesa d’erba e non riesce ancora a riconoscerla.
- L’aereo era in ritardo. – sorride imbarazzato, grattandosi la punta del naso. José scrolla le spalle e sbuffa.
- Non è granché come presentazione alla tua nuova squadra. – commenta, consultando i propri appunti. Chissà cosa ci avrà scritto, poi. Zlatan non può impedirsi di sorridere, mentre sistema i calzettoni lungo le gambe.
- Ma tu già mi conosci. – obietta, - E anche gli altri.
José lo ignora.
- Comincia a correre. – ordina, allontanandosi verso la panchina per recuperare una bottiglietta d’acqua.
Bentornato, Zlatan. – si lagna lui, incrociando le braccia sul petto e battendo ritmicamente un piede per terra, - Sono contento di rivederti. Sei emozionato? Fra poco rivedrai i tuoi compagni.
José si volta a guardarlo inarcando, un sopracciglio.
- Quando rivedrai i tuoi compagni, lo decido io. – annuncia, una mano sul fianco e l’aria di chi non vuole sentire ragioni. – Comunque… - concede poi in uno sbuffo che si distende in un sorriso, - Pensavo non saresti mai tornato.
Zlatan ride, tirando su le maniche. Comincia a far caldo.
- Non sei mai stato bravo con le valutazioni di questo tipo. – risponde, e poi comincia a correre.
 
 
Mercoledì, ore 12.00
 
- Fra una settimana da oggi – dice José guardando un punto imprecisato in mezzo al folto degli alberi che circonda la Pinetina, - ci giocheremo l’ingresso in Champions.
Zlatan annuisce, ma dal momento che continua a palleggiare questo suo assenso si perde nel naturale movimento della testa che segue i saltelli ritmici delle gambe e delle spalle.
- Come ti senti a giocare contro il tuo Barça?
- Il Barça non è mai stato mio. – risponde senza perdere la concentrazione, - Come dovrei sentirmi?
José scrolla le spalle, richiudendo il bloc notes ed infilandolo nella tasca interna della giacca.
- Questo non posso dirtelo io. Come ti sentivi quando stavi lì e giocavi contro di noi?
- Questo è un paragone scorretto. – ride lui. La palla rimbalza sul ginocchio e va troppo in alto, lui quasi la perde ma lei torna in bilico sulla sua fronte neanche un secondo dopo. La tiene là in equilibrio per un po’, più per dimostrarsi che può ancora fare il funambolo senza cadere di sotto, che perché ne abbia effettivamente bisogno. – L’Inter è sempre stata speciale.
- Non devi dirlo per forza perché ora sei tornato qui. – gli fa notare José, quasi irritato.
- Non ho mai detto o fatto niente  per forza da che gioco a calcio. – lo rassicura lui, mentre la palla scivola lungo il profilo del suo viso e lui la recupera a mezz’aria con un altro colpo di ginocchio, prima di riprendere a palleggiare coi piedi. – Figurati se mi salta in testa di farlo adesso.
- Guarda che l’allenamento si è concluso da un pezzo. – taglia corto José, richiudendo la giacca e lanciando un’occhiata furtiva all’orologio da polso, - Puoi anche smetterla di palleggiare.
Zlatan sospira, afferra la palla al volo e la stringe tra le mani come volesse farla scoppiare. José non se ne accorge.
- D’accordo. – cede, - A domani.
José non lo saluta.
 
 
Giovedì, ore 16.30
 
- La partita di campionato di sabato sera è comunque più importante di quella di mercoledì col Barça, sono stato chiaro?! – urla José, furioso, e Zlatan si costringe a tenere lo sguardo basso, senza cedere all’impulso dirompente e del tutto idiota di risollevarlo, sfidarlo con un ringhio e poi prenderlo a cazzotti fino a lasciarlo steso incosciente per terra. Sa di non poterselo permettere. – La prossima volta che arrivi in ritardo ad un allenamento, Zlatan, non te lo faccio solo saltare. Ti spedisco in tribuna fino alla fine dei tuoi giorni o fino a quando il presidente, mosso a pietà, ti rispedisce in Spagna. O in qualsiasi altro cazzo di posto tu voglia trovarti piuttosto che stare qui ed ubbidire agli ordini.
- Smettila di tirare fuori la Spagna. – si concede di grugnire, senza però muovere un muscolo per ribellarsi in maniera più vigorosa. – È qui che sono, è qui che voglio stare.
- Bene. – sputa José con un astio che neanche cerca di dissimulare, - Allora dimostralo.
Lo lascia solo nell’atrio vuoto neanche due secondi dopo.
Branca passa di lì solo verso le cinque, e quando lo nota, con addosso la divisa della stagione passata, si irrigidisce tutto, in imbarazzo.
- È… successo di nuovo, vero? – chiede titubante. Zlatan forza un sorriso.
- Come sempre. – conferma stringendosi nelle spalle.
Branca prende un respiro profondissimo e si gratta uno zigomo.
- Penso che non mi ci abituerò mai. – confessa a bassa voce.
Zlatan non risponde, ma vorrebbe poter dire “neanch’io”.
 
 
Venerdì, ore 14.00
 
- Sei nervoso?
Zlatan scrolla le spalle, sistemandosi la fascia sulla fronte e stando attento a non lasciare a nessuna ciocca la libertà di scendere ad infastidirlo.
- Non particolarmente. – risponde, fingendo di guardarsi attentamente nello specchio, quando in realtà sta cercando di cogliere uno spicchio di José, che resta defilato al suo fianco, di spalle, e fissa davanti a sé con un sorriso apparentemente sereno. – Tu?
- Chi non lo sarebbe? – chiede a propria volta José, invece di rispondere. – La Roma è una squadra tosta.
- Che se non sbaglio sta sotto di noi. – puntualizza Zlatan, tirando su i calzettoni, - A quindici punti.
- Questo è del tutto irrilevante. – spiega José, il sorriso che si allarga appena. – Ogni partita è un universo a sé in cui tutto può succedere, indipendentemente dal momento di Campionato in cui arriva. Puoi far parte della squadra più forte del mondo, prima in classifica, più forte perfino dei campioni d’Europa, e perdere tre a zero con l’ultima in classifica, neopromossa e già destinata a tornare in B. Dipende tutto dall’atteggiamento col quale affronti l’evento.
- E qual è il tuo atteggiamento? – chiede Zlatan, voltandosi a guardarlo, - Sei appena uscito da una conferenza stampa in cui hai detto di avere piena fiducia nei mezzi della squadra.
- Infatti è così. – annuisce José, mettendosi dritto e muovendo qualche passo verso l’uscita degli spogliatoi. – Sì, penso che sarà questo, il mio atteggiamento.
Zlatan lascia perdere e lo segue all’esterno. Abbandonata in un angolo c’è una bottiglietta di Gatorade semivuota. È avvolta in un fascio di scotch bianco, di quelli larghi, da imballaggio, e sopra c’è scritto 45 con un pennarello nero a punta larga. Si morde un labbro e si china a raccoglierla. Conosce Mario abbastanza bene da immaginare possa averlo tranquillamente fatto apposta.
- Ragazzini. – sorride José, sedendosi sulla panchina poco distante, - Chissà da quanto è qui quella roba. – “probabilmente da meno di mezz’ora fa”, si dice Zlatan, sospirando pesantemente e proponendosi di strigliare Mario fino a fargli cambiare colore appena finito con José, - Gettala via e comincia a correre, zingaro. – ordina lui.
- Sì, mister. – e Zlatan obbedisce.
 
 
Sabato, ore 22.30
 
- Non sembri nemmeno stanco. – ride José, battendogli una pacca piuttosto allegra sulla spalla ancora umida. – È valsa la pena di venire fino a qua per rifilargliene cinque, mh? – commenta compiaciuto, e Zlatan sorride a propria volta nel pensare con un po’ di tristezza che non si sono mai allontanati da Appiano, ma a José non può dirlo. – I ragazzi sono già andati? – chiede lui, e Zlatan annuisce sbrigativamente.
- Erano tutti molto stanchi. – spiega. Anche José annuisce.
- È stata una grande partita. – aggiunge, - Si meritano un po’ di riposo. Anche tu te lo meriti. Come mai sei ancora qui?
- Volevo aspettarti. – risponde con un sorriso sincero, - E complimentarmi.
José ride, tirandogli un buffetto intenerito contro una guancia.
- Sei sempre il solito cretino. – lo prende in giro, - È merito vostro. L’ho detto ai giornalisti, di sopra. Siete una grande squadra, quest’anno, me lo sento-- già mercoledì sarà tutto diverso. Andrà tutto meglio.
Zlatan annuisce e si solleva in piedi. Lo guarda dall’alto per un po’, prima di chinarsi verso di lui e baciarlo lievemente sulle labbra, tenendo le mani ben strette dietro la schiena per evitare che possano prendere iniziative del tutto inappropriate.
- Sono contento di essere tornato. – gli bisbiglia addosso, guardandolo dritto negli occhi. José non capisce, ma non si scompone più di tanto.
- Che ti prende? – chiede, vagamente in imbarazzo, - Ti pare il caso dì-
- Mister. – sorride il presidente, entrando nello spogliatoio con le braccia spalancate e gli occhi colmi di gioia. – Ottima partita.
- Grazie, presidente Moratti. – annuisce José, cedendogli immediatamente tutta la propria attenzione, - È stato bello poterle fare finalmente vedere di cosa siamo capaci.
- È un po’ che mi fate vedere di cosa siete capaci. – ride Moratti, sembra al colmo della felicità, - Se questa striscia così positiva dovesse continuare, comincerò a prendere in seria considerazione la possibilità di seguirvi in trasferta anche nei turni infrasettimanali.
- Sarebbe un onore, presidente. – ride José, stringendogli la mano.
- Ma ora basta con i complimenti. – lo interrompe Moratti, senza lasciare andare la sua mano, - Dobbiamo già prepararci per mercoledì, ci attende una partita importante. – José annuisce. – È pronto per il trattamento?
José annuisce ancora. Si volta appena verso Zlatan, salutandolo.
- Mi raccomando, lunedì puntuale. – gli ricorda, e poi segue il presidente che gli fa strada fuori dalla porta, lungo il corridoio.
 
 
Domenica, ore 09.00
 
Zlatan apre gli occhi e prima ancora di svegliarsi del tutto ha già posato una mano sul cellulare appoggiato sul comodino, portandolo all’orecchio dopo aver velocemente digitato sul tastierino illuminato un numero di telefono che ormai conosce a memoria.
- Ciao, Zlatan. – risponde il dottor Combi, il quale, a giudicare dalla voce, dev’essere già sveglio da almeno tre ore, - Stai bene?
- Io sì. – annuisce lui, tirandosi a sedere ed osservando con la coda dell’occhio Helena ancora addormentata al suo fianco, - Chiamavo per José.
- Lui sta benone. – lo rassicura il dottore, un accenno di risata a rendere più simpatica la voce, - Per quanto possa star bene un uomo nelle sue condizioni. È a riposo, al momento.
- Non… - fatica un po’ a chiedere ciò che vuole sapere. Deglutisce e prende tempo. – Non sta mostrando strane controindicazioni alla terapia, giusto?
- No. – risponde Combi, del tutto tranquillo, - D’altro canto, non si può esattamente dire che si stiano facendo dei reali passi avanti. – sospira, un po’ sfiduciato, - Quando è a riposo, è come un guscio vuoto. Ogni tanto riprende coscienza, ma è più una coscienza del tutto avulsa dalla sua personalità che un vero e proprio risveglio del Mourinho che conosciamo. O che conoscevamo un tempo.
Zlatan annuisce.
- Capisco. – sussurra, - Quindi dobbiamo solo continuare.
- L’esaurimento nervoso è una brutta bestia, Zlatan. – dice il medico, la voce carezzevole come ce l’avesse davanti e volesse avvolgerlo in un abbraccio paterno, - Avevo una zia che ne soffrì a lungo. È meglio che tu non sappia com’è finita. – si prende una pausa, probabilmente per lasciargli il tempo di assimilare l’informazione non detta ma ugualmente trasferita. – Credimi, ce ne stiamo prendendo cura nel modo ottimale. Lo so che è frustrante e che ti sembra di ripetere sempre le stesse cose senza arrivare in nessun punto, ma fino a quando non sarà José a sbloccarsi noi non possiamo che cercare di ricondurlo verso quel punto in cui ha perso il controllo di tutto, consapevoli del fatto che è lui a doverlo ritrovare.
Zlatan annuisce ancora, è già stufo di questi discorsi. E il dottor Combi ha ragione: per la maggior parte del tempo lui ha davvero come la sensazione di non fare altro che girare in cerchio senza mai neanche allargarne la circonferenza, fosse anche solo per pochi centimetri.
- Già. – taglia corto, - Scusi se l’ho disturbata. A martedì.
- A martedì. – lo saluta il medico, cordiale, prima di interrompere la chiamata.
 
 
Martedì, ore 10.30
 
- Sei in ritardo.
I campi di Appiano Gentile sono silenziosi e vuoti. Ed enormi. Zlatan non riuscirà mai ad abituarcisi.
Si morde l’interno di una guancia con forza per non scoppiare ad urlare.
Comincia un’altra settimana.
- L’aereo era in ritardo. – sorride imbarazzato, grattandosi la punta del naso. José scrolla le spalle e sbuffa.