telefilm: gigio

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Erotico, Commedia. Triste.
Pairing: Gigio/Libanese, accenni aFreddo/Libanese.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, Dub-con, What if?.
- "Aiutami a vendicarmi del Freddo."
Note: La pazzia. Nata in seguito a un totale viaggio mentale mio e della Tab, visto che nella serie originale questi due manco s'incontrano. Ma nemmeno di sfuggita, tipo. *si vergogna molto*
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt ROMANZO CRIMINALE Gigio/Libanese, "Aiutami a vendicarmi" "Te sembro Zoro?"
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TALK TO MY TROUBLED BRAIN
ROMANZO CRIMINALE Gigio/Libanese, "Aiutami a vendicarmi" "Te sembro Zoro?"

Il Libanese inarca un sopracciglio, restando appoggiato al tavolino, gli occhi fissi sul ragazzino magro, impaurito e tremante seduto sulla seggiola in mezzo alla sala vuota, occupata solo da biliardi ai quali nessuno gioca e mazzi di carte abbandonati che nessuno fa frusciare nell’aria ancora densa del fumo della mezza dozzina di sigarette che la appestava finché non ha fatto sgombrare tutti.
- Scusa, è che nun ce sento bene. – disse, cambiando posizione ed infilandosi teatralmente un dito nell’orecchio, come volesse ripulirselo, - Me potresti ripetere ‘n attimo che voi?
Gigio si stringe nelle spalle, serrando i pugni sulle ginocchia. Ha le nocche talmente bianche che potrebbero cadergli le dita. È così uguale a suo fratello che il Libanese neanche ci può credere. L’ha riconosciuto subito, quando è arrivato, pure se non l’aveva mai visto prima e lui s’è presentato solo dopo un paio di minuti di imbarazzato silenzio. Già quando l’ha visto entrare da Franco e guardarsi intorno con aria persa, sulla difensiva, tutto stretto nelle spalle e avvolto in quell’enorme camicia a quadretti aperta su una canotta bianca un po’ lisa, s’è detto “e quello è er fratellino der Freddo”, e non ha avuto alcun dubbio a riguardo.
- Mi serve aiuto. – ripete Gigio, guardando ostinatamente un punto a caso sul pavimento sporco.
- E pe’ che cosa? – insiste il Libanese, sperando che, a questo giro, la risposta sia differente.
E invece non lo è. Gigio solleva il capo in un moto di orgoglio improvviso, i ricci che gli ricadono scompostamente sulla fronte, e serra le labbra per un attimo prima di decidersi a parlare.
- Aiutami a vendicarmi. – gli dice, - Aiutami a vendicarmi del Freddo.
Libano sospira, passandosi una mano sulla fronte e ravviandosi i capelli su un lato della testa, prima di massaggiarsi la nuca con evidente stanchezza. Non è davvero possibile che uno passi una giornata d’inferno, risolvendo un casino dietro l’altro, poi arrivi a sera e voglia solo starsene per i cazzi suoi, e invece debba stare dietro pure ai capricci di ragazzini che non gli competono.
Afferra una sedia e la sistema proprio davanti a lui, girandola in modo da potersi sedere a cavalcioni appoggiando le braccia sullo schienale, e poi lo fissa da vicino. Gigio indietreggia appena, deglutendo vistosamente.
- Guardame attentamente. – gli dice, indicandosi il muso, - Te sembro Zoro?
Gigio abbassa lo sguardo, profondamente imbarazzato.
- No… - risponde esitante, le sopracciglia inarcate verso il basso.
- Ce lo sai chi so’ io, regazzi’? – chiede ancora il Libanese, avvicinandosi un altro po’ senza preoccuparsi del fastidioso rumore scricchiolante che producono i piedi della sedia strisciando sul pavimento.
- Certo che lo so! – sbotta Gigio, alzando nuovamente il capo, stavolta quasi offeso dalla sua considerazione, come la ritenga un inappropriato giudizio sulla sua persona. – Sei il Libanese. – dice quindi, per provare che non sta mentendo.
Libano annuisce.
- E chi te fa pensa’ che c’ho tempo da perde co’ ‘n regazzino come te? – gli chiede, appoggiando il mento sulle braccia incrociate e sorridendo appena, divertito.
- Ti posso pagare! – ribatte immediatamente Gigio, infilando le mani in tutte le tasche che possiede per tirarne fuori una manciata di banconote spiegazzate di vario taglio. Il Libanese guarda i biglietti da ventimila e cinquantamila lire tutti appallottolati fra le sue dita magre e pallide, e poi torna a fissarlo negli occhi.
- Chi te l’ha dati ‘sti sordi? – gli chiede. Gigio esita.
- …mio fratello. – risponde quindi, in un fiato sottilissimo.
Il Libanese scoppia a ridere. Lo fa inaspettatamente perfino per se stesso: immaginava che i soldi di Gigio venissero dal Freddo, ma non sospettava minimamente che il ragazzino potesse avere tanta faccia tosta da ammetterlo in una situazione simile. Rovescia la testa indietro, inarcando la schiena, e si aggrappa con foga allo schienale della sedia per non ribaltarsi e ruzzolare sul pavimento mentre si lascia andare con gioia a quell’accesso di risate sorprendenti, prima di riacquistare il controllo e tornare a guardarlo, asciugandosi una lacrima malandrina dall’angolo di un occhio.
- Famme capi’ bene… - gli dice, scuotendosi ancora di tanto in tanto per le risate che faticano a sfumarsi, - Te voi pagarmi pe’ fa’ der male a tu’ fratello… e voi pagarme co’ li sordi suoi? – ride ancora, scuotendo il capo, - Armeno er funerale je lo paghi te o c’hai un conto aperto der Freddo pure pe’ quello?
Gigio aggrotta le sopracciglia, paonazzo. I suoi pugni si chiudono convulsamente attorno alle banconote, facendole crepitare.
- Non c’è bisogno che prendi per il culo. – gli dice, e Libano ride ancora.
- Ah, no? – chiede, - No, perché me sembrava de sì, invece. – annuisce, - Comunque… - continua poi, prendendo un respiro più profondo degli altri per placare una volta per tutte il bisogno di ridere che ancora sente premere fortissimo nel fondo della gola, - Io nun so’ ‘n cane, regazzi’. Anna’ in giro a fa’ fori la gente per bene, nun so cose che se fanno.
- Lui non è per bene! – sbotta subito Gigio, - Lui è un delinquente. Come te.
Il Libanese si trattiene dall’offrirgli la risposta più ovvia, e cioè che se c’è una persona in tutta Roma che sa perfettamente bene quanto Freddo gli sia simile, in quanto a professione, quella è lui. Decide di mantenere il segreto ancora per un po’, comunque. Dal modo in cui Freddo gli ha sempre parlato di suo fratello, Libano aveva immaginato che avessero un bel rapporto, particolarmente stretto. Vuole vederci chiaro, in questa faccenda, vuole scoprire per quale motivo Gigio sembra così deciso a fargli del male.
- Senti ‘n po’, - gli dice quindi, avvicinandosi ancora e riducendo la voce a un sussurro cospiratorio, - ma che t’ha fatto tu’ fratello pe’ farti incazzare ‘n questo modo?
Gigio arrossisce ancora, più violentemente di quanto non abbia fatto fino ad ora. La sua pelle così incredibilmente pallida, quasi cinerea, si colora tutta all’improvviso, e al Libanese viene di nuovo da ridere, ma stavolta la risata la trattiene.
- Mi ha rubato la ragazza. – risponde Gigio. E il Libanese spalanca gli occhi.
- Che hai detto? – chiede inebetito. Gigio sbatte le ciglia un paio di volte, inumidendosi le labbra.
- Mi ha rubato la ragazza. – ripete, e non è sicuro di come dovrebbe sentirsi. Imbarazzato, probabilmente, o meglio, ancora più imbarazzato di quanto già non sia, ma l’espressione del Libanese è così ingiustificatamente sconvolta che in qualche modo l’imbarazzo gli sembrerebbe comunque troppo poco. Finisce col sentirsi inadeguato e fuori posto, perfino un po’ irritato, come un bambino rimasto sveglio troppo a lungo e seduto accanto a papà mentre tutti gli adulti fumano, giocano a carte e parlano di politica. Distoglie lo sguardo, aggrottando le sopracciglia e tendendosi tutto. Il Libanese non parla, non lo fa per minuti interi, e Gigio accarezza più volte la possibilità di alzarsi, dirgli “va be’, fa niente” e tornarsene a casa. Mamma sarà preoccupata per lui, è già in ritardo di quasi due ore.
Quasi lo fa davvero, quando il silenzio si prolunga ancora, solo che poi il Libanese inspira profondamente e sembra tornare normale tutto assieme. I suoi occhi, comunque, sono diversi da com’erano prima. Più cupi, più pericolosi, forse. Non saprebbe dire in che modo, perché non ne ha proprio paura. Anche se forse dovrebbe.
- A regazzi’, - gli dice Libano, - nun je posso fa’ niente a tu’ fratello. Me sa che mentre stavi a cerca’ informazioni su de me t’hanno detto tutto tranne la cosa fondamentale.
- Che sarebbe? – gli chiede, inarcando nervosamente un sopracciglio. Libano sorride, gli occhi che si rischiarano per un attimo.
- Io e er Freddo lavoramo insieme. Da anni, ormai. È come un fratello, pe’ me. – risponde. Gigio trattiene il respiro, abbassa lo sguardo e stringe le banconote fra le dita per un secondo, prima di ficcarsele tutte sbrigativamente in tasca.
- Allora stai attento, - ringhia alzandosi in piedi, - perché magari come l’ha fregata a me la ragazza la frega pure a te.
Il Libanese allunga una mano ad afferrarlo. È più veloce di lui, che fa in tempo ad accorgersene ma non ad allontanarsi abbastanza da sfuggire alle sue dita che si chiudono con forza attorno al suo gomito, affondando nella morbidezza del suo braccio nonostante i vestiti.
- ‘Ndo vorresti anna’ mo’? – gli chiede, tirandolo indietro e obbligandolo quasi a sbattergli addosso, prima di farlo voltare nuovamente verso di sé.
- Non sono affari tuoi. – risponde Gigio a muso duro, e per tutta risposta il Libanese stringe più forte, facendogli male e costringendolo ad un gemito lamentoso di cui Gigio si pente immediatamente, appena lo sente prendere il volo dalle proprie labbra.
- Regazzi’, tutto quello che succede ‘n ‘sta città è affare mio. – ribatte Libano, appoggiandolo con rude gentilezza contro il bordo del tavolo da biliardo più vicino, - So’ er re de Roma mica pe’ niente, e te nun te poi aspetta’ che te lascio’ anna’ chissà dove dopo che m’hai detto che voi fa’ fori er socio mio.
- È mio fratello! – strilla Gigio, come se questo gli desse un qualche diritto di precedenza sul Libanese nei confronti del Freddo, - E smettila di chiamarmi ragazzino. Non sono un ragazzino!
- A me me pare de sì, invece. – considera Libano, e il suo sguardo è serio, sembra quasi studiarlo mentre lo schiaccia con tutto il proprio corpo contro il tavolo da biliardo. – Vediamo se funzioni allo stesso modo der fratello tuo. – dice quindi con un mezzo sorriso, inchiodandolo al legno per un polso con una mano e sbottonando i pantaloni con l’altra.
Gigio sbianca in volto, sentendosi gelare il sangue nelle vene.
- Che vuoi farmi? – gli chiede, la voce che gli trema sulle labbra. Il Libanese inarca un sopracciglio, quasi sorpreso dalla domanda, come non la ritenesse nemmeno degna di risposta da tanto quest’ultima è ovvia.
- Niente. – dice quindi, lasciandogli andare il polso e prendendo ad armeggiare con la cintura strettissima che gli tiene appesi i jeans ai fianchi. – Cazzo, ma siete du’ chiodi uguali, te e Freddo. – commenta divertito. Gigio capisce, capisce fin troppo bene, e troppe cose nello stesso momento. Si sente improvvisamente consapevole e confuso allo stesso tempo, non sa bene come questo sia possibile ma è così, ed è una sensazione devastante.
- No… - geme a corto di fiato, dimenandosi sotto di lui ed ottenendo in cambio dei propri sforzi solo che la mano del Libanese riesca a scivolare dentro ai suoi pantaloni con molta più facilità di quanto non avrebbe fatto se invece fosse rimasto perfettamente immobile.
- Rilassate ‘n po’. – gli suggerisce il Libanese con una mezza smorfia, chiudendo le proprie dita attorno a lui e quasi offendendosi personalmente nel trovarlo ancora floscio e perfino vagamente intirizzito. – Te sei più chiodo de’ tu’ fratello, però. – annuisce, accarezzandolo lentamente avanti e indietro mentre Gigio trattiene il respiro in gola quanto più può, lasciandolo andare solo quando comincia a sentirsi soffocare. – E sei pure più moscio, cazzo, a Gigio, damose ‘na svegliata, ma che è? L’adolescenti erano più vivi, ‘n tempo.
- Lasciami andare! – prova a protestare, piantandogli entrambe le mani sul petto e cercando di spingerlo lontano da sé. Il Libanese rotea gli occhi, sospira pesantemente e poi gli appoggia la mano libera sulla nuca, tirandoselo contro e baciandolo all’improvviso, le labbra aperte e la lingua umida che corre a insinuarsi nella sua bocca prima che lui abbia il tempo di sottrarsi alle sue carezze calde, mentre si percepisce indurirsi contro la propria stessa volontà fra le sue dita, che ogni volta che gli si stringono attorno e passano quasi inavvertitamente a sfiorarlo sulla punta lo riempiono di brividi di piacere tanto forti che gli stringono lo stomaco fino a fare male.
- Sta ‘n po’ zitto. – suggerisce il Libanese in un sussurro umido sulle sue labbra, quando si separa da lui. Gigio deglutisce, manda giù il suo sapore e sente gli occhi riempirsi di lacrime perché gli piace. Il Libanese è caldissimo contro il suo corpo, o forse sembra così caldo solo a lui, ma comunque non importa, perché inventata o no è una sensazione che lo terrorizza. Cerca di muoversi ancora, per spostarsi, ma tutto ciò che ottiene è l’inaspettata sensazione di qualcosa di duro a premere contro la coscia.
Strabuzza gli occhi, terrorizzato, ed annaspa alla ricerca d’aria mentre gesticola confusamente in cerca di un appiglio qualsiasi al quale aggrapparsi per trascinarsi lontano da lui, ma il Libanese lo afferra con l’unica mano libera che ha, intrecciando le proprie dita con le sue e stringendo per fargli male. La scarica di dolore che si diffonde velocissima fra le ossa fragili della sua mano gli annebbia la vista, al punto che Gigio è costretto a strizzare le palpebre, e due lacrimoni grossi come gocce di pioggia rotolano lungo le sue guance arrossate, mentre lui trattiene a stento un gemito di sofferenza pura.
Il Libanese sorride, sporgendosi a baciarlo lievemente sulle labbra e raccogliendo in punta di lingua il sale delle lacrime che lì si sono fermate. Non gli dice niente, ma riprende ad accarezzarlo, più velocemente di prima, e nello stesso momento allenta un po’ la presa sulle sue dita. Il sollievo è tale che Gigio non riesce a impedirsi un sospiro spezzato di piacere che si diluisce nella paura e nell’imbarazzo, che gli schiude le labbra e permette a Libano di trovare nuovamente la strada per la sua lingua.
Gigio pianta entrambe le mani sul bordo del biliardo e cerca di fare presa attorno a quello per tirarsi indietro, ma tutto quello che riesce a fare è sollevarsi abbastanza perché il Libanese possa afferrarlo per le natiche, stringendone con forza una fra le dita attraverso il cotone sottilissimo degli slip che sono l’unica cosa rimastagli addosso ora che i jeans, trascinati dalla fibbia della cintura, gli sono scivolati quasi alle caviglie, impedendogli ogni movimento. Prova a liberarsi dei pantaloni in un gesto disperato, dicendosi che non gli importa se dovrà correre via in mutande, purché riesca a farlo, ma nel momento in cui schiude le gambe il Libanese si spinge con forza contro di lui, i loro bacini collidono e Gigio si sente mancare il fiato nel sentirlo così incredibilmente duro contro la propria erezione ormai perfettamente formata e ancora stretta nel calore adesso un po’ umido del suo pugno.
- Ti prego, - supplica Gigio, la voce ormai ridotta a un ansito roco e quasi infantile, - non farmi male.
Il Libanese si lascia sfuggire una risata senza fiato, mentre gli si spinge ancora incontro.
- Nun te ne faccio male, tranquillo. – dice, ma nel momento in cui si allontana da lui abbastanza da rigirarselo fra le braccia e piegarlo sul tavolo, Gigio capisce che sta mentendo. Ciononostante, non è in grado di fermarlo, forse perché non vuole, forse perché le dita che tornano a stringersi immediatamente attorno alla sua erezione non gliene lasciano il tempo, forse perché la pressione di altre dita, dita più umide, svelte ad accarezzarlo fra le natiche, è piacevole più di quanto non riesca a dire o anche solo a pensare. Il perché non lo sa, non vuole saperlo, stringe i denti e pianta le mani bene aperte sulla superficie morbida e verde del tavolo, osservando la propria ombra ondeggiare avanti e indietro mentre segue i movimenti delle dita del Libanese, che prima paiono come bussare senza avanzare mai per davvero, e poi, quasi senza attrito, scivolano all’interno del suo corpo, costringendolo ad inarcare la schiena e gettare indietro il capo in un gemito sconnesso.
Gigio singhiozza, anche se ha smesso di piangere da un pezzo – più o meno da quando la vergogna s’è persa, dissolvendosi del tutto nelle scariche di piacere che le dita di Libano gli davano muovendosi avanti e indietro per tutta la sua lunghezza – e prova ancora a imbastire una protesta sterile, che si spegne subito quando sente la pressione di qualcosa di più grosso e più duro di un paio di dita contro la propria apertura.
Ha appena il tempo di prendere fiato, che subito dopo il Libano scivola dentro di lui con un po’ d’attrito in più rispetto a quanto ne abbiano incontrato prima le sue dita.
La scarica di dolore è improvvisa e violenta, si diffonde lungo tutta la sua spina dorsale e non è acuta e lancinante, ma piuttosto sorda e continua, e lo terrorizza, perché sembra di quei dolori che non ti abbandonano dopo qualche ora, ma che continui a portarti dentro a lungo, forse addirittura per anni, che ancora percepisci a livello mentale quando il fastidio fisico si è dissolto.
- Bugiardo. – sussurra, appoggiano la fronte agli avambracci incrociati mentre ricomincia silenziosamente a piangere, - Sei un bugiardo. Come mio fratello.
Il Libanese si muove lentamente dentro di lui, riesce ad essere perfino discreto, ma la pressione che Gigio sente è troppa, la confusione che gli ingolfa il cervello perfino maggiore. Singhiozza e si lamenta a bassa voce, come un bambino piccolo, nascondendo il volto fra le mani, e Libano si china sulla sua nuca a lasciargli un bacio consolatorio talmente inaspettato che, quando Gigio sente le sue labbra calde e un po’ umide posarglisi addosso più velocemente del battito d’ali di una farfalla, s’interrompe all’istante, abbassa le mani e solleva gli occhi ancora lucidi e arrossati.
- Dopo ‘n po’ smette de fare male. – gli spiega il Libanese, continuando a muoversi lentamente e tornando ad accarezzarlo anche fra le cosce, - Questo intendevo. E vale pe’ tutto, regazzi’. Pe’ quello che stamo facendo mo’, e pure pe’ quello che t’ha fatto tu’ fratello prima.
Gigio inspira ed espira profondamente, seguendo i suoi movimenti col proprio corpo, accogliendolo dentro di sé e spingendosi lento dentro il suo pugno chiuso attorno alla propria erezione. Annuisce e chiude gli occhi, ed è allora che il Libanese comincia a muoversi più velocemente, adattando il ritmo delle proprie carezze a quello delle proprie spinte. E Gigio si adatta a sua volta, scoprendo che è vero, dopo un po’ va meglio, dopo un po’ il dolore diventa sopportabile, anche se non si spegne mai del tutto, e le dita serrate del Libanese, le dita forti che lo accarezzano sulla lunghezza e sulla punta, compensano la sofferenza col piacere, allo stesso modo in cui immagina che la presenza di suo fratello nella sua vita, sempre pronto ad aiutarlo, compenserà il dolore che gli procurerà guardarlo negli occhi e sapere che la donna che amava e con la quale avrebbe voluto un futuro adesso è sua.
Il libanese viene in silenzio, pochi secondi dopo, sprofondando dentro di lui in un colpo secco al quale Gigio risponde con un gemito forte e denso, prolungato, mentre viene a propria volta fra le sue dita.
Il suono ancora riecheggia nell’aria pesante del loro odore, quando si tira frettolosamente su i pantaloni ed esce.
*
Bufalo si allontana dalla porta appena in tempo per impedire al ragazzino scarmigliato che gli viene incontro di investirlo. Ha gli occhi rossi e l’aria di uno che vuole solo tornarsene a casa, nascondersi sotto le coperte e piangere per giorni fino ad esaurirsi. Si tiene su i pantaloni con entrambe le mani, la cintura sfibbiata col gancio che gli pende lungo una gamba, tintinnando rumorosamente ad ogni passo che fa. Lo guarda passargli oltre senza nemmeno vederlo e resta lì perplesso per un paio di secondi, prima di cercare il pacchetto di sigarette a tentoni nella tasca posteriore dei pantaloni che indossa, ed accendersene una.
Quando entra da Franco, trova il Libanese seduto su uno sgabello di fronte al bancone del bar, con una bottiglia di birra appena aperta e ancora ghiacciata tenuta per il collo fra due dita. Ha gli occhi cupi e pensosi, e il solito grugno serio e un po’ schifato dal mondo stampato sulle labbra. Tutto sommato, è uguale a come l’ha sempre visto. Lo saluta con un cenno del capo e poi indica la strada con un pollice, tenendo gli occhi fissi su di lui.
- Ma l’hai visto quel pischello? – chiede basito, - Che, ne sai niente te? – il Libanese scrolla le spalle e manda giù un’abbondante sorsata di birra. Bufalo lo prende per un no. – Vabbe’. – sospira, sedendosi al suo fianco ed accettando la bottiglia che gli offre, - Certo che ‘sto bar non è più quello de ‘na vorta.