animanga: kamui shiro

Le nuove storie sono in alto.

Titolo originale: Dance of angels
Autrice: MommyTomoyo
Genere: Drammatico/Romantico
Pairing: KotoriXKamui
Rating: G
AVVISI: Spoiler, Troduzione.
- E' passato un anno dalla battaglia finale, e Kamui sta dolorosamente andando avanti. Ma arriva il momento del ballo scolastico, e stare da soli in un momento del genere può solo peggiorare le cose...
Commento della traduttrice: Questa è la mia prima prova di traduzione ^_^! In realtà sarebbe la seconda, ma la prima storia non ha potuto essere pubblicata, sfortunatamente ;.; Era così carina! Perché ho deciso di tradurre questa storiella semplice semplice e così romantica? Mmh… forse proprio perché è semplice semplice e così romantica ^_^ E’ raro trovare fic su X tanto spensierate ma che mantengano i personaggi IC ù_ù Kamuicchan è così carino, in questa fic ç////ç /me in love.
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Dall’autrice… MommyTomoyo ha scritto un’altra storia! Una su X. Comunque, vuole ricordate a tutti che non le appartiene niente di X/1999 delle CLAMP, e non sa neanche fare una buona fanart delle loro opere. Tenendo questo a mente, vi chiede per favore di divertirvi leggendo la storia che ha scritto.

Per Kotori.

~~*~~*~~


La danza degli Angeli
Capitolo Uno


Era passato un anno da quando era accaduto. Kamui continuava ancora a sentire la paura di perdere tutti, e faceva ancora incubi in cui uccideva il suo migliore amico. L’unica persona dei tempi di quelle battaglie che non appariva nei suoi incubi, era colei che amava.
“Kotori…”
Sussurrarne il nome gli fece male al cuore. Ancora detestava se stesso per averla lasciata morire. Sapeva che lei si trovava in Paradiso, il che lo convinceva ancora di più che non l’avrebbe più rivista, neanche dopo la morte.
“Kamui, stai bene?”
Guardò la ragazza dai capelli neri accanto a lui, che si stava agitando energicamente. La ragazza, Masumi, era la fidanzata del suo amico Takeshi. Il ballo studentesco si stava avvicinando, e con Takeshi negli Stati Uniti per il wrestling, durante quella settimana, lui era stato costretto ad accompagnarla per trovare un vestito adatto. Diceva che avrebbe avuto bisogno di un’opinione maschile prima di comprare.
Dopo aver portato almeno metà dei vestiti del negozio nel camerino per Masumi, si sedette su una sedia totalmente ingombra, fingendo entusiasmo per qualcuno dei vestiti. Sicuramente erano belli, ma Kamui cominciava ad annoiarsi terribilmente solo guardando tutti quegli eleganti abiti. Borbottando qualcosa sull’aver bisogno di usare il gabinetto, scivolò fuori dalla sala d’attesa per un momento di pace.
Mentre faceva una veloce passeggiata attorno al negozio inondato da vestiti eleganti, gli occhi di Kamui saettarono intorno. Tutta quella seta e quel raso che lo circondavano lo stavano facendo sentire male. Aveva bisogno di andarsene.
E in quel momento lo vide.
Il vestito era relativamente semplice, con una scollatura ovale accentuata da un fiocco di perle, che si trovavano anche attorno alla vita. Alla sommità della morbida gonna c’era della lucente, traslucida stoffa. Il blu pallido del vestito era perfetto, e Kamui conosceva la persona che sarebbe stata meravigliosamente in quell’abito.
Kotori.
Kamui avrebbe potuto disegnarla, il vestito che scendeva morbido e leggero attorno a lei mentre scendeva per il sentiero del tempio che era casa sua, per incontrarlo dove lui si trovava accanto alla macchina. Abbracciarla stretta mentre ballavano insieme al ritmo delle lente e delicate canzoni che risuonavano attorno a loro. E quanto sarebbe stata bella.
“Vorrebbe far provare questo alla sua ragazza?”
La voce risvegliò Kamui dal suo sogno ad occhi aperti, e lui si voltò verso la proprietaria del negozio.
“Non è la mia ragazza, ma,” Kamui s’interruppe un momento prima di scegliere il vestito, “Potrebbe conservarlo per me se torno per prenderlo domani?”
La proprietaria sorrise semplicemente con consapevolezza, e prese il vestito dalle braccia di Kamui, inserendolo nello scaffale riservato dietro il registro, lasciando che Kamui tornasse ai camerini per assistere Masumi.

~~*~~*~~


Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, Kamui si sedette sul suo letto e guardò il vestito nel suo armadio. Continuava a pensare, “Perché l’ho comprato? A cosa servirà?”. Guardare il vestito che giaceva silenzioso nell’armadio lo faceva solo pensare ancora di più a Kotori.
Il telefono squillò, ma Kamui non rispose. La segreteria telefonica si mise in funzione, e Kamui sentì la voce di Takeshi dire, “Grazie per aver portato Masumi a fare compere, so che non ti sarà piaciuto affatto. Ascoltami, dovresti venire al ballo con tutti noi. Eiji e Hajime hanno già promesso a due ragazze ciascuno, ed hanno bisogno di un po’ d’aiuto. Richiamami, o parleremo quando tornerò a casa domani.”
Kamui continuò a stare seduto dopo che la segreteria si spense. Non voleva andare al ballo, in mezzo a tutte quelle coppie felice, e lui solo. Senza Kotori.
Qualcosa, qualcosa di resistente nel profondo della sua mente, una voce interiore, forse, però stava gridando “Vai! Vai!”
Deciso, sollevò la cornetta, pressò il pulsante della richiamata ed aspettò. Quando Takeshi rispose, disse calmo, “Verrò.”

~~*~~*~~


Nota dell’autrice Corto, eh? MommyTomoyo spera che vi sia piaciuto e che leggerete il prossimo capitolo, che sarà postato domani se abbiamo fortuna. Il tema del ballo sembra adattarsi bene col periodo dell’anno in cui siamo, vero?
Dite a MommyTomoyo cosa ne pensate, adora conoscere l’opinione dei lettori!

Fanfiction a cui è ispirata: "Pretty Piece of Flesh" di Juuhachi Go.
Genere: Romantico, Triste.
Pairing: Kotori/Kamui, Kamui/Fuuma.
Rating: R
AVVISI: AU, Shounen-ai, Spin-off, Spoiler.
- Kamui ha perso tutto. E nonostante questo, si rifiuta di tradire.
Commento dell'autrice: Finito XD Yay! Dunque, questa fic ha un'età decisamente alta °_° Pensate che l'idea di creare uno spin-off di questa storia è nata più o meno mentre la stessa era… circa alla sua metà. E fate conto che solo per scrivere l'ultimo capitolo alla Juccha sono voluti, tipo, sette mesi. Eggià. Assieme al concept, la prima cosa che è nata di questo racconto, incredibile a dirsi, è stata la scena in cui Kamui ha visto Fuuma per la prima volta *_* E' rimasta praticamente invariata in quanto a fatti, sebbene sia stata riscritta circa tre volte prima di raggiungere un risultato che trovasi stilisticamente almeno accettabile XD
A questa prima folgorazione è seguito un mesetto di silenzio, in seguito al quale ho ricevuto un'altra folgorazione XD stavolta per la parte KoKa. Che ho cominciato a scrivere mentre ero da mia nonna XD e che ho scritto quasi tutta in una volta. Dopodichè, parlando con la Juccha, lei mi ha fatto notare che sarebbe stato meglio aspettare la conclusione di Flesh, per vedere in che modo sarebbero finiti Fuuma e Kamui, e io l'ho accontentata, anche se avevo già deciso che, qualsiasi cosa potesse succedere a quei due alla fine, nello spin-off io avrei fatto in modo che il povero Kamuicchi finisse solo a abbandonato XD E non perché lo odi, non lo odio affatto ç___ç Solo che dal Fuuma di quella fanfiction non ci si può aspettare altro , mi sarei sentita una malvagia OOC se avessi parlato di amore eterno, e soprattutto, mi ci vedete a parlare di amore eterno in campo FuKa?!
Nonostante questo, credo che l'amore di Kamui per Fuuma non sia bistrattato in questo racconto :\ Anche perché, come ho già detto alla Juccha, sebbene io non l'approvi come pairing canon nel manga, nella sua storia sono molto affezionata a questa coppia, e rispetto moltissimo il sentimento che lega il Flesh-Kamui al Flesh-Fuuma ù_ù Ecco tutto è.é Spero vi sia piaciuta :*
Questo racconto è dedicato tutto alla mia Jucchola :O E non solo perché è uno spin-off della sua storia XD Ma perché è stato praticamente scritto in sua funzione. È un regalo nato solo per lei. È questa la motivazione più importante. Tutti i deliri pairistici sono venuti fuori dopo XD :*
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PRETTY PIECE OF MEMORY


08.30 A.M.
Il detenuto Shiro Kamui, età imprecisata, sesso maschile, viene condotto dalla sua cella alla sala interrogatori per procedere all'interrogatorio. Il detenuto mostra atteggiamenti ostili e, in un primo momento, si rifiuta di rispondere alle domande. L'agente S. riesce a cambiare la sua disposizione d'animo promettendogli che sarà un interrogatorio breve e che sarà lasciato in pace dopo aver risposto a tutto.
A domanda, Kamui Shiro risponde che prima – ed è un prima di anni, anche se non ci rivela quanti – lavorava a servizio di un'importante famiglia giapponese, della quale non fa il nome, ma che ricorda essere a capo di un grande tempio scintoista della città di Tokyo. Una famiglia rispettabile, tiene a precisare. Racconta anche di essere stato incredibilmente felice di quell'assunzione, perché gli avrebbe permesso di abbandonare l'orfanotrofio e la vita solitaria cui era abituato.
Dice di non sapere perché il signore della famiglia avesse scelto proprio lui, fra tutti i ragazzi disponibili. Non era forte, non era colto, non era neanche di buon carattere. Ma al signore sembrava non interessare niente di tutto questo, e lo portò a casa.
A questo punto l'interrogatorio si fa complesso. Il detenuto preferirebbe non rispondere ad altro e non proseguire nel racconto. Piange anche un po'. Risponde tuttavia alle incitazioni a continuare. E dunque dice di aver trascorso un primo, piacevolissimo mese di lavoro, e di essersi guadagnato, per riservatezza, fedeltà e gratitudine, la più profonda stima del padrone di casa, che un giorno, chiamandolo a sé, gli aveva parlato di sua figlia.
La signorina si trovava allora lontana da casa, in una villa di campagna ove era stata mandata a riprendersi dopo aver accidentalmente assistito al suicidio della madre, la padrona di casa, da tempo psicologicamente turbata.
Afferma che il padrone di casa gli chiese per favore di prendersi cura di lei al suo ritorno, in quanto in grado di capirlo perché anche lui orfano e unico, in quella casa, ad avere la sua stessa età. Dice inoltre che il padrone era perfettamente cosciente dei “pericoli” cui esponeva sua figlia mettendole al servizio una tale compagnia maschile, ma che di lui era certo di potersi fidare.
Il detenuto piange, confessando di essere stato molto felice di quel gesto, nessuno gli aveva mai dato fiducia, nessuno gli aveva mai dato un'occasione, nessuno gli aveva mai dato niente, in realtà, e piange ancora raccontando del giorno in cui la signorina Kotori era finalmente ritornata al tempio. Dice di aver capito subito che in lei c'era qualcosa che non andava, e afferma che l'avrebbe capito anche se non avesse saputo niente del suicidio della signora, perché la signorina aveva sulle labbra un sorriso dolcissimo ma vacuo, e sembrava dovesse crollare a piangere da un momento all'altro. Nega di aver fatto intendere alla signorina alcuno dei pensieri di cui sopra, e dichiara d'essersi semplicemente presentato come il suo nuovo cameriere personale. Ricorda inoltre che la signorina non aveva risposto al saluto, limitandosi a sorridergli, cosa che, commenta, l'aveva inspiegabilmente rattristato.
Dunque da quel giorno in poi Kamui Shiro trascorse la totalità del suo tempo con la signorina Kotori. Che descrive come splendida. Come angelica. Parla delle sue vesti come di candidi veli sempre in delicato movimento, della sua pelle come di prezioso avorio, dei suoi occhi come di ambrati brillanti e dei suoi capelli come dorata cascata di boccoli.
Sembra chiaro come il detenuto fosse profondamente legato alla signorina Kotori.
Racconta che agli inizi la signorina fu cordiale ma riservata, e che sovente gli permetteva di lasciarla sola e ritirarsi in camera sua ben prima che fosse giunta l'ora di andare a letto. Rivela inoltre di aver spesso trasgredito l'ordine della signorina di lasciarla completamente sola, e di essersi fermato poco oltre la porta, riuscendo così sovente a sentirla piangere.
Dice di non avercela più fatta ad ascoltare e basta, una sera. Dice di essere tornato indietro. Di non essere più riuscito a sopportare che una signorina tanto bella e gentile potesse singhiozzare al punto da ridursi ansante e senza fiato, e di essere dunque tornato dentro la stanza per cercare di consolarla. Ricorda di averla vista meravigliosa quella volta come mai prima, con le vesti scomposte e i capelli scarmigliati, gli occhi rossi e lucidi e le gote umide di lacrime. Ricorda di aver provato qualcosa di assoluto e indefinito, ricorda che gli batteva forte il cuore.
Alla domanda dell'agente S. che, un po' confuso dalle dichiarazioni del detenuto, chiede se quel qualcosa di indefinito e assoluto potesse essere chiamato amore, il detenuto risponde affermativamente. Ed aggiunge di saperlo solo adesso, perché l'ha provato solo due volte nella vita, e anche la seconda era assoluta e indefinita proprio come la prima, per quanto infinitamente più dolorosa.
Al richiamo del sottoscritto agente F. di attenersi a un racconto cronologicamente lineare, il detenuto reagisce violentemente. Scatta in piedi e getta la sedia su cui era seduto lontano da sé, imprecando e gridando che non ha alcun obbligo di “vuotare il sacco”, e pretendendo di tornare nella sua cella. L'agente T. lo riporta alla calma e lo convince a continuare.
Kamui Shiro racconta dunque di essersi avvicinato alla signorina e di averla abbracciata, scusandosi con lei per l'atto sconsiderato e impudente. E dice che però la signorina lo tenne stretto per un lembo della camicia, impedendogli di andare via mentre ancora continuava a piangere e, sfogandosi, gli raccontava di sua madre, di come le mancasse, di come desiderasse dimenticarsi di lei ma nonostante tutto non riuscisse a togliere la sua foto da sotto il cucino, per smettere semplicemente di guardarla. E allora lui l'aveva stretta più forte, e le aveva detto che poteva capirla, perché anche lui aveva perso sua madre, e se era per questo anche suo padre, e che quindi conosceva bene la sensazione di sentirsi legati a qualcosa che non c'è più senza poter far niente per cambiare la propria condizione, e la signorina, sentendo questo, s'era asciugata velocemente le lacrime e, affranta, gli aveva detto che le dispiaceva enormemente, che non sapeva niente di questa sua situazione, ma che lui avrebbe dovuto fermarla, ed impedirle di parlare da egoista, perché in fondo lei aveva ancora sui padre, mentre lui, Kamui, chi aveva lui?
E lui ricorda di averle sorriso e di averle risposto che tutto ciò che aveva adesso era lei, la signorina Kotori. Che era stato incaricato da suo padre di prendersi cura di lei, e che dunque lo scopo della sua vita da quel momento in poi sarebbe stato servirla. Al che la signorina aveva messo su un broncio molto carino, e aveva detto che non desiderava che lui le stesse accanto perché gliel'aveva ordinato suo padre, ma solo perché lo voleva; altrimenti, in una casa tanto grande e con tante cose a cui badare, non sarebbe di certo mancato modo di trovare una mansione a lui più congeniale.
Il detenuto ricorda di averla rassicurata sorridendo. Di aver detto alla signorina che la cosa che più desiderava in quel momento era osservarla addormentarsi serenamente, accarezzandole i capelli.
E la sua richiesta era stata esaudita.

*


10.30 A.M.
Nel momento in cui riprende l'interrogatorio, il detenuto è molto agitato e nervoso. Chiede al sottoscritto agente F. se per caso non si sia lasciato sfuggire il nome della famiglia di cui fin'ora ha parlato, e a risposta negativa pretende di visionare il rapporto per conferma. Dopo una scorsa veloce, soddisfatto ma di umore cupo, continua a raccontare. Non oppone particolare resistenza. Sembra aver capito che non si muoverà da questa stanza prima di aver detto ciò che vogliamo sapere.
Dice di aver portato via dalla stanza della signorina la foto di sua madre, e di averla nascosta per bene in camera sua. Dice che la signorina lo ringraziò con un sorriso, senza dire nulla, e non volle più parlare di quella storia, e ricorda anche che non la udì più piangere da sola, nessun'altra notte.
Fu allora, dice, che le cose cominciarono a complicarsi. Che la signorina smise di vederlo solo come un cameriere, che cominciò a considerarlo un amico, una persona di cui fidarsi, una persona da abbracciare e baciare in punta di labbra come se fosse normale. Fu allora, più o meno, che lui smise di considerarla intoccabile.
Il detenuto si porta le mani alla testa, sospira. Socchiude gli occhi e china il capo.
Ancora una volta, si rifiuta di continuare.
Ancora una volta, l'agente T. provvede a fargli cambiare idea.
E lui comincia a piangere. E piangendo racconta che i baci e le carezze tenere e audaci arrivarono naturalmente, senza pressioni, accompagnati da una dolce attrazione che giorno per giorno andava facendosi sempre più concreta, sempre più reale, sempre più tangibile, e infine sempre più viva. Viva, sì. Come ciò che ne fu frutto, e che cominciò a farsi posto nel ventre della signorina Kotori, mentre loro due, ignari di tutto, fra un nascondiglio e l'altro, continuavano a dare voce al loro sentimento.
Fino a quando fu impossibile da nascondere oltre.
Fino a quando, prima davanti ai loro occhi disperati, poi davanti a quelli attoniti del resto della famiglia, la pancia della signorina Kotori si gonfiò, annunciando una nascita.
Da lì in poi, le loro vite sembrarono imboccare una sdrucciolevole e infida via verso il basso, lungo la quale, senza freni, continuarono a precipitare. Il padrone di casa non poteva permettere che l'onore di sua figlia venisse fatto a brandelli dal figlio illegittimo dell'ultimo dei camerieri senza nome di Tokyo. Costrinse sua figlia all'aborto. E per reazione sua figlia costrinse sé stessa alla pazzia.
Il detenuto esita. Poi si abbandona tutto contro la sedia, senza forze.
Quando alla fine la signorina si suicidò, racconta, lui fu allontanato dalla casa. Era solo questione di giorni, d'altronde, confessa, in quanto era già da tempo obbligato a stare nella sua stanza, senza poter vedere nessuno, meno che mai la signorina Kotori.
La vide l'ultima volta passando davanti camera sua, mentre un cameriere lo accompagnava alla porta, senza neanche una valigia, come quando era entrato.
La signorina dormiva immobile nella sua bara, tutta la famiglia intorno piangeva, Kamui si augurò si stessero pentendo del suo omicidio. La signorina era ancora bellissima.

*


15.40 P.M
L'interrogatorio riprende dopo la pausa pranzo, resa assolutamente imprescindibile dalle pessime condizioni del detenuto, prostrato dalla fatica e dalle domande.
Il racconto del detenuto riprende col vicolo sporco e poco illuminato nel quale fu costretto ad andare a vivere date le sue pessime condizioni economiche. In quel vicolo non era il solo. Molti altri poveri disperati si trovavano già lì quando lui arrivò, e altrettanti ne arrivarono nel periodo in cui rimase, occupando il posto dei più sfortunati, che non si svegliavano dopo aver sentito per l'ultima volta la temperatura dell'aria toccare lo zero.
Lui era un fortunato. Era giovane e resistente, per quanto gracile.
Sopravvisse.
Fino a quando un giorno un uomo fece capolino nel vicolo e gli si parò di fronte, osservandolo dall'alto.
Fu in questo modo che il detenuto conobbe Fuuma.
L'uomo si chinò su di lui, scrutandolo attentamente. I suoi occhi andarono decisi oltre lo sporco, oltre la rada peluria incolta che cominciava a nascergli sulle guance, oltre l'untuosità dei capelli, oltre i vestiti sdruciti e maleodoranti, e intuirono il suo potenziale.
Sorrise, Fuuma, lasciò qualche moneta per terra, davanti a lui, e andò via.
Il detenuto afferma di essersi sentito un miracolato. Non era certo il più giovane fra gli abitanti del vicolo, e probabilmente neanche il più bello. Ma quell'uomo s'era fermato di fronte a lui e a lui soltanto aveva dato dei soldi. Se anche non l'avesse più rivisto, il pensiero di essere stato l'unico in grado di meritare qualcosa da quel visitatore inaspettato l'aveva riportato alla vita.
La cosa si ripeté. Fuuma tornò. Ancora e ancora. Per molti giorni.
Erano passate all'incirca due settimane, ricorda il detenuto, quando lui gli chiese se voleva un lavoro.
Lui annuì e si lasciò condurre senza fiatare all'Angels. Lì Fuuma lo ripulì, lo vestì e gli spiegò che il suo lavoro sarebbe stato prostituirsi. E lui non accettò perché non aveva altra scelta, o perché più in basso di com'era non avrebbe potuto essere, o perché gli servivano soldi, o perché voleva chiudersi là dentro e dimenticare tutto quello che gli era successo prima, rifiutandosi di avere un poi. Lui accettò per gratitudine. Perché quell'uomo gli aveva dato dei soldi per mangiare. Perché quell'uomo l'aveva fatto sentire speciale. Perché quell'uomo era tornato a trovarlo.
Fu in quel momento che giurò che avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Fosse stata anche la più bassa delle azioni.
Fuuma aveva un obiettivo, e desiderava con tutte le sue forze raggiungerlo. Poteva guidarlo. Poteva aiutarlo a concentrarsi solo su quello. Fuuma, per lui, era perfetto.
E Kamui si lasciò andare al suo compito, e quello che vide da quel momento in poi fu solo Fuuma. Nei corpi e nei gesti di chi lo amava con tenerezza, in quelli di chi lo violava brutalmente. Erano tutti Fuuma, erano tutti sacrifici in suo onore. Lui stesso lo era.
Fuuma era il suo mondo, Fuuma era tutto.

*


Il detenuto si interrompe. Guarda per terra, per molti secondi, senza spiccicare più una parola. L'agente T., credendolo perso nei suoi pensieri, lo riporta alla realtà con un lieve colpetto su una spalla. Allora il detenuto si riscuote, solleva uno sguardo ironico e dice “Il resto lo sapete”.
Sì, il resto lo sappiamo, ma ci manca ancora qualcosa.
“Dove diavolo è finito Fuuma?”
“Non lo so”
“Ti ha abbandonato nelle mani della polizia, così, ed è andato via senza dirti una parola?”
Sorride e non risponde.
L'agente T. non è più disposto a tollerare le sue intemperanze.

*


Mentre lo riportiamo nella sua cella, chiediamo un'ultima volta al detenuto di dirci dove si trova Fuuma.
Lui chiude il cancello da solo, e fissandoci al di là delle sbarre con un sorriso sadico, un rivolo di sangue giù dalle labbra, verso il mento, che mira a sporcare ulteriormente la già sudicia maglia bianca che indossa, dice “Vi piacerebbe saperlo, mh?”.
Genere: Romantico
Pairing: Kotori/Kamui.
Rating: PG
AVVISI: Songfic, What if?.
- "E standogli così vicino, posandogli una mano sul petto, sentendo il proprio respiro infrangersi sulla sua pelle accaldata, e le punte dei suoi capelli sfiorarle la fronte facendole un po’ il solletico, Kotori d’improvviso capì che era reale, che lo poteva toccare. Che non aveva più bisogno di sognare Kamui. Che Kamui era uscito dal sogno e le si era seduto accanto. Che sarebbe rimasto."
Commento dell'autrice: Una storia dalla lunghiiiiiiissima gestazione O_O L'idea mi è balenata in testa immediatamente, ascoltando "La porta dei sogni" di Ligabue. Non so se per il testo in sé o per l'atmosfera dolcerrima creata dalle musiche, ma insomma, ho pensato subito a Kotori e Kamui. Volevo che si chiarissero, volevo che si dessero un bacetto, volevo tanto love-love. Che poi alla fine è quello che ho ottenuto XD Yay *_* Comunque è partita con un'ispirazione folle, e infatti i primi due pezzetti li ho scritti di getto sul quadernetto, e poi li ho ricopiati al pc senza neanche modificarli tantissimo. Poi s'è bloccata °_° Sono stata presa da altre cose XD E l'ho conclusa in questi ultimi due giorni XD
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E MI ATTACCO ALLE STELLE


E mi attacco alle stelle, che altrimenti si cade…


Perse gli occhi nel blu cobalto della notte, gioendo delle moltitudini di stelle che incontrava il suo sguardo. Si ravviò una ciocca di capelli dietro un orecchio, e per un attimo quella vista la commosse al punto che le sembrò di stare per scoppiare a piangere. Invece sorrise e, poggiando le mani sulla ringhiera del balcone, giocò a indovinare le costellazioni. Era un giochino che la riportava alla sua infanzia – come tutti gli altri giochini – era un giochino che la riportava ai sei anni e a Kamui che le prometteva che un giorno l’avrebbe sposata.
Si voltò, posando lo sguardo sulla sua placida figura addormentata. Era riuscito ad assopirsi, finalmente, dopo il terremoto e la visita di quello strano ragazzo, che sembrava averlo turbato moltissimo. Un sonno tranquillo. Non ansimava, non si rivoltava tra le coperte, non strizzava gli occhi. Kamui calmo.
Quando l’aveva rivisto a scuola, quella mattina, sì, un poco aveva avuto paura. Aveva avuto paura per il suo cuore, le era sembrato che le potesse saltar fuori dal petto ed esplodere lì, di fronte ai suoi occhi. Si era sentita sopraffatta dalla felicità. Aveva sentito crescere in lei quella fiducia nella bontà del mondo che sempre si portava dentro, e che la vita aveva sempre cercato di estirparle dall’anima. Il mondo, la realtà, non poteva poi essere così crudele, se alla fine le permetteva di rivedere Kamui.
Rientrò in camera, inginocchiandosi accanto al futon. Lasciò scorrere gli occhi sul ragazzo addormentato, cercando di ricollegarlo al bambino dei suoi ricordi. Non era tanto difficile riuscirci, era rimasto uguale in maniera imbarazzante. Era anche bello in maniera imbarazzante.
Gli rimboccò le coperte, lievemente scostate, e d’improvviso lui aprì gli occhi.
Si tirò indietro, agitata.
- Scusa! – mormorò incerta, - Non volevo svegliarti…
Lui la guardò per un attimo, e poi guardò altrove, disinteressandosi di lei.
Le si strinse il cuore.
- Scusa. – ripeté, - Adesso vado via.
Fece per alzarsi, ma lui riportò gli occhi su di lei e poi sollevò una mano, aggrappandosi all’orlo della sua gonna.
- Aspetta… - disse, titubante, - Rimani.
*

…e poi alzo il volume di questo silenzio
che fa stare bene…


Cercò di alzarsi da solo, ma a metà percorso le gambe e le braccia gli cedettero, e crollò in ginocchio sul futon, privo di forza. Kotori gli si avvicinò, preoccupata, sostenendolo per le spalle.
- Non devi sforzarti! – gli disse, premurosa, cercando di farlo nuovamente distendere, - Riposa ancora un po’.
Lui scosse il capo e cercò di sorridere, per rassicurarla. Aveva voglia di uscire da quelle lenzuola, aveva voglia di respirare aria fresca, aveva voglia di vedere fuori. Si sentiva schiacciato.
- Aiutami… - le disse in un soffio.
Osservò la sua espressione cambiare, da preoccupata a decisa, e poi la vide annuire con convinzione. Le passò un braccio sopra le spalle e lei, tenendolo per la vita, lo aiutò ad alzarsi.
- Grazie.
Lei sorrise.
- E… ora?
- Andiamo fuori… al balcone…
Kotori sorrise ancora e lo condusse all’esterno, dove lo liberò dalla sua stretta e lasciò che si sorreggesse da solo, appoggiandosi alla ringhiera. Gli rimase vicino, comunque, continuando ad osservarlo.
Lui guardò la strada deserta.
- Che ore sono…? – le chiese, stupito dal silenzio irreale che li circondava.
- Molto tardi… - disse lei, sollevando il polso e guardando l’orologio, - Le quattro del mattino…
La guardò, stupito.
- …quanto ho dormito?
- Non molto, in realtà… forse quattro o cinque ore… Kamui, devi riposarti! – soggiunse, ritornando a sostenerlo per un braccio, spaventata che potesse crollare di nuovo.
- No, sto bene… davvero.
Kotori sospirò e puntò lo sguardo in alto, al cielo. Lui la seguì nel movimento.
- Quante stelle…
Kotori sorrise. Lo poté sentire nella sua voce, quando parlò.
- Da qui d’estate se ne vedono ancora di più. Te lo ricordi…?
Sì, lo ricordava.
Non rispose, continuò a fissare il cielo.
Kotori gli si avvicinò e non disse una parola. Rimasero lì, rapiti dal panorama, a osservare la notte farsi grande e profonda sulle loro teste e a riempirsi di silenzio splendido e vuoto.
*

…e mi sa che sei quella che fa luce pian piano
Chissà come ci vedi
Chissà come ridi di quello che siamo…


La guardò di nuovo quando il cielo cominciò a tingersi di macchie più chiare, e il sole a fare capolino all’orizzonte. Così, con lo sguardo fisso e capelli e vestiti immobili, sembrava una statua, o un dipinto. O un ricordo.
Il pensiero gli fece male. Gli fece male perché si rese conto, tutto d’improvviso, di quanto tempo fosse passato da quando era andato via. Di quanto tempo non li avesse neanche visti, lei e Fuuma. Di quanto tempo avesse dovuto sopportare lo scorrere, e la nostalgia. E si sentì un codardo, perché davanti a lei, in quel modo, malgrado comprendesse perfettamente la saggezza della decisione di sua madre, desiderò non essere mai partito. Desiderò avere combattuto al loro fianco, fare sapere loro tutto, condividere con loro tutto il dolore che aveva provato.
Poi desiderò schiaffeggiarsi, si diede del bambino immaturo e irresponsabile e abbassò lo sguardo sulla ringhiera, fissando le proprie mani stringersi al ferro con rabbia.
Kotori rabbrividì leggermente.
- Senti freddo…? – le chiese, tornando a guardarla.
Lei sorrise, le guance arrossate da un lieve imbarazzo, stringendosi nelle spalle.
- No, è tutto a posto! Sul serio! Piuttosto, tu…
- Senti freddo… - disse nuovamente lui, stavolta semplicemente constatandolo.
Lei sorrise un po’ più debolmente.
- Non devi preoccuparti… - lo rassicurò, - Sto bene davvero.
Sorrise della sua dolce ostinazione e le si avvicinò, a fatica, al punto che lei a un certo punto dovette aiutarlo, reggendolo da sotto le ascelle.
Lui sorrise amaramente.
- Sono pesante…
- Ma no, non lo sei affatto…
Erano sempre stati così ossequiosi? Così freddamente premurosi? Avevano sempre avuto bisogno di trattarsi con tanto educato distacco, per preoccuparsi l’uno dell’altra?
No. Sicuramente no.
Si lasciò cadere seduto per terra.
Kotori, in un secondo, fu accanto a lui, preoccupata.
- Kamui! È tutto a posto?
Lui le sorrise.
- Non volevo che mi reggessi. Preferisco stare seduto per terra.
Lei sembrò offendersi. E rattristarsi, anche.
- …non vuoi che ti tocchi…?
Sollevò un braccio, sfiorandole il viso con due dita.
- Non è così. Solo, voglio stare accanto a te senza avere bisogno di essere tenuto in piedi.
- Ma qui fuori è sporco! Non è meglio se entriamo? Potresti prendere freddo!
Kamui rise di cuore.
- Non preoccuparti, dai. Facevamo pazzie peggiori, quando eravamo piccoli, non ricordi?
Kotori rimase in silenzio, spalancando gli occhi.
- Io ricordo tutte le nottate passate a dormire fuori, accampati sul prato, solo con un sacco a pelo. Giocando fino a notte fonda, aspettando l’alba. Vuoi che ci sconfigga qualche ora passata a guardare il cielo?
La ragazza sorrise.
- Hai ragione.
Si sedette comodamente accanto a lui, appoggiando la schiena al muro.
- Guarda, Kotori. Il sole.
Una macchia rossa cominciava ad apparire, lontana, all’orizzonte, mutando il colore del cielo. Kotori la fissò, lasciando che le bruciasse gli occhi, per poter versare qualche lacrima di commozione senza dover per forza ammettere di essere semplicemente felice come una bambina, da scoppiare.
Kamui la vide piangere e capì tutto. Le passò un braccio sopra le spalle, stringendola a sé. E standogli così vicino, posandogli una mano sul petto, sentendo il proprio respiro infrangersi sulla sua pelle accaldata, e le punte dei suoi capelli sfiorarle la fronte facendole un po’ il solletico, Kotori d’improvviso capì che era reale, che lo poteva toccare. Che non aveva più bisogno di sognare Kamui. Che Kamui era uscito dal sogno e le si era seduto accanto. Che sarebbe rimasto.
*

E mi attacco alle stelle, tiro un po' a indovinare
mi predico un presente in cui non c'è niente
se non respirare


Quando Kotori sorrideva non era mai silenziosamente. I suoi respiri sorridevano con lei, si sentiva nella loro tranquillità, in quella regolarità tutta speciale. Risuonava nel lieve sollevarsi e abbassarsi del suo petto, si sentiva che si muoveva con gioia. Si percepiva la calma fluire dai suoi occhi. Non erano particolari che si potevano cogliere solo con uno sguardo, no, né solo sensazioni tattili. Erano suoni. Reali. Avevano bisogno di essere ascoltati.
Kotori era musicale.
Kotori era musicale anche in quel momento, solo per lui. Stava suonando la sinfonia del suo corpo per fargli sentire che era felice. Gliel’aveva dedicata quando era nata, quell’aria, e continuava a dedicargliela sedici anni dopo. Assolutamente fedele. Assolutamente presente. Assolutamente sua.
Non poté fare a meno di arrossire, realizzandolo. Capì che, per quanto la sua vita potesse essere incasinata, per quanto non avesse idea di dove si sarebbe trovato l’indomani mattina aprendo gli occhi, di chi o cosa avrebbe potuto vedere o di che cosa gli sarebbe potuto accadere, Kotori aveva scelto di essere tutta sua, di esserlo sempre, con tutta la sua gentilezza. E ogni suo tocco lieve era una dichiarazione.
- Kotori… - mormorò, imbarazzato, riscuotendosi lievemente per poterla guardare con la coda dell’occhio.
Lei non disse niente, non si mosse di un millimetro, ma chissà come il suo respiro lo incoraggiò a continuare.
- …sono felice di averti rivista. Non volevo tornare e non volevo rivedervi, né te né tuo fratello. Non volevo… non vi rivolevo nella mia vita. Però, adesso che ti ho vista, sono felice che sia successo.
E nel momento stesso in cui lo disse si sentì liberato dal macigno che lo opprimeva da anni. Si sentì come rinato. Come salvato.
Se quella ragazza non era un angelo vero…
- Io non ho sognato altro, sai, Kamui? Da quando sei partito non ho fatto che sognare il tuo ritorno. E ogni volta che tornavo a casa, o che mi andavo a coricare, mi sentivo sempre un po’ male perché il mio sogno non si avverava mai. Ma poi tornavo a sognarti mentre dormivo, e mi riempivo di speranza ancora una volta.
Si appoggiò a lui col capo.
- Sempre. Non ho saltato una notte, Kamui.
Si chinò su di lei. Osservò il suo sguardo perso di gioia, le labbra dischiuse in un sorriso di festa, e le volle assaggiare, per vedere se erano buone come aveva sempre immaginato fossero. La baciò lievemente, sfiorandola appena, accarezzandole i capelli morbidi dietro alle spalle.
Non ebbe il tempo di separarsi da lei, perché appena si scostò Kotori afferrò un lembo della sua maglietta e, rossa in viso, con gli occhi semicoperti dalla lunga frangetta, lo invitò a restare.
Il sapore era buono, la stretta gentile.
Rimase.
*

E mi attacco alla luce di questa notte
E salto, salto, ma rimango giù…


Rientrarono, quando gli occhi di Kamui cominciarono a chiudersi e il suo abbraccio a farsi pesante e abbandonato per via del sonno. Era già mattina, per quanto presto fosse, e il sole aveva già preso a riscaldare l’aria e diradare le poche nubi di umidità della notte. I capelli di Kotori splendevano, e i suoi occhi pure.
Adagiandosi sul futon, poggiando il capo sul suo grembo, desiderò addormentarsi con quell’immagine fissa negli occhi, e la pregò di restare. Lei sorrise, sistemandogli le coperte sul petto e giocando coi suoi capelli con teneri gesti lenti. Continuò a giocare fino a quando non ebbe chiuso gli occhi.

…la porta dei sogni chiudila tu.
Genere: Introspettivo/Dark/Malinconico/Triste
Pairing: Kotori/Kamui
Rating: PG
AVVISI: DeathFic.
- Il sogno ricorrente di Kamui...
Commento dell'autrice: Breve (appena tre paginette), ma molto densa. Ho usato uno stile che non uso tanto spesso, cercando di dare più forza possibile alle immagini. Era ingiusto non scrivere niente su questi due ;.;
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Onirica


Nel suo sogno ricorrente, Kamui è seduto sulla riva di un fiume e guarda la superficie dell’acqua con grandi occhi indaco, umidi di lacrime da poco versate. È bambino, lo sa perché se guarda mani e piedi li trova piccoli e infantili, ma non può riflettersi: l’acqua è scura e densa, e scorre lenta come fanghiglia. Se vi immerge un dito, quando lo riporta in superficie lo trova come sporco di vernice blu intenso. No, non come vernice, più densa ancora: come tempera.
Non sente alcun suono, in principio. Non il tipico rumore dell’acqua che, scorrendo, inciampa sui sassi nel fondo del letto del fiume, non il fruscio delle foglie degli alberi che nota, distanti, a formare una foresta fitta, nera e informe, neanche il suono del suo respiro, o qualsiasi altro rumore dovrebbe produrre il suo corpo per il semplice fatto che vive.
Attorno non c’è nessuno. In quel sogno insonorizzato e monocromatico, il piccolo Kamui si sente infinitamente triste, impaurito ed abbandonato.
“Mamma…” mormora, o almeno ci prova. Perché sente le sue labbra muoversi a pronunciare quella parola, ma non ode nulla. Il silenzio è così assoluto che è incredibile, e Kamui ha paura di essere diventato sordo. “Ho gridato troppo”, si dice, “ed ora non sento più nulla.”. Non ricorda per quale motivo abbia gridato tanto, anzi è sicuro di non volerlo ricordare per niente al mondo, ma questo stordimento che accompagna la sordità lo terrorizza troppo per non desiderare di tornare al mondo dei suoni nel più breve tempo possibile.
Nel momento in cui sta per abbandonarsi nuovamente a lacrime e singhiozzi muti, però, ecco che Kamui ricomincia a sentire. Dapprima, solo un’eco lontana, qualcosa che somiglia al tintinnio di un campanellino o, forse, allo scrosciare dell’acqua di una cascatella. Il suono si avvicina, ed è accompagnato da un impercettibile fruscio di vestiti, e dal sottile rumore di piedi delicati che calpestano l’erba.
Kamui si volta e vede. Una bambina. Avrà la sua età, al massimo, ma probabilmente è più piccina, anche se di poco. I corti e biondi capelli le ricadono ai lati del viso in morbidi boccoli, e la frangetta regolare scende a coprire la fronte. L’intera, piccola figura è avvolta in un lungo ed ampio vestito primaverile, candido come la neve, che da l’idea di qualcosa di estremamente morbido, come una nuvola. Attorno alla bambina è diffuso un biancore che sa di angelico.
Kamui non sente ancora il suono dell’acqua o il fruscio delle foglie, ma sente il battito del proprio cuore, improvvisamente forte e veloce, ed il respiro, a tratti spezzato dalla meraviglia. Nessuna percezione riguardante ciò che lo circonda, ma di sé stesso e della divina figura che lo guarda con un sorriso allegro sente tutto.

Un battito di ciglia, e mani e piedi sono quelli di un ragazzo, ma il paesaggio muto e scuro è lo stesso. Il fiume alle sue spalle scorre sempre denso, e gli alberi lontani si agitano sempre in virtù di un vento immobile che Kamui non sente sulla pelle.
Della bambina nessuna traccia, ed il cuore di Kamui si ferma di nuovo, così come il suo respiro. Il ragazzo non capisce, e si sente di nuovo bambino e sperduto. Si accuccia per terra e percepisce chiaramente il suo corpo rimpicciolirsi, mentre, con la testa fra le mani, viene scosso da singhiozzi tanto dolorosi quanto inudibili. Ogni singhiozzo un anno e dieci centimetri in meno.
E poi, d’improvviso, due braccia bianche e splendenti come la luna lo avvolgono, e lui sente il loro calore, ed una voce che lo chiama dolce, “Kamui…”. Solleva lo sguardo ed è di nuovo ragazzo, riprende a respirare, torna a vivere, ed è la bambina bionda che lo abbraccia, solo che non è più una bambina, è una ragazza come lui, ed indossa lo stesso vestito primaverile bianco, più lungo, più ampio, più morbido, ed i capelli sono una cascata di un biondo luminoso, e non ricadono solo sull’esile collo e sulla dolce curva della schiena di lei, ma sul petto di Kamui, ed alcune ciocche ribelli gli solleticano il viso. È la più dolce delle agonie sentire il respiro che si blocca per l’emozione e la fitta a sinistra del petto per la meraviglia. Il suo nome è musica se pronunciato da quelle labbra di un rosa pallido ma naturale come i petali dei fiori dell’erica d’inverno.
A Kamui pare di non ricordare niente, né come sia finito in quel luogo, né perché non si decide ad andarsene via, ma qualcosa, un nome, riemerge tra le pieghe della sua memoria; “Kotori…”, sussurra, ed è il nome della ragazza, lo sa, è l’unica cosa che sa.
Lei sorride premurosa, come rassicurata, e lo aiuta a rimettersi seduto. Gli si appoggia contro una spalla e poi fa scivolare un dito ad indicare ogni punto del paesaggio davanti a loro, ed ogni cosa prende colore e forma definita. Il fiume è trasparente e l’acqua scorre allegra, e l’erba è verde e si agita scossa dal lieve vento fresco che scompiglia i capelli, la foresta lontana è lussureggiante ed animata da vita operosa, il cielo è azzurro ed il sole splende mettendo in fuga le poche nuvole che si ostinano a tentare di prevaricarlo, e tutto risuona di primavera.
Kamui guarda il mondo con un sorriso nascente sulle labbra, e poi lascia gli occhi riposarsi in quelli dorati di lei, stringendole una mano. È affascinato e riconoscente, sente che stando a lei potrebbe riuscire a fare qualsiasi cosa. Accanto a lei o per lei. “Kotori”, ripete dolce, e lei di nuovo sorride. “Mi piace come pronunci il mio nome, Kamui…” dice lei avvicinandosi e nascondendo il viso contro il suo petto. “Non sai quanto t’ho aspettato…”. “Aspettato?”, chiede lui, “Ma come? Sono io che non ti ho più vista, ed ho avuto tanta paura…”. Lei gli accarezza una guancia, mentre inarca le sopracciglia verso il basso ed il suo viso assume un’espressione triste. “Non mi hai più vista perché sei sparito. Per sei lunghi anni, Kamui-chan…”.
E Kamui ricorda tutto. Ricorda il tempio Togakushi, ricorda sua madre Tohru, Saya, la donna che chiamava zia, ricorda il suo caro Fuuma, il fratello di Kotori… e su tutti e tutto ricorda lei, che voleva proteggere a costo di starle lontano, ricorda il biondo dei suoi capelli, la luce dei suoi occhi ed il bagliore del suo perenne sorriso, le sue mani calde, il suo tocco dolce, la sua Kotori, quella che diceva di voler sposare…
“Kotori… scusa…”, mormora in un soffio mentre sente gli occhi riempirsi di lacrime, “io sono sparito per tanto tempo ed ho potuto solo aspettare il tuo aiuto per far sì che questo posto tornasse a illuminarsi della luce del sole… ti ho costretta a venire qui, in questo mondo cupo ed oscuro, solo con la tua luce e senza far nulla per aiutarti…”. Lei lo interrompe con un aggraziato gesto della mani. “No, Kamui, non devi scusarti per questo. Sono io che l’ho voluto…”.
Kamui si lascia andare ad un pianto commosso sul petto profumato di Kotori, mentre una manina morbida gli scivola fra i capelli e sulla fronte, ed una bocca di pesca bacia via le sue lacrime una per una.

Quando riapre gli occhi, Kamui è di nuovo solo e tutto è tornato blu scuro e nero denso. Ogni cosa è di nuovo immobile, informe e silenziosa, o forse semplicemente lui è tornato insensibile a tutto. Kotori non è più al suo fianco, non lo sfiora né lo consola più. Kamui non sa dove lei si trovi, sa solo che è troppo distante, e che lo sarebbe anche se a separarli fossero solo due metri.
Il ragazzo alza gli occhi al cielo e la vede, finalmente. Appesa ad una croce con fili talmente stretti che tagliano la candida pelle e lacerano il vestito, senza pietà. Kamui vorrebbe muoversi, andare a salvarla, ma è inchiodato al muro da un’ombra più grande di lui, e non riesce neanche a parlare per il dolore intenso che lo scuote, come se l’avessero trafitto con diecimila spade.
Neanche Kotori parla, ma lei non può perché è svenuta; i suoi occhi sono serrati, le labbra dischiuse e l’espressione del volto è contratta in una straziante ma appena accennata smorfia di dolore composto. L’ombra adesso è su di lei, la sovrasta dall’alto dell’asse verticale della croce metallica. Una spada si materializza e nel tempo in cui il cuore di Kamui manca un battito è già conficcata nel petto di Kotori, mentre il sangue scende scuro e denso come il fiume, ma terribilmente rosso, ad insozzare le vesti della ragazza. I fili attorno al capo di stringono, si stringono ancora, e dopo una ferita più profonda delle altre la testa di Kotori cade a terra, rincorsa dalla marea dei suoi capelli che si spargono ovunque, privi di qualsiasi lucentezza.
Solo allora l’ombra si dirada, e Kamui è libero e ritrova il fiato; “Kotori!” grida con tutte le sue forze, e malgrado possa parlare non trova le parole, non trova gli aggettivi per il suo dolore, perciò urla, urla con tutta l’aria dei suoi polmoni, e non respira quasi fra un singhiozzo e l’altro, mentre benedice con lacrime più salate dell’oceano il capo mozzato della sua ragazza, la ragazza che ama.
Solo allora comprende l’importanza della sua presenza, l’orrore della sua assenza, la tragedia della sua morte.
Nel suo sogno ricorrente, Kamui bacia all’infinito le labbra imbrattate di vermiglio sangue della sua Kotori perduta.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo.
Pairing: KamuixKotori.
Rating: PG13
AVVISI: Drabble.
- Kamui riflette sulla morte di Kotori e sulla sua assenza.
Commento dell'autrice: Sono stata folgorata prima di tutto dall'ultima frase, che mi è venuta in mente all'improvviso, decontestualizzata. Poi, siccome volevo fortemente utilizzarla da qualche parte, ho cominciato a costruirci sopra la storia XD E quei due erano perfetti per lo scopo.
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Noi


Quando eravamo piccoli, il “noi” era scontato. Era scontato come il sole, era scontato come la luna, era scontato come la luce dei tuoi occhi quando increspavi le labbra in quegli adorabili sorrisi rosa che ti agitavano tutta, e che agitavano anche me, riempiendomi di turbamento. Ma era un turbamento piacevole, un turbamento da piccolo e ingenuo innamorato.
Poi, be’, è ovvio che la morte spegne tutto, il sole, la luna e anche i sorrisi. Ed è ovvio che li spegne per sempre, perché non dà possibilità d’appello.
Non so come farò a resistere a questa eternità di “noi” soffocati.