libri: sarao takase

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo/Drammatico
Pairing: Sui/Sarao
Rating: R
AVVISI: Incest.
- La storia di un amore vista con gli occhi di un uomo disperato e prossimo al crollo.
Commento dell'autrice: La mia quattordicesima fanfiction, sull'ormai solito libro di Banana Yoshimoto, "NP". Mi dispiace, ma è davvero L'UNICO libro per il quale (secondo me) valga la pena di perdere un po' di tempo a leggere/scrivere qualcosa. E' davvero unico, inimitabile, l'opera somma della Yoshimoto. E di questa fanfiction in particolare sono orgogliosa come non mai. Mi ha lasciata SODDISFATTISSIMA. Mi piace come ho reso il personaggio di Sarao (che nel libro era fondamentale, ma non parlava mai) e mi piace come ho reso il suo rapporto con Sui, e mi piace come ho reso il senso di colpa dell'uomo verso Otohiko e Saki. So che potrà sembrare poco modesto, ma penso davvero di aver fatto un buon lavoro di caratterizzazione. Vi prego, leggetela questa fic.
Nota: Questa fanfiction ha partecipato alla quinta edizione del concorso sull'EFP, ed è arrivata seconda!!!
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Ninety-eight


Adesso è tutto perfettamente chiaro nella mia mente.
Senza neanche aver bisogno di fare esami del sangue o del DNA o altre cose... io so.
Lo so. Sei mia figlia.
Perché non mi sono fermato, stanotte?
Sui Minowa... so perfettamente che l’hai capito anche tu. Lo sento dentro.
Tu sai di essere mia figlia e non me lo vuoi dire.
Anzi, io che l’ho capito solo adesso, sono convinto che tu lo sappia da molto prima di me.
Probabilmente lo sai da sempre, dalla prima volta che siamo andati a letto insieme.
Il fatto... è che non riesco ad allontanarti.
Che cos’è? È strano...
Non ho più una moglie – la mia mi ha lasciato da tempo – ma ho ancora due figli... due figli che sono tuoi fratelli...
Per correttezza, non solo verso di te, ma soprattutto verso di loro dovrei lasciarti ed andarmene via...
Questi cento racconti... è un progetto che mi sto portando dietro da tempo immemore... così tanto tempo che in America hanno già deciso di pubblicarlo, malgrado manchino gli ultimi tre.
Anzi, a dire la verità mancano a loro... non a me.
Il numero novantotto... mi dispiace, non riesco a finirlo.
Parla di te, lo sai Sui? Parla di noi. Un rapporto incestuoso fra padre e figlia.
È un racconto veramente molto triste.
Ma c’è un problema, non riesco a finirlo. Perché ogni volta che apro quel manoscritto, lo rileggo per fare il punto della situazione, e poi arrivo alla fine, mi sento un blocco all’altezza del cuore che si sposta all’apertura della bocca e non mi fa parlare. Mi occlude il cervello e non mi fa pensare. Mi stringe il polso e non mi lascia scrivere.
Scrivere... l’unica cosa che sappia fare. Sono un uomo incapace di altro, oltre che scrivere e commiserarmi. Non sono neanche capace di amarti come si deve... e non intendo amarti come una figlia. Intendo proprio che non sono capace di amarti come donna. Tu mi metti terribilmente in soggezione. Sarà la tua giovinezza, in contrapposizione ai miei quaranta anni passati... sarà la tua voglia di vivere contro la mia di lasciare questo mondo... non so cosa sia, so solo che ogni volta che ti guardo mi sento morire dentro. E non è senso di colpa, è proprio che mi sento inferiore. Terribilmente inferiore.
Se te lo dicessi non capiresti, anche perché stento a capirmi già da solo...
Il numero novantanove... quello l’ho già finito. Se poi si può dire che una cosa del genere sia “finita”.
Non è niente più che un bozzetto, una confusa accozzaglia di sensazioni e di riflessioni che alla fine non portano a niente.
La lettura ti lascia dentro una sensazione di insoddisfazione decisamente spiacevole.
Ma ormai è finito.
Il numero cento... il tanto ambito centesimo racconto che porrebbe fine a questa lunga catena di sofferenza, la mia sofferenza...
Non ho la più pallida idea di cosa ci scriverò dentro. Non so neanche se lo farò.
Sono un uomo stanco, Sui...
- Ben svegliata...
Che bel sorriso che hai... non mi assomigli per niente. Sei tutta tua madre.
Sai, non la conoscevo bene. Anzi, direi che non la conoscevo proprio. Ma lei mi ha affascinato terribilmente, un po’ come te.
Era una donna molto energica, vitale... con un gran bel sorriso, proprio come il tuo.
E chissà perché sto parlando al passato...? Non lo so nemmeno se è morta. Tu non me lo hai detto. Io non te l’ho chiesto. E non lo voglio nemmeno sapere.
Anche perché, sai, non mi interessa. Non è una bella cosa da dire, ma da un po’ di tempo non mi interessa più niente.
È la terribile voglia che ho di farla finita con tutto... con te, con Saki, Otohiko, la mia ex moglie, i libri... con la vita.
Io non ce la faccio più.
Ma la cosa peggiore è che proprio quando mi sento psicologicamente pronto per il grande passo e, finalmente, suicidarmi, allora... mi ricordo di tante piccole cose, tanti piccoli gesti che, a loro tempo, mi diedero una felicità immensa.
Ogni giorno diventa più difficile, perché aumenta in maniera esponenziale la mia voglia di nulla, ma il mio cervello riceve sempre più bei ricordi da fare affiorare al momento giusto per fermarmi le mani.
Penso a quanto sono stato felice il giorno del mio matrimonio, alla nascita dei miei figli, quando ho conosciuto tua madre, quando ho fatto l’amore con te... e nasce in me un sentimento che mai avevo provato prima: la strana voglia di finire la mia vita circondato dai miei cari, in vecchiaia, come ogni persona sognerebbe... e lì mi blocco.
Il coltello cade per terra, la pistola viene riposta nel mio borsone da viaggio, l’idea di comprare un veleno si nasconde negli anfratti del mio cervello... e ricomincio a scrivere, perché è l’unico modo che ho per liberarmi dalle mie dannazioni. Una delle quali è rappresentata da te.
Ti odio e ti amo allo stesso modo. Forse ti amo un po’ di più. Ma le quantità sono simili.
Ti odio perché sei il simbolo di una vita sbagliata, la mia punizione continua. Ogni volta che stiamo insieme mi assale la terribile paura dell’inferno. Non l’inferno religioso, ma l’inferno dell’animo. Io non ho paura di non riuscire ad essere perdonato da un’entità divina: ho paura di non riuscire a perdonare me stesso.
Vado a letto col sangue del mio sangue perché non è solo la mia vita ad essere sbagliata, sono io che lo sono.
Sono io che sono completamente fuori luogo in un mondo come questo.
Io.
Infatti non è tua la colpa.
Anche adesso che ti alzi, ancora nuda, e mi vieni ad abbracciare, io non vedo un’amante: io vedo mia figlia.
E questi sono i momenti in cui la voglia di nulla prende il sopravvento sulla speranza di una vita che non potrò mai avere.