rp: dj stickle

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Romantico, Commedia.
Pairing: Fler/Chakuza, Fler/Bushido (accennato), Fler/Doreen (accennato).
Personaggi: Chakuza, Fler, Bushido, Eko Fresh, DJ Stickle.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, What If?.
- Poco tempo dopo l'uscita del quarto album di studio, Fler viene allontanato dall'Aggro Berlin. Ed ecco che si ritrova seduto di fronte alla scrivania biposto di Chakuza e DJ Stickle, alla Beatlefield. Partendo da questi presupposti, palesemente non potrà accadere niente di meno che disastroso. Ed infatti il disastro accade.
Note: Io amo il Flerkuza per motivi che con questa storia non c’entrano niente XD Nel senso che questa coppia – almeno per quanto mi riguarda – è nata all’interno di EKR e per il preciso motivo che lì questi due personaggi si trovavano ad interagire in un determinato modo con un qualche perché. Ho sempre pensato, lavorando alla saga, che in qualsiasi altro contesto il Flerkuza non avrebbe mai potuto avere senso. Con Fler per le mani, si poteva lavorare col Flershido, che praticamente è canon. Con Chaku per le mani, volendo poteva venire fuori del buon Chakushido. Ma il Flerkuza come lo giustifichi? Non puoi, questi due sanno l’uno dell’esistenza dell’altro solo per le beghe di quartiere dei loro superiori, suppongo X’D
Caso ha voluto che però io finissi col posare lo sguardo sulla bio di Fler sul suo sito, e riuscissi a carpire, fra le varie cose, che ultimamente c’erano stati dei rumor in merito ad un suo probabile abbandono dell’Aggro Berlin. I motivi non c’entrano niente con quelli da me esposti in questa storia XD ma è stato questo – assieme alla notizia del fatto che uno dei brani di Fler, il nuovo album in uscita a marzo, è stato cantato con Doreen, fidanzata da lungo tempo con Sido – a far scattare nella mia testolina una molla. La molla in questione, ballonzolando, diceva: “e se questa collaborazione con Doreen avesse avuto l’effetto di avvicinare i due? E se, in seguito a questo, Fler fosse stato allontanato dall’Aggro Berlin? E se, in cerca di una nuova etichetta, fosse approdato alla Beatlefield?”.
Questa è, in sostanza, la risposta che mi sono data XD Lunga, sì. Dimenticabile, anche. Ma c’è un Bushido che amo XD E la scenetta finale se la vale tutta u.u *decisa*
Partecipante all’adorabile Criticoni!Challenge Temporal-mente <3
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Egal Was War
I'm not gonna blast you on the radio, I'm not gonna lie on you or your family. (Survivor – Destiny's Child)


Dalla propria poltrona dietro la scrivania biposto che lui e Stickle usavano per ricevere i visitatori e i giornalisti nell’ufficio principale della Beatlefield, Chakuza si guardò intorno con aria smarrita e per un solo, singolo secondo si chiese se per caso non fosse precipitato in una realtà alternativa in cui fosse normale vedere Patrick Losensky – alias Frank White alias Fler – seduto su una poltrona a rimirarsi le unghie in attesa di una risposta affermativa alla domanda “allora, mi mettete sotto contratto o no?”. Se lo chiese per il semplice fatto che Stickle non sembrava granché turbato di fronte al fatto, ma lui era sicuro – ma sicuro davvero – che invece dovesse esserci almeno un motivo per provare dell’inquietudine, e quel motivo cominciasse per B e finisse per O.
- Scusatemi un secondo… - s’intromise quindi, massaggiandosi le tempie in previsione del mal di testa che sarebbe sicuramente arrivato quando avrebbe raccontato il tutto a quello che, comunque, restava il suo capo, indipendenza dell’etichetta a parte, - Fler, posso capire cosa ci fai tu qui?
Stickle si voltò a guardarlo neanche avesse visto un alieno planare con un disco volante nel mezzo dell’ufficio.
- Chakuza, ma tu non li leggi i giornali? – borbottò, inarcando un sopracciglio, - Non lo sai che Sido l’ha buttato fuori dall’Aggro?
Chakuza, in effetti, no, giornali non ne leggeva. O meglio, come tutte le persone normali e mediamente impegnate, scorreva le prime pagine di cronaca e dava giusto un’occhiata ai necrologi, fermandosi ampiamente prima dell’inserto sul mondo dello spettacolo. E, nei rari casi in cui tornava a casa abbastanza riposato da sopravvivere alla cena e alla doccia e concedersi un po’ di televisione, tutto desiderava meno che guardare a ripetizione i telegiornali di informazione musicale di MTv: tutto quello che poteva importargli sapere – vicissitudini dell’Aggro Berlin comprese – arrivava all’Ersguterjunge tramite Bushido, e visto che quella notizia non era arrivata Chakuza non ne aveva saputo niente. Fino a quel momento, almeno.
- …buttato fuori dall’Aggro. – prese atto, annuendo compitamente, - E perché?
Stickle sembrò in effetti sorpreso dalla domanda. Stickle era un uomo semplice, Chakuza adorava questo suo essere semplice perché ne faceva un collega perfetto. Per dire, collaborare con Bushido era straziante. Con Eko Fresh, neanche a parlarne. Ma Stickle, lui era per le cose palesi. Non andava mai troppo a fondo, anche perché si sa che a scavare si trova solo fango.
- Questo non lo so. – rispose quindi sinceramente il DJ, - Fler?
Losensky, svaccato sulla poltrona in pelle neanche fosse già convinto di essere a casa e potesse perciò prendere possesso di qualsiasi cosa lo circondasse, inarcò un sopracciglio e li fissò entrambi come a dire “che domanda del cazzo”.
- Mi sono scopato la donna di Sido. – rispose comunque, scrollando le spalle.
Chakuza sentì l’improvviso e insopprimibile bisogno di scoppiare a ridere istericamente e uscire dall’ufficio senza dire una parola. Probabilmente l’avrebbero preso per pazzo, ma almeno si sarebbe cavato d’impiccio e, quando il danno si fosse compiuto – perché si sarebbe compiuto: gli occhi di Stickle brillavano, e quegli occhi tondi e scuri brillavano solo quando intuiva enormi possibilità di guadagno dietro un semplice gesto – avrebbe potuto giustificarsi con Bushido dicendo “io non c’entro niente, quando mi è stata posta la possibilità sono fuggito ridendo. Amen”.
- Oh… - borbottò invece, sistemando dei documenti assolutamente vuoti e privi di utilità sulla scrivania, - Capisco. – in realtà non capiva. Perché cavolo uno silurato dall’Aggro Berlin per essersi scopato la donna del capo doveva venire a rompere i coglioni all’Ersguterjunge?
Realizzò proprio mentre formulava mentalmente il lunghissimo nome della dannata etichetta di Bushido.
La Beatlefield non era l’Ersguterjunge. Ecco perché Fler era lì.
- Stickle? – chiamò quindi il collega, voltandosi appena nella sua direzione, - Non pensi che potrebbe essere, tipo, la scelta peggiore che potessimo mai fare?
Stickle non sembrò capire.
- No. – rispose candidamente, - Fler vende dischi con una media di cinquantamila a botta. No, Chakuza, non penso proprio che potrebbe essere la scelta peggiore che potessimo mai fare.
- Ma… Bushido… - cercò di insistere lui, senza lasciarsi sfuggire l’occhiata infastidita di Fler, dalla poltrona, - Intendo, lui non sarà-
- Oh, ma con Bushido ci parli tu. – disse bonariamente Stickle, battendogli una pacca sulla spalla, - Ti ascolta, sei uno dei pochi.
Il panico s’impossessò di lui con la stessa facilità con cui se ne impossessava il sonno quando poggiava la testa sul cuscino dopo dodici ore di duro lavoro.
- Io non glielo dico a Bushido che l’uomo che lo sfancula da anni è sotto contratto alla Beatlefield! – strillò, alzandosi in piedi, - E tu, - aggiunse, indicando Fler, - non sei ancora sotto contratto da nessuna parte, per inciso, quindi non metterti troppo comodo!
Fler non fece una piega. Piuttosto, si svaccò ulteriormente, stendendo un paio di gambe semplicemente chilometriche – doveva essere più alto perfino di Bushido – dritte davanti a sé, fino a sfiorare la scrivania.
- Vorrei precisare che è stato Bushido il primo a prendersela con me. Io ce l’avevo solo con Eko Fresh. – disse con tono neutro, scrollando appena le spalle.
- Questa dovrebbe essere una giustificazione? – chiese Chakuza, fissandolo allucinato, - Ma sai stare seduto composto?
- Sì. – disse Fler, rispondendo palesemente alla prima domanda, - E no, non me l’ha insegnato nessuno. – concluse, rispondendo anche alla seconda. – Stare seduti composti è una referenza per entrare a far parte della Beatlefield? No, perché in questo caso-
- Di cos’è che stiamo parlando?! – strillò ancora Chakuza, tornando a guardare Stickle, - Intendo, cosa ce ne facciamo di lui? Lo mettiamo sotto contratto e gli produciamo un album ignorandone i contenuti ed ignorando anche che Bushido staccherà le nostre teste a morsi, quando lo verrà a sapere?
Stickle sembrò pensarci su per un momento.
- Be’, è un’idea. – rispose infine, - Ho un po’ di beat da parte, si potrebbe-
- Ma Cristo santo! – esalò, abbattendosi esausto contro la scrivania e scivolando nuovamente sulla propria poltrona, - Sento che finirà male.
- Allora sono dentro? – chiese Fler, rimettendosi dritto per poi sporgersi un pochino in avanti come volendosi alzare senza sentirsi ancora pronto a farlo, - Giusto per capire, eh.
Stickle gli sorrise bonariamente, mentre Chakuza sfilava il cappellino per riprendere a massaggiarsi le tempie con più efficacia.
- Ma sì, guarda, già domani mattina se vuoi puoi portare del materiale. Se ne hai s’intende.
- Sono pieno di materiale. – rispose Fler, alzandosi finalmente, - Il contratto?
- Certo che ne hai di fretta. – borbottò acido Chakuza, inarcando un sopracciglio mentre gli lanciava un’occhiataccia disapprovante.
I lineamenti di Fler si tesero repentinamente, e Chakuza lo osservò con occhio pallato avvicinarsi e fare il giro della scrivania, fino a che non lo vide planare tranquillamente seduto sul tavolo, sollevando appena una gamba e guardandolo dall’alto con una certa aria di supponenza che non gli piacque per niente.
- Senti, io contro di te non ho niente, okay? – lo rassicurò, - Non posso dire che tu mi piaccia a chissà quali livelli, ma sei ascoltabile, sicuramente più di certa altra merda che viene fuori dalla premiata ditta EGJ e affini, almeno hai una voce e qualcosa da dire. Però se intendi cominciare a rompermi i coglioni fin dal primo minuto-
- Ehi, allora! – si alzò in piedi, anche perché fronteggiarlo in quel modo era decisamente più facile, visto che Fler, da seduto, non rappresentava più quella specie di monolite che invece era quando stava dritto sulle gambe, - Tanto per cominciare, questa è la mia etichetta, quindi se io decido di romperti i coglioni e tu vuoi restare, resti a queste condizioni, chiaro?
Fler incassò la testa nelle spalle, ma non lo fece con l’aria di uno che si sente colpevole ed accetta un meritato rimprovero. Sembrava più una specie di enorme gatto pronto a saltargli addosso e sfregiarlo, tipo.
- Secondo poi, sarebbe il caso che da queste parti non si parlasse male di Bushido, visto che siamo affiliati all’Ersguterjunge, ti piaccia o no. E, per inciso, se l’EGJ è tanto piena di merda, cosa ci sei venuto a fare qui, eh? Perché non ti sei aperto una dannata etichetta per conto tuo?
Fler lo guardò a lungo, e poi si limitò a scrollare le spalle e rimettersi in piedi, privandolo in un colpo del vantaggio che aveva accumulato fino a quel momento.
- Io non ho la più pallida idea di come si gestisca un’etichetta. – spiegò alla fine, con candore disarmante, - Io canto e basta. E voglio continuare a farlo anche se ho ficcato l’uccello dove non dovevo. Ho sbagliato, ma non è un motivo valido per stare zitto. E siccome non ci torno strisciando da Bushido, e di sicuro non potevo andare a bussare alla porta di Eko Fresh, sono venuto qui. Mi sono detto “sia mai il cuoco austriaco è meno testa di cazzo degli altri”. Ma magari mi sbagliavo.
Chakuza trasalì, chiedendosi per un secondo se avrebbe potuto spacciare per legittima difesa afferrare il tagliacarte sul tavolo e infilarglielo nello stomaco. Quel tizio stava palesemente cercando di farsi pestare, e per quanto lui fosse in genere un uomo equilibrato e socievole e privo di rabbia trattenuta o frustrazioni varie ed eventuali, ecco, atteggiamenti simili erano proprio ciò che lo faceva esplodere. A prenderlo in etichetta loro gli stavano facendo un dannato favore, lo capiva o no il citrullo?, o pensava che gli occhioni azzurri e il sorrisetto spavaldo da soli bastassero a guadagnarsi un posto di lavoro? Avesse avuto magari un paio di tette in più, forse sì, ma a queste condizioni si trattava solo di prenderlo e sbatterlo fuori a calci nel sedere.
Stickle rise con un tono paterno che lo infastidì oltremodo e si frappose fra loro, piantando le mani sui loro petti.
- Vedo che andate già d’accordo. – annuì, e Chakuza si chiese se per caso fosse pazzo, - Lo produrrai proprio bene quest’album, Chaky. – e lì non si chiese più niente. Stickle era pazzo. E basta.
- Io non voglio produrlo. – gli fece notare Chakuza, indicandogli Fler, così che poi Stickle non potesse dire “eh, ma lui ha detto solo ‘non voglio produrlo’ senza specificare di chi stesse parlando, ho pensato si riferisse alle begonie nel vaso sul davanzale”.
- Naturalmente, Chaky. – lo ignorò bellamente il DJ, - Per te va bene, Fler?
Losensky scrollò le spalle, nel tutto disinteressato.
- Come ho già detto, a me il suo stile piace abbastanza, perciò-
- Ma a che gioco stai giocando?! – strillò ancora Chakuza, e solo la mano di Stickle ancora piantata sul petto gli impedì di sporgersi in avanti ed assestargli un cazzotto di quelli seri dritto sul muso.
- Tu sei proprio fuori. – commentò la faccia da schiaffi, allontanandosi e prendendo la via della porta, - Allora ci si vede domani per firmare il contratto, eh? – salutò senza nemmeno guardarli, uscendo.
Solo quando la sua aura palesemente indisponente ebbe abbandonato la stanza, Chakuza poté dire di aver cominciato a respirare normalmente e senza provare inconsulte pulsioni omicide.
- Dico, ma che ti salta in mente di prendere Fler alla Beatlefield?! – esplose, liberandosi dell’ingombro della mano di Stickle e prendendo ad aggirarsi nervosamente per l’ufficio.
- Che ti salta in mente a te di comportarti come un bambino delle elementari, semmai. – borbottò per tutta risposta Stickle, avvicinandosi al proprio portatile e digitando velocemente un indirizzo sulla tastiera, - Dico, le hai viste che percentuali di vendite? Fattura più di Sido. Non ti ricorda niente, questo?
Chakuza si mise a borbottare, incrociando le braccia sul petto.
- Bushido. – rispose di malavoglia, guardando altrove.
- Esatto. – annuì Stickle, sorridendo comprensivo, - E chi è Bushido oggi?
Chakuza roteò gli occhi e ricominciò a camminare nervosamente in giro, avvicinandosi contrariato all’appendiabiti per recuperare la propria giacca.
- Ho capito l’antifona, Stickle. – annuì alla fine, - Vado a suicidarmi, così dopo tu potrai avere la tua gallina dalle uova d’oro ed essere felice. Pensami, ogni tanto, quando sarò morto.
L’uomo lo salutò ridendo.
- Sarà fatto. – aggiunse, osservandolo andare via. Il fatto che non cercasse di rassicurarlo, in effetti, non era per niente rassicurante.

*

Andare a parlare con Bushido di Fler in casa sua rientrava probabilmente nella lunga lista di peccati mortali non detti per i quali Bushido poi si sarebbe sentito in diritto di condannarti a morte ed eseguire la condanna seduta stante. Chakuza ne era perfettamente cosciente, mentre varcava il cancelletto dell’enorme villa gialla e si immetteva sul selciato, diretto alla porta dopo che, dal citofono esterno, la voce allegra di Bushido l’aveva salutato con un gioviale “Ohi, Chaky, che bella sorpresa! Dai, vieni dentro!”.
Con aria terrorizzata, Chakuza spinse la porta d’ingresso e si ritrovò nel caldo, confortevole e rassicurante ingresso di casa Ferchichi. Tutto era esattamente come al solito: perfetto, pulito ed ordinato. Bushido giocava a World of Warcraft alla propria postazione pc e Kay e D-Bo si stavano drogando di Spongebob svaccati sul divano appena intuibile nell’area del salotto più lontana da dove si trovava lui.
- Chaky, finisco di sterminare questa merda e sono subito da te! – strillò Bushido, pestando con entusiasmo sulla tastiera senza fili che teneva comodamente adagiata sulle ginocchia, - Devo dirti una cosa stupenda!
- Eh… - mugolò Chakuza, già emotivamente distrutto, - Anche io dovrei parlarti.
Al sentirlo tanto afflitto, Bushido – che si faceva un gran vanto dell’essere sempre a disposizione dei suoi sottoposti, qualsiasi problema potessero avere – lasciò gli orchetti al loro triste destino e si alzò dalla postazione, raggiungendolo all’ingresso.
- Chaky! – gli disse con aria preoccupata, - Che succede? Sei uno straccio.
Chakuza agitò una mano.
- Non preoccuparti. Dimmi, piuttosto, questa bella notizia…?
Bushido cominciò a risplendere di luce propria, trascinandolo verso la cucina e piantandolo su uno sgabello mentre come niente tirava fuori due bottiglie di birra ed un’enorme ciotola piena di patatine e salatini vari.
- Indovina chi ha perso il proprio posto di punta di diamante dell’etichetta, proprio oggi? – disse poi con aria cospiratoria, mandando giù patatine a manciate, evidentemente preso dall’euforia del momento.
Tale stato d’animo non poteva essere certo usato per descrivere Chakuza, il quale, per conto proprio, con le patatine ci si sarebbe volentieri strozzato per essere dispensato dall’obbligo di rovinare la giornata a quello che, in fondo, era un uomo buono e incolpevole.
- …no, dimmelo tu. – disse, forzando un sorriso e ritrovandosi poi a sorridere più sinceramente mentre Bushido si appollaiava su uno sgabello di fronte a lui, tirando su i pantaloni larghissimi e cascanti della tuta, perché la smettessero di impicciarlo nei movimenti.
- Fler! – rivelò quindi, battendo divertito una mano sul tavolo, - Pare che abbia messo le mani sulla donna di Sido. Voglio dire, onore al merito, stavano insieme da, tipo, secoli e non c’era mai riuscito nessuno, almeno che io sappia, e io so sempre tutto, però che goduria sapere che ora è a spasso senza sapere dove battere la testa! – esultò raggiante, ricominciando a mandare giù patatine e birra in quantità uguali.
- Eh… - biascicò Chakuza, deglutendo faticosamente, - pensa un po’…
Seguì un imbarazzante momento di silenzio. O meglio, Bushido continuò a parlare – Dio solo sapeva per dire cosa: probabilmente per continuare a prendere in giro questa nuova e allettante versione di Fler vagabondo privo di lavoro che tanto lo entusiasmava – ma Chakuza non colse una parola del suo monologo, preso com’era a cercare di farsi coraggio da sé.
In fondo era un uomo. Un capo, a suo modo. Stickle contava su di lui per una pensione più che decorosa, ed in effetti Fler vendeva davvero tanto, e se lui voleva aprire la catena di ristoranti che era sempre stata il suo sogno fin da quando aveva capito cosa significava sognare, be’, un aiuto economico in più oltre agli introiti dei duetti col King avrebbe certamente fatto comodo.
Sospirò pesantemente, passandosi una mano sulla fronte.
- Ehm… Bushido? – lo chiamò, fermandosi perché l’uomo potesse concludere la risata che s’era provocato da solo con qualche battuta incredibilmente arguta che si sarebbe persa nelle sabbie del tempo, - Indovina un po’ chi è che è passato oggi alla Beatlefield? – buttò poi fuori tutto d’un fiato, onde evitare ripensamenti dell’ultimo minuto.
Se si fosse trovato di fronte a un uomo mediamente stupido, il dialogo sarebbe proseguito come da copione in una sequela di “uh? No, dimmi tutto”, che l’avrebbero probabilmente ucciso molto prima che lui potesse decidersi a confessare il fattaccio, ma fortunatamente – o sfortunatamente – per lui, Bushido non era mai stato un uomo mediamente stupido e nemmeno mediamente intelligente: era, piuttosto, il classico esempio di genio male applicato. Volendo, avrebbe potuto essere un nobel in qualsiasi cosa, ma dal momento che aveva preferito sprecare giovinezza e adolescenza spacciando e imbrattando i muri di Tempelhof, ecco che si ritrovava milionario, proprietario di una quantità indecente di roba e famoso praticamente in tutta l’Europa, oltre che per lo meno noto in tutto il mondo conosciuto. Il che dava davvero un’idea di cosa avrebbe potuto diventare se solo si fosse applicato.
Ed infatti Bushido non lo deluse. La sua espressione divenne immediatamente, da allegra e giovale, cupa e irritata. Chakuza tremò sul proprio sgabello, mentre l’uomo lo fissava intensamente e poi lasciava scorrere sulla lingua poche lettere – abbastanza per mandarlo nel panico, comunque.
- No.
- …Atze, non-
- No.
L’austriaco sospirò profondamente, pinzandosi la radice del naso ed andando alla ricerca delle parole più adatte per spiegare a Bushido che Stickle ci teneva proprio a comprare una villa alle Maldive. Aveva una mezza idea che la risposta di Bushido sarebbe stata quanto di più simile a “si fotta Stickle” potesse essere pronunciato senza utilizzare le parole “si fotta Stickle”, appunto, ma provare non costava niente, in fondo. Magari una o due braccia staccate via nell’impeto momentaneo della rabbia, ecco.
- Atze, Stickle pensa che-
- Si fotta Stickle! – disse Bushido, dando prova di ammirevole schiettezza, saltando in piedi e aggirandosi nervosamente per la cucina esattamente come Chakuza ricordava di aver fatto neanche un’ora prima in ufficio, - Ma soprattutto si fotta Fler! Voi non lo prenderete alla Beatlefield.
“Sono assolutamente d’accordo”, avrebbe voluto rispondere Chakuza, ma la questione si faceva complicata, arrivati a quel punto. Primo: Bushido, ogni tanto, aveva bisogno di essere arginato; aveva questa tendenza a prendere il controllo pure di cose su cui sommariamente non avrebbe dovuto osare mettere bocca, quindi ogni tanto, quando partiva coi suoi deliri da patriarca onnipotente, c’era bisogno di qualcuno che gli dicesse “sì, certo caro, ma anche a cuccia, vuoi?”. La Beatlefield era solo un’affiliata dell’Ersguterjunge, non ne era parte. E lui e Stickle erano liberi di prendere qualsiasi decisione volessero senza che per questo Bushido si sentisse in diritto di porre veti ogni piè sospinto. Secondo poi: loro erano comunque degli uomini d’affari ai quali, in poche parole, delle beghe passate di due ragazzini che non erano stati in grado di dimenticarsi, poteva fregare limitatamente. Nel senso, se c’era da battere una pacca sulla spalla a Bushido perché ora Fler usciva con la sua ex, lo si faceva. Ma niente di più. Terzo ed ultimo: alla questione della catena di ristoranti lui aveva pure cominciato a farci la bocca, alla fine.
Partendo da queste considerazioni, Chakuza si preparò a vedere sfumare la prospettiva di una serata tranquilla – e anche di evitare un litigio con Bushido – e si rassegnò ad una morte lenta e dolorosa.
- Atze, senti, lo sai che io in genere sono con te qualsiasi cosa tu dica. Lo sai, vero? – Bushido ringhiò e spalancò il frigorifero, infilandoci dentro la testa alla ricerca di qualcosa con cui trastullarsi, - Quando ti sei trasferito nella villa e Saad ti ha riso in faccia dicendoti che avresti fatto la figura del deficiente andando a vivere in una casa gialla, chi ti è rimasto al fianco fino all’ultimo ed ha convinto Kay e D-Bo a dividere le spese con te?
- …tu. – mugolò Bushido riemergendo dal frigorifero con due fette di pane fresco ed un chilo di salumi di ogni tipo.
- Esatto. E quando hai deciso di duettare con il signor Gott ed Eko ti ha tenuto il muso per un mese e mezzo dandoti del coglione col cervello in salamoia? Chi è che ti è rimasto accanto?
- Be’, per la questione Gott ho dovuto rinunciare al contratto con MTv, in fondo, e-
- Chi è che ti è rimasto accanto, comunque? – lo interruppe Chakuza, sudando freddo.
Bushido sospirò profondamente, cominciando ad imbottire il panino.
- Sempre tu. – ammise alla fine, tornando ad abbattersi sul proprio sgabello.
- Ecco. – annuì soddisfatto Chakuza, - Quindi, ti dispiacerebbe, adesso, essere tu, per una volta, quello che resta accanto a me, visto che ne ho bisogno?
Bushido trangugiò un morso di panino e sbuffò.
- Be’, detta così è terribilmente gay, Chaky, ma ho capito dove vuoi andare a parare.
Chakuza si fermò un attimo a riflettere sul fatto che uno che scrive una canzone in cui, praticamente, fa una dichiarazione del tipo “ci siamo tanto amati ma ora andiamo ognuno per la propria strada” ad un altro uomo, palesemente non ha il diritto di dire a qualcuno cosa suoni o non suoni gay, ma ritenne poco saggio mettersi lì a dibattere il punto con Bushido. Soprattutto perché il “ci siamo tanto amati” era riferito proprio al Losensky che era da sempre il centro di tutti i pensieri di vendetta di Bushido, e siccome “chi disprezza compra” è un detto, ma anche una grande verità, l’austriaco decise che, per quella volta, sarebbe stato il caso di lasciar correre, ed annuì.
- Quindi? – insisté invece, piegandosi un po’ verso di lui per guardarlo negli occhi anche se lui aveva già abbassato lo sguardo sul panino imbottito.
Bushido sospirò per l’ennesima volta e scrollò le spalle.
- Quindi niente. – concesse infine, - Basta che gli mettiate una museruola se per caso gli salta in testa di fare il mio nome. Per il resto, avete carta bianca.
Un’altra cosa veramente poco opportuna di Bushido era come fosse in grado di rigirare le frittate come nemmeno lui – che pure aveva un diploma di cuoco – sapeva fare. Lui non gli aveva chiesto un fottuto permesso, gli aveva chiesto sostegno! Ma per come l’aveva messa il tunisino sembrava chissà che dannata concessione regale.
Chakuza sospirò a propria volta: visto quanto aveva rischiato, tutto sommato, poteva dirsi contento così.

*

Quando arrivò alla Beatlefield, l’indomani mattina, sembrava quasi che si fossero tutti organizzati per non essere presenti al momento fatidico che avrebbe rovinato tutte le loro vite. Di Stickle aveva avuto notizia quella mattina tramite un sms che peraltro l’aveva svegliato senza alcun motivo alle sei, per informarlo che Saad era perso in chissà che delirio perché non riusciva a venire a capo di una traccia campionata che lo stava mandando ai pazzi, e che lui, da bravo DJ competente e responsabile, stava andando all’EGJ a dargli una mano. “Perciò non aspettarti di avermi fra i piedi, Chaky!”, era stata la gioviale conclusione del messaggio. Conclusione in seguito alla quale lui, fra le altre cose, aveva avuto voglia di prendere e schiantare il cellulare contro il muro, per poi tornarsene a dormire e mandare a fanculo un po’ tutto e tutti per il resto della giornata.
Il suo senso di responsabilità l’aveva comunque portato a muovere il culo verso le dieci e mezza, ed era perciò arrivato agli studi convintissimo di trovarli immersi nel solito fermento. Non che ci fosse mai un cazzo da fare, da quelle parti, soprattutto considerando che non c’erano album in uscita per i prossimi mesi, ma c’era sempre un sacco di gente a bivaccare attorno ai distributori automatici, per dire, e invece quel giorno niente, neanche un’ombra, solo lui, i – pochi – dischi d’oro, le pareti e l’eco.
Si aggirò per un po’ fra i locali vuoti e pulitissimi – almeno aveva la certezza che, nella prima mattinata, gli addetti al servizio di pulizia avessero fatto il loro dovere – e poi tornò a rifugiarsi  nell’ufficio che condivideva col fantasma di Stickle. Fu lì, mentre si perdeva in un’avvincente partita di Mahjong sul portatile, che lo raggiunse lo squillo gracchiante del citofono.
- Qualcuno… - cominciò a strillare con tono lamentoso, ma dalle profondità dei corridoi della Beatlefield non giunse che il riverbero della sua stessa voce, perciò alla fine si rassegnò e si mise in piedi, raggiungendo il citofono e schiacciando il pulsante dell’accettazione di chiamata, restando in attesa dell’immagine sullo schermo. La testa di Fler apparve – esageratamente tonda – pochi secondi dopo. - …ah, tu. – lo salutò con poco entusiasmo.
Fler sollevò lo sguardo sulla telecamera, e i suoi occhi – enormi, quella stupida telecamera era ridicola – invasero tutto il campo visivo di Chakuza.
- Alla buon’ora… - cominciò a lamentarsi Losensky, - Sono passato alle otto, alle otto e mezza, alle nove, alle nove e mezza-
- Sì, sì, capito l’antifona. – borbottò sbrigativo Chakuza, aprendo il portone esterno, - Mi sono svegliato tardi, okay?
- Quanta dedizione… - ghignò sardonico quello, spingendo il portone e sparendo alla sua vista. Fortunatamente, anche, perché fosse rimasto lì a sogghignare ancora un solo secondo Chakuza avrebbe cominciato a considerare seriamente la possibilità di affacciarsi al balcone e tirargli giù un mattone sulla testa, per dire.
Mentre attendeva che l’essere insopportabile che Bushido aveva tutti i diritti di odiare salisse le scale, Chakuza si chiese quale potesse essere il modo di accoglierlo per farlo sentire il più possibile sottoposto e asservito alle regole dell’etichetta – fra le quali andava assolutamente ricordata la clausola “non si parla male di Bushido neanche a fronte di possibilità di guadagno multimilionarie”. Alla fine, scorso il contratto che Stickle gli aveva lasciato in ordinata doppia copia sulla scrivania, decise che la tattica migliore era attenderlo seduto sul tavolo. Informale ma indice di una certa sicurezza di sé.
Si posizionò con un saltello sulla superficie in legno e si girò prima da un lato, poi dall’altro e infine, insoddisfatto, torno a mettersi dritto, così da poter scorgere la figura di Fler elegantemente svaccata contro lo stipite della porta, mentre il tipo lo guardava come fosse stato una cacchina di plastica con gli occhi o qualcos’altro di ugualmente stupido e ridicolo.
Ebbe appena il tempo di chiedersi da quanto Losensky lo stesse osservando, che la risposta giunse da sola sotto forma di risata derisoria: abbastanza da prenderlo in giro a vita per le ultime manovre, evidentemente.
- Ehm… - cercò di riportare il tutto su un piano più serio, indicando i contratti sulla scrivania, - Allora, le vuoi mettere queste firme o sei tornato solo a rompere le palle?
- Le metto, le metto… - rise ancora Fler, avvicinandosi alla scrivania e sedendosi dalla parte opposta del tavolo, - Dove?
- Abbiamo veramente molta fretta, eh? – ringhiò lui, scorrendo i fogli alla ricerca dei punti precisi e segnandoli con una x prima di passarli all’altro uomo.
- Certo che tu hai dei problemi molto molto seri, Pangerl. – lo guardò storto lui, prendendo i fogli e cominciando a stampare il proprio nome ovunque con la grazia del tagger che non aveva mai cessato di essere. A guardare la firma – proprio la firma per esteso, non l’autografo – di Bushido, si aveva sempre l’impressione che si trattasse di un medico o chissà chi; Fler invece riusciva ad essere grezzo pure firmandosi Patrick Losensky. Ce ne voleva, di malagrazia. – Prima mi dici di darmi una mossa, poi mi rimproveri perché faccio in fretta…
- Prima di tutto, chiamami Chakuza e manteniamo questo rapporto un rapporto lavorativo, grazie. – borbottò, passandogli anche la seconda copia del contratto, - Secondo poi-
- Ma già dissento sul primo punto. – ghignò Fler, riconsegnandogli il secondo contratto firmato e controfirmato, - Non intendo andare oltre il rapporto lavorativo, tranquillo. Anche perché, senza offesa, non sei proprio il mio tipo. Troppo basso, poco culo, pochissime tette. Decisamente passo il turno.
- Cristo benedetto… - esalò Chakuza, scendendo dalla scrivania per conservare una copia del contratto nel primo cassetto, - Toh, una ti tocca. E ora tornatene da dove sei venuto, - qualche antro infernale, c’era da supporre! – e fatti rivedere solo in compagnia di Stickle, visto che lui almeno ti sopporta.
Fler non obbedì, e Chakuza era sul punto di cominciare una convincente paternale su quanto fosse indispensabile eseguire all’istante gli ordini per coesistere con lui, quando si accorse che il tipo stava cercando di dirgli qualcosa. Non parlando, ovviamente, no: alla maniera di Bushido; guardandoti negli occhi con un cipiglio insofferente come a dire “dovresti aver già capito, sei scemo o cosa?”.
- Qualcosa non ti è chiara? – si informò, guardandolo con una certa curiosità.
Fler sembrò, per la prima volta in assoluto da quando aveva cominciato ad avere a che fare con lui, sinceramente confuso. O comunque privo di qualcosa da dire. Chakuza si sentì insospettabilmente orgoglioso si essere stato in grado di zittirlo senza tappargli fisicamente la bocca, e restò lì a gongolare in solitaria finché Losensky non si risolse a degnarlo di una risposta.
- Stickle… - cominciò, un po’ incerto, - mi aveva detto di cominciare a portare qualcosa, se volevo. E insomma, io qui ho un testo.
Chakuza lo guardò. A lungo.
Chissà perché, s’era aspettato che le parole del giorno prima fossero solo una sbruffonata. Perché uno che è appena uscito con un album dovrebbe avere ancora altro materiale? Uno, per avere una riserva di testi, deve… be’, lavorare. E farlo costantemente. Non solo in previsione di un album.
- Ah. – rispose stralunato, - Ah. Be’… d’accordo. – biascicò, grattandosi confusamente la nuca, - Vuoi… intendo, possiamo andare in sala prove. Se vuoi mi puoi fare sentire di cosa si tratta.
Losensky annuì senza esitazioni, e Chakuza diede la colpa per il senso di smarrimento che stava provando al fatto che all’Ersguterjunge non si lavorava quasi mai in maniera normale. Lì la questione “lavoro” era quasi sempre traducibile in “svacco estremo per mesi e mesi finché il King non fosse risorto dalle ceneri della propria tuta con una ventina di testi da distribuire in parti uguali e dai quali partire per creare qualcosa di per lo meno accettabile”. A quanto pareva, però, le abitudini all’Aggro Berlin erano completamente diverse.
Entrando in sala prove, Chakuza si vide accolto da una breve nota in cui Stickle gli faceva sapere che il suo sacrificio umano era stato molto apprezzato perché Bushido l’aveva cazziato solo mezz’ora – a fronte delle dodici ore di tortura che si sarebbe meritato, un gran guadagno, questo era indubbio – e che aveva già caricato i beat nel portatile in sala mixaggio, se aveva voglia di provare qualcosa con Fler. Chakuza appallottolò il foglio con una mano, stritolandolo con una certa immeritata furia, e lo gettò stizzito nel cestino dell’immondizia.
- Be’, se vuoi… - si voltò a cercarlo per indicargli dove e come mettersi, ma Fler aveva già infilato le cuffie e stazionava con aria assente davanti al microfono, probabilmente ripassando a memoria il famoso testo che doveva cantargli. – Ah. Certo che fai veramente come a casa tua, eh?
Fler gli rivolse un sorrisino sghembo, spostando il peso da una gamba all’altra.
- Funziona ovunque più o meno allo stesso modo, penso. – rispose con una scrollata di spalle. Chakuza annuì anche se non stava pensando niente del genere e si rifugiò in cabina di regia, oltre il vetro. Accese il microfono e restò in attesa.
- La prima la facciamo senza musica. – avvertì l’uomo dall’altro lato della stanza, il quale, per tutta risposta, annuì assorto, - Così magari capisco un po’ il ritmo e la cadenza e vediamo cosa metterle di sottofondo. Parti quando vuoi.
Dopodiché, si rassegnò a venire sommerso da una scarica di insulti più o meno pesanti e più o meno velati nei confronti di Sido, Bushido, Eko Fresh, possibilmente pure la donna che s’era scopato, le donne che s’erano scopate gli altri ed una buona quantità di madri – per non parlare di qualche eventuale padre – ed incassò la testa nelle spalle, cercando di farsi minuscolo sulla poltrona.
Ma il suo karma aveva evidentemente deciso di tirarlo scemo. E, neanche a voler evidenziare più efficacemente il punto, la canzone di Fler cominciò con un “ti ho amata” e si concluse con un “ti amo ancora”. E non – come era capitato spesso di dire prendendo in giro la sua relazione controversa con Bushido – un “ti amo” fraintendibile, una cosa che può essere anche amicizia, una cosa senza inflessioni e senza sesso, no: un “ti amo” vero. Un “ti amo” per una donna. Doreen. La donna di Sido.
Quando Fler smise di cantare – senza incespicare mai nelle parole, roba da non credersi, visto che Bushido farneticava di continuo, per dire, e lo stesso Fler nelle poche interviste che aveva visto e che lo vedevano protagonista, faceva del balbettio confuso una specie di cavallo di battaglia, soprattutto quando si infervorava – Chakuza per qualche secondo rimase lì a guardarlo attraverso il vetro mentre tornava ad aprire gli occhi – scurissimi nella penombra della sala insonorizzata – e riprendeva fiato.
- Be’? – lo sentì chiedere dopo qualche secondo, - Non ne scrivo quasi mai, roba così. – aggiunse con un certo imbarazzo, - L’ultima dev’essere stata tipo una dichiarazione d’amore per una compagna di banco alle elementari. Quindi magari se mi dici qualcosa…
Un po’ dubbioso, Chakuza si sporse in avanti e pressò un indice contro il pulsante che apriva la comunicazione dalla sala mixer alla sala prove, e poi però si rese conto di non avere niente di preciso da dire, perciò rimase lì a bocca aperta, vagamente confuso, incerto sul da farsi e, in generale, sostanzialmente stupito. Fler continuò a guardarlo con aria curiosa, dall’altro lato del vetro, e Chakuza si alzò in piedi, rimise la poltrona al proprio posto e lo raggiunse nella sala insonorizzata. Solo per prendere tempo. Per trovare qualcosa da dire – e non una cosa qualsiasi, perché il momento non era da cosa qualsiasi, era un momento che pretendeva di più.
- È… - cominciò, appoggiandosi contro una parete e incrociando le braccia sul petto, giusto per darsi un tono, - È un testo molto romantico. E lei, voglio dire, la citi proprio, la chiami per nome. È una cosa… messa così sembra che ti abbia preso parecchio, ecco.
Fler scrollò le spalle, distogliendo lo sguardo.
- Io ero innamorato di Doreen. – confessò quindi, con una semplicità disarmante, - La nostra è stata una storia molto classica, Chakuza, sembra bella solo perché quando la canto lo faccio con un certo sentimento. Ma a conti fatti io sono stato un idiota e lei una troia, tutto qua. Lei mi ha tirato scemo per mesi, mi ha detto che avrebbe lasciato Sido e sarebbe rimasta con me e tutto il corredo di stronzate che si usano in genere per far cadere un maschio in una trappola. Ha detto di amarmi e invece voleva solo cambiare cazzo per un po’. Poi è tornata da lui strisciando come la vipera che è e lui, fra lei e me, ha scelto lei. – scrollò ancora le spalle, appoggiandosi a propria volta contro la parete, proprio accanto a Chakuza, - Io ci stavo bene all’Aggro. Il casino che ho montato negli scorsi mesi… - gli lanciò un’occhiata divertita, piegando appena un angolo della bocca in un sorriso sghembo, - …anche se sono sicuro tu non ne sappia niente… insomma, non l’ho montato perché stavo male nella crew. L’ho montato perché lei continuava a dirmi di non preoccuparmi, che alla fine sarebbe rimasta con me. E siccome mi stava sul cazzo che continuasse comunque a tornare nel letto di Sido, alla sera, mentre con me erano solo sveltine contro le pareti degli studi, non ci ho visto più, ed ho cominciato a prendermela con Sido. – sospirò pesantemente, scuotendo il capo con aria vagamente abbattuta, - L’ho fatta io, la cazzata. Mica Sido. Ha fatto bene a buttarmi fuori. Magari è la volta buona che comincio a imparare dai miei errori.
Chakuza annuì lentamente, metabolizzando con un po’ di fatica le parole dell’uomo. Era abituato ad essere circondato da uomini che, come niente, ti buttavano sul tavolo la storia intera della loro esistenza – Bushido era così, per dire – ma si trattava di personaggi carismatici e accentratori, gente che, se non aveva la tua completa e totale attenzione, non riusciva a stare tranquilla. Quello di Fler però non era stato un tentativo di mettersi al centro del mondo, era stato solo… uno sfogo. Una cosa anche piuttosto intima, volendo. Era strano, Losensky, avere a che fare con lui era un po’ come camminare su una lastra di vetro. C’era da chiedersi quando si sarebbe spaccata ferendoti i piedi.
- Sai, - disse infine, stringendosi nelle spalle, - quando hai detto a me e Stickle di esserti scopato la donna di Sido… cioè, non sembrava che dietro ci fosse tutto questo. Non sembrava che la amassi, intendo.
Fler sbuffò, appoggiandosi più comodamente al muro.
- La vita mi ha insegnato a disamorarmi in fretta. – borbottò, e sembrò sincero nel dirlo, anche se c’era una strana luce nostalgica nei suoi occhi, qualcosa che li rendeva insolitamente brillanti eppure allo stesso tempo insolitamente cupi, qualcosa che impedì a Chakuza di prenderlo completamente in parola.
Annuì, comunque, perché non era certo compito suo mettersi lì a disquisire degli affetti di Fler. Non si conoscevano da nemmeno due giorni ed aveva comunque dei seri dubbi che Fler gli avrebbe dato il permesso di farlo anche se i giorni fossero stati un migliaio o un milione. Peraltro, non credeva di averne nemmeno alcuna voglia.
Sistemandosi più comodamente contro la parete e sollevando un piede contro il muro, Chakuza tirò su la manica destra della maglietta e mostrò a Fler l’avambraccio. L’altro inarcò un sopracciglio e lo fissò dubbioso per molti istanti.
- Sì, bei ghirigori. – rispose alla fine, con un vago cenno d’assenso, - L’effetto quale doveva essere? Tirarmi improvvisamente su di morale mostrandomi la meraviglia dei tuoi flessori e dei tuoi estensori? Perché guarda che, tanto per cominciare, non sono niente di che, e comunque io non sono giù di morale.
Chakuza sbuffò e gli tirò una gomitata neanche troppo discreta nelle costole.
- Sotto questi ghirigori c’è scritto Silvia. – rivelò quindi, tornando a mettere a posto la manica, - È stata la mia donna per un sacco di tempo. Era una cosa seria, insomma. Almeno fino a quando non ha deciso che non era più il caso che continuasse.
Fler sospirò e scrollò le spalle.
- Non si scrivono addosso i nomi delle donne. Si sa che quelli non durano per sempre.
- Be’, tu hai addosso ovunque il simbolo dell’Aggro Berlin, no? Non mi pare sia durato tanto più a lungo di Silvia.
Fler guardò altrove, allontanandosi un po’ da lui. Aveva un modo molto fisico di dimostrare l’offesa e l’imbarazzo, si ritrovò a pensare Chakuza. Era in tutto e per tutto simile a quei bambini spacconi che però, quando la maestra o un genitore li rimprovera, finiscono sempre per mettersi in un angolino a giocare coi cubi di gomma cercando a stento di trattenere le lacrime, tenendo su il broncio per tutta la giornata e rifiutandosi di farsi prendere in braccio o anche solo accarezzare.
Chakuza sospirò profondamente.
- Mi dispiace. – borbottò, - Non volevo rigirare il coltello nella piaga. Solo che mi pare che a volte tu non ti renda conto di quanto sei irritante.
- Ti sbagli. – sospirò a propria volta Fler, - Lo faccio apposta. Mi dispiace che la tua donna ti abbia mollato.
Chakuza annuì semplicemente, scrollando le spalle.
- Era solo per dirti che so come ti senti. Voglio dire, non c’è bisogno che tu mi dica che non stai male o cose simili. Non c’è neanche bisogno che tu mi dica come stai, in realtà.
Fler rise a bassa voce ed annuì, sollevando anche lui un piede contro la parete. Chakuza immaginò dovessero sembrare abbastanza ridicoli, a guardarli così. Nella penombra della sala prove a chiacchierare delle loro pene d’amore.
- Quindi… - riprese alla fine, spezzando il silenzio degli ultimi istanti, - quella canzone lì vuol dire che non ci saranno diss, nell’album che uscirà con noi?
Lui lo fissò come fosse appena sceso dalla luna.
- Scherzi? – lo prese in giro, rimettendosi dritto e ficcando le mani nelle tasche dei jeans, - Ho già pronte a casa almeno cinque o sei tracce in cui spalo merda su di lei, su Sido e anche su una buona metà delle loro famiglie.
Chakuza rise, e rise anche Fler. All’interno degli studi deserti, il suono non riverberò nemmeno in maniera troppo fastidiosa.

*

- Insomma, capisci, - blaterò Chakuza, gesticolando con aria agitata, - si può lavorare con lui!
Eko – che, quando quella mattina s’era installato sul divano della villa di Bushido mettendo mano alla Wii, aveva progettato tutto meno che dedicare tre o quattro ore all’ascolto degli sproloqui lavorativi di Chakuza – sospirò teatralmente e si abbatté di schiena contro il bracciolo del divano, guardandolo con l’aria di un martire.
- Chakuza… - borbottò, mostrandogli il controller della consolle come a cercare di fargli notare senza dirglielo che aveva di meglio da fare, - È un essere umano, non ha dodici anni, è un rapper famoso. Perché ti stupisce tanto che lavori?
- Perché… - balbetto lui, grattandosi confusamente la nuca, - lavora! Cioè, arriva, si mette lì dietro al microfono, ripassa il testo un paio di volte e canta! Non cazzeggia, non rompe i coglioni perché vuole portato il caffè ogni tre minuti, non fa i capricci se per caso il geranio sulla finestra è piegato a sinistra piuttosto che a destra e questo lo distrae e lo obbliga a impappinarsi-
- Sì, Chaku! – lo interruppe malamente Eko, alzando il tono della voce, - Il fatto che Bushido in sala di registrazione sia una piaga, non ti autorizza a stupirti come se fossi di fronte a un lecca lecca di dieci metri, se per caso becchi un rapper che sa rappare!!!
Lui incassò la testa fra le spalle ed aggrottò le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto.
- Non sono stupito come davanti a un lecca lecca! – precisò offeso, - È solo che è strano, non c’ho mai lavorato, con uno così. Stickle è ordinato, nelle sue cose, per dire, ma Fler… voglio dire, è tipo meccanico. È come se fosse programmato!
Eko continuò a fissarlo con aria allucinata, prima di grattarsi la fronte e rimettersi dritto, per guardarlo più comodamente negli occhi.
- Chaku, fa il suo lavoro. Cioè, non capisco cos’è che ti turbi in questa maniera. Sul serio.
Bushido scelse proprio quel momento per planare addosso a Chakuza con la delicatezza di un elefante in una pozza di fango, abbattendosi senza discriminazioni sul divano, su di lui ed anche su Eko, mandando all’aria il joystick e lasciando che le uova che il personaggio del videogame stava cercando di ribaltare nel tegamino finissero rovinosamente sul tappetino virtuale che adornava il pavimento dell’altrettanto virtuale cucina.
- Cos’è che turba Chaky? – chiese, gli occhi castani spalancati mentre si sistemava tranquillamente in mezzo a loro, costringendoli a farsi minuscoli sui lati opposti del divano.
- Cristo Iddio, Bushido! – lo rimproverò Eko, tirandogli uno scappellotto dietro la nuca, - Mi hai fatto perdere!
Sullo schermo al plasma, la ragazzina tonda, bionda e dagli enormi occhioni azzurri che stava maneggiando la padella, scoppiò in lacrime, crollando in ginocchio sul pavimento.
Bushido scrollò le spalle.
- Puoi ricominciare. – disse altezzoso, ruotando di novanta gradi per ignorare fisicamente Eko e concedere tutta la propria attenzione al suo Chaky turbato. – Dicevi?
- Fler! – borbottò Chakuza, stringendosi nelle spalle.
Bushido lo guardo con tanto d’occhi e poi sospirò.
- Chaky… saranno passate già due settimane… lo so che ha due occhi che disorientano e un bel culo, ma per favore, riprenditi!
- Ma non c’entra niente!!! – strillò Chakuza, mentre Eko scoppiava a ridere alle spalle di Bushido, - Io parlavo di tutt’altro!
- Oh, senti, Chaku… - rincarò il turco, ricominciando a far rimestare impasti alla bimba sullo schermo, - l’abbiamo pensato tutti, sai? Ho chiesto anche a Saad, Danny, Kay, Nyze… e tutti quelli con cui hai parlato ultimamente sono d’accordo nel dire che non se ne può più di sentirti parlare di Fler!
Bushido annuì, incrociando seriamente le braccia sul petto.
- Davvero, Chaky. – aggiunse, - Io ti avverto, lo conosco, Fler è pericoloso. Non è tanto che si appiccichi, il problema… anche se lo fa… comunque non è tanto quello il problema, tanto più il fatto che quando si appiccica poi a te non viene tanto voglia di scollartelo di dosso, sai?
- Mi pare… - biascicò Chakuza, sull’orlo di una crisi isterica, - che qua stiate dando per scontata una cosa che non è affatto scontata.
Eko e Bushido si guardarono a lungo e poi tornarono a fissare lui.
- Be’, che ti piace ormai è chiaro, no? – disse il primo.
- Appunto. – annuì il secondo.
- Ma neanche per un cazzo! – abbaiò Chakuza, saltando in piedi, - Ma che roba! Ohi, io sono eterosessuale, eh?!
- Chaky, la sessualità è un flusso. – annuì Bushido, con aria enormemente competente, - Metti che io ora mi volto e vedo che Eko ha un’espressione carina-
- Oh! – protestò quello, agitando un pugno. Bushido lo rabbonì con una carezzina sulla testa.
- No, Eko, dico per ipotesi. Dicevo, - riprese, tornando a rivolgersi a Chakuza, - metti che mi volto, Eko ha un’espressione carina e in virtù di ciò a me viene voglia di farmelo. Che mi frega di collocarmi da una parte o dall’altra della barricata? Intanto voglio farmelo!
- L’immagine mentale – confessò Chakuza, scosso da un brivido, - è raccapricciante. In sostanza, cos’è che stai cercando di dirmi?
Bushido sospirò, si accomodò contro lo schienale del divano e poi si espresse in uno di quei sorrisi ampi e furbi che ti davano sempre l’idea di essere un coglione, perché l’avevi magari trattato da cretino fino a quel momento ma in realtà era lui che si stava prendendo gioco di te.
- In linea generale, Chaky, pensa di meno e scopa di più. Nel particolare… - scrollò le spalle e sorrise ancora, - gestisciti Fler. Perché se continui così non te lo togli più dalla testa, sai?
Eko annuì partecipe, facendo saltare le uova nel tegamino della bimba.
- Pensa a lui! – aggiunse, senza nemmeno guardarli, - Ci ha messo anni!
Bushido lo ribaltò sul divano con uno spintone.
- Non è vero neanche per un cazzo!
Eko, costretto a far cadere di nuovo le uova per terra, gli saltò addosso, ringhiando frustrato.
- Ora lo vediamo, cos’è vero e cosa no!
Chakuza lasciò l’appartamento che quei due ancora si menavano.

*

La voce di Fler gli stava scivolando in brividi dalle orecchie alle spalle passando per il collo. Questo, Chakuza doveva ammetterlo e basta. Avevano registrato almeno una decina di tracce, nelle ultime settimane – erano diventate ormai più di tre, i giorni si rincorrevano veloci perché Fler aveva ritmi frenetici, sul lavoro, ed era stato Chakuza a doversi adattare, se non altro per non fare una figura del cazzo di fronte ad uno che, a conti fatti, era pure più piccolo di lui – ma per quanti giorni potessero passare, per quante canzoni potesse aggiungere all’elenco e per quante volte potesse riascoltarle tutte, Doreen restava una delle cose migliori che avesse sentito nell’ultimo anno.
Era un po’ comico come, in un mondo quasi privo di donne – donne, non puttane – qual era quello del rap, le canzoni migliori fossero sempre quelle dedicate a loro. Bushido aveva dato il meglio con Jenny e con Janine. Fler aveva Doreen.
Lui aveva avuto Silvia, per un po’. Era pur vero però che su Silvia lui non aveva mai scritto una parola.
Si alzò in piedi, sospirando pesantemente e sfilando le cuffie, poggiandole delicatamente sul mixer, stando attento a non combinare danni. La Beatlefield era vuota e silenziosa già da almeno un paio d’ore. Stickle era passato a salutarlo prima di tornarsene a casa e godersi un meritato riposo e l’impresa di pulizie non sarebbe arrivata prima dell’indomani alle cinque.
Lanciò un’occhiata distratta al quadrante dell’orologio a muro: segnava mezzanotte passata da una decina di minuti abbondanti; magari avrebbe dovuto tornare a casa anche lui. Il meritato riposo di cui sopra gli spettava in quanto diligente lavoratore. In quelle ultime settimane s’era letteralmente sfiancato, dannazione pure a Fler ed a quella sua assurda iperattività.
Spense le luci dall’interruttore principale ed imprecò nel buio. Aveva dimenticato di prendere la fottuta giacca, prima. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e lo utilizzò a mo’ di lampadina, vagando a tentoni lungo il corridoio e verso l’ingresso, alla ricerca dell’attaccapanni. E continuò a camminare così fino a quando qualcosa non lo frenò a metà di un passo. Qualcosa di grosso e compatto come un enorme gomitolo di lana lasciato lì in mezzo al niente. Qualcosa che, quando lui vi inciampò addosso, rischiando pure di coinvolgerlo in una rovinosa caduta e riuscendo a salvarsi solo per forza di volontà, mugolò un lamento sofferente e poi lo mandò a fanculo.
Qualcosa che parlava con la voce di Fler. E che quindi non era qualcosa. Era Fler.
- Fler? – chiamò stupito, tastandolo un po’ ovunque con aria incredula, come a volersi sincerare fosse davvero lui e non, tipo, una sagoma di cartone. Parlante, magari. In qualche modo doveva spiegarli, il mugolio ed il vaffanculo.
- E togliti di mezzo… - continuò a lamentarsi l’altro, spingendolo lontano con poca convinzione e tirandogli una gomitata nelle palle quando, con frustrazione, si accorse di non riuscire a mandarlo via.
- Ma che cazzo ci fai qui?! – chiese Chakuza, cercando con poco successo di tirarlo in piedi, - Perché stai seduto? E come hai fatto a entrare?!
- Mi stai… facendo troppe domande. – concluse Fler in un lamento frustrato, muovendosi appena nell’ombra. Chakuza ascoltò il fruscio della sua felpa di acrilico, che sfregava contro la parete ogni volta che Fler si spostava per mettersi comodo.
- No, non direi… - borbottò rinunciando al proposito di metterlo dritto e sedendosi quindi accanto a lui, - Ti sto facendo le domande giuste. Che è successo?
- Un cazzo. – biascicò lui, spintonandolo con una spallata, - Lasciami in pace.
- Sei praticamente a casa mia! – gli fece presente Chakuza, aggrottando le sopracciglia, - Devi ancora spiegarmi come sei entrato e… ma sei ubriaco?
- No! – sbottò Fler, massaggiandosi le tempie, - …ero ubriaco prima di addormentarmi qui, tipo.
- Ah, certo. – ridacchiò lui, inarcando le sopracciglia e restituendogli una spallata meno ostile, - Questo cambia tutto. Stickle ti ha dato le chiavi? – ipotizzò quindi, immaginando che, altrimenti, Fler non gli avrebbe mai dato una spiegazione.
- Mhn. – annuì semplicemente l’altro, sistemandosi un po’ contro il muro ed un po’ contro la sua spalla. Un po’ come capitava, in realtà, spargendo quelle chilometriche gambe ovunque lungo il corridoio stretto. – Tipo una settimana fa. Dice che ormai sono di casa.
- Be’, è vero. – ammise lui, cercando di sistemarsi in modo che Fler non gli pesasse troppo addosso, - Quindi?
- Quindi cosa? – borbottò, tirandogli un calcio nello stinco per costringerlo a stare fermo, una buona volta.
- Quindi cos’è successo? Com’è che sei in queste condizioni?
Fler sospirò profondamente, e rimase zitto per qualche secondo, come chiedendosi se fosse il caso di sbottonarsi sull’accaduto o meno.
- Avanti, Fler. – lo incitò Chakuza, sgomitandolo fra le costole, - Mi hai praticamente raccontato tutto della tua ultima storia d’amore, cos’altro vuoi nascondermi?
Fler ridacchiò a bassa voce, massaggiandosi lentamente il fianco dolorante.
- …non lo so, in effetti. – biascicò, poggiando il capo contro la parete, - Forse non voglio dirti che sono tornato da lei strisciando. Non è una cosa di cui andare granché orgogliosi, ti pare?
Chakuza sospirò, lasciandogli una pacca consolatoria su una spalla.
- Sei un uomo e sei innamorato… - lo giustificò conciliante.
- Mah… - rispose Fler, scrollando le spalle, - Sono andato da lei completamente ubriaco. Non lo so, non… non ho fatto un tentativo di tornare insieme. Volevo mandarla a fanculo, credo. Volevo vederla, cazzo.
- …cosa ti ha detto?
Fler rise amaramente, scuotendo il capo.
- Che, per la scopata che sono stato, sto facendo fin troppo casino. – si fermò un attimo, immobile. Mentre la sua vista si abituava al buio, Chakuza intuì i suoi occhi nell’oscurità e li fissò con attenzione, in cerca di un qualche tremito o incertezza. Che non arrivò. – Non penso che potrò mai dimenticarlo.
Chakuza si inumidì le labbra, annuendo lentamente.
- Silvia mi ha lasciato dicendomi che non riusciva neanche a pensare di potersi svegliare un altro giorno dopo aver dormito al mio fianco. – disse d’un fiato, guardando fisso davanti a sé mentre Fler – lo sentiva sulla pelle – gli spostava gli occhi addosso. – No, non sono cose che si dimenticano, mi dispiace. Però ricordarle ogni giorno ti permette di mandarle a fanculo con tutta la convinzione che meritano, non ti pare?
Fler si sistemò appena contro la sua spalla, raddrizzando la schiena e voltando un po’ il viso. Attraverso il cotone della felpa Chakuza poté sentire il calore dello sbuffo di fiato nel quale venne fuori la sua risatina un po’ rassegnata e un po’ sinceramente divertita.
- Che sfigati siamo. – lo sentì commentare ironicamente, senza intenzioni offensive, - Cos’è che avevi fatto alla tua donna, Chakuza?
Lui scrollò le spalle.
- Credo di averla voluta sposare. – rispose un po’ incerto, - Mi sa che mi sono fatto prendere la mano. Sai quando ti esalti…
- Sì, lo so bene. – rise ancora Fler, e stavolta il fiato Chakuza lo sentì direttamente sulla pelle del collo, - Sei un tipo romantico, mh?
- Quando m’innamoro, m’innamoro. Tutto qua. – borbottò lui, imbarazzato. – È così anche per te, no? Hai fatto la rivoluzione…
- Mi sa che dovremmo imparare a sceglierci meglio gli innamorati, Chakuza. – annuì Fler, piegando una gamba e sfiorandolo involontariamente col ginocchio, - Io toppo tipo di continuo. Non me ne va bene una.
Chakuza rise apertamente, ricambiando la ginocchiata involontaria con una volontaria e dando a Fler il la per partire con un gioco di spintarelle simili.
- Parli come un ragazzino. – gli fece notare, - Si sente che sei più giovane di me.
- Guarda che è solo un anno di differenza! – rise ad alta voce Fler, - Senti che roba…
- Be’, un anno ha il suo peso, in queste situazioni! – si lamentò Chakuza, sentendosi improvvisamente molto stupido, - Io non ho frignato, quando Silvia mi ha lasciato, per dire.
- Nemmeno io sto frignando! – ritorse Fler in un borbottio infastidito, - Alla fine ce l’ho mandata a fanculo, eh?
- Oh, sì, me lo immagino. – annuì Chakuza, - “Ti prego, Doreen, non faccio che pensarti, torna con me!”… è così che mandi a fanculo la gente, tu?
- Fanculo. – lo spintonò Fler, per tutta risposta, - È così che mando a fanculo la gente. Tu, comunque, sei uno stronzo. Non si consolano mica così, le persone. Che roba, veramente. Uno viene qui, ti si addormenta nei corridoi degli studi e tu prendi e gli dai del moccioso. Sei acido. Ora prendo e-
Non riuscì nemmeno a concludere la frase, Chakuza non lo lasciò finire. Senza nemmeno chiedersi perché avesse voglia di farlo – o se farlo fosse opportuno, tanto per cominciare – si voltò nella sua direzione e lo baciò.
Quando si separò da lui, gli sarebbe piaciuto poter dire che quello che si erano scambiati era stato un bacio equivocabile. Come quelle cose imbarazzantissime che capitano ogni tanto, in cui vuoi salutare qualcuno baciandolo su una guancia però in qualche modo non vi capite bene e la cosa finisce in uno sfregamento fugace di labbra ed in un sorriso ed una scusa impacciati biascicati confusamente mentre ci si allontana. O come quando continui a scontrarti col tizio che ti sta di fronte sul marciapiedi, perché lui va a destra quando ci vai tu e tu vai a sinistra quando ci va lui e non riuscite ad uscire dal momento di sincronia monocellulare dei vostri cervelli.
Non s’era trattato mica di uno sfregamento involontario. E non era andato a sbattergli contro per caso. Aveva voluto baciarlo. D’accordo, non c’era stato niente di più spinto di due labbra che si toccano, ma sempre di bacio s’era trattato. C’era, boh, da prenderne atto, probabilmente.
- …tu le consoli sempre così, le persone? – chiese Fler, con una voce talmente sottile che Chakuza si chiese se fosse bastato così poco per tirargli via tutto il fiato.
- Be’, no… - si affrettò a rispondere, agitato, - Credo dipenda dalla persona.
- E perché… - chiese giustamente Fler, esitando appena, - Voglio dire, perché hai consolato così me?
- Non… - biascicò lui, intenzionato a partire con un comizio in cui affermare tutto e il contrario di tutto e rendendosi conto solo dopo aver iniziato di non avere in realtà nulla da dire, - …non ne ho idea. Cioè, volevo farlo. Insomma, è solo un bacio.
Fler rimase immobile e silenzioso per un secondo.
- Io sono un uomo. – gli fece notare alla fine. La mente di Chakuza registrò con un silenzioso “eh”.
- Credo di essermene accorto. – ribatté, vagamente piccato, - Prima di baciarti, Fler. Non è che vado in giro a baciare chiunque per sport. Prima di baciare qualcuno, mi accerto almeno che sia proprio la persona che volevo baciare.
Fler rimase ancora in silenzio.
- …certo. – annuì alla fine, - …dovrei ringraziarti?
- Fler-
- No, sul serio! – lo interruppe lui, ansioso, - Cioè, non lo so. Sto meglio, adesso. Quindi forse dovrei ringraziarti.
- …se ci tieni. – si rassegnò lui, inspirando profondamente.
Fler annuì.
- Grazie. – aggiunse poi, con convinzione. – Mi baceresti di nuovo?
Chakuza lo guardò. Si augurò che Fler, nel buio, non riuscisse a distinguere la sua espressione da triglia surgelata. Ma dal momento che lui vedeva fin troppo bene la sua – un po’ incerta ma sincera e presente a se stessa, quella di un ragazzino che non è mai cresciuto e chiede perché non sa che certe cose si ottengono anche col semplice silenzio – non ci sperò più di tanto.
- Eh? – chiese, un po’ confusamente.
- Mica subito. – si affrettò a mettere le mani avanti Fler, - Dico, per il futuro, per ipotesi-
- Cosa?!
- Cioè, non è che voglio che adesso prendi e all’improvviso mi schieni contro il primo muro, eh, è solo che-
- Aspetta, aspetta! – lo fermò Chakuza, prendendogli il viso fra le mani e tenendolo fisicamente immobile, - Ho… capito cosa intendi. Cioè, fermati un momento. Non dico che non… - si interruppe, cercando le parole più adatte, - …non dico che mi dispiacerebbe o che, ma non partire come un treno in corsa, eh, è una cosa strana.
- Sì, lo so che è una cosa strana, che cazzo. – ritorse lui, sbuffando un po’. Il suo respiro lo solleticò sulle labbra e Chakuza lo guardò a lungo negli occhi.
- Posso baciarti anche adesso, credo. – disse a mezza voce, - Se vuoi ancora.
Fler rise nervosamente, muovendosi appena contro di lui. Erano così vicini che bastava un niente a toccarsi.
- Alla faccia del non partire come un treno in corsa… - lo prese in giro, probabilmente cercando di stemperare l’atmosfera tesa.
- Me l’hai chiesto tu. – borbottò Chakuza, offeso, - Lo vuoi ancora o no?
Fler non rispose. Si mordicchiò il labbro inferiore e poi si limitò ad annuire. Chakuza si sporse in avanti e sfiorò nuovamente le sue labbra con le proprie, pressandosi contro di lui in un movimento del tutto naturale, semplicissimo – anche troppo.
Si sentì stupido dopo qualche secondo in quel modo. Stavano fermi, non stavano praticamente facendo niente, perciò fu anche per attenuare quella strana sensazione di inadeguatezza che schiuse le labbra e sfiorò con la lingua quelle di Fler, come a chiedergli il permesso. Le dita dell’altro si strinsero con forza attorno alla sua felpa, all’altezza dei fianchi, mentre il permesso veniva concesso e Chakuza piegava appena il capo, lasciando la propria lingua incontrarsi e giocare con quella di Fler con una lentezza ed una calma che fino a due minuti prima avrebbero avuto del surreale. E che suonavano benissimo, invece, in quel preciso istante.
Fler rise appena smisero di baciarsi. Non sciolse la presa attorno alla sua felpa e non aprì nemmeno gli occhi, si limitò a ridere a bassa voce e restare lì, fermo, un po’ inebetito, mentre Chakuza tornava a guardarlo con una certa divertita curiosità.
- Potrei anche farci l’abitudine. – gli disse a mezza voce, quando recuperò abbastanza fiato. Chakuza rise di rimando.
- Stai di nuovo correndo come un treno. – lo rimproverò bonario, - Facciamo che adesso ce ne andiamo a casa e ci facciamo una dormita? In letti separati, s’intende.
Fler rise ancora e poggiò appena la fronte contro la sua. Aveva ancora gli occhi chiusi.
- Domani mattina ripenserai a questa battuta e ti sentirai un cretino. – lo avvertì.
- Mi conosci già tanto bene? – sbuffò Chakuza, sorridendo, - Sono un libro aperto.
Fler scosse il capo.
- Ci si sente sempre dei cretini, in questi casi.
Quali casi?, avrebbe voluto chiedere lui. Ma Fler lo lasciò andare e riaprì gli occhi. Era in piedi il secondo dopo. E Chakuza, di fermarlo, non ebbe proprio il coraggio.

*

Svegliandosi l’indomani mattina, le prime due cose che Chakuza aveva pensato erano state “sono un cretino” e “devo dirlo a Bushido”. La prima considerazione non l’aveva stupito più di tanto – in fondo l’aveva un po’ aspettata tutta la notte, se non altro perché, al solo pensarci, la voce di Fler, con quel tono dolce e un po’ perso, gli risuonava ancora nelle orecchie – e neanche la seconda, per dirla tutta, era davvero riuscita a turbarlo come forse avrebbe dovuto. D’altronde, che cavolo avrebbe dovuto dire a Bushido? “Fra una cosa e l’altra ieri poi ci siamo baciati due volte”? Che razza di discorso sarebbe stato? E poi, anche ammettendo che tutto questo avesse un senso, cosa avrebbe dovuto impedire a Bushido di ridergli in faccia e dirgli “sì, ma chi se ne frega”?
Eppure, per qualche motivo, voleva parlarne con Bushido. Probabilmente perché era evidente che, se da qualche parte l’argomento Fler doveva essere preso – lasciando da parte tutti gli imbarazzanti doppi sensi di un’espressione simile – quella parte doveva essere Bushido. Per forza di cose. Perché lo conosceva, perché ci aveva già avuto a che fare e soprattutto perché aveva avuto ragione a dirgli di risolverla prima di farsi prendere. Il problema era che lui non era stato abbastanza sveglio da dargli retta.
È che Fler non sembrava pericoloso. Non in quel senso, almeno. Si fosse trattato di farci a pugni o scontrarsi con un coltellino in un vicolo buio, be’, ok, allora da quel punto di vista avrebbe potuto tranquillamente dargli del tipo pericoloso. Ma l’eventualità di trovarsi a limonare con lui in un corridoio? Chi avrebbe mai potuto pensarci?
In realtà non c’era neanche un modo corretto di dirla, una cosa del genere. Quando una cosa non dovrebbe verificarsi e poi però si verifica comunque, insomma, puoi anche indorare la pillola ed immergerla nel cioccolato liquido, sempre amara resta.
Perciò, quel pomeriggio, quando arrivò a casa di Bushido, decise saggiamente di non infiocchettare per niente il pacco regalo, e presentare il disastro nudo e crudo, così per com’era. Sperando magari di ridimensionarlo un tantino. Perché a guardarlo per come lo vedeva lui, al momento, era spaventoso.
- Io e Fler ci siamo baciati. – esclamò, restando in piedi di fronte al divano mentre Bushido, seduto fra i cuscini e col portatile sulle ginocchia, lo guardava con aria allucinata.
Si sentiva tanto un bambino di ritorno da scuola con la pagella piena di insufficienze. Bushido continuò a guardarlo mentre, senza badare allo schermo, trucidava gli orchetti di World of Warcraft con gesti automatici dettati ormai da un’abitudine quasi quinquennale.
Il silenzio si protrasse molto a lungo.
- Chaky… - rantolò poi l’uomo, lasciando in pace la tastiera per passarsi una mano sulla fronte, - Chaky, no…
Chakuza aggrottò le sopracciglia con disappunto.
- Be’, non ti ho mica detto di aver investito una bambina che tornava a casa da scuola, che cazzo. – borbottò, lasciandosi ricadere seduto al suo fianco, - E chiudi un po’ questa merda, che ho dei problemi seri, io.
- Eccome se li hai. – annuì Bushido, chiudendo di botto lo schermo del portatile e voltandosi per guardarlo con attenzione, - Quanto avanti siete andati?
- Che cosa ti ho detto? Che ci siamo baciati! Quindi mi pare ovvio che ci siamo solo baciati! Se avessi risposto “l’ho spalmato sul mixer e me lo sono scopato per dritto e per rovescio”, allora avrebbe voluto dire che l’avrei scopato per dritto e per rovescio! – rispose istericamente, - Ti ho detto questo, per caso? Non te l’ho detto! Quindi sai già quanto avanti siamo andati.
Bushido ci rifletté qualche secondo.
- Parecchio. – suppose poi, annuendo.
Chakuza annuì di rimando.
- Per una decina abbondante di minuti. – precisò quindi, - Due volte.
Bushido rise a bassa voce, scuotendo il capo con una rassegnazione divertita molto paterna.
- Ma come ti è saltato in mente? – chiese poi.
Chakuza si lasciò andare con un sospiro contro lo schienale, le braccia inerti in grembo.
- Non ne ho idea. – rispose sinceramente, - Era lì, era triste, l’ho baciato.
- Non fa una piega. – rise ancora Bushido, - Cos’era successo?
- Be’, ha avuto questo casino con la donna di Sido, no? – biascicò Chakuza, senza nemmeno chiedersi se fosse il caso di raccontare una cosa simile all’uomo che, in teoria, Fler lo odiava, e quindi di quelle informazioni avrebbe potuto fare un uso molto scorretto, volendo. Tra l’altro, non è che Bushido passasse poi per un individuo di chissà che alta moralità. Ma c’era anche da dire che in genere era vero: Bushido sapeva sempre tutto. Perciò, perché trattenersi, a un certo punto? – Insomma, ieri è andato da lei, hanno avuto questa discussione, lei gli ha mollato un due di picche tremendo e io me lo sono ritrovato mezzo ubriaco seduto per terra in un corridoio degli studi. Che avrei dovuto fare?
- Non saprei, - ipotizzò Bushido con un’altra risata, - preparargli un caffè e rimandarlo a casa propria?
Chakuza mugolò afflitto, sistemandosi il cappellino sulla testa.
- Non ci ho pensato. – borbottò con un sospiro, - E adesso mi sa che è tardi per dirgli “senti, lasciamo perdere e facciamo che ti offro un caffè per riparare”.
Bushido rise un’altra volta, cercando di incoraggiarlo con qualche pacca sulla spalla.
- Chaky, guarda, io non so che intenzioni abbia tu con quell’uomo, ma lasciatelo dire da uno che lo conosce bene: Fler è una trappola.
Chakuza gli sollevò gli occhi addosso, inarcando un sopracciglio.
- Stai per darmi una lezione di Flerologia?
Bushido rise possibilmente ancora più forte.
- Vedila così: - spiegò quindi, - Fler nemmeno se ne accorge, di quello che ti fa. E tu, senza capire né come né perché, improvvisamente ti ritrovi che lo stai baciando. È un classico.
- Un classico? – chiese Chakuza, giustamente turbato, - No, perché, scusa, quanti ne conosci a cui è successo?
- Be’, uno. – rispose Bushido con una scrollatina di spalle. E poi si indicò. – Il sottoscritto.
Chakuza rimase immobile, ponderando attentamente la possibilità di alzarsi in piedi, uscire da quella casa e fingere che quella conversazione non avesse mai avuto luogo.
- Tu… cosa? – chiese invece, incredulo, - E quando?
- Giusto quei due secoli fa. – rispose Bushido con un mezzo sorriso intenerito, - Tranquillo.
- No, - lo fermò Chakuza, sollevando perentorio una mano, - non mi dire di stare tranquillo perché tu che rassicuri me dicendomi di stare tranquillo perché tra te e Fler è una cosa chiusa… no. Ok? No.
Bushido rise per la millesima volta in quella mezz’ora, annuendo conciliante.
- In sostanza, - spiegò quindi, - è successo quando sono andato via dall’Aggro Berlin. Fler, sai, è sempre stato un tipo fedele. Nel senso, aveva degli ideali, i suoi ideali l’Aggro li incarnava bene. Io volevo fare soldi, ero un figo e mi rompeva il cazzo dividere i guadagni con Sido, in tutta sincerità. – scrollò le spalle, - Faccio a Fler: “vieni via con me?”, lui risponde: “col cazzo”. Io mi infurio e lo sfanculo. Nel senso che gli dico “per quanto mi riguarda, fottiti e tanti saluti”. E quindi, insomma, lui prende e fa la tragedia greca. Sai, no? “Non puoi farmi questo”, “cazzo, siamo fratelli”, “Atze, non puoi andartene” e via così. E parlava, parlava. E mi guardava con quegli occhi lì. Intendo, quegli occhi lì. – precisò con un altro sospiro, - Che avrei dovuto fare?
Chakuza fece una mezza smorfia, abbozzando un sorriso.
- Immagino che il consiglio del caffè non valesse, nel caso specifico, mh?
Bushido rise ancora.
- No, direi di no. Perciò lo bacio e quando mi stacco lui fa “volevi zittirmi?”. E no, non è che volessi zittirlo. Volevo baciarlo. Però, capisci, lui non ci arriva. Non è che lo capisce, che è un individuo baciabile e che quando fa determinate cose a te ti scatta la molla dentro. Siccome fondamentalmente è eterosessuale, - si interruppe e ci rifletté, poi corresse: - siccome principalmente va con le donne, ecco, non ci pensa. Quindi, in sostanza, se ti piace devi dirglielo, però preparati perché… - sospirò, - voglio dire, non passa.
Chakuza lo guardò attentamente, cercando di trovare alle sue parole un senso meno malinconico e meno pesante.
- Non ti è passata? – chiese poi, quasi timoroso.
- Be’, non è che trascorra la mia intera esistenza a pensare a lui, - chiarì Bushido, - però insomma. Ogni tanto capita, e quando succede ci ripenso nello stesso modo in cui ci pensavo il giorno in cui l’ho baciato.
Chakuza deglutì a fatica.
- Preferisci che io… - iniziò incerto, ma Bushido lo fermò con un’altra risata tonante delle sue.
- No, Chaky. Tu che mi chiedi se devi farti da parte per favorire qualcosa fra me e Fler è anche peggio di me che ti rassicuro sul contrario. – ci rifletté un po’, - E comunque ti rassicuro lo stesso, perché fra me e Fler non c’è più una possibilità che sia una, e soprattutto io non voglio. – lo guardò un po’ dubbioso, nascondendo l’ennesimo sorriso, - Era questo il problema?
Chakuza esitò qualche attimo.
- In realtà non lo so. – ammise poi, - Forse. Comunque sono contento di avertelo sentito dire.

*

- Ho parlato con Bushido.
Fler si separò da lui ancora vagamente confuso, le labbra gonfie, gli occhi semichiusi e le dita strette con forza attorno al colletto della sua polo.
- Tu cosa? – chiese, senza capire, mentre Chakuza, dopo la breve parentesi informativa, tornava a fare ciò che stava facendo fino a pochi secondi prima, cioè spalmarlo contro lo schienale della sedia sulla quale era seduto, baciandolo voracemente. – Cha… - cercò di fermarlo Fler, puntando i piedi per terra e indietreggiando sulle rotelle della poltrona, - Chakuza, che cazzo stai dicendo?! – si decise a urlare poi, alzandosi anche in piedi per sottolineare meglio la propria intenzione bellicosa, dopo aver visto che l’unico effetto del suo arretrare era stato l’avanzare di Chakuza in direzione ostinata e contraria.
- Che c’è? – rispose lui, in un mormorio in parte annoiato e in parte deluso dalla prospettiva di vedere sfumare un interessante pomeriggio di baci, - Mi hai capito, no?
- Sì, appunto perché ti ho capito… - precisò Fler, tornando a sedersi ed osservando con sgomento Chakuza tentare di riavvicinarsi, - Fermati un po’! – lo rimproverò, piantandogli una mano nel mezzo del petto, - Cos’hai detto a Bushido?
- Be’, gli ho detto di noi. – rispose Chakuza con un vago gesto della mano, - Insomma, di quello che è successo. Quando ci siamo baciati e… nelle settimane successive, dico.
Gli occhi di Fler, già abbastanza inquietanti anche nella normalità, si spalancarono a dismisura, diventando quasi terrificanti.
- Fler…? – lo chiamò a mezza voce Chakuza, senza azzardarsi a toccarlo per paura che potesse, tipo, morderlo.
- Ma come cazzo… - cominciò lui, con aria assente, - No, dico, ma sei un cretino o che?! A Bushido!
Chakuza aggrottò le sopracciglia, appoggiandosi al mixer e fissandolo con aria ostile.
- Be’, scusami se non sapevo con chi parlarne. La prossima volta mi attacco alla prima gay line disponibile e vedo che mi consigliano loro, preferisci?
Fler cercò di calmarsi e lo raggiunse al mixer, appoggiandosi accanto a lui e sospirando pesantemente.
- Scusami… - cedette, guardandolo con aria un po’ triste, - Non è che sia arrabbiato perché l’hai detto in generale. Voglio dire, non è un problema se lo dici. In ogni caso, se viene qualcuno a prendere per il culo, farò in modo che se ne penta amaramente. È che… Bushido! Fra tutti, lui!
Chakuza incrociò le braccia sul petto.
- Se è per quello che è successo fra voi, guarda che-
- No! – lo fermò Fler, con troppa ansia perché non sembrasse sospetto. Chakuza lasciò perdere solo perché in realtà non gli andava davvero di affrontare l’argomento. – Non è per quello, è che-
- Bushido non è stronzo come pensi, - lo interruppe lui, accigliato, - non penso intenda andare a vendere la notizia al migliore offerente, d’accordo? Rilassati.
Fler sospirò ancora, scuotendo il capo.
- Bushido è una cosa complicata. – cercò quindi di spiegargli. Chakuza scrollò le spalle.
- Sì, lui dice lo stesso di te. – d’altronde, se Fler ci teneva tanto a tirarglielo fuori di bocca, chi era lui per fermarlo?
Il “davvero?” che ricevette in risposta, comunque, lo mandò fuori dalla grazia di Dio. Letteralmente.
- Sì. – rispose in un ringhio di gola, - Sì. Una tirata di mezz’ora mi ha fatto, su te, su voi, su quello che siete stati, non siete, non sarete più e tutto il dannato resto. E poi ci ha tenuto a rassicurarmi sul fatto che no, non devo preoccuparmi di niente, perché figurati se lui si mette in mezzo, a questo punto. Ora cosa? – concluse con un altro ringhio, - Prendi e corri fino a casa sua per spiegargli che ha fatto i conti senza l’oste e che per quanto ti riguarda potete riprendere da dove vi eravate interrotti? Bene! Fai pure! Però ricordati chi è stato a gettare fango su te e tutto il tuo albero genealogico, negli ultimi anni, e ricordati che non ero io a darti del traditore nelle mie canzoni! – si fermò e prese fiato, - Ora puoi andartene, se vuoi.
Fler lo guardò per qualche secondo, restando in rigoroso silenzio per tutto il tempo. Non lo si sentiva neanche respirare. Chakuza cominciò a pensare si fosse trasformato in una statua di sale o chissà che altra assurdità simile, e lui approfittò di quel momento d’incertezza per ricominciare a parlare.
- Se dovessi uscire di qui ed andare a casa di Bushido adesso… - spiegò con un mezzo sorriso, - sarebbe per dirgli che ha fatto i conti senza l’oste. Perché – rise divertito, - è tremendo che ti abbia ridotto in questo stato senza motivo, Chaku.
Chakuza borbottò qualcosa di incomprensibile, abbassando lo sguardo. Fler si sporse in avanti e gli lasciò un bacio sotto l’orecchio, cosa che lo fece rabbrividire abbondantemente e lo costrinse a tornare a guardarlo.
- Senti, sai che avevi ragione? – continuò Fler, guardandolo e sorridendo come volesse prenderlo in giro, ma senza cattiveria, - Anche io quando m’innamoro, m’innamoro.
- …Fler-
- No, aspetta, dai. – rise, - È già abbastanza imbarazzante così, ti pare? Almeno lo dico una volta sola e risolviamo il problema. Ok?
- …se proprio ci tieni. – annuì Chakuza, ancora vagamente stordito, - Dì pure.
Fler gli mollò uno scappellotto dietro la nuca tale che gli volò via il cappellino.
- Di certo non intendo dirti che mi sono innamorato di te, stronzo insensibile che non sei altro. – lo rimproverò con un mezzo sbuffo, - Però se vogliamo fare le cose per bene, intendo, ci sto.
Chakuza rise a bassa voce, sollevando un braccio e tirandoselo contro – fregandosene, per una volta, se nel movimento spostavano tutti gli equalizzatori di quella dannata macchina infernale del mixer.
- Fare le cose per bene… - ripeté divertito, - Che cosa diamine vorrebbe dire “fare le cose per bene”? Devo far stipulare agli avvocati un altro contratto?
- Devi andare a fanculo, principalmente. – lo rimbrottò Fler, tirandogli una gomitata neanche troppo discreta nello stomaco, - Non so neanche perché te le dico, certe cose. Mica te le meriti.
Chakuza rise ancora e si sporse a baciarlo, spegnendo sul nascere il distributore automatico di lamentele che Fler stava apprestandosi a diventare.
- Questo era per zittirmi? – chiese Fler con un mezzo sorriso, quando si separarono.
- Che fai, ti autociti? – lo prese in giro Chakuza, spintonandolo con una spalla.
- Una specie. – rise l’altro, massaggiandosi la spalla, - Facciamo che cancello il passato così che tu non debba più sentirti geloso.
- Ehi… - borbottò Chakuza. E fece anche per aggiungere “io non sono geloso”, ma da un lato sarebbe stato piuttosto ridicolo se avesse detto una cosa simile dopo la scenata di qualche minuto prima, e dall’altro lato non vedeva per quale motivo risparmiarsi di rimarcare il punto “se tu e Bushido vi riavvicinate, nessuno sopravvivrà per esserne testimone”. D’altronde, a quanto pareva rientrava nei suoi diritti. Perciò lasciò perdere. – Fa nulla. – ridacchiò sollevato. E poi si dedicò ad un’attività che, ne era sicuro, nei mesi futuri avrebbe trovato parecchio divertente: rovinare ore e ore di registrazioni di Stickle spalmando Fler in ogni posizione per tutta la lunghezza della consolle.

*

- Quindi adesso stanno insieme, tipo? – chiese Eko, farcendo un panino virtuale con del tonno virtuale ad andando alla ricerca di un pomodoro virtuale all’interno di una cucina virtuale.
- Sì, così pare. – rispose Bushido, sventrando un orchetto e procedendo alla volta di un suo degno compare.
- Ma è una cosa seria? – chiese ancora Eko, tagliando il pomodoro virtuale in sottili fettine virtuali usando un coltello virtuale su un tagliere virtuale.
- Be’, non credo che abbiano intenzione di sposarsi, però probabilmente andranno a vivere insieme. – scrollò le spalle Bushido, trucidando anche il secondo orchetto ed appiccando il fuoco ad un innocente tetto di paglia, - D’altronde, non vedo perché no. In ogni caso passano il tempo a limonare, che stiano appiccicati per ore o meno.
- Eh, la gioventù. – annuì Eko, finendo di riempire il suo panino virtuale ed infilzandolo con uno stecchino virtuale, adornato a sua volta da una deliziosa oliva denocciolata anche lei virtuale. – Sono contento per loro.
Bushido demolì ciò che restava dello scheletro bruciacchiato della casa ed annuì.
- Sì, anch’io.
Silenzio.
- Bu? – lo chiamò quindi Eko, - Li spegniamo, ‘sti cazzo di affari? Usciamo e ci troviamo una donna, dai. Sul serio.
Bushido lo guardò solo per un secondo.
- Ma devo arrivare al check point. – motivò, indicando lo schermo oltre il quale un’orda di elfi neri stava depredando una carovana di mercanti.
Eko tornò a sprofondare nel divano e cominciò a farcire un altro panino virtuale.
- Okay, - rispose con un sospiro, - solo fino al check point.
Genere: Introspettivo, Romantico, Commedia, Triste.
Pairing: Chakuza/Fler.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, AU.
- Una sera, Fler torna a casa propria e trova un uomo sconosciuto e palesemente ubriaco steso sulle scale all'ingresso del proprio palazzo. L'uomo puzza e non sembra intenzionato a passare la notte restando in vita, se abbandonato a se stesso, e per tale motivo, dopo una discussione vagamente surreale, Fler decide di accoglierlo in casa propria, almeno per la notte. La cosa, però, avrà conseguenze di un certo spessore, conseguenze che cambieranno per sempre la vita di tutti i protagonisti di questa vicenda.
Note: Dunque, che questa storia esista, a partire da una foto in cui Chakuza era vestito come un pezzente, è già una cosa abbastanza allucinante XD Non contenta di aver dato il via ad una cosa simile partendo da un pretesto abbastanza ridicolo, ho scritto a lungo. Molto a lungo. Nel senso che la storia è lunga quasi trentamila parole ed ho perciò saggiamente deciso di dividerla in tre parti per evitare che chiunque voglia leggerla (se mai qualcuno vorrà o_ò) debba smazzarsi una roba infinita. Per cui niente, spero che vi piaccia e spero anche di ricordarmi di aggiornare con frequenza, visto che comunque è tutto già scritto XD (Tra l'altro, senza parole: ho cominciato a scrivere questa storia il giorno stesso in cui è scaduto il BBI... bastarda, potevi plottarti/scriverti tutta prima è.é Almeno avrei portato tre fic come avevo promesso ç.ç)
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EVERYTHING I OWN

You sheltered me from harm
Kept me warm, you kept me warm
You gave my life to me
You set me free, set me free

La prima cosa che lo colpì entrando all’interno del palazzo fu l’odore. Viveva in quel condominio da ormai cinque anni e non aveva mai sentito una puzza simile in quel luogo, tanto più che la signora delle pulizie passava non una ma due volte a settimana a lavare il pavimento e le scale, e lucidava perfino il corrimano, cosa di cui peraltro nessuno si accorgeva mai perché il primo piano era sfitto da secoli a causa della padrona di casa vecchissima e arteriosclerotica che abitava al quarto e non voleva mai darlo a nessuno di quelli che venivano a visitarlo, perciò usavano tutti l’ascensore, anche perché il palazzo era alto una cifra, ma fondamentalmente niente di tutto questo era davvero importante, l’unica cosa che contava davvero era che lì tutto era sempre splendente e profumato, e quella puzza, no, quella puzza non era affatto normale.
Allungò una mano verso la parete dove sapeva di trovare l’interruttore della luce e schiacciò il pulsante, sbattendo un paio di volte le palpebre mentre i suoi occhi si abituavano all’improvviso passaggio dall’oscurità più totale al biancore della lampada al neon, e lanciò uno sguardo dubbioso tutto intorno a sé alla ricerca di un qualche elemento di disturbo rispetto all’usuale, quieta normalità del luogo, soprattutto a quell’ora della notte.
Non ci mise molto a trovarlo.
L’uomo stava buttato in un angolo, apparentemente molto più rassomigliante ad un topo morto che non ad un essere umano. Anche l’olezzo era lo stesso, si ritrovò a pensare Fler, avvicinandosi con estrema circospezione. Per un attimo si chiese cosa avrebbe dovuto fare nel caso il tipo fosse morto per davvero, e naturalmente la prima risposta che si diede, già da solo, fu di non chiamare la polizia ma limitarsi ad avvertire Bushido. Lui avrebbe sicuramente saputo come far sparire un cadavere. D’altronde, era il suo mestiere.
Fortunatamente, comunque, il tipo non era morto. Non ancora, almeno, anche se Fler immaginò che, senza troppe difficoltà, sarebbe sicuramente passato a miglior vita entro l’alba se l’avesse lasciato lì steso per metà sulle scale a pancia in su e con ogni probabilità di soffocarsi col proprio stesso vomito al primo conato.
Puzzava d’alcool in maniera quasi insopportabile, ma nonostante questo Fler riuscì a farsi forza abbastanza da avvicinarsi ancora e scuoterlo un po’, dapprima con un paio di calci sugli stinchi e poi, dopo aver constatato che quelli, da soli, non bastavano a ridestarlo, con due calci decisamente meglio assestati contro un fianco.
L’uomo grugnì qualcosa di indefinibile, talmente anestetizzato dall’alcool da non riuscire nemmeno a sentire il dolore per i calci.
- Che cosa…? – borbottò con voce impastata, e Fler si piantò ritto davanti a lui, le gambe lievemente divaricate ed entrambe le mani sui fianchi, guardandolo dall’alto in basso.
- Come si è introdotto qui dentro? – gli chiese, prima ancora di chiedergli come stesse o se avesse bisogno d’aiuto, - È proprietà privata, questa, lo sa?
- Eh? – disse l’uomo, massaggiandosi stancamente le tempie e strizzando le palpebre sugli occhi lucidi per riacquistare un minimo di controllo sul proprio corpo, - Chi sei tu?
- Sono un inquilino di questo stabile. – annuì Fler, perfettamente a proprio agio, - Lei, invece, no.
- …sì, direi che questo è ovvio. – concluse l’uomo, aggrappandosi a fatica al corrimano per issarsi in piedi. Era piuttosto basso, notò Fler quando ebbe finito.
- Allora? – insistette Fler, sporgendosi verso di lui con l’intenzione di pressarlo fisicamente, in modo da spremere una risposta da quei suoi occhi incredibilmente stanchi, - Come ha fatto ad entrare?
- Sono salito su dalle fogne. – rispose quello, inarcando un sopracciglio. Fler fece tanto d’occhi.
- Davvero? – chiese, - E come ci è passato?
Il tizio lo fissò come se non potesse credere alla sua esistenza in vita.
- Stavo scherzando. – rispose.
- Oh. – mugugnò Fler, vagamente deluso, - Quindi come è entrato?
- Ma chi se lo ricorda, sarà stato aperto il portone o forse mi sono intrufolato seguendo qualcuno che è entrato prima di me… - borbottò quello, massaggiandosi ancora la fronte e poi sfilando il berretto per passarsi una mano sulla testa rasata. O pelata, non era facile capirlo a quell’ora di notte e con quella luce tremula e biancastra. – Perché è così importante saperlo?
- Perché se lei mi spiega come ha fatto ad entrare, io potrò dirlo a Bushido. – rispose tranquillamente lui, annuendo come a dar forza alla propria spiegazione, - E lui potrà risolvere il problema.
Il tipo sollevò un sopracciglio, le labbra strette come due linee.
- Bushido? Quel Bushido?
- Ne conosce altri? – chiese Fler, - Eppure credevo fosse un soprannome abbastanza particolare.
- No, no, non ne conosco altri. – sospirò l’uomo, cominciando forse a capire di fronte a che tipo di persona si trovasse, - E comunque piantala di darmi del lei, non l’ha mai fatto nessuno in tutta la mia vita e non vedo perché dovresti cominciare tu adesso, visto che avrai la mia stessa età e che io, in questo momento, non riesco neanche a distinguere i contorni delle cose.
- È una questione di educazione. – borbottò Fler, quasi offeso, - Con gli sconosciuti—
- Sì, sì. – lo liquidò il tipo, con un gesto sbrigativo, - Quanti anni hai detto che hai?
- Ne ho ventotto. – rispose Fler, piccato, - E lei, comunque, non può stare qui.
Il tipo si sollevò brevemente sulle punte per lanciare un’occhiata fuori oltre il portone in vetro smerigliato oltre al quale, sulla strada vuota e buia, infuriava la tempesta.
- Diluvia. – disse, indicando un punto a caso nel vuoto, - Non posso certo uscire.
- Ma non può nemmeno stare qui! – ripeté Fler, sempre più sconvolto, - Questa non è una casa, è l’ingresso del palazzo, e quello non è un letto ma una rampa di scale. – poi sospirò profondamente, scuotendo il capo e lanciando un’occhiata supplice al soffitto come a sottintendere che, in quell’universo, lui era l’unico a dover risolvere tutti i problemi, cosa di cui l’uomo che aveva di fronte, a giudicare dallo sguardo profondamente scettico, dubitava con decisione. – Mi segua. – disse quindi, facendogli strada verso l’ascensore.
- Dove? – chiese giustamente l’uomo, fissandolo dubbioso. Fler si voltò a guardarlo come se non riuscisse a capacitarsi della sua idiozia.
- Ma su da me, no? – disse premendo il pulsante e restando in attesa dell’apertura degli sportelli, - Ha bisogno di lavarsi e di… vestiti nuovi. – elencò, lanciando un’occhiata abbastanza disgustata ai pantaloni luridi e strappati ed alla camicia tutta sbrindellata che indossava, - E, naturalmente, di un posto dove stare stanotte, visto che fuori proprio non vuole.
- Vorrei ben vedere, ma hai visto come piove?! – insistette lui, indicando nuovamente la notte oltre il portone, - Comunque, - sospirò pesantemente quando gli sportelli dell’ascensore si furono aperti e Fler vi fu entrato, facendogli cenno di seguirlo, - io mi chiamo Chakuza.
- E che nome sarebbe? – chiese Fler, inclinando il capo come un cucciolo incuriosito, - Sua madre era giapponese?
- No che non era giapponese! – borbottò Chakuza, le labbra piegate in una smorfia infastidita, - Ma sei stupido o cosa? È il mio nome d’arte.
- Un nome d’arte per cosa? – chiese Fler, guardandolo con gli occhi azzurri spalancati nella luce giallognola dell’ascensore. La cabina si fermò e gli sportelli si aprirono sul pianerottolo vuoto e buio proprio in quel momento, dando a quella domanda e al silenzio che la seguì una connotazione così forzatamente comica che Chakuza si aspettò di sentir risuonare gli applausi preregistrati nell’eco della tromba delle scale il minuto successivo.
- In che senso “per cosa”? – chiese a propria volta.
- Un nome d’arte per fare cosa? – precisò Fler, - A cosa le serve un nome d’arte?
- A— ma cosa ne so, è—
- Io ce l’ho un nome d’arte. – annuì Fler con ovvietà, uscendo dall’ascensore ed accendendo la luce sul pianerottolo per infilare senza troppe difficoltà le chiavi nella serratura, - Mi serve perché sono un artista, appunto. Firmo tutti i miei murales come Fler, ma mi chiamo Patrick. Anche lei firma murales, o qualcosa di simile?
Chakuza rifletté per qualche secondo e concluse che l’unica cosa vagamente pittorica che gli fosse capitato di fare recentemente era stata quando quel tipo strambissimo gli aveva chiesto di disegnargli addosso un omino stilizzato venendogli sulla pancia. Guardò Fler negli occhi con evidente imbarazzo e, dopo un attimo di incertezza, rispose che no, non firmava murales né nient’altro di simile.
- È solo un nome che si usa per strada. – scrollò le spalle mentre Fler lo invitava ad entrare nell’appartamento e si richiudeva la porta alle spalle, dirigendosi poi con sicurezza verso il telefono poggiato su un mobiletto in un angolo dell’ingresso. – Comunque, mi chiamo Peter. Che fai?
- Chiamo Bushido, ovviamente. – rispose lui con naturalezza, digitando il numero a memoria ed appoggiandosi al tavolino mentre restava in attesa di risposta, - Non mi crederà uno sprovveduto? Gli darò disposizione di passare per di qua domattina, e sappia che, nel caso dovesse trovarmi morto, sto per fargli una descrizione molto precisa del suo aspetto fisico, di modo che possa trovarla e fargliela pagare ovunque lei si trovi.
Chakuza boccheggiò per qualche istante, senza parole.
- …non ne dubito. – concluse infine.
- Bene. – sorrise Fler, - Ora vada pure in bagno, corridoio, seconda porta a destra. Troverà nei cassetti tutto ciò che le servirà, compresa della biancheria nuova che tengo sempre per le emergenze. – Chakuza si chiese brevemente che tipo di emergenza potesse giustificare la presenza di biancheria intima intonsa in un cassetto del bagno, ma evitò di porre la domanda. – Quando avrà finito, torni pure qua. Le darò qualcosa da mettersi e le mostrerò dove dormire.
- S-Sì. – annuì Chakuza, ancora vagamente incerto e perfino un po’ spaventato dall’assurda naturalezza con la quale quello sconosciuto se lo stava tirando in casa senza altro motivo oltre al fatto che giù nell’atrio era d’ingombro. Si voltò con l’intenzione di seguire le indicazioni e rifugiarsi in bagno il prima possibile, spronato peraltro dal pensiero di una doccia calda, vecchia compagna della quale faceva ormai a meno da tempi inenarrabili, sennonché all’ultimo minuto sentì che c’era ancora qualcosa di sbagliato, in tutta quella situazione, e sollevò un dito, voltandosi giusto per intravedere la figura di Fler ancora in attesa di risposta da parte di quello che alla fine era solo il più importante capomafia di Berlino. – Solo una cosa… - accennò con aria vagamente intimidita. Fler allontanò la cornetta dall’orecchio e la coprì con una mano, sorridendogli incoraggiante. – Smettila di darmi del lei. Ci siamo presentati, ormai, no?
Fler diede perfino l’impressione di pensarci con una certa serietà, per una manciata di secondi.
- D’accordo. – disse infine, tornando a sorridere sereno, - Ora vai in bagno. – concluse perentorio. Chakuza obbedì.
*
L’idea di stare per lavarsi non lo colpì come sarebbe stato giusto lo colpisse fino a quando non entrò fisicamente nella doccia e si accorse di non avere più granché confidenza con le manopole che regolavano il getto d’acqua. Sperò di fare tutto per bene e non dover per forza uscire da lì dentro assiderato o bollito e rossissimo come Hummer Kummer, il peluche a forma di aragosta che si trascinava sempre ovunque da bambino, ma non si stupì più di tanto quando, invece, combinò un disastro, aprì tutti i rubinetti sbagliati e prima si ghiacciò fin nelle ossa e poi si scottò al punto da doversi aggrappare alla tendina della doccia per cercare di sfuggire al getto d’acqua bollente, gesto che naturalmente portò metà della suddetta tendina a scardinarsi dal proprio sostegno ed avvolgerglisi addosso, creando una specie di pellicola avvolgente attraverso le pieghe e gli spiragli della quale centinaia di minuscole goccioline incandescenti s’intrufolavano apposta per dargli il tormento.
Fu solo con parecchia fatica che, una decina di minuti dopo, riuscì a venire a capo del problema, prendendo confidenza con l’ambiente e riuscendo a regolare le manopole in modo che il getto d’acqua fosse tiepido e piacevole. E fu allora che chiuse gli occhi e si lasciò un po’ andare all’abbraccio dell’acqua, una stretta la cui piacevolezza aveva quasi del tutto dimenticato. Non che non si fosse lavato per niente, da quando viveva per strada, ma i bagni dei locali non gli permettevano mai di rilassarsi mentre lo faceva, era tutto un doversi sbrigare perché chissà quando sarebbe arrivato il custode o un sorvegliante a beccarlo, e comunque non poteva certo spogliarsi nudo, rimpicciolirsi più di quanto non fosse già piccolo ed infilarsi in un lavandino per farsi la doccia lì. Una doccia era un’esperienza mistica che prevedeva il dedicarsi un po’ a se stessi in solitudine, con calma e tranquillità, e fu per questo che gli saltò il cuore in gola al punto che quasi scivolò di testa all’indietro quando la porta del bagno, senza nessun preavviso, si spalancò sull’espressione fiduciosa e positiva di Fler e sui suoi occhi pieni di domande come quelli di un bambino di cinque anni.
- Scusa, Chaku, pensavo! – esordì entusiasta, e Chakuza tirò la tendina così forte che finì di staccarsi nella sua interezza, cosa che fu meno negativa del previsto da un lato perché a Fler non sembrò importare granché, e dall’altro perché così almeno aveva qualcosa con cui coprirsi.
- Chaku…? – borbottò lui, incerto. Fler si limitò ad annuire felice.
- Sì, pensavo, come ti piace la pizza? – domandò curiosamente. Chakuza lo fissò incredulo.
- Perché? – chiese, pur rendendosi conto di quanto idiota dovesse suonare una domanda simile. Per quale motivo qualcuno dovrebbe chiederti che tipo di pizza preferisci, se non per offrirtene una?
- È un sacco tardi e pensavo ti andasse di mangiare qualcosa. Anche se, ti avverto, dovrai chiamare tu. Io non sono capace. – rispose lui, come se l’idiozia della domanda non lo toccasse minimamente, cosa che effettivamente diede a Chakuza da pensare. E soprattutto cosa voleva dire che non ne era capace? Non era capace di fare cosa, chiamare un servizio di pizza a domicilio? – Per me non è un problema mangiare ancora, anche se ho già cenato, così ti faccio compagnia. Bushido ha detto di dirti di stare attento a cosa fai con le mani, perché potrebbe essere l’ultima volta che le vedi, comunque. Dico io, mangiare una pizza è decisamente l’ultima cosa che vorrei fare con le mie mani se temessi di perderle, per cui…
- No, senti, senti. – lo interruppe Chakuza, massaggiandosi stancamente gli occhi con l’indice e il pollice, finendo per pinzarsi la radice del naso come molto spesso aveva fatto sua madre, buonanima, prima che lui scappasse di casa per dedicarsi completamente alla vita dissoluta per la quale tanto spesso lei l’aveva rimproverato, - Non mi fa impazzire la pizza, preferisco cucinare qualcosa io, se hai l’occorrente in casa.
Fler lo guardò a lungo con gli occhi spalancati.
- Tu cucini? – gli chiese, come se fosse più strano questo rispetto a tutto il resto. C’era decisamente qualcosa che non tornava, nella testa di quel ragazzo. Chakuza non era sicuro di voler scoprire cosa, peraltro.
- Sì. – annuì comunque, tirando su la tendina che, nel mentre, aiutata dall’acqua, aveva preso a scivolare inesorabilmente verso il basso, - E se domani dovessi perdere le mani, ecco, cucinare vorrebbe essere l’ultima cosa che farò.
Fler rise appena, un suono piacevole, infantile, sentendo il quale Chakuza non poté fare a meno di concedersi una risata a propria volta.
- Non ti taglierà davvero le mani, se farai il bravo. – lo rassicurò. Il sorriso che buttò lì come fosse assolutamente normale sorridere in quel modo ad uno sconosciuto prima di uscire dal bagno che lui stesso gli aveva permesso di usare, fu abbastanza per far capire a Chakuza che Bushido, come d’altronde sospettava, doveva saperla decisamente lunga, se l’unica raccomandazione che gli aveva fatto era quella di tenere le mani a posto.
*
Quando uscì dal bagno avvolto nell’accappatoio più morbido che avesse mai indossato nella sua intera esistenza, a Chakuza pianse il cuore nel notare i vestiti che Fler aveva sistemato per lui sul ripiano di un cassettone di media grandezza posto proprio davanti alla porta, sull’altro lato del corridoio. C’era anche un post-it, proprio lì accanto, che gli indicava tramite una serie di disegnini e freccine dove fosse la camera da letto, invitandolo a recarsi lì per cambiarsi e mettersi a suo agio prima di raggiungerlo in soggiorno, dove lui stava giocando alla Wii. Chakuza sollevò lo sguardo e tese le orecchie: da qualche angolo lontano dell’appartamento giungevano suoni di guerriglia urbana intervallati ogni tanto da urla di gioia o momenti in cui Fler decideva di mettersi a cantare ad alta voce le canzoni che stava probabilmente ascoltando in cuffia, visto che non c’era traccia di melodia da nessuna parte.
Scoprì invece che il suo cuore non aveva nessun motivo di piangere, perché i vestiti erano morbidi e comodi esattamente come l’accappatoio, e passare dall’uno agli altri fu come essere un putto e passare da una nuvola a quella immediatamente successiva senza nemmeno dover spostare di troppo l’arpa. Un cambio incredibilmente naturale.
Quando raggiunse Fler in soggiorno, era ormai diventato un tutt’uno con gli abiti che lui gli aveva prestato. Li sentiva così intimamente propri che progettava di chiedergli se poteva bruciare i vecchi e tenere questi anche una volta che fosse andato via, ma capì subito che non era il momento di porre la questione, dal modo in cui Fler si alzò e, brillando di luce propria, mollò il videogioco al suo triste destino per afferrarlo per una mano e trascinarlo di peso in cucina.
Mentre veniva trainato, Chakuza posò lo sguardo sulla mano di Fler, così saldamente stretta attorno alla propria, e si chiese se questo fosse lo stesso ragazzo che, fino a mezz’ora fa, ancora gli dava del lei. Era normale, per lui, essere così entusiasta ed espansivo per ogni cosa? Era normale afferrare per mano uno sconosciuto e condurlo senza riserve nella propria enorme, splendida, lucente cucina ipermoderna da lacrime istantanee, ignorando ostentatamente il rischio che lui potesse magari rovistare in un cassetto, tirarne fuori un coltello da macellaio e sventrarlo con un colpo secco dalla gola alla pancia?
- Guarda, ti ho messo qui sul tavolo tutto quello che ho trovato. – illustrò, indicando il ben di dio di roba che doveva aver tirato fuori dal frigorifero, da tutti gli stipetti ed anche dalla dispensa, se ne aveva una. – Pensi che potresti tirarne fuori qualcosa di buono?
- Penso che potrei tirarne fuori qualcosa di buono per molti giorni di seguito e per molte più persone di quante non ce ne siano adesso in questa stanza. – gli fece notare, inarcando un sopracciglio, - Ma fai sempre tutta questa spesa?
- No, in realtà non ne faccio mai. – rispose Fler con una risatina divertita, - Mi compra tutto Bushido. Dice che devo tenermi in forze.
- E non dubito che tu ci riesca, con tutta questa roba. – commentò Chakuza con una mezza risata. Dopodiché, si avvicinò al tavolo e selezionò un paio di ingredienti, cercando di schiarire le idee per pensare a cosa preparare e realizzando con un po’ di tristezza che erano almeno un paio d’anni che non aveva più occasione di cucinare niente. – Potrei essermi un po’ arrugginito. – confessò imbarazzato, - Non mi esercito da un po’.
- Fa niente. – rispose Fler, scrollando le spalle, - Tanto io mangio tutto.
Chakuza rise ancora, chiedendosi a quando risalisse l’ultima volta in cui l’aveva fatto così spesso. Era un periodo tanto antico da essersi sbiadito quasi del tutto nella sua mente, non ne rimaneva che qualche traccia antica, la distante consapevolezza di averlo vissuto, di essere stato, un tempo, una persona talmente felice da potersi concedere di ridere e ridere e ridere senza avere bisogno di litri d’alcool per farsene venire la voglia. Dopodiché mise da parte questi brutti pensieri e si diresse risolutamente verso i fornelli, per scoprire che in realtà la mano non l’aveva persa affatto.
*
- Ti è piaciuto? – chiese con un sorriso nell’osservare Fler che si rovesciava sazio contro lo schienale della sedia, allungandosi un po’ per trovare il bottone dei jeans sotto la pancetta appena pronunciata, per sfibbiarlo.
- Un sacco, Chaku! – rispose lui entusiasta, sorridendo così sereno da rassomigliare a quei neonati che, nel sonno, si lasciano sfuggire un sorriso dopo una poppata particolarmente soddisfacente. – Io non sono uno che fa caso al gusto delle cose, in genere, ma questo era proprio buonissimo.
- Mi fa piacere. – rise Chakuza, alzandosi e mostrando la chiara intenzione di rassettare piatti e posate. Fler allungò un braccio, afferrandolo per un polso e fermandolo.
- Che combini? – gli chiese con una risatina, - Lasciali lì, non c’è bisogno.
- Ma posso occuparmene io, tu fai già tanto tenendomi in casa, non—
- Ma non lo farò nemmeno io. – rise ancora Fler, se possibile perfino più divertito di prima, - Ci penserà Bushido domani. Ci sta un sacco attento, lui, a queste cose.
Chakuza inarcò le sopracciglia al punto che quasi se le sentì scivolare oltre la fronte. Se ne preoccupò perfino, per qualche secondo.
- Vuoi dire che Bushido, quel Bushido, Anis Mohammed Youssef Ferchichi, anche conosciuto come Sonny Black, ti lava i piatti? – chiese con aria allucinata.
- E mi rifà il letto. – annuì Fler, alzandosi con una certa fatica. – Dio, quanto sono pieno. Ma che sonno ho? Chaku, ma ci hai messo dentro del sonnifero per stendermi e rubarmi tutte le cose? Non avrai più mani, domattina.
- Non ho messo nessun sonnifero da nessuna parte, e— aspetta! – gli corse dietro, mollando i piatti lì dov’erano, - Ma che vuol dire che ti rifà il letto? Ma chi è, la tua badante?
- Ma no, siamo solo amici! – borbottò Fler, voltandosi a guardarlo con aria decisamente offesa, - Non ho bisogno di nessuna badante!
Chakuza non poteva dire di esserne poi così sicuro, dopotutto. E, in ogni caso, tutta quella storia gli stava aprendo gli occhi su un lato della vita di Bushido che, vivendo per le sue strade e dovendo stare alle sue leggi, non aveva mai preso in considerazione.
Si trattava di un essere umano, dopotutto. Con affetti e debolezze. Per più di un attimo, attraverso la sua mente resa mille volte più incline a pensieri similari dalla vita che aveva condotto negli ultimi anni, passarono le possibilità più svariati. Tutte comprendevano la presenza di Fler, comunque. E non tutte erano in realtà granché oneste, soprattutto visto quanto quel ragazzo stava facendo per lui senza palesemente aspettarsi nulla in cambio.
Scrollò il capo con decisione. Se davvero ragionamenti del genere fossero diventati una tappa obbligata, ci avrebbe pensato nei prossimi giorni, quando almeno avrebbe abbandonato il suo appartamento. In quel momento, il solo pensiero di lasciarsi andare a considerazioni simili proprio lì gli dava il voltastomaco.
- Senti… - abbozzò, grattandosi nervosamente la nuca, - Grazie per tutto quello che stai facendo, davvero. Non ho mai incontrato una persona gentile… - o stupida, ma questo non lo aggiunse, - come te, da quando, be’, vivo per strada. Quindi, grazie.
- Oh, andiamo. – rise Fler, tirandogli una pacca su una spalla ed entrando in camera, lasciandolo lì sulla soglia mentre, con estrema disinvoltura, tirava via la felpa e la maglietta e restava con addosso solo i pantaloni, - Non potevo certo lasciarti lì. Chiunque l’avrebbe fatto, al mio posto.
- No, sono abbastanza sicuro del contrario, in realtà. – protestò Chakuza, ma senza troppa veemenza perché non gli andava di contraddirlo. Il senso di colpa per i pensieri molesti di poco prima stava prendendo il sopravvento. – Comunque, non mi hai ancora mostrato dove dormirò stanotte. – buttò lì con tono casuale, per non sembrare uno di troppe pretese. Gli andava bene anche una poltrona, purché Fler gliela indicasse, di modo che lui non dovesse sentirsi troppo invadente anche in quello.
Fler, invece, lo fissò con sincero stupore, prima di tirare giù i pantaloni in un gesto talmente improvviso che Chakuza quasi si ritrovò a fare un passo indietro per la sorpresa.
- Ma qui con me, ovviamente. – disse quindi con naturalezza, - Quante stanze pensi che abbia quest’appartamento?
Improvvisamente, tutto fu più chiaro, nella mente di Chakuza. Si concesse perfino un sorriso soddisfatto, perché ora sì che si cominciava a parlare la sua lingua. Non aveva alcun motivo di sentirsi in colpa, perché naturalmente Fler non lo stava aiutando così per bontà d’animo. E d’altronde era impensabile che uno che, a quanto pareva, aveva un rapporto particolarmente stretto con Bushido, non riconoscesse uno come lui alla prima occhiata. Non c’era dubbio che Fler l’avesse inquadrato per ciò che era fin dal primo minuto, e avesse deciso di tirarselo in casa magari per fare la propria buona azione quotidiana e guadagnarci in più anche una sana scopata priva di conseguenze sentimentali. Ma andava bene così, era ciò con cui Chakuza era abituato ad avere a che fare ogni giorno. Un mondo che potesse capire e che, per assurdo, suonava un sacco più rassicurante rispetto all’idea che s’era fatto fino a quel momento e che dipingeva un ragazzino fondamentalmente mai cresciuto al quale la sua sola presenza avrebbe potuto potenzialmente fare un male assassino semplicemente imponendosi come un corpo estraneo nella sua tranquilla quotidianità.
Si avvicinò guardando Fler dritto negli occhi, inclinando appena il capo e muovendosi lentamente, con fare suadente. Sfilò la maglia che Fler gli aveva prestato, così morbida da scivolargli sulla pelle come una carezza, e la trattenne per qualche secondo fra il pollice e l’indice, prima di lasciarla cadere per terra con uno sbuffo silenzioso. Sorrise per tutto il tempo, senza interrompere il contatto visivo neanche quando Fler si voltò per arrampicarsi sul letto. Lo osservò sistemarsi fra le coperte ed aspettò che si fosse seduto, con la schiena appoggiata contro la testiera in legno lucido e scuro, prima di procedere a sbottonare i pantaloni.
- Ti piace spogliarti così lentamente? – gli chiese Fler, e Chakuza sorrise dell’assoluta innocenza della sua voce. Il ragazzo sapeva come fare per fare impazzire un uomo, questo era evidente, e lui ne sentiva gli effetti fin dentro lo stomaco, che sentì contorcersi in un lieve spasmo di piacevole impazienza che si concesse di provare perché erano anni, Dio, che non scopava con un po’ di sentimento.
- Non lo so. – rispose con fare ammiccante, lasciandosi scivolare i pantaloni lungo le gambe e salendo a gattoni sul letto, avvicinandosi a Fler come un predatore silenzioso, - A te piace che mi spogli così lentamente?
Fler inarcò un sopracciglio, apparentemente poco convinto dalla risposta.
- Ma per me puoi spogliarti un po’ come vuoi. – rispose sinceramente, ed a Chakuza venne voglia di sporgersi a lasciargli un bacio nel mezzo della fronte per sussurrargli che aveva capito a che gioco stava giocando, poteva anche smetterla di fare la finta vergine innocente.
- Davvero? – chiese, mettendosi in ginocchio di fronte a lui ed appendendo entrambe le mani all’orlo elastico degli slip, - Quindi per te va bene se tiro giù lentamente anche questi…? – chiese pianissimo.
Fler dischiuse le labbra, lanciando un’occhiata alla sua biancheria e poi tornando a guardarlo negli occhi.
- Chaku… - comincio inumidendosi le labbra. A Chakuza parve di vedere una luce diversa, nel suo sguardo. Una luce carica di voglia. Sorrise fra sé: era fatta. - …si può sapere cosa diavolo stai facendo? Mettiti a letto e dormi.
Qualcosa, nel fondo del cuore di Chakuza, quella notte si spezzò inesorabilmente. Le sue certezze, probabilmente.
- Cosa…? – balbettò incerto, - Che…? Non vuoi…?
- Ma non voglio cosa?! – sbottò Fler, afferrandolo per le spalle e ribaltandolo nell’altra metà del letto senza troppe difficoltà, - Ma che avevi in mente di fare?
- Scopare! – rispose lui, allibito, mettendosi istantaneamente seduto e fissandolo con terrore e raccapriccio, come fosse una creatura aliena.
- Cosa?! – strillò Fler, tirandosi perfino indietro in una posa schifata, - Ma con chi?! Con me?!
- Vedi qualcun altro in questa stanza?! – ribatté Chakuza, sempre più allibito, - Pensavo che fosse per questo che mi avevi portato qui!
- Che?! Ma quando mai ti ho detto esplicitamente o implicitamente che volevo venire a letto con te, scusa?! – indagò Fler, peraltro vagamente incuriosito dal suo processo mentale a riguardo.
- Ma non lo so, mi hai portato in camera tua…
- …perché non ci sono altre camere da letto!
- E ti sei spogliato davanti a me!
- Ma perché, tu in genere vai a letto vestito?!
Si fermarono entrambi, guardandosi con ansia crescente per qualche secondo. Improvvisamente, niente era più sicuro. Soprattutto per Chakuza, che credeva di aver trovato la soluzione dell’enigma e invece si ritrovava di nuovo con in mano esattamente ciò da cui era partito, un ragazzino mai cresciuto che la sua presenza avrebbe palesemente devastato se avesse deciso di rimanergli intorno anche solo per due minuti in più dello stretto necessario, ammesso che già lo stretto necessario non fosse un periodo troppo lungo.
- …ok, scusami. – cedette per primo, distogliendo istantaneamente lo sguardo, - Non so cosa m’è preso. Cioè, sì, lo so, in realtà. – sospirò profondamente, - Ho pensato di risolvere con te nello stesso modo in cui risolvo generalmente nella vita.
- Che intendi dire? – chiese Fler, stendendosi sul letto e voltandosi su un fianco per guardarlo, perfettamente a proprio agio, come se fra loro non fosse mai successo niente di tremendo o che avrebbe giustificato Bushido a tagliare le mani a Chakuza quando e come avesse preferito.
Chakuza lo imitò, stendendosi al suo fianco ed incrociando le mani dietro la nuca, perdendosi a fissare il soffitto per non dover fissare lui.
- È quello che faccio. – disse quindi, - È il mio lavoro. Vado a letto con gli uomini. È così che mi guadagno da vivere.
- …senza offesa, Chaku, - ridacchiò un po’ Fler, - non che io abbia esperienza, a riguardo, ma non ti viene affatto bene.
Chakuza rise a propria volta, piegandosi un po’ su se stesso prima di tornare a stendersi, visibilmente più rilassato rispetto a prima.
- Questo spiega perché mi hai trovato sporco e ubriaco perso a dormire nell’androne del tuo palazzo. – rispose. Fler rise a propria volta, annuendo brevemente.
- Senti, io non voglio niente, da te. – lo rassicurò quindi, - Sentiti libero di restare quanto vuoi, io non ho problemi. Sei simpatico, comunque. E cucini bene. Potresti diventare la mia cuoca! – buttò lì con aria ilare, prima di concedersi uno sbadiglio enorme e borbottare un “buonanotte” vagamente infantile, per poi poggiare la testa sul cuscino e cadere istantaneamente nel più profondo dei sonni.
Chakuza lo guardò in silenzio per qualche secondo, sorridendo appena. Dopodiché, quando fu certo che si fosse addormentato davvero, decise di prendere alla lettera il suo suggerimento: il più silenziosamente e discretamente possibile, muovendosi così lentamente da arrivare quasi a dilatare il tempo, si alzò dal letto, ed in punta di piedi raggiunse la cucina. Dove cominciò immediatamente a rassettare.
*
- Chaku, ma cosa hai combinato?! – rise ad alta voce Fler, e fu effettivamente la prima cosa che fece quella mattina entrando in cucina e trovandolo ancora intento a lucidare le piastrelle già bianchissime dietro il piano cottura. Prima ancora di sbadigliare o grattarsi la testa o sistemarsi l’attrezzo come tutti gli esseri umani normali, prima ancora di prendersi magari un attimo per ricordarsi come quello sconosciuto fosse arrivato nel suo appartamento e, conseguentemente, nella sua cucina, Fler lo chiamò “Chaku” e cominciò a ridere.
Chakuza alzò lo sguardo e poggiò sul ripiano la pezzuola umida che stava utilizzando, voltandosi a guardarlo. Non aveva dormito neanche un minuto, quella notte, ma stranamente non era stanco. Non si sentiva né pesante né svogliato come spesso gli capitava svegliandosi alle sei del pomeriggio nel suo letto cencioso, nel baraccone di lamiere che lui, Nyze e Kay usavano come abitazione. E sì, il fatto che l’ingresso di un palazzo a caso in una via a caso di Berlino fosse decisamente più confortevole dell’unico luogo che potesse in qualche modo chiamare “casa” la diceva lunga su quali fossero le sue condizioni di vita generali.
- Ho pulito un po’. – rispose con una certa naturalezza, ricevendo in cambio una risata se possibile perfino più convinta.
- Ma era già tutto pulito, a parte i piatti! – gli fece notare Fler, - E quelli li avrebbe comunque puliti Bushido oggi!
- Senza offesa, eh, - rise Chakuza, asciugandosi le mani su un panno asciutto e versando il caffè che aveva già preparato in una tazzina che poi porse a Fler, - ma fino a ieri io vivevo in un mondo in cui Bushido era un uomo duro e potente, che sapeva il fatto suo e teneva in scacco tutta Berlino. Vorrei ritornare a vivere in quel mondo, quando sarò uscito da questa casa, perciò smettila di ricordarmi che in realtà stiamo parlando della tua donna delle pulizie.
- Se Bushido ti sentisse adesso, non si limiterebbe a tagliarti le mani. – osservò Fler con interesse quasi accademico, come stesse davvero ponderando l’ipotesi. Proprio in quel momento, neanche l’avessero invocato, una chiave girò nella serratura della porta d’ingresso e quest’ultima, pochi secondi dopo, si spalancò sulla figura gioviale e, per Chakuza, del tutto inedita in queste vesti, di Bushido.
Indossava un paio di jeans strappati in più punti e una vecchia maglietta scolorita, un paio di occhiali da sole e normalissime scarpe da tennis un tempo bianche ma ormai tendenti più che altro al grigiolino tipico che le colora dopo un po’ d’anni di utilizzo. Portava in mano un sacchettino di carta vagamente macchiato d’olio sul fondo e sembrava, in generale, un uomo che si fosse svegliato una decina di minuti prima della propria fidanzata ed avesse deciso di farle una sorpresa indossando a casaccio le prime cose che gli fossero capitate sotto mano per uscire a comprarle la colazione da portarle a letto.
Entrò all’interno dell’appartamento chiudendosi la porta alle spalle con estrema naturalezza, come fosse un’abitudine, cosa della quale peraltro Chakuza non si sognava nemmeno di dubitare. Ignorò platealmente la sua persona, come se per lui fosse normalissimo anche trovare sconosciuti nella cucina di Fler quando passava a trovarlo alle sette del mattino, preferendo dirigersi immediatamente verso di lui, girargli un braccio attorno alle spalle e tirarlo contro di sé, lasciandogli un bacio su una tempia.
- Ti ho portato la colazione, piccolo. – disse placido, posando il pacchetto sul tavolo ed osservando Fler mentre, con aria golosa, lo apriva e rovistava all’interno, tirandone fuori una ciambellina zuccherata con uno squittio entusiasta, - Il signore qui non ha fatto niente di sconveniente, vero?
Fler gli lanciò un’occhiata illegalmente divertita e Chakuza pensò “ecco, ci siamo, adesso gli racconterà di quello che ho fatto stanotte e quest’uomo mi taglierà le mani, e dovrò essere grato se si fermerà soltanto a questo”. Invece, Fler si limitò a girare un sorriso decisamente meno pestifero verso Bushido per rassicurarlo sbrigativamente.
- È stato bravissimo. – disse con sicurezza, - Un vero gentiluomo.
Chakuza tirò un discreto sospiro di sollievo e rimase un po’ in disparte, sentendosi vagamente e disagio e fuori luogo per la prima volta da quando era entrato in quella casa, mentre Bushido s’informava gentilmente con Fler su quali fossero i suoi programmi per la giornata – nello specifico, fare colazione, lavarsivestirsiuscire, detto tutto di seguito come avesse avuto cinque anni, fare un giro nei paraggi, poi tornare a casa e mettersi a giocare alla Wii.
- Ottimo. – approvò Bushido con un sorriso ed un cenno del capo, - Allora poi passo a prenderti per pranzo. Adesso accompagno il tuo nuovo amico a casa sua, d’accordo? Tu vatti a mettere qualcosa addosso. – suggerì, anche se più di un suggerimento sembrò l’ordine gentile di un padre bonario. Fler, comunque, sembrava abbastanza incline all’obbedienza, con lui, tant’è che salutò Chakuza con un mezzo abbraccio piuttosto caloroso e poi sparì in corridoio, con l’immancabile sorriso sempre sulle labbra.
Chakuza si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo, evidentemente in imbarazzo.
- Non c’è bisogno che mi accompagni, signor… signor Ferchichi. – provò.
- Bushido. – sorrise quello, perfettamente a proprio agio, - E non è un disturbo.
- No, ma davvero. – provò ad insistere lui.
- No, ma davvero. – insistette anche Bushido. La sua insistenza ebbe la meglio.
Rimasero perlopiù in silenzio mentre abbandonavano l’appartamento – dal bagno si sentiva arrivare lo scrosciare allegro dell’acqua e la voce di Fler che cantava a squarciagola il ritornello di Livin’ La Vida Loca, e Chakuza si ritrovò senza un perché a chiedersi se gli sarebbe dispiaciuto uscire da lì e non trovare nessuno ad aspettarlo – ed anche quando furono saliti in macchina – una BMW metallizzata incredibilmente bassa e lunga che doveva essere costata più di tutti i soldi che Chakuza aveva visto nel corso della sua intera esistenza – si limitarono ad una mezza conversazione di circostanza basata più che altro sulle indicazioni che Chakuza si sentiva in dovere di dare e che Bushido, d’altro canto, non sembrava avere alcun bisogno di ricevere.
Il perché Chakuza lo capì solo quando furono arrivati di fronte al suo baraccone e Bushido, dopo aver fermato la macchina, chiuse le sicure a tutti gli sportelli, voltandosi a guardarlo con aria estremamente seria, le sopracciglia aggrottate dietro gli enormi occhiali scuri.
- Io lo so chi sei. – gli disse tetro, e Chakuza si sentì scorrere un brivido di puro terrore lungo tutta la schiena.
- Mi… dispiace. – accennò quindi, anche se era piuttosto incerto sulla valenza da dare a quelle scuse. Di cosa avrebbe dovuto scusarsi, di esistere? Di fare la puttana? Non era granché chiaro nemmeno a lui stesso, per cui naturalmente non risultò chiaro neppure a Bushido, che inarcò un sopracciglio.
- C’è qualcosa di cui tu debba dispiacerti? – chiese dubbioso, e Chakuza si ritrovò a sollevare le braccia e prendere a gesticolare confusamente con una tale furia da spaventarsi da solo.
- No! – proruppe con enfasi, - No, assolutamente! Sono stato bravo! Lo giuro!
Bushido tornò a sorridere, le braccia abbandonate con naturalezza sul volante.
- Bene, allora. Ciò che volevo dirti è che so chi sei e so come si comportano quelli come te con quelli come Fler. Avrai capito, passando con lui la notte, che si tratta di un ragazzo abbastanza ingenuo.
Chakuza annuì, anche se in realtà era una consapevolezza che aveva acquisito ben prima di passarci la notte insieme.
- È un bravo ragazzo, signor Ferchichi. – disse con reverenza.
- Bushido. – lo corresse ancora lui, e Chakuza si morse la lingua. – Non voglio certo vietarti di rivederlo, se vorrai. Fler si affeziona facilmente alle persone e sono quasi certo che sarà lui a voler rivedere te quanto prima, ed è una cosa che io, naturalmente, non posso impedire. – Chakuza annuì ancora, anche se ebbe l’impressione che Bushido parlasse così solo per falsa modestia, come volesse lasciarti intendere che c’erano cose che nemmeno lui poteva controllare, quando invece le controllava eccome, anche solo terrorizzando gli astanti come stava abbondantemente facendo in quel momento. – Tutto quello che ti raccomando è di non farlo soffrire. Potrei diventare cattivo, allora.
Lo stesso brivido che l’aveva costretto a tremare prima risalì lungo la sua schiena, stavolta dal basso verso l’alto, costringendolo a tremare ancora. Annuì sbrigativamente, come se la sola idea di farlo aspettare fosse inconcepibile.
- Certo, signore. – disse obbediente, - Naturalmente. Non mi sognerei mai.
Bushido sorrise ancora, con maggiore convinzione, e tolse la sicura agli sportelli.
- Buona giornata, dunque. – lo salutò affabile.
Chakuza mormorò qualcosa in risposta e si affrettò ad uscire dall’auto, sentendo immediatamente tornare addosso stanchezza e pesantezza quando posò la mano sulla porta semi-scardinata del baraccone. La scostò appena, consapevole del fatto che, se avesse solo provato ad aprirla completamente, gli sarebbe rimasta in mano, e fu altrettanto attento a richiudersela alle spalle dopo essere sgattaiolato all’interno. Lanciò un’occhiata ai due lati opposti della stanza, assicurandosi che entrambi i giacigli di Nyze e Kay fossero occupati, e da Nyze e Kay, non da barboni piombati lì a caso durante la notte, e quando fu certo che, sotto le coperte cenciose, riposavano proprio loro due, si lasciò andare con un sospiro sul proprio letto, o almeno, su ciò che si ostinava a chiamare tale. Il materasso cigolò rumorosamente sotto di lui, e lui non poté fare a meno di pensare a quanto silenzioso fosse stato invece quello di Fler. E quante volte più comodo fosse, naturalmente.
Ciononostante, dopo una decina di minuti il sonno si fece tale che si rassegnò a chiudere gli occhi. Cadde addormentato senza neanche accorgersene, nel giro di dieci secondi.
*
- Sarà morto? – disse la voce di Kay, ancora un po’ impastata dal sonno, accogliendolo verso le nove di quella sera.
- Ma no che non è morto, coglione. – la rimbrottò la voce di Nyze, anche lei vagamente impastata, ma più che altro perché il suo proprietario sembrava impegnato a masticare qualcosa di non meglio definito.
Mugugnando con forza in segno di protesta, Chakuza aprì un occhio e con quell’unica finestra aperta sulle brutture del mondo – rappresentate in quel momento dai suoi due illustri coinquilini – cercò di trasmettere all’universo che tirava proprio una brutta aria e non era davvero il caso di dargli fastidio.
- Ah! Infatti ha aperto un occhio. – notò Kay, evidentemente poco incline a recepire il messaggio, di qualunque tipo esso fosse, - Ben svegliato, Chakuza! – lo salutò con entusiasmo, battendogli una pacca tanto forte quanto inopportuna sulla spalla, - Passato una bella nottata?
Chakuza grugnì qualcosa di vagamente somigliante ad un insulto e si rigirò su un fianco, tirandosi la coperta fin sopra la testa e desistendo meno di trenta secondi dopo, causa puzzo eccessivo. Da quant’è che non cambiavano quelle lenzuola? Mesi, almeno.
- Mi sa che non è stata una bella nottata affatto. – ghignò Nyze, avvicinandoglisi per scrutarlo con divertimento palese negli occhi e sbriciolandogli involontariamente – ma chissà poi quanto – addosso la fetta biscottata che stava trangugiando con la parsimonia di una formichina che raziona le scorte durante il gelido inverno.
- E sta’ lontano! – sbottò Chakuza, tirandogli una manata in piena fronte per allontanarlo dal suo letto, già abbastanza lurido senza dover aggiungere al tutto tracce di cibo, e rassegnandosi poi a tirarsi a sedere e stiracchiarsi un po’ nel tentativo di recuperare almeno un briciolo di lucidità, che tanto palesemente quei due non l’avrebbero lasciato in pace finché non si sarebbe deciso a scucire qualche informazione. Non era da lui uscire per le classiche quattro ore di lavoro notturno e non rincasare sfatto alle cinque del mattino. Non era da lui nemmeno tornare a mattina inoltrata con indossi vestiti nuovi palesemente non suoi, peraltro. – Non è stata una brutta serata. – si decise a confessare, gettando le gambe giù dal letto in un gesto repentino, prima di doversene pentire, - Direi più strana.
- Definisci strana. – ordinò Kay, saltando ai piedi del letto e facendo ondeggiare il materasso tanto da costringerlo a ricaderci sopra rotolando sulla schiena, sbattendo naturalmente la nuca contro la testiera.
- Kay, cazzo, ma datti una calmata… - borbottò lui, massaggiandosi il punto dolente, - Comunque voi come la definireste una serata in cui vi ubriacate fino a non riconoscervi manco quando vi guardate nelle vetrine dei negozi e alla fine di tutto passate la notte col pupillo di Bushido? – buttò lì con aria casuale, e prevedibilmente sul baraccone calò il silenzio.
- …definisci pupillo. – disse quindi Kay. Nyze lo spintonò giù dal letto.
- E piantala con questa storia delle definizioni! – sbottò prendendo il suo posto sul materasso, - Chakuza, che cazzo stai dicendo? – chiese quindi, tornando a rivolgersi a lui, gli occhi spalancati e colmi d’incredulità.
Chakuza scrollò le spalle, quasi a volergli lasciare intendere che alla fine non fosse poi niente di speciale.
- Questo tizio stranissimo, tipo, palesemente inadatto alla vita in genere, e viene fuori che Bushido lo conosce. – cominciò a spiegare, ma Nyze gli agitò entrambe le mani davanti alla faccia, interrompendolo all’istante.
- No, cioè. – disse quindi, - Tu hai conosciuto Fler. Tu hai conosciuto Fler!
Chakuza spalancò gli occhi e schiuse le labbra.
- …tu lo conoscevi? – chiese incredulo. Nyze lo fissò con aria ebete per un paio di secondi e poi si spalmò una mano sulla fronte, mugolando con evidente sofferenza.
- Ma con chi, - si lamentò, - con chi sono costretto a convivere?
Chakuza inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia sul petto.
- Se evitassi le sceneggiate e mi dicessi semplicemente cosa ti frulla per la testa…? – propose con aria scettica, lanciandogli un’occhiataccia poco compiaciuta.
- Tu vivi nell’ignoranza! – berciò Nyze, indicandolo con aria accusatoria, - Come fai a sopravvivere per strada senza sapere queste cose basilari! Basilari! – agitò le mani in aria, sconvolto, mentre Kay si accucciava sul pavimento accanto al letto e lo fissava con occhi vacui, come aspettandosi di vederlo cadere a terra rantolante in preda ad una crisi epilettica da lì a pochi secondi. – Bushido protegge Fler da quando era un ragazzino. Il tipo ha sempre vissuto nella bambagia per non so che promessa Bushido abbia fatto alla sua povera madre morente o qualcosa di simile… comunque il succo è che tu sei andato a letto con la cosa più importante che esista in tutto il mondo per quell’uomo! Non so se te ne rendi conto!
- Aspetta, aspetta! – strillò immediatamente Chakuza, prendendo a gesticolare furiosamente, - Hai capito male! Non ci sono andato a letto.
Nyze si interruppe immediatamente, lanciandogli un’occhiata sconcertata.
- Non ci sei andato a letto. – ripeté, come se soltanto dando voce al pensiero potesse pensare di potersi abituare all’idea.
- Non ci sei andato a letto?! – chiese Kay, la bocca spalancata in una perfetta o di meraviglia, - Cos’hai, sei malato? – si informò premuroso, alzandosi in piedi e premendogli una mano sulla fronte nel tentativo di saggiare la sua temperatura corporea.
Chakuza se lo scrollò di dosso in un gesto infastidito, scuotendosi tutto come un cane bagnato.
- No, non ci sono andato a letto. – ripeté in favore di entrambi, aggrottando le sopracciglia. - …non che non ci abbia provato, comunque.
- Che? – ridacchiò Nyze, - Ci hai provato pur non sapendo chi era? Ma non è che ti piace?
- Ti sei preso una cotta? – miagolò Kay, con l’aria di un bambino di cinque anni di fronte allo svago perfetto per le prossime cinque ore almeno.
- Non— niente del genere. – sbuffò lui, distogliendo lo sguardo. – È stato gentile, con me. Ero sfattissimo, pioveva in maniera assurda e lui, senza neanche sapere chi ero, mi ha preso in casa, mi ha offerto la cena, una doccia calda e un tetto sopra la testa.
- Ah! Ecco perché non puzzi. – constatò Kay con aria seria. Chakuza rispose con uno scappellotto sulla nuca.
- Volevo solo ricambiare la gentilezza. – concluse, scrollando le spalle. – E comunque non mi ha voluto, anzi, direi che mi ha proprio rifilato un due di picche colossale, per cui pace.
- Oh. – mugolò Kay, abbassando lo sguardo con aria quasi sinceramente ferita, - Mi dispiace, Chaku. – lo consolò, allungandosi a battergli un’amichevole pacca su una spalla. Chakuza gli tirò addosso il cuscino.
- Non è che mi abbia lasciato la ragazza, Kay. – sbottò infastidito, - Non ho alcun bisogno del tuo dispiacere. O di… qualunque cosa tu stia pensando adesso, Nyze. – lo avvertì, voltandosi a guardarlo per un secondo e trovandolo immerso in una profonda riflessione. Ma di quelle profonde davvero, a giudicare dalla ruga che gli si era disegnata in mezzo alle sopracciglia ed alle dita che accarezzavano insistentemente il mento affilato, come gli servisse un atteggiamento simile per favorire la messa in moto dei pensieri dentro la sua testa.
- No, è che stavo pensando… - cominciò lui con aria assente, e Chakuza scattò in piedi, allontanandosi verso il cesso a grandi passi.
- Non mi interessa. – ribadì per buona misura, entrando in bagno e chiudendosi la porta alle spalle. Nyze si avvicinò, e lui, seduto sulla tazza, sentì la porta scricchiolare pericolosamente sotto il suo peso. Doveva essercisi appoggiato contro, alla faccia dei cardini arrugginiti e vecchi di mille anni. – E stai lontano dalla porta, prima di sfondarla!
Nyze ebbe l’accortezza di spostarsi qualche centimetro più in là, poggiando sulla parete. Non che quest’ultima fosse poi molto più stabile di tutto il resto, ma almeno non correva il rischio di scardinarsi e crollargli sulla testa come invece gli scricchiolii della porta avevano minacciato di fare.
- Facevo solo qualche considerazione sparsa. – continuò, e Chakuza roteò gli occhi, corredando il tutto con un uggiolio sconfitto.
- Non mi interessa, Nyze, davvero. – ripeté pulendosi e alzandosi in piedi, meditando sulla possibilità di tirare l’acqua e non averne più per lavarsi e decidendo infine di rinunciare alla salvaguardia del cesso per continuare a sentire addosso la sensazione di pulito che la nottata in casa di Fler gli aveva regalato. Si posizionò davanti allo specchio, aprendo il rubinetto dell’acqua rigorosamente fredda ed accontentandosi del rivolo che ne venne fuori per darsi una sciacquata veloce, ripensando con nostalgia crescente al bagno piastrellato, lucido, bianchissimo e profumato di casa di Fler.
- Ma sono più che altro curiosità, niente di che. – continuò Nyze, ignorandolo completamente. – Tipo, per dire, come vi siete trovati tu e Fler? In generale, dico.
- Abbastanza bene, grazie. – rispose Chakuza, cercando di concentrarsi sul proprio aspetto e rendendosi conto che rendersi più presentabile per andare in strada, quella sera, sarebbe stato meno difficile del solito: la sua pelle era meno ruvida, i vestiti che aveva addosso erano palesemente costosi e ben tenuti, e profumavano di buono. Sarebbe stata una serata proficua.
- E che tipo è? – chiese ancora Nyze, mentre Chakuza si osservava di profilo, da un lato e poi dall’altro. – A parte quella cosa dell’essere palesemente inadatto alla vita di cui parlavi prima.
- La sua inabilità a vivere è la parte più importante di lui. – disse senza pensarci, sistemandosi sbrigativamente i vestiti addosso, - Sembra un ragazzino di cinque anni, potresti fargli credere tutto e il contrario di tutto solo sorridendogli un po’.
Nyze rimase in silenzio per qualche secondo.
- Ed è un bel ragazzo? – chiese quindi. La sua domanda cadde nel silenzio.
- In che senso? – ritorse Chakuza poco dopo.
Nyze cambiò posizione e la parete scricchiolò in segno di protesta.
- Non è una domanda difficile, Chaku. – disse lui, - È un bel ragazzo?
Chakuza spalancò la porta, affrettandosi ad affacciarsi sulla stanza. Kay era ancora seduto per terra accanto al letto, e lo osservava senza espressione. Si voltò a cercare gli occhi di Nyze, appoggiato alla parete al suo fianco, apparentemente l’immagine stessa della purezza, ma Chakuza conosceva i suoi polli e sapeva che non c’era da fidarsi.
- Non è roba per te. – disse immediatamente, sentendo nella propria voce una nota di rabbia possessiva che non aveva la minima ragione di esistere.
Nyze sorrise come uno che aveva un motivo molto valido per cui sorridere.
- Non pensavo di allungare le mani. – lo rassicurò con voce soffice e suadente, - Non mi permetterei mai.
Chakuza spalancò gli occhi e credette di capire. Si disse che no, non poteva essere vero. Poi guardò Nyze con più attenzione, e capì che invece sì, era verissimo.
- Nyze. – disse piano, cercando di razionalizzare invece di scaraventarlo contro la parete più lontana come sarebbe stato più giusto, - Ho visto dove i tuoi pensieri mi stavano portando e non m’è piaciuto. Facciamo finta che tutto ciò non sia mai accaduto, vuoi?
- Oh, andiamo! – sbottò Nyze, roteando gli occhi e staccandosi dalla parete per andare a svaccarsi sul proprio letto con aria sfatta, - Non sai nemmeno cosa voglio proporti!
- No, ma sono sicuro al cento percento che si tratti di qualcosa che farebbe del male a Fler. – rispose lui, aggrottando le sopracciglia, - Gradirei evitare.
Nyze gli lanciò un’occhiata di traverso, stupito.
- Ma ti senti? – chiese con malcelato schifo, - Che cos’è, hai trovato il grande amore della tua vita?
Chakuza si ritrasse di qualche centimetro, sulla difensiva.
- Non ho detto niente del genere. – borbottò incerto, riascoltando in replay le proprie stesse parole nella propria testa e cercando di ignorare la vocina che, dal fondo del suo petto, gli diceva che invece sì.
- No, perché ti comporti come se fosse così. – rincarò la dose Nyze. – Chi è questo tipo, mh? Chi cazzo è, cosa cazzo ha fatto per te? Ti si è portato in casa, ti ha lavato, ti ha nutrito. Sei stato il suo giocattolino per una notte, Chakuza, niente di più. Non ti si è scopato, ma non è stato diverso da nessuno dei clienti con cui sei stato. Noi siamo i tuoi compagni, i tuoi amici, i tuoi alleati da una vita. E ci butteresti sotto un treno pur di non far soffrire Fler. – lo rimproverò, facendogli il verso.
Chakuza si strinse nelle spalle, fissandolo a muso duro.
- Non vi butterei sotto un treno, siete praticamente la mia famiglia. – rispose irritato, - Come puoi mettere in dubbio una cosa del genere?
Kay strisciò sul sedere, rigirandosi per poterli guardare entrambi più facilmente.
- Non capisco cosa sta succedendo. – disse con una certa franchezza, a bassa voce. Chakuza gli lanciò un’occhiata incerta. Era così sciocco, così giovane. Ovviamente lui e Nyze venivano prima di tutto il resto. Non era neanche una questione da discutere.
- Allora senti cosa faremo. – disse Nyze, la voce nuovamente affabile, - Hai idea di cosa potrebbe significare per noialtri avere Bushido in pugno? Avremmo una casa vera, con acqua sufficiente per lavarci ogni volta che ne avessimo bisogno. Mangeremmo del buon cibo e magari, forse, potremmo anche smettere di dare via il culo e l’uccello per soldi. Intendo, magari riuscirebbe a trovarci un posto dirigenziale, o che so io.
- Nyze… - lo interruppe Chakuza con un lamento stanco, massaggiandosi le tempie e chiudendo gli occhi, - Ma di cosa stai parlando, un posto dirigenziale…? Ma hai idea di quello che mi stai chiedendo?
- Sì, ne ho un’idea molto precisa, Peter. – insistette lui, alzandosi dal letto ed avvicinandoglisi con decisione. Chakuza lo scrutò con un po’ di paura. L’aveva chiamato Peter, e questo non poteva che lasciar supporre che stesse per fargli un discorso molto, molto serio. – Questa vita che facciamo è veramente una vita di merda. Non è una vita che puoi fare per sempre, ti ammazza prima. Abbiamo bisogno di tornare alla normalità, Peter, ma non possiamo andare da Bushido e chiedergli un lavoro diverso da quello che abbiamo, non è così che funziona. Quell’uomo ammazza i dissidenti sparandogli alla nuca nei vicoli delle strade. Se vogliamo che faccia qualcosa per noi, dobbiamo tenerlo per le palle.
- Ragazzi, ma di che cosa stiamo parlando? – chiese Kay, con aria palesemente preoccupata, scattando in piedi e guardando alternativamente prima l’uno e poi l’altro, in attesa di una risposta.
Chakuza trattenne il fiato per qualche secondo, senza mai perdere il contatto visivo con gli occhi di Nyze.
- Già. – disse quindi. Avrebbe voluto suonare caustico e astioso. Suonò soltanto come un soldato in attesa di chiarimenti sugli ordini impartiti dal proprio superiore. – Di cosa stiamo parlando?
Nyze non sorrise trionfante come Chakuza si sarebbe aspettato. L’atmosfera cospiratoria della situazione aveva alterato i suoi sensi ed i suoi processi mentali, per un attimo aveva creduto di trovarsi in un film di mafia e la cosa non gli era piaciuta. Ma Nyze distolse lo sguardo e si sedette a tavola, congiungendo le dita davanti al naso, e per qualche secondo si limitò semplicemente a riflettere, come avesse un gran bisogno di raccogliere le idee, prima di esporre il proprio piano.
- Potresti tornare da lui. – propose, fissando ostinatamente un punto vuoto sulla parete di fronte a sé, - E vedere come gira. Non voglio prenderti in giro, non si tratta di fare qualcosa di onesto, ma d’altronde da quant’è che non fai qualcosa di onesto, Chaku?
Chakuza sospirò pesantemente, ammettendo quantomeno con se stesso che Nyze aveva ragione.
- Avrei preferito non dover fare niente di disonesto che coinvolgesse Fler. – rispose. Nyze gli lanciò un’occhiata dubbiosa, inarcando un sopracciglio. – Non mi sono preso nessuna cotta. – precisò lui, sedendosi di fronte a lui e guardandolo dritto negli occhi, - Solo che gli sono grato, pur per quel poco che ha fatto. Voi, comunque, - concluse con un mezzo sorriso, - venite prima.
Nyze rispose al suo sorriso con uno ugualmente caloroso, e Kay, in piedi dietro di lui, pur continuando palesemente a non capire un accidenti di quanto stesse accadendo, fece lo stesso. C’erano dei momenti in cui Chakuza li odiava entrambi, o meglio, non riusciva a sopportare l’idea di dover dividere il proprio spazio vitale con loro. Ma c’erano altri momenti, ce n’erano stati tanti, in cui la loro presenza gli era sembrata indispensabile, e lo era stata davvero. Momenti in cui faceva troppo freddo per stare fermi, momenti in cui bisognava parlare tutta la notte per non avvertire i morsi della fame, momenti in cui si stracciava un paio di pantaloni e si mettevano insieme i risparmi di tutti per comprarne uno in sostituzione. Non poteva mettere da parte tutto questo per il calore delle mani di un ragazzino a caso. Sospirò profondamente.
- Sarà facile, per te. – disse Nyze, battendogli una pacca su una spalla, - Ci sai fare, con gli uomini. Ti cadrà ai piedi in un istante.
Chakuza sorrise fra sé. Non era proprio sicuro che sarebbe andata così, e qualcosa, nel fondo del suo petto, si stava agitando, rendendolo irrequieto. Si costrinse a cercare di ignorare almeno quello, e poi finì di prepararsi per uscire.

continua...