rp: cesare prandelli

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico.
Pairing: Prandelli/OMC, Jovetic/OMC, Mutu/OFC/Gilardino. Abbiate pazienza.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Lemon, OC, What If?, Prandelli having sex (è un warning anche lui), Slash, 3some accennata.
- "L’urlo del Franchi li accoglie come se avessero vinto una guerra."
Note: ...duuuunque. Tutto ciò è cominciato perché io e Chià stavamo delirando su Twitter a proposito di lei che slasha gente randomica, e ad un certo punto lei mi fa "Ma sai che il fratello minore di *persona di cui stavamo parlando* ha incontrato Cesare mentre si faceva una corsa? Si sono anche fatti una foto insieme". Da lì, è stato il delirio. Il mio cervello si è acceso e io ho cominciato a shippare come una pazza sclerata, e ci tengo quindi a specificare oggi più che mai che nulla di quanto scritto qua dentro è reale o veritiero anche in minima parte, e che spero almeno serva per pronosticare una buona andata ed un buon ritorno alla Fiorentina contro il Bayern X'D *delira male* Comunque fondamentalmente è una fic che potete apprezzare solo se siete "di famiglia", quindi non sprecateci tempo :)
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Celebration


Quando la testa di Arturo fa capolino in mezzo alla folla che ingombra il campo del Franchi e che ancora urla e canta dopo lo schiacciante tre a zero che profuma di quarti anche più di quanto non già facesse il due a zero dell’andata a Monaco, Cesare solleva disperatamente gli occhi al cielo e chiede alla notte perché.
Subito dopo, rendendosi conto dell’inutilità di tale gesto, comincia a cercare una concreta via di fuga, ma è già troppo tardi, perché entrambe le braccia di Arturo si sono strette attorno ad una delle sue e il ragazzo gli ha lasciato sulla guancia un bacio un po’ umido e sorridente che gli resta sulla pelle caldissimo, intenso e felice, e Cesare non può fare altro che lasciare andare un mugolio drammatico e ringraziare iddio che tutti siano troppo occupati a festeggiare per accorgersi del ragazzo che lo sta coccolando teneramente a bordocampo.
- Arturo… - borbotta, cercando con poco successo di scollarselo di dosso, - Dov’è tuo fratello?
- Non ci giurerei, - risponde lui, con un sorrisino malizioso, - ma ho come la vaga impressione di averlo visto infilarsi nel tunnel per gli spogliatoi tirando Jojo per i capelli appena cominciata l’invasione di campo.
- Naturalmente. – sospira Cesare, passandosi una mano sopra gli occhi stanchi, - E suppongo di non poter contare nemmeno su Chiara, come al solito.
- Immagino di no. – ridacchia Arturo, - In questo preciso istante, potrebbe già essere in macchina con Alberto. O con Adi. O con entrambi.
- Voi giovani avete un problema. – cerca di fargli presente Cesare, inarcando un sopracciglio, ma Arturo distribuisce ampi sorrisi ad amici e conoscenti tutti intorno e non gli presta la minima attenzione, motivo per cui, un secondo dopo, Cesare torna a sospirare platealmente e massaggiarsi le tempie. – Ma chi me l’ha fatto fare di concederti quella foto…
- Mi trovavi carino. – risponde Arturo, strofinandogli il naso contro una guancia in un gesto tenero e un po’ infantile.
- No che non ti trovavo carino! – sbotta Cesare, ma quando vede le sue sopracciglia inarcarsi verso il basso si affretta a correggersi, - …nel senso che non ci pensavo nemmeno, a una cosa simile! Mi pare ovvio!
Arturo riesce a mantenere la posa triste, sofferente, delusa e un poco offesa solo per altri due secondi netti, dopodiché scoppia a ridere sporgendosi ad abbracciarlo strettissimo e per Cesare la voce dello stadio diventa improvvisamente bassissima, e poi scompare, inghiottita dalla sua, mille volte più dolce.
- Avevo capito cosa intendevi. – lo rassicura con un altro bacio sulla guancia, - E anche in caso contrario, è una serata troppo bella per arrabbiarsi.
La sua mano scivola dal suo collo, che stava accarezzando fino a pochi secondi fa, alla sua spalla, e poi al suo braccio. Si ferma appena sul suo polso, e poi Arturo intreccia le dita con le sue, sorridendo quasi timoroso, una domanda muta negli occhi che brillano di gioia e dei fari accesi del Franchi illuminato a giorno, che gronda striscioni e bandiere e orgoglio e felicità tale da riempire tutta Firenze di luce.
- Arturo… - cerca di fermarlo Cesare, la voce che trema, un po’ per l’incertezza, un po’ per la paura, un po’ perché si sta stancando di provare ogni santa volta a dirgli no, visto che ogni santa volta è un no inutile.
- Dai. – dice lui, continuando a sorridere, forte dei suoi diciannove anni e della convinzione assoluta di fare solo cose giuste, tipica di quell’età. – Per favore, vieni con me.
Quando lo tira verso il tunnel, Cesare non oppone resistenza. È troppo vecchio per resistere ancora, si dice in un sospiro, ma è troppo vecchio anche per cedere. E lo pensa con insistenza anche quando le labbra di Arturo non aspettano neanche che la porta dello spogliatoio – fortunatamente vuoto, Stevan e Giacomo devono già essere spariti da qualche altra parte, e chissà da quanto tempo – per avventarsi sulle sue e costringerlo a schiuderle, mentre con mani svelte e affamate lo libera del giubbotto, della sciarpa e di tutto ciò che ancora separa le dita dalla sua pelle.
- Arturo. – prova a chiamarlo ancora, ma ha gli occhi chiusi e le sue mani si chiudono immediatamente attorno ai suoi fianchi quando lui, dopo un breve saltello, incrocia le gambe dietro la sua schiena ed usa entrambe le mani per puntellarsi alle sue spalle, poggiando la fronte contro la sua e guardandolo dritto negli occhi. Sicuro, coraggioso, vincitore sempre. Cesare lo invidia, e lo adora, e lo trova bellissimo.
- Sono felice. – soffia Arturo sulle sue labbra, - Ti amo. – e sorride ancora, tornando a baciarlo. Cesare lascia perdere ogni lamentela, ogni contrarietà ed ogni inibizione mentre spazio e tempo, attorno a lui, si distendono e si contraggono perdendo importanza, oggettività, fisionomia. Tutto il mondo ha il colore della pelle umida e un po’ arrossata di Arturo, ha il suo profumo giovane, forte, un po’ aspro, ha il sapore salato delle sue labbra e quello un po’ più zuccherato della sua lingua. Tutto è caldo e stretto come il suo corpo impegnato a scivolare con forza sotto il suo, accogliendolo dentro di sé e poi stringendosi attorno alla sua erezione con tanta decisione da farlo sentire in trappola e costringerlo ad ansimare qualcosa di troppo pericolosamente simile al suo nome seguito da un “anch’io” dalle implicazioni troppo gravi ed enormi per poter essere ripetuto ad alta voce. Ma Arturo si accontenta anche di questo, sorride e lo stringe a sé con una tenerezza che non dovrebbe appartenere alla sua giovane età e che Cesare gli ha insegnato poco a poco con tutto il tempo che hanno trascorso insieme ultimamente, fra una bravata e l’altra, fra una sorpresa e l’altra, fra una lagna e l’altra, ma fortunatamente anche fra una tenerezza e l’altra, fra un bacio e l’altro, fra un’occhiata dolce e l’altra, mentre cominciavano a conoscersi e i loro mondi si fondevano in uno solo al punto da non poter più essere ricondotti alle loro forme originali, figurarsi essere separati per sempre.
Cesare respira sul suo collo mentre la panchina torna fredda dopo di loro, dal momento in cui hanno smesso di muoversi in poi. Da fuori vengono ancora le urla di gioia di tifosi e giocatori, e Arturo sorride.
- Non so te, - dice, allontanandolo velocemente ma con tenerezza, per poi saltare subito in piedi, - ma io la festa non me la voglio perdere per nessuna ragione al mondo. – e sorride entusiasta, rivestendosi e tirandogli addosso i propri abiti sparsi ovunque, così che anche lui possa darsi una sistemata. – Ti aspetta un bagno di folla, là fuori. – aggiunge con l’ennesimo sorriso dolce della serata, - Promettimi che non farai il cavernicolo come tuo solito e ti lascerai coccolare un po’ anche dagli altri. Te lo meriti.
Cesare sorride e si rassegna ad un cenno d’assenso, mentre il cellulare di Arturo comincia a squillare e lui comincia a litigare con Chiara che evidentemente no, non è andata via con Adi e Alberto, anche se sì, è con entrambi, e si chiede dove diavolo siano finiti, che di fuori è un casino e stanno tutti festeggiando e “che due stronzi che siete, ma io non lo so, veramente”. Sorridono entrambi mentre finiscono di rimettere a posto i vestiti ed escono dagli spogliatoi. L’urlo del Franchi li accoglie come se avessero vinto una guerra, quando scendono in campo, ed in fondo al cuore entrambi sanno che è davvero così.
Fandom: RP: Calcio
Personaggi:
Genere: Introspettivo.
Pairing: Cesare/OC.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Angst, Slash.
- Cesare cerca di nascondere qualcosa ad Arturo, ma Arturo già lo sa.
Note: Scritta per la settimana corrente del Challenge Trimestrale di dietrolequinte, su prompt You better look it over / Before you make that leap, da Spaceman dei Killers, ma in realtà è una storia che voglio scrivere da luuuungo tempo, anche da prima che la notizia di Prandelli come nuovo CT della Nazionale diventasse ufficiale. Dedicata alla Chiara perché le vu bi un casino, e se non avete letto Celebration fate pure a meno di leggere anche questa XD
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- Ne sei sicuro?
Cesare sospira, passandosi una mano fra i capelli.
- Non sono mai stato così sicuro di nient’altro.
Giacomo borbotta qualcosa di poco chiaro, sospirando a propria volta.
- Perché lo dici a me?
Cesare scrolla le spalle.
- Avevo bisogno di dirlo a qualcuno.
Giacomo aggrotta le sopracciglia con disappunto.
- Perché non a lui?
Cesare guarda altrove, gli occhi velati da un’ombra di colpevolezza.
- Avevo bisogno di dirlo a qualcuno che non fosse lui.


GETTING READY TO LEAVE THE GROUND


You better look it over
Before you make that leap


L’appartamento è completamente immerso nel buio, ma Cesare non ha bisogno di vederlo coi suoi occhi per sapere che Arturo è lì. Non sente il suo odore nell’aria, non sente il suono del suo respiro, non sente nemmeno la sua presenza a livello conscio o inconscio, è più una certezza dettata dall’abitudine, dal fatto che non gli è mai capitato di desiderarlo e non trovarlo sempre pronto, a portata di mano. Arturo l’ha abituato ad esserci, ed è entrato nella sua routine quotidiana con una semplicità quasi spaventosa. Sarà dura cambiare abitudini, quando Firenze resterà solo un ricordo, e anche lui.
Lo trova steso sul letto in camera. Dorme, o almeno così sembra, sistemato nella propria metà del letto e con addosso solo un lenzuolo attorcigliato in mezzo alle gambe. È di fianco, i capelli gli coprono il viso a tratti, una mano nascosta sotto il cuscino e l’altra appoggiata sopra, all’altezza delle labbra semidischiuse, stretta a pugno come quelle dei bambini piccoli quando dormono.
Sospirando, Cesare sfila la camicia e l’appoggia sulla sedia davanti alla scrivania. Toglie la cintura, sbottona i pantaloni e li ripone sulla seduta preoccupandosi appena di piegarli decentemente. Mette da parte l’idea di scalciare via le scarpe quando si rende conto che farebbe rumore, perciò si siede sul letto e le toglie lentamente, appoggiandole sul pavimento accanto al comodino con attenzione, ma scopre di avere utilizzato accorgimenti del tutto inutili quando, voltandosi per sdraiarsi a letto, vede che Arturo è sveglio, e lo guarda.
- Hai fatto tardi. – dice sorridendo. Cesare sorride a propria volta, quasi nel tentativo di scusarsi.
- Non volevo svegliarti. – dice, allungando una mano ad accarezzargli una guancia e trovandola un po’ ruvida. – Non hai fatto la barba, oggi?
- Non avevo voglia. – scrolla le spalle Arturo, guardando altrove, - Come mai hai fatto tardi? – chiede quindi, tornando a puntargli gli occhi addosso.
- Avevo da fare. – risponde Cesare, sfilando il lenzuolo da sotto il proprio corpo per coprirsi, mentre Arturo scivola naturalmente sul materasso per avvicinarsi a lui, deciso a ritrovare il proprio usuale posto fra le sue braccia. – Tu che hai fatto? – chiede con un sorriso, quando si sono entrambi incastrati nel giusto modo.
- Ho perso tempo. – risponde Arturo, il tono assente, - Al solito, suppongo. Sono uscito un po’ con Giacomo e la Chiara e poi ovviamente loro mi hanno mollato a metà pomeriggio perché i loro ragazzi non saltano gli appuntamenti.
Cesare si allontana un po’, cercando gli occhi di Arturo.
- Avevamo un appuntamento? – domanda con aria persa. Arturo annuisce vago.
- Niente di che, - precisa, - dovevamo solo prendere un caffè insieme. Ma, per dire, Adi ed Albi non hanno mai fatto aspettare Chiara, e tutti sappiamo che bestioni siano, e tu non riesci nemmeno a—
- Arturo, - lo interrompe Cesare, stringendoselo di nuovo contro e muovendosi quasi a cullarlo, - Arturo, mi dispiace. L’ho dimenticato. Non intendevo lasciarti solo, è stata solo una distrazione.
Arturo si divincola lentamente dal suo abbraccio, e Cesare non oppone resistenza quando il ragazzo manifesta l’intenzione di allontanarsi. Lo guarda sollevarsi sui gomiti ed osservarlo dall’alto con una punta di paura, chiedendosi cos’abbia intenzione di fare e perché si ostini a guardarlo come se dovesse sparire da un momento all’altro. La risposta, Cesare lo sa, è che è proprio così, purtroppo.
- Hai un sacco di preoccupazioni per la testa, in questo periodo. – sussurra Arturo, accarezzandogli la fronte con la punta delle dita e spianandone dolcemente le rughe. – Cose di cui non puoi parlare?
- In un certo senso. – risponde Cesare, a corto di fiato, intrecciando le proprie dita con quelle della sua mano libera. – A suo tempo lo saprai, Arturo, te lo prometto.
Arturo annuisce nel buio, distogliendo lo sguardo. È sempre guardando altrove che gli pone la domanda successiva.
- Quando parti?
Il respiro di Cesare gli si blocca in gola, soffocandolo per qualche secondo prima che lui si decida a sforzarsi per buttarlo fuori e riprendere a far lavorare normalmente i polmoni.
- Cosa-- - chiede incerto, - Come—
- Non me l’ha detto nessuno, se è questo quello che stai pensando. – lo rassicura Arturo, rotolando di schiena sul materasso e fissando il soffitto con inusuale concentrazione, - L’ho capito da solo, e poi anche io leggo i giornali, sai. E so navigare su internet e come hai potuto dirlo prima a Giacomo e a Chiara che a me?
- Arturo, io volevo solo che—
- Cosa? – ringhia lui, voltandosi d’improvviso a guardarlo, - Era più facile parlarne con loro invece che con me? Speravi che se lo lasciassero sfuggire così tu non avresti dovuto dirmi niente? Be’, loro sono stati discreti ma, contento?, l’ho detto prima io. Così ti sei risparmiato la dolorosa confessione del cazzo.
- Avevo bisogno – dice Cesare, alzando un po’ la voce per arginare il fiume in piena della sua, - Avevo bisogno che loro lo sapessero prima. Così avrebbero potuto farci l’abitudine, e starti vicino quando l’avresti saputo tu.
Arturo lo guarda stranito per qualche secondo, come avesse sentito qualcosa di completamente inatteso. Poi si volta su un fianco, dandogli le spalle e rannicchiandosi in posizione fetale.
- Sì, be’, grazie della premura, ma come vedi non è servito a niente. – borbotta.
- Me ne rendo conto. – annuisce Cesare avvicinandoglisi, stando però bene attento a non toccarlo, - Ma dovevo provarci. – poi sospira, passandosi una mano sugli occhi. – Chiara mi aveva detto che l’avresti presa male.
- Aveva ragione. – sputa fuori Arturo, rannicchiandosi possibilmente ancora di più ed allontanandosi di qualche centimetro, - E tu sei uno stronzo. Hai già firmato?
- Arturo—
- Hai già firmato?
Cesare si morde un labbro, reggendosi su un gomito. Si allunga a stringerlo fra le braccia – che lui lo voglia o no – prima di rispondergli.
- Sì. – lascia andare in un sospiro, sentendosi immediatamente sollevato, - È soltanto un accordo di massima, ma sì. A meno di qualche intoppo—
- Non darmi speranze. – dice Arturo, gelido. Cesare inspira profondamente.
- Non ci sarà alcun intoppo. – si corregge. Lo stringe più forte, ma Arturo non ricambia la sua stretta. – Subito dopo la conclusione dei Mondiali, sarò il nuovo CT della Nazionale. - Arturo non risponde, ma i singhiozzi leggeri che lo scuotono non lasciano grandi dubbi sul fatto che stia piangendo. – Hai diciannove anni… - sospira Cesare, chinandosi su di lui e lasciandogli un bacio lievissimo sulla tempia, - Guarirai. Dimenticherai. Farà meno male. Non era neanche giusto tenerti legato a me, Arturo, io sono anziano.
- E a me non è mai importato! – scatta Arturo, liberandosi delle lenzuola e delle sue braccia e saltando giù dal letto. la maglietta bianca che indossa quasi luccica della luce della luna. Sembra che si tenga su da sola, che non ci sia niente dentro. Il suo corpo – la pelle abbronzata, i capelli sottili, le gambe e le braccia madre – si perde e si sfuma nella notte oltre la finestra, e Cesare deglutisce a fatica. – E non voglio guarire. Non voglio dimenticare e non voglio che faccia meno male. Voglio che resti, e sono sicuro che resterà più di quanto non sia rimasto tu.
Cesare lo ascolta trattenere un singhiozzo e poi correre in bagno. Quando la chiave gira nella toppa, si mette seduto sul letto, le gambe appena piegate e la testa fra le mani. La voce di Giacomo, in un’eco lontana, gli chiede ancora se sia sicuro di ciò che sta facendo. La sua risposta non è più tanto netta, ma adesso non ha più nemmeno importanza.
Silenziosamente, si alza dal letto e si riveste. Quando lascia l’appartamento, nel sentire il suono della porta che si chiude – mentre quella del bagno torna ad aprirsi e le lacrime e i singhiozzi di Arturo esplodono per qualche secondo, prima di tornare ad essere ovattati dal cuscino che sicuramente si starà premendo contro il viso – nel guardarsi intorno e vedersi solo e sentirsi solo, Cesare scopre che Arturo aveva ragione. Questo durerà molto più di quanto non sia durato lui.