film: phil coulson

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Coulson/May.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Lemon, Het.
- Ambientata subito dopo lo scontro con Lorelei, con tutte le conseguenze del caso. Ancora ammaccata dal combattimento che l'ha vista contrapporsi a Ward, Melinda si prende qualche minuto per se stessa, e Coulson finisce per infilarsi in questa temporanea parentesi di calma.
Note: Scritta per il GranSorpresa Challenge (su prompt: Coulson/May, sesso dopo una missione in cui uno dei due ha rischiato la vita più seriamente del solito; lo so che la missione di Yes Men è hardly una missione in cui Melinda ha rischiato la vita più del solito, ma capitemi, stiamo parlando di Melinda May, quando Melinda è in missione è la missione che rischia la vita, non lei, uno deve anche adattarsi), ma soprattutto scritta perché IL COUVALRY E' LA MIA NUOVA RELIGIONE. Che poi io me ne sono innamorata subito, fin dal pilot della serie, però ero presa benissimo, del tipo "oh, guardali come sono bromantici (???) e shippabili e BAMF, li amo", e poi all'improvviso la famiglia Whedon my colpisce in da face con L'ANGST SUPREMO e io mi perdo forever nell'amore eterno. E trascino con me la Fae bcz of legami fraterni.
PRIMA O POI SCRIVERO' ANCHE UNA ROBA SU MELINDA CHE VIENE A SAPERE CHE COULSON E' MORTO, E POI UN'ALTRA ROBA SU QUANDO MELINDA SI E' SPOSATA E COULSON E' VENUTO A SAPERLO DA TERZI. Ma quel giorno non è oggi, oggi è il giorno del porno. Quindi.
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IT’S HARD TO LAY ARMS DOWN IN THE ARMS OF THE ONE WHO LAYS YOU BARE

Melinda si spoglia lentamente, facendo attenzione a come si muove. È una procedura collaudata, standardizzata dai lunghi anni di combattimenti sul campo. Se la porta scritta addosso, dentro fin nelle ossa. Gli anni passati dietro la scrivania non sono bastati a estirparla dalla sua memoria fisica – forse lei stessa non gliel’ha mai permesso; forse, da qualche parte dentro di sé, ha sempre saputo che prima o poi qualcosa del genere sarebbe potuta accadere, che ci sarebbe stato bisogno di lei, che lui— e si è aggrappata a quella memoria radicata in profondità dentro il suo corpo per essere sempre pronta –, e Melinda segue quella traccia ogni volta che può permettersi di smettere di pensare, di abbandonarsi a una routine confortante.
Non le capita spesso. Specie da quando è qui.
Oggi però decide così. Decide di esserselo meritato. Che è stata una giornata pesante - se pesante è l'aggettivo adatto per descrivere l'inferno - e che può permettersi di mollare la presa. Affidarsi al pilota automatico per il volo notturno, affidarsi alla sua cuccetta invece che alla solita poltrona per riposare qualche ora, affidarsi alla meccanica del suo cervello per prendersi cura di se stessa nell'unico modo in cui è sempre stata in grado di farlo.
Si merita di mollare la presa su tutto, anche su se stessa.
Si merita di mollare la presa su tutto, specialmente su se stessa.
È coperta di lividi dalla testa ai piedi. Non fanno male, se non li tocca, ma la infastidisce osservarli riflessi nello specchio. La infastidisce essersi lasciata toccare in questo modo da Ward. Non è che si penta di quello che è successo fra loro. L’hanno, in una certa misura – in misure differenti, ma a quanto pare da un certo punto di vista anche sorprendentemente simili – voluto entrambi. Melinda vorrebbe poter dire che si è trattato di una cosa senza conseguenze, è quello che sente quando ci pensa, ma in realtà non crede nelle cose senza conseguenze. Tutto ne ha qualcuna. La sua sono questi lividi.
E poi c’è tutto il resto, pensa distrattamente, sfilando la canottiera e voltandosi per osservare una macchia scura particolarmente estesa sul fianco, C’è Coulson, c’è Fury… c’è il resto. Non le piace pensare al resto. Il resto la fa sentire a disagio, anche se non dovrebbe.
I due colpi battuti contro la sua porta la mettono in allarme neanche fossero stati due spari. Indossa la canottiera velocemente, contenendo a stento una smorfia di dolore mentre si volta verso la sorgente di quel rumore.
- Chi è? – domanda, nessuna traccia di agitazione nella voce.
- Sono io. – risponde Phil. Ed è Phil, e tutti i muscoli del corpo di Melinda si sciolgono dallo stato di tensione in cui i colpi li avevano gettati.
Espira lentamente, senza emettere un suono, contando fino a tre. Niente Fury. Niente ordini. Niente missione. Solo Phil Coulson.
- Entra.
Lui la trova già seduta sul letto, intenta a sfilare gli stivali. Non c’è mai stato, fra loro, alcun tipo di vergogna. Melinda ha sempre reso impossibile per qualunque uomo all’interno dello S.H.I.E.L.D. la possibilità di considerarla qualcosa di diverso da un militare. Quando qualcosa è successo, come con Ward, non è mai stato niente di diverso, e questo ha sempre consentito a Melinda la possibilità di spogliarsi senza imbarazzo, di nascondere il turbamento dietro la metodicità dei suoi movimenti. Succede anche adesso. Giù la cerniera. Via gli stivali. Via i calzini. Lentamente. Metodicamente.
Ma i suoi movimenti contenuti non ingannano Coulson, che sorride a metà mentre entra in camera e si richiude la porta alle spalle.
- Deve fare male. – le domanda divertito, accennando col capo ai lividi evidenti sulla sua pelle.
- Non particolarmente. – mente lei, sollevandosi in piedi.
- Oh, andiamo. – Coulson ride. Ogni fibra del corpo di Melinda si tende in uno spasmo doloroso.
Sospira, tornando a sedersi. Passa le mani fra i capelli e poi li lega in una coda alta, infastidita.
- Fa un po’ male. – ammette ostinata. Coulson ride ancora, sedendosi al suo fianco.
Condividono qualche istante di silenzio. È piacevole, e Melinda si rifugia fra le pieghe di quel silenzio, rilasciando un po’ di tensione. Gli istanti di silenzio sono gli unici in cui può essere completamente sincera, con lui. Fortunatamente, ne condividono parecchi.
Nessuno dei due è mai stato un tipo di troppe parole. Neanche prima. A Melinda parlare troppo non è mai piaciuto, e per quanto riguarda Phil, fatta eccezione per le rare occasioni in cui qualcuno è talmente avventato da dargli un qualche motivo per mettersi a parlare a ruota libera di Steve Rogers, anche lui preferisce il silenzio, il più delle volte. È più sicuro, in tutti i sensi.
- Ho seguito il tuo consiglio. – dice lui dopo un po’, - Ho parlato con Skye.
Melinda annuisce lentamente. Non chiedere niente, sapendo già tutto, è facile. Forse troppo. Coulson però non lo nota, o se lo nota finge di non farlo. Melinda decide di non tentare la sorte e lascia scorrere i secondi che seguono nel silenzio più assoluto.
- Come ti senti, adesso? – domanda quindi, guardando altrove. Scivola indietro sul materasso, appoggiando le spalle alla parete e raccogliendo le ginocchia al petto.
Coulson scrolla le spalle.
- Non meglio di prima, in realtà. – ammette in un sospiro, - La sto mettendo in pericolo. Forse inutilmente.
- Skye era già in pericolo, Phil. – gli ricorda lei, - So che non è rassicurante, ma parlando con lei non l’hai messa più in pericolo di quanto non fosse qualche ora fa.
- Lo dici solo perché non sai di cosa abbiamo parlato. – ribatte lui.
Melinda scrolla le spalle.
- Forse. – ammette, - O forse so che è così a prescindere da tutto il resto. Era uno 0-8-4 prima che tutto questo accadesse. Questo non puoi cambiarlo, Phil. Ci sono cose da cui non puoi proteggerla. Ci sono cose che la inseguono, e che non dipendono da te.
Lo vede tirare sulle labbra sottili un sorriso stanco e rassegnato. Voleva aiutarlo, ma potrebbe aver peggiorato la situazione. Lo smarrimento nei suoi occhi è evidente, per qualche istante, e lei si allunga verso di lui, appoggiandogli una mano sulla spalla.
- Puoi restarle accanto, però. – dice. Lui si volta a guardarla. Sembra così vulnerabile. – Credi di averla messa ulteriormente in pericolo, ma non è così. Skye lavora meglio con quello che sa. Se non altro, le stai dando le armi necessarie per difendersi.
Coulson resta a guardarla in silenzio per un po’, le labbra strette in una linea indecifrabile che si scioglie poi, all’improvviso, in un sorriso addolcito dalla tensione che abbandona il suo viso.
- Verso metà discorso stavo cominciando a chiedermi se volessi farmi stare meglio o peggio. – dice, nascondendo il tremito della voce in una mezza risata, - Ma non avrei dovuto dubitare. Alla fine, ci riesci sempre.
Sorridergli è più difficile del previsto, ma allo stesso tempo è una liberazione che Melinda si concede volentieri. Stringe la presa delle dita attorno alla spalla di Coulson per qualche istante e poi lo lascia andare, tornando ad appoggiarsi alla parete alle sue spalle.
- Anche io ho seguito il tuo consiglio. – dice quindi, sospirando profondamente, - Ho parlato con Ward.
Non sa perché glielo dice. Probabilmente solo perché sente che è giusto così, come quando gli ha comunicato che era cominciata una relazione fra loro. Le sembra giusto anche comunicargli che ora è finita.
- E come ti senti, adesso? – le fa il verso lui, sorridendo divertito.
Solleva appena le spalle in un gesto incerto, appoggiando il capo indietro contro la parete e lanciando un’occhiata distratta al soffitto metallico.
- Come prima. – risponde, - Non era una cosa importante.
- Perché lo dici?
- Perché è vero.
- Sì, ma perché lo dici? – insiste lui, voltandosi a guardarla con interesse, - Non dubito che sia vero, ma questo tuo costante bisogno di ribadirlo…
- Non lo so. – lo ferma subito lei, - Ho capito cosa intendi, ma onestamente non lo so. Forse voglio che sia chiaro.
- Per te?
Per te.
Sospira, piegando il capo.
- Ad ogni modo, adesso non sarà più un problema.
- Lo era, prima? – Coulson chiede con un sorriso indecifrabile.
Melinda gli lancia un’occhiata quasi infastidita, aggrottando appena le sopracciglia.
- Ti diverti? – gli domanda, piccata.
Lui ride divertito, accomodandosi meglio sul letto, indietreggiando fino a poggiare anche lui le spalle contro la parete.
- Onestamente sì. – confessa in un’altra mezza risata, - Non mi era mai capitato di avere a che fare con te in una situazione simile. Ammetto che il pensiero mi incuriosiva.
Melinda inarca un sopracciglio, guardandolo dubbiosa.
- Ti incuriosiva cosa?
- Non lo so. – Coulson ride, mascherando l’imbarazzo, - La dinamica, suppongo? L’idea.
- Wow. – Melinda si lascia sfuggire un sorriso, piegandosi appena in avanti, - Non l’avrei mai detto.
- Non intendo in quel senso. – Coulson ride ancora, scuotendo il capo. Poi si ferma. – O forse sì. Non lo so. Non saresti stata curiosa, tu, al mio posto?
Lo sono stata, pensa lei, Anche al mio posto.
- Cosa vuoi sapere? – chiede, incollandosi addosso quel sorriso e sperando di non sentirlo scivolare via troppo presto.
- Non mi costringerai a chiedere! – ride lui, incrociando le braccia sul petto.
Melinda gli fa eco, scuotendo il capo.
¬- No. – lo rassicura quindi. Poi sospira, - Era molto impersonale. Non direi asettico, ma distante.
- Sembra tremendo. – commenta Coulson con un mezzo sorriso, piegando il capo verso di lei.
- Al contrario, era molto divertente. – Melinda sorride appena, stendendo le gambe e poi accavallandole per stare più comoda, - Era facile. Avevamo entrambi bisogno di una cosa facile.
- E ti piaceva? – domanda Coulson senza vergogna. Melinda annuisce senza esitare, e Coulson sospira, incamerando l’informazione. – È molto tempo che non ho una cosa così. – confessa a mezza voce, - Una cosa facile.
Trattenere il brivido che le sue parole le accendono lungo la schiena si dimostra più difficile del previsto. Per un attimo si chiede se ha capito bene, e nel dubbio si domanda se non dovrebbe ignorare quello che ha detto e lasciare perdere, ma quando si volta a guardarlo legge, sul rossore vago che gli colora le guance, tutte le conferme di cui aveva bisogno – e che, davvero, avrebbe preferito non vedere.
- Oh. – dice, sciogliendosi i capelli in un gesto nervoso.
- Sono inopportuno? – domanda Coulson con premura, voltandosi a guardarla.
- No, non è questo. – Melinda scuote il capo, mordendosi il labbro inferiore. È così difficile. Forse è troppo difficile. – Perché io?
- Be’, sia Skye che Simmons sono off limits, ti pare? – scherza lui, ma la risata che accompagna le sue parole è nervosa e a disagio. Melinda si volta a guardarlo, e non c’è traccia di quella risata nei suoi occhi.
È confuso e triste, è perso e non sa cosa pensare di se stesso, ed in parte è anche una sua responsabilità.
Non è una sensazione piacevole.
Si solleva sulle ginocchia, avvicinandoglisi silenziosamente. Coulson la guarda senza sapere cosa fare di se stesso, e l’idea di non potergli dire tutto, di non potersi sedere ad un tavolo di fronte a lui e dirgli come stanno realmente le cose, la atterrisce.
- Non è solo perché Skye e Simmons sono off limits. – si lascia sfuggire lui in un sussurro inconsistente. Melinda gli preme due dita sulle labbra e scuote il capo.
- Non parlare. – gli dice, - È più facile se non parli.
Ma è ovvio, lo sente sottopelle, nelle scintille che le scoppiettano addosso quando lui solleva entrambe le mani e le sfiora le braccia nude, che non sarà facile per niente. È ancora più facile della verità, però, e Melinda si lascia andare ad occhi chiusi, fingendo di potersi permettere di abbassare la guardia, anche solo per pochi minuti.
Le labbra di Coulson hanno il sapore di qualcosa di antico e personale, qualcosa che sembrava perso per sempre e invece non è mai andato via. La riportano indietro di anni, fino al Bahrain. Non il peggio del Bahrain, solo lui. Le notti infinite dopo Manama, passate a fissare il vuoto nella speranza di ritrovarsi da qualche parte, nel punto più nascosto di se stessa, fino a rendersi conto di non trovarlo più, di avere perso la strada, ma lui, lui conosceva ancora a memoria il percorso all’interno di quel labirinto. A quei tempi il suono della sua voce le sembrava l’unica traccia possibile per inseguire l’illusione di tornare ad essere se stessa, un giorno.
Hanno fatto entrambi troppa strada, da quel momento, e lei gli ha mentito troppe volte. Il suo corpo però non mente, mentre si avvicina a quello di Coulson. Le sue mani non mentono mentre sciolgono il nodo già allentato della cravatta e gliela lasciano scivolare via dal collo. Coulson ha gli occhi chiusi e respira piano attraverso le labbra dischiuse. Melinda, a cavalcioni su di lui, sfila i bottoni della sua camicia dalle loro asole uno per uno, e lo sente rabbrividire sotto le dita quando lo sfiora oltre il tessuto leggero.
Sente le sue mani chiudersi attorno ai propri fianchi, e risponde a quella stretta con un movimento del bacino che costringe Coulson a un mugolio arreso. Melinda si china su di lui, coprendo le sue labbra con le proprie, e Coulson sposta entrambe le mani ai lati dei suo viso, tenendola vicina. La bacia con la fame ostinata e confusa di chi è rimasto a digiuno troppo a lungo per potersi concentrare sui sapori, la bacia aggrappandosi a lei come fosse l’unico punto fermo in un universo che gli ha tolto ogni punto di riferimento, e per stavolta, solo per stavolta, Melinda finge di poterlo essere davvero, di poterlo guidare senza dovergli mentire. Di poterci essere, senza ordini segreti, senza missioni riservate.
Non deve essere occhi e orecchie di Nick Fury, non stasera, non adesso. Può essere se stessa. Può fingere di ricordare ancora cosa voglia dire essere se stessa, prima del Bahrain, quando Coulson avrebbe potuto essere più di un salvagente o un’uscita di sicurezza, più di un amico legato a lei dal bisogno, più di una perdita devastante, una ferita da riparare, più di una missione da portare a termine.
Raddrizza la schiena, incrociando le braccia sul petto per afferrare la canottiera dall’orlo e sfilarla da sopra la testa. Coulson apre gli occhi come richiamato alla realtà da una richiesta implicita troppo invitante per poter essere rifiutata, e chiude le mani a coppa attorno al suo seno nudo, stringendo senza delicatezza, ma senza farle male. Melinda abbassa lo sguardo su di lui, ma lui sembra vedere solo il suo corpo, e forse è meglio così. Non è facile – non può esserlo, non lo sarà mai – ma Melinda può fingere che lo sia, e fingere, quello sì, ormai è facile davvero.
Melinda si solleva sulle ginocchia, allontanando il proprio bacino dal suo. Può leggere la sorpresa e il fastidio per essere stato privato di quel contatto negli occhi di Coulson, e può anche leggere la sua indecisione. Basterebbe allontanare le mani dai suoi seni per chiuderle nuovamente sui suoi fianchi ed obbligarla a ridiscendere su di lui, ma è restio a interrompere il contatto, e Melinda posa le proprie mani sulle sue, invitandolo a stringere più forte, come a rassicurarlo che, a tutto il resto, penserà lei.
Coulson si inumidisce le labbra, continuando a stringerle i seni anche quando lei smette di premere le mani sulla sue. Sfiora i suoi capezzoli inturgiditi con i pollici in un movimento circolare che costringe Melinda a mordersi la lingua per non gemere ad alta voce, e continua ad accarezzarla in quel modo, incoraggiante, affamato, mentre lei porta le mani all’elastico che stringe i leggings neri in vita, e se li lascia scivolare lungo le cosce tornite e abbronzate.
Li sfila prima da una gamba, poi dall’altra, ed il fruscio lievissimo che producono ricadendo sul pavimento suona come un segnale d’attacco per Coulson, che scatta a sedere, chiudendo le proprie labbra su quelle di Melinda in un altro bacio vorace mentre ribalta le loro posizioni, schiacciandola contro il materasso con tutto il proprio peso. Melinda schiude le gambe, accogliendolo fra le proprie cosce, il bacino che si solleva per incontrare il suo a metà strada. Può sentire quanto è duro attraverso il tessuto leggero dei suoi pantaloni e delle proprie mutandine, e poi all’improvviso quest’ultimo scompare, scostato lateralmente dalle dita svelte di Coulson, il pollice che la accarezza all’esterno, indice e medio che trovano la strada per scivolare dentro di lei.
Melinda getta indietro il capo e ondeggia i fianchi seguendo il ritmo della mano di Coulson, i capelli neri che si spargono in una cascata disordinata sul cuscino mentre le lenzuola si spostano sotto i loro corpi, tirate agli angoli dai loro movimenti frenetici.
- Phil. – mormora in una richiesta carica di impazienza, mentre lui scivola in una scia di baci umidi lungo il suo collo e il suo petto, trattenendo i suoi capezzoli fra le labbra uno ad uno, succhiando con forza e poi accarezzandoli in punta di lingua.
Quando sfila le dita, Melinda è così eccitata che l’assenza improvvisa la disturba più del dolore alle costole, ai muscoli e al viso. La tensione che sente contrarle i muscoli nel bassoventre è insopportabile, e mentre Coulson armeggia con la cintura e la chiusura dei propri pantaloni lei spinge il bacino in alto, strusciandosi contro le sue nocche in un movimento felino che spinge un grugnito ferino fuori dalle labbra di Coulson. Le vibra addosso, sulla pelle sudata, e Melinda trema, chiudendo gli occhi e serrando le labbra.
Le schiude di nuovo quando lui si spinge con forza dentro di lei, costringendola ad inarcare la schiena per il piacere, e per l’irruenza improvvisa di quel movimento. Pensa distrattamente che non stanno usando un preservativo, e la cosa la disturba su qualche livello, ma evidentemente non abbastanza da chiedergli di fermarsi. Sentirlo muoversi dentro di lei la riempie di qualcosa di totalizzante, che quasi la confonde. Pensa che con Ward non era così. Che era molto più facile di così. Che così non è facile affatto. E da qualche parte un pezzo nascosto e dimenticato di lei la mette in guardia, le ricorda che non sta facendo la scelta giusta. Ma è un sussurro bassissimo, che i gemiti di Coulson coprono senza difficoltà. I suoi stessi gemiti ne cancellano l’eco, mentre stringe le braccia attorno al collo di Coulson, annaspando alla ricerca dell’aria fra una fitta di piacere e l’altra, finché non le sembra che tutta la sua forza si stia concentrando in un unico punto di lei, riscaldandola fin quasi a sentirsi bruciare, e poi tutta quella stessa forza scompare, sciogliendosi in un orgasmo che la scuote tutta, e che poi la lascia vuota.
Non lo sente venire, e realizza troppo tardi che il motivo è che è uscito prima. Lo vede dritto sulle ginocchia, i pantaloni arrotolati lungo le cosce, accarezzare distrattamente la propria erezione mentre il suo orgasmo gli macchia le dita. Anche questo la disturba, e quando riesce a rimettersi seduta la prima cosa che fa è allungarsi verso la cassettiera di fianco al letto, stringendo fra le dita un piccolo asciugamano rettangolare ed offrendoglielo perché possa ripulirsi. Lo fa tentando un sorriso cordiale, ma Coulson accetta con un cenno del capo evitando ostinatamente il suo sguardo, perciò, tirando su le mutandine arrotolate attorno ad una caviglia e richiudendo le gambe, Melinda smette di sorridere, e torna a sedersi con le ginocchia al petto.
Coulson fa la stessa cosa, restandole accanto in silenzio per qualche minuto.
- Pensavo avessi detto che sarebbe stato facile. – le dice quindi, una punta di rimprovero nella voce. Sapere che anche per lui è stato diverso un po’ la consola. Dall’altro lato, sente già la pressione del senso di colpa farsi strada fra i suoi pensieri. Cerca di ignorarla ancora per un po’.
- Era quello che speravo.
Non può ammettere di più.
Coulson sospira pesantemente.
- Melinda. – dice, la precisione asciutta con cui pronuncia il suo nome come sempre la lascia senza fiato, - Abbiamo fatto un errore?
E lei può mentire su tutto, ma su questo no. Su questo mai.
- No. – risponde senza esitare, anche se senza guardarlo.
Lui sembra farsi bastare la rassicurazione.
Melinda non lo vede, a lo sente alzarsi, risistemarsi i vestiti addosso e salutarla senza parole, prima di lasciare la stanza. Una volta sola, sospira e si lascia andare contro la parete, chiudendo gli occhi. Questo lo tengo per me, pensa, questo non è di nessun altro. Non posso darlo a Fury.
Per qualche motivo, la prospettiva di disubbidire a un ordine diretto non sembra più così improponibile. Come prima del Bahrain.