rp: bedy moratti

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Slash, What If?.
- Per un disguido tecnico, dopo il triangolare con Juve e Milan per il Trofeo Tim 2009, l'Inter è costretta a passare la notte a Pescara...
Note: Partecipante al Pigiama Party su Fanworld.it.
Se scrivessi con questa velocità e con questa continuità anche per il BBI, a quest’ora le mie sette storie sarebbero tutte pronte. *sospira* Comunque! Storia idiota nata da una serie di idiozie, elencabili più o meno in quest’ordine, dalla meno importante alla più fondamentale: il mio amore per Lorenzo Crisetig, il mio amore per Rene Krhin, il mio amore per Andrea Butti, il mio amore per José Mourinho, il mio amore per Bedy Moratti, il mio amore per l’Everlasting!Jobra e il mio amore per il Santonelli che più canon di così si muore. Yay XD
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LA TRAGICA LEGGENDA DELLO SPIRITO DEL MAL DI PANCIA

- Cosa vorresti dire con “non ci sono voli disponibili fino a domani mattina”, Andrea?
Il team manager esitò appena, stringendosi timorosamente nelle spalle e schiarendosi rumorosamente la gola, prima di spiegare meglio il concetto appena espresso. Era abbastanza ridicolo da osservare un uomo della sua stazza perdersi in tante incertezze a causa di un ometto alto più di venti centimetri in meno e pure decisamente più avanti di lui con gli anni, ma José tendeva ad avere quest’effetto di terrorismo psicologico sul mondo circostante, e se i ragazzi, essendo causa di problemi e rimbrotti continui, potevano dire di essercisi abituati piuttosto in fretta, altrettanto non era possibile affermare del povero Andrea, che per contro il suo lavoro lo faceva sempre e cercava sempre di farlo bene, perciò di fronte a quello sguardo intransigente e severo era costretto a ritrovarcisi decisamente meno spesso.
- Intendo dire che purtroppo il volo che avevamo prenotato è stato cancellato per problemi tecnici, mister, e non sarà possibile trovarne un altro prima di domattina, perciò-
- Chiama il presidente e fatti mandare un dannato aereo privato! – sbottò l’uomo, gesticolando animatamente, - Che razza di storie, chissenefrega se non c’è un aereo di linea disponibile fino a domani! Dopodomani abbiamo l’ultima amichevole prima del campionato, ed io ho bisogno che i ragazzi tornino a casa e si riposino, in modo da poterli obbligare a sputare sangue domani in allenamento! Perciò datti una mossa e risolvi questo problema, ora!
- Mister, se posso permettermi… - s’intromise Bedy, avvicinandosi con un sorriso e con la solita incontrastabile grazia, - Comprendo perfettamente le sue rimostranze, ma è troppo tardi per allertare il nostro pilota personale, soprattutto per circostanze che difficilmente si potrebbero definire di vita o di morte. – spiegò pacatamente, di fronte ad un José incapace di protestare di fronte a lei con la stessa veemenza utilizzata appena pochi istanti prima nei confronti di Andrea, ancora abbacchiato in un angolino a causa della sfuriata, - Perché non seppelliamo tutti l’ascia di guerra e chiediamo ad Andrea di trovare una soluzione ad un problema meno complesso? – concluse con un altro sorriso smagliante, piegando appena il capo e lasciando che la ciocca biondo platino sul davanti ricadesse graziosamente lungo i tratti tondi ma non sgraziati del viso senza età.
- Che donna. – mormorò Dejan, sgomitando Marco fra le costole, - Una botta gliela darei anche, cazzo. Pure due, in caso.
- Sei sposato. – rispose laconicamente il difensore, sollevando gli occhi al cielo, - E comunque daresti una o due botte a chiunque, tu. Ne sa qualcosa il povero Christian.
- Ehi! – borbottò Dejan, quasi offeso dall’insinuazione, - Non ho mai alzato un dito che fosse uno su Christi, lo rispetto troppo per portarmelo a letto.
Marco scosse il capo e sospirò platealmente, mentre Christian, accanto a lui, si tirava una rassegnata manata in piena fronte. Mario smise di ascoltare il discorso e ridacchiò appena – il peso di Davide ancora pressato contro una spalla e la solita interminabile tiritera di lamentele a scivolare fuori dalle sue labbra come una cascata. Seguì con gli occhi il mister mentre si rassegnava a sospirare e chiedere ad Andrea di trovar loro un albergo per la notte, prima di rifugiarsi in un angolo e cominciare a smanettare col cellulare, e poi Davide gli pizzicò un fianco talmente forte che lui, temendo per la propria vita, si rassegnò a concedergli un po’ d’attenzione.
- Sì, Dade. – rispose meccanicamente, - Hai ragione su tutto.
- Non hai la minima idea di cosa ti abbia detto, vero? – protestò il ragazzo, offeso a morte, tirandogli un mezzo calcio contro uno stinco, - Non hai ascoltato una parola!
- Per la verità, hai ragione. – annuì naturalmente Mario, sollevando un braccio e tirandoselo contro in un abbraccio sbrigativo, - Non ti stavo ascoltando. Ma so cosa stai pensando.
- E sarebbe? – lo sfidò lui, inarcando un sopracciglio.
- Che è tutta colpa tua se abbiamo perso, che se solo avessi segnato quel rigore noi ora avremmo un’altra coppa in bacheca e che il mister dovrebbe sgridarti perché è evidente che non hai dato il meglio di te. – tirò a indovinare, sulle labbra il sospiro rassegnato di chi sa già di avere ragione.
- …ecco. – ammise Davide, sistemandosi meglio sul suo petto, - …e pensi davvero che io abbia ragione?
- No, Dade. – sospirò ancora Mario, esasperato, - Penso che tu sia stato bravo, penso che tu abbia fatto il possibile e penso che tu ti sia mosso molto bene. Penso inoltre – specificò, - che entrambe le partite siano andate alla grande, abbiamo giocato bene, compatti, chiusi, organizzati, e che l’unico motivo per il quale abbiamo perso sia che i rigori sono un terno al lotto e la palla è tonda e, in quanto tale, gira, e non sempre nel verso che uno vorrebbe o si aspetterebbe.
- Parli bene, tu. – continuò a lagnarsi Davide, dispiaciuto, - Hai segnato, sei comunque l’idolo delle folle. – Mario inarcò un sopracciglio, come a dire “idolo delle folle? Io? Ma in che universo alternativo vivi?”, e Davide tossicchiò, affrettandosi a correggersi, - Intendo, il mister di sicuro starà comunque pensando un gran bene, di te. Si era tanto raccomandato di non sbagliare quel rigore, Mà, la voleva proprio quella coppa…
- Be’ – scrollò le spalle Mario, decisamente poco impressionato dal piagnisteo, - avrebbe voluto che Zlatan restasse ma non è successo, e s’è rassegnato. Avrebbe voluto Deco, Carvalho, Lampard, Drogba e un altro milione e mezzo di uomini, e nessuno di loro è arrivato, e s’è rassegnato anche a questo. Penso che potrà sopravvivere anche ad un Trofeo Tim in meno, considerando che in bacheca ne abbiamo ancora comunque, più di tutti gli altri, ti pare?
- Tu sei un cocciuto insensibile presuntuoso supponente e rompipalle. – borbottò ancora Davide, tirandogli un pugnetto parzialmente giocoso e parzialmente risentito fra le costole, costringendolo ad usa risatina divertita mentre lo fermava con un gesto tenero, - Ecco cosa mi pare.
- Intanto – continuò Mario, adocchiando nuovamente il mister muoversi in mezzo alla sala d’aspetto come un animale in gabbia, ancora attaccato al cellulare, - mi sa che per stanotte si resta qui. Chissà con chi cavolo sta parlando…
- Ma che ti frega, scusa? – chiese Davide, sollevandosi appena per guardarlo negli occhi, prima di crollargli nuovamente contro la spalla mentre, senza volere, ascoltava il mister biascicare un incerto “ma no… lascia perdere, i bambini” alla cornetta, - Sarà la moglie. Si aspettava che tornasse in serata, l’avrà avvertita.
- Mhmh… - mugolò dubbioso Mario, mentre il mister continuava a biascicare una sequela di “davvero, lascia perdere, ci vediamo domani a Milano”, - Sì, mi sa di sì.
-  Allora, ragazzi! – richiamò la loro attenzione Andrea, battendo sonoramente le mani, - Stanotte si resta a dormire qui, ho appena trovato l’albergo. – l’annuncio venne accolta con un fragoroso noooo di lagnoso disappunto, ed Andrea faticò non poco a ristabilire l’ordine, prima di poter continuare a parlare, - Dovremo stringerci un po’, - proseguì con un sospiro, - purtroppo l’albergo è molto bello, ma piccino. Molti di voi dovranno dividere la stanza, ma abituati come siete in Pinetina di sicuro la cosa non vi turberà più di tanto. Per il resto, avvisate mamme e mogli, così che non si preoccupino. Rientreremo a Milano nella mattinata di domani-
- E badate di riposare bene, stanotte. – lo interruppe burbero José, finalmente libero dalla conversazione con la signora, - Domani vi voglio freschi e pimpanti per l’allenamento, e se stanotte vi trovo svegli a bighellonare in giro giuro sui miei figli che vi sbatto in panchina fino alla finale di Champions, se ci arriviamo, vita natural durante se non ci arriviamo. Sono stato chiaro?
Il coro di sìììì che accolse le sue minacce non presentò sfumature di lagnoso disappunto molto diverse dal coro precedente, e la discussione si chiuse così – con tutti i ragazzi che prendevano posto sul bus, diretti alla volta del Victoria Hotel.

*

- Be’, almeno il posto è bello. – commentò Andrea di fronte all’edificio. José gli passò accanto, ruminando acredine.
- I balconi somigliano alle valve di una conchiglia. – borbottò aspramente, - Se volevo nascere mollusco, mi infilavo in un blocco di gelatina rosa e mi piazzavo una perla gigante in bocca, ti pare?
Bedy cercò di forzare una risata e consolò brevemente Andrea, mentre quest’ultimo si abbatteva in un angolo, disperato, e José prendeva posto nel centro del marciapiede, arringando i giocatori.
- Allora! – cominciò tuonando, - Le camere sono state sistemate in modo che possiate utilizzarle in quattro. – spiegò, spegnendo l’ennesimo coro di lagne con un’unica occhiata omicida, - Cos’è, volevate per caso che la camera della signora Moratti fosse aperta anche a voi, per distribuirvi meglio? Deki, non provarci nemmeno. – lo minacciò, prima ancora che il serbo potesse proferire parola, zittendo la sua battutina sul nascere e sfumandola in una risatina furba, - Allora, i gruppi sono… - cominciò ad elencare, e Davide smise immediatamente di ascoltare. Mario se ne accorse perché se lo sentì crollare rovinosamente sulla spalla con uno sbuffo annoiato, come al solito.
- E dire che prima per poco non mi mandavi in orbita, spintonandomi. – lo prese in giro, dandogli un colpetto tenero con la tempia contro la sua. Davide mugolò contrariato.
- Eravamo in mezzo al campo, c’erano ventimila tifosi e un altro centinaio di gente fra compagni, avversari e staff vario ed eventuale. – si lamentò, strusciando una guancia contro la sua spalla, - E tu prendi e mi salti addosso, chiaro che mi viene voglia di mandarti in orbita.
- Che palo in culo, Dio mio. – rise ancora Mario, osservando Diego guardare con una certa curiosità gli sguardi da belve inferocite che Deki e Marco gli lanciavano, traendo Christian fuori dalla sua portata prima ancora che lui provasse effettivamente a mettergli le mani addosso. Ah, calciatori. – E adesso va bene se ti strusci tu, invece? I compagni intorno ci sono sempre.
- Sì, ma ora sono stanco e ho sonno, – sbottò Davide, arpionando la sua maglietta e sprimacciandogli la spalla neanche fosse stata un cuscino, - per cui me ne frego.
- Sonno? – chiese Mario, cercando la sua fronte con le labbra, - Quindi stasera non si gioca?
- Non si giocherebbe comunque. – pigolò Davide, delusissimo.
- Balotelli, Crisetig, Krhin, Santon! – annunciò ad alta voce il mister, e Davide sospirò ancora, in sincrono con Mario. – E questo è quanto, diamoci una mossa prima che la mia naturale bontà si esaurisca e mi venga voglia di lasciarvi per strada solo per guardarvi arrotolarvi nelle coperte agli angoli della strada dalla comodità del mio letto.
Le camere non erano purtroppo particolarmente grandi. Pittoresche quanto si voleva, con quei dipinti sulle porte e tutto il resto, ma occupate per il cinquanta percento dal letto matrimoniale situato nel bel mezzo dell’ambiente e per il restante cinquanta dai due lettini singoli che vi erano stati trascinati e ficcati a forza, così che, per muoversi all’interno della stanza, si doveva praticamente camminare scalzi sui letti, o azioni di una normalità disarmante per un qualsiasi essere umano – come raggiungere il bagno o allungarsi verso il minibar alla ricerca di una bottiglietta d’acqua – si sarebbero rivelate impossibili.
Davide piantò un piede sul materasso occupato da Lorenzo – che per contro si spostò il più possibile per non intralciarlo nel movimento – lo superò, poggiò l’altro piede sul materasso immediatamente successivo, occupato da Rene, e naturalmente-
- Ah- cazzo, Davide! – si lamentò lo sloveno, scalciando furiosamente da sotto le lenzuola, - Le palle!
- Re- ferm- - poco da fare, non ebbe nemmeno il tempo di concludere la frase che si ritrovò a perdere l’equilibrio, ondeggiare incerto sul posto fra le urla di Rene e le occhiate incerte e divertite di Mario, prima di franare con pachidermica grazia proprio addosso a quest’ultimo, ficcandogli entrambi i gomiti e le ginocchia un po’ ovunque, fra pancia, palle e petto, ma ottenendo nonostante tutto in risposta solo un ahouff sbuffato in una mezza risata e un abbraccio protettivo e un po’ ondeggiante, condito da un sorriso tenero.
- Dio, perché? – continuò a lagnarsi Rene, massaggiandosi lentamente fra le gambe, - Perché mi odi così? Perché il mister non mi ha messo in camera di Tia e Luca, perché?
- Uh? – azzardò Lorenzo, stendendosi su un fianco e ripiegando un braccio sopra il cuscino, per tenere il capo sollevato e poterlo guardare più facilmente, - Perché dici così?
- Perché quei due – ringhiò Rene, infastidito, indicando Mario e Davide intenti a non dare l’impressione di volersi saltare addosso e stare in effetti ponderando la possibilità con o senza pubblico pagante, - sono due piaghe sociali. Al di là di quello che fanno continuamente e di cui hai anche avuto prova oggi sul campo… - raccontò roteando gli occhi, mentre Lorenzo ridacchiava al ricordo di Mario che si gettava a peso morto su Davide coinvolgendolo in un mezzo rotolio a centrocampo, proprio durante il blackout allo stadio, - sono incasinati, fanno rumore e chiunque vada in giro con loro il giorno dopo è talmente rincoglionito da fare per forza qualcosa di talmente idiota da mandare il mister su tutte le furie e giocarsi il posto in squadra. Matematico.
- …oh. – deglutì a fatica Lorenzo, tornando a voltarsi fra le coperte, dando la schiena agli altri tre, come sperasse che prendere le distanze in quel modo fosse abbastanza per continuare a mantenere il proprio posto fra le riserve.
Davide e Rene riuscirono appena a scorgere il sorriso semplicemente demoniaco sul volto di Mario, prima che tutte le luci si spegnessero, sprofondando quello che, a guardare fuori, sembrava l’intero quartiere in un buio talmente pesto da fare paura.
- …che città di merda. – commentò distrattamente Davide in un sospiro esausto. Mario rise, Rene si chiese un’altra volta il perché di tanta sfiga e Lorenzo chiuse gli occhi e cercò di astrarsi da tutto ciò che lo circondava, almeno fino a quando la porta della loro camera si spalancò, mostrando un inedito Andrea in versione notturna, completo di canottiera vecchia di cinque anni e boxer a righine, che li guardava con aria allucinata, illuminato appena dalla luce bianchiccia di una torcia elettrica.
- Tutto a posto, ragazzi? – chiese allarmato, illuminandoli uno per uno mentre Rene gli chiedeva per pietà di spegnere la dannata cosa, che gli infastidiva gli occhi.
- Aha. – annuì tranquillo Mario, Davide ancora steso sul petto neanche fosse stato perfettamente naturale, - Successo qualcosa?
Andrea sollevò gli occhi al cielo, mentre – dal profondo abisso del fondo scuro del corridoio – giungevano le urla belluine di José, impegnato ad imprecare in portoghese contro una lunga sfilza di divinità cristiane e non.
- …è saltata la luce. – biascicò stremato. – Che città di merda. – concluse quindi, richiudendo la porta. Davide rise piano e Mario gli fece il solletico, guadagnando in cambio uno schiaffone sul braccio talmente rumoroso che Lorenzo saltò a sedere e si guardò celermente intorno, allarmato dal fragore.
- Sapete che storia sarebbe perfetta da raccontare adesso? – chiese invece l’attaccante, mettendosi seduto così velocemente da costringere Davide a cadergli in grembo con un urletto sorpreso, - La vecchia storia del fantasma del mal di pancia.
- Mario… - cercò di rimproverarlo Davide, ritrovandosi immediatamente una mano schiacciata delicatamente sulle labbra, per impedirgli di proseguire.
- Oh, ti prego. – protestò Rene, tirandosi le coperte fin sopra la testa, - Risparmiami almeno questo.
- Che… che storia? – chiese invece Lorenzo, incrociando le gambe sul materasso e protendendosi interessato verso il matrimoniale.
- Mmh, non so se posso raccontartela… - rifletté Mario, mentre Davide roteava gli occhi e lo mandava discretamente a fanculo, tornando a stendersi sulla propria metà del letto nel tentativo di dormire, - Sei un po’ piccolo, ti pare?
- Ho sedici anni! – protestò lui, spalancando gli occhi. Mario sembrò considerare molto seriamente la possibilità di tacere e mettersi a propria volta a dormire, ma alla fine, fortunatamente, sospirò ed annuì.
- D’altronde, è giusto che anche tu sappia. Così potrai difenderti. – asserì serio, mentre Rene, dal fondo delle coltri che lo coprivano, lanciava al cielo un pietoso lamento.
- Mario, sei un cretino. – borbottò Davide, tirandogli un mezzo calcio da sotto le lenzuola, - Piantala, è solo un ragazzino.
- Non sono un ragazzino! – ruggì Lorenzo, profondamente offeso, ma Davide lo ignorò in modo così plateale da convincerlo a desistere da quell’inutile opera di persuasione e tornare a concentrare tutta la propria attenzione su Mario. – Che storia è?
- Be’, - scrollò le spalle lui, - naturalmente sai chi è Zlatan, no?
- Ovvio. – annuì Lorenzo, interessato. Lui non aveva avuto il piacere di conoscerlo, solo di osservarlo da lontano quelle poche volte che la Primavera s’era incrociata con la prima squadra durante gli allenamenti, ma la fama di Zlatan Ibrahimović non teneva conto né del tempo né dello spazio. E quindi sì, ovviamente sapeva chi fosse, e una volta fatto il suo nome anche tutto il resto della storia assunse un’importanza del tutto diversa.
- E, altrettanto naturalmente, - proseguì Mario, dosando attentamente i gesti e le pause per mantenere l’aspettativa al livello più alto possibile, - hai sentito parlare dei suoi numerosi mal di pancia.
Lorenzo annuì ancora, mentre Rene tornava a mostrarsi al di sopra delle lenzuola, solo per lanciargli un’occhiata sconvolta e mormorare un incerto “non vorrai mica…” che Mario ignorò apertamente, costringendolo a sospirare frustrato e tornare a nascondersi in un luogo sicuro.
- Insomma, la verità su Zlatan… - disse Mario a bassa voce, in tono cospiratorio, - è che era posseduto dallo spirito del mal di pancia.
- Lo sp-… - sbottò Rene, risorgendo ancora dalle coperte appena in tempo per notare Davide riemergere a propria volta e guardare quello che a buon diritto era possibile definire “il suo ragazzo” con un’occhiata a metà fra l’incredulo e l’ammirato, - …ma tu non puoi aspettarti che ci creda! – sbottò esasperato, - Lori, per carità. Mandalo a fanculo e mettiti a dormire.
Lorenzo si lasciò andare ad una risatina di puro disagio, grattandosi la nuca.
- Già… - biascicò incerto, - è… è sicuramente una cavolata, no? Mi stai prendendo in giro…
Mario scrollò disinvoltamente, come non gl’importasse certo se essere creduto o meno. Davide sospirò teatralmente e si spiaccicò una manata sulla fronte, tornando a stendersi su un fianco.
- Puoi credermi o non credermi. – buttò lì Mario, tranquillissimo, – Ma per quale altro motivo credi che uno dovrebbe voler rinunciare a un compenso da urlo come quello che Ibra aveva qui, per andarsene in un posto in cui lo pagano di meno, è odiato dai tifosi e non è nemmeno la stella della squadra? Semplicemente, - aggiunse con una scrollatina di spalle, - se non fosse andato via, lo spirito del mal di pancia avrebbe continuato a perseguitarlo per sempre. E adesso è ancora qui che si aggira in mezzo alla squadra, sotto forma di uno Zlatan scuro come la notte, impalpabile come una nuvola e con gli occhi rossi come quelli di un ratto bianco, e luminosi come stelle, che aspetta solo di prendere possesso del corpo di qualcun altro, per costringere anche lui a soffrire le pene dell’inferno finché non si rassegnerà ad andare via.
Un lungo silenzio seguì la dichiarazione di Mario. Un silenzio che fu riempito appena dal movimento degli occhi di Davide e Rene, che tornarono a fissarsi prima su Mario e poi su Lorenzo, come a volersi chiedere del primo come potesse essere così assurdamente perfido da perseverare in quell’atto di pura crudeltà verso un animale indifeso, e del secondo come potesse essere così assurdamente sciocco da cascarci.
Poi, Lorenzo ridacchiò imbarazzato, con considerevole difficoltà, e si ravviò la frangetta lungo la fronte.
- …andiamo… - deglutì a vuoto, - sono… voglio dire… non possono… - ma la sua frase, se mai aveva avuto intenzione di concludersi, non riuscì mai a farlo, perché venne presto sovrastata da un rumore nel corridoio, appena fuori dalla stanza, seguito da una serie di indistinguibili imprecazioni in una strana lingua a metà fra l’italiano, lo spagnolo e qualcos’altro che non era davvero possibile decifrare.
Lorenzo, Davide e Rene scattarono a sedere, trattenendo il fiato e portando entrambe le mani al cuore, mentre perfino Mario, che pure sapeva perfettamente di aver detto una marea di cazzate fino a quel momento, non poteva fare a meno di irrigidire tutti i lineamenti, fissando la porta con aria timorosa.
- Cosa… - biascicò Rene, inumidendosi le labbra, - Cosa è stato…?
- …non ne ho la più pallida idea. – ammise Davide, già moderatamente spaventato, - Qualcuno dovrebbe… andare a vedere.
Mario annuì, e per un secondo sembrò che dovesse essere lui l’eroe designato ad uscire, praticamente seminudo, per affrontare lo spirito del mal di pancia o chiunque altro avesse causato quell’improponibile tramestio là fuori. Poi, i ragazzi lo videro incrociare le braccia sul petto ed inspirare profondamente.
- Lori. – disse quindi, serissimo, quasi sacrale, - Vai tu.
- Cosa?! – strillò il ragazzino, portando le coperte a coprirsi fin quasi a metà viso, terrorizzato, - Assolutamente no! Se è lo spirito io non-
- Non esistono gli spiriti! – cercò di rabbonirlo Mario, alzando la voce, - Ti stavo prendendo in giro!
- E allora perché non esci tu? – replicò quello, ostinato, e Mario inarcò un sopracciglio.
- Perché – rispose Mario, ghignando supponente, - posso farti passare dei guai non indifferenti, se non obbedisci.
- Mario! – cercò di rimproverarlo Davide, ottenendo in risposta un mezzo cazzotto sulla spalla che lo stese letteralmente sul letto, mugolante di dolore.
- Va… va bene. – annuì quindi Lorenzo, sempre terrorizzato dallo spirito del mal di pancia ma indubbiamente più terrorizzato da Mario, - Esco.
I tre compagni lo osservarono sgusciare silenziosamente fuori dal letto, cercare a tentoni le proprie pantofole e poi muoversi lento verso la porta, appoggiandosi a qualsiasi superficie incontrasse con la mano tesa in avanti, per evitare di inciampare e cascare rovinosamente a terra. Poi lo osservarono schiudere la porta, trarre un profondo respiro e infine spalancarla e catapultarsi all’esterno della stanza, coinvolgendo lo spirito del mal di pancia in una capriola rotolante fino alla parete di fronte.
- Whoa! – esclamò stupito lo spirito del mal di pancia, battendo di spalle contro il muro. Davide sollevò la testolina arruffata dal cuscino, e Mario poté quasi vederlo tendere le orecchie e arricciare il naso, come subodorasse una presenza molesta o fuori posto.
- Zlatan. – disse quindi il ragazzo, prima di voltarsi verso di lui, - Zlatan! – ripeté, - Era la voce di Zlatan!
- Davide?! – strillò quindi Mario, turbato, - Che cazzo dici?!
- È impossibile! – rincarò Rene, saltando giù dal letto. La stessa cosa fecero anche gli altri due, iniziando poi a correre a perdifiato verso l’uscita della stanza, per poi fiondarsi in corridoio, inciampare nel peso morto del corpo di Lori ancora per metà steso in terra e carambolare anche loro contro lo spirito del mal di pancia, schiacciandolo ulteriormente contro la parete ed ascoltando non senza un certo stupore misto ad inquietante paura dovuta al fatto che effettivamente l’essere aveva la voce di Zlatan, si lagnava come Zlatan ed aveva perfino il suo stesso profumo.
- Cosa cazzo sta succedendo qui?! – strillò José apparendo da qualche parte in corridoio. E in quel momento si accese la luce, mostrando impietosa l’immagine di quattro adolescenti incastrati l’uno con l’altro come mattoncini del Tetris addosso al corpo di un ben noto svedese imprigionato senza scampo fra quegli stessi corpi, il muro e il pavimento. – Zla… Zlatan…? – mormorò l’allenatore, sgomento.
- Er… ciao… - biascicò Zlatan, sollevando una mano per salutarlo ed abbozzando un sorriso incerto.
- …ti avevo detto di aspettare a Milano! – protestò immediatamente José, gesticolando come un ossesso, - Mai che tu mi dia ascolto, Cristo santo! Mai!
- Scusa se avevo voglia di vederti! – sbottò Zlatan, sconvolto e offeso, scrollandosi di dosso i quattro corpi inerti ed alzandosi in piedi, per affrontare José da una posizione più vantaggiosa.
- Oh, non prendermi in giro con le romanticherie, adesso! Helena ricomincerà a rompere le palle. – sbottò l’altro, incamminandosi disinvoltamente verso la propria camera, subito seguito da Zlatan.
- La mia donna non rompe le palle più di quanto non faccia la tua! – corresse in un moto d’orgoglio, - E comunque non ho mica tutto questo tempo, io! Aspettarti! Domani devo tornare a Barcellona, che credi? Sono un uomo importante!
- Oh, certo, vostra maestà, scusatemi se ho dimenticato che ora siete voi la reginetta del ballo delle maturande, in quel di Spagna… - si fermò a due passi dalla porta, voltandosi a squadrare i ragazzi con aria truce, mentre loro cominciavano a riprendere i sensi dopo la collisione, - …parlatene con qualcuno e siete fuori squadra finché questo culo non lo vedrete sul campo. – minacciò, indicando con precisione il culo di cui stava parlando; per tutta risposta Zlatan si voltò indietro ad autoammirarsi con un sorrisino divertito. – Sempre che appunto ci si arrivi, come vi ripeto sempre. E ora, marsch! A fare la nanna! E di corsa! – e, così dicendo, si chiuse in camera con Zlatan.
Lorenzo, finalmente nel pieno di tutte le sue facoltà fisiche e mentali, si sollevò da terra e si spolverò i pantaloncini.
- Ma quindi… - azzardò, e se quello era il pieno di tutte le sue facoltà fisiche e mentali, non c’era da meravigliarsi che il mister non si fosse ancora convinto a fargli fare il salto di qualità per intero, - …mister Mourinho va a letto con lo spirito del mal di pancia, o che?
Davide, Mario e Rene lo guardarono con aria allucinata per molti secondi. Poi si alzarono in piedi ed entrarono in camera, chiudendo la porta. Rene si affacciò pochi secondi dopo, giusto per dirgli “tu dormi fuori”, e poi tornò a chiudersi dentro. A chiave.
Andrea passò per il consueto giro di controllo solo verso le sei dell’indomani mattina, ancora in canotta e boxer, e lo trovò seduto per terra in corridoio, spalle alla porta e testa pesante, ciondolante avanti e indietro.
- Lorenzo…? – lo chiamò appena, - Che ci fai qua fuori?
- Mmhn…? – biascicò lui, guardandolo con sincera gratitudine, - Sto attento che lo spirito del mal di pancia… non torni… per impossessarsi di qualcuno… - spiegò confusamente, fra un balbettio e l’altro. Andrea inarcò un sopracciglio, poi si chinò, lo tirò in piedi sollevandolo per le spalle e cercò di svegliarlo con qualche schiaffetto sulle guance, senza ottenere risultati granché rilevanti.
- Va be’. – annuì compiaciuto, - Dai, ti offro un caffè. – concluse, trascinandolo al piano di sotto. Lorenzo non trovò la forza di opporsi. 

Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: G
AVVERTIMENTI: Gen.
- "Quando Bedy arriva, avvolta nella sua giacca di pelle, sfoggia un sorriso talmente felice che Massimo non può che fissarla incredulo per lunghi minuti, mentre lei si accomoda tranquillamente al suo fianco, accavallando le gambe ed intrecciando le dita in grembo."
Note: Subito prima e subito dopo Barça-Inter. Titolo da God Put A Smile Upon Your Face dei Coldplay. Prompt: Grave/Leggero @ It100.
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WHERE DO I GO TO FALL FROM GRACE// (GRAVE)
Quando Bedy arriva, avvolta nella sua giacca di pelle, sfoggia un sorriso talmente felice che Massimo non può che fissarla incredulo per lunghi minuti, mentre lei si accomoda tranquillamente al suo fianco, accavallando le gambe ed intrecciando le dita in grembo. Lui si sente così teso che la tensione ha assunto quasi la consistenza fisica di un masso che gli grava sulle spalle incurvandolo, ed ecco sua sorella, gioiosa come fosse appena arrivata ad un matrimonio. Inconcepibile.
- Cos’è, mi sono perso qualcosa in piazza? Mentre ballavate, Scarpini distribuiva bibite alcoliche senza che io ne sapessi niente? – chiede con una punta d’ironia, e Bedy ride.
- In realtà non abbiamo neanche ballato. – risponde, ravviandosi i capelli dietro un orecchio, - Ma sei nervoso? – chiede, fissandolo sorniona, e lui sbuffa, distogliendo lo sguardo.
- Tu no? – ritorce un po’ acido. Lei ride ancora.
- Io no. – risponde sinceramente, fissando il campo con fierezza.

(LEGGERO) //GOD PUT A SMILE UPON YOUR FACE
La partita finisce, il Camp Nou è una bolgia, ruggisce come una bestia finalmente libera da un lungo periodo di cattività, e la prima cosa che Massimo fa è saltare in piedi, il pugno teso in segno di vittoria. Poi si accascia al proprio posto, la tensione scivola fuori dal suo corpo in un flusso continuo e quasi rabbioso e lui perde perfino il sorriso, mentre le lacrime cominciano a rotolargli lungo le guance senza che lui possa fare niente per fermarle.
Sente qualcuno battergli una pacca su una spalla, probabilmente Joan, ma il momento in cui si riscuote davvero coincide con quello in cui le braccia di Bedy lo circondano e le sue labbra morbide e sottili stampano un bacio soddisfatto sulla sua guancia ancora umida di lacrime.
- Ma cosa fai, piangi? – ride sua sorella, stringendolo ancora e dondolandolo un po’ come quando erano più piccoli e lui, dopo essersi fatto male, cominciava a piangere rumorosamente, inconsolabile. – Sorridi! – lo incoraggia, pizzicandogli una guancia, - Sorridi!
Massimo si volta a guardarla. Piange ancora, ma sorride anche, e Bedy è soddisfatta così.