rp: steve hewitt

Le nuove storie sono in alto.

In coppia con Nainai
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
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They Have Trapped Me In A Bottle


Before you begin… Ciao, siamo Nai e liz *_* Ditelo, che siete felici di vederci <3 E questa è la seconda storia che scriviamo insieme e decidiamo di pubblicare dopo Cupid’s. Speriamo vi piaccia altrettanto X3 (anche perché questa è una storia vera!).
Precisazioni del caso: nessuno dei personaggi citati ci appartiene (e dal momento che sono veramente… ma veramente svariati °.° È giusto dirlo XD) e noi non abbiamo niente a che fare con loro se lasciamo da parte il fatto che li amiamo tutti, in un modo o nell’altro è_é Non abbiamo niente a che fare con loro e, per la maggior parte, non hanno mai fatto né faranno niente di quanto descritto in questa storia.
Ovviamente non ci guadagniamo niente >_< Sono solo fanfiction, in fondo ù_ù
Per quanto fanfiction, però, la base di partenza è reale °_° È ambientata fra la fine di luglio e l’inizio di settembre di quest’anno, durante il Projekt Revolution (festival itinerante al quale hanno preso parte band celebri come i Linkin Park, ideatori del progetto, e i My Chemical Romance… e il bello è che avranno tutti un ruolo, in questa storia XD). Siamo state abbastanza scrupolose, ma se c’è qualche cavolata random non badateci troppo >.<
Per quanto sia triste, né Cody né Gaia sono contemplati è_é” In fondo è meglio così, credeteci :D
Buona lettura :*

One:

Ci sono giorni che semplicemente dovrebbero non esistere.
A volte sogno di tracciare una linea rossa sopra questi giorni. Sogno che basti questo – un colpo di pennarello, pescato a caso dentro il cesto della frutta senza che nemmeno sappia come ci è arrivato – per farli sparire ugualmente dai miei ricordi.
Lo sogno.
E generalmente sto facendo proprio come ora. Sto guardando fuori da un finestrino un mondo che va veloce nella direzione opposta.
Sono stanco. Non ho molto altro da dire, molto altro che mi pesi addosso. Sono semplicemente stanco. Come qualunque persona che sia stata costretta per un lungo periodo di tempo a sottoporsi allo stress costante di un lavoro dai ritmi frenetici.
Potrei essere stanco come un manager di impresa, o come un dirigente di industria, o come un professore universitario in giro per congressi. Invece sono stanco come il cantante di una band rock in tour da quasi un anno e mezzo. E questo, per uno strano caso del destino, vale a togliere attendibilità, dinanzi alla gente, al mio stato fisico e mentale. Per questo strano caso del destino, infatti, la gente sembra credere che un musicista rock non possa in alcun modo rivendicare il diritto a qualificare il proprio come “lavoro”. Figuriamoci a riconoscergli “ritmi frenetici” al punto da indurlo a stancarsi.
Di conseguenza, io sono stanco. Davvero. Ma ufficialmente non posso dirlo.
Stefan fa un gran casino quando si lascia cadere pesantemente accanto a me. Il cuscino sistemato sulla panca si abbassa e slitta un po’ sul legno, lui si sistema contro il tavolo e mi gira lo sguardo addosso, anche se io non posso vederlo.
Infatti non lo vedo, ma lo so.
-Hai intenzione di restare con la faccia incollata al vetro finché la tua pelle non si fonderà con il finestrino?
È un’immagine disgustosa. Penso che dovrei dirglielo, ma mi limito a storcere il naso senza muovermi e a mugugnare qualcosa di assolutamente incomprensibile, che vorrebbe essere una protesta risentita.
Sono patetico.
Stefan sospira, si rimette dritto, so che sta scambiando un’occhiata con Steve. Lo so anche perché Steve smette per un attimo di giocare con quelle dannate bacchette e libera la mia mente dall’orrido e ripetuto ticchettio che ha prodotto finora. Presumibilmente Stefan gli sta chiedendo con lo sguardo cosa diavolo devono fare con me. Quasi certamente Steve gli sta rispondendo con un’alzata di spalle.
-Brian!- mi richiama Stefan con una certa urgenza. Mugugno di nuovo una cosa molto simile alla precedente, che stavolta vorrebbe essere un’attestazione di presenza…Il mio vocabolario si sta riducendo incredibilmente in questi pochi minuti.- O.k., senti.- Sento. Ma lui ci pensa su. Si ferma un attimo e raccoglie le idee. Nel frattempo io colgo l’immagine del deserto che sfila contro di noi. Poi il profilo di un altro autobus, leggo il nome del gruppo sulla fiancata quando ci superano. Il deserto ritorna nel mio spazio visivo…- C’è qualcosa che possiamo fare io e Steve per tirarti su di morale?- s’informa Stef alla fine.
-No.- borbotto appena.
La prima parola di senso compiuto da non ricordo quante ore.
Un altro sospiro. Adesso Stefan sta puntando Alex. Lei è seduta nel posto più lontano del tour bus. Si ricambiano lo sguardo, lei scuote il capo dicendogli di lasciarmi perdere. Mi passerà.
Ha ragione lei, è chiaro. Credo che nessuno, a parte i cavalli, sia mai davvero morto di stanchezza.
Solo che Stefan non accetta di lasciarmi perdere. Per lui occuparsi di me è una priorità, una necessità indefettibile. A volte questa cosa mi fa piacere. Altre volte mi sfinisce, esaurendo le mie ultime energie. Come questa volta…
-Senti, Bri.- Tono carezzevole, giusto per farmi sentire che è preoccupato per me e che, quindi, sarebbe carino che io gli dessi quel minimo di attenzione necessario a rassicurarlo. Mi ci sforzo, mi tiro un po’ più su sulla panca, rimetto le spalle in asse con il resto del corpo e stacco la fronte dal finestrino.- Lo so che siamo tutti a pezzi e che non vediamo l’ora di tornare a casa, ma dobbiamo tenere duro ancora un po’.
Borbotto qualcosa che non so nemmeno io cosa sia. Forse un assenso, forse una nuova protesta. Suscito l’ennesimo respiro profondo da parte di Stef. Lui mi guarda, io non alzo il viso ma tanto i suoi occhi li sento anche a metri e metri di distanza, anche quando sto facendo tutt’altro e non ho neppure voglia di voltarmi a sincerarmi che lui sia davvero lì…
C’è questo silenzio che si protrae un po’. Steve ridacchia, Stefan gli sibila di piantarla, aggiunge che è un cretino e che dovrebbe aiutarlo invece di ridere. Steve gli dice che si preoccupa troppo e si alza per andarsi a prendere una birra dal mini frigorifero. Torna indietro con tre bottiglie, ne posa una davanti a Stefan, l’altra me la apre e la allunga verso il mio viso.
-Grazie.- mormoro sollevando gli occhi su di lui mentre prendo la birra dalle sue mani.
Mi sorride come a dirmi che non importa.
-Beh, almeno guarda che bel tramonto.- prova ancora Stefan, cercando invano di scuotermi dalla mia apatia.
Mi volto. Oltre il finestrino si allunga una striscia rosa sull’orizzonte. Una parte del vetro, illuminata direttamente dalle luci del tour bus, mi rimanda il mio volto disfatto.
-Ne ho visti di più belli.- sussurro sollevando la macchina fotografica e fermando il tempo.

***

La fotografia è una “cosa” di Helena.
In una relazione, inevitabilmente, le persone prendono qualcosa le une dalle altre. Io ho preso da Helena molto più di quanto le abbia dato ed alla fine l’unica cosa che le riconosco è questa. Lo penso mentre soppeso la macchina fotografica sul palmo della mano.
Fuori si è fatto tutto buio. Ci sono solo le stelle ed i fari della nostra piccola carovana di autobus e camion ad illuminare la strada che passa attraverso il deserto. Io sono l’unico qui dietro ancora sveglio. Stefan se n’è andato a dormire da poco; Steve sonnecchia su un divanetto, ogni tanto si rigira, apre un occhio e mi brontola qualcosa, poi crolla di nuovo senza pretendere una risposta. Alex è in cabina guida, stava ascoltando musica con l’autista fino ad una decina di minuti fa, ora mi arrivano di tanto in tanto le loro risate e qualche battuta a voce alta. Mi ha chiesto se volevo sedermi con loro, ho risposto che preferivo restare ed andare a dormire anche io.
Helena è uscita dalla mia vita da un po’ ormai.
Helena ed io ci siamo lasciati in modo civile, seduti dentro un caffè, sorridendoci mentre ci dicevamo “addio”.
Ha fatto male lo stesso. Ma non a me.
Io da lei avevo già preso tutto quello che volevo. Il mio nuovo equilibrio, la mia nuova pace interiore, la mia nuova capacità di accettare e di farmi accettare dagli altri.
Lei da me voleva solo una cosa, ma quella davvero non poteva dargliela. Perché io non l’amavo, ed alla fine doveva accorgersene, doveva capire le mie bugie e la mia falsità, nascosta dietro lo zucchero. E dirmi che era finita lì. Com’è finita, infatti.
Sì, sembra strano a me per primo. È stata lei a lasciarmi, lei a dirmi che tra noi non c’era nulla, quando il nulla ero solo io. Il fatto che sia stata lei ha reso possibile che entrambi sorridessimo quando ci siamo alzati da quel tavolo dentro il caffè.
Da allora sono stato felice. Lo ero anche con lei, ma in modo diverso. Quel modo ordinario e pervicace delle storie serie ma senza anima. Lei mi aveva curato, io le ero riconoscente, ero vivo grazie a lei ed ero felice di questo.
Ma è stato solo quando lui è entrato nella mia esistenza che ho capito davvero che fino a quel momento ero sopravvissuto. E basta.
Suona il cellulare. Mi strappa ai ricordi. Poso la macchina fotografica davanti a me sul ripiano chiaro, spingo le dita nella tasca dei jeans e riesco con difficoltà a tirar fuori il telefono. Leggo il nome sul display mentre la suoneria sveglia di nuovo Steve. Solleva la testa e mi guarda, contrariato.
-Digli che non può rompere quando qui sono le tre di notte e noi domani abbiamo un concerto!- sbotta prima di lasciarsi ricadere sui cuscini.
Sorrido. Improvvisamente mi sento meno stanco.
-Matt.- chiamo rivolto alla persona dall’altro immaginario capo dell’apparecchio.
Ridacchia e poi tira un respiro profondo. Come se avesse davvero bisogno d’aria.
…Come se quell’aria fossi io.
-Brian!- esclama alla fine.- Dove sei?- mi chiede subito dopo con urgenza.
Ridacchio anch’io.
-Da qualche parte, in un deserto “x” qualunque, in uno stato a caso degli USA.- riassumo ricominciando a fissare il paesaggio oltre il vetro.
Adesso che è veramente buio riesco a vedere quasi solo il mio profilo. O quello dei mobili, che sembrano arancione sotto la luce artificiale. Vedo il divanetto su cui Steve ha ricominciato a dormire, la bottiglia di birra che Stefan ha mollato a metà. La mia ormai vuota. La macchina fotografica con l’obiettivo serrato ed il laccio logoro che mi ricade addosso oltre il bordo del tavolo.
-Uno Stato a caso?!- ripete Matt.
Sento che ne sta combinando qualcuna. Mi arrivano il rumore dei suoi passi e poi dei suoni sordi, come se spostasse qualcosa che cadendo produce un tonfo leggero. Mi piacerebbe chiedergli cosa sta facendo, ma preferisco aspettare. Matt è un mago, sapete? Sa fare piccole magie. Riesce a fare apparire cose meravigliose dal nulla. Ma se gli chiedi ad alta voce cosa sta facendo e lui ti risponde, allora la magia non funziona più.
I rumori finiscono. Ha una voce allegra ed eccitata quasi quanto quella di un bambino, quando riprende a parlare.
-Sai cosa ho comprato oggi?- mi domanda.
-No…- rispondo io. Alzo una gamba ed incastro il ginocchio contro il tavolo posandoci sopra il gomito.
-Un atlante degli Stati Uniti d’America.- mi spiega.
-Cosa dovresti farci?- chiedo stupito.
-Beh, come cosa?!- sbotta lui, deluso.- Ci seguo le tappe del Festival!
Rido.
-Matt!- lo richiamo.
Mi vengono in mente un centinaio di cose da dirgli, suonano tutte come una sorta di rimprovero. Mi fermo a metà quando mi rendo conto che sono altrettante scuse per non ammettere quanto mi faccia piacere questa sua idea.
Sì, Matt è un mago.
“E questa è una delle sue magie”, penso mentre mi sistemo contro lo schienale della panca e lo lascio continuare senza più contraddirlo.
-Ho preso una scatola enorme di pennarelli colorati…- si ferma e ci ripensa- O.k., i pennarelli li avevo presi per altro in realtà.- precisa.
-Cosa?
-Mah. Volevo fare una specie di disegno da appendere sul palco nelle prossime date, ma è venuto una schifezza!- confessa ridendo.- Allora ho deciso che potevo utilizzarli in un altro modo e, quando ho capito che Dom non apprezzava che ci colorassi i contorni della sua batteria…
-Come diavolo hai fatto a sopravvivergli?!- sbotto ridendo anch’io.
-Semplicemente si è vendicato su una delle mie chitarre!- mi risponde lui.- Ci ha fatto i baffi, Brian! Ti rendi conto?!- mi chiede come se da questo dipendesse la sua vita.- I baffi e poi…tipo…degli occhiali da sole o qualcosa del genere. Insomma, adesso ha una faccia e…
-I pennarelli sono indelebili?- domando io, passandomi le dita sugli occhi per scacciare via quel po’ di stanchezza che rimane. Voglio parlare con lui ancora un po’…
-Ma và!- ritorce lui. Non sembra particolarmente arrabbiato, ma del resto ormai l’ho capito che lui e Dominic hanno un loro linguaggio personale per comunicare, fatto anche di piccoli dispetti da ragazzini.- Ovviamente andranno via comunque, ma chiaramente adesso passiamo tutte le prove ad insultarci vicendevolmente ed a guardarci in cagnesco. Chris e Tom ci odiano già.
-Immagino.- soffio appena, sorridendo. Mi rilassa immensamente sentirlo parlare.- Allora dimmi, quando hai capito che Dom non gradiva la tua arte, cosa hai fatto dei pennarelli?- m’informo.
-Ah sì.- Riacchiappa qualcosa, un altro rumore, probabilmente l’atlante gli era scivolato, perché quando ci batte su la mano riconosco il rumore delle pagine e del cartonato plastificato della copertina.- Ho deciso che potevo segnarci le date del vostro tour. Tipo, in rosso le date del Festival, in blu quelle del tour di “Meds” e, quando andate via da una tappa, ci metto un segno verde. Poi indico anche i giorni che passate in ogni città e…
-Matt.
Si interrompe ed aspetta.
Io prendo fiato. Una. Due volte. Prendo fiato e glielo dico.
-Non dovresti.
Il suo silenzio fa più male di quanto pensassi. Ora so cosa ha provato Helena quel giorno, lo so perché adesso sì che sono innamorato. E quindi so cosa vuol dire avere paura.
-Sei un cretino, Brian.- mi risponde lui con una serietà che gli è totalmente inusuale.
-…già.
Un altro silenzio. Nel vuoto che lascia ci si potrebbero infilare migliaia di pensieri. Ma la mia mente si ostina a non farcene entrare nemmeno uno, perché è come se ciascuno di quelli che si affacciano iniziasse con “se lui non ci fosse…”. Ed io in realtà non voglio nemmeno pensare alla possibilità che lui non ci sia.
-Sai che tra tredici giorni tornerete in Europa?- mi chiede alla fine.
“…tredici giorni…”
-E voi andrete in Australia.- rispondo io.
-No, solo ad ottobre. A settembre siamo in Europa come voi.
-Est Europa.- correggo.- E noi in sala prove.
-Beh, come noi adesso.
Respiriamo con lo stesso ritmo. Qualcosa di terribile se non fosse meraviglioso. E ridiamo nello stesso momento, come due idioti.
-Che schifo di lavoro!- commenta lui per primo.
-Non ti credi nemmeno tu quando lo dici!- ribatto io.
-L’anno prossimo vacanze insieme!- pretende.
-L’anno prossimo si vedrà.- sminuisco.
-Tu non mi ami abbastanza!- protesta lui.
-Non vedo neppure perché dovrei farlo…- ci scherzo io.
-…Vuoi andare a dormire, cretino?! Domani devi lavorare!- sbotta Matt arrabbiato.
“No, Matt. Voglio parlare ancora un po’…”
-Sì, papà, vado a dormire, promesso.- sorrido invece.
-Ecco!
Quando riattacco e guardo di nuovo fuori dal finestrino, mi dico che avrei dovuto chiedergli dove siamo - “Guarda sul tuo atlante, Matt, dimmi se mi vedi” - invece non l’ho fatto, forse per paura che lui me lo dicesse davvero. Che puntasse il dito su un deserto “x” qualunque di uno Stato a caso e mi dicesse “sei qui”. E potesse avere ragione.
-Che ne dici se ora mantieni la tua promessa?
Mi volto verso Stefan, che mi guarda e sorride. Ricambio il suo sorriso e scivolo lungo la panca per uscire da dietro il tavolino.
-A che ora arriviamo domani?
-Alle dieci.- risponde lui sbadigliando.
-Dovremmo svegliare Steve e mettere a letto anche lui.- noto distrattamente, mentre passiamo per raggiungere la zona notte.
-Io non ci provo nemmeno, l’ultima volta mi stavo beccando un cazzotto sul naso!- ricorda Stefan, gettando un’occhiata a Steve.
-Questo perché lui ha aperto gli occhi e si è ritrovato il tuo brutto muso davanti. Invece, se lo sveglio io…- comincio ad argomentare con saccenteria, ma badando a tenermi lontano dal nostro batterista.
Stefan mi manda cortesemente a cagare e si infila risoluto nella propria cuccetta. Mi stendo anch’io e fisso il tettuccio del tour bus.
-Stefan.- chiamo. Lui brontola qualcosa per farmi capire che mi ascolta.- Che cazzo ci facevi ancora sveglio?- domando.
-Mi assicuravo che non cercassi di strozzarti con il laccio della macchina fotografica.- sospira girandosi verso la parete- Ed ora dormi, Brian! Dannazione a te!
Ridacchio e lo imito, arrotolandomi nelle coperte.
-‘Notte, Stef.
-‘Notte, insopportabile scocciatore dell’esistenza altrui.- mi risponde, prendendosi immediatamente una cuscinata addosso.
-Stronzo!- gli strillo contro.
-Fanculo!- ritorce lui restituendomi il favore.
-Volete dormire?!- strepita Steve, svegliandosi di botto e ripiombando nell’incoscienza quasi nello stesso momento.
-Come accidenti ci riesce secondo te?!- protesto fissando sconvolto Steve riprendere a russare come se niente fosse.
-Non è umano, è evidente.- afferma Stefan, annuendo convinto.- Ora, però, ti prego, Brian, dormiamo davvero!- m’implora, lasciandosi ricadere sul materasso.
-Sì sì.- borbotto stendendomi di nuovo anch’io.
-E dì a Bellamy di chiamarti di giorno, se ci riesce.
-Mi chiama quando vuole.
-Sei una ragazzina.
-E tu sei stronzo.
-Lo hai già detto.
-Beh, volevo ribadirlo.
-Se non dormite, giuro che vengo lì e vi “addormento” io.- s’intromette Steve.

***

Sedevo sul fondo del backstage. Avevamo appena finito di esibirci, ero felice di come fosse andata, ancora assordato dalle urla dei fan sotto il palco, sereno dopo che la mia storia con Helena era finita appena quattro giorni prima.
Stefan e Steve erano spariti da qualche parte. Dopo i concerti hanno ognuno il proprio rituale. Stefan ama continuare il bagno di folla, raggiungendo i fan per le foto, gli autografi, i complimenti a voce e tutto quanto ne consegue. Steve doveva essere corso a chiamare la moglie e la figlia.
Io non avevo niente da fare. Quattro giorni prima sarei stato attaccato ad un cellulare anch’io, ma in quel momento potevo starmene seduto a terra, contro le casse della strumentazione, con il cellulare effettivamente in mano e nessuno da chiamare.
Helena mi aveva fatto un regalo enorme. Fino a prima di lei questa mia condizione mi avrebbe gettato nello sconforto… in quel momento dentro di me c’era invece solo una luminosità calda e profonda.
Mi venne incontro direttamente dalla zona del palco. Aveva le mani in tasca e sorrideva, teneva gli occhi fissi su di me, quasi volesse farmi capire che mi cercava, che era proprio me che voleva. M’incuriosì, fino a quel momento non ci eravamo mai nemmeno scambiati due parole. Ero convinto che ci stessimo evitando, una di quelle convinzioni silenziose che si creano e che ci portano a parlare di “taciti accordi”. Il nostro accordo avrebbe dovuto prevedere che ognuno di noi due ignorasse l’altro. Lui lo stava per violare.
Si fermò davanti a me e mi guardò senza sfilare le mani dalle tasche dei pantaloni. Io ricambiai il suo sguardo ed attesi.
Quando parlò non mi sembrò davvero che avesse violato alcunché.
-Complimenti.- mi disse.
-Grazie.
-È stata un’ottima performance.
Mi strinsi nelle spalle, ripetere “grazie” era privo di senso. Non c’era ironia nella sua voce, non provavo alcuna avversione o fastidio nel rimanere seduto a parlare con lui. Già questo mi stupì.
-Noi ci esibiamo tra poco.- Lo sapevo, annuii.- Resti a guardarmi?
Rimasi sbigottito. Aprii la bocca annaspando. Lui mi fissava con un candore tale da darmi il capogiro e nemmeno si rendeva conto – credo – di quanto assurdo fosse quello che mi aveva appena domandato.
Sarebbe stato già tanto se lui mi avesse chiesto di rimanere per sentire loro. Ma mi aveva appena chiesto di rimanere a guardare lui. E nel farlo mi aveva fissato con la stessa espressione che io usavo da bambino, quando correvo da mio padre a mostrargli i voti presi a scuola, in cerca della sua approvazione.
In quel momento capii che, tutte le volte che Matthew Bellamy aveva detto di stimare me e la mia band, non aveva mentito. A differenza mia.
Che, quando gli avevo consegnato il premio agli EMA del 2004 e lui mi aveva abbracciato per ringraziarmi, non aveva mentito. A differenza mia.
…che, quando mi aveva fatto i complimenti poco prima, non aveva mentito.
Ma lì nemmeno io nel dirgli “grazie”.
Fu il senso di colpa a farmi accettare di restare. Provavo una vergogna terribile al pensiero di quanto ero stato meschino fino a quel momento. Guardai la sua esibizione, mi fermai anche dopo, quando mi invitò ad andare con lui al party che si teneva dopo il concerto; mi fermai con lui anche al party, mentre tutti gli altri intorno ci guardavano come se fossimo impazziti. E forse lo eravamo. Io rimanevo al suo fianco, lo ascoltavo parlare a raffica come il suo solito, e per una volta – la prima in questa assurda storia – non ne trovavo la voce sgradevole, il tono spiacevole, le parole stizzenti. Trovavo la sua presenza confortante.
So che non fu l’alcool – come mi giustificai il giorno dopo con Steve e Stefan – a farmi accettare il suo invito a casa. So che ero perfettamente padrone di me, mentre lo guardavo balbettare qualche scusa ridicola sul fatto che voleva il mio parere su alcuni lavori incompiuti. E so che ero perfettamente padrone di me anche quando acconsentii, ben sapendo che si stava nascondendo, ed anche male, e che i suoi occhi azzurri finivano per tradirlo più della sua incapacità di mentire.
Per questo, e per rendergli più facile il resto, fui io a baciarlo quando arrivammo a casa sua e lui ebbe richiuso la porta dietro di noi.
Ricordo che mi disse impacciato che non aveva mai fatto sesso con un uomo. Lo disse subito, ed io risi divertito da questa sua sincerità e dal fatto che riuscisse a mettere nero su bianco quello che voleva senza esserne veramente imbarazzato. In fondo a parte il mio bacio non avevo ancora ammesso di avere voglia di lui. Potevo tranquillamente prenderlo in giro, mollarlo lì ed andarmene. Lui non ne aveva paura. O più semplicemente, a differenza della maggior parte delle persone comuni, lui era disposto a rischiare di essere sincero.
Non posso davvero negare che fu questo a conquistarmi. Se lui fosse stato appena meno sincero, appena più interessato, quella notte sarebbe rimasta solo un episodio della mia vita, come negli anni se ne erano succeduti tanti. Ma Matthew Bellamy era quello che io vedevo e quello che vedevo mi aveva già strappato l’anima.
Mi si avvicinò quasi con timore, guardandomi attentamente, come non sapesse neanche cosa aspettarsi da me. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando cademmo con un tonfo pesante sul letto – senza spingerci, senza fretta, sfiorammo il materasso con le gambe dopo aver vagato alla cieca lungo tutto il corridoio e buona parte della camera da letto, e semplicemente ci lasciammo cadere lì come foglie – continuò a guardarmi a quel modo sbottonando la mia camicia, scivolandomi addosso con i polpastrelli, sfilando la cintura dai jeans dopo averla sfibbiata. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando rimasi completamente nudo fra le sue mani, come avesse paura che potessi improvvisamente trasformarmi in qualcos’altro o scomparire in una nuvola di vapore.
Continuò a guardarmi e lo guardai anch’io. E quando i suoi occhi incontrarono i miei, lui sorrise appena, imbarazzato, chiedendomi se mi stesse dando fastidio, se fosse troppo lento o troppo veloce. Capii che voleva essere rassicurato, ma non potevo realmente dirgli che nonostante i movimenti maldestri era così perfetto da farmi pensare avesse studiato quei momenti nel dettaglio per fare in modo che si adattassero perfettamente ai miei desideri.
Adoravo che mi guardasse in quel modo, adoravo che i suoi occhi irradiassero quel tipo di venerazione che riservi alle cose nuove che trovi stupende al punto da toglierti il fiato. Adoravo che mi toccasse piano, lievemente, come fosse spaventato.
…adoravo che mi toccasse.
E no, non potevo dirglielo, perché erano solo dieci ore e qualcosa che ci conoscevamo. Ed anche se per lui non sembrava passato troppo poco tempo per mettersi nelle mie mani in quel modo, per me era ancora troppo, troppopresto.
Mi limitai a sollevarmi sui gomiti e baciarlo, attirandolo a me con una mano sulla nuca, sperando che decidesse di lasciare da parte le insicurezze e si lasciasse un po’ andare.
Lo fece.
Affondò con un sospiro sollevato il viso nell’incavo fra il mio collo e la mia spalla, baciandomi lievemente in una scia bagnata e morbida che viaggiava verso il petto. Sembrava stesse seguendo una mappa ideale, toccando tutti i punti più sensibili del mio corpo, come volesse registrare le mie reazioni e imparare a muoversi nel modo giusto.
Come si stesse preparando ad altre milioni di volte.
E nessuno dei sospiri che mi sfuggirono dalle labbra, nessun ansito, nessun gemito, nessun movimento improvviso del mio corpo, nessun accenno di spinta verso di lui, niente fu falso, non simulai niente, non forzai nulla solo per compiacerlo; e quando mi morsi le labbra per non urlare, fu solo perché se non l’avessi fatto avrei urlato davvero; e quando mi aggrappai alle sue spalle per non cadere, fu solo perché se non l’avessi fatto sarei caduto davvero; e quando lui mi si strinse addosso, e chiamò il mio nome mentre veniva, io chiamai il suo. E non fu perché durante il sesso sono cose che si fanno. Fu perché lui era lì. E stava godendo per me, con me, dentro di me. Ed io facevo lo stesso. E ringraziarlo – per tutto, tutto – era davvero il minimo che potessi fare.

***

Vedevo i suoi occhi. Erano limpidi al punto da risplendere anche al buio. La luce della luna filtrava dalla finestra spalancata e lui mi guardava, perché quell’azzurro chiaro e brillante era fisso su di me. Mi guardava, appoggiato con i gomiti al cuscino, il busto sollevato, mi studiava come se fossi stato un’insolita opera d’arte caduta sul suo letto…
-…cosa?- mormorai alla fine.
Sorrise, penso, perché il suo sorriso fece un rumore divertente, come uno sbuffo leggero di fiato. Per un momento gli occhi si chiusero e poi tornarono a guardarmi.
Ma non mi ripose.
-Matt.- chiamai a bassa voce, sorpreso io per primo di come fosse stato facile prendere confidenza con un diminuitivo. Come se fossimo amici da sempre. Amanti da tutta la vita. Respirai e sollevai lo sguardo a ricambiare il suo attraverso la penombra. Mi chiesi se anche i miei occhi riuscivano ad essere così limpidi al buio- Che intenzioni hai adesso?
Non so perché glielo chiesi, ma immagino avesse a che fare con la consapevolezza che lui non sarebbe mai riuscito a rivolgermi quella domanda. La mia risposta la conoscevo già, volevo che tutto quello fosse più di una notte. La sua mi rigirava in testa dandomi un leggero capogiro, come se avessi le vertigini e rischiassi da un momento all’altro di cadere giù.
-Serie.- mi rispose lui come se stessimo discutendo di una cosa perfettamente ordinaria. Del tempo. Del tour. Dei progetti per il giorno dopo. Poggiò la guancia su una mano e mi fissò con il viso inclinato, aspettando.
Divenne urgente assicurarmi che avesse capito davvero.
-Sai di cosa sto parlando, Matthew?- ribadii, sentendo il mio tono alzarsi impercettibilmente, dandomi l’esatta misura dell’ansia che mi agitava. Annuì per interrompermi, ma non lo feci lo stesso.- Sto parlando di stare insieme. Sto parlando di sopportarci l’un l’altro ogni volta che uno di noi due starà male, che avrà voglia di urlare, di rendersi impossibile ed insopportabile. Sto parlando di dormire assieme e svegliarsi assieme la mattina dopo, sto parlando di imparare a capirsi anche quando non si parla, di riuscire ad intendere i silenzi anche quando si fanno pesanti, di superarli nonostante non se ne abbia la voglia. Sto parlando di dire al mondo che tu sei me ed io sono te, di ammetterlo davanti ai nostri amici, di farlo accettare a loro ed a chiunque altro e…
-Stai parlando troppo.- mi mormorò lui, piano.
Lo disse in un modo tanto quieto da zittirmi. Un tono fioco e sottile, che non perse di forza per essere così labile, ma acquistò di gentilezza e di delicatezza nell’infilarsi tra le mie paure ed i miei dubbi.
Sentii un nodo serrarmi la gola comunque, e somigliava fin troppo ad un pianto trattenuto.
-Tu mi hai chiesto che intenzioni io abbia, ed io posso risponderti solo su questo.- mi spiegò pacatamente lui- E ti rispondo che le mie intenzioni hanno a che fare con il non lasciarti uscire da qui per non tornare più.- ammise stringendosi nelle spalle- Il resto non lo so, Brian, e nemmeno me lo chiedo ora come ora.
Vorrei chiedermelo io per tutti e due…
Ed invece rimasi a fissarlo, le labbra schiuse su una frase che non ho mai detto. E, invece di chiedermelo per entrambi, ho smesso del tutto di farlo.
Ricordo che il mattino dopo quando mi svegliai ancora tra le sue coperte, lui era già uscito. Lo scoprii dopo un po’, quando tornò in camera da letto, vestito di tutto punto, con un vassoio e con i croissant appena sfornati ancora in un pacchetto. Risi, perché mi sentivo idiota nel ritrovarmi ad avere un uomo che mi portava la colazione a letto. Lui rise con me, rendendosi conto che era davvero ridicolo. Ma poi c’era una confusione terribile su quel vassoio, le tazze del caffè rischiarono almeno un paio di volte di cadere e Matt aveva dimenticato – grazie al cielo – sia i fiori, sia la spremuta d’arancia o la marmellata con le fette biscottate, e tutto questo bastò a rimettere le cose in ordine, mentre mi tiravo a sedere e lui si metteva di fianco a me, incrociando le gambe come un bambino e posando il vassoio tra noi.
Non ricordo, invece, di cosa parlammo. Sciocchezze, penso. E già pensare questo mi basta, e non riesco a ricordare altro. Mi basta perché era l’inizio della nostra abitudinarietà, la confidenza che si crea nelle coppie un pezzo alla volta e che è fatta anche di discorsi futili dimenticati subito dopo che si esce dalla porta di casa.
Quando uscii dalla porta di casa sua quel mattino, lui era con me.
Doveva andare agli Studi della Universal, ci salutammo sul portone ed io presi un taxi per farmi riaccompagnare. Sorridevo ancora quando scesi dall’auto ed attraversai la strada.
-Brian!
Sollevai lo sguardo, abbastanza stupito. E se già dovevo trovare assurdo sentire la voce di Stefan a quell’ora del mattino davanti casa mia, fui ancora più stupito quando me li ritrovai lì entrambi. Stef a braccia conserte sul petto e con un’espressione tutt’altro che amichevole in faccia e Steve che mi guardava divertito.
-Che accidenti ci fate qui?- chiesi d’istinto.
-Che accidenti ci facevi tu fuori casa?!- strillò Stefan furioso- E perché diamine sei vestito come ieri?! E soprattutto, dove accidenti sei finito ieri?!
Sbattei le palpebre, realizzando che era palesemente preoccupato per me.
-Stef, ho trentacinque anni…- feci notare.
-E non sei capace di badare a te stesso, è evidente!- strepitò lui senza neppure ascoltarmi.- Ti abbiamo cercato tutta la notte! Eravamo in pensiero per te! Potevi almeno…che so! fare una telefonata! O quanto meno rispondere al telefono!
Tirai fuori dalla tasca del cappotto il cellulare e mi accorsi che effettivamente mi avevano chiamato più volte.
-Ahah- registrai indifferente.- Sono vivo. Posso andare a dormire?- chiesi educatamente.
-Avresti già dovuto essere a dormire!- ci tenne a specificare lui.- Avresti dovuto aprire la porta in pigiama, urlare contro di noi che le dieci del mattino non sono un orario accettabile per essere svegliati e poi invitarci ad affogarci in un caffè!
-Hai di me una visione orribile.- notai perplesso.
-Non c’entra!
Scrollai le spalle, infastidito dal protrarsi inutile di quella discussione.
-Comunque io sono già affogato in un caffè per stamattina.- ammisi semplicemente, tirando fuori dalla tasca anche le chiavi per aprire il portone.- A casa di Matt.- specificai.
Stefan mi fissò come se non potesse credere che fossi proprio io, vivo, vegeto ed in carne ed ossa, davanti a lui. Steve si accodò a lui per un momento. Poi scoppiò a ridacchiare come un ragazzino – ed io lo seguii praticamente subito – e commentò.
-Allora era vero…
Stefan si voltò verso di lui, continuando a mantenere la stessa espressione sconvolta.
-Non dire “allora è vero” come se fosse una cosa normale…- lo pregò in un soffio strozzato.- Brian!- chiamò poi, voltandosi. Sbuffai e mi feci spazio per andare ad aprire- Cos’è questa storia? Vi hanno visti tutti al party ieri sera, ma io non posso credere che davvero tu e Bellamy…- non finì la frase, come se la sola idea fosse inconcepibile. Aprii il portone appoggiandomici con la schiena e li guardai, invitandoli silenziosamente ad entrare- Insomma, voi due vi odiavate fino a ieri!-mi ricordò alla fine.
Ci pensai su, spingendo il portone finché non urtò contro il muro, e rimasi lì appoggiato aspettando che loro sfilassero davanti a me.
-No, ci sbagliavamo tutti su quello.- spiegai quindi.
Steve rise di nuovo, facendo risuonare tutto l’atrio del palazzo, provai a dirgli di piantarla, ma siccome lo feci ridendo anch’io non servì a molto. Stefan invece mi guardò. Mi guardò attentamente per un bel po’ di tempo. Poi non disse più nulla e seguì Steve fino all’ascensore.
 

***

 
Nota di fine capitolo della Nai:

…bah.
E’ il concetto che credo renda meglio il perché di questa storia.
Giusto per dovere di cronaca, comunque, dico subito che il titolo è rubato a parte del titolo – chilometrico – con cui il Sig. Molko ha identificato una “graziosa” rassegna fotografica da lui realizzata durante il tour.
Il titolo completo è perfino più deprimente del pezzetto scelto! ^_^
Al momento l’unico “perché” della scelta è dato dal fatto che mi piacesse l’idea di un Brian Molko che dichiara al mondo di essere stato preso in trappola in una bottiglia. Come un genio o un folletto.
Ma sto divagando e, siccome devo lasciare spazio alla Liz per la sua nota di fine capitolo, mi interrompo qui.
Spero che vi sia piaciuto, avevo bisogno di zucchero e questa storiella a capitoli – leggera ed inconsistente – è zucchero e poco altro. Un po’ di sano romanticismo ogni tanto fa bene al cuore *_*
Inoltre sono così felice che la Liz abbia deciso di assecondare questa follia e collaborare alla sua realizzazione che penso piangerò di gioia (ç_ç) e desidero dichiararle pubblicamente il mio eterno amore!!!
Detto questo. Un bacio ed al prossimo capitolo!

Nota di fine capitolo della liz:

…amore a parte è___é Anche io sono molto felice di aver assecondato questa follia e…
…anzi, no, amore a parte il cavolo: questa storia È amore <3 È tipo la personificazione dell’amore romantico come lo intendo io nei miei sogni di gloria *.* Ed è fantastico che la Nai sia riuscita a partorire una cosa simile… peraltro tutta da sola <_< Non credetele, quando mi dà i meriti: la maggior parte delle volte mi arrogo meriti non miei perché lei scrive cose talmente belle che poi mi ispirano a scriverci su dando il massimo ù.ù *sì, in questo consiste il mio aiuto*
Comunque, comunque. Anche se ancora non si vede, per i capitoli futuri avrete di che odiarmi *-* *risata malvagia*
*scompare in dissolvenza*

Fanfiction a cui è ispirata: The Bitter End di Stregatta.
Genere: Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: NC-17
AVVISI: Angst, Slash, Spin-off.
- Passato un anno dal giorno in cui Brian ha deciso di troncare la strana relazione che lo legava a Matthew, la parola a quest'ultimo, per spiegare ragioni e sentimenti. Se di cose simili si può parlare.
Commento dell'autrice: Certo, mi rendo conto che per essere una shot conclusiva di una saga è abbastanza frustrante XD Ma quei due sono due stronzi: vi pareva che potessero darci una qualche minima soddisfazione? XD Per quanto mi riguarda, in The Bitter End, Stregatta è stata fin troppo buona! è_e
Il mio motto, mentre scrivevo questa fic, è stato: se dobbiamo essere cattivi, siamolo almeno fino in fondo e appassionatamente. Solo che, seguendo alla lettera questo principio, purtroppo è venuta fuori una roba vagamente incompleta, crudele, esibita, fine a sé stessa e anche vagamente compiaciuta °_° A parte lo stile usato per la narrazione, per il resto, infatti, è molto diversa da The Great Pretender. In un certo senso, naturalmente, doveva essere così. Perché Brian e Matthew, pur essendo due uomini piuttosto incattiviti, sono comunque fondamentalmente diversi. Non potevo ignorare quella nota di crudeltà gratuita cui sia Stregatta che io avevamo accennato nelle altre storie *-* Andava approfondita è_é Matthew ne viene fuori comunque maluccio, ma ehi, almeno ha spiegato le proprie ragioni >____ Grazie per aver seguito fino a qui *-* E… se volete dare un ulteriore seguito alla saga dei bastardi… siete le benvenute X’D *tifa per una neverending story*
Per il titolo si ringrazia l’omonima canzone degli X-Japan <3 fedeli compagni di tante avventure fanficcose *-* Che poi è anche bellissima. E contiene una delle linee di piano più belle che siano mai state composte… <3
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UNFINISHED

Da quando hai tradito Gaia la prima volta, a Dominic non hai più raccontato niente delle tue cosiddette “avventure”. Non l’hai più fatto perché l’occhiata che ti ha lanciato quell’unica volta ti è bastata per capire cosa stesse pensando di te e del tuo modo di agire. Lui ha sorriso, è stato comprensivo, mentre raccontavi ti ha dato perfino ragione. Ma tu lo conosci da una vita e sai che, nonostante ti sia rimasto accanto, in realtà per te ha provato solo una considerevole dose di indignazione e disgusto.
Perciò, di tutte le decine di persone senza faccia che si sono susseguite nel corso dei tuoi sette anni con Gaia, nonché di tutti gli altri che poi ne hanno preso il posto negli ultimi due anni senza di lei, Dominic non sa nulla. Nomi, circostanze, nottate spese da te o da loro. Niente di niente. Persi nella polvere.
Chiaramente, non sa nulla neanche di Brian. Non ne sa nulla perché quando l’hai avuto la prima volta stavi ancora con Gaia, e non ne sa nulla perché quando avete cominciato la vostra strana relazione, dopo che Gaia era sparita, a te aveva fatto più comodo tacere.
Se non altro perché ti sarebbe dispiaciuto osservare riflessa negli occhi di Dom di nuovo quella sfumatura di irritazione manifesta eppure arginata entro i confini di un affetto che, lo sai, neppure le peggiori nefandezze potrebbero estinguere.
È lo svantaggio di conoscersi da tanto tempo, dell’essere importanti l’uno per l’altro come fratelli se non di più: se pure non riesci a condividere le scelte dell’altro, ciò che condividi, che non puoi fare a meno di condividere, è l’altro stesso. La sua persona.
Date le circostanze, dunque, non ti stupisce che adesso Dominic ti fissi perplesso dall’altro lato del tavolino del pub in cui state bevendo birra da una mezz’oretta.
- ‘Cazzo t’è preso? – borbotta, battendo lievemente il boccale sul ripiano in legno per attirare la tua attenzione.
Tu stacchi gli occhi dal corpo di Brian e lo guardi.
- Niente. – affermi, scrollando le spalle. – Perché?
- Fa’ un po’ tu, ti sei ipnotizzato a fissare il vuoto.
Gli occhi di Dominic, probabilmente neanche l’hanno registrata, la sua presenza. Non l’hanno registrata perché Brian Molko per Dominic Howard ha la valenza di un complemento d’arredo. C’è, ma non sembrerebbe strano se non ci fosse. C’è, ma non è necessario pensarci su. C’è, ma non è importante notarlo.
Non è strano incontrarlo, perché in fondo siete a Londra, in un pub molto frequentato da quelli come voi, e quindi non è affatto inspiegabile la sua presenza nel fondo del locale, mentre sorseggia un drink e fuma distrattamente una sigaretta, passandosi stancamente una mano sulla fronte mentre il suo batterista cerca di parlargli e gli gesticola davanti come un bambino in cerca d’attenzione.
Dominic non lo sa – e se lo sapesse probabilmente metterebbe da parte la facciata da connivente, più che da amico, che mostra con te da quando ha scoperto che sei un bastardo traditore, e ti costringerebbe a uscire da questo locale strisciando – ma tu con quell’uomo hai un conto in sospeso. Perché tu con quell’uomo ci sei stato. E alla fine sei stato mollato.
Oh, non che tu l’abbia messa in questi termini, nel periodo in cui vi frequentavate, certo che no. La versione ufficiale, quella in cui credevi – quella che, in fondo, rispecchiava la più nuda verità dei fatti – era che vi scopavate a vicenda perché ogni volta che vi trovavate vicini o che i vostri sguardi si incrociavano vi eccitavate in maniera veramente indecorosa. Ma poi ci hai riflettuto, e hai anche capito che “la nuda verità dei fatti” non è che una semplificazione degli stessi. E le semplificazioni, lo sai, sono stratagemmi sciocchi che gli esseri umani utilizzano per rendere più accessibili cose che, se viste nella loro più vasta e sensata complessità, non vorrebbero vedere neanche da lontano.
La tua relazione con Brian Molko era quel tipo di cosa. Una cosa che non avresti voluto vedere neanche da lontano, se l’avessi presa per l’enorme garbuglio che effettivamente era. Un rapporto patologicamente ossessivo in cui l’ostinazione spesso prendeva il posto del vero desiderio. Un rapporto in cui era più importante soggiogare l’altro fra le lenzuola che non godere del piacere che riusciva a darti. Un rapporto in cui contavano di più le ferite che riuscivate a scoccarvi con le chiacchiere fra una scopata e l’altra, che non le scopate stesse.
Era molto più comodo che Brian restasse “quello con cui scopavi”.
In realtà era quello con cui stavi.
Che la vostra relazione fosse malata o meno, sempre di relazione si trattava.
È comodo prendere la verità per sommi capi, senza approfondirla. Tu l’hai tenuta per gli angoli, come un lenzuolo sporco, per tutto l’anno in cui vi siete frequentati. Poi lui s’è reso conto dello schifo in cui vi trovavate prima di te, e ti ha lasciato.
La bruciatura non t’è mai passata. Ecco perché adesso lo guardi e ti sembra che potresti sbranarlo con gli occhi.
Ma Dominic non lo sa, perciò chiede.
E tu non vuoi dire cosa c’è sotto, perciò assecondi un pettegolezzo.
- Hai visto chi c’è? – domandi piatto, indicando Brian con un cenno del capo.
Dom mugugna un’inarticolata richiesta di spiegazioni e si volta nella sua direzione, allungando il collo per adocchiarlo meglio.
- Ha! – sbotta poi, mentre gli occhi gli s’illuminano di una strana luce infastidita, - Toh! La merda!
Dominic non è uno che serbi rancore a lungo. Ma per Brian ha sempre fatto un’eccezione. Forse perché ha sempre trovato indecente che uno come lui, facendo quello che fa lui, potesse azzardarsi a mettere bocca sulla musica che fate voi. E che rappresenta indiscutibilmente la cosa più importante che esista per Dom.
Ghigni divertito e ti stringi nelle spalle.
- Inaspettato, vero? – borbotti ironico.
- Vuoi andare via? – ti chiede lui, inarcando le sopracciglia.
Già. Perché in teoria tu dovresti voler stare a chilometri da Brian Molko.
Sì, anche se in pratica in realtà vorresti chiuderti con lui nella prima camera da letto disponibile.
- Nah. – scuoti il capo, - È arrivato il momento di regolare i conti.
Ti alzi in piedi, e Dom solleva il boccale nella tua direzione, facendoti i propri auguri.
- Cerca almeno di non farti pestare. – rimbrotta, affondando il naso nella birra, - Sarà pure più basso di te, ma in confronto a lui tu sei un fuscello.
Ridacchi e continui a dirigerti con naturalezza verso il suo tavolo.
A un paio di metri di distanza lo senti sbottare isterico che, di ciò che il suo batterista cerca di spiegargli da almeno mezz’ora, non gli frega un cazzo.
I lineamenti del suo volto sono tesi, gli occhi sono arrossati dal fumo e lui è così irritato che sembra lanciare scariche elettriche nell’aria intorno a sé. Potrebbe fulminare qualcuno. E tu lo conosci poco ma hai come l’impressione che la persona che vorrebbe fulminare si trovi proprio lì davanti a lui.
Batti un colpetto sulla sua spalla e lui si volta a guardarti repentinamente, mentre anche gli occhi del batterista si posano su di te in un misto di stupore e incredulità.
Gli occhi di Brian invece dipingono tutt’altro quadro. Un quadro di paura e smarrimento. Il quadro esatto di chi avrebbe potuto pensare a tutto meno che a quella eventualità. Il quadro esatto di chi, nel momento in cui l’eventualità diventa realtà, si dà dell’idiota: perché avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto evitarlo e non c’è riuscito. Peggio, non ci ha proprio neanche provato.
- Hai due minuti? – gli chiedi gentilmente, indicando la porta del locale con un pollice.
È evidente lui non sappia cosa fare. È evidente lui si alzi in piedi solo perché sospinto da una strana curiosità che è poi esattamente lo stesso motivo per cui ti segue fuori dal pub senza spiccicare una parola.
- È passata un’eternità. – constati con un breve sorriso mentre passeggiate fianco a fianco sul marciapiedi, le mani ficcate a fondo nelle tasche dei cappotti e il mento affondato nelle sciarpe. Siete vestiti praticamente allo stesso modo, lui in bianco, tu in nero. Trovi questa coincidenza semplicemente stupenda, anche se non sapresti spiegarne i motivi.
- Non abbastanza, per quanto mi riguarda. – sibila Brian, astioso, scoccandoti un’occhiata glaciale almeno quanto il vento che vi sferza contrario per la strada.
- Come sei cordiale. – commenti sarcastico, - Sai, quasi la dimenticavo, la tua proverbiale gentilezza.
Brian sospira, socchiudendo gli occhi e fermandosi all’improvviso in mezzo al marciapiedi.
Per la strada ci siete praticamente solo voi. Voi e le rare macchine che macinano lentamente centimetri su centimetri d’asfalto, guidate da automobilisti terrorizzati dalla possibilità di incontrare ghiaccio mortale sotto le ruote.
Ti fermi al suo fianco e lo guardi.
- È stata una giornata di merda, Bellamy. – sbotta lui, infastidito, - Quindi, se hai veramente qualcosa da dire, parla. Altrimenti, la strada per andare a fanculo la conosci.
Decidi senza troppi pensieri di ignorare quella che, in fondo, non è che una richiesta di pietà, e sfoggi un sorrisetto furbo.
- Mi ci hai mandato tante di quelle volte che ormai la sento un po’ come l’unica via possibile, con te! – ridacchi divertito.
Lui ti guarda per qualche secondo, come chiedendosi se tu stia facendo sul serio. Poi qualcosa nei suoi occhi cambia. Probabilmente realizza che sei effettivamente stronzo come ricordava, e abbassa lo sguardo, rassegnato.
- Cos’è che vuoi? – chiede, riprendendo a camminare.
- Volevo solo sapere come ti andava la vita. Lavoro, amici, amore…
- Tutto perfetto, grazie mille.
- Mi fa piacere. – sorridi sereno, - So che adesso stai con Helena Berg, e che è anche in dolce attesa…
- Ci siamo lasciati. E la gravidanza è stata una montatura dei giornali. – ti solleva addosso uno sguardo brillante e un ghigno sicuro, tale e quale a quelli che sfoggiava spesso con te quando vi vedevate. Ti fa piacere rivederlo così, è un po’ come ritrovare un pezzo di passato perduto, - Ti pare che se stessi ancora incatenato e con un moccioso in arrivo potrei dirti che è tutto perfetto?
Scoppi a ridere. Non vorresti ma lo fai comunque, e devi quasi tenerti lo stomaco per il gran divertimento.
- Adesso sì che sono sicuro che stai bene! – commenti, piacevolmente sorpreso, mentre anche Brian si lascia andare ad un sorriso vagamente sincero e tu capisci che queste battutine, queste beccate provocatorie, questo innocuo gioco al massacro senza regole che avevate messo su due anni prima, ti era un po’ mancato. E probabilmente anche a lui.
- Dovresti trattare meglio il tuo batterista, comunque. – consigli con aria disinteressata, imboccando una strada secondaria nel momento in cui vedi il marciapiedi riempirsi di gente, - Se continui a ignorarlo come hai fatto poco fa, finirà che ti mollerà come il primo.
Brian si lascia andare ad un sorriso storto e inquietante, sbuffando una mezza risata.
- Il primo batterista l’ho buttato fuori io. – precisa con presunzione, lanciandoti l’ennesima occhiataccia della serata, - Comunque mi fa piacere notare che non hai perso l’abitudine al giudizio facile.
- Parli proprio tu! – protesti divertito, - Non hai fatto che sparare sentenze su di me dalla prima volta che mi hai visto! Anzi, in realtà già da prima…
- Ma avevo ragione su tutto.
- Sicuro?
- Certo. Io ho sempre ragione.
- Ah-ha. – annuisci, - E dimmi, quando mi hai mollato… avevi ragione anche allora?
Lui ti guarda, e per un solo secondo riesci a scorgere nel fondo delle sue pupille una nota di panico che proprio ti mancava, nell’enorme campionario di occhiate di Brian che hai custodito gelosamente in un baule nel fondo della memoria nel corso degli ultimi dodici mesi.
Realizzi: lui non ci ha riflettuto, su quello che siete stati. Lui ha continuato a trincerarsi dietro la verità più facile.
- Siamo stati insieme? – chiede infatti, sarcastico, - E quando?
Tu sorridi, abbassando lo sguardo sul ciottolato che state percorrendo, a zonzo per i vicoli del centro di Londra.
- Eppure mi pare di ricordare un periodo della nostra vita in cui abbiamo condiviso il letto, Molko.
- Esatto. – ribatte lui seriamente, - Il letto e nient’altro.
- Che tristezza! – sospiri allora, inarcando giocosamente le sopracciglia verso il basso, - E i mobili della cucina, il divano del salotto, la vasca da bagno…
- Oh, be’, scusa. In effetti hai ragione. Stilerò un elenco di ogni centimetro sul quale abbiamo scopato e poi lo leggerò ad alta voce, così nessuno dei nostri appartamenti si sentirà offeso. Contento?
Ridacchi.
- Sei un po’ troppo acido per essere uno che ha una vita perfetta.
- Sei tu che mi rendi acido. – si ferma un secondo, adocchiando distrattamente la neve che comincia a cadere intorno a voi. – E mi fai ritrovare la parlantina. – aggiunge cupo.
Dovresti ghiacciare, ma in realtà non senti neanche freddo. Questa capacità di scaldarti internamente è sempre stata una prerogativa del corpo di Brian. Forse è per questo che con lui hai insistito tanto. Che hai cominciato la relazione, invece di aspettare e vedere se sarebbe stato lui a cominciarla. L’hai fatto tu, perché Brian non era una certezza. Non era scontato che decidesse di vederti una seconda, una terza, una quarta volta. Non era scontato ma tu lo volevi, e perciò l’hai preteso e ottenuto.
Sai anche dove sta la differenza con gli altri: lui non è stata la prima persona che hai preteso e ottenuto, ma è stato il primo per cui hai combattuto.
E forse è proprio questo che ti infastidisce tanto. Sì, ti indispone aver combattuto per qualcosa ed esserti ritrovato alla fine con niente in mano. Brian non ha perso la propria lucidità, durante la vostra relazione. Tu invece sì. Hai creduto che non sarebbe mai scappato, che la maglia di sesso e cattiveria che avevi tessuto attorno a lui fosse abbastanza forte e fitta da stringerlo senza scampo. Ma ti sbagliavi. E forse eri troppo stordito dal suo profumo per accorgertene.
Il profumo di Brian è lo stesso anche adesso. È lo stesso, anche se si porta dietro un anno di rabbia. È lo stesso, perché l’anno che per te è stato un anno di rabbia, non lo è stato per lui. E perciò lui è ancora intatto. Esattamente come lo ricordavi.
Lo stringi contro un muro e non t’importa se siete per strada. Se qualcuno potrebbe vedervi. Se c’è un freddo che ti gela le ossa. Lo stringi al muro e lo baci profondamente, ansimando sbuffi di fiato che si condensa sulla sua pelle. E lui ti sorride fra le labbra, e sbuffa anche lui, ma del suo respiro tu non lasci andare neanche una goccia.
- Ti sono mancato…? – chiedi sarcastico, separandoti da lui e sfiorando con le labbra il profilo del suo volto.
- Se ti dico di no, ci credi? – ghigna lui senza aprire gli occhi, sollevando appena il viso e tendendo la pelle del collo in attesa che tu possa scenderle addosso, assaggiandola. Scuoti il capo, strofinando il naso contro il suo in un gesto volutamente infantile e capriccioso, - Eppure sarebbe la verità. – commenta secco lui, - Non mi sei mancato affatto. Almeno, non dopo i primi giorni…
- Tutta questa sincerità mi ucciderà. Seriamente, rischi di mandarmi in overdose, non sono abituato.
- Non fare sarcasmo.
- E tu non parlare troppo.
Ti chini ancora su di lui. Sei rude, lo sei sempre stato, e lui non si stupisce quando ti sente infilare una mano sotto il giaccone, alla ricerca della pelle sotto gli abiti. Ha solo un lieve tremito quando sente addosso le tue dita ghiacciate, ma non si discosta e non ti ferma. Si lascia baciare, si lascia stringere, si lascia accarezzare.
- Tu mi sei mancato…
- Adesso sei tu che parli troppo.
Sorridi e torni a baciarlo, slacciando la fibbia del cappotto e strappandoglielo di dosso, per poi gettarlo per terra.
- Sei pazzo? – ride lui mentre ti osserva fare lo stesso col tuo, - Si muore di freddo…
- Ti scaldo io. – lo rassicuri sensuale, succhiando avidamente la pelle tenera sotto il suo orecchio.
- Sì, ma gli altri vestiti lasciameli addosso… - annuisci distrattamente, sfibbiandogli i pantaloni, - …e non ti spogliare neanche tu, non ti voglio sulla coscienza.
- Non sono coglione a questo punto.
In realtà stai mentendo.
In realtà lo sei eccome.
Lo sei già solo per il fatto che adesso sei in un vicolo buio e nascosto, privo perfino di finestre sui muri dei palazzi, che si imbianca di neve in una serata invernale che più fredda non avrebbe potuto essere, e stai schiacciando Brian Molko contro una parete in cemento armato, per scopartelo.
Lo sei per il fatto che non sai imparare dai tuoi errori, e che per questo stai sempre male a livelli disumani. Talmente male che il dolore supera la soglia di sensibilità. Talmente male che è come quando metti la mano sotto il getto d’acqua bollente al punto da sembrarti ghiacciata. Talmente male che per non sentirti peggio fai ogni genere di nefandezza e tratti gli altri come accessori del tuo piacere, nel tentativo di lenire il dolore anche se sai bene – perché lo provi sulla pelle ogni dannatissima volta – che non servirà neanche per un cazzo.
Sei un coglione.
Non hai cervello.
E non hai dignità.
E forse è per questo motivo che, quando senti Brian venirti tra le mani, decidi che è il momento di prenderti una pausa dalla tua stessa idiozia. È il momento di cambiare giro. Solo per un po’.
Ti conosci, sai che tornerai a comportarti come prima. Perché come tutte le brutte abitudini ormai è un vizio. Sai che prima o poi riprenderai. Come si sa che chiunque smetta di fumare un giorno ricomincerà. Come si sa che chiunque si disintossichi dalle droghe un giorno riprenderà a farsi.
Perché quando cose del genere ti entrano in circolo, si sostituiscono al sangue e ti fanno esplodere il cervello, è verso di loro che continui a tenderti.
Perché magari ti fanno male ma almeno è qualcosa.
Almeno senti qualcosa.
Ma intanto ci provi, a venirne fuori.
Ci provi e ti rassicuri col fatto che poi tornerai quello di prima.
Qualche mese di vacanza non potrà che farti bene, no…?
- È stato solo un episodio. – gli sussurri nell’orecchio senza permettergli di voltarsi a guardarti. Trema come un pulcino, perché adesso che non scopate più il freddo si sente eccome. Fin dentro. – Non pensare che voglia tornare con te.
Lui sbuffa una risata sarcastica.
- Quanto sei stronzo. – afferma scrollando il capo. – Sei davvero peggio di quanto pensassi, Bellamy.
E dire che non ti conosce.
Se ti conoscesse, forse allora…
…ma il suo parere non avrebbe comunque alcuna validità.
- Addio, Brian. – sorridi. – È bello trovarsi dall’altra parte della barricata, per una volta?
Lui ha un attimo d’esitazione. Prova a voltarsi per guardarti, ma cambia idea all’ultimo minuto.
- Che intendi dire? – sussurra incerto.
Tu sorridi cattivo sulla sua pelle e gli mordi il collo. Così, senza un perché. Non vuoi neanche fargli male, e infatti addosso non gli resta nemmeno un segno.
- Niente. – rispondi spiccio, separandoti da lui e chinandoti per recuperare il cappotto da terra.
Per un attimo, mediti se sia il caso di prendere anche il suo e metterglielo sulle spalle.
Il solo fatto che tu ci stia pensando su indica però che non vuoi davvero farlo.
E lasci perdere.
Fanfiction a cui è ispirata: "Try Something New" di Happy.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt, BrianxHelena, MattxGaia.
Rating: R - probabile futuro NC-17.
AVVISI: Angst, RPS, Spin-off, Incompleta.
- Un anno è passato dall'ultima volta in cui Matt e Brian si sono visti. Un anno, e sembra non sia cambiato niente. Un anno, e in realtà c'è stata una rivoluzione, dentro di loro. Rivedersi è davvero la cosa giusta? Matt non lo sa. Sa solo che non può fare a meno di vagare per Hyde Park sperando di incontrarlo.
Commento dell'autrice: Se ne parla alla fine è_é
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TRY SOMETHING BETTER
CAPITOLO 1
SLEEPING WITH GHOSTS

“Don’t waste your time
Or time will waste you”
Muse – “Knights of Cydonia”


In effetti s’era sempre sentito un po’ in colpa per quello che aveva combinato a dicembre, l’anno prima. S’era sempre sentito un po’ in colpa e s’era sempre sentito anche un po’ – molto – vigliacco per quella fuga repentina e ingiustificabile, pretesa e ottenuta con tanti di quegli allucinanti strepiti che aveva sempre avuto paura che Tom e i ragazzi, da quella volta, avessero maturato nelle loro menti un’idea di lui in versione pazzo isterico che di sicuro non giovava alla sua autostima. Se ne accorgeva ogni volta che, ad esempio, Dom o Chris gli facevano un suggerimento a riguardo di qualcosa che avesse scritto: si avvicinavano sempre con timore, premettendo sempre che trovavano il suo lavoro fantastico, prima di dire quello che avrebbero preferito cambiare.
Anche Tom aveva difficoltà a parlare con lui. Al punto che ogni tanto, quando aveva bisogno di fare un qualche cambiamento nelle date dei tour o delle uscite dei singoli, neanche glielo diceva. Si limitava a farlo e poi avvicinarlo con cautela, offrirgli una cena o qualcosa di simile e mormorare “Adesso non ti arrabbiare, Matt, ma ho dovuto modificare questo, questo e quest’altro…”, ricevendo puntualmente in risposta uno stupito “Perché dovrei arrabbiarmi, scusa? Se hai deciso così avrai avuto un motivo, e poi il manager sei tu, sei tu che devi occuparti di queste cose, il mio lavoro è un altro…”, al quale, spesso, seguiva un sorriso imbarazzato e un “No, ma era per essere sicuro che non ti saresti infastidito”, che lui poteva spiegare solo ed esclusivamente come uno strascico della furia che l’aveva preso quando s’era trattato di tornare in studio a registrare coi Placebo.
Né Tom, né Dom, né Chris avevano mai capito. Anche perché, sul momento, sì, non l’aveva presa benissimo, aveva pregato un po’ tutti gli déi dell’universo perché gli concedessero di sfuggire a quella tortura, e s’era lamentato, e aveva protestato, ma era anche eccitato, era anche emozionato, e non vedeva l’ora, dannazione a lui, non vedeva l’ora di rientrare in studio e registrare di nuovo, non… non vedeva l’ora di rivedere Brian…
Per settimane aveva collezionato idee e spunti. E per settimane, i suoi amici avevano assistito stupefatti allo spettacolo sconvolgente di lui che rientrava in albergo, afferrava il cellulare, si gettava sul letto e chiamava Brian, improvvisando conversazioni del tipo “Ho visto questa scena fantastica oggi, per strada, dobbiamo assolutamente infilarla da qualche parte nello studio album, poi!”. Li avevano ascoltati chiacchierare per ore intere con toni che a volte sfioravano il romanticismo, e vagavano da un isterico “Molko, piantala, una buona volta, di dire porcate!” a un trasognato “Sì, anche tu mi manchi… un po’…”, sussurrato a stento, buttato fuori a fatica, coprendo la cornetta con una mano nella speranza che non sentisse nessuno.
Scene quasi surreali.
Cose di cui si vergognava da morire.
Per circa un mese avevano dovuto credere che fra loro ci fosse davvero qualcosa. Che stessero pensando a metter su famiglia o chissà cos’altro.
Dio.
E poi era successo qualcosa. Qualcosa che perfino Tom, malgrado sentimentalmente fosse l’uomo più ottuso del mondo, aveva dovuto capire perfettamente. Ovvero era arrivata Gaia.
Gaia l’aveva… l’unico termine che gli veniva in mente e che potesse, anche se molto vagamente, descrivere la sua situazione, era “sconvolto”. Gaia era stata un vero e proprio tumulto.
Era una loro fan. L’aveva letteralmente assalito all’ingresso dell’albergo nel quale alloggiavano, rischiando di farsi ammazzare dalle guardie del corpo e uscendo dalla rissa con una spalla lussata. Ancora dolorante, quando i ragazzi della security l’avevano sollevata e, comprendendo di aver calcato un po’ troppo la mano, l’avevano adagiata su una panchina, chiamando un’ambulanza, la prima cosa che lei aveva mormorato, appena lui le era andato vicino per assicurarsi che fosse ancora viva, era stata “Sono felice di averti potuto vedere così da vicino…”. E quando lui, ridacchiando, le aveva risposto “Hai rischiato grosso… la prossima volta che tenti di avvicinarmi sta’ più attenta…”, lei, sempre sorridendo, nonostante la smorfia di dolore che le sconvolgeva le labbra, aveva detto “Se potessi vederti ogni mattina nel mio letto non dovrei più temere per la mia vita”.
Lui era arrossito, sentendosi nello stesso momento attaccato e già sconfitto.
In quel preciso istante aveva capito che era lei, la donna che cercava. Non sapeva nemmeno il suo nome, conosceva soltanto il suo caschetto biondo, i suoi occhi verdi, la sua pelle chiara e il suo fisico minuto. Non conosceva la sua età, non sapeva nulla della sua vita, ma lei era quella donna, la donna di cui aveva spesso parlato a Dom con aria sognante, la donna per lui.
E lei gliel’aveva confermato riapparendo davanti all’albergo il giorno dopo, col braccio ingessato e un adorabile sorriso sul volto.
“Mi chiamo Gaia”, aveva detto, porgendogli la mano, “Scusa se ti do la mancina”.
“Niente”, aveva detto lui, rispondendo al saluto. “Posso invitarti a bere un te? Sai, per scusarmi del comportamento delle mie guardie del corpo, ieri…”.
Lei aveva sorriso ancora, e lui l’aveva trovata angelica.
“Certo che puoi. E sei già scusato, comunque”.
Era cominciata così.
E nessuno ci avrebbe scommesso su un centesimo.
Nessuno tranne lui, ovviamente.
Un mese dopo, già convivevano. Lei era giovane, molto giovane, aveva appena diciannove anni, ma i suoi genitori erano due persone molto aperte, avevano semplicemente preteso di conoscerlo e sottoporlo a un interrogatorio di un paio d’ore, dopodiché avevano spalancato le braccia e gli avevano affidato la loro bambina con un gioviale sorriso sul volto.
Era stato in quel momento che lui aveva cominciato ad avere paura.
Mancava solo un mese a dicembre. Mancava solo un mese al momento in cui avrebbe rivisto Brian.
E sapeva, perché lo sentiva continuamente, perché parlavano continuamente, sapeva che Brian non era cambiato di una virgola, così come non erano cambiate di una virgola le sue idee su di lui, su di loro.
Ed erano un pericolo.
Perché la sua storia con Gaia era ancora una bambina, era appena nata, era così minuscola e indifesa che lui sentiva il bisogno fisico di proteggerla, avvolgerla fra le sue braccia e impedire al mondo esterno di intromettersi e rovinare tutto.
Ci teneva troppo, per permettere a un altro terremoto di buttare a terra le fondamenta della sua nuova casa.
Perciò, a dicembre aveva semplicemente fatto esplodere un casino. Aveva gridato e strepitato, aveva affermato con convinzione che non gli interessava più nulla di lavorare di nuovo coi Placebo, che la produzione poteva andare a farsi benedire, che non gliele fregava nulla del contratto e poteva anche stracciarlo davanti a tutti, che voleva concentrarsi su sé stesso, che voleva preparare i nuovi pezzi per il nuovo album, che, in definitiva, non se ne faceva più niente.
Avevano protestato un po’ tutti, com’era stato ovvio fin dall’inizio. Dom, soprattutto, s’era infuriato, e avevano litigato come i pazzi per la prima volta dopo tanto tempo. A Dom, come lui stesso gli aveva detto, non fregava niente di quali fossero i suoi problemi personali, non avrebbe dovuto permettersi di impedirgli di passare un altro po’ di tempo con Stefan. E quando lui, protestando, gli aveva detto che comunque di Stefan non gli era mai davvero fregato niente, Dom l’aveva guardato con disgusto e gli aveva semplicemente detto che della vita non capiva un cazzo. Dopodichè l’aveva snobbato per qualcosa come tre settimane e alla fine era crollato e l’aveva “perdonato”.
Lui s’era sentito una bestia insensibile per tutto il tempo.
Soprattutto quando ignorava le chiamate di Brian che tempestavano il suo cellulare.
Ma non era disposto a cedere. C’era troppo in palio. E lui era sempre stato un tipo tenace.
Però, ecco, migliaia di volte, durante quel periodo orribile, avrebbe voluto prendere i suoi amici per le spalle, scuoterli violentemente e urlare “non è che la cosa mi faccia piacere, accidenti a voi, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un contratto, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un rapporto, non è che mi piaccia pensare che non rivedrò Brian mai più, solo ho una paura fottuta che questo possa distruggermi la vita, com’è che non lo capite?, com’è che non lo vedete?, PERCHE’, CAZZO, NON VE NE ACCORGETE?!”.
E forse era per questo che, quando aveva saputo che i Placebo avrebbero preso parte al mega-concerto organizzato a Hyde Park, aveva colto la palla al balzo e, mentendo a chiunque, ci era andato. Gaia non aveva sospettato niente, ma di lei non aveva effettivamente motivo di preoccuparsi, perché quella ragazza si fidava di lui come fosse stato suo padre. Dom, probabilmente, aveva sospettato qualcosa. Infatti gli aveva sussurrato malignamente “Tanto se vai lì ci vediamo, perché io ci sarò sicuramente”.
Fortunatamente, Dom non s’era fatto sfuggire nulla con Gaia. Quello sarebbe stato un problema non indifferente, da risolvere.
Cavolo, poteva vedersi. Poteva vedersi vagare sperduto fra i gruppetti di persone intenti a chiacchierare in attesa dell’inizio dello show. Si prospettava una manifestazione musicale di proporzioni cosmiche, avrebbero partecipato tanti di quei gruppi, tra vecchie guardie ed esordienti, che non riusciva neanche a ricordare tutti i nomi.
Anche se be’, in realtà non è che ci avesse realmente provato a memorizzarli, tutti quei nomi. I suoi occhi avevano individuato i Placebo fra i tanti e il suo cervello aveva provveduto a isolarli dalla massa e cancellare tutto il resto, così non è che fosse rimasto molto spazio per i nomi degli altri.
…era semplicemente patetico.
Era lì per vedere Brian, questo era chiarissimo perfino per lui, che pure aveva cercato di ignorare quella verità per tutto quel tempo, che pure aveva cercato di convincersi fosse solo curiosità, voler vedere come stesse, come se la passasse…
Non voleva incontrarlo, gli faceva ancora troppa paura, ma vederlo, quello sì, anche solo da lontano, anche solo intravederlo, anche solo-
- Carino.
Oddio.
Si congelò sul posto, stringendo i pugni e sentendo un brivido scendergli lungo la schiena fino a fargli tremare le gambe.
Oddio.
*
Qualche minuto prima.

Non che fosse inquieto.
E non che sperasse in qualcosa, ovviamente.
Però Dominic l’aveva chiamato in gran segreto e gli aveva detto che sospettava che Matt pensasse di andare al concerto, magari senza farsi vedere, e allora gli sembrava ovvio provare un attimino d’agitazione in prospettiva, o no?
Insomma.
Matt era… era rimasto una parentesi, nel suo passato. Una parentesi che non si era mai chiusa.
E faceva male, ecco. La situazione sospesa, il pensiero che potesse essere ancora sospesa anche nella testa di quel dannato stupido, oltre che nella sua…
Il desiderio di lasciare che tutto si esaurisse nel tempo passato e sprecato, e quello contrastante e altrettanto forte di tenere il ricordo fisso nella mente, per non perderlo mai di vista.
Scosse il capo, massaggiandosi le tempie con due dita.
È mai possibile essere così emotivi?, si disse, sconsolato, scuotendo il capo come a volerlo svuotare da tutti i pensieri.
Doveva uscire da quel dannato umore. Doveva uscire da quella dannata ragnatela di ricordi e soprattutto doveva smettere di vagare per il parco sperando di beccare Matt in mezzo alla folla.
Cercarlo lo faceva solo stare male. Lo riempiva solo di pensieri riguardo a come si era sentito durante l’anno, e quello che aveva passato, e…
Insomma, era stata sua la colpa. Tutta di Matt. Lui si era limitato a comportarsi come sempre, era sempre stato il solito Brian.
Per quanto poteva immaginare potesse essere stato questo a convincere Matthew a comportarsi come aveva fatto.
Ma aveva fatto in modo che nessuno si preoccupasse per lui, durante quei lunghissimi dodici mesi. A Stef e Steve non aveva voluto dire niente, aveva continuato a comportarsi con naturalezza senza lasciar sospettare come si sentisse in realtà. Con Helena non aveva voluto neanche accennare alla cosa, e anche con Alex non aveva avuto voglia di parlare, sebbene lei fosse stata l’unica a immaginare che tutta la sua allegria non fosse altro che di facciata.
Dannate donne, sempre così sensibili.
Ma lui era sempre stato così, in fondo, no? Preferiva tenersi tutto dentro e sorridere, di giorno, e dormire coi suoi fantasmi la notte. Magari affondare nel cuscino e respirare con forza, fino a farsi dolere i polmoni, strizzando gli occhi fino a vedere macchie bianche vorticargli dietro le palpebre, e poi riaprirli e guardare il buio, e trattenere le lacrime a stento o non piangere affatto, e stringere i pugni attorno al lenzuolo ripetendosi “passerà, passerà”, sapendo perfettamente che non sarebbe mai passata, perché i fantasmi ti si attaccano alla pelle, sono come il tempo, che passa e ti rimane ancorato alle spalle, e ne senti il peso, giorno dopo giorno, e senti il rimpianto dei giorni perduti e ti fa male anche se sei fortunato e trovi qualcuno che ti consoli.
Lui era stato fortunato, in fondo. Aveva trovato Helena. E lei era stata fantastica, e comprensiva, e permissiva, e lui era convinto, fermamente convinto che fosse la compagna perfetta, l’unica possibile. E poi lei gli aveva dato Cody, e Cody era semplicemente la cosa più… più grandiosa che avesse mai pensato di ricevere in dono dalla vita.
Adesso era un padre, era un uomo quasi sposato, era tutto sommato contento. Era maturato, dall’anno prima.
Eppure non riusciva a lasciarsi quello che aveva vissuto alle spalle.
Non sarà una volta sola, aveva pensato dopo quell’unica notte insieme, e invece era esattamente quello che era rimasto. Un errore. Un episodio isolato nella vita perfetta e razionale di Matthew Bellamy; un episodio isolato, e neanche l’ultimo di una lunga serie, anche nella vita caotica e assurda di Brian Molko.
Un bruscolino di polvere.
Un’invisibile crepa nella parete.
Un niente.
E poi sollevò lo sguardo. Lo fece vagare sconsolato fra le migliaia di facce sconosciute che sembravano troppo impegnate ad aspettarsi di vederlo sul palco per guardare oltre ai suoi occhiali da sole e al berretto che indossava e alla sciarpa che gli copriva per metà il viso, e accorgersi che era lui. Lo fece vagare fra gli alberi di Hyde Park, fra le aiuole ben curate e pulite, così tipicamente inglesi, e gli ampi spazi di terreno mattonato, e poi lo fece vagare su, perdendolo nel cielo plumbeo che sembrava nero attraverso le lenti degli occhiali, e quando lo riportò giù Matt era davanti a lui, voltato di spalle, e camminava spedito guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno, e a lui sembrò per un attimo di impazzire di gioia, e si sentì sudare freddo mentre tra i suoi occhi e tutto il resto germogliavano le parole cerchi me?, cerchi me?, dimmelo, se cerchi me, Dio, ti prego, fa che cerchi me…
Tirò un respiro profondissimo. Rilasciò l’aria dalle labbra, e quella si condensò in vapore e si sparse davanti a lui, rendendo l’immagine di Matt opaca e sfumata – che ironia – proprio come quella di un fantasma.
E poi prese di nuovo fiato, e cercò di sorridere.
- Carino. – disse, e fu abbastanza perché Matt si congelasse sul posto, stringendo i pugni e voltandosi a guardarlo.
*
Non lo individuò subito, quando si girò. Ma era sicuro che fosse lì, doveva essere lì, non poteva esserci soltanto la sua voce, perciò guardò meglio e lo vide. Sì, il nanetto imbacuccato in un lungo cappotto nero, con la sciarpa quasi annodata intorno al viso come un terrorista, e i capelli coperti da uno sciocco berretto bianco e nero, doveva essere Brian.
Non sapeva cosa dire, ma non poteva rimanere zitto, perciò sputò fuori un saluto, faticando enormemente per ricordare il giusto ordine delle lettere nella parola “ciao”.
Brian… sembrava a suo agio. Non poteva vedere l’espressione del suo viso, ma la postura del suo corpo – le gambe leggermente divaricate, le mani mollemente abbandonate nelle tasche del cappotto, le spalle sciolte e distese – e in generale la sua disinvoltura naturale e il tono pacato e quasi divertito con cui l’aveva chiamato, lasciavano intendere proprio quello.
Che per lui fosse tutto a posto.
Che incontrandosi dopo un anno lui potesse chiamarlo ancora in quel modo senza sembrare inopportuno.
Questo lo irritava.
Cercò di mostrare indifferenza, mentre il suo cervello ribolliva.
- Che coincidenza. – disse atono, guadagnandosi in cambio una risata tonante da parte di Brian.
- Coincidenza? – chiese l’uomo, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso e guardandolo da sopra le lenti, - Hai uno strano modo di intendere le coincidenze, tu.
- Se credi che ti stessi cercando, sbagli di grosso. – replicò, incrociando le braccia sul petto.
- Sì?
- Sì. Cercavo Dom, so che doveva venire.
Ancora, Brian rise forte.
- Se credi che lui o Stef siano ancora nei paraggi, dato che la prima cosa che hanno fatto rivedendosi è stata saltarsi addosso, allora sei tu quello che sbaglia di grosso. – disse sorridendo candidamente.
Lui si diede dello stupido. Avrebbe dovuto immaginare che una scusa simile non avrebbe funzionato, viste le circostanze.
Rimasto senza parole, totalmente incapace di reggere lo sguardo di Brian – cazzo – fissò la punta delle sue scarpe per una serie infinita di secondi.
Poi l’odore, la consistenza e la temperatura dell’aria attorno a lui cambiarono, e ancora prima di alzare lo sguardo lui seppe che Brian gli si era avvicinato.
- Posso offrirti una birra? – gli chiese l’uomo, gli occhi nuovamente coperti dagli occhiali, scrollando le spalle.
E lui sapeva che era un pericolo avvicinarglisi tanto.
Sapeva che era un pericolo, stare con lui.
E sapeva che era un pericolo anche bere qualcosa con lui.
Ma accettò senza pensarci neanche una volta.
*
Non voleva dargli l’idea che si fosse tenuto informato sul suo conto, durante quell’anno di assenza, perciò non poteva mica cominciare a chiedergli cose del tipo “Allora, ho sentito che finalmente stai mettendo la testa a posto! Com’è essere padre?” sperando che lui pensasse fossero solo informazioni sentite casualmente alla tv o intraviste di sfuggita su un giornale scandalistico.
Brian era scandalosamente portato ad osservare gli avvenimenti come se tutto avesse un perché.
Non ammetteva l’esistenza della casualità.
E Matt sapeva che mentre sorrideva sereno sorseggiando innocente la sua birra, in realtà stava pensando che se si erano incontrati era soltanto perché entrambi lo volevano fortissimamente, e che se lui aveva accettato di farsi offrire la birra era soltanto perché aveva voglia di stare con lui.
Non aveva pensato neanche un momento che avessero potuto incontrarsi per caso e che lui avesse accettato perché non vedeva per quale motivo non avrebbe dovuto.
No, decisamente, se gli avesse chiesto una qualsiasi cosa sulla sua vita privata Brian avrebbe pensato immediatamente che lui si fosse messo a raccogliere informazioni sul suo conto, ritagliare articoli di giornale e fotografie e costruire un altarino alla sua memoria – con candele e tutto – nel seminterrato di casa sua.
Cosa che effettivamente era stato tentato di fare, più di una volta.
Potenza della nostalgia.
Mentre rimuginava su cosa fosse giusto fare e cosa invece dovesse ricordarsi di non fare mai e poi mai, semplicemente Brian terminò la sua birra, sorrise e chiese “Allora, ho sentito che ti sei fidanzato. Sei felice?”.
Lui lo guardò, attonito, la labbra ancora dischiuse e il boccale a mezz’aria davanti al viso.
- Che vuol dire se sono felice?
Lui inarcò le sopracciglia, stringendo le labbra.
- E’ una domanda come un’altra. No?
- Sì, voglio dire… certo che sono felice! Amo la mia ragazza!
Brian sorrise.
- Vedi che non è difficile rispondere?
Che cosa diavolo gli stava succedendo? Non era mai stato così gentile, così ossequioso…
…così distaccato.
Odiava quel sorriso lontano. Odiava quelle domande di circostanza.
E odiava la consapevolezza che se Brian poteva permettersi senza troppi problemi di chiedergli se fosse veramente felice e come stesse con la sua ragazza era perché, evidentemente, lui l’aveva superato, quello che era successo fra loro.
E quindi, forse, in definitiva, quello che pensava troppo, fra loro due, era proprio lui.
Quello ancora spaventato.
Quello ancora attaccato al passato.
Quello ancora in- Dio, era lui, quello.
Abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole nei confronti di tutto il mondo.
- Allora, chi sei venuto a vedere? – chiese Brian tranquillamente, con curiosità, - I Genesis? La reunion sta facendo parlare di sé. Pare che andranno in tour, dopo questo concerto.
- Mh… - disse lui, poco convinto, mentre metabolizzava la sensazione che, con tutto il rispetto per Collins e compagnia, con Brian là davanti dei Genesis gli fregava meno di niente.
- E’ proprio vero che il tempo rinvigorisce i legami, quando sono sinceri, no?
Spalancò gli occhi.
Eccola.
Eccola, eccola, eccola!
La mazzata.
Doveva arrivare, prima o poi.
Stupido, deficiente lui che aveva creduto di averla passata liscia.
Il tempo rinvigorisce i legami sinceri, sì.
E distrugge tutti gli altri.
Capito l’antifona, Brian.

Ora era tutto molto più chiaro, e molto più doloroso.
Brian non era semplicemente passato avanti. Non aveva conservato il ricordo del tempo che avevano passato insieme immergendolo in un barattolino di dolce malinconia. Aveva camminato sui suoi ricordi, pestandoli e riducendoli in brandelli, e poi aveva messo quanto rimasto sott’odio, e lì l’aveva lasciato, a marcire, fino a quel momento.
Ecco cosa c’era dietro ai suoi sorrisi sereni, dietro al suo cortese distacco, alle sue fredde premure.
Quintali, quintali e quintali di schegge di rancore a saltellare impazzite nella sua mente, conficcandosi ovunque.
- Be’, chiunque tu sia venuto a vedere, - concluse Brian alzandosi in piedi, - spero tu rimanga anche fino all’esibizione dei Placebo.
In realtà aveva già visto chi voleva vedere.
Fin troppo.
E se Brian l’avesse saputo gli avrebbe detto tranquillamente che allora poteva andare via.
Ma lui non disse niente, si limitò ad annuire. Brian rispose con un sorriso e poi si voltò per uscire dal locale.
Resistette all’impulso di richiamarlo solo fino a quando non lo vide sulla soglia della porta.
- Brian! – disse a voce alta, attirando gli sguardi degli altri clienti e rimettendoli tutti ai loro posti con una serie di occhiatacce torve.
- Sì? – chiese lui, voltandosi e sorridendo cortesemente.
Matt si sentì avvampare.
- Canterai… canterai la nostra canzone? – chiese infine, imbarazzato, fissando il pavimento.
Brian scoppiò a ridere così forte che lui pensò di aver fatto una battuta.
- Mio Dio, Bellamy: no!

Genere: Introspettivo, Triste.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG
AVVISI: Angst.
- "In tutte le relazioni, arrivati ad un certo punto, inevitabilmente qualcosa all’interno del rapporto cambia. Non si esaurisce né finisce del tutto, mai, perché qualcosa di te resta sempre negli altri e qualcosa degli altri resta sempre dentro di te, ma basta che si perda anche un solo mattoncino dell’incastro che teneva in piedi l’impalcatura del vecchio “noi”, perché ci si ritrovi davanti ad una scelta obbligatoria – perlopiù poco piacevole.
Quando accade, puoi decidere di restare te stesso e lasciare andare l’altra persona per la propria strada; in alternativa, puoi decidere che non se ne parla e cambiare forma anche tu, modificarti assieme alla relazione, fare di te stesso il collante che rinsaldi ciò che sembra si stia spaccando prima ancora di cominciare a piegarsi.
Con Steve… diciamo che l’abbiamo lasciata andare.
E diciamo pure che non l’ho deciso io, però.
"
Commento dell'autrice: No, non ho assolutamente nulla da dire, e anche se avessi qualcosa da dire giuro che la tratterrei ^^ È dedicata a una persona che non deve leggerla, e che se lo farà quando non sarà ancora pronta mi premurerò di picchiare personalmente con una scopa <_< *minaccia neanche troppo velata*
Certe cose sono molto stupide. Possono anche venire bene, ma restano sfoghi idioti. Solo che hai bisogno di buttarli fuori, perché come ripeto da giorni a chiunque chieda perché sto perdendo tempo, ognuno ha il proprio modo di elaborare i lutti XD
Perciò scusate. Ma spero possa servire anche a voi com’è servito a me XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
COME CLEAN

In tutte le relazioni, arrivati ad un certo punto, inevitabilmente qualcosa all’interno del rapporto cambia. Non si esaurisce né finisce del tutto, mai, perché qualcosa di te resta sempre negli altri e qualcosa degli altri resta sempre dentro di te, ma basta che si perda anche un solo mattoncino dell’incastro che teneva in piedi l’impalcatura del vecchio “noi”, perché ci si ritrovi davanti ad una scelta obbligatoria – perlopiù poco piacevole.
Quando accade, puoi decidere di restare te stesso e lasciare andare l’altra persona per la propria strada; in alternativa, puoi decidere che non se ne parla e cambiare forma anche tu, modificarti assieme alla relazione, fare di te stesso il collante che rinsaldi ciò che sembra si stia spaccando prima ancora di cominciare a piegarsi.
Con Steve… diciamo che l’abbiamo lasciata andare.
E diciamo pure che non l’ho deciso io, però.
*
Steve ci ha tenuto a parlare contemporaneamente con me e con Stef. Per “chiarire in un’unica volta”.
Sinceramente, credo di averlo detestato sul serio, in quel momento. E non mi era mai successo, con lui, perciò mi sono ritrovato del tutto impreparato di fronte a quel tipo di sentimento e ho fatto scena muta per tutto il tempo, rannicchiato sulla poltrona più scomoda dell’universo intero, con Stef accanto che sembrava in procinto di scattare per afferrarmi una mano come gesto consolatorio e il mio batterista che continuava a sciorinare perché su perché su montagne di rassicurazioni inutili che neanche ho percepito.
È stato davvero poco onesto da parte sua comportarsi così.
Avrebbe dovuto prima parlare da solo con me, così avrei potuto ricoprirlo d’insulti. Solo dopo sarebbe dovuto andare da Stef, che invece l’avrebbe trattato con riguardo e l’avrebbe rassicurato sul fatto che mi sarebbe passata presto. Io avrei avuto una scusa più che valida per restare incazzato a morte e chiudermi in uno scantinato per non parlare con anima viva fino a marzo, mentre Stef sarebbe andato in giro a sviscerare il problema coi giornalisti di tutto il mondo, e saremmo stati tutti più contenti. D’altronde, Stef adora le chiacchiere in libertà, non sarebbe stato un dramma per lui.
E invece no. Steve ha ritenuto opportuno trattarmi come l’adulto che ogni tanto dimentico di essere, dimenticando a propria volta di stare mettendomi nella condizione perfetta per provare a comportarmi come un bambino. E, non pago, ha frustrato la mia naturale spinta verso l’infantilismo con la presenza di Stef in quella stanza.
Un piano diabolico e perfetto, non c’è che dire.
È esattamente questo, quello che sto pensando adesso. Di fronte a un piatto di spaghetti alle vongole. Mentre la mia compagna distribuisce il condimento residuo dal pentolino ai piatti e incassa con un sorriso schivo e imbarazzato i complimenti di sua moglie. E sua figlia tenta con non troppo successo di imboccare mio figlio con mini-porzioni della banana schiacciata che ha nel piattino, sul seggiolone. E il mio batterista mi guarda, dall’altro lato del tavolo. E io so che dovrei cambiare terminologia. Smettere di pensare a Steve in questi termini – come “il mio batterista”, intendo.
…ma sono undici fottuti anni, cazzo. È impensabile che io perda l’abitudine in una settimana.
*
Quella della cena, ovviamente, è stata un’idea di Helena. Lei dice che ho bisogno di un confronto. E questa probabilmente è la verità, ma non è il punto.
Il punto è il seguente.
È che dopo undici anni non ho più un batterista e non ho alcuna voglia di cercarmene un altro.
È che Steve mi ha detto di non voler più far parte dei Placebo, e l’ha fatto sorridendo.
È che, dopo che l’ha fatto, io ho fissato il vuoto per minuti interi, cercando di capire cosa fare della mia vita da adesso in poi, e dopo ho dovuto ricordare di essere Brian Molko e correre a rilasciare dichiarazioni idiote che solo a rileggerle mi danno la nausea.
È che non tutto ciò che ho detto alla stampa è completamente falso.
È che, al di là delle belle parole, di tutti i bei fiocchetti con i quali decoro il pacco enorme che sto lanciando sul mondo, mi sento davvero come alla fine di un matrimonio, con niente in mano se non un monte di debiti con me stesso e coi fan e un mucchietto di macerie sbriciolate dalle quali dovrò ricominciare in primavera.
È che non ho mentito, ho solo omesso particolari.
È che quei particolari, incidentalmente, erano le parti importanti.
Il punto è che forse io ho “bisogno” di un confronto, ma di sicuro non voglio affrontarlo.
Il punto è che, nonostante tutto, niente di ciò che sto pensando servirebbe a scuotere quel sorriso incrollabile dal volto di Steve.
Che io lo trovo crudele.
Che non lo è davvero.
E che non mi interessa.
*
La cena si conclude tra una chiacchiera e l’altra.
Parlano tutti tranne me.
Helena chiede cose a Rita, Emily continua imperterrita a giocare con Cody mentre Steve lo tiene in braccio e cerca di fargli maneggiare due sonaglini a ritmo di qualcosa che non riesco a riconoscere.
Guardo tutto come non fossi qui, in questo momento, e credo sia una bella scena. Un quadretto amichevole, quasi familiare.
- Emily, a Cody hanno regalato una bellissima tastiera karaoke, per il suo compleanno… ti va di darle un’occhiata? – chiede Helena sorridendo, alzandosi dal divano sul quale stava chiacchierando con la moglie di Steve.
La bambina batte entusiasticamente le mani e prende goffamente in braccio mio figlio, arrancando verso la cameretta fra le risate tenere delle due donne.
Quando anche Rita abbandona i cuscini e guarda Helena, capisco che il momento si sta avvicinando.
- Andiamo a preparare il caffè? – chiede la mia compagna, fintamente distratta.
Rita annuisce e la segue in cucina.
Steve resta seduto nella sua poltrona, io resto seduto nella mia.
Lui sa che, se potessi, scatterei in piedi e correrei da Stef. Perché adesso avrei bisogno di lui. Adesso, che anche se scoppiassi a piangere o mi mettessi a urlare e tirargli addosso piatti, saprei di non avere nessuna scusante per farlo. Dopo una settimana, dopo tanti saluti e rassicurazioni al telefono, “continueremo a frequentarci, potremo ancora parlare di musica, non sono mica morto, Brian!”, adesso non avrei più nessuna scusa, nessuna bugia con cui mascherare la vergogna e l’imbarazzo e la paura.
Siamo io e Steve, l’uno davanti all’altro.
Sono io con la mia stupida nostalgia in anticipo.
È lui con la sua fottuta serenità, in anticipo anche lei.
Sentimenti come questi non dovrebbero venir fuori dopo anni dalla separazione…?
…in quei momenti in cui dici “sì, quello che c’era mi manca, ma ormai sto bene”…
Siamo troppo avanti rispetto ai tempi naturali delle cose, Steve… è per questo che ci sto male.
- Tu mi odi.
Sollevo lo sguardo.
Per meglio dire, non l’ho mai abbassato. Fissavo Steve, ma non lo stavo davvero guardando. Perciò si può dire che più che altro metto a fuoco la sua immagine e ritorno al mondo dei vivi.
- Stronzate. – dico d’impulso, sentendo un’ondata di calore sopraffarmi dai polmoni fino al collo.
Ho bisogno di una sigaretta.
Allungo una mano troppo incerta verso il tavolino accanto alla poltrona e sbatto un paio di volte contro la base del lume prima di raggiungere il pacchetto e catturarlo fra le dita.
Porto una sigaretta alle labbra e cerco l’accendino, ma non lo trovo. È rimasto sul tavolino. Faccio per prenderlo, ma da bravo gentiluomo Steve mi tira il suo. Io lo ricevo in pieno petto, lascio che rimbalzi e rotoli tranquillo fino al mio grembo e poi lo prendo e lo uso.
Steve ridacchia, e io glielo tiro nuovamente addosso. Fa esattamente lo stesso percorso al rovescio, solo che l’affarino, invece di fermarglisi in grembo come dovrebbe – come avrebbe fatto, qualche settimana fa – gli si blocca sulla pancia.
Ridacchio anche io.
- Hai già messo su la pancetta. – noto, con una punta di crudeltà, trattenendo il fiato perché lui non noti la mia.
- Rita mi ha rimpinzato! – dice lui orgoglioso, passandosi una mano sul ventre, - Intendo tenermela fino a quando non sarà necessario farla sparire, giuro!
Mi mordo le labbra.
Quando accadrà, non sarà Alex ad andarlo a recuperare e chiuderlo in palestra per settimane. Non saremo io e Stef a prenderlo in giro perché “è diventato perfettamente sferico!”. E lui non mi dirà più di badare ai fatti miei perché “non è che io sia messo meglio!”. E non guarderà Stef in cerca di approvazione, e lui non guarderà entrambi dicendo che siamo due botoli, scuotendo il capo con aria affranta. E poi non gli salteremo addosso con intenti omicidi, e non passeremo ore a litigare e tirarci calci e pugni a vicenda, e Alex alla fine non verrà a riacciuffarci per i capelli fissandoci inorridita e dandoci dei mocciosi. E io non replicherò più che “almeno abbiamo sudato”. E lei non risponderà che se ci manda in palestra è per evitare di doverci far picchiare pur di dimagrire.
E tutti questi “non più” mi fanno schifo.
- Non mi odi, allora? – riprende lui, dopo aver riposto l’accendino in tasca.
Roteo gli occhi e sbuffo.
- Da dove salta fuori questa storia? – chiedo infastidito.
- Da Stef. – ridacchia lui.
Lo fisso, sconvolto.
- Stef ti ha detto che-
- Ma no! – ride, stringendosi nelle spalle, - Dai, non ti sembra assurdo anche solo pensarlo?
In effetti, sì.
Solo che mi sto augurando che il mio comportamento degli ultimi giorni non abbia preoccupato Stef al punto da fargli ipotizzare una cosa simile. E che la preoccupazione non sia diventata così enorme da obbligare Steve a prenderne atto e fare qualcosa.
- Sei stato in giro, ultimamente?
Ecco, appunto.
- Non tanto. – dico, scrollando le spalle e guardando altrove, - Sono stanco.
- Neanche fuori a cena? Con Helena e Cody?
- Preferiamo le cene casalinghe.
Balle.
Helena adora il kebab ma non lo sa cucinare, e non so da quanto mi implora di portarla a mangiarlo da qualche parte.
“Il bambino…”, dico io.
So che è una scusa molto blanda, per “il bambino” basterebbe portare un omogeneizzato. Ma la fa sentire abbastanza in colpa da farla desistere.
Mi dispiace farle questo, davvero.
Mi dispiace sempre privare qualcun altro della libertà di fare qualcosa che ama.
Ma io non potrei avere la libertà di evitare qualcosa che invece non amo affatto…?
- Hai parlato con Stef? – continua lui.
Sono irritato, mi sembra di stare a colloquio con uno psicoterapeuta.
Mi è successo, in passato. Dopo la “pausa per vedere come va” si ritorna per un’altra seduta e lo psicologo ti chiede “hai fatto questo, hai fatto quest’altro, la tal cosa è andata in tal maniera oppure no”, e tu devi stare lì a rispondere “sì” e “no” evitando accuratamente i “forse” perché sono sintomo di confusione, e vorresti solo trovarti da qualche altra parte a dormire.
Che è esattamente quello che sta succedendo adesso.
- Cosa dovrei dirgli, scusa? – cerco di ridere, un po’ impacciato.
- Non so… visto che con me non parli, magari con lui-
- Ti ho chiamato tutti i giorni! – protesto imbarazzato.
- Già. – annuisce lui, incrociando le mani sullo stomaco, - Però non mi hai detto niente.
- Ma scusa… - borbotto, passandomi una mano sugli occhi, - Ti ho chiesto come stessero andando le vacanze, se qualcuno ti avesse già fatto qualche proposta, come stesse Emi, se fossi ancora stanco… cos’altro avrei dovuto dirti?
- Come stai tu, magari.
La sua sicurezza, l’ovvietà con la quale dice ciò che pensa, è disarmante.
Lui è venuto qui con la precisa intenzione di chiarire.
Di risolvere.
È terribile, mi sento schiacciato contro un muro…
- Perché i miei sentimenti dovrebbero essere argomento di discussione, scusa? – chiedo, sulla difensiva, - E poi, fammi capire, stai dando per scontato che io stia male?
Steve sorride appena, affondando nella poltrona.
- No, Brian. Figurati. – dice a mezza voce.
È davvero terribile che possa dire una cosa simile con tanta tranquillità.
…no, se ci penso è molto più terribile che abbia l’occasione di farlo. Tranquillità o meno.
- Sai perché l’ho fatto. – riprende, dopo qualche minuto di silenzio.
Faccio una smorfia e fisso la lampada.
- Quella che hai detto è una stupida scusa.
- No che non è una stupida scusa. – motiva pazientemente, continuando a fissarmi. Sento il suo sguardo addosso. – Non è più la mia cosa, questa. Non me la sento più di suonare per i Placebo. I ritmi sono troppo pressanti, e lo è anche l’attesa dei fan. Preferisco volare più basso. E, per dire la verità, per un po’ preferisco non volare affatto.
Incrocio le braccia sul petto, non sono né più né meno che un ragazzino testardo, né più né meno di un illuso che rifiuta di ammettere che è cambiato qualcosa.
- Non mi interessa quante altre volte ancora dovrò dirtelo, Brian. – puntualizza sicuro, - Continuerò a ripetertelo fino a quando non ti sarai abituato al pensiero.
- Non dovrebbe fregartene niente. – sputo fuori velenoso, facendomi scudo dietro l’astio, dal momento che la paura non basta più, - Se è questa la tua scelta, che io la comprenda o meno non dovrebbe fermarti.
- E invece è ovvio che mi frena, Bri. – asserisce lui. Odio questa freddezza nei suoi occhi. Perché non è davvero freddezza, è solo determinazione. Solo che non mi piace il significato che ha, perciò mi piace mascherarla da indifferenza, anche se non lo è affatto. – Mi frena perché ti voglio bene.
Affondo le unghia nel braccio.
Non fa male, sono corte.
Non dà nemmeno un po’ fastidio.
Mi torturo il labbro inferiore con gli incisivi, e questo già fa più male, soprattutto se insisto dove la pelle è più sottile e sensibile.
- Che stronzata. – sto vomitando rancore – A me non importerebbe. – sto vomitando bugie – Dovresti smetterla di farti problemi per cose simili. – sto vomitando una preghiera, Steve. Riporta tutto indietro e dimmi che non è cambiato niente.
Sorride, il mio batterista, e si alza dalla propria poltrona per venirmi incontro. Sono appena due passi, ma lo vedo avvicinarsi come se fosse stato lontano chilometri. Si china davanti a me, molleggiando sulle gambe piegate e ancorandosi con le mani ai braccioli della mia poltrona per non sbilanciarsi e cadere.
- Dovresti stare attento a dire meno stronzate tu, quando dai della stronzata a una cosa detta da altri. – fa presente, strizzando lievemente gli occhi.
Lo guardo.
Non posso assolutamente sconfiggerlo.
Non posso farlo passare per il cattivo di turno, per il traditore o per il disonesto.
Non posso far passare nemmeno me stesso per nulla di tutto questo.
Le cose vanno avanti. Si modificano. Mutano. Cambiano forma.
…puoi implorarle di restare uguali, ma loro non ascoltano…
Puoi aggrapparti a una speranza e cambiare con loro, pregando con tutte le tue forze che non si riveli un cambiamento vano.
O puoi rassegnarti e lasciarle andare.
Steve si solleva, qualche centimetro appena. Si sporge in avanti e mi poggia una mano sulla nuca. Mi attira a sé, e non faccio in tempo a pensare che a guardarci dobbiamo sembrare proprio ridicoli, che lui mi sta abbracciando stretto come facevamo nelle foto, quando fare cose simili stimolava la stampa a spiaccicare i nostri visi su ogni pagina di rotocalco utile.
Non sono mai stati falsi, i suoi abbracci. Neanche quelli pubblici.
Questo, poi, è così vero che fa quasi male.
Di sicuro toglie il fiato.
- Passerà. – sussurra, - Starai meglio. Andrai avanti.
Frasi di circostanza, Steve.
Cose che dici quando stai male anche tu ed è esattamente quello che vorresti sentirti dire.
Io non te lo dirò.
Perché non ci credo ancora – anche se so che hai ragione.
…per il momento, posso accettare che sia tu a pensarlo e affermarlo per entrambi.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian. Be', sì XD
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Una notte, Matthew si sveglia d'improvviso e chiede al suo uomo se pensa che sia gay o bisessuale. E questo è solo l'INIZIO del disastro.
Commento dell'autrice: Avete assistito alle nuove quasi-dieci pagine di follia made by liz ^___^ (come se ne sentiste il bisogno…).
Anyway, è tutto vero >O< Matthew è gay. Non può essere altrimenti!
Nah, si scherza :D
Grazie alla Nai per il betaggio >.<
Dedicata con affetto enorme a Bea, che illuminandomi sulla palese gayezza (o era gaytudine?) di Supermassive Black Hole mi ha aperto un nuovo mondo çoç E all’Ele, perché… siamo in sintonia in questo senso <3
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ASK FOR ANSWERS
ovvero
Capra E Cavoli

Quando aprì gli occhi, si spaventò.
- Matt! – strillò agitato, scattando a sedere sul letto, - Che diavolo hai?
Matthew Bellamy, il suo uomo, stava fissando la parete di fronte al letto con sguardo vacuo e labbra dischiuse. Come ipnotizzato. O come fosse totalmente pazzo.
Cosa che in effetti era. Dannazione!
- Matthew! – chiamò ancora, sempre più sconvolto, - Matt, ti dai una svegliata e mi dici cosa c’è?
Lui si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo, ruotando appena il capo sul collo – e fu una visione talmente inquietante che Brian a un certo punto pensò che l’avrebbe visto fare come la bambina protagonista dell’Esorcista, e che si sarebbe trovato a fissare negli occhi un Matt con la testa avvitata sul collo come una lampadina. Ma la testa di Matt non ruotò così tanto, e quindi Brian si ritrovò a fissare solo un enorme paio d’occhioni cucciolosi celesti che imploravano aiuto dal fondo della confusione mentale in cui erano intrappolati.
“Avrà fatto un brutto sogno”, si disse, sorridendo teneramente e cingendolo con un braccio intorno alle spalle per abbracciarlo.
Ma Matthew Bellamy non poteva certo lasciarsi consolare senza approfondire l’argomento, no.
Lui doveva esprimersi.
- Brian… - disse, col tono infantile e dispiaciuto di chi sa che sta per fare una domanda sciocca, ma non per questo si fermerà, - secondo te io cosa sono?
Brian lo guardò, inarcando le sopracciglia.
- Pensavo un “essere umano”, ma ormai comincio ad avere dei dubbi.
- …
- Sicuramente nella tua linea genealogica ci sono delle capre. Ed evidentemente, per i principi mendeliani, tu presenti i caratteri recessivi di questa tua discendenza.
Matthew lo fissò, attonito e perplesso, per molti secondi.
Poi scosse il capo.
- Sì, ok. – disse condiscendente, annuendo convinto, - Ma io dicevo… secondo te, no?... cioè, visto che hai anche più esperienza di me a riguardo… insomma, io sono gay o bisessuale?
Anche Brian lo fissò, cercando di capire se fosse serio e arrendendosi al fatto che, come sempre, quando si trattava di idiozie colossali, lo era.
- Capra. – concluse tranquillamente, con un lieve sbuffo di disapprovazione.
Quello fu abbastanza perché Matt cominciasse ad agitarsi sul posto, cercando di svoltolarsi dalle lenzuola per protestare con più veemenza contro il suo uomo insensibile.
- Perché mi dai della capra?! – strillò l’inglese quando riuscì nell’impresa, - Io ti ho fatto una domanda seria!
Brian sospirò, tornando a distendersi sul cuscino e sistemandosi le lenzuola sul petto.
- Matt, perché dev’essere un problema? – chiese, per poi passare a spiegare pazientemente la sua teoria, - Quando ti fai domande simili, risponditi che lasci che la tua sessualità fluisca liberamente dove vuole. Questione risolta.
- …perché questa frase non mi è nuova? – domandò Matt, guardandolo di sbieco e gonfiando le guance come uno scoiattolo.
- Perché è quella che si rifila ai giornalisti impiccioni. – rispose Brian con naturalezza, osservando le unghie ancora perfettamente laccate di nero.
Matthew lo guardò per qualche secondo, prendendosi il tempo necessario per realizzare.
- Bri. – lo richiamò poi a bassa voce, - Mi stai liquidando senza darmi retta?
Brian sorrise appena, guardandolo furbescamente di rimando.
- Adesso è la tua parte umana a parlare… - commentò soddisfatto, rivoltandosi sul materasso e prendendo a far dondolare le gambe sotto le lenzuola.
Matthew incrociò con disappunto le braccia sul petto.
- Ok. – borbottò deluso, - Ho capito. Se mi aspetto una soluzione da te, posso aspettare anche in eterno!
- Come sarebbe a dire “una soluzione”?! – si lamentò Brian, lasciandosi andare sul cuscino con un movimento stanco, - Ti aspetti davvero che sia io a definire la tua sessualità?
- Be’! – disse Matt, allargando le braccia, - Scusa se ti ho preso per un uomo sensibile che avrebbe potuto aiutarmi!
Brian si limitò a sospirare pesantemente, chiudendo gli occhi e ripetendosi di star calmo e dormire, ché quella follia prima o poi sarebbe passata come in passato erano volate vie le allucinanti tinture per capelli e le camice a righe bianche e gialle con il panciotto.
- Chiederò a Dom. – mormorò appena Matt, accomodandosi disteso al suo fianco e spegnendo il lume sul comodino per tornare a dormire, - Lui di sicuro saprà darmi una mano.
*
- Tu sei pazzo. – disse semplicemente Dominic, guardandolo con occhi vuoti.
- Non dire così! – si lamentò Matthew, stringendo i pugni come un bambino deluso, - Ti ho solo chiesto se pensi che io sia gay o bisessuale!
- Non è questo!!! – strillò Dominic, allargando le braccia in un gesto esasperato, - Per quanto sia già assurdo essere presi alla sprovvista con una domanda simile alle otto e mezzo del mattino, Matthew, è il discorso che hai fatto prima che mi ha sconvolto!
- Uh? – uggiolò Matt, come cadendo dalle nuvole, - Non capisco. A cosa ti riferisci? Al fatto che ho detto “tu che sei gay…”?
- ESATTO, Bellamy!!! Io non sono gay!
Chris scelse quell’esatto momento per apparire dal corridoio e sgranare gli occhi, avvicinandosi ai due litiganti.
- Che diavolo sta succedendo? – chiese curioso, incrociando le braccia sul petto, - Non mi pare che generalmente tu abbia bisogno di fare dichiarazioni simili così presto al mattino… - commentò, ridacchiando lievemente in direzione di Dom e poi restando in ascolto.
- Matthew è un idiota! – rispose semplicemente Dominic, cercando di fuggire attraverso la porta mentre Matt lo arpionava per un braccio, tenendolo fermo.
- Chris! Dom non mi capisce!
- E cos’è che non capisce?
- Sono venuto qui, disperato, mettendo il mio cuore nelle sue mani e chiedendogli se pensava che fossi gay o bisessuale e lui-
- A-Aspetta un attimo, Matt… - lo interruppe il bassista, aggrottando le sopracciglia, - cos’è che ti fa pensare che Dom possa avere la risposta per una domanda simile?
- Perché lui è gay! – asserì il cantante con estrema decisione, mentre Dom esplodeva in un potentissimo grido esasperato e Chris scuoteva il capo.
- Matt… - cercò di spiegare, liberando Dom dalla stretta, - Dominic non è gay. Non lo è mai stato.
- BALLE! – strillò Matt, riafferrando Dom per la collottola e scuotendolo energicamente, - Lui è stato assieme a Roger Teabing, al liceo! Non è che lo guardava da lontano e ci fantasticava, no! Lui c’è stato! A scuola lo sapevano tutti!
Chris sospirò, mentre Dom urlava ancora.
- Dominic, calmati. – disse il bassista, tappandogli la bocca, per poi tornare a rivolgersi al cantante, - Matthew, anche a te piaceva Roger Teabing. Perdio, a tutti piaceva Roger Teabing! E lui era una puttana, s’è ripassato tipo mezza scuola, e-
- Non ha mai ripassato me!!! – gridò Matthew, mollando all’improvviso Dominic per portare le mani ai capelli in un gesto disperato.
- …okay. Sorvolerò su quest’ultima cosa che hai detto. Il punto è, Matthew, che da quel momento Dom non è mai stato con nessun maschio, e che, per quanto ne so, relega Roger Teabing nella “parte dell’adolescenza di cui preferirebbe non parlare mai più”. È così, Dom?
Dom annuì con decisione, così velocemente che Chris temette per il suo collo.
- Quindi. – continuò il bassista, cercando di risolvere la situazione, - Il problema sarebbe…?
- Il problema è – inizio Matt, infervorandosi, - che ho bisogno di sapere se avete notato qualcosa… qualcosa di strano! Nei miei comportamenti, nei miei modi di fare… qualcosa che possa aiutarmi a stabilire se sono gay o no!
Dom strillò ancora una volta – evidentemente il fatto che Matt avesse riportato a galla una parte oscura e tranquillamente dimenticabile del suo passato aveva bruciato tutti i neuroni che gli erano rimasti.
Chris si limitò a guardare il proprio cantante con aria interrogativa, per poi esplodere in un ennesimo sospiro e scuotere il capo.
- Matthew. – disse dolcemente, con pazienza, - Ti scopi Brian Molko. Cioè… Brian Molko. Mi pare evidente che la tua sessualità è quantomeno… disordinata. Ma al di là di questo, che differenza vuoi che faccia? È… Brian Molko! Non puoi mica angosciarti perché non sai se ti piace scopare con gli uomini o con le donne o con entrambi… Molko è entrambi!
- Tu non capisci! – continuò Matt, intenzionato a non arrendersi, - Per me è importante! Ho bisogno di definirmi come persona! Ho bisogno di saperlo! E per inciso, Brian non è entrambi, Chris!
Il bassista si limitò a scrollare le spalle mormorando “be’, se lo dici tu…” e dirigendosi con aria neutra verso un divano, sul quale si abbandonò, prendendo a sfogliare distrattamente una rivista.
Dominic, frattanto, era tornato in sé.
- Senti, Matt. – disse, più per chiudere definitivamente l’argomento e rimandare Teabing negli abissi della memoria dal quale era stato riesumato, che per desiderio effettivo di aiutare il proprio migliore amico, - L’unico modo per uscire da questa situazione è rapportarti con gli altri. Guarda le persone! Frequentale! Insomma, Dio mio, sei passato da Gaia a Brian senza neanche prenderti un attimo di pausa! Devi volare di fiore in fiore, vedere che effetto ti fanno anche le… le margherite, e le… le violette! Mica solo… chessò, rose e gelsomini!!!
E questo fece accendere qualcosa negli occhi di Matthew.
Un qualcosa talmente inquietante che Dom si pentì subito di aver parlato.
- Matt… - cercò di chiamarlo, ma era già troppo tardi. Matthew si stava dirigendo a passo spedito e deciso verso l’ufficio di Tom
Ufficio nel quale irruppe gioiosamente, strillando “Tom! Credo di essere gay! Indiciamo una conferenza stampa!”, con l’unico risultato che il manager cadde dalla sedia e rischiò seriamente di spaccarsi l’osso del collo.
Presagendo la catastrofe, Dominic si introdusse a sua volta nella stanza, guardandosi intorno con occhi spaventati alla ricerca di Tom, che nel frattempo stava faticando per riemergere dal pavimento sul quale si era abbattuto.
- Cos’è che ha detto…? – furono le prime parole del povero Tom, quando riuscì a risollevarsi e riprendersi almeno un po’.
- Ah! Non chiedermelo! – si lamentò Dominic, agitando le mani, - È da quando è arrivato che dice idiozie e cerca di far decidere agli altri se è gay o no! Scommetto che è stato Molko a ficcargli qualche strana idea in testa…
- Va bene. Okay. – disse Tom, massaggiandosi le tempie e riportando l’attenzione su Matthew, che aspettava trepidante una sua risposta, - Matt, di che diavolo blateri?! Una conferenza stampa? Per dire cosa?!
- Dom mi ha convinto che-
- Dom non ti ha convinto di niente! – lo interruppe il batterista, arrossendo d’improvviso al ricordo delle idiozie che gli aveva detto per tranquillizzarlo.
- Sia come sia! – sbuffò Matthew, contrariato, - Adesso so come posso stabilire se sono gay o no!
- E come? – chiese Tom, per pura formalità, dal momento che già sapeva che risposta avrebbe dato Matt.
E infatti lui non lo deluse.
- Devo chiederlo a più persone possibile! Anzi, devo chiederlo a più giornalisti possibili! Loro sono abituati ad osservare, a prendere appunti, a ricordare le cose! Di sicuro sapranno darmi una risposta!
- Certo, Matt… - lo blandì Tom, condiscendente, - Ma vedi, questa cosa si chiama suicidio mediatico. Vuol dire che vai lì e consapevolmente prendi il tuo povero corpo e lo lanci ai lupi affamati, incitandoli a divorarti. Capisci cosa voglio dire?
- …no. Voglio solo parlare con i giornalisti! Che sarà mai?
- Che sarà mai?! – gridò Tom, evidentemente giunto al limite della propria capacità di sopportazione, - Capisco che tu possa esserti confuso con la metafora dei lupi famelici, ma la parola “suicidio” avrebbe dovuto metterti in guardia, no?!
Matthew si adirò, ed era lì lì per ribattere che non aveva alcuna intenzione di suicidarsi ma solo di parlare, e che se Tom non capiva le diverse sfumature di significato delle due parole era palesemente un cretino, quando Alex Weston apparve sulla soglia della porta, splendido sorriso predatore sul volto e criniera ricciuta come sempre sciolta sulle spalle, avanzando sicura di sé come una pantera in battuta di caccia.
- Allora! – esordì con una mezza risata, - Questa storia di Matthew che indaga sulla propria identità sessuale è vera o è una chiacchiera da assistenti repressi?
- Ossignore! – esclamò Tom, sconvolto, - Matt! Ma a quante persone l’hai detto?!
- Be’… - si giustificò lui a mezza voce, - Quando sono arrivato non riuscivo a trovare Dom… e così ho chiesto un po’ in giro…
- Mi auguro che in giro tu abbia chiesto dov’era Dominic!!!
- No. – rispose innocentemente Matthew, - Ho chiesto a chi incontravo se loro pensavano che fossi gay o no.
- Oh, tesoro! – esclamò Alex, stringendolo fra le braccia ed avvolgendolo in una nuvola di Chanel, - Sei così carino! Per curiosità, - aggiunse poi, con una risatina maligna, - i risultati del sondaggio quali sono stati…?
- Ho scoperto che tante persone credono che io sia stupido! – rispose Matt, agitandosi, - Il che è assurdo!
- Povero caro… - continuò Alex, sghignazzando tanto che non riusciva più neanche a darsi una parvenza di serietà, - Questo non c’entra niente con la tua sessualità!
- È quello che dico anche io! Se io vengo da te e ti chiedo “credi che io sia gay o bisessuale?”, tu non puoi rispondermi “secondo me sei stupido”! Cosa c’entra?!
- Quanto hai ragione, amore! – rise Alex, stringendolo di più perché non notasse la palese ombra di derisione che le oscurava lo sguardo, - Il mondo è cattivo con te!
- Anche Brian lo è stato! – proseguì Matt, contento di aver trovato finalmente qualcuno in grado di capirlo, - Quando l’ho chiesto a lui mi ha dato della capra!
- Non capisco come sia possibile! – sbuffò Alex, lasciandolo finalmente andare e mettendo le mani sui fianchi, - E come intendiamo risolvere questa spiacevole situazione?
- Io vorrei indire una conferenza stampa! – disse Matt con convinzione, - Ma Tom non vuole lasciarmelo fare!
La stessa luce che si era accesa poco prima negli occhi di Matt si accese anche in quelli di Alex. Ma nelle sue iridi verdastre assunse una sfumatura semplicemente demoniaca, una di quelle sfumature che volevano dire “ho trovato un nuovo modo osceno per far soldi”, e che mettevano sempre in agitazione il povero Tom.
- Una conferenza stampa…? – ripeté la donna come stesse recitando un incantesimo, - Be’, io non ci vedo niente di male.
- Ecco! Sapevo che sarebbe successo! – disse Tom, portando le mani ai capelli e cominciando a sudare, - L’idiota e il diavolo! Un dramma!
- Oh, Tom! Non farla così grave! – disse Alex, ragionevole, aiutandolo a sedersi e sistemandosi poi di fronte a lui, senza dimenticare di appoggiarsi sulla scrivania, per guardarlo dall’alto e non perdere il dominio della situazione, - Prova a pensarci: tutti i suoi problemi relazionali sarebbero risolti! Avreste un leader finalmente sereno, rilassato, felice… insomma, normale! E poi è notorio che fare outing aiuta… pensa a Brian!
Brian passò davanti alla porta dell’ufficio – ancora aperta – proprio in quel momento. Aveva gli occhi persi in una quantità infinita di scartoffie – i fogli che teneva fra le mani erano così tanti che davano l’impressione di dover cadere a terra da un momento all’altro – e un paio di cuffiette affondate in profondità nelle orecchie, e camminava velocemente, con incedere quasi isterico, borbottando a mezza voce frasi incomprensibili, intervallate con convinti “sì” o delusi “no”.
- …normale, dicevi…? – esalò Tom, sconvolto, mentre Alex ridacchiava imbarazzata.
- Secondo me siete tutti pazzi. – concluse Dominic, imboccando la porta per fuggire da quella situazione, - So già come finirà questa storia, e so già di non volerci avere niente a che fare.
*
Puntualmente, due ore dopo, la sala conferenze era gremita di giornalisti affamati di notizie, e Tom e i Muse – sudati e imbarazzati come mai, ad eccezione di Matt, che sembrava in agitazione solo perché la discussione che stava per avere luogo avrebbe, a sua detta, “cambiato la sua vita” – stavano seduti al tavolo, aggiustando nervosamente giacche e cravatte e sbottonando colletti quando eccessivamente stretti, mentre Alex, Stef e Steve monitoravano la situazione dal fondo della stanza e cercavano di riportare un Brian, ancora impegnato in chissà cosa, alla realtà.
- Io vorrei solo capire… - borbottò Dom, guardandosi intorno con fare isterico, - perché anche noi?! È lui l’omosessuale!
- Sta’ un po’ zitto, Dom! – lo rimproverò Tom, - E poi è sempre meglio essere uniti e compatti di fronte alle disgrazie. Sarà più facile salvare Matt e i Muse dal disastro, se staremo insieme!
Inutile dire che l’arringa non convinse affatto il batterista, che incrociò le braccia sul petto e guardò altrove, concentrandosi fortemente sul pensiero “in realtà non sono qui, sono alle Hawaii e una bella isolana sta ballando per me vestita solo di gusci di cocco”.
In quel momento, Matthew decise che aveva aspettato abbastanza e che era il momento di risolvere la questione. Prese il microfono fra le mani, si schiarì la voce, aspettò imbarazzato che il microfono smettesse di fischiare per protesta e infine parlò.
- Secondo voi… - chiese esitante, guardandosi intorno, - io sono gay?
Il momento di silenzio che seguì fu il più carico di aspettativa della storia di tutti i silenzi.
Ma non ebbe una conclusione soddisfacente.
I giornalisti, infatti, invece di rispondere alla domanda, letteralmente assaltarono i propri taccuini, prendendo a scrivere come forsennati e implorando i colleghi perché facessero riascoltare loro la registrazione, per descrivere ogni sfumatura della voce di Matthew Bellamy che confessava al mondo la propria omosessualità.
- No, no! – disse Matt, comprendendo che la piega che la situazione stava prendendo non era quella che lui si sarebbe aspettato, - Non stavo dicendo di essere gay! Avete capito male!
Tutti i giornalisti si fermarono d’improvviso, le penne a mezz’aria e qualche ghirigoro scarabocchiato sui fogli a quadretti.
- Stavo chiedendo a voi se pensate che io sia gay! – precisò con foga, alzandosi dalla propria seggiola e andando a sedersi in punta sulla pedana, i piedi dondolanti nel vuoto, molto più vicino ai giornalisti di quanto non fosse prima e ben deciso a dare il via a un serio dibattito sull’argomento.
E mentre Tom organizzava le guardie del corpo perché fossero pronte a recuperare il frontman prima che venisse mangiato vivo, successe l’impensabile.
Ovvero, i giornalisti cominciarono effettivamente a discutere.
Ipotizzavano.
Facevano esempi.
Riportavano alla luce fatti e capi di vestiario dei quali neanche lui ricordava più l’esistenza.
In un marasma concitato di voci diverse e contrastanti all’interno del quale non si capiva niente.
E Matt… Matt sembrava perfettamente a suo agio. Ascoltava tutto. Annuiva, ANNUIVA, di tanto in tanto. Spiegava, forniva giustificazioni, commentava, negava e asseriva.
- In effetti, quando siete usciti con la demo lei aveva un maglioncino rosa, signor Bellamy…
- Be’, sì, in effetti è vero…
- E in uno degli ultimi servizi fotografici che avete fatto, signor Bellamy, lei ha nuovamente indossato una maglietta rosa…
- Dite che il rosa può essere un indizio?
- Certo, signor Bellamy!
- E poi c’è il suo famoso falsetto…
- Ma il falsetto c’entra con l’omosessualità?
- Ma è ovvio, signor Bellamy! Per non parlare di certi completini che indossa…
- Ma siamo tornati ai vestiti?
- I vestiti sono spesso la più evidente prova di omosessualità, signor Bellamy!
Questo sembrò convincerlo più di tutto il resto.
Annuì vigorosamente, lasciando dondolare ancora un po’ le gambe giù dalla pedana.
- C’è anche il cappellino coi brillantini… - disse lui stesso, - In effetti sembrava strano anche a me…
- Ma allora, signor Bellamy… - azzardò un giornalista, pronto a scrivere qualora ce ne fosse stato bisogno, - lei è omosessuale?
E lì sarebbe successo il disastro.
Perché Matt avrebbe senza dubbio alcuno risposto “sì”. Se Dominic non avesse creduto opportuno darsi una manata sulla faccia, riscuotersi dallo sconvolgimento in cui quella situazione l’aveva gettato, afferrare due gorilla e correre in soccorso del proprio frontman, prelevandolo da dove si trovava prima che potesse dire qualcosa in grado di far esplodere una bomba dalla potenza tale che avrebbe distrutto tutta la loro vita per sempre.
- Lo spettacolo è finito. – annunciò teatralmente Tom, afferrando anche Chris per la collottola e fuggendo al piano di sopra, - Arrivederci e grazie.
Ben presto, fra lo sghignazzare convulso dei giornalisti che prendevano a chiamare in direzione per dire di avere “il silenzio-assenso del secolo”, la sala rimase praticamente vuota, e davanti alla porta restarono solo un’Alex con le braccia incrociate sul petto, perfettamente sorridente e soddisfatta, uno Stefan e uno Steve palesemente sconvolti che cercavano ancora di capire cosa diavolo stesse succedendo, ed un Brian che non sapeva più dove posare i fogli di carta e continuava a borbottare frasi senza senso mugugnando come un pazzo.
- Bri… - lo chiamò Stef, picchiettandogli con un dito sulla spalla, - che cosa sta combinando il tuo uomo…?
Brian non gli diede retta, scrollando le spalle e continuando a segnare appunti su appunti, cerchiando in rosso alcune parole sul testo che aveva davanti.
Il bassista lanciò uno sguardo a Steve, il quale si limitò a scuotere il capo e allargare le braccia in segno di resa.
- Stef! – chiamò all’improvviso il cantante, alzandosi in piedi e sventolandogli un foglio sotto al naso, - Secondo te l’espressione “spiral static” è equivocabile?
Stefan guardò Alex e vide che ridacchiava gioiosa.
Guardò Steve e capì che non poteva pretendere che riflettesse su una cosa simile.
Guardò Brian e lo vide in fiduciosa attesa di una risposta.
Perciò sospirò. E rispose.
- Brian, non ho idea di cosa tu stia dicendo.
Il cantante, per tutta risposta, arruffò le penne e strillò che nessuno di loro aveva capito niente, che alla fine toccava sempre a lui perdere vite per cercare di risolvere i problemi, e, minacciando di ucciderli tutti se si azzardavano a disturbarlo prima che avesse trovato una soluzione, fuggì di corsa dalla sala riunioni, raccogliendo fogli a destra e a manca se nella fretta ne faceva scivolare qualcuno per terra.
- Frequentare Bellamy gli sta facendo prendere cattive abitudini. – commentò semplicemente Steve, battendo un paio di volte con la mano sulla spalla del bassista e invitandolo ad andare fuori a prendere una boccata d’aria, mentre lui annuiva sconsolato.
*
Brian era un uomo molto innamorato. E perciò poteva percepire esattamente quanto frustrato e deluso e confuso fosse il suo uomo quella sera, quando se lo ritrovò nel letto, braccina incrociate sul petto e adorabile broncio a increspare le labbra sottili.
Ma dal momento che Matt non aveva fatto altro che sbuffare e contorcersi nell’angoscia da quando era tornato a casa, probabilmente il fatto che Brian avesse compreso il suo stato d’animo non dipendeva esattamente dall’enorme amore che provava per lui.
Matthew si rigirò fra le lenzuola per l’ennesima volta, agitandosi al punto da far dondolare il letto, e Brian capì che quello era il momento di rendere pubblici – almeno con lui – i risultati delle ricerche estenuanti che l’avevano tenuto impegnato per tutte le ventiquattro ore di quella giornata.
- Matt. – disse seriamente, aspettando che l’uomo si voltasse e lo fissasse negli occhi, prima di continuare, - Sei gay.
Si sarebbe aspettato molte cose.
Che le sue labbra si aprissero in un sorriso sereno e soddisfatto, che lui gli saltasse addosso ringraziandolo, o che dicesse malizioso “mettiamo in pratica le tue teorie” – anche se Matt non aveva mai fatto una cosa simile, purtroppo.
Ciò che vide non assomigliava a niente di quanto aveva immaginato.
Matthew… rimase lì.
Immobile come un rospo congelato.
Gli occhioni fissi e vuoti su di lui e le labbra strette in una smorfia di puro stupore.
Brian immaginò che volesse una qualche… prova… e quindi si affrettò a fornirgliele.
- Io… - cominciò, prendendo fiato, - non sono come quegli idioti dei giornalisti! Non starò a farti l’elenco dei vestiti che hai indossato o delle volte in cui sei saltato addosso a Dominic o a Christopher mentre eravate sul palco. No! Io ho portato avanti uno studio scientifico! Mi segui, Matty?
“Matty” annuì, incapace di fare altro.
- Ho stampato tutti i vostri testi! – spiegò Brian, riempiendosi d’entusiasmo di parola in parola, - E… sai, Matty, si dice che quando si scrive si è molto più sinceri rispetto a quando si parla…
- …io non scrivo i testi delle mie canzoni…
- Che c’entra? Componi! Crei! Butti giù!
- …no. Più che altro ricordo.
Brian si prese un attimo di pausa.
La nuova consapevolezza che il proprio uomo non mettesse su carta le robe che creava nella testa, cambiava qualcosa nelle sue convinzioni?
…no.
Annuì serenamente e ricominciò a spiegare.
- Vedi, Matt, in effetti tutto è cominciato molto tempo fa. In realtà tu già hai detto al mondo di essere gay nel vostro primo album!
- …nel… nel primo…?
- Sì! – annuì Brian, convinto, tirando fuori un foglio ricoperto di segnetti rossi da sotto il cuscino, - Vedi, in Sober…
- Sober era una canzone sull’alcool!
Brian gli scoccò un’occhiata severa, fissandolo di sbieco.
- L’alcool, Matt? Solido?
…in effetti…
- Insomma, per tutto il ritornello tu non fai che parlare di questa cosa dura che brucia dentro di te… a me sembra ovvio che o parlavi di una supposta o parlavi di un-
- Non dirlo!!!
Il cantante dei Placebo si interruppe di colpo, sgranando gli occhioni. Cosa stava succedendo a Matthew? Durante la conferenza stampa sembrava così impaziente di scoprire la verità sulla propria sessualità! E adesso stava lì a fare i capricci?
- Ma quello non è l’unico indizio, Matty… - continuò Brian, picchiettando con due dita su un altro foglio tirato fuori da chissà dove, - Pensa al testo di Fillip… qualcosa di nuovo, qualcosa di strano…
- Ma-ma-!!!
- Poi è ovvio che in Citizen Erased tu fai un passo indietro e cerchi di negare tutto. – proseguì Brian, sempre più deciso, annuendo, - Quando dici che devi mentire e coprire ciò che non va condiviso con gli altri. È ovvio!
- Ma questa ovvietà…
- Ah, be’, - lo interruppe Brian, continuando a fornire prove su prove, - poi in Time Is Running Out c’è quella famosa cosa del succhiare la vita… - un’occhiata languida, un sorriso appena malizioso, - …succhiare la vita fuori da te, ma non ricordo in questo momento se l’avevo presa come una prova di omosessualità o come un riferimento sessuale e basta…
- E io che pensavo che non fosse nessuna delle due cose… - sospirò Matt, esausto, abbandonandosi contro lo schienale del letto e fissando sconvolto i decori delle lenzuola.
- Ma la prova più schiacciante, Matt, - concluse Brian, tirando fuori un ultimo foglio da… da sotto la maglia del pigiama che indossava, - è il vostro ultimo album.
- Black Holes…?
- Esatto Matt.
- And…
- Sì, Matt.
- …And Revelations…
- Proprio così, Matt. Buchi neri e rivelazioni. E Supermassive Black Hole, Matt… Matt, è una canzone palesemente gay.
- …palesemente gay…
- Be’, sì, prova a pensarci… il falsetto… e… voglio dire, le superstar che finiscono risucchiate nel…
- …
- …ecco…
- …nell’enorme buco nero. Sì, Brian.
Brian guardò il proprio uomo.
Sembrava… disorientato forse non rendeva appieno, ma era di sicuro un modo per descriverlo.
Fissava angosciato un punto vuoto nell’aria davanti a sé, e non trovava neanche la forza per sospirare un assenso o un dissenso.
- Oh, be’. – disse a mezza voce Brian, sporgendosi verso di lui per baciarlo teneramente su una guancia, - Devi metabolizzare. È normale. Buonanotte! – e così dicendo si affrettò a spegnere il lume sul comodino, arrotolarsi fra le lenzuola e addormentarsi di botto.
Matthew rimase lì, seduto a fissare il niente.
- Brian… - mormorò appena, ancora incapace di muoversi, - Brian, tesoro.
L’altro mugugnò un “ti ascolto” trasognato, e Matthew sospirò.
- La prossima volta… - sbuffò, abbandonando il capo indietro, contro il legno, - quando ti faccio una domanda, ignorami.
Genere: Comico, Introspettivo.
Pairing: In pratica nessuno, ma Brian è chiaramente pazzo di Matt XD
Rating: R
AVVISI: CrackFic, RPS, Slash.
- Se c'è una cosa di cui Brian Molko è sicuro, è che Matthew Bellamy NON PUO' essere considerato oggetto di attrazione sessuale. Ne è assolutamente certo, convinto al cento per cento, il solo pensiero lo disgusta! Eppure... che diamine, perché non riesce a staccargli gli occhi di dosso?!
Commento dell'autrice: Oddio quanto amo scrivere cose dementi *-*!!! Questa, poi, è così totalmente idiota *___*!!! Aaawh. È nata da ispirazione fulminea mentre leggevo XL. Il giornalista di turno stava intervistando la cantante dei Noisettes, questo gruppo che ha fatto da supporto a Muse e Babyshambles nell’ultimo anno, e a un certo punto le ha chiesto proprio come fosse stato trovarsi a confronto con due tipi opposti di sexy al maschile XD E nello stesso momento in cui l’ho letto ho pensato “Oddio, Brian divorerebbe la pagina” XDDDDD È stato un momento meraviglioso nella mia giornata *-* Il fangirling non ha limiti ù_ù (il mio ancora meno). Inoltre >_< avevo voglia di farla pagare a Brian per “certi avvenimenti recenti” di cui parlerò più approfonditamente nella prossima fic idiota che scriverò (probabilmente adesso XD), e già che c’ero desideravo fare in modo che Matty uscisse vittorioso dal confronto dei cervelli, una volta tanto, così, tanto per cambiare. E questo è ciò che è venuto fuori “XD Sìììì, tremate X’DDDD
Ah, comunque nella fic ci sono un po’ di cose veramente provate ù_ù A parte l’articolo (che, se vi interessa, trovato nel numero di maggio di quest’anno :O), abbiamo il denim kilt di Brian (vi prego, non commentate troppo), la mise allucinante di Matt (ma come si fa a vestirsi così? ç_ç) e il suo adorabile gel brillantinato. Questi ragazzi saranno la mia rovina XD
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CONTROL
Flavour #15. Bathing in artificial light
Song #77. Look through my eyes

Non ricordo chi l’ha detto e non ho la minima idea di dove possa aver letto una cosa simile, ma so perfettamente di averlo fatto. Il suono delle risate che non avevo potuto trattenere mi riecheggia ancora nelle orecchie, e so che se chiedessi a Stef o a Steve entrambi farebbero roteare gli occhi e sospirerebbero pesantemente, dicendo “Brian, perché non puoi lasciare perdere mai niente?”.
Be’, scusatemi. Ma quando uno legge che qualcun altro in un’intervista ha dichiarato senza vergognarsene “Matt Bellamy può attrarre per il controllo che esercita intorno a sé”, non può lasciare perdere. Ed io magari sono un attimino fissato con questa cosa – solo da un paio di giorni e solo perché so che fra due ore saremo costretti a condividere lo stesso palco per quel festival del vattelappesca del cavolo cui Alex ci ha ordinato di presenziare – ma davvero, siamo seri.
Matthew Bellamy? CONTROLLO?
Ma, cosa ancora più assurda, Matthew Bellamy e la parola “attrarre” nella stessa frase?
No, davvero.
Ma davvero.
Scherziamo?
Quale essere umano sano di mente e di corpo potrebbe seriamente essere attratto da quel topo?
È un topo! Non ci sono dubbi su questo! Guardatelo, vi prego! Attentamente!
Lasciate stare le mani dalle dita lunghe e affusolate.
Lasciate stare l’adorabile fossetta sul mento.
Lasciate stare anche i lineamenti eleganti da lord inglese e la barbetta che si sta abituando a portare di recente!
Insomma, tutto il resto è indecente! È magro come un chiodo! E poi è basso! E guardate come si veste! Santo cielo, sembra che sia entrato nel primo negozio che ha visto mettendo piede in città e abbia afferrato le prime tre cose che gli sono capitate sottomano decidendo all’istante che quello doveva essere l’abbinamento perfetto quando era chiaro come la luce del sole che non lo era!
Ma si può?
Attratti!
Da Matthew Bellamy!!!
La donna che ne ha parlato doveva essere completamente priva di buon gusto. E il giornalista che ha posto la domanda – peraltro mi sembra di ricordare fosse pure maschio, pessimo, pessimo davvero – doveva essere un vero idiota.
Se mi sforzo riesco anche a ricordare com’era la domanda esatta. Devo riuscirci, perché era talmente ridicola che sarebbe drammatico osservarla perdersi nelle sabbie del tempo senza- ECCOLA. Stava parlando con questa tipa e a un certo punto le fa “durante i tour sei stata messa a confronto con due esempi opposti di sexy al maschile”.
ESEMPIO!!!
DI SEXY AL MASCHILE!!!
MATTHEW BELLAMY!!!
L’altro mi pare fosse Pete Doherty, ma la cosa è completamente irrilevante.
Voglio dire, è disgustoso. Non ha senso.
Io sono un esempio di sexy al maschile!
*

- Brian, per carità, vuoi calmarti?
Ho ritrovato la rivista!
Ho ritrovato la dannatissima rivista!
Ero certo di averla conservata, era troppo idiota per buttarla via! E finalmente è di nuovo fra le mie mani!
- Non posso, Stef! Tu non capisci! Questo tipo-
- Ha affermato che Matthew Bellamy è un esempio di sexy al maschile, sì. E con ciò?
- Come con ciò?! Che vuol dire con ciò?!
Stefan, farai meglio a smetterla di sospirare!
- Con ciò vuol dire che non capisco perché la cosa ti sconvolga tanto.
- Perché è evidentemente un paradosso!
Per un secondo, Stef mi guarda stupito.
Poi scuole il capo.
- Brian, Matthew Bellamy è un bell’uomo.



OSSIGNORE!
- Anche tu?!
- Come sarebbe a dire “anche” io?
- Anche Steve, poco fa…
- Brian, finiscila… - dice appunto Steve, riemergendo dal bagno, - Ti ho già detto di lasciare perdere questo discorso! Non ci porterà da nessuna parte!
- Ve lo dico io dove ci porterà! Ci porterà a capire che tutto il mondo è impazzito!
- Perché al mondo piace Matt Bellamy? – chiede Stef, sconvolto, - Davvero pensi sia così strano?
- ASSOLUTAMENTE!!!
- E perché ti sembra così strano?
- …ma l’hai guardato?!
Getta un’occhiata al manifesto del festival del vattelappesca, e cattura l’immagine di un Bellamy sorridente con le braccia incrociate sul petto e le bretelle bianche – Dio – sulla camicia nera.
- Sì, l’ho guardato, Bri.
- È magro! Scheletrico!
- È snello, Brian.
- Ha un pessimo gusto nel vestire!
- Almeno non ha mai indossato una gonna da liceale plissettata in denim durante i concerti…
- Era un kilt! Era un denim kilt!
- Sì, tesoro, sì…
- E senti come gracchia quando canta!
- Questo non c’entra niente col suo aspetto fisico…
- …
Ucciderò qualcuno entro stasera!
Dovrò usare l’ultima carta a mia disposizione!
- È basso! – dico, gonfiandomi d’orgoglio.
Steve spalanca gli occhi.
S’è limitato al silenzio fino ad ora, ma non sembra più in grado di resistere.
- Basso, Brian? Basso?! – chiede incredulo, - Tu sei decisamente più basso di lui!
- …
Io non sono più basso di lui!
Non lo sono affatto!
- Adesso silenzio. – afferma Stef categorico, - Stanno cominciando.
Percepisco la rabbia farsi strada dentro di me!
Esploderò!
Controvoglia, mi volto a guardare il palco.
I Muse si sistemano alle loro postazioni. Bellamy lievemente decentrato verso sinistra, il bassista a destra, il batterista dietro, assiso su una specie di altare viola luminoso.
So già che sarà disgustoso.
Bellamy è disgustoso! Indossa un paio di terrificanti pantaloni grigi che penso andassero di moda qualcosa come cinquant’anni fa fra gli uomini di mezz’età e un maglioncino rosa semplicemente pessimo.
Sospiro e mi accomodo sul sofà accanto a Stef, incrociando le braccia sul petto e preparandomi a tre quarti d’ora di sofferenza.
*

Supermassive Black Hole
Continuo a non capire come le masse possano apprezzare un individuo simile.
Va bene, la sua voce è sexy, ok, lo ammetto. Sì, anche quando sfalsetta. Sì, anche quando gracchia. Accidenti a lui. Non so come sia possibile, non chiedetemelo, credo sia qualcosa nel modo in cui mette le parole una dietro l’altra. E poi prende fiato in maniera oscena. È l’unico uomo al mondo a prendere fiato in maniera sessualmente esplicita! Ho detto non chiedete!
Santo cielo.
Esploderò, so che esploderò.

Map Of The Problematique
Io so esattamente qual è il mio problema, Bellamy!
E non è “quando finirà questa solitudine?”!
È “quando finirà questo STRAZIO?”!!!
Dio, tutto questo è veramente osceno. Sentite come trascina le note, sentite, sentite!!! È un incapace! Scommetto che quando canta sotto la doccia i vicini battono con la scopa sul soffitto per farlo tacere.
…e questo falsetto mi ucciderà! Distruggerà i miei poveri timpani! Santo cielo!
L’ho già detto? Lo ripeto. È uno strazio.
Non so se sia più straziante la sua voce o…
O.
O le piccole cose che comincio controvoglia a notare.
Detesto tutto di lui, ma mi piace come tiene la chitarra in mano. È… ossignore, non voglio davvero usare questo termine, ma lo userò: è tenero. È come un tenero amante. Prima di cominciare a suonare ha avvicinato la mano al manico con inusuale lentezza, con una dolcezza esasperante, e quando le sue dita scorrono lungo le corde, alla ricerca di qualche effetto strambo da dare al suono, sono… amorevoli. È come se si prendesse cura di lei. Come se la stesse coinvolgendo in una dichiarazione d’amore universale.
Quando suona, Bellamy cerca palesemente di procurare un orgasmo alla sua benedetta chitarra.
…scommetto che se avesse le labbra lei ringrazierebbe.



…io se fossi una chitarra ringrazierei.

Take A Bow
Non ci posso credere.
Questa è una canzone dance.
Cioè.
È una canzone dance!
Perché devo subire una tortura simile?! Perché non posso addormentarmi di botto adesso?!
Ve lo dico io perché! Perché la voce di questo dannato moccioso è talmente acuta che se provassi ad abbassare le mie difese anche solo per un secondo mi esploderebbe il cervello!!!
Santo cielo.
So di averlo già detto!
Lasciatemi in pace!
Che poi, con chi sto parlando?!
Con le vocine nel mio cervello!
Che assomigliano spaventosamente alla sua!
La mia testa è piena di piccoli Bellamy pigolanti che continuano a canticchiare “bow bow bow” in un’eco infinita come fosse il loro verso naturale! Bow bow bow! Così! Di continuo!
Santo cielo, morirò.
Mi lascio andare contro lo schienale del sofà e sospiro pesantemente. Sono sicuro che Stef ha capito che c’è qualcosa che non va, anche se in questo momento non mi va di pensarci, sinceramente.
Riesco…
…riesco solo a tenere gli occhi incollati su quel tipo là fuori.
Quel tipo assurdo là fuori.
Che fa il bagno nelle luci artificiali del palco, e sembra splendere – e giuro che non voglio sapere se è a causa del gel brillantinato che ha sulla testa.
Che si dimena, con quell’allucinante maglioncino rosa che si piega e si agita ad ogni movimento che fa, seguendo la traccia dei muscoli guizzanti sul corpo magro, seguendolo nei salti, nelle giravolte, perfino nei movimenti più allucinanti, quando si appoggia all’amplificatore con aria lasciva, come stesse provando a portarselo a letto, scivolando con il fianco sulla superficie mentre ascolta estasiato i suoni distorti che la chitarra lancia in un disperato tentativo di esprimere la propria sofferenza. Seguendolo nei gesti teatrali, quando solleva le braccia verso il pubblico, e sembra che il mondo intero stia urlando il suo nome, affascinato, no, totalmente rapito dalla sua presenza, seguendolo perfino quando si aggrappa al microfono e lo sfiora con le labbra in un bacio morbido e sensuale – ora capisco da dove viene la carica erotica che sprigionano le sue parole, è il contatto col microfono, metallo contro labbra, il freddo del ferro e il calore assurdo della sua pelle, l’eco che rende la sua voce mille volte più intensa, e-
Oh.
Mio.
Dio.
Abbasso lo sguardo.
Il piccolo Bri è inequivocabilmente sveglio.
E quando dico inequivocabilmente intendo che sta per esplodere nelle mutande, e che tutto ciò è dannatamente doloroso.
Ritorno in me giusto in tempo per capire che Stef, al mio fianco, mi sta guardando come se fossi mostruoso.
- Non ci posso credere… - dice, gli occhi spalancati e la bocca contratta in una smorfia di puro disgusto, - Sei… sei in calore…
Spalanco gli occhi a mia volta, tirandomi indietro come mi stessi scottando.
- N-Non sono in calore!!!
Quasi contemporaneamente, porto entrambe le mani all’inguine, nel disperato tentativo di coprire le mie vergogne – e che vergogne.
- Sei in calore! Sei completamente in calore! Un coniglio in calore!
Non afferro l’associazione mentale, mi limito ad arrossire come mai – credo – in vita mia, e a saltare in piedi, vagando per la stanza in preda alla sofferenza atroce che mi obbligano a patire questi dannatissimi jeans aderenti, cercando con gli occhi un bagno per placare questo desiderio francamente assurdo.
- Steve, guarda! – insiste Stef, e sembra divertirsi parecchio, al contrario di me, - Guarda, Bri è in calore!
- Comeche? – chiede lui, cadendo dalle nuvole, mentre solleva lo sguardo dalla rivista che leggiucchiava per ingannare il tempo.
- In calore! Eccitato come una ragazzina di fronte al suo idolo di sempre!
- Ma come mai?
- Possiamo, per favore, omettere questa parte della fanfiction?!
- Secondo te come mai? – il mio appello sembra passare inosservato! – È rimasto per tutta la mezz’ora dell’esibizione dei Muse a fissare Matt come una studentessa innamorata, e adesso logicamente se lo vuole fare!
Steve spalanca gli occhi, e così siamo in tre ad avere gli occhi spalancati.
Evviva lo stupore!
- Non ci posso credere! – strilla il mio batterista, agitando le mani come a dire “io ci rinuncio”, - Fino a qualche minuto fa Bellamy ti disgustava! Non sei possibile!
- Avevo detto omettiamo!!! Omettiamo, tagliamo, passiamo avanti, diocristo, dov’è il bagno?!
Nello stesso momento in cui mi pare di individuare qualcosa di simile a un cartellino verde con omini bianchi che mi invitano a chiudermi in un cesso e liberarmi da ogni problema, appare Alex.
La donna più priva di tempismo dell’intero universo.
(Anche se mi sa che stavolta sono io a mancare, quanto a tempismo.)
- Cosa ci fate ancora qui? – chiede pacata, sinceramente stupita, - Dovreste già essere pronti per entrare! Vi esibite adesso, non lo sapete?
Io continuo a dirigermi imperterrito verso il bagno.
E chiaramente a lei la cosa non va giù, perciò mi afferra per la collottola e mi riporta indietro, sollevandomi di peso come un giocattolo.
- Brian, dove stai andando esattamente?
- In bagno!
- Dovevi pensarci prima! Fila sul palco!
- Non posso!
- Oh, se puoi…!
- Non così! Lo capiranno tutti!!!
- COS’È CHE DOVREBBERO CAPIRE?!
- Vuole scoparsi Matt Bellamy. – si intromette Stefan con uno sbadiglio annoiato.
Perfetto! La fiera delle persone fuori luogo! Sono perduto!
…e lo sono davvero.
Quando sollevo lo sguardo.
E mi accorgo che Matthew Bellamy è proprio qui davanti a me, appena rientrato dal palco, e mi fissa con occhi semichiusi da gatto furbo e malevolo e un ghigno demoniaco sul volto.
Mette la mani sui fianchi, sporgendo lievemente il sedere e stringendosi nelle spalle, mentre solleva il mento con adorabile fossetta annessa, come volesse mostrarsi al meglio delle sue potenzialità.
Poi lancia uno sbuffo terribilmente carino.
E…
- Quando vuoi, Molko.
…e io non ho neanche il tempo di capire che mi sta palesemente prendendo per il culo, che il mio cervello implode e poi esplode, mentre lo sento allontanarsi vittorioso in preda alle folli risate che gli procura la sua furbissima battuta – o almeno, quella che nel suo cervello deve essere una furbissima battuta.
- Suvvia, suvvia. – dice Stefan, aiutandomi a risollevarmi dal pavimento sul quale mi sono abbattuto dopo le parole di quella zoccola di Bellamy, - Forza. Dobbiamo andare sul palco.
Non so ancora come, riesco a muovere quei quattro passi che mi separano dalle luci della ribalta, e nel momento in cui raggiungo la mia postazione e guardo il pubblico d’improvviso la mia mente torna chiara. Lucida. Efficiente.
Odio ancora Matthew Bellamy! Dannazione, lo odio adesso come non l’ho mai odiato prima d’ora! È un essere abominevole! Non ha decenza! Non ha rispetto per i problemi altrui! Ed è davvero una zoccola di proporzioni stratosferiche – non dimenticherò mai più quella mossettina coi fianchi, dannazione!
Mi propongo un giuramento: dal momento che quell’uomo non merita neanche considerazione, prometto a me stesso che mai più un singolo pensiero sarà rivolto a lui. Mai più!
Adesso va meglio! Adesso mi sento carico!
Mi volto per farmi passare la chitarra, e mentre la imbraccio…
…mentre la imbraccio catturo di nuovo lo sguardo di Bellamy. Mi spia dal backstage, nascondendosi con falso pudore dietro gli scuri tendoni che occultano al pubblico la visuale del retro del palco; crede di avere il controllo, lui, crede di essere unico padrone dell’intera situazione, e ghigna felino e famelico esattamente come prima, e io…

Accidenti a lui.
Accidenti, accidenti, accidenti a lui.
Cambio di programma.
Cambiamo giuramento.
Io giuro che quella zoccola prima o poi me la faccio!
Genere: Erotico, Comico.
Pairing: MatthewxBrian. Totally <3
Rating: NC-17
AVVISI: CrackFic, Lemon, RPS, Slash.
- Un giorno, Matt Bellamy torna a casa e trova il suo uomo impegnato in quella che sembra una serissima telefonata di lavoro. In realtà, si tratta di ben altro.
Commento dell'autrice: Dio, voglio scrivere questa cosa da quando ho letto la storia di “Evil Dildo” XD Per chi non lo sapesse, è la traccia nascosta di Without You I’m Nothing, ed è praticamente una musicaccia (X’D) alla quale è stato applicato un messaggio che il povero Bri ha trovato nella sua segreteria telefonica (quando ancora aveva il numero sull’elenco) che, in sostanza, dice “so dove vivi, verrò a casa tua, ti taglierò il cazzo e me lo mangerò dopo averti scopato a sangue” è____é””” Povero tato ._. Chiaramente NON POTEVO scrivere una fic su Brian che ha a che fare con questa gentaccia <_< Per cui ho preferito scriverne una in cui avesse a che fare con ALTRA gentaccia X’D Ovverosia il suo uomo e quei traditori dei suoi migliori amici.
Perché Matt è un cretino, ecco >_<
A parte questo, volevo pure un’occasione per fare apparire tutti i miei tati ç___ç Non ricordavo più neanche da quanto non facevo agire il povero Chris! Continuo a riempire d’amore Matt e Bri senza che nemmeno se lo meritino (>_<) e non faccio fare nulla a quegli altri poveri tati che invece meritano tutta la comprensione e l’affetto del mondo. Oh. Se ve lo state chiedendo, sì, è questo il motivo per il quale sono tutti così totalmente fighi e intelligenti. Perché volevo dimostrare loro la mia profondissima devozione. Oh.
Fin dall’inizio ero indecisa se farla diventare lol o porno :O Alla fine mi sono adattata e ho fatto un porno-lolololol-porno che tra l’altro ha una struttura linearissima e quindi spero non sia noiosa XD
Dedicata con tanto amore alla Nai, alla Nacchan e alla Mika che l’hanno letta passo dopo passo assieme a me, di dieci minuti in dieci minuti, e alla Juccha e alla nee-chan che hanno letto in anteprima assoluta la prima scena di sesso XD Amo essere circondata da donnine perverse. Perché lo sapete, che siete perverse, vero? X3 *ama il mondo*
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TRY AND RUN


You make me sick
Because I adore you so
I love all the dirty tricks
And twisted games you play
On me
“Space Dementia” – Muse


Quando entrò in casa, Brian era in piedi davanti alla finestra, e guardava Londra ai suoi piedi con grande interesse, annuendo di tanto in tanto.
- Mh. Sì. Capisco. – disse, mettendo una mano sul fianco.
Matthew capì che stava parlando al telefono, e in effetti il cordless non si trovava dove avrebbe dovuto essere, sul comodino.
Lo salutò con la mano, posando cautamente le chiavi sulla consolle all’ingresso, senza fare rumore, per non disturbarlo. Brian rispose al saluto e alla gentilezza con un semplice cenno del capo.
- Bene. Grazie e arrivederci. – disse infine, terminando la chiamata e gettando distrattamente il telefono sul divano.
- Era Alex? – s’informò Matt, che dal suo tono aveva ipotizzato potesse trattarsi di una telefonata di lavoro.
- Oh, no. – rispose Brian con un naturale mezzo sorriso, - Solo una telefonata oscena.
Matthew spalancò gli occhi.
- Prego?
- Una telefonata oscena. – ripeté Brian, come stesse parlando del tempo, - Di quelle con gli ansiti e i vocioni che ti dicono “entrerò in casa tua e ti sfonderò il-
- Ho capito!!! Ma che storia è?!
Brian ridacchiò.
- Non ti è mai capitato di assistere perché stai qui da poco, ma succede abbastanza spesso. Quando non sono oscenità sono minacce, e comunque preferisco le prime alle seconde.
- …ma scusa, - chiese incredulo Matt, - perché non gli chiudi il telefono in faccia? Perché ascolti?
- Be’, perché se non lo facessi richiamerebbe. Devo lasciarlo sfogare…
- Perciò aspetti che si faccia una sega e nel frattempo intrattieni un’amabile conversazione?! Perché parli? E cosa significa “grazie e arrivederci”?!
- Dovrò pur dire qualcosa, se non mi sente partecipe non si soddisfa mica…
- Grazie e arrivederci?!
- Mi ci vedi ad ansimare “sì, continua, così”?
- PER CARITA’ DI DIO!!!
- Ecco, appunto.
Esterrefatto, Matthew lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e si limitò a guardarlo come fosse pazzo.
- Oh, non c’è bisogno di angosciarti così! – sbuffò Brian, - È solo una telefonata, non mi hanno mica violentato!
- A parte il fatto che a quanto pare è un’abitudine, - replicò Matt adirato, - scusa se mi preoccupo per te!
- Ma non hai niente di cui preoccuparti… anche perché… insomma, diciamocelo, le telefonate oscene… - continuò Brian, il sorriso che diventava mano a mano lascivo, sulle belle labbra, - …possono essere parecchio interessanti
Matthew, per un momento, davvero non seppe cosa dire.
- Se per interessanti intendi eccitanti, - dichiarò infine, il volto senza espressione, - sappi che ti ucciderò.
Per tutta risposta, Brian rise come una scolaretta, e a Matt venne quasi davvero voglia di ammazzarlo.
- No, senti. – disse invece, massaggiandosi le tempie, cercando di riacquistare padronanza delle sue facoltà mentali, - Non capisco. Come faccia tu a trovare eccitante il pensiero di un gigante nerboruto che si fa una sega ansimando oscenità al telefono, per me, è fuori da ogni logica.
Brian rise ancora, avvicinandoglisi con fare civettuolo.
- Non pensare al gigante nerboruto, adesso. – disse dolcemente, scivolando sulla sua spalla con un movimento falsamente casuale, - Prova a pensare alla mia voce.
Matthew inspirò profondamente, cercando di non pensare al bacino di Brian pressato contro la sua mano inerte lungo il fianco.
- Brian, senti- - cercò di controbattere, ma l’uomo glielo impedì, poggiandogli due dita sulle labbra.
- Ssssh. Chiudi gli occhi.
- Brian!
- Chiudi gli occhi. – insistette guardandolo, l’espressione del volto completamente indecifrabile.
Si ritrovò ad ubbidire, costretto neanche lui sapeva bene da cosa.
Brian sorrise – Matt poté percepire il movimento delle sue labbra – e lo guidò delicatamente a sedersi sul divano, accomodandosi poi al suo fianco.
- Immagina che io sia lontano da te. In un’altra casa. Un’altra città. Un altro universo. – sussurrò a un millimetro dalla pelle del suo collo.
Matthew rabbrividì e strinse le mani attorno al tessuto leggero del pantaloni di lino.
- Non puoi vedermi. Non puoi… - esitazione, sfregamento lievissimo, labbra contro pelle, un millisecondo, quasi impercettibile, sconvolgente, - non puoi toccarmi. Hai solo un telefono.
Matt deglutì.
Dio solo sapeva se non aveva voglia di saltargli addosso in quell’esatto momento.
- Mi chiami… io ti rispondo…
- Brian…
- Sssh… mi chiedi come sto, parli del più e del meno, sei gentile…
Lo sentì spostarsi. Adesso si trovava davanti a lui. Non poteva vederlo, ma sarebbe riuscito a indovinare la strada per la sua bocca al primo tentativo.
- A me manchi… mi manca il tuo corpo e non posso averlo… mi mancano le tue carezze e non posso sentirle… te lo dico… e tu rispondi che anche per te è così… che vorresti toccarmi, che vorresti baciarmi, che vorresti scoparmi…
- Brian… - lo chiamò, quasi implorante, l’erezione ormai fastidiosamente dolorante sotto i vestiti, - Brian, ti prego…
Provò ad allungare la mani nella sua direzione, ma Brian lo fermò, inchiodandogliele al divano con le proprie.
- Non puoi toccarmi… - gli ricordò, in un sussurro roco, - Puoi solo ascoltare la mia voce…
Matthew si leccò le labbra.
E dal momento che non c’era molto altro che potesse fare, in un impeto di frustrazione se le morse pure.
La cosa divertì molto Brian, che si lasciò andare ad un altro risolino da ragazzina maliziosa – facendolo morire.
- Sì, ti immagino fare una cosa simile… al telefono mi dici che mi stai immaginando nudo… sul letto… stai immaginando di sfiorarmi con le dita… di baciarmi sul petto, sulla pancia, di giocare con la lingua nel mio ombelico, come fai sempre…
- Cristo… - mormorò a mezza voce, provando a liberarsi dalla stretta di Brian, - lasciami andare… non ti tocco, giuro, lasciami le mani…
Lui lo lasciò andare con uno sbuffo divertito.
- E mentre tu continui a parlare al telefono, Matt, tesoro… io mi spoglio sul serio… e chiedo anche a te di farlo… e ti dico “toccati”, e tu rispondi che lo stai già facendo… allora lo faccio anch’io… mi senti ansimare…?
Come avrebbe potuto non sentirlo? Lì, a un millimetro da lui! Avrebbe potuto semplicemente sporgersi, gettarlo a terra e scoparselo, e invece stava lì, immobile, sul divano, ascoltandolo gemere mentre si masturbava.
- Puoi toccarti anche tu, Matt… - concesse Brian a mezza voce, e Matt non se lo fece ripetere due volte. Si rilassò contro lo schienale del divano e assalì bottone e lampo dei pantaloni, alla ricerca spasmodica di un po’ di soddisfazione per la sua eccitazione pulsante fra le gambe.
Brian si agitava sulle sue gambe, era così vicino… sentiva il tessuto ruvido dei loro pantaloni sfregare, rapido e insensibile, ah, quanto avrebbe desiderato che ci fosse pelle nuda e palpitante al suo posto…
- Matt- - gemette Brian un’ultima volta, e quando lo sentì inarcarsi e respirare più velocemente seppe che era venuto, - Matt, ti sto aspettando, vieni anche tu… - e immaginò che al posto della propria mano ci fosse quella di Brian, che lo stesse stringendo, deciso e delicato come l’aveva abituato, e il solo pensiero, il solo pensiero del suo tocco, del suo calore, del suo profumo lo costrinse a venire a sua volta.
Rovesciò il capo all’indietro, ansimando esausto, ancora incapace di aprire gli occhi.
Brian era pazzo.
Gli avrebbe fatto pagare quello scherzetto.
Solo… non in quel momento.
Lo sentì scendere dalle sue gambe e accucciarsi al suo fianco sul divano.
- Matt… - lo chiamò, - Matt, ti è piaciuto…?
- Mpf. – grugnì, irritato, - Non fare queste domande.
Brian rise.
- Lo possiamo rifare…?
- Adesso?
- No, adesso no… - ridacchiò l’uomo, - Un’altra volta.
- Senti, per me sarebbe molto più soddisfacente-
- Però… la prossima volta… lo facciamo davvero al telefono.
Si sentì come mozzare il respiro. Come se i suoi polmoni fossero stati compressi dalla sorpresa, e si fossero ritrovati incapaci di pompare sufficiente ossigeno per tenerlo in vita.
Dischiuse gli occhi e cercò Brian.
Lo trovò accanto a sé, una guancia graziosamente poggiata contro una mano, il gomito sulla spalliera del divano, le gambe accavallate.
Sorrideva.
Era serio.
Costringerlo a non poterlo toccare senza neanche poter sentire il suo dolce peso sulle gambe? Senza poter sentire la sua presenza, senza poter sentire il suo odore, costringerlo a masturbarsi al ritmo metallico di una voce lontana chissà quante miglia e deformata dalla cornetta del telefono?
Era serio.
Era pazzo!
Si alzò in piedi di scatto, e Brian lo osservò stupito, stringendo le labbra con disappunto.
- Tu stai scherzando, forse.
L’uomo spalancò un paio di enormi occhi grigi ed arricciò le labbra, scuotendo il capo.
- Non se ne parla. – disse Matt categorico.
- Avanti-
- Non se ne parla. – ripeté.
Stava già indietreggiando verso la porta, mentre risistemava i pantaloni senza neanche ripulirsi.
Brian incrociò le braccia sul petto.
- Non vorrai andartene? – chiese, incredulo e lievemente offeso.
Matt neanche rispose.
*

Sollevò stancamente la cornetta, il panino ancora pendente dalle labbra, e biascicò un incomprensibile quanto nervoso “pronto”.
- Dominic? – chiese la voce all’altro capo del filo.
Ciò che restava del panino cadde a terra, disfacendosi lungo il cammino.
- Brian? – chiese il batterista, - È successo qualcosa?
Era abituato a sentirsi chiedere cose simili, quando chiamava, perciò ridacchiò lievemente.
- Niente di particolare. Avevo solo voglia di sentirti.
- Sì. Ed io sono una pecora ed in questo momento sto belando. – rispose Dom con uno sbuffo divertito, mentre Brian si lasciava andare ad un’altra risatina delle sue, - Comunque, sul serio. Qualche problema?
Brian sospirò, prendendosi un attimo di tempo per riflettere.
- Senti, Dom. – disse infine, - So che non approverai quello che sto per dirti-
- Hai fatto del male a Matt?
- …be’, no. Non in senso stretto, almeno.
- Spesso il senso lato è molto più simile al senso stretto di quanto non si pensi.
Brian rise ancora.
Adorava il lato protettivo di Dom. Il lato protettivo di Dom metteva al sicuro Matt. E metteva lui in condizione di poter osare un po’ di più, quando era il caso.
- Non gli ho fatto del male. L’ho solo frustrato un po’.
- …in senso sessuale, chiaramente.
- Sì, chiaramente.
- E allora non vedo per quale motivo dovrei disapprovarti. – commentò Dom ridacchiando. Non la risatina derisoria che Brian si sarebbe aspettato – nei propri confronti per essere così ostinatamente infantile quando giocava? O nei confronti di Matt, per essere così succube dei suoi tentativi di renderlo pazzo?! – bensì una risatina comprensiva, quasi complice. - Cosa gli hai combinato?
- Uhm… - spiegò titubante Brian, - Qualcosa sulle telefonate erotiche.
- Dio! Sarà scappato!
- …complimenti. Hai vinto un pacco di biscotti.
- Lo conosco da tre vite e mezzo, figurati. Se voglio dei biscotti me li compro. Comunque povero Brian, spero che almeno ti abbia lasciato concludere!
- Sì. Be’, in effetti l’ha fatto perché per prima cosa doveva concludere anche lui, e per seconda cosa perché… non sapeva ancora cos’è che avevo in mente per l’esattezza, secondo me.
- Uuuh, l’hai proprio preso in giro, allora. Si sarà sentito usato e abbandonato come un moccioso trovato in discoteca!
Poteva sentire dei cuoricini malefici nella voce di Dom.
Era quasi inquietante.
- Dominic, sei sicuro sia tutto a posto?
- A parte il fatto che dovrei chiederlo io a te. Se lui si sente come un moccioso da una notte e via tu come minimo ti senti abbandonato all’altare.
- …mi sembri ubriaco.
- No, tranquillo, non lo sono. – disse gentilmente, - Sono solo estremamente divertito. Sapevo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di simile.
- …di simile a cosa?
- Di simile a te che chiami me per chiedermi di rimandarti Matt a casa appena lo vedo.
Sapeva che Dom era una persona intelligente.
Conosceva l’assoluta assenza di limiti della sua perspicacia. Era stato lui il primo a capire della relazione che era cominciata fra lui e Matt, ed aveva vero un talento per le risposte di “Chi vuol esser milionario?”.
Non avrebbe dovuto stupirsi.
Perciò sogghignò, rigirandosi il filo fra le dita.
- Grazie mille. – cinguettò allegro, - E se avverti anche Chris mi fai un favore.
Poté immaginarlo sollevare un pollice di approvazione verso di lui.
- Sarà fatto, mio capitano! – concluse Dominic prima di riappendere e chinarsi a raccogliere ciò che restava del suo pranzo.
*

Quando Matt apparve sulla sua soglia, disfatto, sudato, coi capelli scompigliati e con un’oscena macchia scura all’altezza del cavallo dei pantaloni, non poté fare a meno di impietrirsi e guardarlo da capo a piedi con una smorfia disgustata.
- Oh. – disse, incapace di dire altro.
- Sì, be’, - sbuffò Matt, contrariato, - “oh” è riduttivo. Mi fai entrare?
Ancora incapace di trovare voce per commentare, annuì e si scansò dall’uscio.
Quando Matt fu in casa, Dom si richiuse la porta alle spalle con uno scatto isterico e tornò a puntare gli occhi su di lui.
- Che… schifo, Matt! – fu la prima cosa che riuscì a trovare il fiato di dire.
Matt si guardò per benino e poi sospirò pesantemente.
- Non dire niente. Lo so.
Poi fece per sedersi sul primo divano che gli capitò a tiro, ma Dom lanciò un urlo disumano e lo tirò per entrambe le braccia, impedendoglielo.
- Tu sei completamente idiota se pensi che ti lascerò sedere sul mio divano con quei pantaloni! Adesso fila in bagno e datti una lavata, ed escine solo quando potrò guardarti senza vomitare. Ci siamo intesi?
Matt annuì, lievemente confuso, e si diresse a passo incerto verso il bagnetto, mentre Dom volava in camera propria per cercargli qualcosa di pulito da indossare. Quando il biondo ritornò in corridoio, la porta del bagno era già chiusa, e il tintinnare gioioso delle gocce d’acqua contro le pareti di plastica del box doccia lo rassicurò decisamente sullo stato dell’igiene intima di Matthew, cosa che gli fece tirare un enorme sospiro di sollievo.
Si sedette sul pavimento, la schiena contro il legno, e chiamò a gran voce il suo cantante, il quale rispose con un mugugno abbattuto.
- Cosa diamine ti è successo? – chiese, simulando stupore, preparandosi a sentire il racconto dal punto di vista di Matt.
- Brian è impazzito! – borbottò l’uomo al di là della porta, agitandosi al punto da provocare un considerevole smottamento del box.
- Sì, - ridacchiò Dom, abbandonando il capo contro la superficie liscia dietro di lui, - diciamo che vedendoti apparire con un orgasmo ancora fresco… o dovrei dire caldo…? …insomma, un orgasmo fra le cosce l’avevo immaginato.
- Non prendere per il culo adesso, eh?
- No, no, sia mai. Allora, mi racconti cos’ha fatto di così pazzo per farti fuggire da casa senza nemmeno darti il tempo di ripulirti?
- Be’! – disse Matt, e Dom si mise comodo: nei lunghi anni di conoscenza aveva imparato a capire che quando Matthew Bellamy iniziava un discorso con un “be’” ne avrebbe avuto almeno per una mezz’ora. – Oggi sono tornato a casa a pranzo, no?
- Sì.
- E lui era lì al telefono. Mi segui?
- Sì, Matt.
- Ed era tutto un buongiorno e buonasera, arrivederci e grazie! Cioè, capisci, come stesse parlando, chessò, con una sarta! O un qualsiasi altro onesto lavoratore!
- Non era così?
- No che non era così! Stava al telefono con chissà che gigante nerboruto e baffuto che si menava l’uccello ascoltandolo parlare! Cioè, ma ti pare normale?
- Una telefonata oscena? – chiese, fingendosi scioccato, - Ma dai!
- Ma sì!
- Be’, - sospirò, ingannando il tempo piegando i pantaloni e la maglietta che avrebbe dato a Matt quando fosse uscito dalla doccia, - in fondo si tratta di Brian. Non mi stupisce poi molto che riceva telefonate simili.
Matt si agitò al punto che Dom credette che la sua doccia fosse crollata in pezzi.
- Ti vuoi calmare? Fino a prova contraria, la doccia è mia! – si lamentò, disgustato dalla mancanza assoluta di buona educazione da parte del suo migliore amico.
- Mi vuoi spiegare come faccio a calmarmi?! – strillò Matt, isterico, - A parte il fatto che il mio uomo mi tradisce con tipi che gli dicono porcate al telefono!
- Il tuo uomo non ti tradisce, Matt…
- A parte questo! Dopo questa telefonata Brian s’è messo in testa che doveva farmi provare questo fatto allucinante delle telefonate erotiche…
- …e ti lamenti? – rise Dom, battendo una mano sul pavimento, - Un po’ di kinky sex non ha mai fatto male a nessuno. Tanto meno a te e tanto meno in questa occasione, come testimoniano i tuoi poveri pantaloni.
- Tu vuoi scherzare!!! – gridò Matt, chiudendo finalmente il rubinetto dell’acqua e uscendo dal box con uno scatto isterico, - È stato una tortura!!!
Dom lo osservò uscire dal bagno scavalcandolo, avvolto appena in un asciugamano, e guardarsi intorno alla ricerca di vestiti da indossare. Gli porse gli indumenti che ancora teneva in mano, sollevandosi da terra.
- Una tortura, Matt? – chiese con sufficienza, osservandolo rivestirsi davanti a lui senza un briciolo di pudore – benedetto ragazzo.
- Una tortura! – ripeté l’uomo, abbottonando i jeans e sistemando alla bell’e meglio i capelli perché non sporgessero da troppi lati, - Mi si è seduto addosso e ha cominciato a dire porcate e masturbarsi, e pretendeva che io non lo toccassi! Non so se ti rendi conto!
- …comunque siete venuti entrambi, mi pare.
- Sì! Ma il problema non è stato tanto questa pratica sessuale allucinante, - Matt ha un’idea un po’ limitata delle pratiche sessuali allucinanti, pensò Dom con rassegnazione, - quanto il fatto che dopo, come se niente fosse, prende e mi cinguetta “la prossima volta lo facciamo sul serio al telefono, ci stai?”!!! Ma ti rendi conto?!
Dominic sospirò, incrociando le braccia sul petto.
- Quindi il tuo problema in sostanza sarebbe… che non vuoi scopartelo a distanza ma vuoi farlo solo dal vivo.
- Esatto!
- …e per risolvere questo problema tu vai via di casa?
Matt sembrò realizzare all’improvviso cosa aveva fatto, e si congelò sul posto.
- Matt…?
Dom lo osservò accartocciarsi su sé stesso e nascondere il volto fra le braccia, mentre dalla sua gola fuoriusciva un lamento disperato da cane ferito.
- Cosa ho fatto…? – chiese piagnucolando, - Cosa diamine ho risolto…?
Dominic si chinò al suo fianco, dandogli qualche colpetto sulla spalla nel tentativo di confortarlo.
- Avanti, - disse dolcemente, - hai fatto una stupidaggine, ma non l’hai mica mollato. Puoi sempre tornare a casa e chiedergli scusa e magari provare a fare ciò che ti chiede, sia mai scopri che ti piace.
- Mai! – strillò Matt, risollevando improvvisamente il capo, - Tu non puoi capire! Non puoi capire cosa significa avere Brian a un centimetro, essere eccitati e non poterlo toccare! È già successo in passato e oggi ho riprovato la spiacevole sensazione, e non ci tengo a riprovarla in futuro!
- Ma se tu accettassi il fatto della telefonata – spiegò Dom atono, battendo nervosamente un piede per terra, - non sareste a un centimetro di distanza. Sareste lontani.
- No, no e no! Non capisco! Se posso scoparlo io, per quale motivo dovrebbe volere farsi una sega mentre ascolta la mia voce?! Non ha senso! È malato!
- Però, vedi, Matt, - continuò il batterista, ormai sull’orlo dell’esasperazione, - Brian in passato ha fatto tante cose per te.
- Dimmene una sola!
- E poi comunque non è giusto deluderlo così. Lui ti soddisfa sempre.
- Ma che c’entra?! Non mi sta soddisfacendo adesso!
- E inoltre non devi dimenticare che ti lascia sempre fare l’attivo ogni volta che vuoi.
- Ma a lui il ruolo del passivo piace!!! Non stiamo a prenderci per il culo!
- Sì, però lui è sempre gentile con te.
- Ma-
- E non ti fa pesare quando scrivi qualche cazzata per i testi…
- Ma vorrei ben vedere! Proprio lui!
- E anche quando stoni, non ti rimprovera mica, mentre tu non sei mai carino con lui.
- Ma…! Ma non è vero, e poi-
- E quindi io trovo veramente poco sensibile che tu l’abbia lasciato in quel modo per venire qui da me senza neanche lavarti.
- Ma renditi conto delle condizioni in cui ero, brutto coso insensibile che non sei altro!
Dominic sospirò ancora, spintonando Matt sul divano e guardandolo dall’alto in basso.
- Adesso segui il ragionamento logico, ok Bells?
Stupefatto, Matt rimase immobile, fissandolo con occhi enormi.
- Brian è gentile con te. Ti ama. Ti ha fatto godere. Poi ti ha chiesto un giochino innocuo, così, per soddisfazione, e tu invece di dire sì con tutto lo slancio e l’amore di cui sei capace, nemmeno ti fermi a discuterne due secondi, no, scappi come se ti avesse appena chiesto di infilarti degli aghi nelle palle. Dico, ma sei normale?
- …
- Ti rendi conto che qua si parla di giochini? E di giochini piacevoli, per di più?
- …ecco… io…
Matt stava cominciando a cedere, registrò il batterista con un ghigno vittorioso sulle labbra.
In quel preciso istante, il telefono decise di squillare. Ma lui non poteva lasciare che il momento di debolezza di Matt passasse. Non poteva mettere a repentaglio il lavoro di costrizione di un’ora, e rischiare di dover ricominciare tutto da capo dopo aver richiuso la cornetta.
Perciò aspettò che scattasse la segreteria telefonica, e che fosse lei a rispondere per lui.
E quello si rivelò l’errore più grande che potesse fare.
La voce di Brian si sollevò gioiosa dall’apparecchio, ignara dello sconvolgimento emotivo che avrebbe provocato di lì a poco.
- Dom? Sono io. Spero che sia andato tutto bene e che Matty si stia già dirigendo verso casa sano e salvo. Be’, fammi sapere. Bye! – gorgheggiò allegramente, prima di spegnersi in un anonimo puh.
Dom e Matt si guardarono in silenzio per un lunghissimo istante.
Poi, d’improvviso, gli occhi del cantante si fecero minuscoli e brillanti di rabbia, mentre sul volto del batterista si dipingeva un imbarazzato sorrisino di circostanza.
- Ecco… posso spiegare… - balbettò il biondo, mettendo le mani avanti.
Matt letteralmente saltò in aria, afferrandolo per il colletto della polo e strattonandolo verso il muro.
- Puoi spiegare cosa, esattamente, Dominic?! Il fatto che ogni tua singola parola non fosse che un tentativo di traviare la mia povera mente per rimandarmi fra le braccia di quel maniaco sessuale?!
- …adesso… non ti sembra di stare un po’ esagerando coi termini…?
- No! – sbottò l’uomo, lasciandolo andare di colpo, al punto che lui quasi perse l’equilibrio, - E non solo! Da oggi in poi, considerati pure un ex migliore amico! Arrivederci e grazie! – dichiarò furente, dirigendosi ad ampie falcate verso la porta d’ingresso.
- Matt…? Dove stai andando…? – azzardò Dom, mentre già lo vedeva sparire oltre l’uscio.
- Da chi potrà capirmi! – annunciò teatralmente Matt, - Dal mio ultimo vero amico!
Chris, registrò Dom.
Quando la porta si richiuse di fronte a lui, e di Matt non fu rimasto che il profumo del bagnoschiuma e i vestiti sporchi – e da bruciare al più presto – gettati per terra, Dominic riprese a ragionare lucidamente.
Chiamare Brian, calcolò, freddo come un cecchino, e poi Chris.
*

- Tu sei un maledettissimo idiota! – sbraitò istericamente Brian, perforandogli il timpano con migliaia di acutissimi decibel da principessina offesa, - Cos’hai al posto del cervello?! Pelo?!
- Brian, - cercò di spiegare Dom, sospirando pesantemente, - devo ricordarti che è stata la tua voce a sputtanare il nostro accordo?
- E io devo ricordarti che è stata la tua stupidissima segreteria telefonica a invitarmi a parlare?!
- E quindi nel giorno in cui la mia stupidissima segreteria telefonica deciderà di suggerirti di buttarti a testa in giù da un palazzo di venti piani, tu lo farai?
- Sei un cretino e questo non c’entra niente! Si suppone che le segreterie telefoniche stiano lì per prendere i messaggi, non per istigare al suicidio!
Dominic roteò gli occhi esasperato.
- Hai ragione, Brian. Per istigare al suicidio basti tu.
- Cosa?! Come osi?!
- Per quale motivo non puoi scopare come le persone normali? Sai che Matt è limitato in quel senso!
- Appunto! Voglio allargare i suoi orizzonti! Ma lui è un ingrato! E tu sei un idiota! Eri d’accordo con me, com’è che adesso te ne esci con tutte queste proteste?!
- Stavo solo cercando di ragionare. Tutto qua.
- Ah-ha, Dominic James Howard! Non credere che non abbia sentito nella tua voce quella sottile nota di “dal momento che io sto ragionando e tu non mi capisci, è chiaro che tu non ragioni”! Davvero, mi stupisco di te, sei un traditore e un cretino! Non ti si può affidare niente! Se mai un giorno dovessi trovarmi sull’orlo di un burrone, e ci fossi solo tu cui aggrapparmi, ricordami di questo episodio, così potrò prepararmi a morire in pace in ogni caso!
- …Brian?
- COSA?!
Prese un enorme sospiro.
Strinse pazientemente la cornetta fra le mani.
Dischiuse le labbra.
Parlò.
- Matt mi ha praticamente confessato che sta andando da Chris per stringere un’alleanza. Ora. Vuoi che salvi il tuo depravatissimo culo chiamando il mio bassista e avvertendolo del pericolo oppure preferisci stare qui a ricordarmi quanto faccio schifo e lasciare che Matt ti molli?
- …
Godette del silenzio che era riuscito a imporre alla dannata lingua lunga dell’uomo del suo migliore amico, e si concedette un sorriso soddisfatto.
- Ti chiamo per farti sapere com’è andata. – concluse serafico mentre, irritato come una faina, Brian metteva giù il telefono con inaudita violenza.
Un secondo di pausa per riordinare i pensieri e stava già chiamando Chris per scongiurare il disastro.
- Pronto…? – rispose l’uomo dall’altra parte del filo.
Chris aveva questo modo totalmente indisponente di rispondere al telefono… come se si aspettasse che le tue prime parole dovessero essere sempre e comunque “domani morirai”! Era insostenibile, insopportabile, odiava parlare con Chris al telefono!
Ma odiava ancora di più la prospettiva di dover passare i prossimi dieci anni della sua vita ad ascoltare i piagnistei di Brian Molko che non sembrava avere niente di meglio da fare che non fosse incolparlo dei suoi fallimenti nel tenere in piedi una normale relazione di coppia.
Perciò si fece forza, soppresse l’irritazione e si forzò ad un sorriso e a un tono di voce il più amichevole possibile.
- Chris? Dom.
- Oh… ciao Dom.
- Ti prendo in un brutto momento?
- Temo di sì. – sospirò il bassista, e Dom poté quasi vederlo afflosciarsi stancamente su sé stesso, - Hanno appena bussato alla porta e ho la vaga impressione che sia Matthew.
- La vaga impressione…?
- …lo sento strillare.
- Ah.
- È successo qualcosa, vero?
- Così pare.
- Qualcosa fra lui e Brian?
- Già.
Chris si lasciò andare ad un mugolio di dolore puro.
- Perché ci devo andare di mezzo io? – chiese sconsolato, - Perché non è venuto da te?
- È venuto da me. – precisò Dom, comprensivo, - Ma ho fatto un disastro. Mi dispiace veramente tantissimo!
- Se ti dispiacesse sul serio – la voce dell’uomo sembrava sul punto di esplodere in un singhiozzo, - verresti qui e lo porteresti via prima che possa entrare!
- Non posso farlo, Chris, mi dispiace. Al momento Matt mi odia.
Il singhiozzo tanto atteso non tardò ad arrivare.
- Cosa devo fare?
- Sii gentile. – suggerì premuroso, - Fagli fare quello che vuole. Vizialo un po’. Ascoltalo, coccolalo, portalo a fare una passeggiata, vedi tu, ma lascia che smontino i nervi. Dopodiché… - si massaggiò le tempie con due dita, - rimandalo da Brian.
- …ma non hanno litigato?
- Sì.
- E devo rimandarlo da lui?
- Sì.
- …Dom, mi sbranerà!
- Ti prego, - latrò esasperato, - corri il rischio. C’è in gioco molto più della tua vita, qui.
Chris si abbandonò a un momento di atterrito silenzio.
- Va bene. – disse poi, cercando di ritrovare forza e convinzione quantomeno nella voce, - Farò del mio meglio.
Dominic sorrise, per nulla rassicurato.
- Conto su di te. – disse, e nel momento in cui interruppe la chiamata e riattaccò la cornetta seppe chiaramente che non aveva alcuna speranza di salvarsi.
*

Chris era un uomo facile alla pietà. Lo sapeva da tanto tempo. In fondo, era per pietà che aveva accettato di entrare nei Gothic Plague – e quale essere umano sano di mente avrebbe accettato di entrare in un gruppo con un nome simile se non per pietà?
Ricordava Matthew Bellamy al liceo.
Questo ragazzino minuscolo, magrissimo, con questa espressione inquietante da pazzo scatenato perennemente sul volto. Lo stesso ragazzino che l’aveva avvicinato con titubante arroganza – ma si può essere titubanti e arroganti insieme? Matt lo era! Ma Matt era anche uno strano animale, dopotutto… - e sfoggiando la migliore delle sue espressioni strappalacrime gli aveva praticamente detto che la sua via non era quella della batteria bensì quella del basso, e che gli sarebbe “proprio convenuto” entrare nei Gothic Plague, che sarebbero sicuramente diventati famosissimi.
Fortunatamente i Gothic non lo divennero mai.
Quando cominciarono a godere di un po’ di notorietà avevano già cambiato nome qualcosa come milleduecento volte.
Comunque, lo stesso ragazzino folle di allora gli si parava davanti in tutta la sua allucinata disperazione, ansimando, le lacrime agli occhi e degli abiti evidentemente troppo larghi per lui gettati addosso come stracci e che riconobbe come proprietà di Dom – ma Dom era magro! Diosanto, quanto era sottile Matthew?!
Nel vederlo in quel modo, perfino un uomo dal cuore di pietra si sarebbe sciolto in singhiozzi e gli avrebbe offerto ospitalità per la notte per difenderlo dalle insidie del mondo esterno. E Chris era tutt’altro che un uomo dal cuore di pietra. Perciò, la vista del suo povero cantante, bistrattato dalla perversione del suo uomo e dalla cattiveria del suo migliore amico, semplicemente lo commosse.
- Matt! – disse accorato, aprendo le braccia.
Non si aspettava certo che Matt gli crollasse addosso e scoppiasse in lacrime, ma fu esattamente ciò che successe.
Il che gli diede molto da pensare.
Non tanto sulla sanità mentale del suo frontman, quanto sulla crudeltà infinita che doveva credere di stare soffrendo in quel momento. Matt era decisamente una strana creatura, sì.
- Matt, povero caro… - disse, pensando già con terrore al momento in cui avrebbe dovuto mandarlo via senza pietà, - Cosa cavolo ti è successo?
- Mi odiano tutti! – esplose Matt, separandosi da lui e gettandosi a peso morto sul primo divano che trovò, nascondendo il volto fra i cuscini.
- Nessuno ti odia… - lo rassicurò il bassista, sedendosi al suo fianco e accarezzandogli la testa con fare amorevole, - Ti vogliamo tutti bene…
- Be’, Brian mi vuole uccidere! E Dom non vede l’ora che questo avvenga! Quindi sì, mi odiano!
Chris sospirò, accomodandosi sul divano e aiutando Matt a sedersi in maniera più consona alla sua età, al suo sesso, alla sua dignità, insomma, un po’ a tutto.
- Se vuoi puoi restare qui per un po’. – suggerì pacato.
Matt spalancò gli occhioni. Dovette credere che gli artigli ricurvi e malefici di Brian e Dom non fossero ancora arrivati a lui, perché si lasciò andare ad un sorrisone confortato e annuì decisamente.
- Possiamo fare qualcosa, magari guardare un film… Dio, mi sembri sconvolto! – continuò Chris, premuroso, - Vuoi uscire? Andiamo a mangiare cinese da qualche parte, dai!
- Non mi va tanto di uscire… - confessò Matt, rabbrividendo di paura – cosa si aspettava, che Brian lo attendesse con un cellulare e un biglietto per il Canada appena svoltato l’angolo?
- Allora vuoi semplicemente… rimanere qui e lagnarti un po’?
Matt annuì di nuovo, con rinnovata decisione, mentre si accucciava sul cuscino, incrociando le gambe, pronto a partire con quella che sarebbe sicuramente stata una filippica di un’ora e mezzo sulla crudeltà del mondo, la vacuità dell’animo umano e la perversione delle menti nel ventunesimo secolo – insomma, qualcosa dalla quale avrebbe potuto tranquillamente tirare fuori una canzone per un nuovo album – se…
- Comunque dopo torni da Brian, eh.
…se Chris non avesse distrutto i suoi sogni di gloria e consolazione uccidendolo con quella frase.
- Cosa?! – strillò agitato, saltando in piedi e indietreggiando terrorizzato fino a schiacciarsi contro la porta d’ingresso.
Chris sospirò addolorato.
- Senti Bells, lo so che è difficile – perché diamine i suoi amici si sentivano in diritto di chiamarlo Bells mentre cercavano di convincerlo a rigettarsi tra le braccia del porco?! – ma devi farti forza e tornare dal tuo uomo. Non so cosa sia successo con esattezza, ma-
- Ma niente!!! – ululò esasperato, - Quel tipo orribile esercita violenza di tipo sessuale su di me e voi continuate a dire “povero Brian”?! Ma siete tutti pazzi!!!
Chris spalancò gli occhi.
Non credeva si fosse a un punto simile!
- Come violenza sessuale?! – chiese incredulo, sentendo un altro improvviso moto di protezione nei confronti del suo frontman, - Che diamine ti ha fatto?!
Matt sembrò riconsiderare un attimino ciò che aveva detto.
- Be’, ecco… - spiegò titubante, - non è che proprio mi abbia violentato o che… - esitò lievemente, - …ma ho ragione io, comunque!
Eccola lì.
La titubante arroganza.
- …Matt. Anche io penso che la definizione di violenza sessuale sia molto ampia e definita. Ma ci sono dei canoni dai quali non si può trascendere, renditi conto.
- …sarebbero?
- Uhm. – si prese un secondo di tempo per formulare esattamente il concetto che vagava per la sua mente ormai confusa, - Fondamentalmente, Matt, si è trattato di una violenza costrittiva e dolorosa o di una… “violenza” un attimino frustrante ma alla fine piacevole?
Matthew deglutì.
- È stato orribile! – disse poi, come se questo dovesse bastare a spiegare ogni cosa.
Chris sospirò ancora.
- Matt, rispondi alla domanda.
- …se mi stai chiedendo se sono venuto, ecco, sono venuto! Penso che me ne pentirò per sempre, a questo punto!
Il bassista scosse il capo, sconsolato.
- Non è che voleva solo farti fare qualche giochetto un po’ particolare e tu hai dato di matto?
Matthew rabbrividì, e Chris capì di aver centrato il bersaglio.
- Santo cielo, Matt… - cominciò in tono lamentoso, ma Matt non lo lasciò finire.
- Oh, senti! Se fosse stato un normale giochetto non avrei avuto problemi! Non ho la mente così chiusa, io!
- …Matt, al liceo quando si giocava al gioco della bottiglia pretendevi che tutti si rinunciasse ad usare la lingua perché lo trovavi osceno…
- Avevo sedici anni!
- …e la causa della verginità fino al matrimonio che hai continuato a perorare fino a ventisette anni…?
- Ma ho cambiato idea, poi!
- Sì, perché grazie al cielo hai conosciuto Brian e hai capito che andare avanti a bacetti e ti voglio bene con lui non era nemmeno pensabile!
- Oh! Io sono un uomo dalle amplissime vedute! Ma se Brian mi propone cose oscene io non posso che rifiutare, ecco!
Chris incrociò le braccia sul petto, gonfiando le guance con aria infastidita.
- Bene, allora. Sentiamo quest’oscenità.
Matt aggrottò le sopracciglia.
- Credo che il termine tecnico sia phonesex o qualcosa di simile.
Il silenzio cadde sulla stanza come un enorme pianoforte, schiantando quel minimo di pazienza che ancora Chris possedeva.
- Tu sei un idiota. – constatò il bassista con la massima calma apparente, - Completamente, irreversibilmente idiota.
- Come?!
- Avevo immaginato che ti avesse chiesto come minimo una threesome. Come minimo, Matt.
- Ma-
- Ma niente. – gli fece il verso, le mani sui fianchi, - Tu adesso raccogli questi straccetti che ti porti addosso e fili dal tuo uomo. Ci siamo intesi?
Se possibile, Matthew si schiacciò ancora di più contro la porta.
- È una congiura… - mormorò sconvolto, - una congiura…!
Cercò a tentoni la maniglia della porta, e quando la trovò non perse tempo a rigirarla per fuggire.
- Matt, non fare idiozie. – consigliò un’ultima volta Chris, prima che Matthew sparisse definitivamente, ma lui probabilmente neanche lo sentì – doveva essere terribilmente impegnato ad autocompatirsi.
Con un ultimo sospiro esasperato, si diresse stancamente verso il telefono, e chiamò Dom.
- Dimmi che non è stato un completo disastro. – esordì il batterista, poco convinto, senza neanche salutarlo.
- Okay. Come vuoi. Non lo è stato. – confermò lui atono.
- …lo è stato, vero?
- Totalmente. Comunque il nostro frontman è un idiota.
- Non dirmelo! – si lamentò Dom, come se gli stessero ficcando un palo appuntito nel fianco, - Lo so già. È fuggito?
- Giusto adesso. Di sicuro non sta tornando a casa…
- …Dio. Non lo riprenderemo più. Dove può andare…?
- Be’, penso che continuerà ad andare cercando protezione contro la presunta perversione di Brian. A proposito, se lo senti, fagli sapere che se proprio vuole giocare ci sono io disponibile. Non sarò Matt ma almeno non sono pazzo.
- …lasciamo perdere, eh, Chris? Certe volte dici cose che mi sconvolgono.
- Ma…
- Ho detto lasciamo perdere! – sbottò irritato Dominic, - Comunque, se cerca comprensione andrà da qualcuno che lui è certo possa offrirgliela… una persona che è abituata a vedere con la testa sulle spalle… razionale, paziente, protettiva, dolce a suo modo…
- …
- …
- Stefan. – conclusero all’unisono.
Chris si lasciò andare all’ennesimo sospiro tragico.
- Vado a chiamare Brian. – disse Dom.
- Farà in tempo ad avvertire Stef?
- Oh, sì. – ghignò il batterista, - Mai sottovalutare la velocità di una donna col telefono.
*

Stefan stava sorseggiando un caffè.
Nell’arco della sua giornata, il Momento Del Caffè era un momento mistico. Il momento in cui non importava quanto lui potesse essere stanco, o angosciato, o frustrato, o irritato: la Gioia s’impossessava di lui; l’Energia guidava i suoi arti; l’Entusiasmo pervadeva la sua mente e lo rendeva velocissimo, efficace, determinato, brillante.
E poi il caffè era buono.
Ma quel giorno, il suo Momento Del Caffè sembrava destinato a una tragica conclusione.
Brian stava sbraitando qualcosa nel suo orecchio da almeno mezzora, e il suo tono di voce era talmente elevato e acuto che la cornetta era diventata bollente.
Brian era capace di far surriscaldare gli oggetti con la sola voce, era inquietante.
- Bri, tesoro… - cercò di calmarlo, poggiando la tazzina ancora mezza piena sul tavolo con enorme sofferenza, - non capisco una parola di quello che dici. Ti ricordo che non sono in grado di sentire gli ultrasuoni.
Brian si schiarì la voce e cominciò a parlare normalmente.
- Sai quel giochino che volevo fare con Matt, e di cui ti ho tanto parlato?
Stefan lanciò un mugolio di sofferta esasperazione, roteando gli occhi.
- Brian, sono mesi che cerco di convincerti che il bondage non fa per Matt.
- No, non quello! L’altro!
- …quello del soffocamento…?
- No!!!
- Ehm…
- La telefonata erotica, idiota!
- Ebbe’, Bri, cerca di capirmi, è difficoltoso stare dietro a tutte le tue fantasie…!
- …
- …comunque. Il giochino. Sì. Ci sono.
- Ecco. Gliel’ho finalmente proposto… - disse in tono lugubre.
- …e non è andata bene, mh? – intuì Stef, allungandosi per recuperare la tazzina ma venendo interrotto sul più bello dallo squillo del citofono all’ingresso.
- È andata malissimo. Non usare eufemismi sciocchi.
- Aspetta, qualcuno sta suonando alla porta, devo vedere chi è…
- È lui! È lui!!! Ne sono certo!!!
- …Matt?
- Sì!
- Perché dovrebbe essere venuto qui?
- Perché sia Dom che Chris non hanno soddisfatto la sua fame di amore!
- …io non soddisferò la sua fame di amore!!!
- …non in quel senso! Stef! Non azzardarti ad alzare un dito su di lui!
- Ma se ti ho appena detto che non ho intenzione!!!
Il citofono trillò ancora, e Stefan cominciò a percepire il mal di testa farsi strada fra le pieghe del suo cervello.
- Bri. Devo aprire.
- No, prima devi ascoltare! Matt vorrà comprensione e consolazione! Tu dagli pure tutto quello che vuole o che vuoi, a parte il sesso!, e dopodiché rimandalo da me!
- Non tornerà mai.
- A questo non pensarci! Tu rimandamelo!
- Brian… - sospirò Stef, adocchiando il suo ormai lontano caffè con innamorata nostalgia, - da quand’è che hai di nuovo sei anni? Mi preoccupi.
Brian ridacchiò malizioso.
- Un seienne con gli appetiti sessuali di un vecchio maniaco. – precisò Stef.
- Ehi! – si lamentò Brian, ma già il bassista non lo ascoltava più, e rivolgeva tutta la sua attenzione al citofono che ancora trillava isterico all’ingresso.
- Sì, chi è? – chiese annoiato, allontanando la sbraitante cornetta del telefono dall’orecchio.
- Io… - rispose Matt in un pigolio demoralizzato.
Stefan sospirò, al colmo della disperazione.
- Matt. Che sorpresa. – disse atono.
- …non è una sorpresa? – chiese Matt, incuriosito.
- Per la verità no. Stavo giusto parlando con Brian.
Matt si lasciò andare a un suono strozzato molto simile a un singhiozzo, mentre dalla cornetta Brian strillava qualcosa di fin troppo simile a uno “Stefan, brutto traditore, me la pagherai!”.
- Stef! Non puoi abbandonarmi anche tu! – disse il frontman dei Muse, a un passo dalle lacrime, - Tu sei una persona intelligente e affidabile! Non farmi questo!
Stefan avrebbe tanto desiderato potersi massaggiare gli occhi. Ma aveva entrambe le mani occupate.
Questo lo portò a detestare definitivamente la situazione in cui si era involontariamente cacciato, e a decidere che era il momento di prenderne le redini per ribaltarla.
- Matt. Tesoro. Io ti voglio bene, sei un caro ragazzo e tutto, ma posso badare solo a un pazzo per volta. Va’ da tua madre e lasciami in pace. – e così dicendo ripose il citofono, e la comunicazione si spense con la voce di Matthew che, in dissolvenza, implorava pietà, - E quanto a te, Brian. – continuò impaziente, riavvicinando la cornetta all’orecchio, - Sei uno scemo. Non hai pietà. E non meriti comprensione. Quando capirai i tuoi errori, va’ da Matt e implora il suo perdono e speriamo che vada tutto bene. Per il momento, non ho altro da dire.
Chiuse così anche la conversazione telefonica, senza lasciare a Brian neanche il tempo di dire “bah”.
Dopodiché ci pensò su e decise che era opportuno staccare il telefono, cosa che fece prontamente.
Ritornò in cucina, dove la tazzina di caffè ormai gelato lo aspettava impaziente. Poteva percepire la sua tristezza di ceramica, e il suo cuore ne era straziato. La prese delicatamente fra le mani e provò appena ad assaggiare il liquido che conteneva, ma per quanto il suo amore per il caffè potesse essere grande dovette arrendersi al fatto che quello non era più caffè e non meritava alcun affetto.
Gettò tutto nel lavandino e mise su un’altra caffettiera.
*

- Ti ucciderò!
Generalmente, Steve era una persona pacata e tranquilla. Si sarebbe potuto dire perfino inamovibile. Quasi un panda, nella sua enorme, serafica calma.
Ma le minacce di morte di Brian erano terribili! Lo erano dal vivo, quando ti guardava con quegli occhi enormi iniettati di sangue, e lo erano anche il doppio via telefono, quando la sua voce era resa metallica e acuta in maniera quasi perforante dalla connessione via cavo.
Perciò, nonostante la pacatezza, la tranquillità, l’inamovibilità, la panditudine e la serafica calma, Steve fece un saltello sul divano e lanciò un “gh” di puro terrore.
- Perché?! – chiese giustamente, stringendo la cornetta fra le mani.
- Perché – si affrettò a spiegare Brian, - se mi tradisci anche tu giuro che vengo a casa tua, ti sventro e ti divoro!
- …non capisco perché dovresti volere divorarmi, Brian!
Il cantante prese un enorme sospiro e si apprestò ad illustrare la situazione.
- Matt è stato terrorizzato da una mia proposta sessuale.
- Non stento a crederlo.
- Non era così drammatica!
- Non stento a credere neanche questo. Conosco te e conosco Matt. Ma io cosa c’entro?
- Be’, Matt è andato in giro per il mondo cercando comprensione per questa sua fuga francamente immotivata…
- …e tu hai creato terra bruciata attorno a lui?
- Una specie.
Steve gemette drammaticamente, passandosi una mano sulla fronte.
- Brian, perché devi fare questo?
- Non ho fatto niente!
Steve gemette ancora, socchiudendo gli occhi.
- Va bene. – disse, - Immagino stia venendo qui.
- Credo di sì. Sei l’ultimo che gli è rimasto.
- …fa sempre piacere sentirselo dire. – borbottò irritato, - Comunque tranquillo, non lo strapperò dalle tue grinfie malefiche.
- …perché mi sembri totalmente disinteressato alle sorti del mio uomo?
- Perché lo sono?
- …guarda che devi trattarlo bene! Ne ho solo uno!
- A parte il fatto che ti basterebbe fare una passeggiata per strada per averne almeno un centinaio, queste bagattelle sessuali tra te e Matthew si risolvono sempre allo stesso modo: lui cede e alla fine siete soddisfatti entrambi. Quindi per quale motivo dovrei preoccuparmi adesso?
- Perché adesso è diverso!
- E perché, se è lecito chiedere?
- …
- Ecco, bravo. Comunque sta’ tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene. Saluti. – e interruppe la chiamata prima che Brian potesse aggiungere una qualche altra idiozia.
Sul momento, pensò di tornare all’attività che lo stava tenendo gioiosamente occupato prima che il telefono squillasse – ossia dormire, da bravo panda – ma un minuscolo quanto fastidioso pensiero lo turbò al punto che non poté ignorarlo.
Matthew Bellamy era uno degli individui più lagnosi dell’universo.
E uno dei più cocciuti.
E uno dei più stupidi, anche.
…sarebbe bastato dirgli “vai via” perché si rassegnasse a farlo…?
Nel momento in cui il no che il suo cervello gli diede in risposta lo colpì dritto in fronte come una tegola, scattò in piedi e si attrezzò per barricare la porta d’ingresso del suo appartamento. Sfoggiando un’invidiabile presenza di spirito e di fisico, spostò un divano davanti all’uscio e bloccò la maniglia con una sedia posizionata per traverso.
Non c’era modo che una simile barricata potesse essere divelta da quell’esserino gracile e smunto che era il frontman dei Muse.
Il quale, puntualmente, bussò alla porta nel giro di dieci minuti, chiamandolo a gran voce come se dalla sua bontà dipendesse la sua stessa vita – cosa che in effetti, vagamente, rispecchiava la realtà.
- Vattene via! – disse, con un tono più allarmato di quello che avrebbe voluto.
Matthew lanciò un miagolio sofferente.
Poteva immaginare quanto il pover’uomo fosse provato dalla faticosissima giornata che aveva dovuto sopportare, ma non intendeva cedere, né tantomeno mettersi in pericolo.
- Non posso farti entrare! – confessò, ribadendo implicitamente l’invito a sparire.
- Steve! – piagnucolò Matt, attaccandosi alla porta e cominciando a tempestarla di pugni, - Sei la mia ultima speranza! L’ultima che mi resta!
- Allora, - concluse seccamente, sinceramente straziato dalla crudeltà che gli toccava mostrare e che di sicuro non lo riempiva di orgoglio, - non ti è rimasto nessuno. Mi dispiace Matthew. Va’ a casa.
Percepì Matt congelarsi oltre la porta. Lo sentì indietreggiare, lanciare un ultimo lamento disperato e poi correre giù per le scale, come se non gli importasse di cadere e spezzarsi il collo.
Sospirò, abbandonandosi stancamente contro il divano.
Non che fosse preoccupato di aprire il giornale l’indomani mattina e trovare in prima pagina un titolo tipo “Giovane frontman di una celebre rockband inglese trovato annegato nelle sue stesse lacrime in un bidone della spazzatura!”, ma…
…Matthew era pazzo!
Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto fare in una situazione del genere!
Improvvisamente preda dei sensi di colpa, corse al telefono e chiamò Brian, ma l’apparecchio dell’appartamento squillò a vuoto.
“Sarà sceso a cercarlo?”, si chiese, non senza una buona dose di incredulità.
Alla fine, concluse che sarebbe stato meglio per la propria sanità mentale credere intensamente che sì, Brian fosse andato alla ricerca di Matthew, l’avesse trovato, avesse fatto pace con lui e risolto il dramma prima che riuscisse a consumarsi.
E, credendo fermamente in tutto questo, si appisolò beato.
*

Si rassegnò semplicemente a tornarsene a casa, come gli aveva detto di fare Steve. Evidentemente nessuno capiva cosa stava provando. Evidentemente nessuno capiva il suo dramma.
Probabilmente avevano ragione loro.
Probabilmente lui era solo uno stupido che non aveva capito niente della vita, del sesso, di Brian e di nient’altro in generale.
Probabilmente avrebbe dovuto semplicemente sottomettersi una volta di più e accettare anche quella sfida, d’altronde Brian non faceva altro che lanciargli sfide, continuamente, e da un anno a questa parte lui aveva ormai imparato ad accettare la sottomissione come il metodo più facile per ottenere ciò che anche lui voleva senza deludere Brian e senza perdere troppo tempo in chiacchiere o in litigi.
Ma…
…ma dannazione.
Il corpo di Brian era una fottutissima droga.
Il problema non era la distanza o l’obbligo di usare il telefono. Il problema era che ormai, dovunque fosse stato non avrebbe fatto la minima differenza, perché avrebbe inseguito il suo profumo e il calore della sua pelle, l’avrebbe trovato e se lo sarebbe preso.
Non poteva pensare di sottoporsi volontariamente a una pratica che lo privasse di quel contatto. Il contatto con Brian era a tratti l’unico motivo per il quale respirava! Quando qualcosa andava storto, quando una dannata canzone non veniva bene, quando cannava un live, stonava, mandava a monte una giornata di registrazione per una vaccata qualsiasi, era il pensiero che sarebbe tornato a casa e avrebbe toccato Brian a tirarlo su di morale, a impedirgli di abbandonarsi sconfortato in qualche angolo umido e buio e lasciarsi disciogliere nella disperazione così.
E avrebbe dovuto accettare il phonesex? Per carità!
Brian doveva solo ringraziare se non pretendeva di scoparlo ogni minuto del giorno e della notte!
Aprì la porta con un sospiro rassegnato, guardandosi intorno e notando immediatamente che qualcosa non andava.
Non c’era la minima traccia del profumo di Brian, in casa.
E, assieme a questo, le tapparelle completamente chiuse delle finestre e il silenzio innaturale che regnava nell’appartamento, contribuirono a fargli realizzare in un istante che… se n’era andato.
Via.
Sparito.
Volatilizzato.
Come non fosse mai esistito.
Pa-ni-co.
Si gettò in una disperata ricerca per tutte le stanze, salotto bagno studio cucina stanza da pranzo, e quando approdò in camera da letto, e vide il cordless graziosamente appoggiato sul piumone, e intuì la sagoma di un biglietto poggiato appena accanto alla cornetta, capì.
Era. Fottutamente. In. Trappola.
Si gettò a peso morto sul letto, affondando col viso nel cuscino e lamentandosi istericamente – perché, perché devo essere così sfigato? Perché non posso trovarmi un uomo normale? Perché DIAMINE Brian dev’essere così perfetto e così dannatamente odioso?
Si rigirò sul materasso, afferrando il biglietto con un gesto stanco e vagamente irritato. “Call me”, recitava in rotondeggianti letterine rosse.
- Bastardo… - mugugnò.
Chissà dov’era finito.
Quello era un tipo capace di nascondersi in un bunker sotto terra, in una situazione come quella!
Non sarebbe mai riuscito a trovarlo.
Cazzo, cazzo e ancora cazzo.
Lo odiava.
Prese il cordless e fece per rimetterlo a posto sul comodino, ma se ne pentì un attimo prima di farlo. Rimase come inebetito a fissare il display appena illuminato, e i tasti grigi e gommosi che sembravano suggerirgli “spingici, è facile!”, tutti sorrisetti malvagi e vocine melliflue.
Socchiuse gli occhi. Poggiò un braccio sul viso, giusto per assicurarsi di non riuscire a vedere niente neanche riaprendoli. E compose il numero del cellulare di Brian.
Lui rispose subito.
- Pronto?
Vocina melodiosa e risata argentina.
Dannato, dannatissimo bastardo.
- Dove cazzo sei? – chiese, e mai la sua voce gli era sembrata tanto simile a un’invocazione disperata.
- Parigi. – rispose naturalmente Brian, con un’altra allegra risatina.
- Parigi! – ripeté lui, sconvolto. Sapeva che sarebbe successo! Lo sapeva!
E malgrado tutti i vaneggiamenti sull’andare inseguendo il suo profumo in giro per il mondo… la sua giornata era stata davvero troppo massacrante perché si pretendesse da lui che saltasse in piedi, corresse a comprare un biglietto aereo e volasse dovunque Brian si trovasse solo per scoparlo.
Aveva dei limiti umani, in fondo.
- Brian, questa cosa non può andare avanti.
- Infatti, Matt. Sono qui proprio per chiuderla.
- …
- Indovina che sto facendo…?
- …ma cosa vuoi che ne sappia…
- Eh, ma se non giochi…
- Brian, senti-
- Indovina cosa sto facendo, dai.
C’era qualcosa, nel suo modo di mantenere un tono di voce tranquillo, pacato… una sicurezza tutta sua, un atteggiamento che gli aveva sempre invidiato, una delle cose che più amava di lui.
Brian sapeva davvero giocare bene.
Aveva un vero talento per i giochi.
Dettava legge.
Le sue non erano mai richieste, solo ordini. Espliciti, il più delle volte. Ma anche quando un sorriso o uno sguardo riuscivano ad essere talmente impliciti da farti domandare se per caso non volesse solo una carezza e un bacino, bastava che passasse un attimo, che la curva delle sue labbra si ricoprisse di malizia, che le sue ciglia lunghissime si abbassassero un po’, dando un’aria languida ai suoi occhi, per farti capire esattamente ciò che voleva. E gettarti in faccia la consapevolezza che lo volevi anche tu. Infiammando i tuoi lombi.
Non c’era niente di Brian che non richiamasse il sesso.
Lui lo sapeva.
E amava sfruttarlo.
- …sei sul letto…? – chiese arrendendosi, e notò un brivido nella propria voce che lo sconvolse.
Brian ridacchiò, e Matt ebbe l’impressione che si stesse coprendo la bocca con una mano.
La semplice immagine lo mandò in estasi.
- Nono. – rispose giocoso, - Indovina… - e così dicendo allontanò la cornetta da sé.
Pochi secondo dopo, Matt sentì scorrere dell’acqua.
Dio. Cristo.
Era in bagno.
- Cosa stai facendo…?
Lo sentì accomodarsi meglio nella vasca.
- Sto facendo un bel bagno caldo… schiuma, oli essenziali… e dopo crema profumata…
- Dio… sei una femmina… - disse, con poca convinzione, sperando di salvarsi in corner spezzando la tensione che s’era creata.
Brian si limitò a ridere e riportare tutto in carreggiata.
- Se fossi qui… e mi vedessi… non la penseresti così.
Ed era finita.
Lo sapeva.
Tanto valeva lasciarsi andare, una buona volta.
- …sei eccitato?
- Mmmh… - rispose lui, - Sì…
- Mi vorresti lì, vero…? – e la mano non era più sugli occhi. E gli occhi erano perfettamente aperti. E coscienti. E Dio, poteva sentirsi grondare eccitazione.
- Sì, Matt… mi manchi un casino… ho una voglia pazzesca…
- Anche io… - bisbigliò, e in un certo senso era piacevole rendersi conto di stare guidando lui il gioco, - Dio, ti vorrei avere qui davanti agli occhi… tutto bagnato…
- …cosa mi faresti…?
La mano scese pericolosamente sul cavallo dei pantaloni, dove si fermò esitante.
- Ti bacerei… le labbra, il collo… mi spingerei contro di te…
- Mmmh, sì, Matt… fallo…
La mano si nascose sotto i pantaloni, sfiorando quasi con timore l’erezione pulsante nei boxer.
- Lo sto facendo… - basta esitazioni, basta paure, una stretta decisa, come quella di Brian, morbida e sicura intorno a lui, - Mi senti…? – ansimava, ansimava al punto che non sapeva se sarebbe mai più riuscito a respirare normalmente.
- Ti sento… - i sospiri di Brian lo raggiungevano attraverso la cornetta, spezzati, profondi, ed era come averlo lì, era quasi come se lo stesse toccando, - Continua Matt…
E lui continuò. Risalendo la lunghezza e riscendendo fino alla base, lento, quasi esasperante, non voleva venire prima di lui, voleva ascoltarlo gemere, gridare, voleva sentirlo come se fosse sotto di lui.
- Ti piace Bri…? Ti piace…?
- Sì… sì, amore… mmmh… a te piace…?
- Dio, sì… continua Bri, toccati… così… - si morse le labbra, strizzando forte le palpebre, e quasi lo vide, il riflesso dell’acqua sulla sua pelle bianca, gli occhi semichiusi, così, abbandonato nella vasca, la mano in movimento veloce sotto la superficie dell’acqua, ed era bellissimo già nei suoi sogni, figurarsi quanto avrebbe potuto esserlo in realtà…
- Matt… Matt sto venendo…
- Sì amore, sì… anche io sto venendo…
Lo sentì chiamare il suo nome un’ultima volta, in un singhiozzo spezzato, e poi sentì il suo respiro rilasciarsi tutto in un’unica volta, e immaginò il suo volto arrossato, le labbra dischiuse, Dio che voglia di baciarlo, che voglia assurda di toccarlo, stringerlo, accarezzarlo, e-
Lanciò un suono profondo e gutturale, inarcando la schiena e stendendo le gambe.
- Dimmi che non ti ho perso. – disse Brian, la voce bassa e sensuale, ancora un po’ affaticata, - Dimmi che sono tuo e che tu sei mio.
Quando aprì gli occhi, l’orgasmo gli era già esploso fra le mani.
Si rilassò contro il materasso, gettando indietro il capo, cercando di ritrovare il fiato che aveva perduto fra le parole di Brian.
- Ti amo. – rispose poi, incapace di esprimere in altro modo quello che pensava.
Dall’altro capo del filo, un silenzio un po’ stupito.
E poi una risatina allegra.
- Ti amo anche io. – disse la voce di Brian, nuovamente giocosa, - Tanto tanto.
Il tono da bimbo lo divertì, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
- Sei uno scemo… - disse con un sospiro, - Dimmi che sei soddisfatto e ora puoi tornare a casa.
Brian rise e lo rassicurò sul fatto che sì, sarebbe saltato fuori dalla vasca e poi sul primo aereo disponibile per Londra, e quando fosse arrivato avrebbero fatto sesso per tutta la notte.
- La prima bella notizia della giornata. – commentò Matt, guardandosi intorno alla ricerca di un qualche fazzolettino con cui ripulirsi.
- Però, amore… - lo richiamò Brian cinguettando, - la prossima volta possiamo provare un altro giochino…?
La sua ricerca s’interruppe d’improvviso, così come la sua mano, che si fermò a mezz’aria lungo il tragitto per il cassetto del comodino.
- …a quanti chilometri dovrai stare…?
- Ma no, al massimo un paio di metri…
- …e cos’è che avevi in mente…?
- Uhm. – mormorò Brian, come avesse davvero bisogno di pensarci su, quel dannato maniaco sessuale, - Hai mai sentito parlare di voyeurismo?
- …cioè vorresti guardarmi mentre mi scopo un altro?!
- Be’, per me non fa alcuna differenza se guardi tu e scopo io. – rispose Brian con estrema innocenza.
Era esausto.
Spossato.
E al momento aveva solo voglia di dormire – altro che sesso per tutta la notte.
La mano raggiunse il cassetto del comodino, lo aprì, né tirò fuori un kleenex e si ripulì nel tempo in cui lui lanciò il sospiro più enorme e rassegnato della sua vita.
- Senti. – disse, esasperato, - Ora torna a casa. Poi ci pensiamo.
Brian ridacchio, lo salutò e interruppe la conversazione.
Matt sapeva già di essere stato sconfitto in partenza.
Ma preferì non pensarci, voltandosi a pancia in giù sul materasso e cercando sul piumone tracce del profumo di Brian con le quali ingannare il tempo fino al suo ritorno.