In coppia con Nainai
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
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Imperdonabile, la Nai s’era dimenticata i ringraziamenti iniziali! *disse la liz alle quattro e dieci del mattino, preparandosi a dare una scorsa al nuovo capitolo di Trapped, prima di postarlo* Non venitemi a parlare di irrazionalità, sono stata al telefono fino all’una e mezza e ho svuotato posta per le successive due ore!!! Il mio comportamento è perfettamente razionale!!! *ansima* Peraltro, fino ad ora ho letto altra roba della Nai. Quindi è colpa sua se sono ancora sveglia. Ecco.
…comunque. Grazie a Whity (amiamo le new entry *-*) ed alle sempre adorate Isult, Stregatta, Erisachan e Memuzza <3 Vi lovviamo <3 A dopo, per le note finali che scriverò per ultima, yay <3
Certe volte mi sembra di vedere accadere le cose attorno a me come in quei videogiochi in cui lo schermo viene diviso in due per permettere ai giocatori di avere una visione in tempo reale di ciò che sta avvenendo in un altro luogo. “Vedo” le cose, anche quando non dovrei poterle vedere perché magari si stanno avvicendando oltre il muro, o a chilometri di distanza da me.
È più o meno la sensazione che sto provando adesso, mentre rovisto nello scatolone che ho trovato sul fondo di un sedile nel retro del tour bus e l’aria tranquilla della vettura rimanda alle mie orecchie la melodia di un vecchio successo estivo di qualche anno fa e… l’urlo bestiale di Steve che riemerge dalla propria cuccetta e si chiede – giustamente – cosa diavolo stia succedendo.
Posso vederlo davvero guardarsi intorno con aria smarrita, strabuzzando gli occhi incredulo, mentre cerca le parole per esprimere il proprio sconvolgimento.
Sorrido a metà, mentre mi tuffo più in profondità nello scatolone.
- Cos’è questo schifo, Stef?! – strilla Steve. Lo “vedo” passarsi una mano fra i capelli, dopo aver gesticolato animatamente quando poneva la domanda.
Sento Stef ridacchiare allegramente e rispondere che “questo schifo” significa che io sono felice, e che dunque lui dovrebbe portargli più rispetto.
- Lo preferivo quando era depresso! – commenta Steve, disgustato, - E questa canzone è… terribile! – aggiunge, con lo stesso tono inorridito col quale un padre molto severo rimprovererebbe il proprio figlio se gli trovasse una scatola di preservativi nel cassetto del comodino. – Lui dov’è?
Stef solleva un pollice verso il fondo del bus. Lo so, perché il suo risolino divertito sta dicendo che la prospettiva di Steve che mi maltratta per il mio pessimo gusto musicale lo alletta particolarmente. Poi, sento i passi decisi e pesanti di Steve, ancora un po’ strascicanti di sonno, avvicinarsi a me. Affondo ancora un po’ il viso nello scatolone, sperando di salvarmi dalla sfuriata.
- Brian! – comincia lui, ma si ritrova costretto al silenzio quando una vecchia maglietta dei Metallica gli finisce dritta sul naso, aprendosi come una rete da caccia e avviluppandoglisi attorno alla testa, soffocandolo.
- Questa avrà come minimo cinque anni! – gioisco, soddisfatto del ritrovamento, - L’ho usata per dormire per un intero mese durante il tour… credo di non averla neanche lavata, prima di infilarla qua dentro!
Steve si libera della maglia con uno sbuffo esasperato e vagamente disgustato, e me la avvolge attorno al collo come una sciarpa.
- Si può sapere cosa diavolo stai facendo?! – chiede un po’ incerto, squadrandomi dall’alto.
- C’era questo scatolo – dico, indicando appunto lo scatolo, - sotto quel sedile. – concludo, indicando anche il sedile incriminato.
- Oh. – annuisce Steve, incrociando le braccia sul petto, - Quindi stai facendo un revival. E La Macarena è la colonna sonora. Dio mio!
Ridacchio un po’, ficcando le mani in fondo allo scatolone e riemergendone con un paio di bacchette rosa fra le dita.
- Ah…! – esalo, al colmo del disappunto, - Le avevi lasciate qui, allora!
Steve arrossisce e cerca di rubarmele di mano.
- Non sapevo che fossero qua! – si giustifica blandamente, mentre allontano le bacchette da lui.
- Non ti regalerò più niente. – sbuffo contrariato, abbandonandole poi sulla pila di oggetti che ho già tirato fuori e osservando Steve chinarsi per afferrarle e nasconderle infastidito sotto la maglietta, incastrate fra il ventre e l’elastico dei pantaloni della tuta che indossa.
Continuo a rovistare, nella speranza che qualche altro cimelio storico riveli la propria presenza, confidandomi segreti che sono semplici ricordi, che credevo estinti – e che non lo erano.
- Questa roba dovresti bruciarla… - sussurra Steve, cogliendo in un colpo d’occhio una foto che mi raffigura ubriaco, intento a cantare qualcosa sul tetto di una macchina, prima che io possa affrettarmi a farla sparire sotto una sgabello ripiegabile.
- No… - dico io, con tono lamentoso, - Perché?
Lui sorride, indicando con un cenno del capo un’altra foto. Stavolta siamo io ed Helena, aggrappati l’uno all’altro sul divanetto di un locale londinese random.
Scrollo le spalle.
- Non sono cose che ricordo con tristezza, sai? – gli faccio notare, con una punta di fastidio, mentre anche lui si mette a rovistare nello scatolo, interrompendo la mia ricerca.
- Sono cose che non ti appartengono più. – spiega lui, tranquillo, - Roba vecchia. Non aggiunge niente a ciò che sei adesso. Che cosa sono questi calzini pelosi…?
- Li ho comprati ad Amsterdam! – sbotto, - Sai quanto tengono caldo la notte?
- Evidentemente non così tanto, - dice lui, con una scrollatine di spalle, - se li hai dimenticati qui per tutto questo tempo.
Abbasso lo sguardo sul contenuto dello scatolo, per poi spostarlo sulle cose che ne ho già tirato fuori, e che aspettano direttive per capire cosa fare di sé stesse.
In effetti, realizzo fin troppo serenamente, ognuna di queste cose ha un motivo ben preciso per trovarsi qui.
E anche un motivo molto valido per rimanerci.
- Suppongo di sì. – dico svogliatamente, lasciandomi andare seduto per terra.
Steve continua a rovistare nello scatolone ancora per un po’. Poi sul suo volto si apre questo sorriso enorme, e lui riemerge dal disastro in cui ha ficcato la testa e mi guarda. Solleva una mano. Fra le dita tiene una foto. Sulla pellicola lucida, tre volti sorridenti. Lui, io e Stef, stretti insieme in un melenso abbraccio di gruppo dopo un concerto.
- Salviamo questa e buttiamo tutto il resto! – suggerisce felice, - Ok?
Sospiro, poggiando i gomiti sulle ginocchia e piegandomi lievemente in avanti. Sorrido anche io.
- Ci penserò.
***
Mi avvicinai a lui solo dopo una mezz’oretta, perché stavo cominciando a sentirmi trascurato. È una cosa che può capitare, con Matt, perché da questo punto di vista è molto infantile, e quando si concentra su qualcosa difficilmente è in grado di pensare ad altro. Intendo, non è che si dimentichi della tua esistenza… probabilmente ha come un allarme interiore che, passato un determinato periodo di tempo, lo costringe a staccare gli occhi da qualsiasi cosa stia facendo e chiederti un parere a caso per rassicurarti sul fatto che sì, sa che sei ancora lì, e sì, gli interessa che tu ci rimanga…
…ciò detto, comunque, quando qualcosa di particolarmente accattivante cattura la sua attenzione, è difficile che l’allarme scatti prima di un’oretta o due. E siccome la mia tolleranza resiste al massimo quarantacinque minuti, cerco sempre di risvegliarlo dalla trance in tempi utili. Ovvero, prima di cominciare a strillare come un ossesso, affermando che mai e poi mai mi lascerò ignorare dal primo venuto, che non tollero neanche la sua vista e che farebbe bene a non farsi risentire mai più, “tanto, per quello che gliene importa!”.
Sì, a volte ho davvero reazioni simili. E no, non ne vado fiero. E sì, Matt c’è già passato, nonostante stia con me da relativamente poco. Ma no, non mi ha dato del pazzo furioso. Piuttosto, sì, s’è messo a ridere. E, sorprendentemente, no, questo non mi ha offeso.
Comunque, mi avvicinai e cercai di evitare di sbirciare oltre la sua spalla, perché io odio lo si faccia con me, e non volevo infastidirlo.
Lo vidi riscuotersi e sollevare il capo come avesse percepito la mia presenza.
- Brian! – trillò felice, ed io sorrisi istantaneamente. Mi piace quando dice il mio nome, lo fa suonare dolce. E il mio nome fa veramente schifo, quindi c’è di che stupirsi. È un’altra delle sue magie, suppongo… - Stavo pensando proprio a te! – aggiunse, ruotando sulla sedia per guardarmi meglio.
- Ero qui dietro… - gli feci notare dolcemente, appoggiandomi alle sue spalle con le braccia incrociate.
- Sì, lo so! – disse lui, ridacchiando, - Intendevo proprio che stavo pensando a te mentre lavoravo a questo…
- “Questo”…? – chiesi titubante, ancora restio a guardare sul tavolo.
Lui annuì tranquillamente.
- Un romanzo. – spiegò.
Le sue parole mi convinsero a dare una sbirciatina. Vidi fogli enormi, i tipici fogli da album A4, sparsi ovunque. Alcuni bianchi immacolati. Altri… colorati.
- Un romanzo, Matt…?
- Be’… - precisò lui, un po’ incerto, - Un romanzo illustrato.
Sbuffai, vagamente divertito.
- Non sapevo che avessi velleità di questo tipo.
- Ma no… - arrossì lui, - Non intendo mica pubblicarlo o che… Solo… concluderlo.
Ridacchiai.
- E vediamo un po’ questa storia… - lo stuzzicai, arrampicandomi sulle sue spalle per guardare meglio.
- Aaah! No! – mi contrastò, gettandosi a peso morto sul tavolo, coprendo i fogli col proprio corpo, - Non puoi cominciare da qui! – mi ammonì seriamente, - Devi cominciare dall’inizio, questa è circa la metà…
- Oh… - annuii, un po’ preoccupato dal fatto che lui la stesse prendendo così seriamente.
Mi lasciai trascinare per mano fino ad una specie di enorme credenza dall’aria antica, che riempiva per metà il corridoietto appena fuori dal suo studio. Lo osservai aprire gli sportelli e sobbarcarsi del peso di un’incredibile quantità di fogli, che riportò nella stanza dalla quale eravamo usciti. Nel frattempo, aveva anche preso a parlare. Si muovevano, lui e la pila di fogli, borbottando “Non essere troppo severo” sottovoce, ondeggiando pericolosamente. Il fruscio della carta sembrava anche lui un borbottio insicuro.
Scomparve oltre la soglia della porta e poggiò i fogli sul tavolo.
- Perciò… - cominciò, ma si fermò subito. Rimase un attimo in silenzio, e dopo un po’ lo sentii chiamarmi a mezza voce.
Io ero rimasto in corridoio. Non so nemmeno perché.
Si affacciò dallo studio e mi chiese se per caso non fossi scemo. Dopodichè, mi tese la mano. Io accettai la stretta e lasciai che fosse lui a trascinarmi di nuovo davanti alla scrivania.
- Bene. – disse con aria grave, sollevando un foglio, - Cominciamo.
Il disegno consisteva in una linea azzurra orizzontale, che tagliava in due l’immagine, una palletta rossa con due pallette nere sotto, a sinistra, e una palletta verde al centro. In alto, un’altra palletta, stavolta gialla.
Non avevo la minima idea di cosa potesse rappresentare. E dimenticai la sensibilità, nel farglielo presente.
- Come “cos’è”?! – strillò lui, mortalmente offeso, - Una strada! Una macchina che l’attraversa! …e questo è un cactus!
- Oh. – presi nota, - E quello è il sole…?
Lui annuì freneticamente, stringendo la presa sul foglio in maniera convulsa.
- Scusa… - mormorai incerto, mordicchiandomi le labbra.
Matt scosse il capo, posò il primo foglio e ne prese un secondo.
Stessa linea azzurra, stessa palletta gialla, stessa palletta verde. La palletta rossa con le due pallette nere si trovava adesso al centro, poco più indietro rispetto al “cactus”.
- …la macchina si è mossa?
Annuì, ancora deluso dalla mia incredulità.
Posò anche il secondo foglio e recuperò il terzo.
Tutto uguale, ma la palletta rossa era a destra, carico di pallette nere compreso.
- …ed ora è arrivata.
Lui annuì ancora.
- Ma solo alla fine del primo capitolo! – precisò, agitando un dito.
- Più un prologo, direi… - risi io, osservando il resto dei fogli sparsi disordinatamente sul tavolo.
Matt sbuffò e rimise tutto in ordine, borbottando deluso, preparandosi a riportare i fogli nella credenza.
- Non fare così, su… - dissi io dolcemente, abbracciandolo da dietro, - Perché non me ne dai un po’? Lo porto a casa e lo leggo quando ho tempo.
- Tanto non lo capiresti! – si lamentò lui, cercando di divincolarsi dalla mia stretta.
Io ridacchiai un po’. Mi dispiaceva averlo offeso così, ma la cosa nel complesso era così carina e, be’, diciamocelo, così idiota, che proprio non riuscivo a prenderla seriamente.
- Credo tu abbia ragione… - commentai, bloccandogli le braccia e sollevandomi appena per baciarlo sulle labbra, - Ma capisco anche solo la metà dei tuoi testi… eppure questo non ti impedisce di farmi ascoltare le tue canzoni.
- Sono cose diverse! – protestò giustamente lui, scuotendosi, infastidito dalla prigionia in cui l’avevo ridotto.
Lo lasciai andare, mettendo le mani sui fianchi e guardandolo, un po’ perplesso. Mi aspettavo che si allontanasse sbuffando come una piccola teiera in ebollizione, caricando sulla spalle la montagna di fogli e traballando lungo il corridoio lanciando fumo dalle orecchie.
Questo non avvenne.
Rimase fermo, lasciando cadere lo sguardo sui fogli quasi volesse accarezzarli e abbracciarli tutti.
Gli passai due dita sul mento, stringendolo dolcemente fra i polpastrelli e obbligandolo a guardarmi negli occhi.
- Non volevo. – dissi serio.
Lui esalò un lieve sbuffo d’aria.
- Lo so… - mormorò, - Sono io lo stupido.
- No che non sei tu… - ridacchiai, sollevandomi e strofinando una guancia contro la sua, - Non sono stato abbastanza sensibile.
- No, questa roba è idiota. – continuò lui, testardo, - Sono stupidi disegni infantili e la storia non va da nessuna parte. E-
- Ed è adorabile. – strinsi le braccia attorno al suo collo, sfiorandogli il lobo con le labbra, - È adorabile che sia così sciocchino e infantile. Sei adorabile tu.
Mugolò una protesta di un’unica emme strascicata, cercando di divincolarsi con poca convinzione. Io continuai a tenerlo stretto.
- Se avrai pazienza potrai spiegarmi tutto. – gli dissi, accarezzando lievemente le spalle sotto la maglietta leggera che indossava, - E se è vero che la storia non va da nessuna parte, possiamo trovarle un finale insieme.
Matt annuì, rilasciando finalmente il capo contro il mio e riprendendo a respirare come avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
In realtà, questa è una cosa che mi ha sempre fatto un po’ paura. Matt regge bene i colpi ed è una persona estremamente forte, perfettamente in grado di sopportare i drammi anche per gli altri, se è il caso. Ma ha questi momenti incredibili in cui ti si abbandona addosso e sospira, e tu lo senti piccolo e caldo contro di te, così rilassato e tranquillo, come ti stesse mettendo la vita nelle mani e non avesse la benché minima voglia di starci a pensare troppo su…
…è spaventoso, che riesca a farlo.
È spaventoso che, quando lo fa, riesca anche a darti l’illusione di essere in grado di reggerlo esattamente come farebbe lui con te, se le posizioni fossero ribaltate.
Quando, in passato, Matt s’è affidato a me, io ho sempre creduto che sarei stato in grado di aiutarlo. E quando lui mi sta vicino, la sensazione è ancora vivida. E riesco a crederci sul serio.
Quando è lontano, però, non è la stessa cosa. E troppo spesso ho un po’ di paura di non riuscire ad aiutare neanche me stesso, senza di lui. Figurarsi qualcun altro.
***
- Matt, tu riesci a vederci nel futuro?
Non l’ho salutato. Non ho detto chi ero – ma di questo non c’era bisogno. Non gli ho chiesto come stesse, cosa stesse facendo, se avesse altri impegni, se avesse il tempo di starmi a sentire, di seguirmi nell’ennesima conversazione folle nella quale lo costringerò ad inerpicarsi per seguire il filo sempre più confuso e aggrovigliato del mio pensiero malinconico.
L’ho semplicemente sparata lì, perché è da tutto il pomeriggio che ci penso e non vedevo l’ora di essere libero da impegni di ogni sorta per potermi attaccare a questo dannato cellulare e raggiungere la sua voce dall’altro lato dell’oceano.
L’ho sparata lì sperando che lui riuscisse a tirarne fuori qualcosa di utile.
Perché è la classica domanda del cazzo che ti fai quando sei mortalmente triste e mortalmente annoiato e anche guardare un tramonto non riesce ad essere più una normale operazione vagamente romantica, ma deve trasformarsi necessariamente in qualche deprimente metafora sulla vita e sulla morte o, peggio, sulle relazioni sentimentali. E quindi sì, era una domanda inutile.
Ma ho visto Matt tirar fuori qualcosa di sensato anche da cose più assurde. Perciò ho buone speranze di riuscire nel mio intento.
- Come hai detto? – chiede lui, incerto, spostandosi verso un punto più tranquillo del luogo in cui si trova. Che, a giudicare dal vociare convulso attorno a lui, deve essere particolarmente affollato.
- Ti ho chiesto se riesci a vederci nel futuro. – ripeto seriamente, senza muovermi di un centimetro dal luogo in cui sono. Ovvero la tazza del bagno sul tour bus.
- Be’, mi piacerebbe. – ridacchia lui, in quel modo stupido e oltremodo tenero in cui sembra stia dicendo proprio hehe, - Ma non sono una chiromante. Non ancora, almeno. Ma ho una zia che se ne intende, se vuoi…
- Scemo… - biascico stancamente, lasciandomi andare di schiena contro la cassetta attaccata alla parete.
- Sicuro che sia tutto a posto? – chiede Matt, mascherando l’evidente preoccupazione nella voce con una risatina nervosa, - Quando ti ho sentito prima eri completamente esaltato, sembrava che dovessi cominciare a volare da un momento all’altro, e ora stai così…
- Ma che vuol dire “così”? – rido anche io, altrettanto nervoso, - Guarda che non ho niente, ti ho solo fatto una domanda…
- Ma non mi hai mica chiesto com’è il tempo Brian… non sono stupido…
Mai pensato…
Cioè, forse sì.
Ma era tanto, tanto, tanto tempo fa, e ormai me lo scordo sempre.
E poi ero un idiota.
Oh, be’, lo sono ancora.
- Sei un idiota, Bellamy.
- Ma-…!
- È che stamattina – riprendo in fretta, prima che possa continuare, - ho trovato una cosa che mi ha fatto… ricordare delle cose…
- Dio, mi sembri mia madre…! – esplode lui, con tono lamentoso.
- Eh…? – chiedo io, dal momento che non comprendo il parallelismo.
- Ma sì! – spiega Matt, nella voce quel lieve tono di irritazione giocosa che i figli amano utilizzare quando parlano dei propri genitori, - Tipo quando mi chiama e comincia a ciarlare di cose assurde e poi spara fuori il nome di un qualche strumento allucinante e mi chiede se per caso non mi ricordi dove lo mettesse, dato che lei non riesce più a trovarlo! E comincia, “Ma sì, Matty, quel coso, lo mettevo sempre lì, nel coso, possibile che non ti ricordi?”. E io faccio l’espressione dell’arancino rosa con gli occhi pallati e faccio “Mamma, ma che diamine! Non vivo più con te da più di dieci anni! Come puoi pretendere che sappia in che coso hai ficcato il coso?!”. – sbuffa, mentre io trattengo a fatica le risate e sono seriamente tentato di afferrare l’asciugamano penzolante dal sostegno attaccato al muro e soffocarmi con quello, nella speranza di non svegliare nessuno, - A volte mi fa impazzire. Voglio dire, per quale accidenti di motivo avrei obbligato Paul a restare a vivere con lei, se non fosse per il fatto che io non potevo farle da balia?! – un attimo di pausa, che io utilizzo saggiamente per decidere che sì, posso usare l’asciugamano, o Alex mi strillerà in testa fino a domattina, e poi riprende, - Ma poi il coso che metteva nel coso?! Che cosa accidenti vorrebbe dire?! Scommetto che avrei difficoltà anche se vivessi con lei!
Si ferma, sbottando un ulteriore “bah” mentre mi ascolta affondare il viso nell’asciugamano e tamponarmi le labbra perché non sfuggano troppe risate sguaiate.
- Non ti ammazzare. – commenta ironico, punzecchiandomi.
- Ma che diavolo di mestiere faceva tua madre, Matt? – chiedo, ormai tanto preso dal discorso da poter accantonare la stupida domanda dalla quale tutto è partito, - La faccenda dei “cosi” mi preoccupa…
- Ma no, era un’innocua maestra elementare! Solo che da quando è andata in pensione ha deciso che l’arte è la sua via e s’è messa a dipingere quadri! Puoi crederci?
- Uhm. – mugugno, puntellandomi il mento con l’indice, - In una parola? Sì.
- Basta! – sbotta lui, soffiando nella cornetta, - Mi stai prendendo per il culo!
Ridacchio e resto in silenzio, dondolandomi tranquillamente sul water. Non so neanche di cosa resto in attesa, probabilmente era in un locale a passare un po’ di tempo con Dom e Chris e io sono piombato nel mezzo della sua serata blaterando insensatezze e costringendolo a blaterare a propria volta senza un perché, quindi, se volesse, potrebbe semplicemente salutare e buttare giù, e non potrei avere niente da ridire.
A volte spero quasi che lo faccia. Che mi dimostri che in fondo non siamo poi così attaccati, così disgustosamente compatibili e perfetti l’uno per l’altro.
- Comunque, certo che riesco a vederci nel futuro.
…no, ho detto una bugia.
- Felici e contenti.
Non vorrei mai che me lo dimostrasse.
- In una casa tutta nostra.
Semmai il contrario.
- Feste di Natale e compleanni coi parenti compresi.
Mi piacerebbe davvero continuare a illudermi fosse vero il più a lungo possibile.
Nota di fine capitolo della Nai:
*___________________________*
Fidatevi, riassume esattamente il mio stato d’animo nel rileggere.
Questo per me è il capitolo più Bello! dell’intera fan fiction (per cui siete autorizzati a smettere di leggere da qui in poi -_-).
E posso dirlo con felicità e gioia! Perché io non ci ho messo niente di niente!!!
Quindi, senza alcun pudore, grido gioiosamente che questo è il Capitolo Più Bello Della Fanfiction!!! *-*
Amerò Matt per il resto della mia vita solo per quelle due battute finali T_T
- Felici e contenti.
e
- Feste di Natale e compleanni coi parenti compresi.
Brian, sposalo o sei un pirla!!! Tu non ti rendi conto!!! Sei la donna più fortunata del mondo!!! çOç
Lizzie, sei un genio ç_ç
p.s. per capire le affermazioni di Nai: Brian nella testa di Nai E’ donna ù_ù
Note di liz che si prepara ad intimorirvi:
Nai è pazza e questo NON è il capitolo più bello della fanfiction. La cosa è puntualmente dimostrata dal fatto che l’ho scritto io (previo betaggio immancabile della mia adorata, s’intende <3). Insomma, voglio dire. Io + capitolo più bello? Ma no. Suona strano anche a voi, no? Certo che sì, suona strano perché è strano e folle, quindi non sognatevi nemmeno di fermarvi qui, con la lettura: ci sono ancora un mucchio e mezzo di capitoli e devono succedere ancora mille cose fra l’orribile e il puccettoso (la colpa di gran parte delle quali, lo ammetto, è mia, anche se ogni tanto io e Nai ci ritroviamo seriamente a chiederci di chi sia stata l’idea di infilare Gerard Way in questa fanfiction. Per punire e lobotomizzare il colpevole, ovviamente -.-). Quindi, afferrato il messaggio? Non abbandonate Trapped, Trapped vi ama, amatela anche voi çOç
(È figo scrivere le note per ultima, mi permette di farvi il lavaggio del cervello! Non capisco perché Nai si ostini ad obbligarmi a scriverle per prima una volta sì e l’altra no, è indecente!!!)
Ci tengo a specificare che, quando ho scritto la prima parte del capitolo, il fattaccio non s’era ancora consumato ç^ç I Placebo erano ancora una splendida famiglia felice ç^ç E noi non avevamo alcun motivo per odiare irrazionalmente Brian per le sue dichiarazioni postume ai limiti del decoro umano ç^ç Quindi, chiaramente, quando poi il fattaccio s’è consumato, è stato drammatico riprendere il capitolo in mano e cercare di concluderlo mantenendo intatta la vena pucci-lol ç_ç Spero che le macchinine illustrate di Matt e il coso nel coso di sua madre (ahi, suona ambigua alquanto, mh? :3) siano serviti allo scopo. In caso contrario, mi scuso ç_ç
A presto <3
…comunque. Grazie a Whity (amiamo le new entry *-*) ed alle sempre adorate Isult, Stregatta, Erisachan e Memuzza <3 Vi lovviamo <3 A dopo, per le note finali che scriverò per ultima, yay <3
They Have Trapped Me In A Bottle
Six:
Certe volte mi sembra di vedere accadere le cose attorno a me come in quei videogiochi in cui lo schermo viene diviso in due per permettere ai giocatori di avere una visione in tempo reale di ciò che sta avvenendo in un altro luogo. “Vedo” le cose, anche quando non dovrei poterle vedere perché magari si stanno avvicendando oltre il muro, o a chilometri di distanza da me.
È più o meno la sensazione che sto provando adesso, mentre rovisto nello scatolone che ho trovato sul fondo di un sedile nel retro del tour bus e l’aria tranquilla della vettura rimanda alle mie orecchie la melodia di un vecchio successo estivo di qualche anno fa e… l’urlo bestiale di Steve che riemerge dalla propria cuccetta e si chiede – giustamente – cosa diavolo stia succedendo.
Posso vederlo davvero guardarsi intorno con aria smarrita, strabuzzando gli occhi incredulo, mentre cerca le parole per esprimere il proprio sconvolgimento.
Sorrido a metà, mentre mi tuffo più in profondità nello scatolone.
- Cos’è questo schifo, Stef?! – strilla Steve. Lo “vedo” passarsi una mano fra i capelli, dopo aver gesticolato animatamente quando poneva la domanda.
Sento Stef ridacchiare allegramente e rispondere che “questo schifo” significa che io sono felice, e che dunque lui dovrebbe portargli più rispetto.
- Lo preferivo quando era depresso! – commenta Steve, disgustato, - E questa canzone è… terribile! – aggiunge, con lo stesso tono inorridito col quale un padre molto severo rimprovererebbe il proprio figlio se gli trovasse una scatola di preservativi nel cassetto del comodino. – Lui dov’è?
Stef solleva un pollice verso il fondo del bus. Lo so, perché il suo risolino divertito sta dicendo che la prospettiva di Steve che mi maltratta per il mio pessimo gusto musicale lo alletta particolarmente. Poi, sento i passi decisi e pesanti di Steve, ancora un po’ strascicanti di sonno, avvicinarsi a me. Affondo ancora un po’ il viso nello scatolone, sperando di salvarmi dalla sfuriata.
- Brian! – comincia lui, ma si ritrova costretto al silenzio quando una vecchia maglietta dei Metallica gli finisce dritta sul naso, aprendosi come una rete da caccia e avviluppandoglisi attorno alla testa, soffocandolo.
- Questa avrà come minimo cinque anni! – gioisco, soddisfatto del ritrovamento, - L’ho usata per dormire per un intero mese durante il tour… credo di non averla neanche lavata, prima di infilarla qua dentro!
Steve si libera della maglia con uno sbuffo esasperato e vagamente disgustato, e me la avvolge attorno al collo come una sciarpa.
- Si può sapere cosa diavolo stai facendo?! – chiede un po’ incerto, squadrandomi dall’alto.
- C’era questo scatolo – dico, indicando appunto lo scatolo, - sotto quel sedile. – concludo, indicando anche il sedile incriminato.
- Oh. – annuisce Steve, incrociando le braccia sul petto, - Quindi stai facendo un revival. E La Macarena è la colonna sonora. Dio mio!
Ridacchio un po’, ficcando le mani in fondo allo scatolone e riemergendone con un paio di bacchette rosa fra le dita.
- Ah…! – esalo, al colmo del disappunto, - Le avevi lasciate qui, allora!
Steve arrossisce e cerca di rubarmele di mano.
- Non sapevo che fossero qua! – si giustifica blandamente, mentre allontano le bacchette da lui.
- Non ti regalerò più niente. – sbuffo contrariato, abbandonandole poi sulla pila di oggetti che ho già tirato fuori e osservando Steve chinarsi per afferrarle e nasconderle infastidito sotto la maglietta, incastrate fra il ventre e l’elastico dei pantaloni della tuta che indossa.
Continuo a rovistare, nella speranza che qualche altro cimelio storico riveli la propria presenza, confidandomi segreti che sono semplici ricordi, che credevo estinti – e che non lo erano.
- Questa roba dovresti bruciarla… - sussurra Steve, cogliendo in un colpo d’occhio una foto che mi raffigura ubriaco, intento a cantare qualcosa sul tetto di una macchina, prima che io possa affrettarmi a farla sparire sotto una sgabello ripiegabile.
- No… - dico io, con tono lamentoso, - Perché?
Lui sorride, indicando con un cenno del capo un’altra foto. Stavolta siamo io ed Helena, aggrappati l’uno all’altro sul divanetto di un locale londinese random.
Scrollo le spalle.
- Non sono cose che ricordo con tristezza, sai? – gli faccio notare, con una punta di fastidio, mentre anche lui si mette a rovistare nello scatolo, interrompendo la mia ricerca.
- Sono cose che non ti appartengono più. – spiega lui, tranquillo, - Roba vecchia. Non aggiunge niente a ciò che sei adesso. Che cosa sono questi calzini pelosi…?
- Li ho comprati ad Amsterdam! – sbotto, - Sai quanto tengono caldo la notte?
- Evidentemente non così tanto, - dice lui, con una scrollatine di spalle, - se li hai dimenticati qui per tutto questo tempo.
Abbasso lo sguardo sul contenuto dello scatolo, per poi spostarlo sulle cose che ne ho già tirato fuori, e che aspettano direttive per capire cosa fare di sé stesse.
In effetti, realizzo fin troppo serenamente, ognuna di queste cose ha un motivo ben preciso per trovarsi qui.
E anche un motivo molto valido per rimanerci.
- Suppongo di sì. – dico svogliatamente, lasciandomi andare seduto per terra.
Steve continua a rovistare nello scatolone ancora per un po’. Poi sul suo volto si apre questo sorriso enorme, e lui riemerge dal disastro in cui ha ficcato la testa e mi guarda. Solleva una mano. Fra le dita tiene una foto. Sulla pellicola lucida, tre volti sorridenti. Lui, io e Stef, stretti insieme in un melenso abbraccio di gruppo dopo un concerto.
- Salviamo questa e buttiamo tutto il resto! – suggerisce felice, - Ok?
Sospiro, poggiando i gomiti sulle ginocchia e piegandomi lievemente in avanti. Sorrido anche io.
- Ci penserò.
Mi avvicinai a lui solo dopo una mezz’oretta, perché stavo cominciando a sentirmi trascurato. È una cosa che può capitare, con Matt, perché da questo punto di vista è molto infantile, e quando si concentra su qualcosa difficilmente è in grado di pensare ad altro. Intendo, non è che si dimentichi della tua esistenza… probabilmente ha come un allarme interiore che, passato un determinato periodo di tempo, lo costringe a staccare gli occhi da qualsiasi cosa stia facendo e chiederti un parere a caso per rassicurarti sul fatto che sì, sa che sei ancora lì, e sì, gli interessa che tu ci rimanga…
…ciò detto, comunque, quando qualcosa di particolarmente accattivante cattura la sua attenzione, è difficile che l’allarme scatti prima di un’oretta o due. E siccome la mia tolleranza resiste al massimo quarantacinque minuti, cerco sempre di risvegliarlo dalla trance in tempi utili. Ovvero, prima di cominciare a strillare come un ossesso, affermando che mai e poi mai mi lascerò ignorare dal primo venuto, che non tollero neanche la sua vista e che farebbe bene a non farsi risentire mai più, “tanto, per quello che gliene importa!”.
Sì, a volte ho davvero reazioni simili. E no, non ne vado fiero. E sì, Matt c’è già passato, nonostante stia con me da relativamente poco. Ma no, non mi ha dato del pazzo furioso. Piuttosto, sì, s’è messo a ridere. E, sorprendentemente, no, questo non mi ha offeso.
Comunque, mi avvicinai e cercai di evitare di sbirciare oltre la sua spalla, perché io odio lo si faccia con me, e non volevo infastidirlo.
Lo vidi riscuotersi e sollevare il capo come avesse percepito la mia presenza.
- Brian! – trillò felice, ed io sorrisi istantaneamente. Mi piace quando dice il mio nome, lo fa suonare dolce. E il mio nome fa veramente schifo, quindi c’è di che stupirsi. È un’altra delle sue magie, suppongo… - Stavo pensando proprio a te! – aggiunse, ruotando sulla sedia per guardarmi meglio.
- Ero qui dietro… - gli feci notare dolcemente, appoggiandomi alle sue spalle con le braccia incrociate.
- Sì, lo so! – disse lui, ridacchiando, - Intendevo proprio che stavo pensando a te mentre lavoravo a questo…
- “Questo”…? – chiesi titubante, ancora restio a guardare sul tavolo.
Lui annuì tranquillamente.
- Un romanzo. – spiegò.
Le sue parole mi convinsero a dare una sbirciatina. Vidi fogli enormi, i tipici fogli da album A4, sparsi ovunque. Alcuni bianchi immacolati. Altri… colorati.
- Un romanzo, Matt…?
- Be’… - precisò lui, un po’ incerto, - Un romanzo illustrato.
Sbuffai, vagamente divertito.
- Non sapevo che avessi velleità di questo tipo.
- Ma no… - arrossì lui, - Non intendo mica pubblicarlo o che… Solo… concluderlo.
Ridacchiai.
- E vediamo un po’ questa storia… - lo stuzzicai, arrampicandomi sulle sue spalle per guardare meglio.
- Aaah! No! – mi contrastò, gettandosi a peso morto sul tavolo, coprendo i fogli col proprio corpo, - Non puoi cominciare da qui! – mi ammonì seriamente, - Devi cominciare dall’inizio, questa è circa la metà…
- Oh… - annuii, un po’ preoccupato dal fatto che lui la stesse prendendo così seriamente.
Mi lasciai trascinare per mano fino ad una specie di enorme credenza dall’aria antica, che riempiva per metà il corridoietto appena fuori dal suo studio. Lo osservai aprire gli sportelli e sobbarcarsi del peso di un’incredibile quantità di fogli, che riportò nella stanza dalla quale eravamo usciti. Nel frattempo, aveva anche preso a parlare. Si muovevano, lui e la pila di fogli, borbottando “Non essere troppo severo” sottovoce, ondeggiando pericolosamente. Il fruscio della carta sembrava anche lui un borbottio insicuro.
Scomparve oltre la soglia della porta e poggiò i fogli sul tavolo.
- Perciò… - cominciò, ma si fermò subito. Rimase un attimo in silenzio, e dopo un po’ lo sentii chiamarmi a mezza voce.
Io ero rimasto in corridoio. Non so nemmeno perché.
Si affacciò dallo studio e mi chiese se per caso non fossi scemo. Dopodichè, mi tese la mano. Io accettai la stretta e lasciai che fosse lui a trascinarmi di nuovo davanti alla scrivania.
- Bene. – disse con aria grave, sollevando un foglio, - Cominciamo.
Il disegno consisteva in una linea azzurra orizzontale, che tagliava in due l’immagine, una palletta rossa con due pallette nere sotto, a sinistra, e una palletta verde al centro. In alto, un’altra palletta, stavolta gialla.
Non avevo la minima idea di cosa potesse rappresentare. E dimenticai la sensibilità, nel farglielo presente.
- Come “cos’è”?! – strillò lui, mortalmente offeso, - Una strada! Una macchina che l’attraversa! …e questo è un cactus!
- Oh. – presi nota, - E quello è il sole…?
Lui annuì freneticamente, stringendo la presa sul foglio in maniera convulsa.
- Scusa… - mormorai incerto, mordicchiandomi le labbra.
Matt scosse il capo, posò il primo foglio e ne prese un secondo.
Stessa linea azzurra, stessa palletta gialla, stessa palletta verde. La palletta rossa con le due pallette nere si trovava adesso al centro, poco più indietro rispetto al “cactus”.
- …la macchina si è mossa?
Annuì, ancora deluso dalla mia incredulità.
Posò anche il secondo foglio e recuperò il terzo.
Tutto uguale, ma la palletta rossa era a destra, carico di pallette nere compreso.
- …ed ora è arrivata.
Lui annuì ancora.
- Ma solo alla fine del primo capitolo! – precisò, agitando un dito.
- Più un prologo, direi… - risi io, osservando il resto dei fogli sparsi disordinatamente sul tavolo.
Matt sbuffò e rimise tutto in ordine, borbottando deluso, preparandosi a riportare i fogli nella credenza.
- Non fare così, su… - dissi io dolcemente, abbracciandolo da dietro, - Perché non me ne dai un po’? Lo porto a casa e lo leggo quando ho tempo.
- Tanto non lo capiresti! – si lamentò lui, cercando di divincolarsi dalla mia stretta.
Io ridacchiai un po’. Mi dispiaceva averlo offeso così, ma la cosa nel complesso era così carina e, be’, diciamocelo, così idiota, che proprio non riuscivo a prenderla seriamente.
- Credo tu abbia ragione… - commentai, bloccandogli le braccia e sollevandomi appena per baciarlo sulle labbra, - Ma capisco anche solo la metà dei tuoi testi… eppure questo non ti impedisce di farmi ascoltare le tue canzoni.
- Sono cose diverse! – protestò giustamente lui, scuotendosi, infastidito dalla prigionia in cui l’avevo ridotto.
Lo lasciai andare, mettendo le mani sui fianchi e guardandolo, un po’ perplesso. Mi aspettavo che si allontanasse sbuffando come una piccola teiera in ebollizione, caricando sulla spalle la montagna di fogli e traballando lungo il corridoio lanciando fumo dalle orecchie.
Questo non avvenne.
Rimase fermo, lasciando cadere lo sguardo sui fogli quasi volesse accarezzarli e abbracciarli tutti.
Gli passai due dita sul mento, stringendolo dolcemente fra i polpastrelli e obbligandolo a guardarmi negli occhi.
- Non volevo. – dissi serio.
Lui esalò un lieve sbuffo d’aria.
- Lo so… - mormorò, - Sono io lo stupido.
- No che non sei tu… - ridacchiai, sollevandomi e strofinando una guancia contro la sua, - Non sono stato abbastanza sensibile.
- No, questa roba è idiota. – continuò lui, testardo, - Sono stupidi disegni infantili e la storia non va da nessuna parte. E-
- Ed è adorabile. – strinsi le braccia attorno al suo collo, sfiorandogli il lobo con le labbra, - È adorabile che sia così sciocchino e infantile. Sei adorabile tu.
Mugolò una protesta di un’unica emme strascicata, cercando di divincolarsi con poca convinzione. Io continuai a tenerlo stretto.
- Se avrai pazienza potrai spiegarmi tutto. – gli dissi, accarezzando lievemente le spalle sotto la maglietta leggera che indossava, - E se è vero che la storia non va da nessuna parte, possiamo trovarle un finale insieme.
Matt annuì, rilasciando finalmente il capo contro il mio e riprendendo a respirare come avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
In realtà, questa è una cosa che mi ha sempre fatto un po’ paura. Matt regge bene i colpi ed è una persona estremamente forte, perfettamente in grado di sopportare i drammi anche per gli altri, se è il caso. Ma ha questi momenti incredibili in cui ti si abbandona addosso e sospira, e tu lo senti piccolo e caldo contro di te, così rilassato e tranquillo, come ti stesse mettendo la vita nelle mani e non avesse la benché minima voglia di starci a pensare troppo su…
…è spaventoso, che riesca a farlo.
È spaventoso che, quando lo fa, riesca anche a darti l’illusione di essere in grado di reggerlo esattamente come farebbe lui con te, se le posizioni fossero ribaltate.
Quando, in passato, Matt s’è affidato a me, io ho sempre creduto che sarei stato in grado di aiutarlo. E quando lui mi sta vicino, la sensazione è ancora vivida. E riesco a crederci sul serio.
Quando è lontano, però, non è la stessa cosa. E troppo spesso ho un po’ di paura di non riuscire ad aiutare neanche me stesso, senza di lui. Figurarsi qualcun altro.
- Matt, tu riesci a vederci nel futuro?
Non l’ho salutato. Non ho detto chi ero – ma di questo non c’era bisogno. Non gli ho chiesto come stesse, cosa stesse facendo, se avesse altri impegni, se avesse il tempo di starmi a sentire, di seguirmi nell’ennesima conversazione folle nella quale lo costringerò ad inerpicarsi per seguire il filo sempre più confuso e aggrovigliato del mio pensiero malinconico.
L’ho semplicemente sparata lì, perché è da tutto il pomeriggio che ci penso e non vedevo l’ora di essere libero da impegni di ogni sorta per potermi attaccare a questo dannato cellulare e raggiungere la sua voce dall’altro lato dell’oceano.
L’ho sparata lì sperando che lui riuscisse a tirarne fuori qualcosa di utile.
Perché è la classica domanda del cazzo che ti fai quando sei mortalmente triste e mortalmente annoiato e anche guardare un tramonto non riesce ad essere più una normale operazione vagamente romantica, ma deve trasformarsi necessariamente in qualche deprimente metafora sulla vita e sulla morte o, peggio, sulle relazioni sentimentali. E quindi sì, era una domanda inutile.
Ma ho visto Matt tirar fuori qualcosa di sensato anche da cose più assurde. Perciò ho buone speranze di riuscire nel mio intento.
- Come hai detto? – chiede lui, incerto, spostandosi verso un punto più tranquillo del luogo in cui si trova. Che, a giudicare dal vociare convulso attorno a lui, deve essere particolarmente affollato.
- Ti ho chiesto se riesci a vederci nel futuro. – ripeto seriamente, senza muovermi di un centimetro dal luogo in cui sono. Ovvero la tazza del bagno sul tour bus.
- Be’, mi piacerebbe. – ridacchia lui, in quel modo stupido e oltremodo tenero in cui sembra stia dicendo proprio hehe, - Ma non sono una chiromante. Non ancora, almeno. Ma ho una zia che se ne intende, se vuoi…
- Scemo… - biascico stancamente, lasciandomi andare di schiena contro la cassetta attaccata alla parete.
- Sicuro che sia tutto a posto? – chiede Matt, mascherando l’evidente preoccupazione nella voce con una risatina nervosa, - Quando ti ho sentito prima eri completamente esaltato, sembrava che dovessi cominciare a volare da un momento all’altro, e ora stai così…
- Ma che vuol dire “così”? – rido anche io, altrettanto nervoso, - Guarda che non ho niente, ti ho solo fatto una domanda…
- Ma non mi hai mica chiesto com’è il tempo Brian… non sono stupido…
Mai pensato…
Cioè, forse sì.
Ma era tanto, tanto, tanto tempo fa, e ormai me lo scordo sempre.
E poi ero un idiota.
Oh, be’, lo sono ancora.
- Sei un idiota, Bellamy.
- Ma-…!
- È che stamattina – riprendo in fretta, prima che possa continuare, - ho trovato una cosa che mi ha fatto… ricordare delle cose…
- Dio, mi sembri mia madre…! – esplode lui, con tono lamentoso.
- Eh…? – chiedo io, dal momento che non comprendo il parallelismo.
- Ma sì! – spiega Matt, nella voce quel lieve tono di irritazione giocosa che i figli amano utilizzare quando parlano dei propri genitori, - Tipo quando mi chiama e comincia a ciarlare di cose assurde e poi spara fuori il nome di un qualche strumento allucinante e mi chiede se per caso non mi ricordi dove lo mettesse, dato che lei non riesce più a trovarlo! E comincia, “Ma sì, Matty, quel coso, lo mettevo sempre lì, nel coso, possibile che non ti ricordi?”. E io faccio l’espressione dell’arancino rosa con gli occhi pallati e faccio “Mamma, ma che diamine! Non vivo più con te da più di dieci anni! Come puoi pretendere che sappia in che coso hai ficcato il coso?!”. – sbuffa, mentre io trattengo a fatica le risate e sono seriamente tentato di afferrare l’asciugamano penzolante dal sostegno attaccato al muro e soffocarmi con quello, nella speranza di non svegliare nessuno, - A volte mi fa impazzire. Voglio dire, per quale accidenti di motivo avrei obbligato Paul a restare a vivere con lei, se non fosse per il fatto che io non potevo farle da balia?! – un attimo di pausa, che io utilizzo saggiamente per decidere che sì, posso usare l’asciugamano, o Alex mi strillerà in testa fino a domattina, e poi riprende, - Ma poi il coso che metteva nel coso?! Che cosa accidenti vorrebbe dire?! Scommetto che avrei difficoltà anche se vivessi con lei!
Si ferma, sbottando un ulteriore “bah” mentre mi ascolta affondare il viso nell’asciugamano e tamponarmi le labbra perché non sfuggano troppe risate sguaiate.
- Non ti ammazzare. – commenta ironico, punzecchiandomi.
- Ma che diavolo di mestiere faceva tua madre, Matt? – chiedo, ormai tanto preso dal discorso da poter accantonare la stupida domanda dalla quale tutto è partito, - La faccenda dei “cosi” mi preoccupa…
- Ma no, era un’innocua maestra elementare! Solo che da quando è andata in pensione ha deciso che l’arte è la sua via e s’è messa a dipingere quadri! Puoi crederci?
- Uhm. – mugugno, puntellandomi il mento con l’indice, - In una parola? Sì.
- Basta! – sbotta lui, soffiando nella cornetta, - Mi stai prendendo per il culo!
Ridacchio e resto in silenzio, dondolandomi tranquillamente sul water. Non so neanche di cosa resto in attesa, probabilmente era in un locale a passare un po’ di tempo con Dom e Chris e io sono piombato nel mezzo della sua serata blaterando insensatezze e costringendolo a blaterare a propria volta senza un perché, quindi, se volesse, potrebbe semplicemente salutare e buttare giù, e non potrei avere niente da ridire.
A volte spero quasi che lo faccia. Che mi dimostri che in fondo non siamo poi così attaccati, così disgustosamente compatibili e perfetti l’uno per l’altro.
- Comunque, certo che riesco a vederci nel futuro.
…no, ho detto una bugia.
- Felici e contenti.
Non vorrei mai che me lo dimostrasse.
- In una casa tutta nostra.
Semmai il contrario.
- Feste di Natale e compleanni coi parenti compresi.
Mi piacerebbe davvero continuare a illudermi fosse vero il più a lungo possibile.
Nota di fine capitolo della Nai:
*___________________________*
Fidatevi, riassume esattamente il mio stato d’animo nel rileggere.
Questo per me è il capitolo più Bello! dell’intera fan fiction (per cui siete autorizzati a smettere di leggere da qui in poi -_-).
E posso dirlo con felicità e gioia! Perché io non ci ho messo niente di niente!!!
Quindi, senza alcun pudore, grido gioiosamente che questo è il Capitolo Più Bello Della Fanfiction!!! *-*
Amerò Matt per il resto della mia vita solo per quelle due battute finali T_T
- Felici e contenti.
e
- Feste di Natale e compleanni coi parenti compresi.
Brian, sposalo o sei un pirla!!! Tu non ti rendi conto!!! Sei la donna più fortunata del mondo!!! çOç
Lizzie, sei un genio ç_ç
p.s. per capire le affermazioni di Nai: Brian nella testa di Nai E’ donna ù_ù
Note di liz che si prepara ad intimorirvi:
Nai è pazza e questo NON è il capitolo più bello della fanfiction. La cosa è puntualmente dimostrata dal fatto che l’ho scritto io (previo betaggio immancabile della mia adorata, s’intende <3). Insomma, voglio dire. Io + capitolo più bello? Ma no. Suona strano anche a voi, no? Certo che sì, suona strano perché è strano e folle, quindi non sognatevi nemmeno di fermarvi qui, con la lettura: ci sono ancora un mucchio e mezzo di capitoli e devono succedere ancora mille cose fra l’orribile e il puccettoso (la colpa di gran parte delle quali, lo ammetto, è mia, anche se ogni tanto io e Nai ci ritroviamo seriamente a chiederci di chi sia stata l’idea di infilare Gerard Way in questa fanfiction. Per punire e lobotomizzare il colpevole, ovviamente -.-). Quindi, afferrato il messaggio? Non abbandonate Trapped, Trapped vi ama, amatela anche voi çOç
(È figo scrivere le note per ultima, mi permette di farvi il lavaggio del cervello! Non capisco perché Nai si ostini ad obbligarmi a scriverle per prima una volta sì e l’altra no, è indecente!!!)
Ci tengo a specificare che, quando ho scritto la prima parte del capitolo, il fattaccio non s’era ancora consumato ç^ç I Placebo erano ancora una splendida famiglia felice ç^ç E noi non avevamo alcun motivo per odiare irrazionalmente Brian per le sue dichiarazioni postume ai limiti del decoro umano ç^ç Quindi, chiaramente, quando poi il fattaccio s’è consumato, è stato drammatico riprendere il capitolo in mano e cercare di concluderlo mantenendo intatta la vena pucci-lol ç_ç Spero che le macchinine illustrate di Matt e il coso nel coso di sua madre (ahi, suona ambigua alquanto, mh? :3) siano serviti allo scopo. In caso contrario, mi scuso ç_ç
A presto <3