animanga: maes hughes

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia.
Pairing: Havoc/Mustang/Hughes accennato.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Threesome (accennato), Switchgender, Flashfic.
- "L’ho trovato— trovata— quello che è, comunque, era già così quando sono arrivato."
Note: Scritta per la Notte Bianca @ maridichallenge, su prompt Fullmetal Alchemist, genderswitch.
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CLOSE THE DOOR

- Quando è successo? – chiede Hughes, inarcando un sopracciglio. Il suo tono è calmo, professionale. Abbastanza inquietante, data la situazione. È come se la notizia non l’avesse sconvolto per niente, la qual cosa è semplicemente impossibile, soprattutto guardando il divano e ciò che vi sta seduto sopra.
- Uhm, non ne sono sicuro. – risponde Havoc, grattandosi nervosamente la nuca, - L’ho trovato— trovata— quello che è, comunque, era già così quando sono arrivato.
Hughes si gratta il mento con aria pensosa, assottigliando gli occhi e chinandosi appena. Sul divano, ciò che resta di Roy Mustang si stringe nelle spalle. La divisa, ora che le sue spalle sono più piccole e la loro curva è più dolce, è troppo grande, e cade da tutte le parti lasciando scoperti centimetri di pelle rosa dal profumo talmente intenso da lasciarlo un po’ stordito. Si rimette dritto, vagamente turbato, accarezzandosi il pizzetto.
- Si ha qualche idea su chi possa aver fatto una cosa del genere? – chiede, cercando di mantenere il proprio tono il più distaccato possibile.
Havoc scuote il capo e scrolla le spalle.
- Nessuna. È semplicemente… successo. Anche lui— lei— dice che non lo sa. O almeno, così mi è sembrato di capire.
Hughes si volta a guardarlo, incerto.
- Ti è sembrato di capire? – chiede.
- Sì, be’. – gesticola Havoc, distogliendo lo sguardo, - Non è che proprio parli. Mugugna, più che altro.
Hughes inarca un sopracciglio e si china nuovamente su Mustang, cercando di ignorare il suo profumo e di restare presente a se stesso. Tra l’altro, è abbastanza allucinante che Mustang puzzasse come un caprone fino all’ultima volta che l’ha visto, da bravo maschio particolarmente reticente nei confronti dell’acqua, ed ora invece profumi di rosa e gelsomino come se l’odore venisse da una fonte inesauribile dentro di lui.
- Roy? – lo chiama, - Dimmi qualcosa. Spiegami cosa è successo.
Mustang scuote con forza il capo, strizzando le palpebre. Si stringe nelle spalle così tanto da diventare minuscolo, e la frangetta scura scende a coprirgli gli occhi, incredibilmente più grandi e liquidi di come Hughes li ricordasse. Havoc, da qualche parte accanto a lui, deglutisce pesantemente, e solo dopo un paio di occhiate più approfondite Hughes riesce a capire che ciò è dovuto al fatto che, nel movimento, i pantaloni ormai larghissimi di Mustang sono scivolati un po’ lungo i suoi fianchi, scoprendo un po’ delle natiche tonde e sode.
Scuote con forza il capo, poggiando una mano sulla spalla di Mustang, pentendosene immediatamente ma lasciandola comunque lì per buona misura.
- Roy, avanti. – dice più dolcemente, accarezzandolo appena nel tentativo di rassicurarlo, - Raccontami tutto.
La voce di Roy è solo un sussurro, quando finalmente si decide a parlare. Havoc spalanca gli occhi e trattiene il respiro mentre Mustang si solleva sulle ginocchia, tirando su le gambe sotto il sedere nel tentativo di non lasciar scivolare troppo i pantaloni lungo le cosce bianche e lisce, e si aggrappa con forza alla camicia di Hughes, obbligandolo ad abbassarsi finché le sue labbra rosa non sfiorano il lobo del suo orecchio.
- Non so cosa è successo. – mugola appena, - E la mia voce è tremenda… - commenta in un piagnucolio stanco. Torna a sedersi, i vestiti tutti scomposti e la casacca che si abbassa ancora un po’, lasciando intravedere un accenno di seno. – Odio tutto questo. – si lamenta, coprendosi il viso con entrambe le mani, mentre la maglia scende ancora, mostra la curva della sua schiena ed un’altra porzione di curva del seno.
Hughes deglutisce faticosamente, inumidendosi le labbra. Havoc lo guarda con terrore crescente, notando il rigonfiamento evidente nei suoi pantaloni all’altezza del cavallo. Lo spaventa, ma non quanto lo spaventi il proprio stesso sesso talmente duro da fare male in mezzo alle gambe.
- Havoc. – lo chiama Hughes, il tono basso e grave. Mustang tira su col naso e lascia andare un lamento così involontariamente sexy da dargli i brividi. – Chiudi la porta.
Il terrore di Havoc raggiunge il proprio apice, mentre i suoi occhi si spalancano e tutti i suoi arti si tendono.
- Cosa…? – prova a chiedere, sperando che Hughes si metta e ridere e gli dica che stava solo scherzando. Hughes, invece, si siede accanto a Mustang e gli toglie la casacca di dosso, delicatamente. Roy si volta a guardarlo con aria incerta, gli occhi rossi, umidi e un po’ persi.
- Maes…? – lo chiama in un miagolio lagnoso. L’erezione di Havoc si tende un po’ di più.
- Chiudi la porta. – ripete Hughes, senza smettere di guardare Mustang negli occhi nemmeno per un secondo. Havoc si riscuote, e obbedisce.
Genere: Romantico, Triste.
Pairing: SheskaxMaes principalmente, un po' di sano RoyxRiza e un po' di velato AlxEd.
Rating: R
AVVISI: What if?, Incompleta.
- Maes Hughes è un uomo fedele. Maes Hughes non tradirebbe mai la fiducia di sua moglie o quella della sua amata figlia. Maes Hughes è abbastanza forte da resistere ad ogni tentazione. O forse no.
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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GROUNDLESS
Capitolo 1
Ragionevole deviazione


- Sheska, il tuo prossimo compito è...
- BASTA!
Detonazione improvvisa e violenta.
- Non la sopporto più! Non capisco se mi ha presa qui per schiavizzarmi o che altro, ma non ce la faccio più! Pensavo di stare facendo qualcosa per cui dopo sarei stata ricompensata, e invece vengo ricompensata solo con altro lavoro, ancora lavoro, sempre e solo lavoro, e se devo essere completamente sincera la paga non è poi tutto questo granché! Maledico il giorno in cui Ed mi ha raccomandata e soprattutto, sopra ogni cosa, Signore, maledico, maledico, maledico con tutto il cuore il giorno in cui ho incontrato lei, Tenente Colonnello Hughes!!!
Lei si bloccò, le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni strettissimi. Lo sguardo fiero di rabbia e cieca frustrazione sferzava il militare. Faceva quasi male. Fisicamente. Lui la guardò per un po', sentendosi sopraffatto dallo stupore.
- Sh...
- No! Non ascolterò una sola parola di comando! E non mi lascerò riportare all'ordine! Basta, mi licenzio!
- Ma...
- La smetta, Hughes! Non posso più ascoltarla, la sua voce mi infastidisce, mi è insopportabile, basta, basta, basta!
- Sheska, scusa.
Ed era il suo turno di spalancare gli occhi.
- Come ha detto, prego...?
- ...ti ho chiesto scusa.
Ammutolita, continuò a fissarlo, in attesa di... qualunque altra cosa. Qualunque altra cosa, però, non arrivò; poco dopo, si rassegnò a chiedere ulteriori spiegazioni.
- ...perché?
- ...come perché?! Sheska, che storie mi fai?! Prima esplodi in lamentele, e poi quando ti chiedo scusa mi chiedi anche perché?!
- Be', sì.
- Come "sì"?
- Sì. Perché voglio vedere di cosa si sta scusando.
- Ma... di tutto quello che mi hai detto prima…
- ...altro...?
- ...sono sicuro che non faticherai a trovare dell'altro...
- Per esempio essere una persona insopportabilmente stressante, essere noiosamente fissato su sua figlia, non dare un attimo di tregua a chi le sta intorno e...
- Ok, ho capito di essere una pessima persona, puoi finirla qui...
Un po' imbarazzata, lei si strinse nelle spalle.
- Ma... no, non è una pessima persona...
Lui portò una mano alla fronte, sospirando confuso.
- Sheska, non ti seguo più...
- Intendo, non è come se si dovesse scusare di esistere, Signor Hughes. Lei è una brava persona, ha tante buone qualità, è leale, è fedele, è un buon amico, è un bell'uomo e...
S'interruppe, realizzando in un secondo di non essere riuscita a frenare la lingua al momento giusto. Sollevò lo sguardo per cercare di cogliere la reazione dell'uomo alle sue ultime parole, ma sul suo viso non c'era traccia di sorpresa o imbarazzo.
- Ecco... intendevo...
In realtà non avrebbe saputo dire cosa intendesse. Forse perché non intendeva niente. Era stanca, sì. Aveva voglia di sfogarsi, pure. E l'aveva fatto, senza stare troppo a pensare. Ma come, da questo, fosse arrivata a dare a quell'uomo del bell'uomo, be', un mistero. E perché lui rimanesse così impassibile, poi, era un mistero ancora più intricato e fastidioso.
Non sapendo cos'altro dire, rimase in silenzio e tornò al suo posto. Lui, un po' stupito dal suo comportamento, rimase a guardarla ancora per qualche minuto, come cercando di risolverla; non riuscendoci, dopo poco tornò anche lui alle sue faccende.
- ...qual era il prossimo lavoro che voleva assegnarmi, Signore...?
- Eh... la trascrizione successiva in ordine cronologico rispetto all'ultima che hai completato...
- Sissignore.
Afferrò una pila di fogli e, lentamente, cominciò a trascrivere tutto ciò che ricordava.
Ad annunciarle che Hughes s'era avvicinato a lei non fu il suo odore, né la sua ombra, né un qualsivoglia spostamento d'aria. Fu la foto di Elysia, che le apparve davanti agli occhi, sorridente e splendente nella luce del mattino, in groppa a un cavallo a dondolo dall'aria costosa.
- Non è adorabile? - chiese la sua voce melensa - poté immaginare il suo amore paterno sprizzare da ogni poro della sua pelle - Farà quattro anni fra poco! Guardalaguardalaguardala!!!
Furente, cercò di trattenersi, ma riuscì ben poco.
- SIGNORE! Ha capito un'accidenti di quello che le ho detto prima, sì o no?!
Intimorito, lui conservò la foto e fece un passo indietro.
- She...
- E basta! Dannato cocciuto insopportabile! Non ce la faccio più a sentirti parlare della tua dannata famiglia perfetta, e della tua mogliettina perfetta, e della tua figlioletta perfetta, e della tua vita perfetta!!! Smettila!!!
Sorvolò sul "tu" inappropriato.
- Sheska, cos'hai?
Lei si irrigidì tutta, stringendosi nelle spalle.
- Sono... innervosita dal tuo chiacchiericcio! - lo accusò, decisa.
- Non dirlo con quegli occhi!
- Quali occhi?!
- Quegli occhi! Come se fosse veramente questo il tuo problema!
- L-Lo è!
- Avrei potuto crederti se mi avessi detto "Signore, non sopporto sentirla parlare continuamente dei fatti suoi a lavoro". Inceve, nel tuo discorso, hai infilato tutta una sequela di "perfetti" che mi danno da pensare...
Agitata, tentò la fuga, voltandosi e cercando di imboccare la porta. Gesto codardo, sì, ma che alternativa aveva se non voleva che il problema venisse definitivamente fuori?
- Sheska!
Aumentò l'ampiezza del passo, desiderosa di uscire al più presto.
No, non le lasciò fare nemmeno questo. L'afferrò per un braccio proprio mentre era lì, a due centimetri dal suo obiettivo, a due centimetri dalla salvezza.
- Sheska.
La costrinse a voltarsi, tirandola delicatamente. Vicinissimo com'era, ora sì, riusciva a sentirne l'odore. Era un odore rassicurante. Proprio da padre di famiglia. Totalmente dissimile dai profumi economici e di cattivo gusto che usavano i militari le rare volte che si davano una lavata. Non sapeva se a darle più fastidio era la sua presenza così incombente o quel dannato profumo che, insistentemente, le ricordava "ehi, è sposato, ha una figlia, è un uomo rispettabile, PIANTALA di pensarci".
Abbassò lo sguardo. Per tutta risposta, lui l'afferrò per il mento e la costrinse a risollevarlo.
- Parla.
- Niente da dire, Signore.
- Stai negando di avere qualche problema con me?
- Sissignore.
- Sai che, se arrivo a lasciarti andare senza aver risolto niente, puoi considerare il discorso chiuso, così come la tua permanenza qui?
- Sissignore.
- Ed è quello che vuoi?
- Nossignore. Ma non ho molta scelta.
- Perché?
- Cause di forza maggiore, Signore.
- ...non sei mai stata tanto formale, prima.
- Forse avrei dovuto, Signore.
Lui la tenne più stretta per il mento, facendole male.
- E forse invece non dovresti neanche adesso! - sbottò, irritato.
- Neanche lei è mai stato così, Signore.
- Mi infastidisce che i miei sottoposti debbano avere problemi di cui non vogliono parlarmi. Soprattutto se sono coinvolto io.
- Sono problemi personali, Signore.
Fu questo, probabilmente, l'errore più grosso.
- In che senso?
- ...come, Signore?
- Come possono essere problemi personali se io ne sono coinvolto?
- ...lei... non c'entra, infatti.
- Stai esitando.
- Si sbaglia.
- Sheska.
- Non...
- ...?
- Non mi chiami per nome, la prego. Mi ha chiamata per nome già troppe volte, oggi. Non è bello.
- Perché?
- Non mi sento a mio agio, Signore. Perché io la chiamo Signor Hughes, e lei invece mi chiama col mio nome di battesimo.
- Chiamami Maes, dammi del tu e dimmi cos'è che ti sconvolge tanto, una buona volta. - disse lui, risoluto, muovendosi verso la sua scrivania e trascinandola per il mento, che non aveva ancora abbandonato.
- Mi... mi lasci andare, Signore...
- Solo un attimo.
Facendo pressione su una spalla, la costrinse a sedersi dietro la scrivania, sulla grande poltrona girevole in pelle. Solo allora la lasciò libera e, mettendo le mani sui fianchi, si limitò a guardarla, in attesa di spiegazioni. Lei non ne fornì una.
- Parla, Sheska; sto perdendo la pazienza.
- Signore, parlare vuol dire andare via.
- Tu dimmi solo come devo costringerti. Ormai, si tratta di questo, no? Non parlerai se non sotto tortura. Mi sbaglio?
- ...temo di no, Signore.
- Appunto. Consiglia tu il metodo. Consiglia il metodo coercitivo che ti sembra più semplice da superare. Giuro che lo renderò talmente insopportabile che crollerai al primo minuto.
Speventata, lo fissò dal basso, incerta sul da farsi.
- S-Signore... come mai è così-
- E' diventata una questione personale. - la interruppe lui.
Lei prese a fissare il pavimento. Lui le si chinò sopra.
- Sheska.
- Signore, le ho chiesto-
- Ti ho dato il permesso di chiamarmi per nome, se non lo usi è un problema tuo.
- La smetta di interrompermi, santo cielo! - sbottò, irritata, fissandolo con astio.
- Oh. Ecco. Questo è l'atteggiamento che voglio. Come poco fa. Sputamelo in faccia, quello che devi dirmi, e facciamola finita!
- Mi piaci moltissimo, idiota!
Interdetto, lui rimase a fissarla con occhi vacui, cercando di dare un senso a quanto aveva appena sentito.
- ...spiegati...
Lei sospirò, imbarazzata, smettendo di sostenere il suo sguardo.
- Non è così difficile. Puoi arrivarci anche tu.
- Nel senso che mi apprezzi come superiore...?
- Questo sarebbe impossibile.
- Nel senso... che mi apprezzi come collega?
- Anche questo...
- Nel senso...
- Nel senso che ti apprezzo come uomo. Nel senso che mi piaci. - si trattenne un attimo, stringendo i denti, - Nel senso che ti desidero, a volte.
Dopodiché, furono sopraffatti dal silenzio. Almeno fino a quando lui, con una di quelle buffe espressioni che metteva su quando voleva fare il finto tonto, le si avvicinò e, mormorando contrariato, le chiese "Come, a volte?".
- A volte! - rispose lei, terribilmente imbarazzata.
- Non sempre?
- Che discorso è?! Com'è possibile desiderare qualcuno ogni volta che lo si vede?
- COSA?! E' il tuo, che è un discorso assurdo! Se ti piace qualcuno, ti piace sempre!
- Ma tu mi piaci sempre!
- E non mi desideri sempre?
- No!
- E cosa fai, quando mi desideri?
- Mi arrabbio perché non posso averti, che domande!
- ...e quindi poco fa...
Ahi.
A ripensarci bene, forse fu questo qui l'errore più grosso. Quello imperdonabile. Quello della condanna.
Incapace di trovare alcunché da rispondere, si chiuse in un ostinato mutismo, che lui si occupò di riempire con perizia.
- Sheska, sono un uomo sposato. Amo mia moglie. E soprattutto amo Elysia. Solo pensare di poter far loro del male mi fa venire la nausea...
Strinse le labbra, cercando di trattenere le lacrime. Era questo che aveva cercato disperatamente di evitare, fino a quel momento.
- Nonostante questo, non posso dire tu mi sia indifferente, purtroppo.
...eh?
Lo guardò, e i suoi occhi espressero uno stupore tale che lui si sentì in dovere di rispondere.
- Avanti. Non so, credi faccia così con tutti i subordinati che non mi vogliono parlare dei loro problemi personali? Cosa cavolo vuoi che me ne freghi dei problemi personali dei miei subordinati?
Oddio.
- Oh. Parla.
Cos'avrebbe dovuto dire?
- ...
- Non so, dimmi che ti faccio schifo, o che apprezzi la mia sincerità, qualunque cosa. Solo, dì qualcosa.
- ...cos'è che dovrei dire? Non è come se mi avessi detto "Oh, Sheska, anche tu mi piaci tantissimo! Scappiamo insieme!" o una cosa simile...
- Invece ti ho detto più di quanto non mi fosse concesso di dirti. Sei una brava lettrice o no? Leggi fra le righe.
No, fra le sue non riusciva. Dannato mistero ambulante.
- Mi dispiace, Signore. Non so cosa dirle.
Lui la fissò un po', con uno sguardo tra l'affranto e il rassegnato. Sospirando, si mise una mano fra i capelli, portandoli indietro, e, sistemando gli occhiali sul naso, si voltò e cominciò a camminare verso la porta.
Poi, il corpo di Sheska decise di smettere di seguire gli ordini del cervello e cominciare ad agire da solo. E lì cominciarono i guai.
Si alzò in piedi, aggrappandosi con forza alla sua schiena.
- Maes!
Lui si fermò, lì, in mezzo alla stanza, e non disse nulla. Solo, attese.
- Maes...
Lei strinse la presa sull'uniforme, spiegazzandola all'altezza delle scapole.
- Una... volta sola... - bisbigliò, nascondendo il viso nel tessuto.
- ...eh? - chiese lui, spalancando gli occhi, incredulo.
Lei si nascose ancora di più.
- Una volta sola. Concedimela. Ti prego.
Sconvolto. Sconvolto era la parola.
- Scusa. Ti prego.
Finalmente, sì voltò. Quando lei riuscì a guardarlo nuovamente in viso, vide che sorrideva. Era il sorriso che aveva sempre pensato fosse tutto di Glacier. Quello stesso sorriso che poi era diventato anche di Elysia. La Tenerezza.
- Allora ce l'avevi, qualcosa da dire...
Imbarazzata da quanto lo trovasse bello in quel momento, non riuscì a guardarlo ancora, e si abbandonò alle sue braccia che, sicure, la ressero, trainandola dolcemente fino alla scrivania e lasciandola accomodarsi sul ripiano in legno massiccio. Quando lui le accarezzò una guancia e poi, le dischiuse le labbra con un bacio umido al sapore di caffé appena preso, le sembrò di essere nel posto più vicino alla Gioia che avesse mai visitato fino a quel momento.
Baciare Hughes era meglio che leggere.
Alle sue mani bastarono pochi minuti per insinuarsi sotto i suoi vestiti.
- Non voglio che poi ti penta... - disse lei, ansimando, quando intuì che il bacio sarebbe diventato qualcos'altro.
- Me ne pentirò comunque. - rispose lui, chinandosi sul suo collo e divorandone il biancore e la morbidezza con le labbra bagnate. - Quindi, per ora, lasciami fare.
Le sbottonò lentamente la camicetta, e lasciò che lei s'industriasse a spogliarlo dell'uniforme. Lasciò che lei si concentrasse nello scompigliargli i capelli mentre lui, sempre baciandola, la sfiorava sotto la biancheria. E poi lasciò che chiudesse gli occhi, che smettesse di pensare al resto, e lasciò sé stesso dimenticare tutto mentre con bramosia le sfilava le mutandine e le schiudeva le cosce.
- Maes, aspetta... devo dirti… sei il primo...
Fu tentato di fermarsi. L'avrebbe fatto, se lei non si fosse pressata contro di lui in quel modo. Nel modo di chi sa e accetta. Nel modo dell'amante rassegnata.
Provò qualcosa, accidenti a lei. Provò qualcosa di speciale. Provò il brivido delle prime volte con Glacier, e più gli sembrava impossibile più ne era certo.
Quando lei, ansante, s'abbandonò sul tavolo, lui la guardò, e la vide così minuta, nuda e indifesa che non riuscì a non chinarsi su di lei per coprirla e proteggerla. E sapeva che era l'atteggiamento sbagliato. Sapeva che non era un atteggiamento da "una volta sola". Sapeva che da quel momento in poi non avrebbe fatto altro che darsi del maledetto bastardo per ogni ora e ogni giorno della sua vita.
Ma lei continuò a stare lì, piccolissima e adorabile, con gli occhi chiusi e i capelli scompigliati, sotto di lui, in balia delle sue carezze tenere. E per molti minuti, lui continuò a stare tranquillo.