animanga: maho minami

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Romantico, Introspettivo, Triste.
Pairing: KoyukixRyusuke, RyusukexEiji, vago MahoxKoyuki.
Rating: PG-13
AVVISI: Shounen-ai.
- Una mattinata qualsiasi. Una scena già vista e rivista mille volte. Ma qualcosa di strano negli occhi di Ryusuke. Qualcosa che turba Koyuki. L'inizio di una strana storia.
Commento dell'autrice: … Ommioddio XD Qualcuno mi salvi! Signore e signori, vi presento una storia inutile <3 Ripensando a tutto il racconto ho la terribile impressione che manchi totalmente di consistenza XD Soprattutto la seconda parte ç_ç Un disastro ._.””” E dire che c’ho messo anche un casino di tempo a progettarla e studiarla per bene ._. Solo, temo che questo non basti a renderla una storia “solida”, se capite cosa intendo. In fondo, è una robina semplicissima. Ryusuke si approfitta di Koyuki (anche abbastanza ingenuamente, povero), Koyuki è una ragazzina XD e ci casca, e finisce per innamorarsi dell’uomo sbagliato, passando giorni interi a disperarsi per amore rinchiuso in camera sua. Tutto qui.
Se penso che l’atteggiamento di Koyuki sia esagerato per una semplice delusione d’amore? Assolutamente sì XD
Se penso sia impossibile che una persona vera reagisca così per una semplice delusione d’amore? Assolutamente no XD
Credo sia piuttosto verosimile, in realtà. Anche se ammetto che tutti i pg debbano sembrare abbastanza allucinanti e odiosi, per come li ho descritti io XD Koyuki è una piaga, Ryusuke è un bastardo, Maho è cretina XD Un disastro. Si salva giusto Eiji *-* Eiji è positivo, è allegro, nonostante tutto, e poi è puccino X3 Mi è piaciuto lavorare con lui, anche perché nella serie danno giusto un paio di hint rispetto a quale possa essere il suo carattere, quindi le possibilità di fare qualche ricamino si sono veramente sprecate XD
Tutto sommato, nonostante la fatica che ho fatto per scriverla (fatica che aumentava man mano che ci si avvicinava alla fine della fic), mi sono divertita abbastanza. Adoro esplorare nuovi fandom <3
Ah, giusto perché non vogliamo farci mancare niente X3 Questa fanfiction è stata ispirata non da uno, bensì da due temini della 52Flavlours community X3 “One true thing” e “The possibility of zero”. Ci sono pochi riferimenti diretti, per entrambi, ma in realtà da loro è partita proprio l’ispirazione per il tono e gli argomenti della storia, quindi sono stati molto importanti :O Grazie al cielo non sono ufficialmente iscritta alla community, altrimenti questo giochino del due in uno non me lo potevo permettere XD
Un ringraziamento sommo e infinito alla nai: la nai è Amore ç___ç E’ tutto merito suo se questa fanfiction ha visto la luce! Quando l’ho ripresa in mano era qualcosa come un mese che non la toccavo, ed è stata lei a darmi il la per concluderla – così come è sempre lei a darmi il la per scrivere sempre più follie XD Quindi aspettatevi ancora mille storie su questa serie, delle quali almeno altre due saranno collegate a ‘sta fic X’D liz, l’interminabile incubo.
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STRONG ENOUGH
Flavour#44. The possibility of zero
Flavour#10. One true thing


Si prese il suo tempo, prima di aprire gli occhi. Sapeva già cosa avrebbe visto una volta che l’avesse fatto, e non si sentiva ancora pronto per affrontarlo. Perciò, rimase disteso fra le lenzuola, facendo scorrere lievemente i polpastrelli sul cotone, assaporandone la freschezza.
Fino a quando non sentì il calore dell’altro corpo accanto a sé.
Spalancò gli occhi di scatto, ritrovandosi a fissare il soffitto gialliccio della stanza, e la lampadina fulminata pendente dal filo.
Ho fatto un disastro, si disse, ritrovandosi incapace di muoversi.
Percepiva ancora quel corpo disteso al suo fianco.
Non poteva spostare le dita. O si sarebbe svegliato.
Ryusuke mugugnò qualcosa, sbadigliò e puntualmente si svegliò.
Yukio chiuse gli occhi, sospirò profondamente, li riaprì e si mise seduto, guardandolo dall’alto.
Lui lo fissava con uno sguardo indecifrabile, le labbra dischiuse e i capelli sciolti e scarmigliati sulle spalle.
Si sentì in imbarazzo, pensando di essere ancora nudo. Abbozzò un sorriso stupido e approfittò di un altro sbadiglio di Ryusuke per alzarsi dal letto e afferrare un paio di pantaloni qualsiasi, e poi scappò in cucina.
Decise di preparare il caffé. Gli sembrava la cosa più intelligente da fare.
Si mise alla ricerca della caffettiera. La trovò in uno stipetto. Era così impolverata che sembrava non fosse mai stata usata.
Sospirando ancora, le diede una sciacquata.
Il caffé. Il caffé, si ripeté, cercando di concentrarsi.
Era stranamente inquieto.
Non andava bene.
D’altronde, la sera prima non era ubriaco, non era confuso, non si era fatto “trascinare dal momento”, non era stato obbligato a niente. Anzi. Era perfettamente lucido. E cosciente.
E, Dio, consensuale.
Calmati, Yukio, calmati, per carità.
- Ti sei messo i miei pantaloni. – constatò Ryusuke, apparendogli alle spalle.
Fece quasi un salto in aria per lo spavento.
- Sì… scusa, non me ne sono accorto… - mormorò lui, agitato, riempiendo d’acqua la caffettiera.
Lo sentì sorridere.
Dio, riesco già a percepire le sue espressioni anche quando non lo vedo? Devo essere malato.
- Stai facendo il caffé?
- Mh. – annuì, chiudendo la caffettiera e mettendola sul fornello.
- Koyuki.
- Mh?
- Stai bene?
In una situazione normale, sarebbe stata una domanda normale.
In una situazione normale, questa domanda non l’avrebbe sconvolto.
Ma quella non era una situazione normale. Non è una situazione normale quando vai a letto col tuo migliore amico e il giorno dopo ti risvegli praticamente fra le sue braccia, ti metti i suoi pantaloni e vai a preparargli il caffé con l’intenzione di portarglielo a letto – anche se l’ultima parte non l’hai pensata chiaramente ed è rimasta solo un embrione di ipotesi nella tua testa.
E perciò, in quella situazione, gli tremarono le ginocchia. Si sentì come se lo stessero scuotendo violentemente per le spalle. Si sentì avvampare.
E Dio, Dio, Dio.
…smettila di invocare Dio!
- Sì. – rispose, cercando di nascondere il suo turbamento.
Ryusuke gli si avvicinò un po’, dandogli i brividi.
Si chiese se lui sapesse cosa provocava dentro di lui. Si chiese se lo facesse apposta. Poi ci pensò meglio e si chiese “ma sta davvero facendo qualcosa? Non sono piuttosto io che tremo anche solo per le cose più stupide? Come quando mi guarda, come quando mi sfiora, come quando dimostra di accorgersi della mia esistenza?”
- Sicuro? - insistette Ryusuke, toccandogli appena una spalla.
Lui annuì.
Ryusuke sorrise di nuovo.
- Koyuki?
- Mh.
- Ti volti un secondo?
Pensò seriamente alla possibilità di non voltarsi affatto. Pensò di ignorarlo, di fare come se lui non avesse mai detto niente e continuare a controllare il caffé nella sua lenta uscita dai fori della moka.
Alla fine, ovviamente, ubbidì.
Ryusuke lo fissò a lungo, poggiandogli le braccia sulle spalle, sfiorandogli la fronte con la propria.
- Stai bene? – chiese ancora, scrutandolo quasi con diffidenza.
- Sì. – rispose lui, sicuro, ignorando i tremiti.
Ryusuke sorrise e gli si avvicinò ancora, baciandolo lievemente sulle labbra e ritraendosi quasi subito.
- Stai bene? – gli chiese di nuovo.
Yukio lo guardò.
Adesso non era lui che tremava e basta.
Ryusuke lo stava proprio provocando.
Dove diavolo voleva andare a parare?
- Sì. – rispose ancora, rafforzando la sua sicurezza con un cenno del capo.
Di nuovo, Ryusuke sorrise.
Di nuovo, Ryusuke lo baciò.
Stavolta lingua, stavolta saliva, stavolta mani fra i capelli ad attirarlo più vicino, più vicino, più vicino, e lui impazziva.
Ryusuke si separò da lui e gli sorrise ancora.
- Stai bene? – ripeté.
Yukio non poté fare a meno di sorridere, annuendo per l’ennesima volta e pensando “che giochino stupido”.
- Devi ridarmi i pantaloni. – ridacchiò Ryusuke, furbo, sfiorando appena la zip e osservandoli poi cadere a terra, inerti.
Yukio gli si gettò addosso.
- Ridammi stanotte. – rispose baciandolo, - Poi riavrai i tuoi pantaloni.
Si fermarono solo quando la caffettiera esplose alle loro spalle, disseminando macchie marroncine su tutta la parete.
Ryusuke non lanciò che uno sguardo distratto al disastro sul muro, e poi, tra le sue false proteste, ricominciò a toccarlo.
*

Era iniziato tutto la mattina precedente. Era arrivato a casa di Ryusuke e, come al solito, l’aveva trovato con una ragazza nel futon. Lei era bruttina, non certo come le altre che era abituato a vedere riposare mezze nude fra le sue lenzuola. Immaginò dovesse essere molto simpatica. O molto esperta di musica. O semplicemente fosse una fan dei Beck. Altrimenti Ryusuke non se la sarebbe portata a casa.
Appena lo vide spuntare dalla porta aperta, Ryusuke lo salutò con un sorriso e disse subito alla ragazza che sarebbe stato meglio se fosse andata via.
Scena già vista molte altre volte.
Lei s’infuriò, gli vomitò addosso una quantità spaventosa di parolacce, prese un cd da terra gridando “Te lo sogni che te lo presto!”, raccolse i vestiti, se li infilò velocemente e scappò, lasciandosi dietro solo un po’ di disordine, un lieve residuo di profumo alla cannella e un fermacapelli rosa che Ryusuke provvide a buttare in strada, fuori dall’appartamento, appena si fu rimesso in piedi.
- Accomodati. – gli disse, sorridendo sereno.
Yukio scoppiò a ridere.
- Che diavolo hai?! – gli chiese, stupito da quella risata improvvisa, chiudendo la porta e tornando a buttarsi comodamente sul futon.
- Niente, - rispose lui, - solo che mi sembra assurdo. Hai appena buttato fuori una ragazza con l’atteggiamento più menefreghista del mondo, e guarda ora come sei cordiale!
- Che vuoi dirmi, Koyuki? Vorresti che fossi freddo anche con te?
- Be’, per buttarmi fuori dal futon con freddezza dovresti prima farmici entrare…
- Come vedi, lo spazio c’è. – rispose Ryusuke, ironico, sbattendo la mano sul materasso e poggiandosi sui gomiti.
- Scemo. – si lamentò Yukio, posando la chitarra in un angolo e sedendosi a gambe incrociate sul pavimento accanto a lui, - Ma si può sapere perché cambi ragazza così spesso?
Ryusuke lo guardò, stupito.
- Cambio ragazza, secondo te?
- …che vuol dire “secondo me”? Cioè, ce n’è una diversa ogni volta che vengo, mi sembra ovvio che…
- Ma non ho mai avuto una ragazza, Koyuki!
- Aaaah, ho capito, sei di quelli che non hanno legami fissi ma solo storie occasionali… - commentò con disappunto, scuotendo il capo.
Ryusuke sorrise.
- Immagino si possa dire anche così. La verità è che stare seriamente con qualcuno è snervante, e poi sai che palle. Dover pensare ai suoi sentimenti e ai suoi desideri, metterli davanti ai miei… - sbuffò, - Quando ho voglia, ho voglia. Non posso stare lì a rimuginare. Trovo qualcuno e se è d’accordo ci vado a letto. Poi non mi importa di chi è, se è maschio o femmina o che.
In un primo momento, lo trovò molto comico, molto “da Ryusuke”. Tutta quell’ostentazione di libertà.
Poi realizzò.
Maschio o femmina o che.
Maschio o femmina o che…?
Spalancò gli occhi.
- …cosa?
- Non ho detto niente di sbagliato.
- No, non intendevo… voglio dire…
Imbarazzato, guardò altrove.
- Voglio dire, non ti ho mai visto qui con un ragazzo.
Ryusuke annuì.
- Non li porto quasi mai a casa. Pensa se tu o Maho irrompeste qui, come fate di solito, e mi trovaste con un uomo.
- Be’, ma non ti fai problemi a dirlo così, però…
- Koyuki, ci conosciamo da quanto? Un anno, ormai? È logico che non mi faccia problemi a dirlo. Anche Maho lo sa. Ma… - sorrise, - essere colto con le mani nel sacco è un’altra cosa.
L’immagine che gli si creò nella testa lo fece rabbrividire.
- Allora… visto che è già tardi, io andrei…
- Ma dai, sono le dieci del mattino, sei arrivato adesso! Non è che hai qualche problema con…
- Ma no! Cosa dici?!
Ryusuke scrollò le spalle.
- Chiedevo. Non si sa mai. Mi sembri agitato.
Lui abbassò lo sguardo, fissandosi le scarpe.
- In effetti lo sono. Ma non credo sia per il fatto degli uomini… forse è perché ho scoperto che non cambiavi solo ragazza, come credevo, ma era qualcosa di completamente diverso…
Ryusuke scoppiò a ridere.
- Come la fai difficile. È per gli uomini, dai, è abbastanza chiaro.
Rimase in silenzio, imbarazzato.
- Ti ci abituerai, penso.
Yukio annuì, ritrovando sicurezza.
- Certo! Non voglio mica perderti per una sciocchezza simile!
- Bravo bambino. – sorrise, guardandolo come se fosse un esserino grazioso da coccolare – cosa che lo infastidì non poco.
In quel momento, il cellulare di Ryusuke squillò. In un primo momento, il ragazzo si limitò a guardarlo distrattamente, ma quando i suoi occhi individuarono il nome lampeggiante sul display illuminato, non poté trattenere un gemito di sorpresa.
E Yukio non poté trattenere la curiosità.
- Chi è? – chiese sottovoce, incerto.
Ryusuke lo guardò. E sospirò.
- Eiji. Ti ho parlato di lui, ricordi?
Annuì.
- Era l’altro ragazzo… quello del tuo vecchio gruppo, vero? Quello che adesso ha un gruppo tutto suo.
- Sì.
Il cellulare, rimasto ignorato accanto al futon, smise di squillare.
- Pensavo non vi sentiste più… pensavo che aveste litigato.
- Be’, che abbiamo litigato è esatto. Riguardo al non sentirsi più… è vero, più o meno.
- Che vuol dire “più o meno”? – ridacchiò, cominciando a tranquillizzarsi, notando che le ultime rivelazioni di Ryusuke non sembravano avere intaccato la loro capacità di comunicare, - Due persone o si sentono o non si sentono. Oppure si sentono a volte, semmai. È così?
Ryusuke scosse il capo.
- No, non è così. Diciamo che è più complicato di così, ma alla fine dei conti, per semplificare, possiamo dire che non ci sentiamo.
- Non capisco. – mugugnò Yukio, un po’ deluso, - Mi sembra che tu mi stia trattando come un bambino, dandomi una risposta stupida per farmi capire cose che pensi non sia in grado di capire.
- Non è che lo faccia perché ti ritenga uno stupido, solo non hai i mezzi per capire determinate cose…
- Allora aiutami!
- Mmmhno. Va bene così, per ora.
- Anche se quello che mi dici non è la verità?
- Come fai a dire che non è la verità? È quello che ti ho detto. Non puoi semplicemente accettarlo?
Yukio si strinse nelle spalle, guardando per terra.
E quella rabbia, da dove veniva fuori?
Perché diavolo Ryusuke doveva essere così dannatamente ambiguo? Perché doveva giocare così bene sulle mezze parole, sulle mezze verità, sulle mezze bugie? Perché parlava sempre come se volesse mettersi al sicuro rispetto ad eventuali futuri attacchi alla sua persona?
Perché lo faceva sentire come se lo considerasse un essere minaccioso?
- Adesso basta. – concluse il ragazzo, - Se vuoi possiamo suonare un po’, ma non parliamone più.
- Come possiamo suonare insieme se non ti fidi di me?! – esplose Yukio, stringendo i pugni sulle ginocchia, - Siamo un gruppo! Dovrebbe esserci completa sincerità fra noi! Non dovrebbero esserci segreti!
Ryusuke lo guardò. Ryusuke lo guardò a lungo.
E lui tremò per tutto il tempo come se con quello che aveva detto si fosse esposto, completamente nudo, al suo giudizio implacabile.
- Siamo una band, Koyuki. Tu non sei il mio fidanzato.
Spalancò gli occhi.
Avrebbe voluto dire qualcosa, una qualsiasi cosa che lo facesse uscire da quella situazione di assurdo imbarazzo, ma non trovò niente.
E si sentì scoperto, cazzo. Colto con le mani nel sacco.
Ma non aveva fatto niente, non aveva fatto proprio un cazzo di niente, cosa diavolo… da dove diavolo veniva quella sensazione?, cosa c’era nel suo cervello?, Yukio, Yukio, RIPRENDITI, è tutto a posto, non è successo niente, piantala coi viaggi mentali, state solo discutendo di stupidaggini, e sono stupidaggini davvero.
Respirò profondamente.
Respirò anche Ryusuke.
- Sei confuso. – gli disse, - Probabilmente anche questo è a causa di quello che ti ho detto. Devo scusarmi, non credevo che la cosa ti avrebbe sconvolto tanto.
- Io non sono sconvolto.
Ryusuke sorrise condiscendente.
- Forse è meglio se per oggi vai a casa. Se te la senti, torna domani. Così suoniamo un po’. Altrimenti, prenditi il tuo tempo.
Combattuto fra la voglia di replicare e il bisogno di ubbidire, rimase fermo, a sguardo basso, a fissare il pavimento nel punto in cui si interrompeva e cominciava il futon.
Se avesse sollevato lo sguardo anche solo di un centimetro, ci sarebbe stato Ryusuke, mezzo nudo, con gli occhi fissi su di lui.
Non poteva affrontare quegli occhi, non in quel momento.
Sempre guardando per terra, si sollevò in piedi. Cercò a tentoni la chitarra appoggiata al muro alle sue spalle, la trovò, la afferrò saldamente, gli sembrò di avere raggiunto un traguardo considerevole.
Si voltò.
Dischiuse la porta.
Fuori pioveva così violentemente che l’acqua del laghetto poco distante sembrava sollevarsi ed esplodere di continuo, crivellata dagli assalti di gocce grosse e pesanti, chiaramente intenzionate a sfondare qualsiasi barriera e sconvolgere ogni superficie.
Guardò il cielo plumbeo e le nubi ammassate le une contro le altre, pensò alla strada che doveva fare per arrivare fino a casa, pensò a quanto fosse stato stupido a non portarsi un ombrello, e d’improvviso anche tornare a sedersi accanto a Ryusuke e guardarlo negli occhi sembrò una prospettiva migliore rispetto a quella di uscire e morire annegato o qualcos’altro di altrettanto orribile.
- Ritiro la proposta. – ridacchiò Ryusuke alle sue spalle, - Forse è meglio se resti, almeno per un po’.
Yukio annuì pensieroso, richiudendo la porta e rimanendo immobile a fissarla.
Cosa diavolo devo fare?, urlò il suo cervello, Devo pur dire qualcosa ai muscoli! Non posso lasciarli fermi lì a marcire mentre tu decidi che la porta scrostata è l’oggetto più interessante da osservare nel raggio di chilometri!
Sospirò. Riesaminò la situazione.
Non poteva fare altro che voltarsi e tornare seduto. Non poteva fare altro che ricominciare a parlare.
Affrontare Ryusuke, in poche parole. Affrontare tutte quelle strane sensazioni che l’avevano preso alla sprovvista pochi minuti prima e cercare di venirne fuori, in qualche modo.
Preferibilmente vittorioso.
Preferibilmente non troppo sconvolto.
Preferibilmente non troppo vicino a lui.
Si sedette e lo guardò. Lui sorrideva tranquillamente, come non fosse successo nulla, canticchiando una canzone dei DyBre. Tirò fuori la chitarra dalla custodia, con l’intenzione di accompagnarlo, ma Ryusuke si mise in ginocchio e lo fermò, afferrando lo strumento con malagrazia.
- Io sono stonatissimo, dai. Facciamo che tu canti e io ti accompagno?
Odiava profondamente quando lui gli chiedeva di cantare. Trovava molto più facile cantare di fronte a decine e decine di persone, piuttosto che davanti a lui solo. Si sentiva come in attesa del giudizio universale ogni volta che gli capitava una cosa come quella, come ad esempio quando lavoravano insieme su una nuova canzone o su un nuovo arrangiamento.
Era difficile, per lui, avere a che fare con Ryusuke.
Era difficile perché Ryusuke era esigente ma non gli diceva mai cosa voleva veramente, si limitava a fornire indicazioni vaghe, aspettandosi però che lui capisse al volo cosa intendeva e ubbidisse docilmente.
E lui… lui non era mai stato bravo a capire i desideri delle persone.
E capire cosa pensasse Ryusuke, quando usava le sue stupide mezze parole… era così dannatamente impossibile…
- Mi piace la tua voce. – disse Ryusuke, smettendo improvvisamente di suonare.
Lui si accorse solo in quel momento che, soprappensiero, aveva cominciato a cantare.
Se ne accorse appena in tempo per interrompersi, dopo il suo commento.
Arrossì, imbarazzato.
- Hai una bella voce sicura e ferma. – continuò Ryusuke, sorridendo lievemente, - La voce di Eiji era così tremolante… non aveva affatto talento per il canto.
…che c’entrava Eiji in quel momento?
Eiji cantava?
…Eiji non cantava, nemmeno nel loro gruppo precedente.
Quando diavolo l’aveva sentito cantare, lui?
- Perché non dici niente? – gli chiese Ryusuke, guardandolo di sbieco.
Lui scrollò le spalle.
Avrebbe potuto dire la verità, e cioè che aveva paura di parlare. E che in parte non aveva neanche niente da dire, perché tutto quello che gli girava in testa erano domande su argomenti che non avrebbe dovuto affrontare, dei quali non gli sarebbe dovuto interessare un accidenti.
Ryusuke rise forte, stringendo le braccia al ventre.
Lui sollevò lo sguardo, fissandolo infastidito.
- Lo trovi divertente?
- Da morire. – rispose lui prontamente, asciugandosi le lacrime, - E’ uno spasso vederti così teso.
- Come se fosse una novità… - sospirò lui, incurvando le spalle.
- Ma che dici? È una novità.
- Io sono sempre teso per qualcosa, Ryusuke…
- Sì, ma non lo sei mai stato per la mia presenza.
Era vero?
Be’, non proprio. S’era spesso sentito teso, davanti a lui. Quando gli aveva regalato la chitarra, per esempio.
Oppure quando aveva dovuto confessargli che la stessa chitarra era andata distrutta.
E quando non vedeva l’ora di tornare a incontrarlo, dopo le lunghe settimane che erano servite per riparare quel dannato strumento.
E quando l’aveva trovato a letto con una tipa sconosciuta per la prima volta.
E quando lui gli aveva chiesto di entrare nei Beck.
E quando aveva cantato di fronte a lui.
E anche quando, durante il festival scolastico, lui gli aveva giurato che era la prima e l’ultima volta che sarebbe stato costretto ad esibirsi su un palco di livello tanto infimo.
Per non parlare di quando gli aveva fatto sentire le sue prime composizioni!
Solo che, dannazione, tutte le altre volte era sempre riuscito a gestirla, quell’ansia. Era sempre riuscito a riportarla a livelli normali, ad arginarla, a custodirla. A non lasciare affiorare nessuna traccia sul viso, perché se un suo solo lineamento si fosse mosso diversamente dal normale, lui se ne sarebbe accorto.
Ma quel giorno, ecco, quel giorno proprio non riusciva a governarsi come avrebbe voluto.
Quel giorno… forse per il fatto degli uomini, sì, forse per questa storia di Eiji che ritornava a galla nel loro discorso senza nessun motivo…
- Io ed Eiji abbiamo avuto una storia, sai?
Sollevò lo sguardo.
Io non voglio sentire niente del genere, Ryusuke, sai?
Io voglio solo suonare. Possiamo smettere di parlare, e suonare e basta?

Deglutì.
- Non l’avevi capito?
Scosse il capo.
Come pensava avrebbe dovuto capire una cosa del genere, dal momento che non sapeva neanche fosse bisessuale?
- Maho lo sapeva…? – azzardò, timoroso, tornando a guardarsi le mani.
- Sì. – disse Ryusuke, sicuro, annuendo, - E’ mia sorella. Lei sa tutto di me. Anche perché ogni tanto viene a passare qui un po’ di tempo, e l’ha fatto anche quando stavo con lui. Non potevo certo nasconderle quella convivenza. Avrei dovuto infilare Eiji nell’armadio e non era il caso. – spiegò, abbozzando un sorriso ironico.
Quindi Eiji non era stato una volta e basta. L’aveva detto lui, Eiji era stato una Storia. Una Convivenza.
Una cosa che gli dava sui nervi, in quel momento.
- Com’è andata, fra voi?
- Be’, ci piacevano i DyBre. Frequentavamo entrambi spesso la live house, ascoltavamo i gruppi emergenti, avevamo molte cose in comune. Eiji… lui voleva formare la più grande band di tutti i tempi. Così un giorno mi fece sentire la sua chitarra, e io gli feci sentire la mia. E lui insistette tanto per avermi nei Serial Mama che io non potei rifiutare in alcun modo.
- E… poi?
Scrollò le spalle.
- Poi niente. Voglio dire, non devo farti il discorsetto delle api e dei fiori, anche perché in questo caso c’entra ben poco…
- Sì, dicevo… intendo, com’è successo che poi siete finiti…
- …a letto insieme?
Arrossì.
- Sì, ecco.
Ryusuke sbuffò, ridacchiando.
- Devo proprio spiegarti tutto, Koyuki? Cos’è che non hai capito? Che mi piaceva, che lo trovavo sexy? O che ero innamorato di lui?
Niente di tutto questo Ryusuke.
Sei tu che non capisci.

Scattò in piedi, e nel movimento la chitarra scivolò a terra – le corde vibrarono stonate per qualche secondo prima di rilasciare l’aria al silenzio.
- Koyuki…?
- Io- scusa… non… mi dispiace.
- Koyuki, devi calmarti. Starò zitto. Ho capito.
- Non… non dire così.
- Adesso non discolparmi, dai. Sono stato un idiota. Scusa per la tua chitarra.
- Non è colpa tua se mi è caduta…
- E’ colpa mia se ti sei alzato in piedi, però.
- …Ryusuke, possiamo chiudere questo discorso, per favore…?
- Sì. Certo che possiamo.
Ryusuke si alzò in piedi, mettendogli una mano sulla spalla.
- Siediti, dai.
Yukio annuì, stringendo i pugni e tornando a sedersi sul futon, accanto a lui.
Solo sentire il calore del materasso attraverso i jeans gli diede i brividi lungo la schiena.
Avanti, Yukio, che diavolo ti sta succedendo…?
- Allora… fuori piove ancora, quindi magari ti offro qualcosa da mangiare. Vuoi?
- Mh. Cosa c’è?
- Va be’, un panino, che ti aspettavi?
Ridacchiò, mentre Ryusuke si alzava e si dirigeva verso il cucinino, fermandosi al passaggio davanti allo stereo e accendendolo.
Le note di “Moon on the water” veleggiarono nell’aria fino alle sue orecchie, obbligandolo a rilassarsi.
Amava quella canzone. Gli faceva venir voglia di cantare, non poteva frenarsi.
Ryusuke lo sapeva.
- Full moon sways… gently in the light of one fine day…
Socchiuse gli occhi, guardando la stanza attraverso il velo delle palpebre semichiuse.
Sorrise.
- On my way… looking for a moment with my dear…
Sospirò.
Ryusuke batté lentamente le mani dietro di lui, appoggiato allo stipite della porta.
Arrossendo, lui si voltò a guardarlo, e sorrise.
- Sei proprio bravo. Non sai quanto mi ritengo fortunato ad essere riuscito ad acciuffarti quando ancora non lo sapevi.
- …e il panino?
- Non ho pane. – ridacchiò Ryusuke, tornandogli vicino e abbandonandosi scompostamente sul futon, - Se vuoi posso portarti la confezione col prosciutto e lo mangi da solo…
- Ma no, dai, non ho così tanta fame…
- Va bene, va bene. Continua a cantare, ok?
Yukio annuì, rasserenandosi, osservando Ryusuke distendersi nuovamente sul futon, con le braccia incrociate dietro la nuca.
- Full moon waves… - cantilenò, chiudendo gli occhi e perdendosi nei mugugni ritmati di Ryusuke, che lo seguivano nel canto, - Slowly in the surface of the lake…
Tornò a guardarlo. Un sorriso sereno gli incurvava le labbra, le palpebre abbassate lo facevano sembrare addormentato.
- You are there… - cantò, e un brivido gli corse lungo la schiena, e la sua voce divenne incerta, - Smiling in my arms for all those years…
Si fermò. Deglutì.
Ryusuke non sembrò accorgersi di nulla. Non quando smise di cantare. Non quando cominciò a guardarlo dall’alto, e sudò freddo. Non quando si chinò su di lui. Non quando il suo respiro gli sfiorò le labbra.
Solo quando lo baciò, solo allora aprì gli occhi e non si mosse, come fosse troppo stupido per poter fare qualcosa, o come volesse semplicemente vedere dove lui volesse andare a parare.
Yukio si risollevò immediatamente, coprendosi le labbra con un braccio come volesse pulirsi con la manica.
Ma non si pulì. Si limitò a guardare attraverso il vetro della porta, spaccato e malamente riparato con lo scotch, si limitò a fissare i goccioloni cadenti dal cielo, si limitò a guardare quelli che scivolavano tra le crepe del plexiglass, unendosi agli altri in rivolini incerti sempre più fini verso la fine, si limitò a perdersi nell’acqua, in quella che cadeva e nella superficie del lago, bombardata dalla pioggia, fino a quando Ryusuke non si mise seduto, e non lo costrinse a voltarsi, e non lo guardò negli occhi, e poi le sue labbra, ed era già l’indomani mattina.
*

- Ti va di uscire? – gli chiese Ryusuke, rigirandosi nel futon e lanciando uno sguardo fuori dalla finestra.
Lui mugugnò un no lamentoso, affondando nel cuscino e cercando la sua mano sotto le lenzuola.
Non la trovò.
No, dannazione, non aveva proprio alcuna voglia di uscire.
Era depresso, cazzo.
Certo, si sentiva uno stupido. Avrebbe dovuto razionalizzare di più. Intanto, non era possibile essere già così Ryusuke-dipendente dopo solo un paio di giorni passati a rotolarsi nel letto. Anche se, ovviamente, si rendeva perfettamente conto del fatto che questo ragionamento avrebbe avuto più senso se lui non fosse già stato Ryusuke-dipendente ancora prima di farlo con lui.
Ma su questo preferiva soprassedere.
E poi comunque non aveva proprio alcun motivo di stare lì a rodersi il fegato semplicemente perché, durante la mattina, mentre stava ancora fra le sue braccia, mentre Ryusuke lo stringeva da dietro, e lui poteva ancora sentire il solletico delle punte dei suoi capelli sulla pelle della sua schiena…
…improvvisamente aveva capito di essere uno di quelli con cui Ryusuke andava quando aveva voglia e non gli importava di chi fosse il soggetto. Uno dei ripieghi, uno fra i tanti che avrebbe ancora salutato il giorno dopo, e quello successivo, e così via, ma che non avrebbe invitato a ritornare in casa sua per fare ancora l’amore, perché era la stessa espressione, fare l’amore, che non aveva senso, applicata a lui.
Non aveva avuto senso applicarla a nessuno, fino a quel momento.
A nessuno tranne che a Eiji, ovviamente. O almeno così sembrava.
E quindi no, non aveva voglia di uscire. Era terrorizzato che “uscire” significasse “finirla”, mettersi tutto alle spalle e tornare a fare i buoni amici come sempre.
Era una possibilità che non riusciva neanche a contemplare.
Dopo soli due giorni.
Dio.
Devo decisamente essere malato.

- Faresti meglio ad alzarti e rivestirti, sai? – gli disse Ryusuke, atono, perdendosi nella contemplazione delle sue doppie punte.
Eccolo, il momento.
“Scena già vista molte altre volte”, ricordi, Koyuki?
Perché stupirsi?
Perché stupirsi…

- Perché? – sbuffò lui contrariato, rotolando fra le coperte fino a poterlo guardare negli occhi.
- Perché a minuti Maho sarà qui. – spiegò lui tranquillamente, sbadigliando.
- E’ a scuola. – obiettò, incerto.
- E’ domenica… - ridacchiò Ryusuke, socchiudendo gli occhi, senza staccare lo sguardo dalla ciocca che teneva sospesa sul viso.
- E allora? – protestò lui, sbuffando offeso, - Non mi importa se ci vede.
- Importa a me. – replicò immediatamente lui, guardandolo serio. – Non avrei mai dovuto alzare un dito su di te.
Yukio corrugò le sopracciglia.
- Che intendi dire?
- Mmmh… - mugugnò Ryusuke con tono lamentoso, - E dai, non farti spiegare tutto…
- No, invece voglio che mi spieghi! Non capisco, sono stupido, ok? Devi spiegarmi! – sbottò irritato, sedendosi di scatto.
Ryusuke lo guardò a lungo, arricciando le labbra con fare annoiato.
- Le piaci da un sacco di tempo. – disse, come fosse una cosa ovvia.
Lui cercò di digerire l’informazione senza lasciare che prendesse il sopravvento su quello a cui doveva pensare in quel momento.
- Questo… cosa c’entra con noi due?
Ryusuke scoppiò a ridere, mettendosi seduto davanti a lui.
- Con noi due? Assolutamente niente. C’entra con te, perché le piaci, e c’entra con me, perché sono suo fratello. Ecco tutto.
Ah, be’.
È così, dunque.
E lo sapevo, ma speravo trovassi un modo meno odioso per dirmelo, Ryusuke.

Uscì dal futon, cercando in giro i vestiti, totalmente dimentico di dove li avesse gettati il giorno prima.
- Sono accanto alla chitarra. – suggerì Ryusuke, tornando a distendersi e a giocare coi suoi capelli.
Con una smorfia di fastidio, Yukio recuperò da terra la maglietta e i pantaloni spiegazzati, andando poi alla ricerca delle proprie mutande. Quando capì di non riuscire a ricordare dove le avesse messe, lanciò uno sguardo indagatore a Ryusuke, che si limitò a ridacchiare con aria falsamente innocente e dire “Dovrai andar via senza”.
- Scherzi?! – protestò, furioso.
Evidentemente Ryusuke non capiva che la situazione non gli metteva esattamente allegria o voglia di scherzare addosso.
- Dai, - continuò a ridere lui, rigirandosi sul materasso, - in ogni caso l’elastico è completamente distrutto, l’ho tirato troppo ieri.
Mh.
Sì, ricordava.
S’era fatto “pescare”.
Quanti secoli ci avrebbe messo a cancellare quelle immagini dalla mente…?
- Ti scivolerebbero giù dalle gambe a ogni passo. – concluse Ryusuke, recuperando i boxer accanto al futon e infilandoseli, da sotto il leggero lenzuolo di cotone che ancora lo copriva.
- Quindi secondo te dovrei mettermi i jeans e andarmene via così? – chiese Yukio, sentendosi tremare la voce, - Non potrei… vestirmi e restare?
Ryusuke lo guardò con la pazienza con la quale si guarda uno stupido, sospirò e poi si alzò in piedi, avvicinandoglisi con fare da bullo, le mani sui fianchi e il mento sollevato.
- Koyuki, cosa devo dirti ancora per farti capire la situazione?
Rabbrividì, irrigidendosi.
- …niente. Ho capito. – mormorò rivestendosi.
Quando ebbe finito, imbracciò la chitarra, lanciando uno sguardo all’esterno della casa.
Aveva smesso di piovere.
Non aveva più alcun motivo per restare.
S’infilò le scarpe e poggiò una mano sulla maniglia.
Doveva andare e si sentiva spinto indietro come da una forza misteriosa, una forza che sembrava volergli dire “se esci da qui è finita, capito? Proprio finita. Stai attento a come ti muovi”.
Prese un gran sospiro e spinse la porta, e quando fece per mettere un piede fuori, sul tappetino “welcome” fradicio di pioggia, un braccio di Ryusuke lo cinse dolcemente per il collo e lo costrinse ad appoggiarsi a lui. Sentiva il calore della sua pelle al di là del cotone leggero della maglietta, sentiva i suoi capelli pizzicargli il collo, sentiva le sue labbra sfiorargli un orecchio.
E poi sentì una sua mano piantargli il berretto ben saldo sulla testa, e lo sentì sorridere.
- Lo stavi dimenticando. – spiegò Ryusuke sorridendo e lasciandolo andare, mentre lui si voltava a guardarlo con occhi talmente sconvolti che gli sembrava riflettessero pienamente quello che c’era nel suo cervello.
Ebbe paura che Ryusuke potesse leggerci dentro. Ebbe paura che Ryusuke potesse capire in che condizioni era, che cosa avesse significato per lui quella notte, e che cosa stesse significando andare via in quel momento.
Si vergognò tantissimo, più che in qualsiasi altro momento imbarazzante della sua vita. Si sentì nudo e vulnerabile, e lo infastidì sentirsi così proprio lì, proprio in quella situazione e proprio davanti a lui.
Si voltò frettolosamente e uscì di casa correndo, col rischio di far sbattere la chitarra contro gli stipiti della porta.
Non si voltò per verificarlo, ma sperò che Ryusuke lo stesse guardando andare via.
Per un attimo, sperò perfino che lui avesse capito tutto e si stesse sentendo in colpa.
Poi, sopraffatto dall’imbarazzo, sperò soltanto di dimenticare ogni cosa al più presto.
*

- Sei strano in questo periodo.
Maho lo fissò curiosa, il capo graziosamente reclinato su una spalla, la lunga frangetta a coprirle per metà il viso.
Gli ricordava tanto Ryusuke.
Il che era strano, perché non si somigliavano affatto. Maho aveva i capelli molto più scuri, e il blu profondo degli occhi di Ryusuke era di una tonalità assolutamente irripetibile, sembrava dovesse essere l’unico al mondo dotato di una caratteristica simile. Le pelle di Maho era molto più chiara, e non era simile neanche la forma del loro naso, o quella della loro bocca, per non parlare di quella del loro viso. I lineamenti duri e squadrati di Ryusuke non avevano niente a che fare con le curve morbide e l’ovale perfetto del viso di Maho.
Eppure avevano atteggiamenti molto simili. A prescindere dalla loro spavalderia e dalla loro sicurezza, c’era qualcosa, nei loro movimenti disinvolti, nella loro scioltezza assolutamente naturale, in quelle pose plastiche che assumevano con tanta tranquillità da non dare neanche per un secondo l’idea che fossero fasulle o studiate, c’era qualcosa che li faceva sembrare addirittura identici.
- Dici? – chiese lui, fingendo stupore e continuando a sorseggiare tranquillo la sua aranciata.
Lei sorrise furba, e lui guardò altrove per non essere bombardato dai ricordi dei sorrisi di Ryusuke.
- Sì che lo dico. Avanti, sai che puoi parlarmi di tutto.
So che suona brutto dirlo, ma tuo fratello mi ha scopato e poi mi ha abbandonato come una pezza vecchia, indorando la pillola con la scusa che siccome ti piaccio non avrebbe mai dovuto alzare un dito su di me.
Capisci come? Per la serie “è solo colpa mia, tu non c’entri niente, sono io che sono stato stupido a dare inizio a questa cosa fin dal principio”.
E io ora mi sento abbandonato e frustrato, e ho voglia di rivederlo almeno quanto ho voglia di dargli un pugno in faccia, e dal momento che ho come l’impressione che non farò mai più niente di tutto questo scusami se per un po’ sarò “strano”, per così dire.

Non posso parlarti di tutto, Maho.
Questo non posso proprio dirtelo.

Le sorrise lievemente, stringendosi nelle spalle.
- Davvero, non ho niente. – rispose, e nel momento stesso in cui lo disse la porta del locale si aprì ed Eiji fece il suo ingresso, circondato dagli altri membri dei Belle Ame e da un paio di ragazzine gridacchianti.
Voglio andare a parlargli, pensò, e si sarebbe voluto prendere a schiaffi da solo.
Nel tentativo di distrarsi, tornò a guardare Maho, e per la prima volta vide che gli occhi con i quali osservava Eiji erano… diversi da quelli con cui osservava il resto del mondo. Maho aveva un mucchio di modi per guardare male le persone; poteva essere arrabbiata, infastidita, supponente, insofferente e chissà quanti altri milioni di cose. Ma non aveva mai visto una tale quantità d’odio e disprezzo riflettersi sul suo viso.
E l’unica cosa che riuscì a pensare in quel momento fu che fosse arrivata la sua occasione per sapere la verità.
- Che hai? – le chiese, catturando il suo sguardo agitandole una mano di fronte al viso.
- Sto facendo fluire il mio odio. – spiegò Maho, continuando a fissare Eiji con aria ostile senza che lui desse alcun segno di interessarsene o anche solo di accorgersene.
Yukio ridacchiò, sistemandosi meglio sullo sgabello.
- Che vuol dire?
- Vedi il tipo lì? – disse Maho con una smorfia di disgusto, indicando Eiji e infischiandosene di quanto sembrasse maleducata nel farlo, - Hai presente chi è?
- Il ragazzo che stava con Ryusuke nei Serial Mama. – annuì lui, fingendo disinteresse, senza degnare Eiji di uno sguardo.
- Esattamente, ma questo non è tutto. – disse Maho, puntandogli un dito davanti al naso, - Sai, quel tipo ha fatto molto soffrire mio fratello.
- Mh? Davvero? – chiese, incitandola a continuare e mostrando la curiosità di un bambino di cinque anni, sperando che questo non le lasciasse intendere niente dei motivi che lo spingevano a chiedere.
- Proprio così. – annuì lei, incrociando le braccia sul petto e tornando a guardarlo.
C’era cascata.
Se c’era una cosa che Ryusuke e Maho proprio non avevano in comune, quella era la malizia.
- Io non so se tu lo sai, ma a mio fratello, vedi, a lui piacciono anche i ragazzi.
Annuì comprensivo, e lei, sollevata, fece un mezzo sorriso.
- Ecco, loro due sono stati insieme, per un periodo. Solo che… - si interruppe, guardandolo di sbieco e stringendosi imbarazzata nelle spalle.
- …mh? – la incoraggiò lui, fissandola con interesse.
- …non so se devo dirtelo. – sbuffò lei, le sopracciglia inarcate verso il basso e le labbra strette a cuoricino, - Non fraintendermi, Koyuki, io ti voglio bene e te ne vuole anche Ryusuke, solo non so quanto sia giusto spiattellare la sua vita privata così, senza il suo permesso…
Accidenti a lei.
- Ehi, - ironizzò, - è un segreto di stato?
- Be’, no, ma insomma. È la sua vita.
Sospirò.
- Avanti, Maho, tanto prima o poi verrei a saperlo comunque. Se non me lo dici tu, lo andrò a chiedere a lui.
Lei lo guardò, dubbiosa.
E lui per un attimo ebbe il terrore che lei gli avrebbe detto “Magari è meglio” e avrebbe chiuso il discorso.
Fortunatamente, lei si lasciò andare a un sorrisino imbarazzato e annuì, buttando giù un sorso di cola al limone, ricominciando a raccontare.
- Vedi, Eiji non aveva capito niente di mio fratello. Era tutto affascinato dal suo modo di suonare e di comportarsi, insomma, era proprio come tutte le altre ragazzine insignificanti che mio fratello si porta a letto.
Ahi.
Quanto a sensibilità, sarebbe stata dura decidere chi ne avesse di meno, fra i due fratelli Minami.
- Non lo conosceva davvero. Non ne era veramente innamorato. Mio fratello invece sì. Lui teneva alla loro relazione.
- …e quindi? Cos’è successo, dopo?
Lei si morse il labbro inferiore, avvicinandoglisi e bisbigliando come una cospiratrice.
- Ryusuke, vedi, lui è abituato a farlo quando ne ha voglia, capisci? Non è uno che stia bene in una coppia con limiti di fedeltà. Perché può capitare tranquillamente che non gli vada di farlo con la solita persona, ma magari con qualcun altro. Per cambiare, per provare cose nuove, o magari perché alla solita persona non va e a lui invece sì. E’ così. Non ci si può fare niente. Se lo si ama lo si capisce, no?
…cominciava a sospettare quale fosse stato il motivo della rottura.
- E insomma, - continuò Maho, chiudendo gli occhi e sospirando profondamente, - Eiji una volta l’ha scoperto, hanno litigato e si sono lasciati.
Ah, be’.
Adesso era tutto chiaro, sì. Chiarissimo.
- Maho… - la chiamò titubante, sentendo che la testa cominciava a fargli male, - Solo una cosa. Non capisco cos’è che ti faccia sentire in diritto di avercela tanto con Eiji.
Soprattutto dal momento che l’unico colpevole del disastro sembra essere stato Ryusuke.
Lui e la sua stupida mania per il sesso.

- Be’, - sbuffò lei, contrariata, - non è che mio fratello sia uno stinco di santo. Lo so che quando ami qualcuno teoricamente vuoi anche restargli fedele perché ti basta e non vuoi ferirlo e tutto il resto. E d’altronde io di sicuro non approvo il suo comportamento. Ma lui è così. Te l’ho detto prima, se lo ami lo capisci.
Non sapeva che dire.
Gli sembrava di stare parlando con una pazza, una di quelli che cercano di convincerti che c’è un enorme elefante rosa appollaiato sopra la tua scrivania quando al massimo ci sono i tuoi quaderni e qualche cd.
- Non sai quanti hanno provato a cambiarlo, e nessuno c’è mai riuscito. Ryusuke è fatto così, è molto libero ma è anche assolutamente inflessibile. Eiji non l’ha capito. L’ha lasciato, e Ryusuke è stato malissimo.
Non riuscì a sopprimere uno sbuffo di disapprovazione.
- Se l’ha tradito, non doveva importargli poi molto.
Maho lo guardò gelida, come fosse delusa da lui.
- Ci teneva moltissimo, invece. – disse, con rabbia. – Vedi? Non capisci neanche tu. Ryusuke lo adorava. Andavano d’accordo su tutto, amavano la stessa musica, parlavano di qualsiasi cosa ed erano assolutamente in sintonia anche… anche sotto le lenzuola, per dirla così. Eiji era la cosa più preziosa di Ryusuke. E lui è andato via senza capirlo, o comunque fregandosene.
C’era qualcosa di sbagliato nel ragionamento alla base.
…Maho non poteva, non poteva essere seriamente convinta che Ryusuke avesse ragione ed Eiji torto.
- E’ per questo che lo odio. Ha fatto del male a mio fratello. Non posso perdonarlo.
È lui che ha fatto male ad Eiji, Maho. Gli ha fatto malissimo. Eiji probabilmente avrà avuto in testa tutte queste sciocche idee di felicità, di un rapporto sereno e disteso… del Vero Amore. Ma non quello reale. Quello delle canzoni, romantico e infinito. E tuo fratello invece sarà stato il solito, freddo, cinico, insensibile bastardo, fattelo dire Maho, bastardo, e avrà distrutto in un soffio tutti i castelli di carte che lui, fantasticando, aveva costruito.
Probabilmente tuo fratello ha distrutto l’adolescenza di Eiji, Maho.
Probabilmente Eiji ha sofferto più di quanto tu o Ryusuke riuscirete mai non dico a provare ma neanche a immaginare; perché i tipi come voi non soffrono, i tipi come voi non fanno che superare un ostacolo dopo l’altro e arrivano sempre dove vogliono senza neanche una ferita addosso, o al massimo solo con qualche graffio che sparirà presto. E semplicemente non potete capire che quando un essere straordinario si confronta con un essere ordinario gli basta una parola, per distruggerlo. Anche meno. Anche solo un gesto. Anche non fare niente può uccidere qualcuno.
Ma tu non lo vedi, Maho, tu non lo vedi… perché non lo vedi…?

Perché non…?

La soluzione era lì, davanti ai suoi occhi.
Semplicemente Maho non era mai stata lasciata da Ryusuke.
Lei era sua sorella, lui ci sarebbe sempre stato, l’avrebbe accolta in casa, avrebbe letto con lei i suoi stupidi shoujo manga, avrebbero ascoltato i vecchi album dei DyBre ricordando quando andavano in giro per New York con Eddie e non si sarebbero mai separati.
Lei non aveva idea di cosa significasse sentirsi addosso gli occhi di Ryusuke che ti buttavano fuori di casa. Non aveva idea di cosa significasse sentire addosso le sue mani, e sentirle affezionate e appassionate per un solo momento, prima di vederle ritrasformarsi nelle solite mani indifferenti che non cercano di trattenerti mentre vai via.
Non poteva saperlo, non poteva vederlo. Ai suoi occhi, suo fratello sarebbe rimasto per sempre il più figo di tutti, lo spirito libero, il chitarrista geniale, l’abile compositore.
Mai l’amante crudele.
Sospirò.
Ecco un’altra cosa di cui non posso parlarti.
- Penso che andrò a casa. – disse in un soffio, scivolando giù dallo sgabello e lasciando sul bancone i soldi anche per la bibita di Maho.
- Ma dai, è presto! Ryusuke non è ancora qui!
E infatti è l’ultima occasione che ho per scappare.
- Lo so, ma sono molto stanco. – si giustificò, sorridendo imbarazzato. – Ci vediamo domani alle prove?
Lei scosse il capo, rattristata.
- Domani pomeriggio ho le attività del club…
Lui sorrise ancora, rassicurandola.
- Ci rivedremo comunque presto.
Mentre usciva dal locale, scoraggiato, confuso e ferito al punto da desiderare di scomparire nel cuscino, una volta che fosse stato a letto, si disse che però c’era ancora qualcosa che non sapeva.
E d’improvviso capì che non sarebbe mai potuto uscire da quella storia se prima non l’avesse scoperta.
Ryusuke ed Eiji s’erano lasciati litigando, nel peggiore dei modi.
Ma Eiji chiamava ancora Ryusuke. E Ryusuke tremava ancora nel vedere il suo nome apparire sul display del cellulare.
C’era ancora qualcosa di sospeso, fra quei due.
E lui doveva parlare con Eiji, o l’angoscia l’avrebbe consumato fino a farlo sparire davvero.
*

Si sentiva un dannato maniaco.
Era andato alla livehouse praticamente travestendosi, sperando che né Maho né Ryusuke, né nessun altro lo riconoscesse, ed era rimasto tutto il tempo in un angolo a fissare Eiji che parlottava con amici e ragazze del più e del meno, totalmente disinteressato della band che suonava sul palco. Era rimasto immobile lì per un’eternità.
Quando finalmente Eiji si decise a lasciare il locale, erano circa le due di notte.
Sospirando pesantemente, lo seguì, preparandosi a un’oretta di stallo di fronte alla casa di qualche ragazzina – o di qualche ragazzino, perché no – che Eiji avesse deciso di scoparsi, nell’attesa che lui uscisse e se ne andasse a casa sua, dove avrebbe potuto parlargli tranquillamente.
E invece, contro ogni aspettativa, quella non sembrava una serata da compagnia, per lui.
Camminò da solo, le mani ficcate nelle tasche del giubbotto chiuso fino al mento, il viso nascosto dal cappuccio calato sugli occhi, il passo lento e stanco del lavoratore che non rinuncia alle serate in giro per divertimento e per abitudine.
E poi d’improvviso si voltò.
E Yukio si ritrovò di fronte ad uno sguardo gelido e vuoto che in un attimo si riempì di divertimento, e a una curva immobile delle labbra che presto esplose in un sorriso.
- Ti direi che se vuoi soldi hai scelto la persona sbagliata, ma ora che ti guardo in faccia non mi sembri un ladro. Posso stare tranquillo.
Si sentì avvampare, e per nascondersi si strinse nell’ingombrante giacca di piuma d’oca in cui s’era avvolto per fuggire le insidie dell’inverno.
Ma Eiji gli si avvicinò, e quando lo guardò per bene in viso scoppiò a ridere. Una risata allegra, aperta e sfrontata.
Dal momento che l’aveva sempre visto litigare, con Ryusuke, e dal momento che Ryusuke non era una persona negativa, s’era fatto l’idea che fosse lui, quello negativo, fra loro. Doveva invece arrendersi al fatto che probabilmente era solo la loro unione a dare quel risultato.
- E’ un bene che tu mi abbia seguito. – disse Eiji sorridendo, quando si fu calmato, - Così posso chiederti cos’avevi da fissarmi alla livehouse.
Abbassò lo sguardo, ed Eiji ridacchiò ancora.
- Vuoi venire a casa mia? – gli chiese, e lui la interpretò come una strana forma di empatia fra due persone mollate dallo stesso ragazzo – all’incirca.
Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma in quel momento non gli importò. E lo seguì.
*

Eiji viveva in uno squallidissimo monolocale vicino al Remedy. Una stanzetta mezza distrutta, disordinatissima e anche sporca, l’ultimo posto dove avrebbe desiderato trovarsi con chiunque, figurarsi se quel chiunque era qualcuno che gli suscitava emozioni talmente contrastanti e davanti al quale non poteva fare a meno di sentirsi agitato.
Da una parte lo infastidiva il pensiero che Ryusuke, nel suo modo allucinante e contorto, potesse averlo amato. O amarlo ancora.
Dall’altra parte, però, lo compativa, e si sentiva molto simile a lui. L’ennesimo cuore spezzato dal Ragazzo delle Meraviglie.
E dire che mi avevano avvertito, la prima volta che l’ho visto.
“Ryusuke è il peggiore, fa piangere le ragazze”.
Be’, anche i ragazzi.

- Posso offrirti qualcosa?
La voce di Eiji lo risvegliò dalla trance appena un attimo prima che i ricordi cominciassero a portarlo alla deriva su pensieri troppo imbarazzanti e troppo scomodi per poter essere sopportati senza nascondere la testa sotto chili di sabbia.
Scosse decisamente il capo, guardandosi intorno alla ricerca di un posto dove sedersi.
Poi individuò dei cuscini ammonticchiati per terra accanto a un tavolinetto e immaginò potessero essere considerati delle sedie; allungò una mano per prenderne uno, ma Eiji lo fermò con l’ennesima risatina divertita.
- Vuoi andare direttamente a letto? – gli chiese, malizioso.
- …eh?
Eiji rise ancora, e lui cominciò ad abituarsi a quel suo modo sfacciato di farlo.
- Quello ammucchiato lì è il mio letto. I cuscini per sedersi sono qui. – precisò, dando un calcio a un’altra montagnola dal lato opposto del tavolo.
Sorridendo imbarazzato, Yukio si sedette in ginocchio sul meno sdrucito del mucchio.
- Come sei composto. – sorrise Eiji, sedendosi per terra davanti a lui, - Devo dedurre che non scoperemo sul serio?
Yukio lo fissò con quelli che perfino a lui sembrarono due occhi da idiota.
E ovviamente, Eiji rise un’altra volta.
- Sai, - spiegò, con un sorriso allegro e allo stesso tempo incredibilmente distante, - ogni tanto si incontrano dei ragazzi carini che vogliono andare a letto coi chitarristi. O coi batteristi, o coi cantanti, o coi bassisti o con chi per loro. - ridacchiò, - E dal momento che i Belle Ame stanno cominciando ad avere un po’ di successo pensavo… piuttosto direi che speravo che fossi uno di loro.
Di nuovo, Yukio negò risolutamente, stringendo i pugni sulle ginocchia.
Doveva trovare le parole per chiedere ciò che voleva sapere, ottenere una risposta e andarsene via al più presto.
Eiji era allegro, sfacciato e a suo agio.
Era identico a Ryusuke.
E lui era stufo di vedere continuamente cose identiche a Ryusuke. Voleva tornare a casa sua, ficcarsi a letto e ascoltare il cd di Chiemi Kuniyoshi fino a farsi venire la nausea, e poi dormire per settimane.
Forse allora avrebbe smesso di pensarci.
- Be’, non vuoi soldi, non vuoi niente da mangiare né da bere, non vuoi scopare e di sicuro non vorrai un autografo. Quindi, che vuoi?
Sollevò lentamente lo sguardo sul viso sorridente del ragazzo.
- Io sono… mi chiamo Tanaka. Sono un amico di Ryusuke Minami.
E in quel momento Eiji fece una cosa molto prevedibile, molto banale e molto tenera.
Trasfigurò.
Spalancò gli occhi, dischiuse le labbra in un’espressione di stupore e si chinò in avanti, avvicinandosi a lui per guardarlo meglio.
- Aaah…! – articolò, impacciato, puntandolo con l’indice, - Tu sei… quello, no? Il secondo chitarrista dei Beck.
Annuì, stringendosi nelle spalle.
- Ecco perché il tuo viso mi era familiare…
- …mi avevi riconosciuto…?
- Be’, no, non esageriamo. Però mi sembrava di aver già visto la tua faccia spesso. È per questo che ti ho portato a casa senza preoccuparmi troppo. All’inizio ero preoccupato che fosse solo perché hai dei lineamenti molto comuni, ma ora capisco tutto. Comunque, dimmi pure.
- Ecco, io… - azzardò incerto, incapace di sostenere il suo sguardo, tornato sereno e impassibile.
- Sì? – lo incitò Eiji, appoggiandosi con entrambe le mani al pavimento.
- …mi ero messo in testa di farti una serie di domande imbarazzanti. – confessò arrossendo. – Sulla tua relazione con Ryusuke, sai?
Eiji annuì, serio.
- Però non so da che parte cominciare.
- Ti faciliterò il compito, non sei il primo fra i “nuovi ragazzi-barra-e” di Ryusuke che mi viene a cercare per chiedere spiegazioni.
Dopodichè, socchiuse gli occhi e cominciò a recitare con fare annoiato.
- Sì, siamo stati insieme; sì, Ryusuke è un bastardo; sì, ti consiglio di stare lontano-barra-a da lui il più possibile o in meno di due minuti ti ruberà l’anima e ti consumerai nel dolore per tutto il resto dei tuoi giorni.
Basito, rimase ad osservarlo mentre, dopo essersi lasciato andare a un’altra risatina divertita, ricominciava a ripetere la lezioncina.
- Poi: no, non ti presenterà mai ai suoi genitori; no, non durerà più di una settimana e infine no, no, no, nella maniera più assoluta… - aprì gli occhi e lo guardò intensamente, una luce tutta diversa negli pupille, uno sguardo più grave, un ammonimento nella piega delle labbra, - nella maniera più assoluta, non ti ama. Te lo farà credere, te lo ripeterà di continuo, magari ti sembrerà anche che te lo stia dimostrando. Ma non ti ama.
Yukio annuì, stringendo i pugni fino a quando le nocche non gli diventarono bianche.
- Io… - disse incerto, sentendosi in soggezione, - avevo parlato con una ragazza che mi aveva fatto credere tu non avessi capito niente di Ryusuke. Invece mi sembra che tu ne sappia molto più di tanti altri.
- …un anno.
- …mh?
- Abbiamo convissuto per un dannatissimo cazzo di anno. – rise amaramente Eiji, - Vorrei ben vedere se non lo conoscessi. È stata sicuramente Maho a dirti questa cazzata.
Yukio ridacchiò, rilassandosi.
- Devo dedurre che non ti sta simpatica?
- Diavolo, no! È una palla al piede! E poi è totalmente accecata dall’amore che prova per suo fratello. Stando accanto a lui non riuscirebbe a distinguere un- un gattino da una zebra.
Stavolta rise.
E di gusto, anche.
Non sapeva perché, lui voleva bene a Maho-chan, e poi avrebbe dovuto odiarlo, quel dannato ragazzo, per quello che rappresentava e per quello che era stato, ma non riusciva a fare a meno di sentirsene affascinato, di sentirsi in sintonia con lui.
Forse, in fondo, un po’ d’empatia doveva esserci davvero.
- Comunque, se come sospetto sei finito tra le grinfie del lupo cattivo, cerca di liberartene presto. – lo ammonì Eiji, sbadigliando apertamente, - E’ pericoloso, davvero.
- Me ne sono accorto. – annuì lui, sorridendo lievemente.
- Bravo. Adesso senti, io domattina lavoro e devo essere in piedi fra circa tre ore, quindi se non hai altro da chiedere-
- Perché lo chiami ancora?
Eiji sussultò e s’interruppe, serrando le labbra mentre tutti i lineamenti del volto si irrigidivano, facendolo sembrare più adulto e meno bello di quanto non fosse.
- Non ti aspettavi che lo sapessi?
- In realtà no. – disse Eiji con un risolino incerto. – Credevo che Ryusuke non ne parlasse con nessuno.
- Infatti non… non me ne ha esattamente parlato. È stato vago, non ci ho capito niente, ho visto solo che vedere il tuo numero l’ha messo in agitazione, anche se solo per un attimo, e quando ho chiesto spiegazioni ha detto qualcosa tipo “be’, in realtà non si può dire che ci sentiamo, però è più complicato di così, allora fatti bastare che non ci sentiamo”, e-
- Aspetta, frena, frena. – ridacchiò Eiji, mettendo le mani avanti, - Ho afferrato. Senti, è tardi e ho la vaga impressione che non te ne andrai senza delle risposte in mano, quindi adesso ti dico tutto per bene, solo, mi prometti che dopo torni a casa tua, ti fai una bella dormita e dimentichi tutto?
Ah, be’.
Sarebbe stato disposto a promettere la luna pur di venire a capo di quel mistero.
Annuì con decisione, rimanendo in ascolto.
Eiji prese un gran sospiro e si appoggiò con un gomito al tavolino, rilasciando poi il capo sulla mano aperta.
- Lasciarlo è stata dura, ma non potevo fare altrimenti. Non potevo continuare a vivere con lui sapendo che quando io avevo i pomeriggi a lavoro lui portava altre persone in casa!
Yukio annuì, sedendosi a gambe incrociate e facendo una smorfia di dolore mentre gli arti addormentati prendevano a formicolare.
- Certo, quando me ne sono andato mi illudevo che sarebbe andato tutto bene, che sarei stato subito meglio eccetera eccetera. Ma non funziona così. Non puoi andare via dopo un anno intero di convivenza ed essere felice stando da solo.
- …e quindi?
- E quindi dopo una settimana che passavo la mia vita dormendo e piangendo, dopo aver perso il lavoro e dopo aver messo a rischio la vita dei Belle Ame, ho chiamato Ryusuke, ovviamente.
- E lui cosa ti ha detto?
- Assolutamente niente. Non mi ha risposto.
- …ah. – sbuffò lui, deluso, - Credevo che-
- Non mi ha risposto, ma si è precipitato qui. – concluse Eiji, sorridendo teneramente.
Yukio sentì una fitta nel centro del petto, e pensò gli fosse esploso il cuore.
Riprese a respirare lentamente, per accertarsi di essere ancora vivo, e quando si accorse che gli facevano male anche i polmoni capì che dentro di lui era esploso ben altro che il semplice cuore, e si morse l’interno della guancia per non scoppiare a piangere.
- Quando è arrivato ho pianto come un bambino per ore. Lui mi ha consolato, e poi abbiamo fatto sesso. Quando sono venuto e l’ho guardato, l’ho odiato. Avrei voluto picchiarlo e buttarlo fuori, ma non me ne ha dato il modo: è venuto anche lui e se n’è andato di corsa, senza dire una parola.
- Che significa questo?
Eiji sorrise, sospirando.
- A Ryusuke piace consolarmi, ogni tanto. E a me piace essere consolato da lui. Quindi, anche se quando lo chiamo non risponde, viene qui e fa quello che sa fare meglio per risollevarmi il morale.
“- Due persone o si sentono o non si sentono. Oppure si sentono a volte, semmai. È così?
- No, non è così. Diciamo che è più complicato di così, ma alla fine dei conti, per semplificare, possiamo dire che non ci sentiamo.”
Non è affatto vero che non vi sentite, Ryusuke.
Semplicemente, non avete bisogno di usare l’udito, per farlo.
Ma c’è differenza fra “non ascoltare” e “non sentire”.

- Ieri mattina era con te, vero? – gli chiese Eiji, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il mucchio di cuscini nell’angolo.
Yukio annuì, tenendo lo sguardo basso per evitare che lui vedesse le lacrime trattenute a stento dalle ciglia.
- Se avessi dello champagne, brinderei in tuo onore. Credo tu sia il primo che non molla in tredici per raggiungermi.
*

Fosse stato lo stesso dell’anno prima, sicuramente una cosa come quella l’avrebbe fatto impazzire di gioia. Si sarebbe detto “magari non mi ama come lo amo io, ma ehi, ha rinunciato a una serata di solo sesso con l’unico uomo che abbia mai amato, e solo per stare con me!”, e neanche dei pesi sarebbero riusciti a tenerlo ancorato a terra, da quanto sarebbe stato felice.
Era sempre stato un maestro nell’accontentarsi di poco e, su quel poco, costruire le fondamenta per la propria soddisfazione.
D’altronde, era successo così anche con Izumi-chan. Non erano mai stati niente più che amici, lei l’aveva solo battezzato Koyuki un giorno qualsiasi di mille anni prima, ma lui se l’era fatto bastare. Se l’era fatto bastare per anni, ed era stato felice.
Ma se c’era una cosa che stare in una band gli aveva insegnato, era smettere di accontentarsi. Smettere di accontentarsi di suonare benino, per imparare a suonare meglio. Smettere di accontentarsi di quattro fan per esibizione, per fare di tutto per averne altri. Smettere di accontentarsi delle chitarre altrui, per cercarne una che fosse solo sua, anche a costo di chiedere un prestito in banca per averla.
E quindi no, non gli bastava sapere di essere stato la causa di quella rinuncia, per Ryusuke.
Non era quello che voleva da lui.
Non voleva che accantonasse temporaneamente Eiji per dedicare a lui qualche minuto di tempo, voleva che Eiji sparisse, voleva che il suo ricordo si disintegrasse fra mille altri ricordi per lasciare spazio al suo viso, al suo nome, al suo corpo.
Aveva bisogno di essere l’unico, per Ryusuke.
Non gli era mai importato, prima, ma adesso era tutto diverso.
“Non sai quanti hanno provato a cambiarlo, e nessuno c’è mai riuscito.”
Be’, Maho, anche se non dovessi riuscirci nemmeno io, ti assicuro che tuo fratello non se la caverebbe facilmente come ha fatto finora.

Prese fiato e bussò alla porta, fissandola con severità in attesa di vedere apparire, al suo posto, il viso di Ryusuke.
- Avanti. – disse una voce assonnata dall’interno, e Yukio girò la maniglia ed entrò.
Chiaramente, era a letto con una ragazza. Stavano leggendo numeri diversi dello stesso manga, lui supino, lei a pancia sotto, ed erano ancora entrambi seminudi.
Yukio cercò stoicamente di trattenere la rabbia.
- Sarebbe meglio che tu te ne andassi, ora. – disse gelido, fissando Ryusuke senza rivolgersi a lui.
- Che?! – sbottò la ragazza, irritata e confusa, - Ryusuke-kun, chi è questo tizio?
- E’ il mio chitarrista. – ripose Ryusuke con un sorriso furbo, ricambiando il suo sguardo.
- E gli permetti di entrare in casa tua e parlarmi così?! – gracchiò lei, furibonda, coprendosi al meglio col lenzuolo.
- Be’, - disse lui, senza degnarla di uno sguardo, - ha ragione. Te l’avrei detto anch’io a minuti.
Tentò di non sorridere mentre davanti a lui si svolgeva l’ennesimo teatrino dell’ennesima amante delusa che ricordava perfettamente che lui era molto diverso il giorno prima e che non sembrava così intenzionato a liberarsi al più presto di lei mentre se la scopava.
Non erano rimostranze alle quali Ryusuke fosse abituato a risponde, e difatti rimase in silenzio anche quella volta.
Meglio così, pensò Yukio, risparmia fiato per le spiegazioni.
Quando fu ritornata la calma, Ryusuke lo invitò a sedersi accanto a lui sul futon, dando qualche colpetto al materasso, ma lui rifiutò.
Non intendeva toccare ancora quelle lenzuola prima di aver risolto la questione.
- Stanotte ho parlato con Eiji. – disse, tutto in un fiato, sperando che Ryusuke comprendesse senza fargli dire altro.
- Mh. – annuì Ryusuke, le sopracciglia aggrottate, offeso dal suo rifiuto, - E quindi?
Yukio sospirò, rilasciando le spalle tese e socchiudendo gli occhi.
- Poi sono io lo stupido, mh?
- Ho capito cosa stai cercando di dirmi. – ribatté Ryusuke, contrariato, - Che sai cosa è successo fra noi, sai che ci vediamo ancora e sai anche cosa facciamo quando ci vediamo. La mia domanda non cambia. E quindi?
- Possibile che tu sia davvero così insensibile da non capire?!
Ryusuke sbuffò, roteando gli occhi.
- E’ per questo motivo che non voglio più stare con nessuno! – sbottò irritato, stendendosi sul materasso, - Non sopporto queste storie!
- Be’, mi dispiace! – disse lui, allargando le braccia in un segno di resa che contrastava con il suo modo di agire, - Ma non intendo smettere di assillarti fino a quando non avrò ricevuto delle spiegazioni!
- Ma spiegazioni di che tipo?! – gridò Ryusuke, tornando a sedersi e guardandolo negli occhi, - C’è ancora qualcosa che non sai di Eiji e me?
- Non mi interessa sapere nient’altro su voi due! È di noi due che voglio parlare!
Ryusuke dischiuse le labbra, stupito, e lo fissò a lungo.
- Ero preparato ad affrontare una scenata di gelosia. – mormorò dopo un po’, incerto, grattandosi la nuca, - Ma di certo non ero preparato ad affrontare questo.
Yukio cominciò a sospettare di avere detto qualcosa di veramente strano, e spalancò gli occhi.
- Cosa… - balbetto, - “Questo” cosa?
- Koyuki, io credevo di essere stato chiaro ieri.
- Riguardo cosa?
- Tutto il fatto dei… dell’avere voglia e farlo, e del non volere un legame fisso. Pensavo… cioè, credevo che anche per te non avesse significato niente di particolare.
Aveva significato molto, invece.
La mia prima volta, e lo volevo, e mi ero innamorato di te.
E due giorni a rotolarci fra le lenzuola, e tutti i tuoi sorrisi, e i tuoi baci, e i giochi, e il tuo corpo…
Aveva significato molto. Troppo.

Lentamente, silenziosamente, cominciò a piangere, coprendosi il viso con le braccia.
- Oh! – si allarmò Ryusuke, alzandosi in piedi, - Ohi! Koyuki! Ma dai! – cercò di consolarlo, avvicinandosi a lui, - Avanti, non fare così, mi fai sentire in colpa!
Yukio sollevò gli occhi, guardandolo come se avesse appena ucciso il suo migliore amico.
Questo non doveva dirlo.
Avrebbe potuto dargli dello stupido, ridere di lui e buttarlo fuori da casa sua, e lui avrebbe continuato a piangere disperatamente per giorni e sarebbe andata bene.
Ma quello…
Ti faccio sentire in colpa, Ryusuke?
Non devo piangere perché se lo faccio tu ti senti in colpa, stronzo?
Fottiti!

Capì di avergli dato un pugno solo quando lo vide indietreggiare di qualche passo, tenendosi fra le mani la guancia dolorante.
Si guardò le nocche arrossate e gli sembrò allucinante averlo fatto davvero.
- Ma sei impazzito?! Cazzo! – gridò Ryusuke, massaggiandosi lo zigomo, - Mi vuoi spaccare la faccia, Koyuki? Questo ti farebbe sentire meglio?
Anche lui indietreggiò, schiacciandosi contro la porta d’ingresso.
- Tu… è colpa tua! – si difese, cercando di gridare più forte di lui.
- Vaffanculo, Koyuki, fuori da casa mia! Vattene subito!
Trattenne il fiato per molti secondi, e pianse così affannosamente che gli sembrò di dimenticare come si respirasse normalmente.
Poi girò la maniglia e fuggì di corsa.
*

Erano appena passate le quattro. Avrebbe già dovuto essere in sala prove. E invece eccolo lì, a rigirarsi nel letto, lamentandosi come un’anima in pena, come non aveva mai fatto, neanche quando era stato male sul serio.
Quando squillò il cellulare, non si stupì di vedere il nome di Ryusuke lampeggiare sul display, e si limitò ad affondare ancora di più fra le coperte, continuando a guardare lo schermo luminoso, stringendo il telefonino fra le mani così forte che avrebbe perfino potuto spezzarlo.
Piantala. Sta’ zitto, pensò, e istantaneamente il cellulare smise di squillare.
Spalancando gli occhi, e complimentandosi con sé stesso per i suoi nuovi poteri ESP, si voltò appena per verificare ancora una volta l’orario. Le quattro e sei. Aveva ancora circa due ore per piangere indisturbato prima del ritorno di sua madre dal part-time, che l’avrebbe obbligato ad alzarsi in piedi, darsi una vaga sistemata e provare almeno a studiare.
Decise di fare tesoro del tempo che ancora gli restava – trovava incredibile ammettere di poter perdere tante ore a non fare altro che biasimarsi e disperarsi, eppure lo trovava così piacevole e consolatorio che non avrebbe potuto mai rinunciarvi – ma i suoi piani furono mandati all’aria dal campanello, che decise di squillare , costringendolo ad andare ad aprire la porta.
Mamma doveva essere già tornata.
Gli sembrava, in effetti, di ricordare molto vagamente qualcosa sul fare solo metà del pomeriggio per tornare a casa presto e preparare il sushi.
Aprì stancamente la porta, abbozzando un sorrisetto.
- Ciao ma-
Ryusuke.
Evidentemente, madre e sushi dovevano essere un’invenzione della sua memoria a breve termine.
Il suo cuore saltò un battito, e per qualche secondo boccheggiò come un pesce fuor d’acqua, muovendo a vuoto le labbra come avesse qualcosa da dire ma non trovasse le parole, quando in realtà aveva la testa talmente vuota che avrebbe potuto implodere da un momento all’altro.
- Come… come fai ad essere già qui…? – chiese quando ebbe ritrovato la facoltà di pensare, - Hai chiamato poco fa…
- Ero da queste parti. – sorrise Ryusuke, le mani in tasca e la solita espressione spavalda sul volto, - Volevo assicurarmi che stessi bene. Non è da te saltare le prove.
Lui abbassò lo sguardo, stringendo la maniglia della porta fra le dita.
- Non sto bene. – disse, vergognandosi dei tremiti della sua voce.
Ryusuke sospirò.
- Koyuki, non puoi fare così…
- Mi permetterai almeno di decidere cosa posso o non posso fare?! – strillò lui, furioso, tornando a guardarlo negli occhi.
Lui sospirò ancora, scuotendo il capo con fare rassegnato.
- Mi fai entrare? – chiese infine, sorridendo lievemente.
Yukio aggrottò le sopracciglia.
Ti faccio entrare?
Dio, sì.
Non penso ad altro da giorni.

Si scostò dalla soglia, lasciandogli lo spazio per entrare, e Ryusuke accolse l’invito senza dire una parola, passandogli oltre senza neanche guardarlo.
Fu allora che la sua mente venne attraversata in successione da una serie di pensieri talmente idioti che non poté fare a meno di arrossire.
È la prima volta che Ryusuke entra qua dentro.
Ci sarà qualcosa fuori posto?
Devo invitarlo in camera?
Oddio, devo invitarlo in camera?!

- Vuoi… salire in camera mia…? – chiese sottovoce, guardandosi le mani, che nel frattempo avevano preso a stropicciare istericamente l’orlo inferiore della felpa.
- Sì. – annuì tranquillamente Ryusuke.
Mentre salivano le scale, venne invaso dalla spiacevolissima sensazione che quella storia non potesse concludersi se non con uno spargimento di sangue.
Avrebbe ammazzato Eiji, o Ryusuke, o sé stesso, e solo così avrebbe potuto risolvere la questione.
Non aveva la più pallida idea che essere innamorato di qualcuno potesse essere così orribile. Non c’era niente di bello nell’amare così. Non esisteva un sentimento più negativo di quello. Non riusciva a immaginare che potessero esistere persone in grado di vivere positivamente amori non ricambiati, negati, impossibili. Non poteva credere che esistesse gente disposta a dirsi felice in situazioni come quelle. “Sì, ho un sacco di problemi, ma amare mi riempie comunque di gioia”. Gioia il cazzo.
Pensare a Ryusuke lo riempiva d’odio, frustrazione e gelosia.
E lui non riusciva a immaginare niente di peggio.
*

Gli occhi di Ryusuke puntati addosso. A lungo. Troppo a lungo.
- A cosa stai pensando?
Il suo sorriso spavaldo, mentre appoggia le mani sul materasso, dietro la schiena, e si siede comodo.
- Rivederti mi ha fatto un effetto inaspettato.
Vederlo lì, sul letto, e immaginarlo fra le lenzuola.
- Cioè?
La sua risatina serena, quasi dolce.
- Pensavo che avrei avuto voglia di spaccarti la faccia. Invece no.
L’improvviso desiderio di flirtare.
- E allora che effetto ti faccio?
Sentirsi una ragazzina e vergognarsi una volta di più.
- Un effetto piacevole.
Capire in un lampo che magari era venuto a trovarlo per chiarire la loro situazione, ma che nel momento in cui gli aveva posato gli occhi addosso per prima cosa aveva pensato al sesso.
E sentirsene vagamente orgoglioso.
- Lo sai che se non parli chiaro non ti capisco.
Sorridere, e riscoprirsi malizioso.
Sorridere, e dimenticare di aver pianto fino a pochi minuti prima.
Sorridere, e rinnegare ogni pensiero negativo sull’amore, perché non sarà piacevole, non ti renderà contento, ma non c’è nient’altro in grado di darti quel brivido caldo lungo la spina dorsale, non c’è nulla che ti faccia tremare di desiderio nello stesso modo, e non c’è nulla che riempia il corpo di tanta aspettativa, niente, neanche una Stratocaster tanto bella che sembra chiamarti dalla vetrina del negozio, neanche la potenza di una chitarra e un amplificatore nell’eco di un garage vuoto, neanche le urla, neanche i live.
Osservare Ryusuke alzarsi e avvicinarsi.
Osservarlo, e identificare nei centimetri fra i loro corpi tutti i mali del mondo.
Osservarlo, e percepire una tiepida sensazione di benessere ricoprirlo tutto, un po’ di più a ogni passo.
E desiderare di poter credere solo alle sue braccia, alla loro stretta sicura e forte, alla cura con la quale lo trattavano, come fosse fragile, come fosse prezioso. Avrebbe voluto poter pensare a quelle braccia come all’unica cosa vera in tutto il mondo.
Mentre invece tutto il corpo di Ryusuke mentiva.
Saperlo, e abbandonarsi comunque.
“Tengo a te”, sembrava dirgli, e i suoi occhi chiusi tradivano il desiderio di toccare qualcun altro. “E’ importante che sia tu”, e avrebbe potuto essere chiunque. “E’ così bello perché mi piaci”, ma nella sua testa, al di là delle sue palpebre, c’era solo Eiji, Eiji, Eiji, i ricordi, il suo viso, a ballare ininterrottamente, in costante movimento, vivi, vorticosi, oppure immobili e persistenti come fotografie, di quelle che non butti e conservi anche quando fa male guardarle.
Non vuoi stare con nessuno, Ryusuke?
No. Tu non puoi pensare di stare con qualcuno che non sia Eiji.

Sentirsi male venendo.
Sentirsi male osservandolo venire.
Sentirsi male nello scoprire di essere felice, in qualche piccola, sperduta parte fra la gola e i polmoni.
Sentirsi male mentre quella felicità interrompe il respiro e costringe ai singhiozzi. E alle lacrime.
Sentirsi male, malissimo, nel sentire la mano di Ryusuke in una carezza morbida sulla testa, fra i capelli, sul collo.
Sentirsi male nel percepirlo rigido, irritato. Già stufo di tutti quei piagnistei, probabilmente.
- E’ colpa mia.
Sentirsi sciogliere.
- Passerà.
Sentirsi morire.
- Non avrei dovuto rifarlo.
Sentirsi stupido.
- Eri… bello.
Sentirsi.
Sentirsi tutto.
Caldo e palpitante.
- Sei strano, Koyuki.
Sentire Ryusuke ridacchiare e desiderare guardarlo in viso, ma non farlo per paura di restare ammaliato, ancora e per sempre.
- Mi fai sentire strano.
Tremare.
Guardarlo.
Miracolosamente, sopravvivere.
- Cosa…?
- Strano.
- Che vuol dire?
- Vuol dire strano. Se è strano significa che non riesco a spiegarlo.
Scuotere il capo, e farlo con convinzione.
- Quelle sono le cose inspiegabili. Le cose strane sono altre.
- Tipo?
- Tipo… sentire caldo e sudare mentre c’è freddo.
- Ma questo non è strano. Può essere motivato da tante cose. Magari correvi. Magari è un malore. Magari stai guardando la persona che ti piace e hai il batticuore.
Accoccolarsi contro di lui, abbracciarlo stretto, non sentirsi respinto, sentirsi accettato e protetto.
- Avere il batticuore quando guardi la persona che ti piace… sai, quello per me è strano.
La sua risatina divertita, ancora.
Percepire chiaramente di poter vivere anche solo per quello e sentirsi un idiota fatto e finito.
- E’ assolutamente normale.
- Invece no! La gente crede sia normale perché succede spesso, ma è assurdo che la sola vista di una persona possa incasinare tutto l’organismo! Pensaci bene: la respirazione, l’afflusso di sangue alla pelle, il controllo degli arti, perfino il battito cardiaco… non è stranissimo che il solo vedere una persona riesca a causare tutto questo?
- Mh… sai, Koyuki? Forse hai ragione.
E quella cosa che è esplosa a casa di Eiji, quella cosa nel centro del petto, sentirla ricomporsi e scoppiare ancora. Mille volte più intensa, mille volte più piacevole.
E capire che forse l’amore è anche quello.
E crederci, adesso sì. Credere che una persona possa essere felice anche in questo modo.
- Forse tu sei qualcosa che mi fa sentire caldo quando c’è freddo.
Aprire la mano sul suo petto, accarezzarlo tutto.
- Ma non sono il tuo ragazzo. Non sono il ragazzo di nessuno. E tu non sarai il mio ragazzo, e faresti meglio a stare attento a non considerarti il ragazzo di nessuno, da oggi in poi.
Chiedersi perché Ryusuke si ostini a cercare di farti credere di non poterti amare.
Quando in realtà semplicemente non vuole.
Spingerlo con violenza giù dal letto. Guardarlo con disgusto, solo per un attimo, imprimendosi bene in testa la sua espressione irritata, stupita e già esasperata. Affondare tra le lenzuola e chiedergli di andarsene via e non tornare mai più.
Ascoltarlo dire sì.
Dirgli “sai la strada”.
Sentirlo uscire.
Piangere un po’.
Dormire.
*

Si risvegliò col suono del telefono e con un pensiero fisso in testa.
Non voglio più vederlo. Lascerò i Beck. Non suonerò mai più. E vaffanculo.
Non voleva saperne più niente. Si sarebbe scusato con Saku, e con Chiba, e con Taira, e per lui non avrebbe avuto più neanche una parola, così… così…
Si tirò le coperte fin sopra la testa e serrò gli occhi.
Sua madre lo chiamò dal piano di sotto. Lui non rispose.
- Yukio! È Minami!
Gli sembrò di esplodere nel letto.
Gettò via le coperte, scivolò in terra rotolandosi sul materasso, si rialzò in piedi e si lanciò a rotta di giù per le scale, afferrando il telefono dalle mani di sua madre con urgenza tale che lei si spaventò.
- Ryusuke! – gridò, stringendo la cornetta con entrambe le mani.
- …Koyuki…?
- …Maho-chan. Scusa. Credevo fosse tuo fratello.
Lei ridacchiò.
- Sì, l’avevo intuito.
La nota d’amarezza nella sua voce lo allarmò.
- Ti disturbo?
- No, no, assolutamente. Dimmi tutto.
- Sì, siccome quando questo pomeriggio non sei venuto alle prove e mio fratello è venuto a cercarti… mi chiedevo, l’hai visto?
Deglutì.
- Sì.
- E… ci sono stati… come dire, problemi?
- Problemi? Di che tipo?
Lei rise ancora, e a lui si strinse il cuore.
- Lo sto chiedendo a te.
- Non c’è stato nessun tipo di problema.
- Sei sicuro? Non avete… litigato, o che?
- No.
- No, perché quando Ryusuke litiga con te poi ha sempre la luna storta, e-
- Maho-chan, che è successo? – chiese stancamente, passandosi una mano sulla fronte.
Lei si prese un secondo di tempo.
- Praticamente è sparito. – disse poi, tutto d’un fiato. – Non l’ha più visto nessuno da quando è venuto da te.
- …che?
- Essì. Ma, cioè, non ti devi preoccupare! – puntualizzò, con una risatina allegra, - Ryusuke scompare ogni tre per due. Solo che, ecco, generalmente dice dove va. Quindi mi chiedevo se a te avesse detto qualcosa.
- …no, io… non so, non mi ha detto nulla…
- …ah.
Un lieve tremolio tradì la sua inquietudine, e Yukio deglutì.
Era spaventato.
Ryusuke era perso chissà dove.
Ed era stato lui a buttarlo fuori di casa. Era stato lui a dare inizio a quella fuga.
- Va be’, non preoccuparti. – cercò di rassicurarlo ancora Maho, ridacchiando allegramente, - Di sicuro si farà sentire. Insomma… è ancora presto. Di sicuro chiamerà.
- Mh. – disse lui, frettolosamente, - Adesso devo andare.
- Oh. Sì, certo. Scusa se ti ho disturbato. – lo salutò lei, la voce tutta un trillo felice, interrompendo la conversazione troppo velocemente perché Yukio non la immaginasse già in corsa alla ricerca del fratello.
Lui rimase lì, immobile, stringendo la cornetta fra le mani.
Lanciò uno sguardo all’orologio a muro. Erano quasi le undici.
Era tardi.
- Mamma, esco.
- Che? Dove vai a quest’ora? – chiese lei stupita, affacciandosi dalla porta della cucina.
- Ho un appuntamento.
- Mmmmh… - mugugnò, facendo una smorfia e incrociando le braccia sul petto, - Ancora Minami, eh?
Yukio sorrise lievemente.
- Già.
*

Mentre vagava per la città fra una livehouse e l’altra, fermandosi giusto il tempo di dare un’occhiata in giro e impazzendo perché il mondo intero sembrava essere abitato da persone che somigliavano a Ryusuke ma decisamente non erano lui, ebbe modo di riflettere su una cosa magari stupida, ma che gli fece un male cane.
Nei drama che aveva visto, e nei manga che aveva letto, ogni volta che uno dei protagonisti spariva il suo amante sapeva sempre dove andarlo a cercare. Quando lo avvertivano della scomparsa faceva un sorriso triste, o un’espressione preoccupata, e poi correva e correva, magari con le lacrime agli occhi, e pensava “So dov’è!”, e puntualmente lui o lei era proprio lì dove si aspettava che fosse.
Perché ogni coppia aveva un suo posto speciale.
Il posto ricorrente.
Quello dove vai quando sei triste e ti sembra che non ti possa consolare niente che non sia un buon vecchio ricordo agrodolce.
…lui e Ryusuke non avevano niente del genere.
Tutti i loro ricordi insieme erano concentrati fra la baracca fatiscente dove viveva e la sua camera da letto.
E Ryusuke di sicuro non era in nessuno di quei posti.
Non c’era nessun posto dove potesse andarlo a cercare.
Perché Ryusuke di sicuro non voleva farsi trovare, e lui forse lo conosceva bene, probabilmente sarebbe riuscito a prevedere qualche sua mossa, di sicuro lo amava e di sicuro ormai stava diventando qualcosa di disperato e insopportabile, di quelle cose che non dimentichi neanche se vuoi, ma…
…ma non era il suo ragazzo.
Il fatto lui gliel’avesse detto chiaramente valeva zero rispetto al realizzarlo così, in mezzo alla strada, col fiatone per la corsa e gli occhi spalancati per la preoccupazione.
Non era il suo dannatissimo ragazzo. Ecco perché non avevano un posto speciale, ecco perché non l’avrebbe mai trovato, ecco perché tutto quel vagare a perdifiato per la città era insensato e così sarebbe rimasto.
Poteva fermarsi. Poteva tornarsene a casa.
Era finita.
*

Spiegò a grandi linee la situazione a sua madre.
L’aver perso qualcuno, il sentirsi triste, il non aver voglia di mangiare ma solo di stare rintanato in camera, fra le coperte, a fare finta di dormire. Lei, molto probabilmente, non ne aveva capito nulla, ma le sue lacrime incontrollabili dovevano averla convinta che fosse meglio non chiedere oltre e semplicemente aspettare che gli passasse.
E quindi non protestò particolarmente quando lui, ancora nascosto fra le lenzuola, con voce lamentosa le annunciò che non sarebbe andato a scuola, non si sarebbe alzato, non avrebbe mangiato né tantomeno avrebbe tentato di vivere una vita normale a tempo indeterminato.
Maho e i ragazzi non furono altrettanto comprensivi. Chiba più di tutti prese a lamentarsi furiosamente, dicendogli che “quel coglione di Ryusuke” poteva anche essere il fondatore dei Beck, ma non ne era mica la fottuta anima! D’altronde, era risaputo che ad un gruppo rock bastava una batteria, un basso, una chitarra e una voce per funzionare. Della seconda chitarra si poteva tranquillamente fare a meno. E quindi, in definitiva, Koyuki, alza il culo e presentati alle prove, che c’è un casino di lavoro da fare!
…grazie a Dio la maggior parte delle volte sua madre riusciva ad arginare quei fiumi in piena dicendo loro che suo figlio dormiva, o era in bagno, o un’altra qualsiasi cosa simile. Ma a volte capitava che non ci riuscisse, e allora a lui toccava star lì per decine di minuti a rigirarsi fra le lenzuola, con la cornetta mollemente appoggiata su un orecchio, ad ascoltare le infinite prediche dei suoi preoccupatissimi amici.
Koyuki, dannazione, non è mica morta tua madre! Ma che cazzo stai combinando?!
E in realtà, ovviamente, cosa stesse combinando non lo sapeva neanche lui.
Sapeva solo che il suo corpo aveva un disperato bisogno di riposare. E dimenticare. Certo, cercare di farlo nello stesso letto nel quale lui e Ryusuke avevano fatto sesso per l’ultima volta era un po’ assurdo, ma non è che avesse molta scelta.
Doveva… doveva soltanto far passare il giusto lasso di tempo. Far decantare i ricordi. Forse, allora, tutte le scorie e i pensieri negativi sarebbero caduti sul fondo del suo cervello e si sarebbe persa la traccia della loro esistenza. Forse in superficie sarebbe rimasta solo la parte buona di tutta quella storia, e il resto sarebbe stato conservato come un’esperienza da ripescare in futuro per non ripetere lo stesso errore. Forse alla fine il suo corpo sarebbe riuscito a dimenticare l’odore di Ryusuke, la forma delle sue braccia e il ritmo del suo movimento.
Forse.
Forse gli si sarebbero solo atrofizzati i muscoli, e si sarebbe fuso col materasso, e un giorno sua madre sarebbe entrata in camera sua e avrebbe trovato solo un pigiama vuoto, e sarebbe stato uno spasso osservarla avvicinarsi al letto, terrorizzata, fissando con sgomento questo materasso con gli occhi e i capelli e due piccole braccina laterali che sorrideva imbarazzato chiedendole “Qualcosa non va, mamma?”.
Forse gli si sarebbero sciolti gli occhi, a furia di piangere.
Forse avrebbe deciso di scomparire per la vergogna, accidenti.
Forse sarebbe uscito da quella stanza con la consapevolezza di non volersi innamorare mai più.
O forse non ne sarebbe uscito affatto.
Forse avrebbe dovuto prenderla meglio.
Forse avrebbe dovuto trattare tutta quella situazione esattamente per quello che valeva, una stupida cotta per uno stupido ragazzo, di quelle nelle quali tutti cascano, almeno una volta nella vita.
Forse avrebbe semplicemente dovuto smetterla di vedere ogni avvenimento negativo come la fine del mondo. Decidersi a diventare più forte, una buona volta.
Darsi una mossa e crescere. Tanto per cambiare.
Magari Ryusuke l’aveva fatto per lui. Aveva deciso di scuoterlo per togliergli dalla faccia quell’espressione da eterno bambino, per sradicare dalla sua testa qualsiasi illusione di essere ancora piccolo, da proteggere, con tutti i diritti di sentirsi insicuro, spaventato dal mondo e bisognoso d’amore.
Magari aveva solo preso una botta.
Magari stava solo morendo d’amore, nel più classico dei modi.
Magari se chiudeva gli occhi poteva illudersi di riuscire a non pensarci più e dormire.
Magari.
*

- Yukio… Yukio, sei sveglio?
Aprì lentamente gli occhi sentendoli gonfi, pesanti e doloranti.
- Mh. – mugugnò, per rassicurare sua madre sulle sue condizioni, strofinandosi la fronte con una mano.
- Yukio, tesoro, io devo andare a lavoro. Tu… non ti vuoi proprio alzare?
Scosse a fatica il capo, cercando di sprofondare nel piumone.
- Ma ti senti almeno un po’ meglio?
Negò ancora, afferrando le coperte con le mani e tirandosele sul capo con uno scatto isterico.
- S-Scusa. – disse lei, incerta, ritraendosi. – Ci vediamo più tardi.
Non si prese neanche la briga di annuire, ascoltandola uscire e andare via.
Irritato, sperò che il mondo lo lasciasse in pace e gli permettesse di ricominciare col solito tran-tran di biasimo-rimpianto-disillusione-e-“mai-più-neanche-se-dovesse-andarne-della-mia-vita”, che gli teneva compagnia già da una settimana, ma il campanello pensò bene di rassicurarlo sul fatto che no, il mondo non intendeva affatto lasciarlo in pace, tutt’altro.
Sospirando pesantemente, uscì dal suo nascondiglio e si mosse con esasperante lentezza per il corridoio, fino a scendere le scale guardando la porta d’ingresso con malcelato odio.
Già pronto ad accogliere sua madre con un sarcastico “Dimenticato qualcosa, eh?”, si ritrovò totalmente spiazzato nel rendersi conto che la persona che gli stava davanti, le mani ficcate in tasca e la solita espressione sul viso come un marchio di fabbrica, era l’unica persona che aveva ormai quasi accettato di non poter incontrare mai più.
Ryusuke lo osservava con uno sguardo indefinibile, senza dire una parola.
Yukio spalancò gli occhi e dischiuse le labbra, stringendo la presa sulla porta fino a farsi dolere le dita.
Lui gli fece scorrere gli occhi addosso, da capo a piedi, lasciandosi poi andare a un piccolo sorriso divertito.
- Avresti potuto prenderla meglio. – commentò, tirando fuori una mano dalla tasca e appoggiandosi con un gomito allo stipite della porta, sporgendosi verso di lui.
Yukio cominciò a sentire gli occhi bruciare per via delle lacrime, e si sforzò a trattenerle dov’erano.
- Tu… tu non hai perso il tuo tatto, vedo. – replicò, cercando di dare dignità alla vocetta stridula e tremolante che gli uscì dalla gola.
Ryusuke sorrise ancora.
- Ti devo parlare. – disse semplicemente.
E lui pensò che quello probabilmente era il Momento. Il momento in cui avrebbe dovuto guardarsi alle spalle, vergognarsi per tutto quello che aveva fatto e per tutti gli stupidi pensieri da adolescente ferito e decidersi a buttare Ryusuke fuori dalla propria vita. Per orgoglio – o almeno per ritrovarlo – e per crescere. Per essere una persona migliore.
Ma guardandolo in viso, sentendolo così vicino, ascoltando la sua voce, non poteva ignorare il bisogno spasmodico che aveva di nutrirsi della sua presenza.
Ryusuke era diventato indispensabile.
E lui si era comportato in maniera tanto imbarazzante non perché quello fosse stato il suo primo amore e la sua prima delusione, ma perché era stato proprio Ryusuke a dargli entrambe le cose. Fosse stata un’altra persona, non l’avrebbe devastato così. Ma era stato Ryusuke, e ormai Ryusuke possedeva tutte le sue chiavi, non c’era più nessuna serratura che non fosse in grado di aprire e non c’era più niente che non fosse in grado di toccare.
Non c’era più niente che non fosse in grado di dare, così come di cancellare.
E quindi, con un po’ di rammarico per l’occasione perduta, Yukio osservò il Momento passare. Si scostò dall’uscio. E per l’ennesima volta diede spazio a Ryusuke.
*

Osservare Ryusuke sedersi scompostamente sul letto, le mani a fare da appoggio dietro la schiena, le gambe divaricate e lo sguardo vagante ovunque tranne che sul suo viso.
Indovinare la sua inquietudine dalla piega ansiosa e preoccupata delle labbra.
Fissarlo negli occhi nell’unico attimo in cui i loro sguardi s’incrociano, e sorridere lievemente e dolcemente, capendo di avere ragione.
- Che hai da ridere?
Provare l’impulso irrefrenabile di saltargli addosso e venire folgorati dalla consapevolezza improvvisa e immotivata di amarlo ora come mai prima.
- Non ridevo.
Sentire un sospiro stanco sfuggirgli dalle labbra e desiderarlo contro le proprie.
- Tu sai dove sono stato, Koyuki?
Scuotere il capo mordendosi le labbra per l’agitazione.
- Nascosto.
Ridere, adesso sì, per la sua espressione furba e allo stesso tempo un po’ sciocca.
- Questo l’avevamo capito un po’ tutti.
- Mh. Ma non è questa la cosa importante.
Tendere le orecchie e fare appello a qualsiasi altro recettore sensoriale perché colga ogni traccia, ogni possibile segnale di affetto, o anche solo di considerazione, nella sua voce e nel suo aspetto.
Pregare perché il segnale ci sia veramente.
- Ho riflettuto molto, sai?
- Davvero?
- Già. Su… su di noi.
Sentire una vampata di calore partire dallo stomaco e diffondersi nel petto, lungo il collo e sulle guance, fastidiosa e piacevolissima.
Forzarsi a dire qualcosa ricacciando il groppo in gola giù da dove proviene.
- Adesso ammetti che un noi possa esistere?
Godere della sua risatina irritata. Immaginare non sia facile far sentire in colpa Ryusuke, e sentirsi orgoglioso per esserci finalmente riuscito.
- Adesso non fare sarcasmo. Sto cercando di essere serio.
Pensare che probabilmente con quel “noi” intendeva “noi come amici”.
Sentirsi improvvisamente svuotato d’ogni briciolo residuo d’entusiasmo, anche di quello dovuto alla sua presenza, e sospirare.
- Non so se ho tanta voglia di essere serio, Ryusuke. Non ho fatto altro… non faccio altro da settimane.
- …Koyuki-
- L’ho presa male. Lo ammetto. Tu… non devi necessariamente scusarti.
- Non voglio farlo.
Guardarlo.
Sentirsi come schiaffeggiato dal suo stupido orgoglio.
- Tu, Koyuki, mi hai messo in una posizione orribile. Mi hai messo nella posizione di dover decidere per forza.
Cercare e trovare a stento la forza per protestare.
- Io non ti ho costretto a niente! Io-
- Tu ti sei innamorato sul serio.
- …
- Questo è stato un colpo basso.
E quel ghigno rassegnato, morire dalla voglia di baciarlo…
- Ma la cosa più crudele è stata farmici ricascare di nuovo.
- …eh?
Sentirsi confuso.
Sentire che c’è qualcosa di nuovo nell’aria.
Percepire qualcosa di bello e dolce nel suo sguardo.
- Dovrei smettere di perdere la testa così per i tipi spontanei…
Sbuffare contrariato.
- Quante volte ti è capitato, fino a ora?
- Te compreso?
Guardarlo a lungo.
Non sentire il bisogno di rispondere.
- Due.
Eiji e io, mh?
- Cosa stai cercando di dirmi?
Osservarlo alzarsi in piedi e raggiungerlo alla scrivania.
La vicinanza del suo corpo, le sue braccia che ora lo circondano…
Il calore…
Dio, il calore…
- Te lo dirò se la smetterai di fare così l’incazzato.
- E’ così che sono!
Le sue labbra.
Il miracolo di un contatto.
- Mi piace la tua espressione quando sei arrabbiato, è carina. Però non mi piace sapere che lo sei.
- …
- Non mi vuoi chiedere niente?
Raccogliere le forze e dimenticare perfino di avere avuto un orgoglio.
- …Ryusuke, tu… c’è una piccola speranza che tu possa… magari… innamorarti di me?
La sua risatina.
I suoi occhi, adesso nuovamente vispi, quel blu scintillante tutto suo.
- Non lo so.
- …che risposta pessima…
- Però sento che voglio provarci. Stare da solo serve, capisci tante cose. Io ho capito che ci tengo a te. Che non voglio farti soffrire. Che posso rinunciare al sesso occasionale, se questo può renderti felice.
Sollevare le braccia in un impeto romantico, e stringerlo forte, aggrappandosi a lui come a uno scoglio nella tempesta, l’unica cosa vera, l’unica cosa vera in tutto l’universo.
- Non è tutto quello che vuoi, forse, ma può bastarti? Almeno per ora?
Annuire disperatamente contro il suo collo, nascondendo il viso nell’incavo fra il mento e la spalla, sperando di non infastidirlo con le lacrime.
- Bravo bambino.
Sentirsi sollevato in aria come un fuscello.
Al sicuro da tutto, fra le sue braccia forti.
E poi a letto.
Per una volta, senza nascondersi.