rp: tom kirk

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: R
AVVISI: Angst, RPS.
- Agosto. Un anno e mezzo di tour alle spalle e tutta un'altra serie di drammi personali riducono Brian Molko a desiderare solamente di essere lasciato in pace. La Virgin e la Universal non la pensano allo stesso modo, e gli propongono una collaborazione con l'essere umano che lui meno tolleri in tutto l'universo...
Commento dell'autrice: L’ho finitaaaaaah @O@ Non ci posso credere! È lunga da far schifo, mamma mia! Se siete arrivati alla fine, avete tutto il mio appoggio, la mia comprensione e il mio amore <3
Vorrei tanto dedicare questa storia alla Nai, perché per quanto possa non crederci tutto questo ha molto a che fare con lei (nel senso buono della frase XD) e il Brian che ho cercato di dipingere in queste pagine deve molto a quelli che sono stati i suoi dipinti, sempre bellissimi, sempre toccanti e sempre tanto intimamente simili a me (in modi del tutto inconcepibili, credetemi) che li ho odiati spesso XD E quindi la dedica va a lei. Assieme a un enorme ringraziamento per l’aiuto che mi ha dato con la sistemazione e la riorganizzazione in parti di tutto questo.
Scritta per la disfida organizzata dal blog di critica positiva e negativa dei Criticoni è.é Era un concorso particolarissimo, si chiedeva di scegliere un’immagine e scrivere una fic che fosse anche in minima parte ispirata a quella. Io ho visto questo labirinto di casse e ci ho visto in mezzo Brian e Matthew a pseudo-picchiarsi, e poi, nel tentativo di dare una motivazione a quelle botte (che poi neanche ci sono state XD che persona triste sono ._.) ci ho ricamato attorno una specie di dramma esistenziale. Oh, be’. Spero vi sia piaciuto ^^
PS: Il titolo e la citazione in apertura della storia sono rubati all’omonima canzone di Elisa, mentre la citazione random in mezzo alla storia è.é” è presa da Dancing Barefoot, che mi sa essere una canzone di Patti Smith, che io amo e stra-amo coverata dagli U2 <3
PPS: Il gesto che fa Brian quando resta solo in casa e si va ad affogare nel lavandino è_é è una cosa che la mia neechan Ana fa spesso <3 Quindi i credits immagino debbano andare a lei XD *lolla*
DOVEROSA NOTA A MARGINE: io non conosco il signor Molko, ma non credo affatto che passi le sue estati intrattenendosi in attività illegali con minorenni pakistane. No, no e ancora no. Ci stava bene nella storia e ho deciso di lasciarlo solo dopo luuuuunga tribolazione mentale, ma NON È VERO AFFATTO.
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- E Matthew è veramente entusiasta di questo progetto. – disse Tom, accavallando le gambe e incrociando le mani sul ventre, accomodandosi meglio sulla poltrona, - È da quando gliel’ho detto che non fa che prendere appunti.
- Non trovo neanche le parole per scusarmi. – sbuffò Alex, passandosi una mano sulla fronte, - È allucinante che io non sia ancora riuscita a parlarne con Brian, ma è già stato abbastanza drammatico annunciargli che avrebbe lavorato anche per tutto agosto… ha strillato così tanto che non sono proprio fisicamente riuscita a dirgli di Matt…
- Be’, - ridacchiò il manager dei Muse, - farai meglio a sbrigarti… Matt delira da giorni, dicendo di aver già pensato alla Canzone Perfetta per lui… non riesco più a trattenerlo, è eccitato come un bambino…
- Ma sì, sì, lo so, infatti ho detto a Bri di passare di qua appena finisce in sala prove… così posso dirglielo subito… Comunque non è che non lo capisca, eh? In fondo è un uomo adulto, ha una propria vita privata… che forse, a causa degli impegni di lavoro, è in pausa da un po’ troppo tempo…
Tom fece una smorfia, annuendo comprensivo.
- Non si è ancora ripreso da tutta la storia con Helena, vero?
- Non ha avuto il tempo materiale per riprendersi, Tom. Ha avuto troppe altre cose a cui pensare. Il tour non s’è fermato un attimo, i photoshooting e le interviste si sono susseguiti a ritmi disumani. E questo probabilmente è stato anche a causa mia…
- Sei sicura che questa collaborazione sia un’idea saggia…? – accennò Tom, vagamente preoccupato.
- Saggia o no, - sospirò Alex, - è stata un’idea della Virgin. Abbiamo un contratto da onorare.
Tom annuì lentamente.
- È solo che… - continuò Alex in un sospiro, - Brian non sta affatto bene… emotivamente, intendo… e non è più un ragazzino, il suo entusiasmo non è più così facile da accendere, ed ho paura…
- …che non regga?
Anche Alex annuì, sorridendo tristemente.
- Avanti, adesso… - la rassicurò Tom, sporgendosi verso di lei e dandole qualche amichevole pacca sulla spalla, - L’hai detto tu stessa, Brian è un uomo, ormai… se la caverà…
- Ah, be’, di questo sono sicura, ha superato anche di peggio… Ma ogni tanto mi piacerebbe che riuscisse a riacquistare quella… quella predisposizione al sorriso, al divertimento, che aveva quand’era più giovane…
- Credimi: se anche tu lavorassi con tre trentenni che si fingono adolescenti, non la penseresti così. – ironizzò l’uomo, ed Alex rise. – Dai, magari appena saprà di Matt sarà entusiasta e tutte le tue paure svaniranno in un soffio.
- Tom… - sbottò Alex, sarcastica, - Brian odia Matthew Bellamy…
- Ma come?! – esclamò lui, stupito, - Non ha ancora superato neanche questo?!
Alex ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.
- Per certe cose è ancora un bambino. – spiegò, - Non cambia mai.

LABYRINTH

Now everything is reflection
as I make my way through this labyrinth
and my sense of direction
is lost like the sound of my steps

Non è una questione di gelosia. È una questione di fastidio fisico. Di incompatibilità. Di intolleranza.
Ritengo Matthew Bellamy un idiota, ecco perché non voglio lavorare con lui.
- Avanti, Brian…
Odio quando Alex usa quel tono. Sottintende uno spiacevolissimo “cresci, una buona volta”, che personalmente trovo davvero inopportuno ed offensivo, dal momento che è prerogativa delle persone adulte odiare gli altri esseri umani. I bambini giocano con chiunque, perfino se puzza. Gli adulti, invece, hanno tutto il diritto di decidere con chi preferiscono giocare e con chi no.
- In fondo è solo un mese…
- Sì. – replico infastidito, - Un mese che mi porterà alla pazzia. E sappi che, se io affondo, tu affonderai con me.
Lei incrocia le braccia sul petto, arriccia le labbra e solleva un sopracciglio. È l’espressione che dice “Brian…”, strascicando le vocali e lasciandolo sospeso. Un rimprovero a metà.
Ok, magari me stesso in versione checca isterica e ironica in questo caso non serve a niente.
- Alex…
Proviamo con la versione uomo affranto, esasperato e prossimo al crollo.
La più simile a me stesso che possa tirar fuori al momento.
- Sono stanco. Veramente. Pensavo di prendere il primo aereo per Parigi, sabato, chiudermi da qualche parte e guardare orribili film francesi fino a settembre… o fino ad esaurimento. Sapere che mi tocca restare per tutto agosto già mi uccide, perché devi anche resuscitarmi ed uccidermi di nuovo con Matthew Bellamy?
- Brian…
Eccolo che arriva.
- Il tuo lavoro di agosto è Matthew Bellamy. Se togliamo lui dalla scaletta, tanto vale che tu vada a Parigi a stordirti di Daniel Auteuil.
- Ecco, perfetto, problema risolto!
- Brian, la Virgin-
- Faccio guadagnare alla Virgin tanti di quei soldi ogni anno, che penso possa concedermi una pausa di quindi giorni, ogni tanto! Sono stanco, sono sfinito, sono depresso e voglio stare solo!
- Stare solo non ti farà bene, Brian… magari incontrare persone nuove-
- Oh, no! Non provarci nemmeno! Bellamy non è una persona nuova! È una vecchissima conoscenza!
- Oh, andiamo, non sai niente di lui..
- So tutto ciò che mi interessa sapere, ovvero che di lui non mi interessa sapere nulla.
Picchietta con due dita sull’interno del gomito.
- Molto maturo da parte tua.
Non mi interessa essere maturo. Non adesso.
…vorrei dirlo davvero.
Vorrei strillare ancora, prendere a calci qualcosa, mollare tutto e fuggire sul serio.
Ma so già che non farò niente di tutto questo. Brian Molko non si tira mai indietro, di fronte al lavoro.
Mi passo una mano sugli occhi.
- Speravo che avrei potuto cominciare a pensare a qualcosa per il mio progetto solista, prima che ci mettessimo al lavoro sul nuovo album… - mi lamento, sospirando pesantemente.
Alex sorride soddisfatta: sa che ho già ceduto.
- Bene, allora sei fortunato! – commenta allegra, - Matthew Bellamy sarà il tuo progetto solista!
*
- Matthew, puoi smetterla un secondo solo di saltellare?
Il cantante si voltò a guardare il proprio manager, aggrottando le sopracciglia.
- Tom, non stavo mica saltellando…
- No? – chiese distrattamente lui, scrollando le spalle, - Sembrava. Avanti, davvero, Matt, mi fai venire voglia di aggiustarti la cravatta, e al momento non ce l’hai nemmeno! Ti rendi conto di cosa questo significhi?
- …che non avresti dovuto prendere quella roba che hai spacciato per aspirina, prima di uscire?
- Tanto per cominciare, quella era aspirina. Che diamine, Matt! Comunque, no. Significa che sei talmente agitato che la tua agitazione contagia gli altri, e adesso io sono nervoso!
- Scusami se sono felice… - commentò Matthew, ridacchiando.
- Che sciocchezza! Sai che approvò la tua felicità!
Matt rise ancora, più sonoramente.
- Eppure non mi sembra di essere così nervoso… - commentò vago, spiando di sottecchi le reazioni di Tom.
Lui lo guardò con la coda dell’occhio, facendo una smorfia preoccupata.
- Ok. – disse, voltandosi verso di lui ed afferrandolo per le spalle, - È vero. Sono teso come una corda di violino. E questo perché, nonostante tu sia sicuro, per non so quale divina certezza, che quest’incontro andrà bene, io invece so che sarà un disastro! Sarà talmente disastroso che… no, guarda, non voglio nemmeno pensarci!
- Toooom… vuoi rilassarti? Che io sappia, Brian non è un cannibale…
- Non so se ti convenga chiamarlo Brian… sai, forse per una questione di rispetto lui preferirebbe essere chiamato signor Molko…
- Ma piantala! Abbiamo praticamente la stessa età, come pretendi che gli dia del signore?
- Mh… ben detto… questo di sicuro lo lusingherebbe… cerca di ripeterlo, quando sarai davanti a lui.
- Oh, sì, certo. “Brian, ciao. Non ti do del lei perché il mio manager riteneva opportuno farti sapere che non crediamo che tu sia vecchio”.
- …ecco, se magari trovi un modo più delicato per esprimere lo stesso concetto, puoi-
- Tom, non gli dirò niente del genere, stanne certo! – ridacchiò Matt, del tutto sereno, - Parleremo solo di lavoro.
- E-
- Niente domande sulla vita privata. Lo so. Sei più tranquillo adesso?
- Affatto. – sospirò, - Ma che posso farci? Mi fido di te.
*
Fai bene a mostrarti così calmo e sicuro di te, Bellamy. Ne hai tutte le ragioni, perché non ti divorerò.
Mi rovineresti l’appetito per tutta la vita, poi.
- Come va?
La mia compagna mi ha lasciato e sarò costretto a lavorare con una delle persone che meno tollero al mondo per tutto il mese che avrebbe dovuto essere la mia vacanza dopo uno sfiancante anno e mezzo di tour per tutto il mondo.
Come pensi che vada?
- Alla grande.
- Mi fa piacere!
Sei proprio un idiota.
- Sono proprio felice di avere avuto l’opportunità di lavorare con te!
Vedi che sei stupido? Non sai a cosa vai incontro.
- È da quando Tom me ne ha parlato due settimane fa che mi preparo a questo momento!
Pensa un po’, io invece non ne ho saputo niente fino a ieri sera. Quanto credi che possa essermi preparato?
- Bene.
- Sai, io ti apprezzo molto come artista.
Ma smetti mai di parlare?
- Grazie.
- Davvero, secondo me hai una voce da brivido, e poi è così adatta al vostro sound! Sembra fatto apposta!
Sei semplicemente ridicolo. È fatto apposta.
- Ho ascoltato tutti i vostri album, in questi giorni… o meglio, riascoltato… ammetto che rientrate fra i miei peccati di gioventù…
Scommetto che ti senti incredibilmente brillante, con quel tuo risolino stupido e acuto…
- …e devo dire che ho apprezzato molto la vostra crescita dal punto di vista musicale! In Meds siete praticamente impeccabili, non una sbavatura, ci sono dei testi molto validi, e anche le melodie, in alcuni casi sono così ricercate… come per l’intro della title-track, ci credi che non sono ancora riuscito a replicarlo esattamente? Cosa diavolo sono quelli, armonici…?
Accavallo le gambe.
- No. Battimenti.
- Ha! Lo sapevo che doveva essere qualcosa di particolare! E io che cercavo di rifarlo all’acustica così, come se fosse un pezzo normale! Avresti dovuto vedermi lì, io e la chitarra che ci guardavamo e non riuscivamo a capirne un accidenti di niente! complimenti!
Incrocio le braccia.
- Finito?
Lui mi guarda interdetto, e se non tenessi così tanto a mantenere questa espressione glaciale, giuro che starei già ridendo vittorioso, con le mani sui fianchi e un piede sulla poltrona.
- No, perché – esplicito, - se hai altri complimenti da fare, falli tutti, così io ringrazio alla fine ed evito di sprecare fiato.
- …no… - balbetta lui, incerto, arrossendo, - …ho finito… volevo solo-
- Allora grazie. – sorrido tranquillo.
- …di nulla… - sussurra lui, e il suo sguardo scivola frenetico ai piedi del tavolino basso che separa le nostre poltrone, mentre le mani corrono alla valigetta posata lì, per terra, aggrappandovisi come a un’ancora di salvezza. – Ho portato degli appunti… non so, se ti va di guardarli…
- Allora devo ritenermi onorato… non ricordo dove, ho letto che tu non scrivi mai niente.
Conosci il tuo nemico.
L’arte della guerra è l’unica cosa che mi abbia insegnato mio padre.
L’unica cosa di cui lo ringrazi.
L’unica arma che avevo contro di lui, quando allungava troppo le mani o apriva troppo la bocca sugli affari miei, ed io potevo ribattere che non avrei preso in considerazione neanche una sillaba che fosse uscita dalle stesse labbra che leccavano champagne dai piedi delle sedicenni in Pakistan.
Bellamy mi fissa sconvolto, probabilmente sta cominciando a pentirsi di tutti i complimenti di prima.
- Generalmente no, è vero… - ammette, aprendo comunque la ventiquattrore e rovistando al suo interno, - Però ero così pieno di idee per quest’occasione che mi sarebbe dispiaciuto perderne qualcuna…
- Mmmh… - mugugno, puntellandomi il mento con l’indice, - Sbaglio, o sei stato sempre tu a dire che le idee che dimentichi le dimentichi perché non sono abbastanza buone? Quindi, se hai segnato tutto, quante idee cestinabili devo aspettarmi?
Comincia a tremare.
Sì…
Adoro esercitare questo tipo di controllo sugli altri. È lo stesso tipo di controllo che esercito sulla mia vita. Ogni cosa è conservata nel suo compartimento stagno, tra i compartimenti non passa niente e niente arriva mai troppo in fondo.
- È che avrei voluto un tuo parere per tutto… - si giustifica lui, abbassando lo sguardo, - Mi piacerebbe che questa fosse una collaborazione vera, non qualcosa in cui uno comanda e l’altro serve… e dal momento che abbiamo entrambi due personalità molto forti, pensavo che questo fosse il modo migliore per procedere…
- Capisco. – annuisco sbrigativamente, - Ci penserò.
Fine della discussione.
Lui se ne accorge, si alza in piedi.
- Allora… - lancia un’occhiata alla valigetta, aperta sul tavolo, - io queste cose te le lascio qui… aspetterò che sia tu a chiamarmi… - conclude, tirando fuori dalla tasca dei jeans un bigliettino col proprio numero di telefono e lasciandolo assieme agli altri fogli.
Annuisco e sorrido, restando immobile, le braccia ancora incrociate sul petto.
- Be’, ciao… - mormora lui, incerto.
Sollevo una mano in segno di saluto.
Bellamy annuisce lentamente, prendendo atto. Si volta. Esce dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Tre, due, uno.
- Brian!
- Alex! – le faccio il verso, sciogliendo le braccia ed aprendo le mani, sollevandole ai lati del viso ed agitandole freneticamente.
Lei non si fa intimorire.
D’altronde si chiama Alex Weston, non Matthew Bellamy.
- Che diamine hai combinato?!
La guardo, spalancando gli occhi, incredulo.
- Assolutamente niente! – mi giustifico, aggrottando le sopracciglia, in una pallida imitazione di un’espressione contrita, - È che lui è così sensibile
- Sensibile! – sbotta lei, allargando le braccia, - Hai appena sputato sopra centinaia di migliaia di sterline! Non ti facevo così idiota!
- Oh, stai tranquilla… - la rassicuro mollemente, - non l’ho perso. Non ancora, almeno. Ma probabilmente, tra una settimana, quando lo richiamerò per dirgli che tutte le sue “idee” sono da buttare, allora lo perderò. E pensa, non avrò neanche fatto finta di dare un’occhiata a questa roba! – sorrido trionfante, indicando la valigetta con un cenno del capo.
Alex allarga le braccia, sollevandole all’altezza del viso. Il mio sorriso si espande e diventa un ghigno furbo. Lei se ne accorge e le lascia ricadere lungo i fianchi.
- Brian, sono esterrefatta. Davvero, non hai mai-
- Non preoccuparti… - sbuffo annoiato, già stufo della conversazione, - Non sarai licenziata.
- Oh, sì che lo sarò! Eccome se lo sarò, se tu rifiuti questa collaborazione!
La guardo, inarcando un sopracciglio.
- …grazie al cielo. – commenta lei, con un sospiro sollevato, - Per un attimo ho creduto davvero che l’avresti mandato a quel paese…
Mi chino a recuperare un mucchietto di fogli dal tavolino, poggiandomeli in grembo.
- Sono un professionista. – asserisco deciso.
Sono un professionista.
Per tornare essere umano aspetterò settembre.
*
- Matt!
Ignorando il richiamo del proprio manager, l’inglese continuò a dirigersi verso l’uscita a passo di carica.
- Matthew, Cristo!
Tom lo raggiunse, afferrandolo per una spalla e costringendolo a fermarsi.
- Cosa diavolo hai?!
Matt si voltò a guardarlo. Era rosso in viso, aveva gli occhi lucidi, tremava di nervosismo. Sembrava aver appena subito l’umiliazione più grande della propria vita.
- Ossignore, lo sapevo…
- Non dire niente… - lo implorò Matthew, abbassando lo sguardo.
- Ma come non-
- Non dire niente! – insistette, tornando a fissarlo, adesso con rabbia, - È tutto a posto, non è cambiato niente rispetto a venti minuti fa!
- Certo, Matthew, a parte il fatto che, come da me ampiamente previsto, quel bastardo ti ha distrutto! Ma così non esiste, io non ci sto. Questa cosa adesso salta, domattina per prima cosa vado alla Universal e-
- Gli ho lasciato la valigetta con gli appunti. Gli ho detto di richiamarmi. Gli ho dato il mio numero.
- …Dio.
- Lo sappiamo entrambi che richiamerà. – cercò di sorridere Matt, stringendosi nelle spalle.
- È esattamente questo, quello che mi preoccupa! – ringhiò Tom, stringendo i pugni, - Sei stato con lui appena mezz’ora, e guardati! Sei sconvolto! Quello in un mese ti fa fuori. Non se ne parla.
- Avanti, adesso… - mormorò Matt, cominciando a recuperare il controllo di sé, - Non è stato così tremendo… è che io non ero preparato, e quindi mi ha preso alla sprovvista, ma la prossima volta-
- Senti. – lo interruppe Tom, fissandolo seriamente negli occhi, - Quello è un bastardo, ok? Ha passato l’intera vita a diventare così, e ora è il bastardo perfetto. Non è una novità, e per carità, avrà i suoi motivi, io non voglio giudicare nessuno, ma non c’è nessuna legge che ci obblighi all’autolesionismo, e per di più a settembre mi servi vivo, quindi, Matt, piantala di sorridere!
L’inglese rise, arricciando le labbra per cercare di tenerle serrate.
- Sto meglio. – disse al manager, - Davvero. Posso farcela. Non hai detto che ti fidavi di me?
- Era una frase d’incoraggiamento come un’altra!
- Be’, fa’ in modo che da oggi in poi rispecchi la realtà. Farò questa cosa. Tornerò vivo e vegeto…
Tom lo squadrò di sbieco, aggrottando le sopracciglia.
- …e illeso! Promesso.
*
Uscirai vivo e vegeto da questa cosa. Promesso.
Vivo e vegeto, ma non illeso.
- Non credevo che mi avresti richiamato davvero!
Sapevi che l’avrei fatto, Bellamy. È incredibile, hai modi più affettati dei miei.
- Sono pieno di sorprese. Senti, ho dato un’occhiata ai tuoi appunti.
- Ah! Davvero?!
- Certo.
Che pensavi? Che avrei richiamato da impreparato?
Mai mostrarsi impreparato di fronte al nemico.
Quasi mi dispiace dirlo, ma sei troppo innocente per fare questo mestiere.
- Fantastico! Dimmi tutto!
- Per la verità ho fatto un paio di note qua e là. C’erano delle cose che proprio non mi convincevano, soprattutto in quella che dici essere la “canzone perfetta” per me…
- …ah.
Deglutisce. Posso percepirlo nel suo silenzio, è terrorizzato.
- Ma ci sono delle buone basi.
- …ah!
Sorrido. È proprio come un pesce, per tenerlo all’amo basta solo sapere quando allentare la presa e quando ricominciare a tirare.
- Bene! – dice lui, la voce nuovamente satura d’entusiasmo, - Possiamo parlarne agli studi, domani o dopodomani o quando vuoi tu!
- Per la verità… - butto lì, come fosse casuale, - preferirei incontrarti a tu per tu in un posticino carino… dove poter parlare senza interferenze. Una cosa informale, capisci? Le occasioni ufficiali tirano fuori sempre il peggio di me.
- Ah… ah-ha. Capisco. Be’… voglio dire, per me non c’è problema…
È terrorizzato, terrorizzato a morte. Dio, che soddisfazione!
- Perfetto. Ci vediamo al McDonald’s davanti al cancello principale di Hyde Park?
- Andiamo lì?
- Mh… no.
Ovviamente. Quello sarebbe territorio neutrale. Ed io invece non voglio lasciarti alcun vantaggio.
- Poi ti porto in un posto che conosco io. Facciamo fra un’ora?
- …d’accordo…
- Perfetto.
Davvero perfetto, Bellamy.
Papà Molko ti spiegherà esattamente chi sarà il capo e chi il servo, in questa collaborazione.
*
Brian era già lì ad aspettarlo. Era vestito in nero, non aveva un capello fuori posto ed il trucco era perfetto praticamente a livello professionale.
Matthew scrutò il proprio riflesso prima nello specchietto retrovisore dell’auto appena parcheggiata, e poi, trovandolo troppo piccolo per poterne cavare un’idea precisa di come fosse conciato, spostò lo sguardo sul finestrino, cercando lì le conferme che gli mancavano. Ovvero che sì, per quanto il riflesso del finestrino potesse essere meno nitido, lui era esattamente il disastro che lo specchietto gli aveva rimandato indietro alla prima occhiata.
Si era palesemente fatto ingannare. Aveva creduto che “incontro informale”, nella complicata lingua Molko, volesse dire davvero “incontro informale”, un incontro fra amici, e perciò s’era presentato come si sarebbe presentato a un appuntamento con Dom: capelli appena pettinati, una maglietta bianca random e un paio di jeans.
Era la sciatteria personificata.
E Brian, davanti al McDonald’s, teneva le braccia incrociate sul petto, picchiettava un paio di costosissime Fendi sul marciapiede e fingeva di non averlo ancora visto.
Matthew sospirò, dandosi dell’imbecille per l’ennesima volta in cinque minuti, e decise di restare a guardare Brian fino a quando lui si fosse degnato di fargli sapere che l’aveva già adocchiato.
Cosa che puntualmente accadde tre secondi dopo.
Matthew lo osservò schiudere le labbra con malcelato, falsissimo stupore, e sollevare un braccio nella sua direzione, muovendolo lievemente per salutarlo.
Sorrise.
Tom avrebbe potuto avere ragione su tutto.
*
Adesso ti insegno come si fa, Bellamy. Sta’ bene attento, prendi appunti.
- Eccoti qui.
- Scusa per il ritardo! Aspetti da molto?
Sorrisino tirato. Senza preoccuparsi di mostrarlo bugiardo per com’è.
- No, figurati, solo una mezz’oretta abbondante.
- …capisco. Comunque, dove pensavi di andare?
Sorriso più tranquillo, sereno, padrone.
- Io abito giusto qui sopra. Possiamo salire da me, se ti va.
Scacco matto. In quante mosse? Appena tre.
Spero tu abbia imparato qualcosa, quella di oggi è stata una performance spettacolare.
- D’accordo…
Oh, bene, vuoi giocare ancora, allora.
Certo, non mi tiro indietro. Ma il prossimo round si fa a casa mia.
Lo osservo con la coda dell’occhio guardarsi intorno nell’ingresso, osservarne lo sfarzo, adocchiare l’ascensore. Seguirmi con imbarazzo e circospezione su per le scale, ascoltare distrattamente il mio ancor più distratto “sto al primo”, fissare il corrimano in legno lucido color miele e gli scalini in marmo misto.
Dio, ho quasi l’impressione che potrebbe voltarsi e scappare già adesso!
- Stai proprio in un bel posto. – afferma con aria sognante, un attimo prima di entrare in casa.
Spero sinceramente che abbia il collasso che si merita, quando sarà dentro.
*
- Che casa magnifica!
Brian ridacchiò debolmente, accomodandosi in salotto senza neanche invitarlo a fare lo stesso.
- Avanti, non dire così… anche la tua sarà sicuramente all’altezza.
Matthew ripensò al proprio monolocale da scapolo incallito accanto agli studi della Universal, e rabbrividì.
Avrebbe potuto scommetterci tutti i propri soldi: lui lo sapeva.
Si sedette sul divano accanto alla poltrona dove stava Brian, mettendosi in punta, come temesse che rilassandosi troppo avrebbe perso perfino quel minuscolo briciolo di controllo che ancora possedeva.
- Ehm… - azzardò, torturandosi le dita, - Vuoi parlarmi di quelle famose note di cui mi avevi accennato al telefono? Sono curioso di sapere cosa pensi delle mie idee…
Brian si rilassò contro lo schienale della poltrona. Accavallò le gambe.
- Mh… no. – mugugnò, - Sai, per la verità non è che i tuoi appunti fossero così chiari… e non vorrei esprimere un’opinione sbagliata solo perché magari non sei riuscito a farmi capire esattamente di cosa stavi parlando… che ne dici di rispiegarmi tutto da capo?
Matthew deglutì.
Cercò di fare mente locale: per nessun motivo apparente, il cuore gli stava esplodendo nel petto; gli fischiavano le orecchie; aveva la mente così vuota che, se la sua vita fosse stata un cartone animato, nel suo cranio si sarebbero rincorse le nuvole di fieno del far west.
Brian l’aveva preso in trappola. L’aveva rincoglionito di chiacchiere – e non gliene erano servite neanche tante – e ora lo stava sfidando a tirare fuori qualcosa di sensato dalla bocca. I suoi occhi brillanti, verde cattiveria, gli stavano dicendo “avanti”, gli stavano dicendo “mostrami quello che sai fare”, gli stavano dicendo “attento, perché adesso dipende tutto da te”.
E lui, in quel momento, non capiva più niente.
Era fottuto.
Cercò di sistemarsi meglio sul divano, senza scivolare troppo in fondo ai cuscini. Doveva cercare di rendere la probabile fuga il più semplice possibile.
Nonostante la paura folle che sentiva scuotergli i respiri, riuscì a comprendere che lasciarsi andare a un delirio interiore e cominciare a strillarsi “scappa!!!” nella testa non l’avrebbe portato a nulla che non fosse un disastro. Avrebbe perso la faccia di fronte a due delle major più importanti del mercato, avrebbe messo nei guai Tom e Brian avrebbe riso di lui fino a sfinirsi.
Erano tre possibilità che non intendeva ammettere. E soprattutto l’ultima in quel momento gli sembrava intollerabile.
Prese un profondo respiro e guardò Brian, che lo fissava di rimando, perfettamente a proprio agio.
In fondo, non aveva che da parlare. Parlare era sempre stato il suo forte.
- Io ti ho sentito cantare la prima volta quando avevo diciott’anni. – disse, evitando il suo sguardo e fissando il proprio sulle dita che continuava ad intrecciare in grembo, - Ero una specie di ragazzino sbandato, al tempo. Facevo cose stupide. Andavo in giro con questo gruppo di tipe che si facevano chiamare “le streghe”, ed erano completamente pazze per la vostra musica. C’era questo stanzino, dove facevano delle… delle pseudo-orge o qualcosa del genere… eravamo tutti veramente dei ragazzini, quindi niente di particolarmente perverso, ma… - gli scoccò un’occhiata, intuendo appena la curva stranita delle sue sopracciglia, e le labbra arricciate in una smorfia incredula, - …sono cose che segnano la vita di un adolescente, credo. C’erano sempre i Placebo in sottofondo, in quel posto. – sospirò, - È stata lì la mia prima volta. E c’era la tua voce a fare da colonna sonora.
Brian sciolse le braccia e si accomodò meglio sulla poltrona, poggiando il gomito sul bracciolo e il mento sul palmo aperto.
- Poi vi ho persi di vista. Sono entrato in quel periodo stupido che credo attraversino tutti i giovani compositori… - ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca, - Quello in cui non ti vergogni di dire ai giornalisti che “non ascolti nulla per evitare influenze esterne”. Sono stronzate, ma – ridacchiò ancora, - be’, succede.
Sollevò lo sguardo su Brian, e lui annuì, fissandolo come se stesse chiedendosi dove diavolo volesse andare a parare.
- Quando vi ho risentiti di nuovo, era il duemila e quattro. Cioè praticamente dieci anni dopo. All’inizio quasi non potevo crederci, non sembravate neanche voi… la struttura musicale della canzone era completamente diversa da quelle che avevo ascoltato fino alla nausea nel primo album, e anche la tua voce si era… era cresciuta. Era più profonda, più ipnotica.
Lo guardò ancora.
Brian aveva stretto le labbra, e sembrava indeciso fra la possibilità di morderle e quella di spalancarle e strillare.
Matt si accorse che c’era qualcosa che non andava. Ma stava seguendo il filo di un discorso e non intendeva abbandonarlo. Non intendeva cedere. Non intendeva perdere. Non in casa sua.
- Quella canzone era English Summer Rain. E quando l’ho ascoltata io ho deciso che, se mai avessi scritto qualcosa per qualcun altro, avrebbe dovuto essere una filastrocca ammaliante di quel tipo. E avrebbe dovuto essere per te.
Si interruppe qualche secondo, ascoltando l’aria, cercando di captare il suono del fremito che vedeva agitarsi nel fondo degli occhi di Brian.
Quell’uomo sembrava sul punto di esplodere. E Matthew non aveva la più pallida idea di cosa avesse fatto per scatenare una reazione simile, ma era certo del fatto che quello fosse un punto a proprio favore nella silenziosa battaglia camuffata di gentilezze che lui e Brian stavano conducendo da quando s’erano incontrati la prima volta.
- È stato per questo che, quando la Universal mi ha proposto di collaborare con qualcuno, ho fatto subito il tuo nome.
Brian sbottò uno sbuffo di fiato, e sembrò rinsavire all’improvviso. Tornò ad accomodare con grazia il mento sulla mano e accavallò le gambe, sporgendosi tutto a sinistra, quasi avvolgendo il bracciolo della poltrona col proprio corpo.
- Cioè tutto questo è stata una tua idea? – chiese indifferente, guardandogli attraverso come fosse stato trasparente.
- …non è proprio così… voglio dire, io ho dato dei nomi, tu eri il primo, poi sono state la Universal e la Virgin a prenderla così dannatamente sul personale… - si giustificò lui con un mezzo sorriso, che non mancò di giudicare già da sé inappropriato, soprattutto dal momento che stava mentendo.
Brian annuì.
Quel senso di smarrimento che fino a poco prima Matthew sembrava percepire così chiaramente s’era del tutto volatilizzato negli ultimi secondi. Brian era di nuovo lì. Algido e immobile come una statua di cera, spaventoso. Quel briciolo di… umanità… che gli aveva visto brillare nelle pupille era completamente scomparso.
- Bellamy, non so se tu hai compreso bene il guaio in cui ti sei cacciato.
Dischiuse le labbra e lo guardò, incapace di trovare qualcosa con cui rispondere. D’altronde, a Brian sembrava non interessare affatto il suo parere sull’argomento. E dal momento che a lui era stato concesso un monologo più che soddisfacente, non gli sembrava il caso di privare Brian dello stesso diritto.
- Voglio essere onesto con te. – disse il frontman dei Placebo.
- È esattamente quello che voglio io! – confermò annuendo Matt, sperando per un secondo di aver fatto breccia da qualche parte e magari scalfito la corazza dell’uomo che gli stava di fronte.
- No, tu non vuoi davvero che io sia onesto con te, Bellamy. – disse Brian, sorridendo crudelmente e scuotendo il capo, - Tu vorresti che io ti ringraziassi per il pensiero e mi mettessi ai tuoi ordini.
- Io non-
- Sì, invece. Tu hai sempre desiderato comandarmi.
Si alzò in piedi, e Matthew lo osservò compiere quel movimento con esasperante lentezza, sconvolto: era davvero lui a muoversi così lentamente, come nei film, quando arriva il momento topico e i registi usano quest’espediente per fissare l’attenzione dello spettatore su un particolare che non sono stati in grado di mettere in risalto in modo meno pacchiano?, oppure solo a lui sembrava che Brian si muovesse così, ed era a causa del fatto che sembrasse perfettamente a proprio agio in ogni situazione, e che desse l’idea di poterlo essere sempre, indipendentemente da cosa gli fosse capitato?
Senza accorgersene, si tirò indietro, scivolando sui cuscini del divano fino a cozzare contro lo schienale dietro di sé.
Brian lo sovrastava, di fronte a lui, e lo scrutava attentamente, le mani sui fianchi e le gambe lievemente divaricate.
- A quanto pare sono stato parte della tua vita molto più a lungo rispetto a quanto tu lo sia stato della mia. – spiegò Brian, chinandosi su di lui per guardarlo meglio negli occhi, - E questa cosa probabilmente ti infastidisce. Io non credo affatto che tu mi ammiri, Bellamy, io credo che tu sia invidioso di me. Del mio successo, sì, ma soprattutto degli anni di esperienza che ho più di te. Questo vuoto non riuscirai mai a colmarlo, perché per quanto tempo tu possa passare a fare il musicista, il mio sarà sempre maggiore.
- Brian… - boccheggiò lui, stordito dalle sue parole e dalla sua improvvisa vicinanza. Sempre più grande, sempre più pericolosa, secondo dopo secondo, - Non ho mai-
- Forse non in pubblico. – rise malizioso Brian.
E poi praticamente gli salì addosso. Gli si sedette in grembo come in sella a un cavallo, e gli posò le mani sulle spalle per tenerlo ancorato al divano. Si chinò sul suo viso, lo sfiorò con lo sguardo e col respiro, e poi raggiunse un orecchio e riprese a bisbigliare.
- Forse non in pubblico. Ma quante volte in privato hai pensato che avresti voluto darmi la lezione che meritavo…? – gli disse, sorridendogli addosso, - Tu mi disprezzi, Bellamy… disprezzi il mio modo di intendere lo spettacolo, di intendere la musica. Disprezzi il lavoro che faccio nel portare avanti la mia band e la mia immagine, disprezzi il mio successo e disprezzi ogni singola parola che mi esce di bocca. Quanto sei stato felice quando ti ho consegnato il premio per Absolution? Quante volte, guardandomi durante quella premiazione, hai pensato “adesso hai quello che ti meriti, Molko”? E quante volte, davanti ai giornalisti, hai nascosto questi pensieri dietro un “apprezzo i Placebo, è un peccato che loro non apprezzino noi”?
Matthew serrò le labbra e deglutì.
Non c’era una sola parola vera fra quelle che Brian gli stava vomitando addosso come lava bollente.
Ma in quel momento, pur di scappare dalla morsa d’acciaio delle sue mani sulle proprie spalle e delle sue cosce attorno ai propri fianchi, avrebbe confermato qualsiasi cosa.
- Una volta hai detto di essere bravo a capire il perché della cattiveria delle persone. – continuò Brian, tornando a guardarlo e stringendo la presa, - Allora dimmi, Bellamy: perché ti sto facendo questo, adesso?
Non. Voglio. Saperlo.
Sollevò le braccia. Dapprima fu un movimento incerto. Non era davvero sicuro di volerlo fare. Scansarlo in quel momento avrebbe significato troppe cose… dargli ragione, cedergli il passo, confermare che, lo stava sconvolgendo, dargli l’occasione, fornirgli il pretesto perfetto per obbligarlo a mollare.
Ma lui era decisamente troppo vicino per continuare a tollerarlo.
E perciò gli piantò le mani sul petto e lo spinse sul pavimento, liberandosene.
- Non lo so. – mormorò, in un sospiro che gli parve distrutto, alzandosi in piedi e guardandolo dall’alto, - Vai oltre la mia comprensione, Brian.
Lui sorrise, appoggiato per terra con tanta naturalezza da far pensare quella fosse la sua posizione naturale.
- Tutto qui quello che hai da dire? – chiese, stringendosi nelle spalle.
- …cos’altro vorresti sentire?
Brian strinse le palpebre, allargando il sorriso.
- Ci stavo palesemente provando. Per quale altro motivo pensi mi sarei avvicinato tanto?
Matthew rabbrividì.
- No! – ringhiò.
- No? Non è la risposta alla domanda che ho fatto…
- No! – ripeté Matthew, muovendosi verso la porta senza staccargli gli occhi di dosso.
- Mai mostrare le spalle al nemico. – mormorò Brian in un soffio a malapena udibile, - Impari. Lentamente, ma impari.
- Senti, io non so cosa-
- Se esci da quella porta perdi. – disse Brian più deciso, sollevandosi in ginocchio e poi in piedi, - Il tuo “no” è una sconfitta.
- Non puoi dire questo! – si difese Matthew, fermandosi a un passo dalla porta, - Non puoi pensare che siccome per te allontanarsi in una situazione simile è sinonimo di sconfitta, allora anche per il resto del mondo-
- Non stavo parlando del resto del mondo. – lo interruppe lui, impietoso, - Non mi frega un cazzo del resto del mondo. Non mi interessa se fuori da questo appartamento tutti dicono “povero Bellamy, costretto a lavorare con l’arpia”, e ti trattano come un principino perché sei buono e gentile con tutti. Che dicano quello che vogliono. Io ti ho messo alla prova. E tu hai miseramente fallito.
- …no… - sputò fuori Matt in un mezzo singhiozzo, - no, io… non è così, tu… tu sei…
- Sono esattamente quello che tutti dicono. Uno stronzo. Una puttana. Quanto di peggio si possa incontrare.
Matthew afferrò la maniglia.
Aveva sentito abbastanza. Aveva sentito troppo.
- Tu cosa sei, Bellamy? – gli chiese Brian con un ghigno crudele sul volto.
Lui si rifiutò anche solo di pensare a una possibile risposta. Scivolò giù per le scale come stesse volando, e scappò da quel palazzo neanche fosse stato in fiamme.
Il pensiero che l’avrebbe rivisto troppo presto rispetto a quando avrebbe voluto lo terrorizzava in quel momento come mai prima.
*
Avrebbe dovuto fermarsi un attimo, magari smettere di picchiettare con la punta del piede per terra, osservando Matthew scappare per la strada come un coniglio in corsa, e sedersi da qualche parte, in silenzio, nella massima tranquillità, per riflettere e cercare di capire per quale accidenti di motivo aveva praticamente molestato il cantante dei Muse senza che ce ne fosse alcun bisogno.
Non era eccitato, si disse, guardandosi negli occhi attraverso il riflesso del vetro della finestra, e non stava cercando una scopata facile. Ed anche se l’avesse cercata, Matthew Bellamy decisamente non lo sarebbe stato. Non c’era nessuna scommessa in ballo, non doveva dimostrare a nessuno di essere in grado di portarsi a letto una qualsiasi vergine di ferro, e soprattutto lui neanche gli piaceva.
Quindi cosa. Perché.
Perché?
Si staccò dal davanzale, con enorme difficoltà, scollando con uno sforzo titanico lo sguardo dalla figura di Matt che, sempre più piccola, si allontanava verso la propria macchina e scompariva oltre lo sportello.
Dio.
Si gettò a peso morto sul divano, stendendo il capo su un bracciolo e i piedi sull’altro.
Dio!
Chiuse gli occhi.
Che hai combinato?
Perché l’hai fatto?

- Parlava troppo. – disse ad alta voce, come volesse convincersene.
Parlava troppo, d’accordo. Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo?
- Stava dicendo cose fastidiose.
Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo?
- È stato lui a tirare fuori il sesso per primo. Ha parlato della sua prima volta. Ha associato alla sua prima volta la mia voce…!
Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo.
- Non ho provato a scoparlo.
Sfiorò appena con una mano il tessuto del divano accanto a sé.
…ancora caldo.
Scattò in piedi e si guardò riflesso nell’enorme specchiera parietale inchiodata al muro di fronte a lui.
- Dio… - mormorò, passandosi una mano sulla fronte, lungo la guancia, giù per il collo, e lasciandola poi riposare inerme sulla spalla.
Era disfatto.
Sudato.
Agitato.
Pregò che Bellamy non avesse notato niente di tutto quello sconvolgimento. Pregò che la piazzata che gli aveva fatto l’avesse terrorizzato abbastanza da farglielo dimenticare, semmai l’avesse notato.
Si diresse a passi svelti verso il bagno e quando fu lì tappò il lavandino e aprì il rubinetto dell’acqua fredda, osservando il getto scorrere veloce e ordinato e riempire il lavabo.
Era scattato qualcosa.
L’aveva sentito chiaramente.
Nel momento in cui lui l’aveva sfidato e Matthew aveva raccolto la sfida, era cambiato qualcosa. Forse nello sguardo dell’inglese, forse nel suo modo di vederlo, nel modo in cui entrambi si squadravano da capo a piedi, cercando di trovarsi un senso a vicenda. Senza volerlo davvero.
Qualcosa si era trasformato.
…Matthew aveva risposto. Lui aveva fatto di tutto per metterlo in difficoltà, per metterlo in imbarazzo, per confonderlo, e poi gli aveva chiesto di parlare, e quello avrebbe dovuto essere il momento del trionfo, il momento in cui l’avrebbe guardato e, ridendo, gli avrebbe dato dell’idiota, dell’incompetente, del ridicolo.
Ma Matthew aveva parlato. E non aveva detto cose qualsiasi.
Per quanto fosse sconvolto, era stato in grado di trovare le parole esatte per…
…per cosa, poi?
Cos’era successo?
S’era sentito, mentre lo ascoltava. S’era sentito tremare, e sudare. S’era sentito respirare pesantemente. S’era sentito sgranare gli occhi, aveva percepito distintamente ogni cellula del proprio corpo mettersi in agitazione, ogni senso espandersi e acuirsi, ogni organo percettivo dare l’allarme.
Come aveva osato… mostrarsi così… perfettamente preparato… quando avrebbe solo dovuto chinare il capo e dichiararsi sconfitto? Come aveva osato opporre resistenza? Come aveva osato sfuggirgli?
Non è Bellamy che vuole comandarti, Brian.
Sei tu che vuoi comandare lui.
Sei tu che ti ostini a provarci.
Adesso, sei tu che scopri che non puoi riuscirci.
Gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo.
Te lo saresti scopato sul serio.
Avresti dimostrato a te stesso di poter mantenere la supremazia, in un modo o nell’altro, e avresti mostrato a lui chi era il capo.
…non sei riuscito a fare niente di tutto questo.

Strinse gli occhi con forza, allontanandosi con disgusto dal proprio riflesso disfatto nello specchio. Fissò la piccola pozza d’acqua che si gonfiava nel lavabo fra le sue mani, e con un gesto lento e annoiato richiuse il rubinetto fino a quando non rimasero che poche gocce a scivolare giù dal tubo metallico, per infrangersi contro la superficie dell’acqua e dare vita a piccoli cerchi concentrici che sarebbero morti pochi centimetri più in là.
Si chinò.
Annegò.
E quando resuscitò si passò una mano sugli occhi e scoppiò a piangere.
Gli fecero compagnia solo il silenzio enorme dell’appartamento e il suono minuscolo delle gocce che si tuffavano pigre in piscina, saltellando dal tubo come da un trampolino.
Il rubinetto perde, pensò distrattamente, e non ricordo dove Helena teneva il numero dell’idraulico.
*
Non ho la più pallida idea di come sia passata questa settimana.
Ricordo vagamente Alex venirmi a recuperare direttamente a letto, lunedì mattina. Ricordo le sue urla e ricordo che mi ha detto qualcosa tipo “se potessi ti licenzierei io!”. Ricordo che mi ha portato in studio, che Matthew era già lì e faceva di tutto per non guardarmi negli occhi, e ricordo che, salutandolo tranquillamente, come fosse stato tutto a posto, Alex mi ha bisbigliato di comportarmi da uomo adulto e mettermi al lavoro.
Io ricordo di averla afferrata per un polso.
Di averla trascinata fuori di lì.
Di averla fissata negli occhi, di averle visto attraverso, di aver visto anche attraverso la porta, di aver osservato lo sguardo spaurito di Bellamy ancora seduto al suo posto e poi di essere tornato indietro, di nuovo dentro di me, e di averle strillato contro “cosa ti aspetti che faccia esattamente?!”, con cattiveria, con rabbia, come fosse stata lei la causa di ogni mio male.
Ricordo il suo sguardo glaciale. Quella piccola vena sulla fronte, quella che si ingrossa quando è veramente furiosa. Le braccia incrociate sul petto – era distante anni luce da me.
Ricordo che mi ha detto “guadagnati i soldi che ti diamo, Brian”. Ricordo che mi ha detto “guarda che avete una settimana per stabilire che brano volete preparare, poi parte il tour”.
Io non ne sapevo niente.
Ovviamente.
Perché, quando lei mi aveva annunciato della collaborazione, “oh, che bello, vediamo di capire in cosa consiste!” non era stato esattamente il primo fra i miei pensieri. Ma neanche l’ultimo. Semplicemente perché non era stato affatto fra i miei pensieri.
“Riassunto delle puntate precedenti”, ricordo di aver detto.
“Divertente”, ricordo sia stata la sua risposta, “Canzone. Nuova, vecchia, cover, vostra, loro, non importa. Una cosa qualsiasi. E poi giro per tutta quell’enorme quantità di stupidissimi festival musicali estivi che affollano la costa”.
La costa.
Cioè, l’Inghilterra è una fottutissima isola, cazzo.
La costa, dice lei.
Poi non ricordo molto altro.
Sono entrato in quella stanza, lui mi ha salutato timidamente, siamo rimasti in silenzio. Dopo qualche secondo di imbarazzo talmente profondo che quasi ci sono affogato, è riuscito a tirare fuori la voce e – poco – cervello solo per improvvisare uno di quei discorsi totalmente idioti e totalmente inutili del tipo “siamo adulti, siamo professionisti, mettiamo da parte i vecchi rancori – e anche quelli nuovi, ho pensato io, ma lui non l’ha detto – e lavoriamo seriamente”.
Ho annuito lentamente. Neanche mi rendevo conto. Ho annuito perché dovevo farlo.
Lui ha lanciato uno sguardo ai fogli degli appunti sparsi sul tavolo. Il foglio della “Canzone Perfetta” in cima. Ha guardato lui, poi me. Ha sbuffato.
“Cover?”, ha chiesto.
“Cover.”, ho risposto.
Non so come siamo riusciti a trovarci d’accordo sulla canzone da utilizzare – David Bowie, piaceva a me, piaceva a lui, Changes non era poi così difficile e ai fan avrebbe fatto piacere – non so come siamo riusciti a provare, non ho la minima idea di quanto possa essere piacevole il risultato finale. So che lui sfalsetta, come al solito. So che io strascico le parole, come al solito. Fine.
Non so, davvero, come sia passata questa dannatissima settimana.
Invece so benissimo com’è passato lui. Bellamy.
Come un camion.
Sopra di me.
So che può sembrare che il più delle volte io sia solo un maledetto bastardo egoista ed egocentrico totalmente disinteressato a tutto ciò che lo circonda, ma la verità è che per fare il maledetto bastardo egoista ed egocentrico eccetera eccetera devi essere dannatamente interessato a tutto il resto. Devi interessarti della gente, per cercare di capire se la gente si interessa a te. Devi interessarti dei loro gusti, per andar loro incontro. Devi essere morbido, malleabile, sfuggente, per prendere tutti senza lasciarti prendere da nessuno. Plastilina colorata. Che basta un rastrellino e cambia forma.
E quindi io in definitiva passo la mia intera vita ad osservare. Faccio la parte dello stronzo che avanza come un carro armato pestando tutto e tutti senza neanche accorgersene, ma in realtà io so sempre molto bene chi sto pestando, e se pesto qualcuno è perché voglio farlo, non perché m’è capitato casualmente sotto i piedi e mi sono detto “oh, be’, uno più, uno meno”.
Ho osservato mio padre rinunciare all’inutile tentativo di trovare un modo per governarmi, ed ho gioito.
Ho osservato mia madre sospirare e scuotere il capo di fronte ai miei milioni di capricci, rassegnandosi ad un figlio perennemente insoddisfatto, e ne sono stato triste.
Ho osservato Helena perdere ogni speranza di trovare ancora un motivo per aggrapparsi a un rapporto che, a conti fatti, visto il tempo passato insieme e quello passato da soli, non esisteva più, e ne sono morto.
Adesso osservo Bellamy.
Da mio padre, a mia madre, ad Helena, a lui. Non so neanche perché lo annovero fra gli Eventi della mia vita, in teoria non ha senso. Non ha senso perché lui non è nessuno, perché non è mai stato niente e perché grazie al cielo non c’è pericolo che diventi qualcosa in futuro – per merito soprattutto della mia abile opera di scoraggiamento, c’è da dire – anche se qualsiasi psicologo non farebbe che cercare di convincermi del contrario…
Però lo osservo. E più passa il tempo più capisco.
Lui sta lavorando sul serio, e probabilmente si sta davvero appassionando a ciò che sta facendo. Lo osservo chinarsi sugli spartiti ammonticchiati sul tavolo, increspare le labbra ed aggrottare le sopracciglia. “Non ci capisco niente…”, mormora, e prende un foglio tra il pollice e l’indice, sventolandoselo davanti alla faccia come se pensasse che, scuotendolo, dagli strani segnetti che ci sono fra le righe dovesse uscire fuori un qualche suono, un qualche linguaggio che anche lui riesca a comprendere, magari della musica. Sta facendo degli sforzi per starmi dietro, io lo vedo, anche perché da parte mia sto facendo di tutto per rendergli la vita un inferno. Avrei quantomeno potuto dire “d’accordo, la canzone riarrangiala tu e basta”, ma no, ho dovuto pretendere di studiare con lui ogni linea melodica, a partire dalla batteria per finire con gli effetti da adottare per la chitarra, ho dovuto piazzarlo davanti al software musicale del pc ed obbligarlo a mettere su carta le idee strampalate che ogni tanto si lasciava sfuggire, al punto che ormai temo abbia paura anche solo di dire “sai, pensavo che”.
Per non parlare del resto del team. Credo di aver già fatto impazzire la metà della band che ci farà da supporto durante il tour. Anche perché, quando c’è bisogno di discutere qualcosa, chessò, riguardo la linea di basso, non vado mica dal bassista, no, figurarsi. Vado da Matthew. Incuriosisce il fatto che né io né lui suoneremo mai quello strumento sul palco, come ama ripetermi Alex, scuotendo il capo e sospirando pesantemente, ma il fatto è che io voglio tenerlo al lavoro e sinceramente non m’interessa un’interazione con qualcun altro, per quanto minuscola e insignificante o necessaria e impellente possa essere.
M’interessa solo stare con Bellamy. Solo capire lui.
“Tu cosa sei?”, gli ho chiesto, ed era la tipica frase ad effetto perfetta per uscire dalla bocca del cattivo quando il supereroe di turno abbandona il campo, sconfitto, ma non era solo questo.
Io ho provato a ucciderlo.
A uccidere la sua ispirazione, a uccidere le sue motivazioni, a uccidere il suo coraggio e tutte le sue idee.
Lui è sopravvissuto.
E, mentre mi parlava di streghe, orge e della mia voce durante la sua prima volta, nel fondo dei suoi occhi io ho intravisto una luce che mi è sembrato potesse spiegare tranquillamente tutta quella forza d’animo enorme, quella sovrabbondanza di personalità che gli ha permesso di salvarsi dai miei attacchi continui.
Solo che io quella luce non l’ho capita. Non sono affatto riuscito a catturarla. Ne ho colto solo una scintilla, e non m’è bastata.
È la stessa luce che vorrei io. È la luce che mi permetterebbe di… di smettere di guardarmi intorno con aria smarrita quando torno a casa e la trovo vuota, di riprendere a lavorare tranquillamente, di recuperare le redini della mia vita e ricominciare a indirizzarla su una strada più sicura e meno accidentata delle notti insonni passate a rigirarsi nel letto, divorato dalla solitudine…
È per questo che non m’interessa altro, adesso. Solo lui. Voglio carpire ogni segreto, notare ogni particolare, imprimere la sua persona, la sua presenza, la sua essenza nel fondo dei miei occhi, per utilizzarla poi a mio piacimento.
Credo che l’esclusivismo che gli concedo lo inorgoglisca, un po’, anche se ormai, quando sono nei paraggi, sta così sulla difensiva che è impossibile dirlo con certezza.
…sinceramente, io non gli voglio male. Non lo odio. E non ce l’ho con lui perché è lui. È praticamente un ragazzino, è così giovane e immaturo che ho quasi voglia di nasconderlo sotto la mia ala protettiva e insegnargli a vivere piano piano, a piccoli passi.
Solo che no, non lo farò. Perché pur essendo una persona vagamente tollerabile, Matthew ha rubato tutte quelle cose che avrebbero potuto essere mie e non lo sono mai state.
Lui ha talento. Ha la vittoria facile. Ha un enorme ed acutissimo senso dell’ironia, ma non lo utilizza mai per ferire gli altri. È predisposto al lavoro duro, è naturalmente portato a compierlo tutto fino alla fine senza lamentarsi, e anzi, a cercare di tirarne fuori il meglio. È svelto ed estroso nelle associazioni mentali, e credo sia stato l’unico a seguirmi mentre, in riunione, durante uno dei rari momenti in cui mi sentivo in vena di lavorare, ho esposto alcune delle idee che avevo per l’organizzazione sul palco durante gli show.
Dopo tutto questo, sì, io sono certo che abbia anche dei difetti. Perché nessuno ne è privo.
Solo che non li vedo.
O forse lo conosco ancora troppo poco per poterne parlare.
*
Tom non aveva figli, ma era convinto che la sensazione che stava provando in quel momento – un’orribile commistione di ansia, fastidio e irritazione – fosse esattamente quella che qualsiasi padre ha provato almeno una volta nella propria vita, andando a recuperare un figlio in casa di amici ad un orario improbabile della notte.
Nella fattispecie, erano le tre del mattino, e già da una mezz’oretta lui pestacchiava col piede nei pochi centimetri di spazio liberi da pedali accanto all’acceleratore e stringeva le braccia incrociandole sul petto, mormorando rimproveri e lamenti a bassa voce, cercando di tenere il conto di tutti gli improperi che avrebbe rigettato addosso a Matt non appena l’avesse visto.
Lanciò un’occhiata distratta all’ingresso illuminato del palazzo e lo vide.
Stava prendendo un enorme respiro e probabilmente sperava che lui non l’avesse ancora notato. Sospirò pesantemente e pressò una mano contro il clacson. Vide Matt saltare letteralmente in aria ed affrettarsi a spalancare il portone ed agitare una mano per fargli capire che sarebbe arrivato in un secondo, e poi lo vide effettivamente uscire, muovere qualche passo verso la macchina… e fermarsi. Voltarsi. Lanciare uno sguardo in alto. Salutare Brian che lo fissava oltre il vetro della finestra al primo piano. E poi tornare a guardare lui, come niente fosse stato, sorridergli e infilarsi in macchina, erompendo in una serie infinita di “grazie” e “scusa” ad una tale velocità che quasi Tom dimenticò la ramanzina mentre cercava di contarli.
- Matt… - gli disse, tentando di mostrarsi paziente, una volta che lui ebbe finito di dispiacersi e ringraziare, - Non è che per me sia un fastidio venirti a prendere dovunque tu sia e in ogni momento tu voglia, eh. – seguì le sopracciglia di Matthew incurvarsi verso l’alto e si affrettò a correggersi, - Cioè, d’accordo, non faccio i salti di gioia. Ma se ti serve una mano lo sai che sono sempre disposto a dartela, insomma, l’ho sempre fatto…!
- Sì, sì, lo so… - lo interruppe Matt con una risata cristallina, nonostante le molte ore di lavoro sulle spalle, testimoniate dalle orribili borse sotto gli occhi che si trascinava dietro.
- Però-
- Sapevo che ci sarebbe stato un però!
- Fammi finire… - borbottò lamentoso.
- No, so già anche cosa vuoi dirmi…
- E va bene! – sbottò Tom, battendo irritato le mani sul volante, mentre metteva in moto la vettura e si reintroduceva nel traffico notturno di Londra, - Sai cosa? Non mi interessa se sei entrato nella fase adolescenziale nella quale non ti fa piacere sentire i rimproveri di papà! Adesso mi ascolti!
Matthew sospirò e appoggiò il capo contro il finestrino, fissando oltre il buio in un posto invisibile all’interno della propria testa.
Tom comprese che qualsiasi parola avesse usato da quel momento in poi sarebbe andata perduta nelle pieghe del silenzio di cui Matt si stava riempiendo il cervello, ma questo non lo fermò.
- Matthew, - disse, con la stessa pazienza di un padre, - questa cosa non ti sembra strana?
Lui non rispose, ovviamente.
- Insomma, lavorate già svariate ore agli studi, e nonostante questo lui poi pretende comunque di obbligarti ad andare a casa sua per continuare a lavorare. Ed è solo una fottutissima canzone! Non oso immaginare cosa ti avrebbe costretto a fare se fosse stato un intero album!
Matt si passò velocemente la lingua sulle labbra, inumidendosele, continuando a fissare le luci dei lampioni scorrere veloci oltre il finestrino.
- Matthew!
Niente.
Tom si morse un labbro, tornando a guardare la strada. Furente com’era, se non avesse prestato abbastanza attenzione lui e Matt si sarebbero andati a schiantare contro il primo palo/albero/idrante disponibile, e non sarebbe stato un bene.
Oltretutto, era evidente che Matthew non aveva neanche percepito una parola che fosse una, quindi per quale motivo continuare a insistere? Se aveva intenzione di infliggersi delle pene sempre maggiori, cercando di espiare un qualche terribile peccato di gioventù – perché Tom non riusciva ad immaginare nessun altro motivo che potesse portare un uomo a farsi questo – chi era lui per fermarlo? Amen.
- Più che altro mi guarda. – disse Matthew all’improvviso, senza voltarsi.
Tom gli lanciò un’occhiata svelta e spaventata. Per un attimo aveva creduto che si fosse addormentato e stesse parlando nel sonno, tanto lontana e bisbigliata sembrava la sua voce.
- Eh? – chiese, fermandosi ad un semaforo.
- Mi guarda. – spiegò Matt, impassibile. – Abbiamo finito di lavorare alla canzone già da secoli, ovviamente è già pronta. Partiamo fra due giorni, hai sempre saputo che l’avremmo finita in tempo.
- …questo non risponde al mio “eh?”. Che diavolo vuol dire che “ti guarda”?!
Il cantante si lasciò andare a un mezzo sorriso, sbuffando un po’ di fiato sul finestrino e arricciando le labbra in una smorfia delusa quando si accorse che sul vetro non si formava la condensa – cosa del tutto normale, vista l’afa umida che attanagliava Londra da qualche settimana a quella parte.
- Fammi capire. – continuò Tom, massaggiandosi le tempie prima di ripartire allo scatto del semaforo sul verde, - Vi sedete sul divano e rimanete a fissarvi da bravi idioti? Cos’è, una delle sue numerose perversioni sessuali?
Matthew ridacchiò.
- Ma no… qualcosa facciamo. – rispose, - Mi dà in mano una chitarra e mi fa provare e riprovare la melodia di base fino a quando non è soddisfatto del risultato, oppure suoniamo insieme fino a quando i suoni non si accordano perfettamente… è bello, a suo modo.
- Perfetto. – commentò Tom con uno sbuffo infastidito, - Praticamente scopate.
- Tom…
- No, sul serio! – continuò il manager, rovesciando la propria furia sulla leva del cambio, - Voi musicisti vi conosco, siete completamente sballati in questo senso! Non oso neanche immaginare a cosa pensate, mentre fate certe cose! Già mi sono venuti i brividi quando una volta ho visto te e Chris improvvisare un duetto di basso e chitarra sul palco, giuro che vi guardavate come se doveste saltarvi addosso da un momento all’altro, una cosa oscena!
- Posso tranquillizzarti, non metterò mai le mani addosso a Chris…
- Matthew, non c’è niente su cui scherzare.
Lui sbuffò, accomodandosi meglio sul sedile.
- Senti, guarda che è tutto a posto. Sono solo un po’ stanco perché passo tanto tempo con lui.
- Questo è esattamente il problema! – disse Tom, frenando un po’ bruscamente davanti al portone del palazzo in cui Matt abitava.
Matt cercò di fuggire dalla macchina bisbigliando un “buona notte” e tirando la maniglia per aprire lo sportello, ma Tom lo fermò chiudendo la propria sicura e attivando la chiusura centralizzata anche di tutte le altre.
- Aiuto! Rapimento! – scherzò il frontman, sollevando le braccia e agitandole come a voler attirare l’attenzione degli automobilisti distratti che sfrecciavano a decine accanto alla macchina ferma.
- Matthew… - lo richiamò Tom, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a fermarsi, - Tu sei giovane e stupido, e quindi sei del tutto convinto di poter arrivare alla fine di questo mese senza morire di stanchezza, pur continuando con questi ritmi. Io invece sono pronto ad assicurarti che tu non ce la farai. Non sarai solo stanco morto, Molko nel frattempo ti avrà anche fatto a pezzettini! Io sono davvero preoccupato, e non riesco a capire perché invece tu prenda tutta questa… cosa… così sottogamba! È… strano! Quello che fate è strano! Lo capisci, Matt?
Lui si abbandonò sospirando contro il sedile.
- È affascinante, non trovi? – disse in un bisbiglio concentrato, invece di rispondere.
- Cosa? La storia dei pezzettini?
Matt gli lanciò uno sguardo sconvolto.
- Tom, tu hai dei problemi…
- No, perché mi rifiuto di pensare tu stessi davvero parlando di Molko.
Il cantante sbuffò ancora. Era già abbastanza esasperato, e Tom non si stava certo risparmiando in commenti acidi.
- Senti, Tom, non so come dirtelo. A me sta bene. Mi… diverto, credo.
Tom si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo e meccanico, spaventoso.
- …ti piace? – gli chiese spettrale, stringendo la presa delle mani sul volante.
- Ma sì, te l’ho detto, è divertente, stiamo lì a-
- Molko. Dico Molko.
Matthew deglutì, mordendosi le labbra.
- Non mi sembra il caso di-
- È successo qualcosa fra voi. Lo so. Oddio! Matthew! Ma che cazzo combini?!, tu non hai mai-
- Tom
Il manager serrò le labbra, continuando a fissarlo con aria agghiacciata.
- Non… non è nel senso che intendi tu. È solo… lavoro. Perciò sta’ tranquillo e fammi uscire da questa macchina. Ho veramente sonno.
Non avrebbe voluto. Sinceramente, avrebbe preferito tenerlo imprigionato lì dentro per sempre e impedirgli di continuare ad avanzare lungo quel sentiero che, più che accidentato, a lui sembrava veramente distrutto, e molto più che pericoloso.
Ma che Matt avesse sonno – e che, soprattutto, avesse bisogno di riposo – era una verità inconfutabile, e lui non si sentiva di provare a metterla in dubbio proprio in quel momento.
Riaprì le sicure e lo osservò uscire dalla macchina.
- Riguardati. – gli disse.
Matthew non lo sentì.
Tom scosse le spalle, accorgendosene, perché tanto sapeva che non avrebbe fatto alcuna differenza.
*
Here I go and I don't know why
I spin so ceaselessly
Could it be he's taking over me
I'm dancing barefoot
Headed for a spin
Some strange music drags me in
It makes me come up like some heroine

Due settimane di tour all’attivo.
Mattino.
Non tanto presto. Neanche tanto tardi.
Il telefono squilla, sollevo la cornetta e poi la lascio tornare a posto con poca delicatezza.
La sveglia dell’albergo mi ha appena informato che è ora di smettere di poltrire e darmi una mossa, e chi sono io per dirle che ha torto?
Mi sollevo dal materasso, totalmente avvolto nelle lenzuola, col pensiero fisso che devo parlare a Matthew di una modifica che potremmo fare alla chiusura della canzone. Ricordo che l’ho pensata nel dormiveglia ed era una figata, c’erano battimenti pure lì, lui è assurdamente entusiasta da quando ha imparato a farli e sono giorni che sogna di infilarli da qualche parte.
L’obiettivo è dargli un’occasione di sorridere soddisfatto, giusto per vedere che espressione fa in una situazione simile.
Rigiro su me stesso e il mio sguardo cade sul mucchietto di vestiti sulla poltrona e che non riconosco come miei.
…ci metto effettivamente troppo tempo a capire che quelli non sono straccetti random, ma il corpo di Matt Bellamy in persona, addormentato in bilico fra un bracciolo e l’altro, con la testa che pende nel vuoto e la bocca spalancata che lancia una sinfonia di borbottii da sonno decisamente poco armonici.
Uno schiaffo in pieno volto mi avrebbe risvegliato con più delicatezza.
Uno schiaffo in pieno volto non avrebbe voluto dire altrettanto.
Respiro. Respiro. Perdio, respiro.
Ok…
Che. Ci. Fa. Lui. Qui?
*
Cerca di ricordare, Brian.
Non è poi tanto difficile, ieri sera non è stato così diverso dalle altre sere. Siete andati a cena, Tom e Alex vi hanno fissati con noia sempre crescente mentre parlavate di chissà cosa e di quello che pensavate di chissà chi – litigando vagamente, tra l’altro – poi tu hai ricominciato a punzecchiare Matthew – cosa gli hai detto? Non ricordi. Matt rideva, comunque – e Tom ti ha guardato come fossi l’anticristo e dieci minuti dopo aveva già finito di mangiare e dichiarato di avere mal di testa ed essere stanco morto, e perciò è sparito, lasciandovi soli con Alex, che s’è stretta nelle spalle, ha capito di essere appropriata all’ambiente come un pesce sulla cima di una montagna e s’è a sua volta dileguata in un battito di ciglia dopo un saluto sottovoce.
Avete dato un’occhiata ai dolci nel carrello, avete deciso entrambi che una mousse al cioccolato mezza sgonfia non valeva la pena di continuare a subire le occhiatacce dei camerieri appostati dietro l’angolo della porta della cucina, maledicendovi in ogni lingua per essere ancora lì all’una passata di notte, e vi siete spostati in camera tua “per continuare a chiacchierare”.
In realtà tu ti sei spostato in camera tua per continuare a fissare Matthew, e lui t’ha seguito perché per qualche strana ragione gli piace essere fissato da te.
Poco male, non t’importa, l’unica cosa importante è raggiungere il tuo obbiettivo.
L’hai lusingato un po’ per osservarlo ridacchiare timidamente, poi l’hai offeso tra le righe per osservarlo infuriarsi d’improvviso e cercare di nasconderlo, poi ti sei fatto perdonare chissà come – non vuoi saperlo – probabilmente un altro complimento piazzato lì tra una parola e l’altra come non fosse stato perfettamente pianificato. Matthew ci casca sempre, è quasi commovente.
Poi in camera sei crollato sul letto, giustamente distrutto, e Matthew ti ha imitato, crollando sulla poltrona.
Tu hai pensato di stuzzicarlo ancora e dirgli che se voleva poteva stendersi accanto a te, ma ti sei reso conto di non avere ben chiaro in mente se lo stessi stuzzicando solo per osservare con divertimento la sua reazione imbarazzata o perché… meglio non dirlo, e perciò hai lasciato perdere. Lui s’è accomodato sulla poltrona – nello strano modo in cui si accomoda, ovvero sottosopra – ed avete continuato a parlare di… boh. L’hai preso in giro per la sua posizione, lui ti ha preso in giro perché stavi crollando di sonno, tu l’hai ammesso e lui ti ha detto che… no, non lo ricordi, però ricordi che hai riso e ti sei appoggiato con la testa sul cuscino e hai colto di sfuggita l’orario assurdo lampeggiante sul display dell’orologio, e già dormivi.
Adesso sai esattamente cosa farai una volta che sarai uscito dalla tua stanza.
Scenderai di sotto, farai colazione, ti infilerai il cappotto e andrai a visitare l’ennesima location a due passi dalla spiaggia, rabbrividendo perché ormai siete al nord e comincia a far freschetto di sera, per non parlare dell’umidità – e tu odi l’umidità.
Farai il soundcheck, farai uscire pazzi uno o due tecnici del suono, giusto per il gusto di dimostrare che sei ancora bravissimo in questo, ascolterai distrattamente i commenti acidi dell’addetta ai microfoni, che s’è presa una cotta per Matt e quindi è sempre prodiga di “che bastardo, non posso credere che lo tratti così!”, e per darle ragione romperai un po’ l’anima anche a lui, anche se magari fino a quel momento non gli avrai fatto niente e non avrai neanche pensato di farlo.
Sì, come al solito.
Il problema è.
Come arrivare alla porta ignorando l’enorme disastro di cui Matt addormentato sulla tua poltrona è testimone?
*
Aprì gli occhi perché le sue narici catturarono il profumo di Brian.
Aprì gli occhi, sconvolto, perché riconobbe quel dannato profumo.
Sentì Brian mormorare un “maledizione” e lo guardò.
- Non volevo svegliarti. – disse l’uomo, fissandolo dall’alto, e Matt percepì chiaramente che non era un accenno di sentimento, ma una chiara dichiarazione di fastidio. Tradusse in inglese corrente, “non avevo affatto voglia di vederti”. La lingua di Brian non era più un mistero, ormai.
Non poteva far finta di niente e tornare a dormire, perciò si mise seduto e si grattò la nuca, forzandosi a tenere la bocca chiusa nonostante lo sbadiglio che scalciava per uscirne.
- È ancora presto. – continuò Brian, - Hai tempo sufficiente per farti una doccia, prima di scendere per la colazione. – lo guardò dall’alto in basso, le labbra appena increspate in una smorfia indecifrabile, - Non ti sei neanche cambiato per dormire. – puntualizzò, appoggiando il cappotto su una spalla con un movimento fluido e reggendolo per il colletto con l’indice e il medio.
- Scusa. – disse lui, senza specificarne il motivo. Aveva sempre la sensazione di doversi scusare per qualcosa, quando Brian gli parlava. Probabilmente perché ogni parola del cantante era intrisa da una tale quantità di risentimento da far sembrare che fosse lui stesso a pretendere delle scuse.
Brian scosse le spalle e si diresse tranquillamente verso la porta.
- Brian… - lo chiamò lui, sperando che lo ignorasse.
La cosa non avvenne.
…Brian non poteva ignorarlo.
Lui non poteva ignorare Brian.
- Sta succedendo qualcosa fra noi?
Brian lo fissò stupito, rigirandosi il cappotto sulle dita per poi appoggiarlo sul braccio piegato.
- Stiamo lavorando insieme. – rispose con naturalezza, scrollando le spalle.
Matthew si morse un labbro.
- A parte quello… - spiegò titubante.
Brian sospirò, scuotendo il capo.
- Cosa ti fa pensare che non avessi capito cosa intendevi? – chiese, mettendo una mano sul fianco.
- Hai risposto che stavamo solo lavorando insieme…
- …appunto.
Sentì il gran bisogno di stringere i pugni e schiacciarsi contro qualcosa di estremamente appuntito, fino a sanguinare.
Conosceva quella sensazione, era abituato a chiamarla frustrazione. Solo che sembrava mille volte più amplificata, quando Brian lo guardava con quegli occhi congelati e gli strillava addosso non sei niente!, senza neanche avere il bisogno di alzare la voce.
- Bellamy. – lo richiamò, e lui sollevò lo sguardo e tornò a fissarlo. – Non ti fare strane idee.
Matthew si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, massaggiandosi gli occhi.
- Se ti ho chiesto è proprio perché non ho nessuna idea.
Brian gli si avvicinò, lieve come stesse volteggiando a mezz’aria. Lo prese delicatamente per il polso e gli scostò la mano da davanti agli occhi. Così Matt poté vedere il suo sorriso sprezzante e morirci dentro.
- Sbagliato, Bellamy. Se mi hai chiesto è perché l’idea ce l’hai. E ti fa dannatamente paura.
*
Non ho ancora finito con te, e tu lo sai.
Il tuo cervello non è ancora del tutto andato, è per questo che riesci ancora a capire cosa diavolo ti sta succedendo.
D’accordo, non volevo che finisse così, all’inizio.
La cosa mi è sfuggita di mano, non ho problemi ad ammetterlo – almeno con me stesso.
Non mi sta bene, come finale, ma devo dire che poteva andarmi peggio.
Nel senso. Temo che tu ti sia, come dire, innamorato di me.
No, credimi, non penso di essere l’amore della tua vita e so perfettamente che quello che stai provando è il tipo di amore che dimentichi in una settimana quando l’oggetto del tuo desiderio non ti si agita più intorno come una trottola.
Ma è ossessivo. Cerca l’attenzione. Cerca l’approvazione. Cerca l’interesse.
Sì, sei decisamente innamorato, e questo è male.
Ma avrei potuto innamorarmi io, e questo sarebbe stato peggio.
Cerca di capire, Matthew, non sei tu il problema. Non lo sei mai stato, non sei stato che uno sciocco pretesto. E forse a te sarebbe andato bene essere davvero il fulcro della mia angoscia, forse quando capirai che in realtà, davvero, mi sei passato addosso come uno sbuffo d’aria in mezzo a una tempesta, ti sentirai usato e tradito e distrutto, ma è questo che sei.
Sarò sincero, Matthew, e lo sarò perché quello che sto per dire tu non lo sentirai mai – la bellezza del monologo interiore…
Io ti trovo fantastico. Tu sei luminoso. Sei positivo, sei talentuoso, hai davanti un avvenire invidiabile al punto da sembrare vomitevole, i ragazzini ti prenderanno a modello, nasceranno tante di quelle coverband dei Muse che non saprai dove guardare prima per trovare un sosia da portare in tour come supporto, e poi NME continuerà a spiaccicarti in copertina fino a quando il mondo non sarà sazio – e questo non succederà tanto presto, te lo assicuro – e Total Guitar continuerà a intervistarti cercando di carpire il segreto della tua bravura – senza riuscirci, perché il segreto della tua bravura sei tu e nient’altro, qualcosa di interamente non replicabile.
Io ti trovo perfino bello. Non che tu sia una bellezza canonica, tutt’altro, sei del tutto smontato, e sei troppo magro, e non hai la benché minima idea di come valorizzarti come uomo, ma hai un fascino naturale che in genere la gente se lo sogna, e riesci ad essere perfino carino anche quando hai addosso l’abbinamento più improponibile che potessi tirare fuori con una camicia e un paio di pantaloni. Hai un sorriso e una risata che smuovono cose nello stomaco, e un paio d’occhi che perforano il cristallo, Dio, quegli occhi, e ormai li conosco, non faccio che guardarli da settimane.
Ormai conosco te.
Non mi nascondi più niente.
Ormai io e tu non siamo più due stranieri, l’uno per l’altro.
Siamo qua.
Le nostre facce.
Brian Molko, Matthew Bellamy e tutto ciò che questo comporta.
La puttana e il pagliaccio.
Lo stronzo e l’idiota.
Il poeta da due soldi e il genietto immaturo e allucinato.
Non so chi ne esca peggio, ma è del tutto irrilevante, non è vero, Matthew? Quanto sarebbe sciocco cercare di stabilire a chi vada il primato dell’indecenza?, quando è già più che sufficiente sapere che io coi miei atteggiamenti da snob navigato e tu con i tuoi da novellino felice siamo ridicoli, e disgustosi, Bellamy, entrambi.
Non senti mai il peso di tutte le maschere che indossi, Matthew? La maschera con gli amici, la maschera con le scopate, la maschera con i colleghi, la maschera con i genitori…
Quante di loro ti assomigliano, almeno in parte? In quante ti riconosci?
Bellamy, io ogni tanto penso che stenterei a capire che sono davvero io anche se mi sbattessi addosso mentre cammino per strada.
Per me è difficile, davvero.
…ma non so perché, ora come ora ho la certezza assoluta che riconoscerei te ovunque. Che se ti adocchiassi, anche solo da lontano, ti vedrei risplendere e comincerei a seguirti come fossi la mia stella cometa, aspettandomi di essere condotto verso un luogo fantastico in cui ricevere un’illuminazione, una benedizione, un perdono.
Credo che questo gioco sia partito con Brian Molko che cercava di sopraffarti.
E anche se no, non sono innamorato, e anche se no, anche se lo fossi non lo ammetterei, credo anche che questo gioco si sia concluso con Brian Molko che, da te, si lascia sopraffare.
Matthew…
…tu mi riconosceresti?
Mi seguiresti?
Almeno per un po’?
*
- Brian, cerca di calmarti…
- Col cazzo che mi calmo, Alex! Dove diavolo è finita la Jaguar?!
- Diosanto… - mormorò Alex, lanciando intorno sguardi indemoniati ai ragazzi che ancora scaricavano casse di strumenti nel magazzino adibito come deposito per il festival di Aberdeen, - Ma con tutte le fottutissime chitarre che ha, dovevate perdergli proprio quella?!
La sua lamentela cadde nel vuoto, i ragazzi continuarono a sistemare le casse un po’ alla rinfusa, preoccupandosi solo di dividerle per gruppo secondo il nome stampato sul coperchio, e Brian si premurò di riaccendere l’interesse della propria manager tossicchiando irritato e incrociando le braccia sul petto.
- Senti, Brian. – disse la donna, riavviandosi i capelli dietro le spalle, - Non ho la minima idea di dove sia la tua Jaguar. Le altre chitarre sono a posto, fanne a meno e usa loro!
- Tu sei del tutto impazzita! – strillò Brian, stringendo i pugni, - Potrei anche lasciare perdere se non potessi usarla oggi, ma come pretendi che possa passare il resto della mia vita senza poterla più suonare?!
Alex sospirò, roteando gli occhi.
- Dio, Brian, è l’ultima data…
- E quella è la mia chitarra preferita!
- Brian!!!
- Senti, non è un casino che ho tirato fuori io per rompere le palle, d’accordo? Ci tengo davvero, lo sai!
- Oh, scusa! – lo prese in giro Alex, fingendo dispiacere, - Ormai hai tirato fuori tanti di quei casini senza nessun motivo, che fatico un po’ a riconoscere quando invece sei preoccupato sul serio!
A quel punto, Matthew, che aveva cercato di tenersi in disparte e in religioso silenzio fino a quel momento, capì che se non fosse intervenuto probabilmente quei due si sarebbero sbranati a vicenda, e decise perciò di farsi avanti.
- Brian… - lo chiamò appena, e subito lui lo graziò della propria attenzione, cosa che irritò non poco Alex, - Non è del tutto improbabile che abbiano imballato la tua chitarra assieme alle mie… vuoi che ti dia una mano a controllare?
Brian sospirò.
- È la prima cosa intelligente che sento dire oggi. – commentò, dirigendosi a passo spedito verso l’entrata del magazzino, mentre Matt lo seguiva a ruota. – Vedi che hai anche tu i tuoi momenti di genialità? Scommetto che se parlassi di meno si noterebbe di più.
Matthew ignorò gli ultimi commenti e lo condusse verso l’angolino in fondo al magazzino, nel quale erano stati stipati per primi i loro strumenti, dal momento che prima di partire da Edimburgo Brian aveva preteso per chissà quale motivo che fossero imballati e caricati sul camion per ultimi.
- Dovresti calmarti… - gli disse, osservandolo camminare nervosamente, a scatti.
- Fatti gli affari tuoi. – rispose Brian, scoccandogli un’occhiataccia, - Quando dicevo che dovresti parlare di meno, ero serio.
Matt sospirò e continuò a fissarlo di sottecchi.
Brian faceva lo stesso.
Brian continuò a farlo finché non furono finalmente davanti alle loro casse, con stampati sopra i loro nomi, uno sotto l’altro. E quando arrivarono lì, e Matt si guardò intorno, e vide che erano solo loro e centinaia di casse, che era come fossero completamente soli in un labirinto enorme, dal quale era totalmente impossibile fuggire, finalmente capì.
Ce ne aveva messo di tempo.
- Brian. – lo chiamò, e lui lo ignorò, si infilò un dito in bocca, morsicando nervosamente l’unghia, e si diresse deciso verso una cassa, mormorando “come diavolo la apro adesso?”. – Brian… - lo chiamò ancora lui, andandogli incontro.
- Bellamy, sto cercando la mia chitarra. – rispose l’uomo, continuando ad ignorarlo.
- Aspetta, Brian, ti devo parlare.
- Non voglio affatto parlare con te! - strillò Brian, fissandolo negli occhi per un solo secondo, - Voglio solo trovare la mia dannatissima chitarra, lasciami in pace!
Matt si tirò indietro, amareggiato.
Osservò Brian continuare a scrutare la cassa in ogni suo punto, cercando qualcosa per aprirla – un pulsante magico? Una cerniera? Un piede di porco messo lì ad uso e consumo di chi volesse dare una sbirciata all’interno? – e capì che non sarebbe riuscito a fargli dire nulla. Che Brian avrebbe continuato a trattarlo come niente. Che poi se ne sarebbe andato. Che non l’avrebbe più rivisto.
- Non puoi comportarti così. – disse deciso, - Devi prenderti le tue responsabilità!
Brian si fermò a metà del movimento che stava compiendo, tornando a guardarlo con più attenzione.
- Non ho responsabilità nei tuoi confronti. – disse freddamente, battendo un piede per terra.
- Queste sono le cazzate che puoi raccontare a chi vuoi, ma non a me!
E fu il turno di Brian di tirarsi indietro, spalancando gli occhi.
- Bellamy, non ti allargare!
Matthew si morse un labbro, muovendosi minaccioso verso di lui.
- Sei tu che ti sei allargato per primo! – ringhiò, furioso e irritato, - Questa situazione è tutta colpa tua!
- Dovevo trovare un modo per tenerti a bada.
- Certo, la molestia sessuale-
- La molestia sessuale! – scoppiò a ridere Brian, - Ti ho fatto tante di quelle cose che fatico io stesso a tenerne il conto! E tu pensi solo a quello! Bellamy, hai dei problemi…
- Piantala di chiamarmi Bellamy, Brian, mi dà un fastidio allucinante!
- Oh, ti infastidisce? Scusami, Bellamy. A me infastidisce che tu mi chiami per nome, guarda un po’! Come se avessi chissà che confidenza col sottoscritto! Fottiti!
Non si rese neanche conto di cosa stesse facendo, quando sollevò una mano e, piantandogliela con forza su una spalla, lo schiacciò contro il muro di casse che aveva dietro, costringendolo ad aderire perfettamente al legno ruvido e scheggiato, e aderendo perfettamente a lui.
Brian si lasciò andare ad uno sbuffo sorpreso, ma non si arrese. Trovò i suoi occhi e lo costrinse a fissarlo, lo scrutò fin dentro il cervello con quei punteruoli di ghiaccio verde brillante, e quasi lo fece indietreggiare di paura.
- Ti piace essere provocato, Bellamy. – constatò, parlando a bassa voce, in un sussurro appena udibile, quasi silenzioso in confronto ai rumori che venivano dagli altri settori del magazzino.
- Sta’ zitto! – replicò Matthew, afferrandolo per il colletto e spingendo l’avambraccio contro il suo collo.
Brian sollevò il mento, come gli si stesse offrendo.
- Hai un’indole da teppista! – commentò, quasi divertito.
- Molko, ti ho detto-
- Niente più Brian?
Gli stava scoppiando la testa.
Sentiva il proprio sangue rombare nelle tempie così furiosamente che si convinse che sarebbe davvero esploso, e che se tanto doveva morire…
- Piccolo bastardo… - mormorò Brian, - Guardati…
Invece di guardare sé stesso, Matthew continuò a guardare lui.
- Come diavolo fai?
Fare?
- Sei… sei disfatto… - sussurrò Brian, lasciando scorrere lo sguardo su di lui, dagli occhi alle labbra, - Sei stanco e distrutto… E sono stato io a ridurti così… ti ho mostrato il peggio di me, ti ho afferrato nel pugno della mia mano, Bellamy… - e sollevò la mano stretta a pugno, mostrandogliela senza alcun intento violento, solo per rafforzare il concetto, - …sei così terrorizzato che… guarda con che occhi mi fissi adesso… se potessi, se non fossi un uomo, staresti già piangendo da un pezzo, e le nostre posizioni sarebbero invertite…
- Che cazzo stai dicendo? – ansimò lui, stringendo di più la presa sotto il collo, pressandolo contro le casse e percependo il suo lamento di dolore quando uno spigolo ribelle gli si conficcò nella schiena.
- Sembri un condannato a morte… - continuò Brian, come stesse parlando con qualcun altro, sistemandosi meglio sotto di lui, - E nonostante questo…
- Brian-
- Fanculo. Sei fottutamente bello.
Provò repulsione, voglia di separarsi da lui e desiderio di spaccargli la faccia.
Rimase lì, interdetto, a fissarlo negli occhi.
- Mi piaci da morire. – spiegò il moro, guardandolo con la stessa intensità, - Io dovrei fare il bello e il cattivo tempo con te, dovrei rigirarti tra le dita e schiacciarti contro il palmo come carta straccia. E invece ti vengo dietro come un cagnetto. – sospirò, - Ti svolazzo intorno come una falena. Sono peggio del topo che prende comunque il formaggio dalla trappola, anche se sa che sarà un suicidio.
Silenzio.
Sembrarono fermarsi anche i ragazzi.
Loro due, altissime mura di scatole e il vuoto.
- Io sono già morto. – concluse Brian, - Sono morto quel pomeriggio, quando mi hai parlato di stronzate per tutto il tempo e io ti ho trovato affascinante. – ridacchiò, - Buffo, mi reputo una persona tanto intelligente… me ne sto accorgendo solo ora.
- Io non-
- Finiscimi.
- Cristo, Brian-
- Sono già morto. – si sporse appena, qualche centimetro, gli sfiorò le labbra, - Finiscimi.
*
Passò lievemente una mano sul pavimento sporco e guardò con paura le casse disordinate impilate l’una sull’altra accanto a lui, sperando che non decidessero di crollare proprio mentre lui e Matthew cercavano di riprendere fiato dopo aver finito di scopare.
- Abbiamo fatto un casino… - commentò a mezza voce, guardandosi intorno e notando alcune scatole già rovesciate per terra, - Speriamo di non aver spaccato qualche strumento.
Matthew ridacchiò appena, intervallando ad ogni risatina un tentativo di smettere di ansimare convulsamente.
Brian si voltò a guardarlo.
- Ti ho sopravvalutato. – disse con una smorfia.
- Che?! – strillò Matthew, voltandosi a fissarlo d’improvviso, - Voglio dire, non è che pretenda di essere un dio del sesso o che, ma almeno potresti-
- Non in quel senso! – rise Brian, stringendo le braccia al corpo e cercando di recuperare i propri pantaloni perduti da qualche parte fra le ginocchia e le caviglie, - Sei stato bravissimo, non preoccuparti…
Matthew sbuffò e arrossì, mentre chiudeva gli occhi e si voltava per sottrarsi al suo sguardo.
- Ho come l’impressione di averti guardato come fossi un dio, per tutto questo mese. – continuò Brian, il tono di voce sereno e rilassato come Matthew non l’aveva mai sentito, - Ma alla fine sei un uomo anche tu. Sei… - sorrise, - bello, affascinante e particolare. Il mio ideale di uomo, credo. Ma sei un uomo comunque. Stai qui accanto a me col fiato corto, sei un uomo normale.
- Non capisco se dovrei prenderlo come un complimento… - borbottò Matt, riabbottonando i jeans.
- Non puoi prenderlo come una semplice constatazione e fartelo bastare? – rise Brian, spostandosi di qualche centimetro verso di lui.
Matt lo osservò avvicinarsi, e quando lo vide fermo a pochi millimetri da sé si chinò verso di lui, baciandolo lievemente sulla bocca.
- I tuoi sono discorsi da addio… - commentò, sfiorandogli le labbra con due dita quando si fu separato da lui, - Sarai contento, adesso. – concluse malinconico.
- Più di prima, sicuramente. – ridacchiò Brian, ma quando vide che Matt s’era offeso si allungò su di lui, sfiorandogli il petto con una mano. – Se vuoi possiamo rivederci, comunque.
Matt lo fissò, sconvolto.
- Tu lo stai chiedendo a me?
L’altro annuì serenamente.
- Sai esattamente come andrà avanti questa “relazione”, se di relazione si può parlare… - si lamentò Matthew, - Per quanto io possa… tenerci… siamo troppo diversi, sarebbe un casino incredibile, finirebbe male!
Brian rise ancora, e Matthew pensò distrattamente di non averlo mai sentito ridere tanto.
- Ti sfido, Bellamy. – disse lui, sollevandosi in ginocchio e chinandosi su di lui, per sfiorargli la fronte con la propria, - Stupiscimi.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian. Be', sì XD
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Una notte, Matthew si sveglia d'improvviso e chiede al suo uomo se pensa che sia gay o bisessuale. E questo è solo l'INIZIO del disastro.
Commento dell'autrice: Avete assistito alle nuove quasi-dieci pagine di follia made by liz ^___^ (come se ne sentiste il bisogno…).
Anyway, è tutto vero >O< Matthew è gay. Non può essere altrimenti!
Nah, si scherza :D
Grazie alla Nai per il betaggio >.<
Dedicata con affetto enorme a Bea, che illuminandomi sulla palese gayezza (o era gaytudine?) di Supermassive Black Hole mi ha aperto un nuovo mondo çoç E all’Ele, perché… siamo in sintonia in questo senso <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
ASK FOR ANSWERS
ovvero
Capra E Cavoli

Quando aprì gli occhi, si spaventò.
- Matt! – strillò agitato, scattando a sedere sul letto, - Che diavolo hai?
Matthew Bellamy, il suo uomo, stava fissando la parete di fronte al letto con sguardo vacuo e labbra dischiuse. Come ipnotizzato. O come fosse totalmente pazzo.
Cosa che in effetti era. Dannazione!
- Matthew! – chiamò ancora, sempre più sconvolto, - Matt, ti dai una svegliata e mi dici cosa c’è?
Lui si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo, ruotando appena il capo sul collo – e fu una visione talmente inquietante che Brian a un certo punto pensò che l’avrebbe visto fare come la bambina protagonista dell’Esorcista, e che si sarebbe trovato a fissare negli occhi un Matt con la testa avvitata sul collo come una lampadina. Ma la testa di Matt non ruotò così tanto, e quindi Brian si ritrovò a fissare solo un enorme paio d’occhioni cucciolosi celesti che imploravano aiuto dal fondo della confusione mentale in cui erano intrappolati.
“Avrà fatto un brutto sogno”, si disse, sorridendo teneramente e cingendolo con un braccio intorno alle spalle per abbracciarlo.
Ma Matthew Bellamy non poteva certo lasciarsi consolare senza approfondire l’argomento, no.
Lui doveva esprimersi.
- Brian… - disse, col tono infantile e dispiaciuto di chi sa che sta per fare una domanda sciocca, ma non per questo si fermerà, - secondo te io cosa sono?
Brian lo guardò, inarcando le sopracciglia.
- Pensavo un “essere umano”, ma ormai comincio ad avere dei dubbi.
- …
- Sicuramente nella tua linea genealogica ci sono delle capre. Ed evidentemente, per i principi mendeliani, tu presenti i caratteri recessivi di questa tua discendenza.
Matthew lo fissò, attonito e perplesso, per molti secondi.
Poi scosse il capo.
- Sì, ok. – disse condiscendente, annuendo convinto, - Ma io dicevo… secondo te, no?... cioè, visto che hai anche più esperienza di me a riguardo… insomma, io sono gay o bisessuale?
Anche Brian lo fissò, cercando di capire se fosse serio e arrendendosi al fatto che, come sempre, quando si trattava di idiozie colossali, lo era.
- Capra. – concluse tranquillamente, con un lieve sbuffo di disapprovazione.
Quello fu abbastanza perché Matt cominciasse ad agitarsi sul posto, cercando di svoltolarsi dalle lenzuola per protestare con più veemenza contro il suo uomo insensibile.
- Perché mi dai della capra?! – strillò l’inglese quando riuscì nell’impresa, - Io ti ho fatto una domanda seria!
Brian sospirò, tornando a distendersi sul cuscino e sistemandosi le lenzuola sul petto.
- Matt, perché dev’essere un problema? – chiese, per poi passare a spiegare pazientemente la sua teoria, - Quando ti fai domande simili, risponditi che lasci che la tua sessualità fluisca liberamente dove vuole. Questione risolta.
- …perché questa frase non mi è nuova? – domandò Matt, guardandolo di sbieco e gonfiando le guance come uno scoiattolo.
- Perché è quella che si rifila ai giornalisti impiccioni. – rispose Brian con naturalezza, osservando le unghie ancora perfettamente laccate di nero.
Matthew lo guardò per qualche secondo, prendendosi il tempo necessario per realizzare.
- Bri. – lo richiamò poi a bassa voce, - Mi stai liquidando senza darmi retta?
Brian sorrise appena, guardandolo furbescamente di rimando.
- Adesso è la tua parte umana a parlare… - commentò soddisfatto, rivoltandosi sul materasso e prendendo a far dondolare le gambe sotto le lenzuola.
Matthew incrociò con disappunto le braccia sul petto.
- Ok. – borbottò deluso, - Ho capito. Se mi aspetto una soluzione da te, posso aspettare anche in eterno!
- Come sarebbe a dire “una soluzione”?! – si lamentò Brian, lasciandosi andare sul cuscino con un movimento stanco, - Ti aspetti davvero che sia io a definire la tua sessualità?
- Be’! – disse Matt, allargando le braccia, - Scusa se ti ho preso per un uomo sensibile che avrebbe potuto aiutarmi!
Brian si limitò a sospirare pesantemente, chiudendo gli occhi e ripetendosi di star calmo e dormire, ché quella follia prima o poi sarebbe passata come in passato erano volate vie le allucinanti tinture per capelli e le camice a righe bianche e gialle con il panciotto.
- Chiederò a Dom. – mormorò appena Matt, accomodandosi disteso al suo fianco e spegnendo il lume sul comodino per tornare a dormire, - Lui di sicuro saprà darmi una mano.
*
- Tu sei pazzo. – disse semplicemente Dominic, guardandolo con occhi vuoti.
- Non dire così! – si lamentò Matthew, stringendo i pugni come un bambino deluso, - Ti ho solo chiesto se pensi che io sia gay o bisessuale!
- Non è questo!!! – strillò Dominic, allargando le braccia in un gesto esasperato, - Per quanto sia già assurdo essere presi alla sprovvista con una domanda simile alle otto e mezzo del mattino, Matthew, è il discorso che hai fatto prima che mi ha sconvolto!
- Uh? – uggiolò Matt, come cadendo dalle nuvole, - Non capisco. A cosa ti riferisci? Al fatto che ho detto “tu che sei gay…”?
- ESATTO, Bellamy!!! Io non sono gay!
Chris scelse quell’esatto momento per apparire dal corridoio e sgranare gli occhi, avvicinandosi ai due litiganti.
- Che diavolo sta succedendo? – chiese curioso, incrociando le braccia sul petto, - Non mi pare che generalmente tu abbia bisogno di fare dichiarazioni simili così presto al mattino… - commentò, ridacchiando lievemente in direzione di Dom e poi restando in ascolto.
- Matthew è un idiota! – rispose semplicemente Dominic, cercando di fuggire attraverso la porta mentre Matt lo arpionava per un braccio, tenendolo fermo.
- Chris! Dom non mi capisce!
- E cos’è che non capisce?
- Sono venuto qui, disperato, mettendo il mio cuore nelle sue mani e chiedendogli se pensava che fossi gay o bisessuale e lui-
- A-Aspetta un attimo, Matt… - lo interruppe il bassista, aggrottando le sopracciglia, - cos’è che ti fa pensare che Dom possa avere la risposta per una domanda simile?
- Perché lui è gay! – asserì il cantante con estrema decisione, mentre Dom esplodeva in un potentissimo grido esasperato e Chris scuoteva il capo.
- Matt… - cercò di spiegare, liberando Dom dalla stretta, - Dominic non è gay. Non lo è mai stato.
- BALLE! – strillò Matt, riafferrando Dom per la collottola e scuotendolo energicamente, - Lui è stato assieme a Roger Teabing, al liceo! Non è che lo guardava da lontano e ci fantasticava, no! Lui c’è stato! A scuola lo sapevano tutti!
Chris sospirò, mentre Dom urlava ancora.
- Dominic, calmati. – disse il bassista, tappandogli la bocca, per poi tornare a rivolgersi al cantante, - Matthew, anche a te piaceva Roger Teabing. Perdio, a tutti piaceva Roger Teabing! E lui era una puttana, s’è ripassato tipo mezza scuola, e-
- Non ha mai ripassato me!!! – gridò Matthew, mollando all’improvviso Dominic per portare le mani ai capelli in un gesto disperato.
- …okay. Sorvolerò su quest’ultima cosa che hai detto. Il punto è, Matthew, che da quel momento Dom non è mai stato con nessun maschio, e che, per quanto ne so, relega Roger Teabing nella “parte dell’adolescenza di cui preferirebbe non parlare mai più”. È così, Dom?
Dom annuì con decisione, così velocemente che Chris temette per il suo collo.
- Quindi. – continuò il bassista, cercando di risolvere la situazione, - Il problema sarebbe…?
- Il problema è – inizio Matt, infervorandosi, - che ho bisogno di sapere se avete notato qualcosa… qualcosa di strano! Nei miei comportamenti, nei miei modi di fare… qualcosa che possa aiutarmi a stabilire se sono gay o no!
Dom strillò ancora una volta – evidentemente il fatto che Matt avesse riportato a galla una parte oscura e tranquillamente dimenticabile del suo passato aveva bruciato tutti i neuroni che gli erano rimasti.
Chris si limitò a guardare il proprio cantante con aria interrogativa, per poi esplodere in un ennesimo sospiro e scuotere il capo.
- Matthew. – disse dolcemente, con pazienza, - Ti scopi Brian Molko. Cioè… Brian Molko. Mi pare evidente che la tua sessualità è quantomeno… disordinata. Ma al di là di questo, che differenza vuoi che faccia? È… Brian Molko! Non puoi mica angosciarti perché non sai se ti piace scopare con gli uomini o con le donne o con entrambi… Molko è entrambi!
- Tu non capisci! – continuò Matt, intenzionato a non arrendersi, - Per me è importante! Ho bisogno di definirmi come persona! Ho bisogno di saperlo! E per inciso, Brian non è entrambi, Chris!
Il bassista si limitò a scrollare le spalle mormorando “be’, se lo dici tu…” e dirigendosi con aria neutra verso un divano, sul quale si abbandonò, prendendo a sfogliare distrattamente una rivista.
Dominic, frattanto, era tornato in sé.
- Senti, Matt. – disse, più per chiudere definitivamente l’argomento e rimandare Teabing negli abissi della memoria dal quale era stato riesumato, che per desiderio effettivo di aiutare il proprio migliore amico, - L’unico modo per uscire da questa situazione è rapportarti con gli altri. Guarda le persone! Frequentale! Insomma, Dio mio, sei passato da Gaia a Brian senza neanche prenderti un attimo di pausa! Devi volare di fiore in fiore, vedere che effetto ti fanno anche le… le margherite, e le… le violette! Mica solo… chessò, rose e gelsomini!!!
E questo fece accendere qualcosa negli occhi di Matthew.
Un qualcosa talmente inquietante che Dom si pentì subito di aver parlato.
- Matt… - cercò di chiamarlo, ma era già troppo tardi. Matthew si stava dirigendo a passo spedito e deciso verso l’ufficio di Tom
Ufficio nel quale irruppe gioiosamente, strillando “Tom! Credo di essere gay! Indiciamo una conferenza stampa!”, con l’unico risultato che il manager cadde dalla sedia e rischiò seriamente di spaccarsi l’osso del collo.
Presagendo la catastrofe, Dominic si introdusse a sua volta nella stanza, guardandosi intorno con occhi spaventati alla ricerca di Tom, che nel frattempo stava faticando per riemergere dal pavimento sul quale si era abbattuto.
- Cos’è che ha detto…? – furono le prime parole del povero Tom, quando riuscì a risollevarsi e riprendersi almeno un po’.
- Ah! Non chiedermelo! – si lamentò Dominic, agitando le mani, - È da quando è arrivato che dice idiozie e cerca di far decidere agli altri se è gay o no! Scommetto che è stato Molko a ficcargli qualche strana idea in testa…
- Va bene. Okay. – disse Tom, massaggiandosi le tempie e riportando l’attenzione su Matthew, che aspettava trepidante una sua risposta, - Matt, di che diavolo blateri?! Una conferenza stampa? Per dire cosa?!
- Dom mi ha convinto che-
- Dom non ti ha convinto di niente! – lo interruppe il batterista, arrossendo d’improvviso al ricordo delle idiozie che gli aveva detto per tranquillizzarlo.
- Sia come sia! – sbuffò Matthew, contrariato, - Adesso so come posso stabilire se sono gay o no!
- E come? – chiese Tom, per pura formalità, dal momento che già sapeva che risposta avrebbe dato Matt.
E infatti lui non lo deluse.
- Devo chiederlo a più persone possibile! Anzi, devo chiederlo a più giornalisti possibili! Loro sono abituati ad osservare, a prendere appunti, a ricordare le cose! Di sicuro sapranno darmi una risposta!
- Certo, Matt… - lo blandì Tom, condiscendente, - Ma vedi, questa cosa si chiama suicidio mediatico. Vuol dire che vai lì e consapevolmente prendi il tuo povero corpo e lo lanci ai lupi affamati, incitandoli a divorarti. Capisci cosa voglio dire?
- …no. Voglio solo parlare con i giornalisti! Che sarà mai?
- Che sarà mai?! – gridò Tom, evidentemente giunto al limite della propria capacità di sopportazione, - Capisco che tu possa esserti confuso con la metafora dei lupi famelici, ma la parola “suicidio” avrebbe dovuto metterti in guardia, no?!
Matthew si adirò, ed era lì lì per ribattere che non aveva alcuna intenzione di suicidarsi ma solo di parlare, e che se Tom non capiva le diverse sfumature di significato delle due parole era palesemente un cretino, quando Alex Weston apparve sulla soglia della porta, splendido sorriso predatore sul volto e criniera ricciuta come sempre sciolta sulle spalle, avanzando sicura di sé come una pantera in battuta di caccia.
- Allora! – esordì con una mezza risata, - Questa storia di Matthew che indaga sulla propria identità sessuale è vera o è una chiacchiera da assistenti repressi?
- Ossignore! – esclamò Tom, sconvolto, - Matt! Ma a quante persone l’hai detto?!
- Be’… - si giustificò lui a mezza voce, - Quando sono arrivato non riuscivo a trovare Dom… e così ho chiesto un po’ in giro…
- Mi auguro che in giro tu abbia chiesto dov’era Dominic!!!
- No. – rispose innocentemente Matthew, - Ho chiesto a chi incontravo se loro pensavano che fossi gay o no.
- Oh, tesoro! – esclamò Alex, stringendolo fra le braccia ed avvolgendolo in una nuvola di Chanel, - Sei così carino! Per curiosità, - aggiunse poi, con una risatina maligna, - i risultati del sondaggio quali sono stati…?
- Ho scoperto che tante persone credono che io sia stupido! – rispose Matt, agitandosi, - Il che è assurdo!
- Povero caro… - continuò Alex, sghignazzando tanto che non riusciva più neanche a darsi una parvenza di serietà, - Questo non c’entra niente con la tua sessualità!
- È quello che dico anche io! Se io vengo da te e ti chiedo “credi che io sia gay o bisessuale?”, tu non puoi rispondermi “secondo me sei stupido”! Cosa c’entra?!
- Quanto hai ragione, amore! – rise Alex, stringendolo di più perché non notasse la palese ombra di derisione che le oscurava lo sguardo, - Il mondo è cattivo con te!
- Anche Brian lo è stato! – proseguì Matt, contento di aver trovato finalmente qualcuno in grado di capirlo, - Quando l’ho chiesto a lui mi ha dato della capra!
- Non capisco come sia possibile! – sbuffò Alex, lasciandolo finalmente andare e mettendo le mani sui fianchi, - E come intendiamo risolvere questa spiacevole situazione?
- Io vorrei indire una conferenza stampa! – disse Matt con convinzione, - Ma Tom non vuole lasciarmelo fare!
La stessa luce che si era accesa poco prima negli occhi di Matt si accese anche in quelli di Alex. Ma nelle sue iridi verdastre assunse una sfumatura semplicemente demoniaca, una di quelle sfumature che volevano dire “ho trovato un nuovo modo osceno per far soldi”, e che mettevano sempre in agitazione il povero Tom.
- Una conferenza stampa…? – ripeté la donna come stesse recitando un incantesimo, - Be’, io non ci vedo niente di male.
- Ecco! Sapevo che sarebbe successo! – disse Tom, portando le mani ai capelli e cominciando a sudare, - L’idiota e il diavolo! Un dramma!
- Oh, Tom! Non farla così grave! – disse Alex, ragionevole, aiutandolo a sedersi e sistemandosi poi di fronte a lui, senza dimenticare di appoggiarsi sulla scrivania, per guardarlo dall’alto e non perdere il dominio della situazione, - Prova a pensarci: tutti i suoi problemi relazionali sarebbero risolti! Avreste un leader finalmente sereno, rilassato, felice… insomma, normale! E poi è notorio che fare outing aiuta… pensa a Brian!
Brian passò davanti alla porta dell’ufficio – ancora aperta – proprio in quel momento. Aveva gli occhi persi in una quantità infinita di scartoffie – i fogli che teneva fra le mani erano così tanti che davano l’impressione di dover cadere a terra da un momento all’altro – e un paio di cuffiette affondate in profondità nelle orecchie, e camminava velocemente, con incedere quasi isterico, borbottando a mezza voce frasi incomprensibili, intervallate con convinti “sì” o delusi “no”.
- …normale, dicevi…? – esalò Tom, sconvolto, mentre Alex ridacchiava imbarazzata.
- Secondo me siete tutti pazzi. – concluse Dominic, imboccando la porta per fuggire da quella situazione, - So già come finirà questa storia, e so già di non volerci avere niente a che fare.
*
Puntualmente, due ore dopo, la sala conferenze era gremita di giornalisti affamati di notizie, e Tom e i Muse – sudati e imbarazzati come mai, ad eccezione di Matt, che sembrava in agitazione solo perché la discussione che stava per avere luogo avrebbe, a sua detta, “cambiato la sua vita” – stavano seduti al tavolo, aggiustando nervosamente giacche e cravatte e sbottonando colletti quando eccessivamente stretti, mentre Alex, Stef e Steve monitoravano la situazione dal fondo della stanza e cercavano di riportare un Brian, ancora impegnato in chissà cosa, alla realtà.
- Io vorrei solo capire… - borbottò Dom, guardandosi intorno con fare isterico, - perché anche noi?! È lui l’omosessuale!
- Sta’ un po’ zitto, Dom! – lo rimproverò Tom, - E poi è sempre meglio essere uniti e compatti di fronte alle disgrazie. Sarà più facile salvare Matt e i Muse dal disastro, se staremo insieme!
Inutile dire che l’arringa non convinse affatto il batterista, che incrociò le braccia sul petto e guardò altrove, concentrandosi fortemente sul pensiero “in realtà non sono qui, sono alle Hawaii e una bella isolana sta ballando per me vestita solo di gusci di cocco”.
In quel momento, Matthew decise che aveva aspettato abbastanza e che era il momento di risolvere la questione. Prese il microfono fra le mani, si schiarì la voce, aspettò imbarazzato che il microfono smettesse di fischiare per protesta e infine parlò.
- Secondo voi… - chiese esitante, guardandosi intorno, - io sono gay?
Il momento di silenzio che seguì fu il più carico di aspettativa della storia di tutti i silenzi.
Ma non ebbe una conclusione soddisfacente.
I giornalisti, infatti, invece di rispondere alla domanda, letteralmente assaltarono i propri taccuini, prendendo a scrivere come forsennati e implorando i colleghi perché facessero riascoltare loro la registrazione, per descrivere ogni sfumatura della voce di Matthew Bellamy che confessava al mondo la propria omosessualità.
- No, no! – disse Matt, comprendendo che la piega che la situazione stava prendendo non era quella che lui si sarebbe aspettato, - Non stavo dicendo di essere gay! Avete capito male!
Tutti i giornalisti si fermarono d’improvviso, le penne a mezz’aria e qualche ghirigoro scarabocchiato sui fogli a quadretti.
- Stavo chiedendo a voi se pensate che io sia gay! – precisò con foga, alzandosi dalla propria seggiola e andando a sedersi in punta sulla pedana, i piedi dondolanti nel vuoto, molto più vicino ai giornalisti di quanto non fosse prima e ben deciso a dare il via a un serio dibattito sull’argomento.
E mentre Tom organizzava le guardie del corpo perché fossero pronte a recuperare il frontman prima che venisse mangiato vivo, successe l’impensabile.
Ovvero, i giornalisti cominciarono effettivamente a discutere.
Ipotizzavano.
Facevano esempi.
Riportavano alla luce fatti e capi di vestiario dei quali neanche lui ricordava più l’esistenza.
In un marasma concitato di voci diverse e contrastanti all’interno del quale non si capiva niente.
E Matt… Matt sembrava perfettamente a suo agio. Ascoltava tutto. Annuiva, ANNUIVA, di tanto in tanto. Spiegava, forniva giustificazioni, commentava, negava e asseriva.
- In effetti, quando siete usciti con la demo lei aveva un maglioncino rosa, signor Bellamy…
- Be’, sì, in effetti è vero…
- E in uno degli ultimi servizi fotografici che avete fatto, signor Bellamy, lei ha nuovamente indossato una maglietta rosa…
- Dite che il rosa può essere un indizio?
- Certo, signor Bellamy!
- E poi c’è il suo famoso falsetto…
- Ma il falsetto c’entra con l’omosessualità?
- Ma è ovvio, signor Bellamy! Per non parlare di certi completini che indossa…
- Ma siamo tornati ai vestiti?
- I vestiti sono spesso la più evidente prova di omosessualità, signor Bellamy!
Questo sembrò convincerlo più di tutto il resto.
Annuì vigorosamente, lasciando dondolare ancora un po’ le gambe giù dalla pedana.
- C’è anche il cappellino coi brillantini… - disse lui stesso, - In effetti sembrava strano anche a me…
- Ma allora, signor Bellamy… - azzardò un giornalista, pronto a scrivere qualora ce ne fosse stato bisogno, - lei è omosessuale?
E lì sarebbe successo il disastro.
Perché Matt avrebbe senza dubbio alcuno risposto “sì”. Se Dominic non avesse creduto opportuno darsi una manata sulla faccia, riscuotersi dallo sconvolgimento in cui quella situazione l’aveva gettato, afferrare due gorilla e correre in soccorso del proprio frontman, prelevandolo da dove si trovava prima che potesse dire qualcosa in grado di far esplodere una bomba dalla potenza tale che avrebbe distrutto tutta la loro vita per sempre.
- Lo spettacolo è finito. – annunciò teatralmente Tom, afferrando anche Chris per la collottola e fuggendo al piano di sopra, - Arrivederci e grazie.
Ben presto, fra lo sghignazzare convulso dei giornalisti che prendevano a chiamare in direzione per dire di avere “il silenzio-assenso del secolo”, la sala rimase praticamente vuota, e davanti alla porta restarono solo un’Alex con le braccia incrociate sul petto, perfettamente sorridente e soddisfatta, uno Stefan e uno Steve palesemente sconvolti che cercavano ancora di capire cosa diavolo stesse succedendo, ed un Brian che non sapeva più dove posare i fogli di carta e continuava a borbottare frasi senza senso mugugnando come un pazzo.
- Bri… - lo chiamò Stef, picchiettandogli con un dito sulla spalla, - che cosa sta combinando il tuo uomo…?
Brian non gli diede retta, scrollando le spalle e continuando a segnare appunti su appunti, cerchiando in rosso alcune parole sul testo che aveva davanti.
Il bassista lanciò uno sguardo a Steve, il quale si limitò a scuotere il capo e allargare le braccia in segno di resa.
- Stef! – chiamò all’improvviso il cantante, alzandosi in piedi e sventolandogli un foglio sotto al naso, - Secondo te l’espressione “spiral static” è equivocabile?
Stefan guardò Alex e vide che ridacchiava gioiosa.
Guardò Steve e capì che non poteva pretendere che riflettesse su una cosa simile.
Guardò Brian e lo vide in fiduciosa attesa di una risposta.
Perciò sospirò. E rispose.
- Brian, non ho idea di cosa tu stia dicendo.
Il cantante, per tutta risposta, arruffò le penne e strillò che nessuno di loro aveva capito niente, che alla fine toccava sempre a lui perdere vite per cercare di risolvere i problemi, e, minacciando di ucciderli tutti se si azzardavano a disturbarlo prima che avesse trovato una soluzione, fuggì di corsa dalla sala riunioni, raccogliendo fogli a destra e a manca se nella fretta ne faceva scivolare qualcuno per terra.
- Frequentare Bellamy gli sta facendo prendere cattive abitudini. – commentò semplicemente Steve, battendo un paio di volte con la mano sulla spalla del bassista e invitandolo ad andare fuori a prendere una boccata d’aria, mentre lui annuiva sconsolato.
*
Brian era un uomo molto innamorato. E perciò poteva percepire esattamente quanto frustrato e deluso e confuso fosse il suo uomo quella sera, quando se lo ritrovò nel letto, braccina incrociate sul petto e adorabile broncio a increspare le labbra sottili.
Ma dal momento che Matt non aveva fatto altro che sbuffare e contorcersi nell’angoscia da quando era tornato a casa, probabilmente il fatto che Brian avesse compreso il suo stato d’animo non dipendeva esattamente dall’enorme amore che provava per lui.
Matthew si rigirò fra le lenzuola per l’ennesima volta, agitandosi al punto da far dondolare il letto, e Brian capì che quello era il momento di rendere pubblici – almeno con lui – i risultati delle ricerche estenuanti che l’avevano tenuto impegnato per tutte le ventiquattro ore di quella giornata.
- Matt. – disse seriamente, aspettando che l’uomo si voltasse e lo fissasse negli occhi, prima di continuare, - Sei gay.
Si sarebbe aspettato molte cose.
Che le sue labbra si aprissero in un sorriso sereno e soddisfatto, che lui gli saltasse addosso ringraziandolo, o che dicesse malizioso “mettiamo in pratica le tue teorie” – anche se Matt non aveva mai fatto una cosa simile, purtroppo.
Ciò che vide non assomigliava a niente di quanto aveva immaginato.
Matthew… rimase lì.
Immobile come un rospo congelato.
Gli occhioni fissi e vuoti su di lui e le labbra strette in una smorfia di puro stupore.
Brian immaginò che volesse una qualche… prova… e quindi si affrettò a fornirgliele.
- Io… - cominciò, prendendo fiato, - non sono come quegli idioti dei giornalisti! Non starò a farti l’elenco dei vestiti che hai indossato o delle volte in cui sei saltato addosso a Dominic o a Christopher mentre eravate sul palco. No! Io ho portato avanti uno studio scientifico! Mi segui, Matty?
“Matty” annuì, incapace di fare altro.
- Ho stampato tutti i vostri testi! – spiegò Brian, riempiendosi d’entusiasmo di parola in parola, - E… sai, Matty, si dice che quando si scrive si è molto più sinceri rispetto a quando si parla…
- …io non scrivo i testi delle mie canzoni…
- Che c’entra? Componi! Crei! Butti giù!
- …no. Più che altro ricordo.
Brian si prese un attimo di pausa.
La nuova consapevolezza che il proprio uomo non mettesse su carta le robe che creava nella testa, cambiava qualcosa nelle sue convinzioni?
…no.
Annuì serenamente e ricominciò a spiegare.
- Vedi, Matt, in effetti tutto è cominciato molto tempo fa. In realtà tu già hai detto al mondo di essere gay nel vostro primo album!
- …nel… nel primo…?
- Sì! – annuì Brian, convinto, tirando fuori un foglio ricoperto di segnetti rossi da sotto il cuscino, - Vedi, in Sober…
- Sober era una canzone sull’alcool!
Brian gli scoccò un’occhiata severa, fissandolo di sbieco.
- L’alcool, Matt? Solido?
…in effetti…
- Insomma, per tutto il ritornello tu non fai che parlare di questa cosa dura che brucia dentro di te… a me sembra ovvio che o parlavi di una supposta o parlavi di un-
- Non dirlo!!!
Il cantante dei Placebo si interruppe di colpo, sgranando gli occhioni. Cosa stava succedendo a Matthew? Durante la conferenza stampa sembrava così impaziente di scoprire la verità sulla propria sessualità! E adesso stava lì a fare i capricci?
- Ma quello non è l’unico indizio, Matty… - continuò Brian, picchiettando con due dita su un altro foglio tirato fuori da chissà dove, - Pensa al testo di Fillip… qualcosa di nuovo, qualcosa di strano…
- Ma-ma-!!!
- Poi è ovvio che in Citizen Erased tu fai un passo indietro e cerchi di negare tutto. – proseguì Brian, sempre più deciso, annuendo, - Quando dici che devi mentire e coprire ciò che non va condiviso con gli altri. È ovvio!
- Ma questa ovvietà…
- Ah, be’, - lo interruppe Brian, continuando a fornire prove su prove, - poi in Time Is Running Out c’è quella famosa cosa del succhiare la vita… - un’occhiata languida, un sorriso appena malizioso, - …succhiare la vita fuori da te, ma non ricordo in questo momento se l’avevo presa come una prova di omosessualità o come un riferimento sessuale e basta…
- E io che pensavo che non fosse nessuna delle due cose… - sospirò Matt, esausto, abbandonandosi contro lo schienale del letto e fissando sconvolto i decori delle lenzuola.
- Ma la prova più schiacciante, Matt, - concluse Brian, tirando fuori un ultimo foglio da… da sotto la maglia del pigiama che indossava, - è il vostro ultimo album.
- Black Holes…?
- Esatto Matt.
- And…
- Sì, Matt.
- …And Revelations…
- Proprio così, Matt. Buchi neri e rivelazioni. E Supermassive Black Hole, Matt… Matt, è una canzone palesemente gay.
- …palesemente gay…
- Be’, sì, prova a pensarci… il falsetto… e… voglio dire, le superstar che finiscono risucchiate nel…
- …
- …ecco…
- …nell’enorme buco nero. Sì, Brian.
Brian guardò il proprio uomo.
Sembrava… disorientato forse non rendeva appieno, ma era di sicuro un modo per descriverlo.
Fissava angosciato un punto vuoto nell’aria davanti a sé, e non trovava neanche la forza per sospirare un assenso o un dissenso.
- Oh, be’. – disse a mezza voce Brian, sporgendosi verso di lui per baciarlo teneramente su una guancia, - Devi metabolizzare. È normale. Buonanotte! – e così dicendo si affrettò a spegnere il lume sul comodino, arrotolarsi fra le lenzuola e addormentarsi di botto.
Matthew rimase lì, seduto a fissare il niente.
- Brian… - mormorò appena, ancora incapace di muoversi, - Brian, tesoro.
L’altro mugugnò un “ti ascolto” trasognato, e Matthew sospirò.
- La prossima volta… - sbuffò, abbandonando il capo indietro, contro il legno, - quando ti faccio una domanda, ignorami.
Genere: Comico.
Personaggi: Matthew Bellamy, Brian Molko, Tom Kirk.
Pairing: MattxBrian
Rating: R, più o meno XD
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Sembra una mattina tranquilla, come mille altre. Matthew Bellamy si alza dal letto. Si guarda allo specchio. E per poco non sviene per la sorpresa: è diventato un omino lego!
Commento dell'autrice: Ok, idiozia portami via X’D Non ho limiti.
Dunque, questa storia – venuta fuori indicibilmente lunga, soprattutto rispetto alla stupidità folle del soggetto che la regge – è nata in seguito ad alcune considerazioni fatte a proposito di Matt (principalmente, ma anche del suo degno compare XD) assieme alla Nai e all’Happyna. Qui ci sono molte delle assurdità con le quali occupiamo intere mattinate di chat <3
E se non avete ancora visto il video di “Invincible”, be’, fatelo, perché è UN AMORE *w*
A parte questo, i più attenti fra voi si saranno accorti del fatto che questa fic si ispira allo stesso temino di “Dettagli!” X3 Questo perché ho deciso che le “strange diseases” di Bri e Matt saranno tre ù_ù (nyah, una trilogia *-*). Quindi aspettatevene presto un’altra! XD (E, a proposito, grazie a tutti coloro che hanno recensito quella cretineria ç_ç Mi avete commossa ç_____ç Spero di non deludervi mai ç_ç!)
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LA METAMORFOSI
Song #86 – Strange disease Pt.2


Sarebbe stata una mattina normalissima, come tante altre, se nel tentativo di far scivolare una mano fra le lenzuola alla ricerca di un po’ di refrigerio dalla calura estiva non avesse sentito il tocco gelido e fastidioso della plastica, sotto ai polpastrelli.
Spalancò gli occhi all’improvviso e cercò di tirarsi su, ma nel momento esatto in cui lo fece si rese conto che il suo bacino sembrava… come immobilizzato. Si sentiva una vecchia porta in ferro arrugginito. Si sentiva come se non lo oliassero da tanto tempo.
Complessivamente, si sentiva parecchio strano.
Con una fatica sovrumana, strizzando gli occhi per lo sforzo, riuscì a sedersi sul bordo del letto.
Quando poi li riaprì e incontrò il suo riflesso nello specchio sulla parete di fronte, quasi scivolò sul pavimento per la sorpresa.
Era appena diventato un omino lego.
*

Immaginava che essere un omino lego potesse avere i suoi bravi pro.
Mentre cercava di infilarsi una camicia – che strappò – e un paio di jeans – che non riuscì ad abbottonare – pensò che dovevano esserci, altrimenti nessun giocattolo avrebbe scelto di diventare un omino lego. Si sarebbero tutti trasformati in Barbie ed Action Man, e per gli omini lego non ci sarebbe stato più modo di riprodursi.
Quindi, dei pro dovevano esserci.
Dovevano.
Era colpa sua, se non riusciva a vederli!
Evidentemente era troppo ottuso, la sua mente non era abbastanza aperta, c’era qualcosa in lui che non andava…
…Dovevano!!!
Squillò il telefono.
Muovendosi così lentamente che gli sembrava di essersi reincarnato in una tartaruga – caduta sulla schiena, peraltro – raggiunse l’apparecchio e lo sollevò.
Primo dilemma.
Non aveva orecchie.
- Pronto? – disse la voce di Tom dall’altro lato della cornetta, e lui subito si tranquillizzò: magari non aveva orecchie, ma poteva ancora sentire.
In qualche modo.
E non gli andava di approfondire.
- Tom? – chiese, con una vocetta stridula tirata fuori da chissà dove, - Stai bene?
Tom grugnì.
- Tu stai bene, Matthew? – gli chiese, invece di rispondere, con voce melliflua che terrorizzò il frontman.
- Io… uhm… sono stato meglio, in effetti. – confessò, incerto.
- Be’, questo non ti impedirà di venire in ufficio da me, spero.
- Ecco… in realtà…
- No, perché ho cose importanti di cui parlarti.
- Io veramente-
- Avanti, Matt! – insistette Tom, ormai sul piede di guerra, - A meno che tu non sia orribilmente deformato, non ti lascerò restare tappato in casa tutto il giorno.
Stava per rispondere che in effetti “orribilmente deformato” non rendeva ancora bene la sua condizione, ma Tom si affrettò ad aggiungere che anche in quel caso probabilmente l’avrebbe obbligato ad uscire comunque, quindi prese un gran sospiro e disse che sarebbe stato da lui in un quarto d’ora.
Dopodiché guardò indietro, al grande armadio di fronte al letto, e decise di trovare qualcosa che lo proteggesse nel breve tragitto che lo separava dal suo appartamento all’ufficio del manager.
Veloci, gli occhi corsero all’enorme arsenale di cappottini colorati, appesi tranquillamente alle loro grucce, come se il mondo fosse al loro servizio.
Allungò tremando una mano giallina dall’impossibile forma… tenagliosa – perché mai avrebbe dovuto utilizzare delle parole esistenti, se poteva creare? – ma la ritrasse quasi subito, spaventato dall’eventualità di distruggere uno di quegli adorabili e costosissimi capi solo provando a indossarlo – come già era successo alla sua povera camicia a righine rosse e bianche.
Meditò per qualche secondo se non fosse il caso di dipingersi i vestiti addosso, da bravo omino lego qual era.
E poi, scuotendo il capo con un gesto che avrebbe voluto essere fluido e naturale ma risultò più che altro un’impresa titanica durante la quale la tua testa finì rigirata sul suo collo di trecentosessanta gradi, optò per uno sciallino dal disegno scozzese che lo coprisse interamente come i mantelli degli hobbit.
Dopo neanche tre secondi, era già per strada. E lì, mentre camminava spedito – per quanto le ridicole gambette che la Lego gli aveva dato in dotazione gli permettessero – si accorse che lui sembrava l’unico al mondo ad essere affetto da quella strana malattia. Tutte le altre persone continuavano a portare avanti la loro tranquilla vita di carne e ossa, e si voltavano a guardare lui, questa specie di nano mummificato in un kilt, come fosse un extraterrestre.
Arrivò in ufficio di Tom pensando che gli sarebbe scoppiato il cuore per l’ansia, ma si accorse che in effetti non aveva un cuore, anche se la cosa stranamente non lo tranquillizzò.
- Matt! Sei qui!
Secondo dilemma.
Perché la voce di Tom sembrava tanto simile alla sua?
Si voltò a guardarlo – faticando immensamente per trattenere la testa dal roteare ancora come una girandola – e sarebbe svenuto, se avesse avuto un cervello e delle palpebre da chiudere.
Tom era un omino lego esattamente come lui.
Stava lì, tutto impettito, sollevando le braccina e facendole ruotare sui loro cardini fino a far compiere loro un’intera circonferenza.
- Tom! – strillò, inorridito, - Che è successo?!
Una manina tenagliosa gli si abbatté sulla testa.
- È sicuramente colpa tua!
- Eh?!
- Sei stato tu ad avere quest’idea cretina degli omini lego per il video di “Invincible”! Io te l’avevo detto! Lascia perdere, che la riproduzione in digitale è costosa e poi è un’idea stupida! Lascia stare, che è molto meglio se vi mettete un paio di abitini carini e fate finta di cantare! Ma tu no, non hai voluto ascoltarmi! E ora guarda!!!
Frastornato, Matt guardò.
Intorno a lui, ogni cosa sembrava essere uscita da un kit di costruzioni.
- Vuoi vedere la mia sedia, Matt? La vuoi vedere?
Il tono del manager non sembrava esattamente quello di un uomo gentile che gentilmente chiede qualcosa, perciò Matthew chinò il capo e lo seguì mentre lui lo afferrava per un sottilissimo polso e lo strattonava dietro la scrivania.
Un bozzo di forma cilindrica largo almeno trenta centimetri fuoriusciva dalla superficie legnosa della poltroncina girevole che faceva da trono a Tom.
- Lo vuoi sapere in che buco si infila questo dannato coso, ogni volta che mi siedo?
Se avesse avuto della saliva, avrebbe deglutito.
- N-No, Tom, credo di non volerlo sapere.
- Ecco, bravo. – sbottò l’uomo, inviperito, reso ancora più impressionante dal fatto che, essendo un omino lego, la sua faccia avesse una sola espressione, quella del sorriso, - Quindi adesso cerca un modo per sistemare le cose, prima che accada qualche altro cataclisma!
In quell’esatto momento, si sentì un enorme rombo provenire dal piano di sotto. Matthew non ebbe neanche il tempo di pensare “L’uragano?”, che la porta dell’ufficio si aprì e sulla soglia apparve Brian.
…e anche lui era un omino lego.
- Per carità di Dio! – strillò Tom, sollevando le braccia come volesse portare le mani ai capelli, senza riuscirci perché incapace di piegarle, - A proposito di cataclismi!
- MATTHEW BELLAMY! – strillò Brian, avanzando minaccioso, con una tenaglietta bellicosamente puntata verso il suo viso liscio e giallo, - Da quanti mesi stiamo insieme? Dieci? Undici? Non ti ho mai lasciato, anche se spesso ne avrei avuto motivo, ma questa volta non lascerò correre!
- Brian! – lo chiamò lui, altrettanto preoccupato di vederlo in quelle condizioni, - Anche tu sei un omino lego?!
Una seconda mano si abbatté sulla sua testa, e se non cadde a terra fu solo perché le gambe erano ancora troppo rigide per piegarsi.
- NO, sono uno dei mini pony, quello rosa e viola!!! Cosa ti sembra che sia, eh, Bellamy? Non ti sembro il mini pony rosa e viola?!
- …veramente mi sembri un omino lego…
Un’altra manata lo mandò definitivamente K.O., mentre Brian si allontanava da lui e, con immensa goffaggine, si arrampicava sulla scrivania di Tom per sedercisi… finendo per scivolare a sua volta a terra come fosse stato sull’olio.
- Cosa diamine…?! – sbraitò, irritato, mentre si tirava in piedi e passava una mano sulla superficie liscissima della sua testa.
Tom sospirò.
- Non puoi sederti senza usare uno di quei pirulli. – confessò con dolore, indicando il bozzo sulla sedia.
Brian rabbrividì.
- Giammai! Niente entrerà dentro di me, a meno che io non lo voglia, e sicuramente non mentre ho ancora i pantaloni addosso!
Matthew, appena ripresosi dallo svenimento, annuì decisamente, avvicinandosi al suo uomo e fissando la sedia bozzuta con aria truce. Brian, per tutta risposta, gli diede un pugno sul naso, ricordandogli che non bastava cercare di difendere la sua virtù dalle avances di una sedia vogliosa per tornare a farsi amare.
Cadendo a terra, Matthew batté forte la testa contro il pavimento, col risultato che quello che avrebbe dovuto essere “i suoi capelli”, e che era in realtà una parrucca di plastica collegata alla testa tramite un bozzo in tutto e per tutto uguale a quello della sedia, che andava a inserirsi in un buco delle stesse dimensioni proprio al centro della sfera, rotolò sulla moquette fin quasi alla porta dell’ufficio.
- Ew! – inorridì Brian, tirandosi indietro, - Matt! Ricomponiti!
Imbarazzato – ma sempre sorridente – Matthew si mise in ginocchio e si allungò per recuperare la sua zazzera.
E questo diede modo a Tom di sbirciare all’interno del suo cranio.
- ODDIOMIO! – strillò, sollevando le braccina e perdendone il controllo, tanto che quelle cominciarono a roteare vorticosamente creando dei piccoli tornadi colorati – Matthew, sei vuoto!!!
- Eh? – chiese Matt, cadendo dalle nuvole, sollevando lo sguardo in direzione del manager, - Che intendi, Tom?
- Che all’interno della tua testa non c’è un cervello. – spiegò freddamente Brian guardando altrove e provando ad incrociare le braccia sul petto con scarsi risultati, - Ma questo non stupisce nessuno.
- Brian! – si lamentò Matt, scattando in piedi, ormai dimentico dei suoi capelli perduti, - Come puoi dirmi una cosa simile? Quando ci siamo conosciuti hai detto che pensavi fossi molto intelligente!
- Stavo cercando di portarti a letto!
- Briiiii! – continuò a piagnucolare Matthew, cercando di avvicinarglisi.
- Sta’ lontano da me! – intimò Brian, indietreggiando fino a schiacciarsi contro la scrivania, - Così pelato mi fai impressione!
Matt si congelò sul posto, abbassando lo sguardo e prendendo a bisbigliare “moan moan” mentre faceva ideali cerchietti nell’aria con un indice che non possedeva.
Esasperato, Brian gli si avvicinò, poggiandogli una tenaglietta sulla spalla.
- Avanti, adesso. – disse, cercando di sembrare paziente, - Non fare così. Si sistemerà tutto.
- Davvero? – chiese Matt, speranzoso, facendo ruotare la testa dopo averne perso il controllo mentre cercava di sollevarla.
Impressionato da tutto quel movimento, Brian indietreggiò ancora, e poi, stufo dell’idiozia di tutta la situazione, sbuffò.
O almeno ci provò.
Perché dal momento che la sua testa non era che una sfera di plastica del diametro di una ventina di centimetri, e dal momento che non possedeva fori sulla superficie, l’aria non aveva da dove uscire.
E dal momento che non aveva da dove uscire…
…pensò bene di spingere contro ogni parete esistente e farla staccare dal collo con un piccolo pop di giubilo.
Matthew tremò.
Tom smise di far girare le braccia.
La testa di Brian rotolò ai suoi piedi e poi prese ad allontanarsi verso un angolo come fosse animata di vita propria.
- Bri… - mormorò Matt, allibito, - Brian, cosa…?
Un urlo si sollevò dall’angolino in cui la testa aveva terminato la sua corsa, facendo tremare le pareti.
- BEEEEELLAMY!!! Prendi subito la mia testa e rimettile al suo posto!!! ORA!!!
- S-Subito! – scattò l’uomo, azzardando un passo verso la sfera ormai non più rotolante.
Ma quando arrivò nei pressi del corpo decapitato, il quale ancora si muoveva istericamente come se fosse integro, non riuscì a frenare la curiosità.
E sbirciò all’interno.
- Briaaaaaan!!!
- Cosa?!
- Sei vuoto anche tuuuuu!
- …piantala di perdere tempo in cazzate e AGGIUSTAMI!!!
Quando la testa fu nuovamente al suo posto, Brian cercò di riprendere le redini della situazione.
- Dunque, immagino che essere vuoti sia naturale. In fondo, siamo omini lego.
- Quello che non capisco… - inquisì Tom, sperando di riuscire a grattarsi il mento con fare pensoso e abbandonando l’idea quando si accorse dell’impossibilità di compiere il movimento, - è: perché proprio omini lego? Perché non esseri deformi come nel video di “Supermassive”? Erano ugualmente di cattivo gusto!
- Esatto. – asserì Brian, reggendosi la testa mentre cercava di annuire, - Perché proprio i lego?
- È elementare, Brian Molko! – tuonò una voce, apparendo dal nulla.
I tre omini lego alzarono gli occhi al cielo, e videro che una grossa nuvola di fumo bianco stava velocemente prendendo forme vagamente umane, appena sotto il soffitto.
- Oddio, cosa sta succedendo?! – strillò Tom, cercando di nascondersi sotto la scrivania ma ritrovandosi impossibilitato a piegarsi senza spaccarsi la testa.
Brian si preparò ad affrontare qualunque nemico fosse in via di avvicinamento, e Matthew si posizionò coraggiosamente al suo fianco, per essergli il più possibile di supporto.
Poi, l’Essere apparve.
E ci fu un momento di silenzio attonito.
In seguito al quale Brian dischiuse le labbra. Spalancò gli occhi. E lo indicò.
- …Steve. – esalò sconvolto.
- Non sono Steve! – tuonò l’Essere, infuriato.
Ma non c’era alcun dubbio che lo fosse.
Era in tutto e per tutto uguale al batterista dei Placebo! Stessi capelli, stessa ciccia cicciosa fuoriuscente dai jeans, stessi occhi piccoli e scuri!
L’unica cosa che lo differenziava dallo Steve reale e in carne ed ossa era probabilmente il fatto che fosse un omino lego anche lui.
Brian si grattò la testa e trattenne un sospiro che l’avrebbe fatta nuovamente voltare via.
- Stevey. Tesoro. – disse, condiscendente, - È vero, ultimamente io e Stef siamo stati un po’ duri, con te. Con tutto il fatto della dieta e la palestra e il resto. Ma non devi pensare che-
- Brian Molko, piantala di parlarmi come se fossi il tuo dannato batterista! – strepitò l’Essere imbufalito, e, per dare maggior prova della sua rabbia, materializzò un enorme masso di granito sopra la testa del frontman dei Placebo, che ovviamente non trovò di meglio da fare che strillare e correre a nascondersi dietro le spalle di Matthew, col risultato che la pietra lo seguì nel movimento e si ritrovò a pendere sulle teste di entrambi.
- Cosa vuoi?! – chiese Matthew coraggiosamente, proteggendo il suo uomo con tutta la rettangolare ampiezza del suo corpo di plastica.
L’Essere lo guardò dall’alto in basso, il sorriso disegnato sul volto che nascondeva in realtà grande disgusto e disapprovazione.
- Parlare con te, Matthew Bellamy. – disse in tono grave.
- Parlare con me…? Ma tu chi sei…?
L’Essere si gonfiò come un palloncino, e il fumo bianco che ancora lo circondava prese a vorticare attorno a lui.
- Certuni mi chiamano Colui Che È, certi altri Colui Che Tutto Può, altri ancora Grande Padre o Pinco Pallo. Voi mi conoscerete sicuramente come Buon Gusto, ma io preferisco essere chiamato Tanya.
- Tanya?! – strillò istericamente Brian, rispuntando da dietro le spalle di Matt, - Che razza di nome è Tanya?!
L’Essere – cioè, Tanya – rispose facendo avvicinare il macigno di qualche centimetro alle teste dei due, e Brian si tappò la bocca, ma non senza prima aver mormorato qualcosa del tipo “E comunque io preferivo i Bratz Boyz”.
- Cosa vuoi dirmi? – chiese Matthew, cercando di riportare la conversazione su un argomento utile.
Tanya scese di qualche metro, piazzandosi esattamente di fronte a lui.
- Matthew Bellamy! Durante la tua carriera hai infranto non solo qualsiasi regola dettata dal sottoscritto, ma anche tutte le regole dettate dalla decenza e dalla dignità personale, nonché dal raziocinio e dall’educazione!
- …ma cosa ho fatto?! – si lamentò Matt, evidentemente ignaro delle sue colpe.
- Devo farti un elenco? Devo davvero elencare tutte le mise disgustose con le quali ti sei presentato ai concerti, alle esibizioni live in televisione, alle interviste, ai servizi fotografici, alle occasioni pubbliche, a-
- Ok, ok, ho capito! – lo fermò, mentre nella sua memoria cominciavano ad affollarsi immagini di cappellini brillantati e mogliettine sdrucite che sembravano essere uscite direttamente dai sacchetti della spazzatura sotto casa sua e – ehm – lo erano, - Prometto che non farò mai più sciocchezze del genere! Adesso puoi, per favore, trasformarci di nuovo com’eravamo prima e andartene?
Il masso si fece ancora più minaccioso sopra le loro teste.
- Credi che a me non piacerebbe, Matthew Bellamy?! Credi che io sia felice di vivere imprigionato in questo corpo? Di apparire così?
Brian e Matt guardarono Tanya con immenso stupore.
- Generalmente non sei così? – chiese il primo, sottovoce, sperando di non farlo adirare.
- Certo che no, Brian Molko! – strepitò Tanya, disgustato, - Generalmente sono una bellissima bambola in plastica e silicone, ho i capelli lunghi, lisci e biondi, gli occhi azzurri, il sederino più sodo del mondo e gli abitini più fashion che esistano!
- E allora perché non torni quello che eri e basta?!
Il volto Steve-forme di Tanya si imporporò di imbarazzo.
- Ho… ho sbagliato qualche calcolo, mentre procedevo alla vostra trasformazione.
- …?
- …e ho trasformato anche me.
Seguì un silenzio attonito.
Sì, un altro.
- …stai forse cercando di dirci… - azzardò Brian, tremando, - che non hai le facoltà per riportare tutto com’era…?
- Certo che no! – sbottò Tanya, irritato da tale mancanza di rispetto, - Io posso tutto! Ma prima di sistemare la situazione ho bisogno di sapere che tu, Matthew Bellamy, non combinerai più schifezze quali quelle che ho elencato prima!
- Va bene! Promesso! – disse Matt, tutto d’un fiato, sollevando un braccio e bloccandolo proprio un momento prima che cominciasse a girare.
- Oh, no. - disse Tanya, e avrebbe sogghignato se la sua espressione non fosse stata bloccata in un sorriso, - Questo non può bastarmi. Devo sottoporti a un test.
Brian deglutì terrorizzato, seguito a ruota da Tom, che ancora stava nascosto sotto la scrivania.
- D’accordo! – disse invece Matt, sicuro di sé.
Tanya volteggiò un paio di volte davanti a lui, pensando a cosa chiedergli. Poi, il suo volto giallino sembrò illuminarsi come il sole.
- Ci sono! Allora, Matthew Bellamy, ascoltami attentamente: hai un servizio fotografico in agenda. Devi scegliere come vestirti. Apri l’armadio e vedi un elegantissimo completo gessato nero. Il problema è: cosa metti sotto la giacca?
- Ma è ovvio! – esplose Matt, sentendosi già vincitore, - Una canott-
Brian e Tom gli saltarono addosso, staccandogli la testa dal collo e mandandola a raggiungere la parrucca vicino alla porta.
- Indosserà una camicia bianca! – disse Tom, - Lo prometto! Lo giuro! Lo obbligherò!
Tanya fece il gesto di incrociare le braccia, ma non ci riuscì, cosa che lo riempì di disappunto.
- Stai cercando di dirmi che non posso fidarmi di lui ma posso fidarmi di te, Tom Kirk?
- Assolutamente sì!
- E non gli permetterai più di tingersi i capelli di blu?
- Assolutamente no!
- E di biondo platino?
- Neanche se ne andasse della mia vita!
- E i cappellini brillantati?
- Li brucio!
Tanya si prese un secondo per riflettere e infine, reggendosi la testa, sbuffò.
Non sembrava molto convinto.
- Se può servire a qualcosa – disse Brian, fingendo di stringersi nelle spalle e provando a incrociare le braccia dietro la schiena, col risultato che un arto quasi gli volò via, - garantisco io per lui.
Tanya lo guardò con disapprovazione.
- Non credere che la tua parola rappresenti per me una qualche assicurazione, Brian Molko! In effetti, verrà il giorno in cui anche tu dovrai pagare per le tue malefatte!
L’omino lego tremò di terrore e tornò a rintanarsi dietro le spalle di Matthew.
- Ma fino ad allora – continuò Tanya, - posso ritenermi soddisfatto. Che tutto torni com’era!
D’improvviso la stanza fu invasa dallo stesso fumo bianco che aveva accompagnato l’apparizione di Tanya, e quando il fumo svanì dell’Essere non c’era più traccia.
Matthew aprì faticosamente gli occhi e si guardò intorno.
Notò con piacere che sia la sua testa che i suoi capelli sembravano essersi riuniti ed aver ritrovato il suo corpo, e che tutto intorno a lui sembrava essere tornato assolutamente regolare.
Qualche metro accanto a lui, Brian si guardava intorno spaesato, e anche lui pareva aver recuperato tutta la sua morbida e rosata consistenza umana.
Tom era in piedi e cercava di guardarsi alle spalle per vedere se l’insano rapporto che aveva avuto con la poltroncina l’avesse rovinato per sempre o per lui ci fosse ancora speranza.
- Sembra essere tutto a posto. – concluse infine il manager, osservando il suo protetto con lo sguardo di chi teme di aver perso la sua unica fonte di guadagno, - Tu stai bene, vero Matt?
Matthew annuì.
Brian sospirò, e fu felice di poterlo fare senza per questo decapitarsi.
- Tutto è bene quel che finisce bene. – disse gioioso, avvicinandoglisi e circondandogli le spalle con un braccio, - Adesso, per festeggiare, che ne dici di andare a casa tua?
Matthew lo guardò stupito.
- Per fare che? – chiese con innocenza, gli occhioni spalancati e i capelli arruffati.
- Sei un ragazzo intelligente, Matt. – disse Brian, sorridendo sensualmente, - Non farti spiegare tutto…
- Oh, Bri! – gioì Matthew, gettandogli le braccia al collo, - Sapevo che pensavi davvero che sono intelligente e che non era solo una scusa portarmi a letto!
- Ehm. Sì, certo. – confermò lui, dopo un attimo di indecisione.
*

Una mattinata normale, come tutte le altre.
Il tepore delle coperte, il profumo del cotone pulito, la luce discreta dei primi raggi di sole che filtrano dalle persiane.
Fece scivolare una mano fra le lenzuola e incontrò il corpo di Brian ancora disteso accanto a lui.
…era freddo.
E…
…molliccio.
Spalancò gli occhi e scattò a sedere.
- Bri! – strillò.
L’uomo mugugnò infastidito e si sedette a sua volta, massaggiandosi la fronte.
- Che diavolo hai da urlare così di prima mattina…?
Matthew si lasciò sfuggire un gemito di puro disgusto mentre osservava come, al passaggio della sua mano, la pelle di Brian sembrasse… mescolarsi.
- Brian, sei marrone! – disse infine, - E ti stai deformando!
Brian lo guardò, senza capire.
Poi sollevò lo sguardo sullo specchio accanto al letto, e realizzò.
- Oddio…
Come nel video di “English Summer Rain”!
- …siamo diventati di pongo!!!
Da un angolo della stanza, cominciava già a rombare la voce minacciosa di Tanya.
- Brian Molko, la tua ora è giunta!
Pairing: BrianxMatt.
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, OC, Incompleta.
- Quando, nella folla scalpitante che è il pubblico del concerto, Brian Molko intravede Matthew Bellamy, ha una "brillante" idea, le cui conseguenze saranno a dir poco devastanti per la sua vita, per quella di Matthew e per il gruppetto di fangirl slasher che assiste allo show e per le quali l'unico obiettivo degno di essere perseguito è quello di cercare di tramutare in realtà ciò che scrivono nelle loro fic...
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
A LITTLE RESPECT
CAPITOLO 1
HAVE FAITH AND PREY


- COSA STAI ANDANDO A VEDERE?!
Incredulo, Matt fissò la ragazza di fronte a lui – quella che, è bene precisarlo, avrebbe, AVREBBE dovuto essere la sua ragazza – e si abbandonò sulla sedia, appoggiandosi allo schienale, sconsolato.
- Non posso crederci… - farfugliò, ancora sconvolto, portando una mano fra i capelli, - Non posso credere che lo farai davvero…
- Avanti, Matt… - disse lei, stringendosi nelle spalle, i corti capelli a caschetto a ondeggiare sul collo, - E’… è solo un concerto…
- Sì, ma… oddio, non riesco neanche a dirlo… un concerto dei PLACEBO!!!
La ragazza sbuffò, contrariata.
- Oh, insomma. Ho ascoltato abbastanza lamentele. Non avresti fatto così se ti avessi detto che stavo andando a guardare, che so, il concerto dei Dream Theater!
- Se mi avessi detto che stavi andando a vedere un concerto dei Dream Theater ti avrei implorato di portarmi con te!
- Matt, santo cielo, ho comprato i biglietti e non intendo…
- Gaia, quella sottospecie di essere umano è convinto che io lo invidi! E, cosa ancora peggiore, è convinto di essere più bravo di me! Non so se comprendi!
Gaia sbuffò, esasperata.
- Comprendo solo che secondo te Brian Molko è un pallone gonfiato. E dunque?
- Come “e dunque”?! Che poi, sinceramente, non capisco come uno possa arrivare a spendere soldi per guardarli dal vivo, neanche fossero miracolosi…
La ragazza scrollò le spalle, guardando un punto imprecisato nel vuoto.
- Be’, in realtà sono bravi. – disse, aspettando la detonazione.
- BRAVI?! Sono degli emokid troppo cresciuti, il cui unico punto di forza è saper giocare bene sull’ambiguità sessuale e avere un frontman che, pur essendo una testa di cazzo, qualche anno fa, prima delle rughe, era carino e sembrava femmina!
Gaia sospirò. Sapeva che Matt non si sarebbe spostato di un millimetro dalle sue convinzioni, e che avrebbe fatto di tutto per cercare di convincerla a non andare a quel concerto.
Così come sapeva che non c’era niente che lui potesse fare per riuscirci.
Si alzò in piedi, scrollando le spalle e gettando uno sguardo veloce all’orologio a muro.
- E’ già tardi. – disse, - Devo andare. Cos’hai deciso?
- Ah, no, se anche potessi consentire a te di andare a vedere questo… questo scempio, di sicuro io non andrò mai a vedere i Placebo dal vivo.
- Ma non ci sei mai stato, dai, potrebbe rivelarsi una sorpresa…
- Potrebbe sorprendermi solo ancor più negativamente!
- Matt, non vorrai costringermi a stare in fila da sola per cinque ore mentre aspetto che inizi il concerto e cerco di guadagnarmi un buon posto?!
- Sono problemi tuoi! Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
- Matt!
- Ho detto mai, Gaia!
- Così sprecheremo i soldi del tuo biglietto!
- Sono sicuro che troverai qualche morto di fame a implorare carità davanti alle porte del forum.
- Matt, smettila di fare il bambino e infilati quella giacca, andiamo!
- Non ho nient’altro da dire.
Si fronteggiarono, fissandosi negli occhi con rabbia omicida, i pugni stretti e i lineamenti tesi.
- E’ la tua risposta definitiva? – ringhiò Gaia, gli occhi ridotti a due fessure.
Matt fece un passo indietro, spaventato.
Aveva imparato ad avere paura della sua ragazza, quando lo guardava in quel modo.
*

L’aria.
È così naturale averla a portata di naso che non ne capisci mai l’importanza.
Almeno fino a quando non ti trovi schiacciato tra centinaia di persone che pressano spingono tirano si buttano avanzano e indietreggiano seguendo percorsi e strategie complicatissime solo per raggiungere l’agognato obiettivo della prima fila, e, una volta giunte lì, morire schiacciate dalla massa che pressa alle spalle.
Teresa detta Terry, Julianne detta Julie e Amanda detta Amanda – perché qualsiasi vezzeggiativo sembrava troppo idiota per potere essere usato seriamente – erano a buon punto. Perdute da qualche parte nel centro esatto del forum, riuscivano a intravedere in lontananza il palcoscenico.
Avevano fatto del suo raggiungimento lo scopo della loro vita – almeno per le prossime cinque o sei ore.
- Sono già due ore che stiamo qua in mezzo, Julie… magari ci fermiamo? – propose Amanda, già annoiata dal clamore, dalla puzza di sudore e dai corpi degli altri esseri umani, troppo vicini per non essere insopportabili.
- Neanche se mi offrissero la vita eterna mi fermerei adesso! – disse la ragazza, col fuoco negli occhi.
- E se ti offrissero la vita eterna e ti permettessero di passarla con Brian? – chiese Teresa, gli occhi brillanti, persa nelle sue fantasie da delirio pre-concerto.
- Terry, che razza di ipotesi fai? Allora, ci muoviamo?
Così dicendo, spintonò un po’ a destra e un po’ a sinistra, lasciò che Teresa si infiltrasse nel microscopico pertugio che le sue spinte avevano generato e poi, tirando Amanda per un braccio, forzò l’apertura, fiondandocisi in mezzo e trascinando con sé le sue amiche e buona parte dei cadaveri già persi e abbandonati per strada.
Guadagnarono due file.
Se di file si poteva parlare in mezzo a quella massa informe.
- Ha! Sono fiera di me! Amanda, guarda se si vede il palco!
Dall’alto del suo metro e ottanta, Amanda si issò sulle punte e mise teatralmente una mano sulla fronte, come volesse coprire gli occhi dal sole.
- Be’, io lo vedo, ma per voi non c’è speranza.
Teresa sbuffò. Amanda era molto alta, certo, ma questo non la consolava. Insomma, Julianne era più bassa di Amanda, ma parlando di lei si poteva ancora parlare di stature normali.
Maledisse quei nanerottoli dei suoi genitori per il suo metro e cinquanta scarso.
Julianne le diede una pacca sulla spalla, sorridendole rassicurante, una gocciolina di sudore che le scendeva lungo una tempia.
- Non fare così, tanto questo posto non va bene neanche per me. Avanziamo ancora!
- Per carità… - si lamentò Amanda, sbuffando e roteando gli occhi, ma non si oppose quando venne nuovamente arpionata per il braccio e costretta a fendere la folla.
Mentre le tre avanzavano utilizzando Amanda come uno spartighiaccio, successe un miracolo. Qualcuno, qualcuno di molto vicino al palco, venne malamente spintonato da qualcun altro e cadde di lato. A seguito di questo smottamento, molte delle persone che si reggevano in equilibrio precario su un piede, in cerca di spazio dove poggiare l’altro, capitombolarono rovinosamente per terra.
Si aprì un varco.
Per poco Amanda non prese le sue due amiche per la collottola, nel tentativo di guadagnare quella terra santa.
Quando ebbero preso possesso del luogo, le tre si lasciarono finalmente andare a un sospiro di gioia e sollievo: erano arrivate a qualcosa come la terza fila, sempre se di file si poteva parlare! Il palco era così vicino che quasi avrebbero potuto prenderlo d’assalto e salirci sopra.
- Allora, ricapitoliamo il piano. – disse Julianne, seria, cercando senza riuscirci di mettere una mano sul fianco, - Aspettiamo che cominci il concerto, assaliamo il gruppo e rapiamo Brian. Dopodiché lo cloniamo e facciamo uno a testa, no?
- No! – si agitò Teresa, come se quello di cui stavano parlando fosse realmente possibile, - A me dovete darne due, uno devo portarlo a Phil.
- Ah, già, - disse Amanda, supponente, prendendola in giro, - non solo dobbiamo improvvisarci genetiste per realizzare una clonazione umana, ma dobbiamo anche supportare la latenza omosessuale del tuo ragazzo canterino…
- Lui… non ha nessuna latenza omosessuale! Lo vuole perché dice che deve rubargli le corde vocali!
- Sì, sì, - disse Julianne, dandole un buffetto sulla guancia, - vedrai, tesoro, un giorno Phil capirà che il motivo per il quale le sue prestazioni sessuali sono deludenti…
- Julie!
- …non è altro che in realtà non è interessato al genere femminile. E allora sarà più facile per tutti: per lui lasciarti e per te finalmente cadere fra le mie braccia.
- Santo cielo…
- Sì, Julie, - aggiunse Amanda, - Smetti di provarci con lei almeno oggi, per carità, risparmiaci…
- Oh, - si giustificò lei, sbuffando, - che posso farci se mi viene dal cuore?
- Va bene, va bene… - sbuffò Terry, tirando fuori dalla borsetta un blocchetto per gli appunti, - Invece di parlare di questi argomenti inutili, vediamo di occupare il tempo in maniera fruttuosa: stabiliamo la trama della fic fino alla fine.
Parlare della fanfiction a sei mani che stavano scrivendo piaceva loro molto più che scriverla, perciò prendere appunti per capitoli futuri dei quali avrebbero scritto qualche parola solo mesi dopo era la loro attività preferita.
- Ah, sì! – disse Julianne, illuminandosi, - Proprio ieri sera, prima di andare a letto, ho preso qualche appunto!
Tirò fuori un fogliettino spiegazzato dalla tasca degli strettissimi jeans che indossava, uccidendo una ragazzetta vestita come una brutta copia di Amy Lee con una gomitata.
- Allora, pensavo che il prossimo capitolo si potrebbe farlo un po’ più umoristico del precedente, no? Anche perché il venticinquesimo è stato proprio deprimente, Amanda…
La ragazza sbuffò, contrariata.
- Non era “deprimente”, ignorante. Era drammatico. C’è una bella differenza.
- Sì, però devi ammettere – si intromise Terry, stringendosi nelle spalle, - che avrebbe potuto essere un attimino più soft.
- Oh, insomma! Se non volete guardare in faccia la realtà non è colpa mia!
- Amanda, non s’è mai visto uno che prende coscienza di essere gay e quasi si butta dal balcone per la disperazione, Cristo! – sbottò Julianne, esasperata.
Il genere entro il quale avrebbe dovuto iscriversi la loro fanfiction era sempre stato motivo di pesanti liti fra di loro. Questo perché, mentre Amanda provava una perversa attrazione per tutto il filone delle, a scelta, emo/drama/dark/angst/death fic, Julianne non smetteva un secondo di perorare la causa delle fic umoristiche/demenziali/nonsense e Teresa, per conto suo, cercava di infilare batticuori, rossori, dichiarazioni e tenerissime prime volte in tutto ciò che scriveva, trasformando qualsiasi tipo di fic in una romance in un battito di ciglia.
- Infatti secondo me adesso sarebbe proprio l’ora di una romantica re-union!!! – suggerì Terry giungendo le mani sul petto e sorridendo, persa nelle sue fantasie.
- Ma non esiste proprio! – si oppose Amanda, guardando le due amiche dall’alto in basso come fossero stati scarafaggi, - Questo è il momento perfetto per una bella e drammatica presa di coscienza da parte di Brian!
Le altre due ragazze la guardarono attonite.
Ah, sì, piccola precisazione: nella fic che stavano scrivendo, uno dei protagonisti era Brian Molko. E non avrebbe potuto essere altrimenti, visto il morboso amore che nutrivano per il cantante di Placebo.
- Non posso credere che tu dica sul serio… - disse Julianne, con lo sguardo perso nel vuoto, - già nello scorso capitolo la “presa di coscienza” di Matt gli stava costando la vita, a momenti…
Seconda piccola precisazione: l’altro protagonista della storia era Matthew Bellamy, mai-abbastanza-idolatrato frontman dei Muse.
Ebbene sì. Siamo davanti a tre fangirl slasher inglesi in piena regola.
Siete autorizzati a pregare per la salvezza delle vostre anime.
- Non capite! – cominciò Amanda, incrociando le braccia sul petto e battendo nervosamente un piede per terra, - Fino ad adesso, per Brian, quello che c’era con Matt è stato solo un gioco. Ma ora la cosa deve cominciare a muoversi, altrimenti qua non la chiudiamo più e io invece ho già in mente un altro progetto, ve ne parlo poi… comunque, secondo me adesso è perfetto far prendere coscienza a Brian che quello che prova per Matt è serio, capite?
Teresa sbuffò, sconsolata.
- Possiamo anche capire, ma questa cosa sta diventando troppo deprimente! Non dobbiamo mica farlo diventare una versione edulcorata di “The Juda’s kiss”!
- Cosa c’entra “Judas” adesso, quella è tutta un’altra storia!
- E poi comunque stai pilotando troppo la trama, Amanda! – sbottò Julianne, - Anche noi abbiamo diritto di decidere qualcosa!
- Ehm… scusate…
Tutte e tre si voltarono verso la fonte della vocina che s’era appena intromessa nel loro discorso.
La copia venuta male di Amy Lee che Julianne aveva quasi ammazzato poco prima li stava fissando, stringendosi nelle spalle, rossa in viso.
- Scusate se m’intrometto… - continuò la ragazzina, che avrebbe potuto avere più o meno quindici anni, - Vi ho sentito parlare di fanfiction su Brian e Matt, o sbaglio…?
Le tre ragazze gonfiarono il petto, orgogliose.
- Sì. – disse Julianne, sorridendo spavalda, - Ne abbiamo scritte molte per conto nostro, adesso ne stiamo scrivendo una tutte assieme…
- Ah… allora avevo capito bene! – disse la moretta, illuminandosi in viso, - Voi siete le tre autrici di “A little respect”!
Se possibile, le ragazze s’inorgoglirono ancora di più.
Ebbene sì. Venticinque capitoli e centotrentaquattro recensioni all’attivo, la loro fanfiction era la slash più amata del suo fandom.
- Non posso credere di avervi trovato nel mezzo di tutto questo casino! – continuò la ragazza, entusiasta, - La vostra fic è grandiosa, la apprezzo moltissimo!
- Grazie, grazie, non meritiamo tanto… - disse Julianne, deliziata, agitando una mano.
- Stavate decidendo come andare avanti?
- Sì, ma faresti meglio a non ascoltare… - disse Teresa ridacchiando, - Abbiamo un mucchio di capitoli ancora non pubblicati, non vorrei che ti spoilerassi qualcosa…
- Ma che dite, forza, sono un’affamata di spoiler io!
- Mmmh… se è così… - disse Amanda, con un sorriso di sufficienza, - Le sceme, qui, non capiscono che al punto della storia in cui siamo, cioè Matt che ha appena scoperto di essere gay, un bel capitolo d’introspezione angst su Brian starebbe troppo bene!
- Mmh… - rifletté la moretta, grattandosi il mento, - In realtà, se posso dare un’opinione…
- Sì, sì, certo! – la incoraggiò Julianne, entusiasta.
- Be’… ve l’ho già detto un paio di volte anche nelle recensioni… in realtà penso che… - il suo sguardo prese letteralmente fuoco, mentre serrava i pugni e si stringeva nelle spalle, come a prepararsi per una carica, - In realtà penso che in questo momento starebbe benissimo una bella parte NC-17 in cui Matt #&%/&£ Brian e Brian €€/&/(%%/$° Matt e poi tutti e due assieme fanno ][&%/&$(/(&/(%!!! Ecco quello che penso.
Le tre ragazze fissarono sconvolte la nuova arrivata. Mai sentita una sequela simile di sconcezze nella stessa frase, per il progetto di una fancition.
A meno che non si trovassero davanti a…
- Ma… ma… - mormorò Teresa, terrorizzata, - tu non sarai mica…?
- Ah! Scusatemi! Sono una maleducata, avrei dovuto presentarmi! – disse la moretta, scrollando le spalle, - Mi chiamo Marianne, ma probabilmente voi mi conoscete come MarySmut, anche se nelle recensioni mi firmo sempre Annette…
Un urlo si levò dalle tre, zittendo per un attimo tutta la folla.
- TUUUUUUUU SEI MARYSMUUUUUUT!!! LA REGINA INDISCUSSA DELLE LEMON SLASH!!! – ululò Julianne, indicandola, - NON CI POSSO CREDEREEEEEEEE!!!
La ragazza sorrise imbarazzata, arrossendo.
- Ecco… non pensavo di essere così famosa…
- Ma stai scherzando?! – disse Teresa, - Le tue fic sono bellissime! Io le ho lette tutte! Amanda è una tua grandissima fan!
- Grazie, grazie davvero…
- A proposito… - continuò Julianne, guardandosi intorno, - Dove diavolo è finita Amanda…?
- Già… è sparita quando Mary s’è presentata… e non è che sia così facile perdere una come lei…
Proprio in quel momento, tutte e tre abbassarono lo sguardo e la videro. Amanda s’era letteralmente prostrata ai piedi di Marianne.
- Tu sei la mia dea!!! Non ho mai visto una combinazione tanto perfetta fra sesso e introspezione come in “Map of the problematique”, la oneshot che hai scritto un mese fa, e “Interlude”, poi… l’ho trovata illuminante! Per non parlare poi dell’ultima fic che hai pubblicato, “Peeping tom”, mamma mia, quanto ho pianto per quella!!! E adoro anche il fatto che tutti i tuoi titoli siano canzoni dei Muse o dei Placebo, è stupendo!!! Aaaaaaah, non posso credere di averti incontrata sul serio, devi farmi un autografo oraaaaaaaaah!!!
Si fermò, ansante, gli occhi ancora colmi di ammirazione, un sorriso idiota sul volto.
Un po’ stordita, Marianne l’aiutò ad alzarsi.
- Ecco… magari l’autografo lasciamo perdere… - disse, imbarazzatissima, - Però ti ringrazio molto per i complimenti, mi fanno piacere… cercherò di non deluderti neanche con la mia prossima fanfiction…
- Cosa? Stai scrivendo qualcosa di nuovo? – indagò Teresa, emozionata, mentre Amanda, per l’emozione, sveniva definitivamente ai piedi del suo idolo.
- Sì. – annuì Marianne, - Una storia un po’ complessa in cui Brian e Matt, dopo una serie di incontri fugaci, smettono di vedersi, perché si sono accorti che la cosa sta andando un po’ oltre… dopo un po’ riprendono a cercarsi ma a causa di impegni vari et similia non riescono più a rivedersi… l’uno arriva in hotel l’attimo dopo che l’altro se n’è andato eccetera… cose così. – sorrise, - Sarà un po’ triste.
- Posso immaginare… - ridacchiò Julianne, - E il titolo?
- “Without you I’m nothing”. Comunque finisce bene!
- Non vedo l’ora di leggerla! – esplose Amanda, stringendo una mano a Marianne.
La ragazza ridacchiò lievemente.
- Spero che ti piaccia quanto le altre. – disse. – Allora, avete finalmente deciso cosa succederà nel prossimo capitolo di “A little respect”?
*

Si affacciò appena dalle quinte, gettando un rapido sguardo sulla folla. Qualcuno dovette vederlo, perché cominciò ad urlare, e venne presto seguito da tutti gli altri: il forum divenne tutto un’unica voce invocante la loro entrata in scena.
Brian tornò a guardare Stefan e Steve, con un gigantesco sorriso sul volto.
- Sono esaltati! – annunciò trionfante, indicando il pubblico fuori con un ampio gesto del braccio.
- Mmmmmh, che meraviglia, non vedo l’ora di salire sul palco! – gioì Steve, incapace di rimanere fermo e ballando nervosamente da una gamba all’altra.
- Ragazzi, quando volete, luci e sound sono a posto. – disse loro il responsabile del forum, rassicurandoli sulle condizioni della scena.
I tre si guardarono in viso per un attimo. Poi Brian si ravviò i capelli e fece strada.


Piccolo demenziario indispensabile (?) per capire la fic è_é

Fangirl: Una fangirl è una ragazza che ama ossessivamente un personaggio o una coppia di un determinato anime/manga o chi per loro. Il termine è usato dispregiativamente dai fan normali; dire fangirl d’altronde equivale un po’ a dire “pazza pervertita maniaca ossessiva” XD Le fangirl, invece, generalmente si gloriano di esserlo :D Io mi glorio, ad esempio è_é E’ anche vero che esistono parecchie reluctant-fangirl, che si vergognano di esserlo e lo dissimulano >_< Scrivono comunque fic yaoi XD ma si mascherano dicendo che lo fanno perché i loro protagonisti si innamorano l’uno dell’altro come persone e non come persone di sesso maschile *-*
Dream Theater: Gruppo progressive rock tuttora attivo. Sono mostri sacri <3 E sono bravissimi :)
Emokid: Termine usato con accezione esclusivamente negative, indica tutti quei ragazzini che si atteggiano a dark depressi ed emotivi.
Fanfiction: Sapete cosa sono le fanfiction, via XD
Emo/drama/angst/death fic: Fic dai contenuti pesanti e tristi.
Umoristiche/demenziali/nonsense fic: Fic dai contenuti allegri o demenziali.
Romance: Fic dai contenuti romantici.
Slasher: Casta di fic-writer che scrive (quasi) esclusivamente storie in cui i protagonisti sono omosessuali.
The Judas’ kiss: E’ tipo la più bella BrianxMatt che vi potrebbe mai capitare di leggere XD Peccato sia in inglese. E peccato sia massacrante da tradurre ç_ç Però non è massacrante da leggere, quindi, se con l’inglese ve la cavicchiate, fatelo (link). E’ un po’ duretta, mh? Solo per avvertire XD
Amy Lee: Cantante degli Evanescence, popolare gruppo emo pseudo-rock sulla scena da qualche anno.
Lemon fic: Fic ad alto contenuto erotico.