rp: alex weston

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: R.
AVVISI: Language, OC, What If?.
- "Niente da fare: sarebbero piovute rane, prima che quell’uomo si rassegnasse ad assumerlo."
Commento dell'autrice: Chi mi conosce lo sa: io vivo di gossip <3 Il pettegolezzo ha su di me effetti strepitosi <3 Per dire, mi porta al fangirling sconsiderato. E lo sappiamo tutti qual è la principale conseguenza del fangirling sconsiderato: la scrittura compulsiva, ovviamente!
È esattamente ciò che è successo con questa storia che, personalmente, amo alla follia, nonostante mi renda conto di quanto sia ideologicamente opinabile. Davvero, lo so! Ma quando, sulla community di SuckerLove.com ho letto di questa news (poi smentita) secondo la quale non solo i Placebo avevano trovato un nuovo batterista col quale stavano registrando il nuovo album, ma questo nuovo batterista era addirittura un ventenne!!!, ho cominciato a fantasticare furiosamente su quello che avrebbe potuto essere uno scenario plausibile nel quale questo dramma s’era consumato, ed è venuto fuori Andrew <3 Che, povero tato, è sì un coglioncello, ma non si merita tutto ciò che ha passato XD Soprattutto perché io l’ho amato fin dal primo momento çOç
Comunque. Io mi sono divertita troppo XD Anche se so che, concettualmente, è pure un tantino deprimente, come fanfiction. Voi cercate di non pensare a Steve T_T *piange* e vedrete che andrà tutto meglio >.<
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FROGSTORM

Alex entrò in ufficio con un enorme sorriso sulle labbra. Sembrava tanto soddisfatta del proprio operato che, malgrado la situazione fosse tutto meno che allegra, perfino Brian si sentì abbastanza fiducioso da sorridere a propria volta.
- Ho una splendida notizia! – annunciò la donna, prendendo posto sulla propria poltrona, dietro l’enorme scrivania in mogano lucido.
Brian ritirò le gambe sull’altra metà del divano tanto grande da sembrare vuoto nonostante lui ne occupasse almeno la metà, disteso e scomposto fra il bracciolo ed il cuscino com’era, e Stefan si accomodò sulla poltrona nell’angolo opposto, intrecciando le dita sul petto.
- Quindi? – chiese il frontman, inarcando curioso le sopracciglia.
Il sorriso della manager si fece più ampio.
- Possiamo scegliere noi il batterista! – esultò, socchiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle.
Il sorriso sul volto di Brian scomparve in un istante, mentre tornava a mettere istantaneamente i piedi a terra e si sporgeva in avanti verso la donna, come non potesse credere a ciò che aveva appena sentito. Stefan chinò il capo sul palmo aperto, sbuffando disapprovazione.
- Alex. – sibilò gelido Brian, stringendo la presa delle dita sul bracciolo con un movimento quasi isterico, - Ti ho mandata ad obbligare la produzione a concederci una proroga, te lo ricordi?
L’espressione della donna non subì la minima variazione.
- Certo che me lo ricordo, Brian. – disse zuccherina, spingendosi lentamente avanti e indietro sulle rotelle della poltrona, come stesse solo giocando, - Ma, come avevo ampiamente previsto, il direttore mi ha riso in faccia e mi ha sventolato il contratto sul naso, minacciando di strapparlo seduta stante. – si concesse un sospiro, rilassando le spalle e fermando anche il movimento cigolante della sedia, - Almeno sono riuscita a convincerlo a lasciare a noi la scelta del nuovo batterista. È un’enorme concessione.
Brian spalancò la bocca, pronto a strillarle addosso una qualsiasi cosa, anche solo per sfogare l’irritazione, ma Stefan lo fermò con un breve gesto della mano ed un sospiro incerto.
- Significa… - accennò il bassista, lanciando un’occhiata dubbiosa alla manager, - che dobbiamo cominciare ad organizzare i provini?
- Esatto. – annuì lei, - E raccogliere le cartacce che sicuramente tappezzano il pavimento di casa di Brian, per vedere se fra gli appunti emo che ha preso da quando Steve è andato via c’è qualcosa di vagamente utile per l’album nuovo.
- Questo è offensivo. – sbottò il frontman, mentre Stef si arrendeva all’evidenza per la quale era inutile cercare di salvare Alex da un litigio furioso con Brian, perché un litigio furioso era esattamente ciò che quei due volevano e stavano cercando da… mesi, ormai.
- No, questa è la verità. – scoccò Alex, secchissima, incrociando le braccia sul petto, - È probabile che la maggior parte delle cose che hai scritto sia del tutto cestinabile. Non te ne faccio una colpa, Brian, so che non sei abituato a lavorare così. Ciononostante, è tutto quello che abbiamo. D’altronde, - continuò, riflessiva, - penso che nessuno là fuori si aspetti che il prossimo album dei Placebo sia una pietra miliare della storia della musica. Sicuramente non se lo aspetta la critica, e molto probabilmente non se lo aspettano neppure i fan. – si interruppe e scrollò le spalle, sistemando con un gesto stanco i lunghi capelli ricci dietro le spalle, - Perciò, diamoci semplicemente da fare e vediamo cosa viene fuori.
Dal momento che difendersi avrebbe implicato il dover mentire, e dal momento che mentire necessitava di abbastanza presenza di spirito per orchestrare una storia verosimile e che, soprattutto, potesse reggere il peso dell’azzurrissimo sguardo indagatore di Alex, e dal momento, infine, che lui questa presenza di spirito non se la sentiva proprio, né addosso né dentro, Brian decise di tornare ad arricciarsi sul divano, ritirando le gambe sotto il sedere ed incassando la testa nelle spalle quasi fino a fare scomparire il collo, prendendo a fissare il vuoto con aria ostile.
- Oh, avanti. – borbottò Alex, sospirando, - Sapevi che prima o poi sarebbe successo. Non potevi mica rimanere in eremitaggio per tutto il resto della tua vita! Un batterista nuovo vi serve.
- Se me l’avessi detto prima, - scattò il cantante, squadrandola astioso, - avrei accettato l’offerta di Dave ed avrei risolto così! La sola idea di mettermi a fare dei provini mi snerva a morte!
- Brian… - sospirò Stefan, massaggiandosi la fronte, - Dave Grohl palesemente ama te più della propria donna, perciò era ovvio che, vedendoti depresso com’eri, si offrisse di aiutarci con le registrazioni… ciononostante, quell’uomo ha più progetti collaterali in corso che capelli sulla testa, e, per inciso, di capelli sulla testa ne ha un mucchio, perciò-
- Perciò quando cominci a parlare così tanto è perché stai cercando di distrarmi. – sibilò Brian, spostando uno sguardo sempre più infuocato dalla manager al bassista, - Ora, siccome non sarà facile distrarmi dalla rabbia che sto provando, lascia perdere e pensa ad organizzare questa stronzata, perché, per inciso, tutto ciò che io farò sarà guardare i batteristi sfilarmi davanti agli occhi e dire che non ne voglio sapere niente.
- Il che sarebbe anche un vantaggio, - commentò Alex con sufficienza, - dal momento che nelle mie previsioni già ti vedevo insultarli tutti uno per uno consigliando loro di darsi all’ippica.
Brian rispose con una prevedibile imprecazione e scattò nuovamente in piedi, dirigendosi spedito verso la porta.
- Domani alle otto del mattino, Brian. – scoccò impietosa la manager, senza neanche osservarlo uscire dalla stanza, - Cerca di evitare di obbligarmi a venirti a prendere a casa.
*
D’accordo. Doveva ammettere di conoscere i Placebo solo per sentito dire. Doveva ammettere di essere venuto al provino solo per disperazione e senza neanche essersi adeguatamente preparato prima. Doveva ammettere pure che magari non era stata un’idea geniale, quella di partecipare solo perché sua madre l’aveva minacciato di buttarlo fuori a calci – lui e la batteria, ovviamente – se non avesse trovato un ingaggio serio entro la fine del mese. Sua madre era una donna impietosa, e soprattutto non aveva mai tollerato la scelta che aveva fatto, di abbandonare il college per mettersi a fare il batterista di una band che s’era sciolta prima ancora di arrivare ad una demo, ma nonostante questo probabilmente non era stata una buona idea seguire gli ordini e presentarsi senza pensarci meglio.
Ammetteva tutte le proprie colpe e se ne pentiva, davvero.
Ciononostante, lo sguardo astioso e scandalizzato con cui lo stava investendo Brian Molko in quel momento era del tutto offensivo e inappropriato.
- Io sono… - abbozzò incerto, prendendo posto sullo sgabello dietro la batteria.
- Lascia perdere. – scoccò secchissimo Molko, con un vago gesto di disinteresse, - Non ce ne facciamo niente, del tuo nome, se non ti assumiamo.
Spalancò gli occhi.
In che cazzo di posto era finito?
La bionda seduta al fianco di Brian – presumibilmente la manager, visto che l’unico altro essere umano presente in quella stanza era il bassista, di cui non sarebbe riuscito a ricordare il nome neanche se ne fosse andato della propria vita – non mostrò alcun segno di stupore per la sgarbata uscita del frontman.
Questo era preoccupante.
Stava palesemente a significare che, da quando i provini erano cominciati – ed era logico supporre fossero cominciati presto, visti i profondi segni di stanchezza sui volti dei tre – quello era stato un comportamento standard.
Erano le sei del pomeriggio.
Anche a voler essere cattivi ed ipotizzare avessero cominciato a lavorare verso le nove e mezza, si trattava comunque di più di otto ore di quella routine.
Deglutì e si strinse nelle spalle.
Aveva come la vaga impressione di non avere nulla a che fare col tipo di universo nel quale stava forzosamente cercando di intromettersi, e d’altronde gli pareva pure che i Placebo non avessero granché da spartire con i Children Of Bodom, coi quali, invece, si sentiva parecchio più affine, ma, fanculo al genere musicale, lui era un bravo batterista. Avrebbe fatto vedere a quel dannato arrogante cos’era in grado di fare, si sarebbe meritato quell’ingaggio, avrebbe guadagnato abbastanza da costringere sua madre a complimentarsi con lui e poi sarebbe uscito da quel disastro indenne, ed avrebbe potuto ricominciare a fare ciò che amava – cioè pestare felicemente la batteria – almeno per altri due o tre mesi.
- D’accordo. – borbottò, sistemandosi sullo sgabello e tirando fuori dalle tasche posteriori dei jeans le bacchette.
Di fronte lui, Brian ebbe un sussulto e strinse le labbra.
- …cosa c’è? – chiese, incerto. Ormai si aspettava qualsiasi tipo di imprevisto.
Brian si riprese subito.
- Nulla. – rispose gelido.
- Sei il primo che fa questa cosa con le bacchette. – intervenne a quel punto il bassista, sorridendo appena. La sua voce era dolce e morbida. Tremendamente rassicurante. – Gli altri che abbiamo visto hanno semplicemente usato quelle lì. – disse, indicando con un cenno del capo le anonime bacchette di plastica posate a fianco della cassa principale, - Il punto è che il nostro ex batterista prendeva le bacchette alla stessa maniera, e quindi ovviamente Brian è turbato. Tu scusalo, per questo e per tutto il resto, e vai avanti.
Si limitò ad annuire, vagamente confuso, mentre Molko sferrava un’occhiataccia tremenda alla volta del proprio bassista, e digrignava i denti.
Ok, non c’era nulla di cui dovesse avere paura. Se pure quella specie di nano carnivoro avesse provato a divorarlo, il gigante buono sarebbe stato dalla sua parte.
Si chinò distrattamente verso le bacchette per terra, poggiando le proprie sulla pelle del tamburo, e le prese fra le mani, rigirandosele fra le dita.
- Avete visto un mucchio di incompetenti, oggi. – borbottò, - Bacchette di plastica, bah. Io le mie me le porto sempre dietro. – sorrise, - Sono speciali. E non mi riferisco solo alla decorazione a spirale. – li informò orgoglioso, scaricando nuovamente le bacchette di plastica per terra, per riprendere le proprie e mostrare loro la lunga striscia di vernice blu che, partendo dalla punta lievemente arrotondata, raggiungeva l’estremità inferiore di entrambe le bacchette avvolgendosi attorno all’intera superficie. – Le ho richieste io, proprio così. Ho scelto la qualità del legno, disegnato la forma ed abbozzato la spirale. – sorrise lievemente, lasciando loro addosso un’istintiva ed affettuosa carezza, - Sono cose molto personali. Lo strumento del batterista non sono i tamburi, sono le bacchette.
Il bassista gli sorrise comprensivo, mentre Molko voltava altrove lo sguardo, intrecciando annoiato le braccia sul petto, e la manager annuiva interessata.
- Bene, allora. – disse proprio la donna, accavallando soddisfatta le gambe, - Facci vedere cosa sai fare.
Per far vedere loro ciò che sapeva fare veramente, tanto per cominciare avrebbe avuto bisogno di una batteria più completa, o almeno del doppio pedale, ma non era uno stupido: da ciò che sapeva dei Placebo aveva più o meno inquadrato il loro genere musicale – anche se, sinceramente, non riusciva a ricordare nemmeno un titolo delle due o tre canzoni che doveva comunque avere ascoltato. Non poteva certo uscirsene con un qualche ritmo pesantissimo che li avrebbe portati a fissarlo con disgusto e stabilire non fosse lui ciò di cui avevano bisogno. Doveva far vedere loro qualcosa di speciale, sì, ma senza esagerare.
Gli vennero in mente solo i Rush. O Baterista era una composizione convincente. Abbastanza complessa ma facilmente ascoltabile e, soprattutto, affatto presuntuosa.
Sì, sarebbe andato con quella.
Gli sguardi soddisfatti che riuscì ad intendere di sfuggita sui volti del bassista e della manager, mentre suonava, lo rassicurarono molto, in quel senso: aveva fatto la scelta giusta. Guardò Brian solo per un millisecondo fra un passaggio e l’altro, e vide né più né meno di ciò che si aspettava: un’espressione del tutto indifferente, un paio di braccia strette con palese irritazione su un petto talmente immobile che dava quasi l’impressione il suo possessore non avesse neanche bisogno di respirare per sopravvivere e due sopracciglia esageratamente inarcate a palesare un profondissimo quanto malcelato senso di disturbo che non poteva essere causato solo dal fatto che evidentemente lo sopportasse a stento, ma doveva avere dei motivi più profondi. Doveva partire da chissà quando. Essersi formato per chissà che cosa.
Niente da fare: sarebbero piovute rane, prima che quell’uomo si rassegnasse ad assumerlo.
Poteva anche prendere ed andarsene. Stava solo sprecando tempo.
Fu con una più che giustificata dose di sconfitta rassegnazione che, dopo aver terminato il proprio assolo, si abbatté contro il tamburo, in attesa della condanna.
Neanche i timidi applausi del bassista e della manager lo consolavano più: la loro posizione geografica – con Brian al centro, che pareva perfino più austero di un vecchio magnate di una qualche storica major – così come le loro espressioni incerte e la cura che mettevano nel non sbilanciarsi con i commenti, indicavano palesemente che non erano loro a comandare. E non solo: non comandavano e la loro opinione valeva pure poco.
- Bene. – concesse infine Brian, gelido e impietoso. – Bravo. Ma suppongo tu sappia che non stai facendo un provino per entrare in un gruppo prog. Perciò potevi anche evitare tutto questo sfoggio di presunzione, visto che vogliamo una batteria che serva la nostra musica, non che debba costringere la nostra musica a modificarsi per servire lei.
Serv…!
- Ehi, io non-
- Brian, per favore. – lo interruppe la bionda, voltandosi a guardare il cantante, - Cerca di contenerti. Stava solo cercando di fare buona impressione!
- È la mia band. – rimarcò Brian, fissandola con astio, senza il minimo filtro, - È sempre stato così, abbiamo sempre fatto la mia musica, e non ho intenzione di mettermi alle dipendenze del primo sbarbato di turno solo perché sa suonare i Rush e la cosa lo rende megalomane.
Lui spalancò gli occhi.
- Se avessi voluto vantarmi, avrei fatto ben altro, stronzo! – saltò in piedi, pestando con forza le bacchette sul tamburo, - Ed io che ho anche sprecato due preziosissimi minuti della mia vita a cercare di pensare a qualcosa che potesse farvi contenti! Vaffanculo, non so neanche che ci sto a fare, qui!
- In effetti me lo sto chiedendo anch’io. – ghignò crudele quell’orrore di nano malefico, accavallando oziosamente le gambe, - È evidente che non sei ciò che stiamo cercando.
- Perché è evidente che preferite avere delle merde qua dietro, piuttosto che uno con le palle che sappia dare una direzione alla musica! – s’infuriò lui, calciando con violenza le bacchette di plastica lontano da sé, - La batteria è l’anima del ritmo! Una batteria incerta o priva di personalità è del tutto inutile, anzi, toglie spirito alla musica! Se è questo, quello che volete, allora è ovvio che io non sono la persona più adatta!
Il ghigno di Brian non soffrì della minima incertezza. Si fece, anzi, perfino più ampio e soddisfatto.
- Non so per che tipo di zotici abbia suonato tu fino a questo momento, ma al mio paese non c’è nessuno strumento che regni sugli altri, come cavolo ti chiami.
- Mi chiamo-
- Non mi interessa. – proseguì lui, scuotendo il capo, - Non mi interessava all’inizio quando non sapevo ancora se ti avrei preso o meno, figurati se m’interessa adesso che so per certo che non ti prenderò.
Figlio di puttana!
- Sono io che non lavorerò per te neanche se m’implorerai in ginocchio!
- Perfetto, allora i nostri interessi coincidono. – sorrise più apertamente Brian, socchiudendo gli occhi ed inclinando il capo, - Perché vedi, gli strumenti lavorano assieme. Si chiama armonia per un motivo ben preciso. Non abbiamo bisogno di nessun invasato portatore sano di fanatismo.
- Brian, adesso smettila… - mormorò il bassista al suo fianco.
- Perché? – insistette lui, scrollando le spalle, - Sto mettendo i fatti per quelli che sono. È ovvio che è un fanatico della batteria.
- È lo strumento che suona, Brian, diavolo! – gli fece notare la manager, spalancando gli occhi, - Anche tu sei un fanatico delle chitarre! Ti prego!
Il cantante si limitò a roteare gli occhi e sospirare esasperato, come se nessuno in quella stanza fosse in grado di comprendere ciò che stava dicendo.
- Avevi detto che tutto ciò che avresti fatto sarebbe stato dire che non ti interessava niente. – bisbigliò ancora la donna, delusa, - Non dovevi fare ostruzionismo in questo modo.
- Perdonami se penso al bene della band.
- Ed è quello che stai facendo? – sibilò secco il bassista.
Brian neanche rispose.
Incerto, lui rimase fermo dietro la batteria, ad inumidirsi le labbra e stringere furiosamente le bacchette fra le dita.
Le alternative, a quel punto, erano due: lasciarsi sconfiggere da quella persona orrenda e tornare a casa nel disonore, pronto ad affrontare sua madre, oppure persistere, restare lì e… farsi sbranare sul serio, probabilmente.
Sospirò e tornò a sedersi sullo sgabello, allentando la presa sulle bacchette.
- Ok. – disse incerto, - Abbiamo cominciato col piede sbagliato. Mi dispiace. Mettetemi alla prova, chiedetemi di suonare ciò che volete. Vi assicuro che sono la persona adatta, ve lo giuro.
Suonava patetico. Suonava patetico ed era pure falso, cazzo, lui non stava sbagliando. Aveva fatto tutto per bene. Era quel bastardo che, evidentemente, un batterista non lo voleva proprio.
Sul volto del bassista si aprì un breve sorriso speranzoso, mentre la manager, dall’altro lato, scuoteva lentamente il capo, del tutto sfiduciata. Brian, nel mezzo, lo fissava senza pietà, altero e granitico.
- Bene. – sganciò lì, come una bomba, - Come vuoi. Accennami la batteria di Black Eyed.
…cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Ecco. Quel dannato principe sul pisello sarà pure stato uno stronzo, ma lui era e restava comunque il coglione che s’era presentato al provino senza neanche prepararsi prima. Certe cose si pagano. Si pagano sempre.
Merda.
Sua madre non faceva che ripeterglielo. Il mondo del lavoro – qualsiasi lavoro – è una giungla. O sei perfetto sotto ogni punto di vista o sei fuori. Perché se solo mostri una sbavatura, gli sciacalli che ti concedono di lavorare alle loro dipendenze cominceranno a pensare di poter trovare qualcosa di meglio. E dietro di te la lista è lunga. C’è solo da scegliere.
Cazzo. Cazzo. E cazzo.
- Io… - deglutì forzatamente, - ecco, non è che ce l’abbia molto presente, in questo momento…
Dio, non aveva neanche la più pallida idea di cosa fosse!
- Be’, dai, non è di un album recentissimo… - lo incoraggiò la manager, cercando di sorridere conciliante, - Perché non ci fai One Of A Kind?
Dio! Dio! Andava sempre peggio! Dannazione!
- Non è stato un singolo, magari non l’ha sentito. – biascicò a quel punto il bassista, nell’estremo tentativo di aiutarlo, - Avanti, fai Infra-Red e la chiudiamo qui.
Oh. Eccome se la chiuderemo.
- …non la conosci?
Non poté fare altro che abbassare lo sguardo e scuotere il capo. Ritornato indietro ai tempi del liceo, si sentiva colpevole come quando la McKinsey, la sua professoressa preferita, gli faceva scivolare sotto il naso il questionario di letteratura inglese e scuoteva angosciata il capo, come a dire “eccolo qui, il mio più grande tormento ed il mio più inglorioso fallimento!”.
Cavolo.
Era andato tutto storto.
- Adesso non fai più tanto il presuntuoso, eh? – scoccò la fastidiosissima voce acuta e nasale di quell’uomo intollerabile, - Adesso sono finiti i grandi discorsi, mh?
- Brian, non infierire… - mormorò il bassista, massaggiandosi la fronte.
- Non infierire?! – strepitò lui, furioso, - È lui che sta infierendo! Su quel poco di pazienza che mi è rimasta!
L’intera sala rimase silenziosa come fosse stata vuota, per molti minuti. Imbarazzato ed umiliato, lui non poté che rimanere immobile al proprio posto a fissarsi le punte delle Converse sdrucite, perfette per la testa di cazzo che era. Merda. Era proprio il prototipo perfetto del cazzone. Quel bastardo di Molko doveva averlo intuito subito, ecco tutto. Non sarebbe stato neanche difficile. Trovava addirittura incredibile l’essere riuscito a non sputtanarsi fino a quel momento! Aveva tenuto duro molto più di quanto non ci fosse da aspettarsi!
E adesso, a quello stronzo, aveva dato tutte le ragioni del mondo per continuare a insultarlo per sempre. E probabilmente aveva perso sul serio qualsiasi possibilità di essere assunto. E si sentiva addosso lo sguardo deluso di quel bassista di cui, accidenti, gli sarebbe pure piaciuto riuscire a ricordare il nome, così almeno avrebbe potuto ringraziarlo come meritava, visto che, per parte sua, s’era comportato molto meglio di quanto non dovesse.
- Benissimo. Me ne vado a casa. – disse lapidario Molko dopo un po’, - Tanto è palese che ormai questo coglione è ko. Alex, domani torni alla EMI e pretendi una proroga. Punto.
S’era alzato – aveva sentito la sedia strisciare piano contro il pavimento in marmo misto – ed aveva cominciato a camminare quietamente verso l’uscita – poteva sentire il lieve ticchettio dei tacchi bassi di quelle elegantissime scarpe lucide e nere che indossava – e lui non aveva potuto permetterglielo. Aveva sentito nel profondo che, malgrado tutti gli errori di cui doveva per forza farsi carico, non poteva fargliela passare liscia. Perché l’umiliazione gli bruciava troppo forte sotto la pelle, e pure sotto le ciglia. Pericolosamente.
Non aveva mai pensato di non essere più un ragazzino, in fondo.
Era un’altra cosa che sua madre gli ripeteva spesso. Sua madre, ma anche suo padre, che pure era un po’ più morbido, e perfino i suoi amici, che in teoria avrebbero dovuto essere in tutto e per tutto uguali a lui. Sei infantile. Non sei mai cresciuto. Sei ancora un bambino.
Aveva voglia di piangere, e non riusciva a non vergognarsene. Non riusciva neanche a farsela passare, però.
- Tu… - mormorò, alzandosi finalmente in piedi, - sei una merda. In queste condizioni non è possibile lavorare! Non puoi pretendere che uno si metta a lavorare per te, se lo obblighi a stare sotto pressione fin dal momento in cui ha la sfiga di passarti sotto agli occhi! – cercò di prendere un respiro. Non gli riuscì. Esalò un singhiozzo spaventoso e continuò semplicemente a urlare, - Dovresti… fanculo… chiuderti in una fottuta stanza senza porte e senza finestre e restare lì per sempre, tanto nel mondo civile non hai molte possibilità di essere veramente ascoltato, se ti comporti così! Almeno, se scomparissi e basta non costringeresti le persone a… a doverti per forza tollerare, o a scusarsi per te! – si interruppe ancora. Era sull’orlo delle lacrime. Era disgustoso. Dio!, doveva uscire immediatamente da quella stanza! – Non lo voglio, questo lavoro di merda! Tienitelo pure! Solo, ti conviene imparare a suonare sul serio, perché non troverai proprio nessuno che voglia farlo per te!
Uscì così. Senza salutare. Senza scusarsi. Senza neanche guardarsi indietro.
Improvvisamente, perfino tornare a casa a mani vuote sembrava un’alternativa plausibile.
*
Brian rimase a fissare la porta con le sopracciglia inarcate, come se non riuscisse proprio a capire cosa diavolo fosse preso a quel dannato ragazzino, per una quantità indefinibile di tempo.
Poi tornò semplicemente a sedersi, accavallando le gambe ed intrecciando le braccia.
- Certo, non gli si può dare torto. – commentò a quel punto Alex, sbuffando pesantemente.
- Prego? – scoccò lui, acidissimo, lanciandole un’occhiataccia cattiva.
- Mi hai capita perfettamente. – si limitò a notificare lei, senza neanche degnarsi di ricoprirlo del disappunto che avrebbe meritato, - L’hai trattato peggio di tutti gli altri.
- Probabilmente perché ha visto che era davvero bravo e correvamo davvero il rischio di assumerlo. – scoccò Stefan, sollevandosi in piedi come se il solo stare seduto accanto a Brian lo infastidisse.
- Prego?! – ripeté il cantante, sempre più incredulo.
- È bravo. – rimarcò lo svedese, stringendosi nelle spalle.
- Tu scherzi, forse! – strillò lui, alzandosi a propria volta, - Non sa le canzoni!
- Può sempre impararle.
- Ma soffre di gravi influenze metal, dai! Lo si sentiva chiaramente, anche se ha fatto di tutto per nasconderlo! Non capisco come faccia a piacerti!
- È palesemente un bravo ragazzo, Brian, nonché il migliore fra tutti quelli che abbiamo sentito oggi. Ecco come fa a piacermi. – concluse brevemente l’uomo, infilando le mani nelle tasche.
Brian sbuffò con manifesto fastidio e, dopo aver borbottato qualcosa sull’evidente incompetenza di chiunque lo circondasse nel raggio di cento chilometri, aveva ripreso a pestare i piedi verso la porta, con la chiara intenzione di uscire per non tornare mai più.
Stefan l’aveva afferrato per un braccio e riportato al suo posto con una facilità disarmante. Come fosse stato di carta.
- Non lo troverai un altro che suoni come Steve. – gli scoccò a bruciapelo, fissandolo negli occhi quasi con rabbia, - Un altro con cui far funzionare lo stesso tipo di chimica e la stessa perfetta sincronia, non lo troverai mai.
Brian cominciò a divincolarsi. Sul viso, lo stesso sguardo sconvolto di chi si sente oltraggiato fin nell’onore. Stefan lo trattenne immobile davanti a sé.
- Devi ficcartelo in testa. – insistette, duro e freddissimo esattamente com’era stato Brian fino a quel momento, - È rimasto tanto a lungo proprio per questo, per la chimica. Per il legame strettissimo che c’era fra tutti noi. Ma s’è infranto, Brian. Non c’è più un cazzo. Perciò piantala coi giochini da bambino tradito e datti una regolata. Non hai più quindici anni.
- Stefan-
- Soprattutto, io non sono disposto a tollerare oltre questo tuo atteggiamento. – continuò il bassista, senza lasciargli tempo di rispondere. – Sta a te decidere del futuro dei Placebo. Metti la testa a posto, o vado via anch’io e risolviamo così. Fine.
Brian spalancò gli occhi. Dietro di lui, Alex cercò di farsi invisibile, scomparendo nella gonfissima giacca in piuma d’oca che aveva già indossato.
Doveva essere la prima volta in più di dieci anni che Stefan si facesse sentire in quel modo.
- Mi stai minacciando…? – esalò appena il cantante, fissando sgomento il proprio bassista.
Lui, dal proprio canto, si limitò a sorridere.
- Sì. – rispose sbrigativo, lasciandolo finalmente andare.
Brian si massaggiò distrattamente il braccio, senza interrompere il contatto visivo con Stef – neanche avesse paura che dovesse d’improvviso svanire non appena l’avesse perso di vista.
Poi, d’improvviso, sospirò e puntellò le mani sui fianchi, sporgendo il bacino con aria infantile.
- Suppongo di dover cedere. – borbottò alla fine, seccatissimo, - Non posso mica mandare tutto a monte dopo aver faticato tanto.
Stefan inarcò le sopracciglia, fissandolo un po’ incredulo ed un po’ rassegnato – come se lo fosse aspettato da sempre.
- Inutile. – sbottò Alex, esalando un sospiro di pura rassegnazione, - Ci sono cose delle vostre teste che non riuscirò mai a comprendere.
I due si lasciarono andare ad una breve risatina, voltandosi a guardarla come volessero scusarsi.
- Comunque sia, Brian, hai fatto il casino ed ora lo risolvi. – proseguì perentoria la manager, indicandogli la porta.
- …ovvero? – chiese il cantante, incerto.
- Be’. – annuì Stef, competente, - Tu l’hai buttato fuori. Ora ti tocca riprenderlo. Poco da fare.
- Cosa?! – strillò Brian, spalancando gli occhi, - Mai e poi mai!
Per convincerlo, a Stef bastò inclinare il capo.
*
Pioveva. Dannazione pure al Padreterno che proprio aveva deciso di smontargli l’intera esistenza.
Barricato all’interno dell’ingresso degli studi, si buttò addosso al distributore automatico al quale aveva preso il caffè e continuò a sorseggiare quella schifosissima spremuta di niente che riempiva il bicchierino, provando almeno a riscaldarsi le mani – con poco successo, visto che l’orrida brodaglia era pure inesorabilmente tiepida.
Che schifo di giornata.
Che schifo di vita.
E che schifo di caffè. Fanculo.
- Se hai bisogno di un ombrello, al limite te ne presto uno io.
Merda.
Ma non poteva proprio rassegnarsi a lasciarlo in pace, quel terribile topo da combattimento?!
- Non ti preoccupare. – ringhiò, stringendo il bicchierino fra le dita fino a sentirlo scricchiolare, - Ora me ne vado.
Brian sospirò rassegnato, e lui si voltò a guardarlo col migliore dei suoi pigli infuriati. Era passata perfino la voglia di piangere. Adesso aveva solo un bisogno incredibile di mettergli le mani addosso e lasciarlo pesto e sanguinante sul pavimento. Tanto, non avrebbe potuto nuocere alla sua carriera più di quanto non avesse già fatto fino a quel momento.
Sperò che Brian gli leggesse tutto questo addosso e decidesse saggiamente di abbandonarlo finalmente al proprio destino che, per quanto triste, avrebbe sicuramente preso una notevole piega verso l’alto, quando lui fosse sparito.
Brian, però, non sembrava intenzionato ad andarsene.
- Sembra che invece dovrai tornare indietro. – disse, atono com’era stato sempre da quando l’aveva visto, - E firmare un contratto. Almeno per i prossimi sei mesi.
…ok.
Era un masochista? Gli piaceva farsi maltrattare? O che?
- …eh?
- Sia ben chiaro. – ci tenne a precisare il cantante, piantandogli un indice fastidiosamente puntuto proprio nel centro del petto, - Fosse per me, ti rispedirei a succhiare omogeneizzati da un cucchiaino a forma di pecora. Ma – sospirò teatralmente, - sembra che tu sia piaciuto agli altri. E, in generale, avresti potuto essere peggio di quanto in effetti tu sia. Perciò poche storie e seguimi.
Ancora incredulo, si limitò ad annuire meccanicamente.
Pioveva ancora, sì, ma non erano mica rane.
Perciò poteva essere solo uno scherzo di dubbio gusto. O un dannato miracolo.
Forse, il Padreterno non lo odiava poi così tanto.
All’interno dell’enorme sala dei provini, il bassista e la manager lo attendevano trepidanti, armati di un sorriso incoraggiante che sembrava comunque ancora un po’ incerto.
- Bene! – disse la donna, entusiasta, andandogli incontro con fare condiscendente, - Vedo che Brian ce l’ha fatta a riportarti indietro senza sentire il bisogno di sbranarti per i corridoi. È un buon inizio!
Brian si limitò a sbuffare e lasciarsi ricadere sulla propria sedia, senza la minima grazia.
Il bassista gli si avvicinò, tendendogli conciliante una mano.
- È un piacere averti fra noi…
- …Andrew. – completò lui, deglutendo confuso. Non gli pareva vero essere finalmente riuscito a presentarsi. – Andrew Connelly. Piacere. E grazie mille per tutto quello che hai fatto per me…
- …Stefan. – rispose a propria volta lui, ridendo divertito, - Olsdal. Non lo ricordavi, vero?
Imbarazzato, lui distolse lo sguardo, ma il bassista scosse energicamente il capo e gli concesse una poderosa pacca sulla spalla.
- Non ce l’ho con te, figurati. – lo rassicurò, - Farai un mucchio di sacrifici per adattarti, nei prossimi mesi. Mi considero già abbondantemente ripagato!
Andrew ringraziò con un sorriso mesto, lanciando un’occhiata di sfuggita a Brian, che continuava a ruminare acredine dalla propria scomoda seggiolina nel mezzo della stanza.
Magari non sarebbero piovute rane, ma Dio… per fare funzionare quella cosa ci sarebbe davvero voluto un miracolo.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: R
AVVISI: Angst, RPS.
- Agosto. Un anno e mezzo di tour alle spalle e tutta un'altra serie di drammi personali riducono Brian Molko a desiderare solamente di essere lasciato in pace. La Virgin e la Universal non la pensano allo stesso modo, e gli propongono una collaborazione con l'essere umano che lui meno tolleri in tutto l'universo...
Commento dell'autrice: L’ho finitaaaaaah @O@ Non ci posso credere! È lunga da far schifo, mamma mia! Se siete arrivati alla fine, avete tutto il mio appoggio, la mia comprensione e il mio amore <3
Vorrei tanto dedicare questa storia alla Nai, perché per quanto possa non crederci tutto questo ha molto a che fare con lei (nel senso buono della frase XD) e il Brian che ho cercato di dipingere in queste pagine deve molto a quelli che sono stati i suoi dipinti, sempre bellissimi, sempre toccanti e sempre tanto intimamente simili a me (in modi del tutto inconcepibili, credetemi) che li ho odiati spesso XD E quindi la dedica va a lei. Assieme a un enorme ringraziamento per l’aiuto che mi ha dato con la sistemazione e la riorganizzazione in parti di tutto questo.
Scritta per la disfida organizzata dal blog di critica positiva e negativa dei Criticoni è.é Era un concorso particolarissimo, si chiedeva di scegliere un’immagine e scrivere una fic che fosse anche in minima parte ispirata a quella. Io ho visto questo labirinto di casse e ci ho visto in mezzo Brian e Matthew a pseudo-picchiarsi, e poi, nel tentativo di dare una motivazione a quelle botte (che poi neanche ci sono state XD che persona triste sono ._.) ci ho ricamato attorno una specie di dramma esistenziale. Oh, be’. Spero vi sia piaciuto ^^
PS: Il titolo e la citazione in apertura della storia sono rubati all’omonima canzone di Elisa, mentre la citazione random in mezzo alla storia è.é” è presa da Dancing Barefoot, che mi sa essere una canzone di Patti Smith, che io amo e stra-amo coverata dagli U2 <3
PPS: Il gesto che fa Brian quando resta solo in casa e si va ad affogare nel lavandino è_é è una cosa che la mia neechan Ana fa spesso <3 Quindi i credits immagino debbano andare a lei XD *lolla*
DOVEROSA NOTA A MARGINE: io non conosco il signor Molko, ma non credo affatto che passi le sue estati intrattenendosi in attività illegali con minorenni pakistane. No, no e ancora no. Ci stava bene nella storia e ho deciso di lasciarlo solo dopo luuuuunga tribolazione mentale, ma NON È VERO AFFATTO.
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- E Matthew è veramente entusiasta di questo progetto. – disse Tom, accavallando le gambe e incrociando le mani sul ventre, accomodandosi meglio sulla poltrona, - È da quando gliel’ho detto che non fa che prendere appunti.
- Non trovo neanche le parole per scusarmi. – sbuffò Alex, passandosi una mano sulla fronte, - È allucinante che io non sia ancora riuscita a parlarne con Brian, ma è già stato abbastanza drammatico annunciargli che avrebbe lavorato anche per tutto agosto… ha strillato così tanto che non sono proprio fisicamente riuscita a dirgli di Matt…
- Be’, - ridacchiò il manager dei Muse, - farai meglio a sbrigarti… Matt delira da giorni, dicendo di aver già pensato alla Canzone Perfetta per lui… non riesco più a trattenerlo, è eccitato come un bambino…
- Ma sì, sì, lo so, infatti ho detto a Bri di passare di qua appena finisce in sala prove… così posso dirglielo subito… Comunque non è che non lo capisca, eh? In fondo è un uomo adulto, ha una propria vita privata… che forse, a causa degli impegni di lavoro, è in pausa da un po’ troppo tempo…
Tom fece una smorfia, annuendo comprensivo.
- Non si è ancora ripreso da tutta la storia con Helena, vero?
- Non ha avuto il tempo materiale per riprendersi, Tom. Ha avuto troppe altre cose a cui pensare. Il tour non s’è fermato un attimo, i photoshooting e le interviste si sono susseguiti a ritmi disumani. E questo probabilmente è stato anche a causa mia…
- Sei sicura che questa collaborazione sia un’idea saggia…? – accennò Tom, vagamente preoccupato.
- Saggia o no, - sospirò Alex, - è stata un’idea della Virgin. Abbiamo un contratto da onorare.
Tom annuì lentamente.
- È solo che… - continuò Alex in un sospiro, - Brian non sta affatto bene… emotivamente, intendo… e non è più un ragazzino, il suo entusiasmo non è più così facile da accendere, ed ho paura…
- …che non regga?
Anche Alex annuì, sorridendo tristemente.
- Avanti, adesso… - la rassicurò Tom, sporgendosi verso di lei e dandole qualche amichevole pacca sulla spalla, - L’hai detto tu stessa, Brian è un uomo, ormai… se la caverà…
- Ah, be’, di questo sono sicura, ha superato anche di peggio… Ma ogni tanto mi piacerebbe che riuscisse a riacquistare quella… quella predisposizione al sorriso, al divertimento, che aveva quand’era più giovane…
- Credimi: se anche tu lavorassi con tre trentenni che si fingono adolescenti, non la penseresti così. – ironizzò l’uomo, ed Alex rise. – Dai, magari appena saprà di Matt sarà entusiasta e tutte le tue paure svaniranno in un soffio.
- Tom… - sbottò Alex, sarcastica, - Brian odia Matthew Bellamy…
- Ma come?! – esclamò lui, stupito, - Non ha ancora superato neanche questo?!
Alex ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.
- Per certe cose è ancora un bambino. – spiegò, - Non cambia mai.

LABYRINTH

Now everything is reflection
as I make my way through this labyrinth
and my sense of direction
is lost like the sound of my steps

Non è una questione di gelosia. È una questione di fastidio fisico. Di incompatibilità. Di intolleranza.
Ritengo Matthew Bellamy un idiota, ecco perché non voglio lavorare con lui.
- Avanti, Brian…
Odio quando Alex usa quel tono. Sottintende uno spiacevolissimo “cresci, una buona volta”, che personalmente trovo davvero inopportuno ed offensivo, dal momento che è prerogativa delle persone adulte odiare gli altri esseri umani. I bambini giocano con chiunque, perfino se puzza. Gli adulti, invece, hanno tutto il diritto di decidere con chi preferiscono giocare e con chi no.
- In fondo è solo un mese…
- Sì. – replico infastidito, - Un mese che mi porterà alla pazzia. E sappi che, se io affondo, tu affonderai con me.
Lei incrocia le braccia sul petto, arriccia le labbra e solleva un sopracciglio. È l’espressione che dice “Brian…”, strascicando le vocali e lasciandolo sospeso. Un rimprovero a metà.
Ok, magari me stesso in versione checca isterica e ironica in questo caso non serve a niente.
- Alex…
Proviamo con la versione uomo affranto, esasperato e prossimo al crollo.
La più simile a me stesso che possa tirar fuori al momento.
- Sono stanco. Veramente. Pensavo di prendere il primo aereo per Parigi, sabato, chiudermi da qualche parte e guardare orribili film francesi fino a settembre… o fino ad esaurimento. Sapere che mi tocca restare per tutto agosto già mi uccide, perché devi anche resuscitarmi ed uccidermi di nuovo con Matthew Bellamy?
- Brian…
Eccolo che arriva.
- Il tuo lavoro di agosto è Matthew Bellamy. Se togliamo lui dalla scaletta, tanto vale che tu vada a Parigi a stordirti di Daniel Auteuil.
- Ecco, perfetto, problema risolto!
- Brian, la Virgin-
- Faccio guadagnare alla Virgin tanti di quei soldi ogni anno, che penso possa concedermi una pausa di quindi giorni, ogni tanto! Sono stanco, sono sfinito, sono depresso e voglio stare solo!
- Stare solo non ti farà bene, Brian… magari incontrare persone nuove-
- Oh, no! Non provarci nemmeno! Bellamy non è una persona nuova! È una vecchissima conoscenza!
- Oh, andiamo, non sai niente di lui..
- So tutto ciò che mi interessa sapere, ovvero che di lui non mi interessa sapere nulla.
Picchietta con due dita sull’interno del gomito.
- Molto maturo da parte tua.
Non mi interessa essere maturo. Non adesso.
…vorrei dirlo davvero.
Vorrei strillare ancora, prendere a calci qualcosa, mollare tutto e fuggire sul serio.
Ma so già che non farò niente di tutto questo. Brian Molko non si tira mai indietro, di fronte al lavoro.
Mi passo una mano sugli occhi.
- Speravo che avrei potuto cominciare a pensare a qualcosa per il mio progetto solista, prima che ci mettessimo al lavoro sul nuovo album… - mi lamento, sospirando pesantemente.
Alex sorride soddisfatta: sa che ho già ceduto.
- Bene, allora sei fortunato! – commenta allegra, - Matthew Bellamy sarà il tuo progetto solista!
*
- Matthew, puoi smetterla un secondo solo di saltellare?
Il cantante si voltò a guardare il proprio manager, aggrottando le sopracciglia.
- Tom, non stavo mica saltellando…
- No? – chiese distrattamente lui, scrollando le spalle, - Sembrava. Avanti, davvero, Matt, mi fai venire voglia di aggiustarti la cravatta, e al momento non ce l’hai nemmeno! Ti rendi conto di cosa questo significhi?
- …che non avresti dovuto prendere quella roba che hai spacciato per aspirina, prima di uscire?
- Tanto per cominciare, quella era aspirina. Che diamine, Matt! Comunque, no. Significa che sei talmente agitato che la tua agitazione contagia gli altri, e adesso io sono nervoso!
- Scusami se sono felice… - commentò Matthew, ridacchiando.
- Che sciocchezza! Sai che approvò la tua felicità!
Matt rise ancora, più sonoramente.
- Eppure non mi sembra di essere così nervoso… - commentò vago, spiando di sottecchi le reazioni di Tom.
Lui lo guardò con la coda dell’occhio, facendo una smorfia preoccupata.
- Ok. – disse, voltandosi verso di lui ed afferrandolo per le spalle, - È vero. Sono teso come una corda di violino. E questo perché, nonostante tu sia sicuro, per non so quale divina certezza, che quest’incontro andrà bene, io invece so che sarà un disastro! Sarà talmente disastroso che… no, guarda, non voglio nemmeno pensarci!
- Toooom… vuoi rilassarti? Che io sappia, Brian non è un cannibale…
- Non so se ti convenga chiamarlo Brian… sai, forse per una questione di rispetto lui preferirebbe essere chiamato signor Molko…
- Ma piantala! Abbiamo praticamente la stessa età, come pretendi che gli dia del signore?
- Mh… ben detto… questo di sicuro lo lusingherebbe… cerca di ripeterlo, quando sarai davanti a lui.
- Oh, sì, certo. “Brian, ciao. Non ti do del lei perché il mio manager riteneva opportuno farti sapere che non crediamo che tu sia vecchio”.
- …ecco, se magari trovi un modo più delicato per esprimere lo stesso concetto, puoi-
- Tom, non gli dirò niente del genere, stanne certo! – ridacchiò Matt, del tutto sereno, - Parleremo solo di lavoro.
- E-
- Niente domande sulla vita privata. Lo so. Sei più tranquillo adesso?
- Affatto. – sospirò, - Ma che posso farci? Mi fido di te.
*
Fai bene a mostrarti così calmo e sicuro di te, Bellamy. Ne hai tutte le ragioni, perché non ti divorerò.
Mi rovineresti l’appetito per tutta la vita, poi.
- Come va?
La mia compagna mi ha lasciato e sarò costretto a lavorare con una delle persone che meno tollero al mondo per tutto il mese che avrebbe dovuto essere la mia vacanza dopo uno sfiancante anno e mezzo di tour per tutto il mondo.
Come pensi che vada?
- Alla grande.
- Mi fa piacere!
Sei proprio un idiota.
- Sono proprio felice di avere avuto l’opportunità di lavorare con te!
Vedi che sei stupido? Non sai a cosa vai incontro.
- È da quando Tom me ne ha parlato due settimane fa che mi preparo a questo momento!
Pensa un po’, io invece non ne ho saputo niente fino a ieri sera. Quanto credi che possa essermi preparato?
- Bene.
- Sai, io ti apprezzo molto come artista.
Ma smetti mai di parlare?
- Grazie.
- Davvero, secondo me hai una voce da brivido, e poi è così adatta al vostro sound! Sembra fatto apposta!
Sei semplicemente ridicolo. È fatto apposta.
- Ho ascoltato tutti i vostri album, in questi giorni… o meglio, riascoltato… ammetto che rientrate fra i miei peccati di gioventù…
Scommetto che ti senti incredibilmente brillante, con quel tuo risolino stupido e acuto…
- …e devo dire che ho apprezzato molto la vostra crescita dal punto di vista musicale! In Meds siete praticamente impeccabili, non una sbavatura, ci sono dei testi molto validi, e anche le melodie, in alcuni casi sono così ricercate… come per l’intro della title-track, ci credi che non sono ancora riuscito a replicarlo esattamente? Cosa diavolo sono quelli, armonici…?
Accavallo le gambe.
- No. Battimenti.
- Ha! Lo sapevo che doveva essere qualcosa di particolare! E io che cercavo di rifarlo all’acustica così, come se fosse un pezzo normale! Avresti dovuto vedermi lì, io e la chitarra che ci guardavamo e non riuscivamo a capirne un accidenti di niente! complimenti!
Incrocio le braccia.
- Finito?
Lui mi guarda interdetto, e se non tenessi così tanto a mantenere questa espressione glaciale, giuro che starei già ridendo vittorioso, con le mani sui fianchi e un piede sulla poltrona.
- No, perché – esplicito, - se hai altri complimenti da fare, falli tutti, così io ringrazio alla fine ed evito di sprecare fiato.
- …no… - balbetta lui, incerto, arrossendo, - …ho finito… volevo solo-
- Allora grazie. – sorrido tranquillo.
- …di nulla… - sussurra lui, e il suo sguardo scivola frenetico ai piedi del tavolino basso che separa le nostre poltrone, mentre le mani corrono alla valigetta posata lì, per terra, aggrappandovisi come a un’ancora di salvezza. – Ho portato degli appunti… non so, se ti va di guardarli…
- Allora devo ritenermi onorato… non ricordo dove, ho letto che tu non scrivi mai niente.
Conosci il tuo nemico.
L’arte della guerra è l’unica cosa che mi abbia insegnato mio padre.
L’unica cosa di cui lo ringrazi.
L’unica arma che avevo contro di lui, quando allungava troppo le mani o apriva troppo la bocca sugli affari miei, ed io potevo ribattere che non avrei preso in considerazione neanche una sillaba che fosse uscita dalle stesse labbra che leccavano champagne dai piedi delle sedicenni in Pakistan.
Bellamy mi fissa sconvolto, probabilmente sta cominciando a pentirsi di tutti i complimenti di prima.
- Generalmente no, è vero… - ammette, aprendo comunque la ventiquattrore e rovistando al suo interno, - Però ero così pieno di idee per quest’occasione che mi sarebbe dispiaciuto perderne qualcuna…
- Mmmh… - mugugno, puntellandomi il mento con l’indice, - Sbaglio, o sei stato sempre tu a dire che le idee che dimentichi le dimentichi perché non sono abbastanza buone? Quindi, se hai segnato tutto, quante idee cestinabili devo aspettarmi?
Comincia a tremare.
Sì…
Adoro esercitare questo tipo di controllo sugli altri. È lo stesso tipo di controllo che esercito sulla mia vita. Ogni cosa è conservata nel suo compartimento stagno, tra i compartimenti non passa niente e niente arriva mai troppo in fondo.
- È che avrei voluto un tuo parere per tutto… - si giustifica lui, abbassando lo sguardo, - Mi piacerebbe che questa fosse una collaborazione vera, non qualcosa in cui uno comanda e l’altro serve… e dal momento che abbiamo entrambi due personalità molto forti, pensavo che questo fosse il modo migliore per procedere…
- Capisco. – annuisco sbrigativamente, - Ci penserò.
Fine della discussione.
Lui se ne accorge, si alza in piedi.
- Allora… - lancia un’occhiata alla valigetta, aperta sul tavolo, - io queste cose te le lascio qui… aspetterò che sia tu a chiamarmi… - conclude, tirando fuori dalla tasca dei jeans un bigliettino col proprio numero di telefono e lasciandolo assieme agli altri fogli.
Annuisco e sorrido, restando immobile, le braccia ancora incrociate sul petto.
- Be’, ciao… - mormora lui, incerto.
Sollevo una mano in segno di saluto.
Bellamy annuisce lentamente, prendendo atto. Si volta. Esce dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Tre, due, uno.
- Brian!
- Alex! – le faccio il verso, sciogliendo le braccia ed aprendo le mani, sollevandole ai lati del viso ed agitandole freneticamente.
Lei non si fa intimorire.
D’altronde si chiama Alex Weston, non Matthew Bellamy.
- Che diamine hai combinato?!
La guardo, spalancando gli occhi, incredulo.
- Assolutamente niente! – mi giustifico, aggrottando le sopracciglia, in una pallida imitazione di un’espressione contrita, - È che lui è così sensibile
- Sensibile! – sbotta lei, allargando le braccia, - Hai appena sputato sopra centinaia di migliaia di sterline! Non ti facevo così idiota!
- Oh, stai tranquilla… - la rassicuro mollemente, - non l’ho perso. Non ancora, almeno. Ma probabilmente, tra una settimana, quando lo richiamerò per dirgli che tutte le sue “idee” sono da buttare, allora lo perderò. E pensa, non avrò neanche fatto finta di dare un’occhiata a questa roba! – sorrido trionfante, indicando la valigetta con un cenno del capo.
Alex allarga le braccia, sollevandole all’altezza del viso. Il mio sorriso si espande e diventa un ghigno furbo. Lei se ne accorge e le lascia ricadere lungo i fianchi.
- Brian, sono esterrefatta. Davvero, non hai mai-
- Non preoccuparti… - sbuffo annoiato, già stufo della conversazione, - Non sarai licenziata.
- Oh, sì che lo sarò! Eccome se lo sarò, se tu rifiuti questa collaborazione!
La guardo, inarcando un sopracciglio.
- …grazie al cielo. – commenta lei, con un sospiro sollevato, - Per un attimo ho creduto davvero che l’avresti mandato a quel paese…
Mi chino a recuperare un mucchietto di fogli dal tavolino, poggiandomeli in grembo.
- Sono un professionista. – asserisco deciso.
Sono un professionista.
Per tornare essere umano aspetterò settembre.
*
- Matt!
Ignorando il richiamo del proprio manager, l’inglese continuò a dirigersi verso l’uscita a passo di carica.
- Matthew, Cristo!
Tom lo raggiunse, afferrandolo per una spalla e costringendolo a fermarsi.
- Cosa diavolo hai?!
Matt si voltò a guardarlo. Era rosso in viso, aveva gli occhi lucidi, tremava di nervosismo. Sembrava aver appena subito l’umiliazione più grande della propria vita.
- Ossignore, lo sapevo…
- Non dire niente… - lo implorò Matthew, abbassando lo sguardo.
- Ma come non-
- Non dire niente! – insistette, tornando a fissarlo, adesso con rabbia, - È tutto a posto, non è cambiato niente rispetto a venti minuti fa!
- Certo, Matthew, a parte il fatto che, come da me ampiamente previsto, quel bastardo ti ha distrutto! Ma così non esiste, io non ci sto. Questa cosa adesso salta, domattina per prima cosa vado alla Universal e-
- Gli ho lasciato la valigetta con gli appunti. Gli ho detto di richiamarmi. Gli ho dato il mio numero.
- …Dio.
- Lo sappiamo entrambi che richiamerà. – cercò di sorridere Matt, stringendosi nelle spalle.
- È esattamente questo, quello che mi preoccupa! – ringhiò Tom, stringendo i pugni, - Sei stato con lui appena mezz’ora, e guardati! Sei sconvolto! Quello in un mese ti fa fuori. Non se ne parla.
- Avanti, adesso… - mormorò Matt, cominciando a recuperare il controllo di sé, - Non è stato così tremendo… è che io non ero preparato, e quindi mi ha preso alla sprovvista, ma la prossima volta-
- Senti. – lo interruppe Tom, fissandolo seriamente negli occhi, - Quello è un bastardo, ok? Ha passato l’intera vita a diventare così, e ora è il bastardo perfetto. Non è una novità, e per carità, avrà i suoi motivi, io non voglio giudicare nessuno, ma non c’è nessuna legge che ci obblighi all’autolesionismo, e per di più a settembre mi servi vivo, quindi, Matt, piantala di sorridere!
L’inglese rise, arricciando le labbra per cercare di tenerle serrate.
- Sto meglio. – disse al manager, - Davvero. Posso farcela. Non hai detto che ti fidavi di me?
- Era una frase d’incoraggiamento come un’altra!
- Be’, fa’ in modo che da oggi in poi rispecchi la realtà. Farò questa cosa. Tornerò vivo e vegeto…
Tom lo squadrò di sbieco, aggrottando le sopracciglia.
- …e illeso! Promesso.
*
Uscirai vivo e vegeto da questa cosa. Promesso.
Vivo e vegeto, ma non illeso.
- Non credevo che mi avresti richiamato davvero!
Sapevi che l’avrei fatto, Bellamy. È incredibile, hai modi più affettati dei miei.
- Sono pieno di sorprese. Senti, ho dato un’occhiata ai tuoi appunti.
- Ah! Davvero?!
- Certo.
Che pensavi? Che avrei richiamato da impreparato?
Mai mostrarsi impreparato di fronte al nemico.
Quasi mi dispiace dirlo, ma sei troppo innocente per fare questo mestiere.
- Fantastico! Dimmi tutto!
- Per la verità ho fatto un paio di note qua e là. C’erano delle cose che proprio non mi convincevano, soprattutto in quella che dici essere la “canzone perfetta” per me…
- …ah.
Deglutisce. Posso percepirlo nel suo silenzio, è terrorizzato.
- Ma ci sono delle buone basi.
- …ah!
Sorrido. È proprio come un pesce, per tenerlo all’amo basta solo sapere quando allentare la presa e quando ricominciare a tirare.
- Bene! – dice lui, la voce nuovamente satura d’entusiasmo, - Possiamo parlarne agli studi, domani o dopodomani o quando vuoi tu!
- Per la verità… - butto lì, come fosse casuale, - preferirei incontrarti a tu per tu in un posticino carino… dove poter parlare senza interferenze. Una cosa informale, capisci? Le occasioni ufficiali tirano fuori sempre il peggio di me.
- Ah… ah-ha. Capisco. Be’… voglio dire, per me non c’è problema…
È terrorizzato, terrorizzato a morte. Dio, che soddisfazione!
- Perfetto. Ci vediamo al McDonald’s davanti al cancello principale di Hyde Park?
- Andiamo lì?
- Mh… no.
Ovviamente. Quello sarebbe territorio neutrale. Ed io invece non voglio lasciarti alcun vantaggio.
- Poi ti porto in un posto che conosco io. Facciamo fra un’ora?
- …d’accordo…
- Perfetto.
Davvero perfetto, Bellamy.
Papà Molko ti spiegherà esattamente chi sarà il capo e chi il servo, in questa collaborazione.
*
Brian era già lì ad aspettarlo. Era vestito in nero, non aveva un capello fuori posto ed il trucco era perfetto praticamente a livello professionale.
Matthew scrutò il proprio riflesso prima nello specchietto retrovisore dell’auto appena parcheggiata, e poi, trovandolo troppo piccolo per poterne cavare un’idea precisa di come fosse conciato, spostò lo sguardo sul finestrino, cercando lì le conferme che gli mancavano. Ovvero che sì, per quanto il riflesso del finestrino potesse essere meno nitido, lui era esattamente il disastro che lo specchietto gli aveva rimandato indietro alla prima occhiata.
Si era palesemente fatto ingannare. Aveva creduto che “incontro informale”, nella complicata lingua Molko, volesse dire davvero “incontro informale”, un incontro fra amici, e perciò s’era presentato come si sarebbe presentato a un appuntamento con Dom: capelli appena pettinati, una maglietta bianca random e un paio di jeans.
Era la sciatteria personificata.
E Brian, davanti al McDonald’s, teneva le braccia incrociate sul petto, picchiettava un paio di costosissime Fendi sul marciapiede e fingeva di non averlo ancora visto.
Matthew sospirò, dandosi dell’imbecille per l’ennesima volta in cinque minuti, e decise di restare a guardare Brian fino a quando lui si fosse degnato di fargli sapere che l’aveva già adocchiato.
Cosa che puntualmente accadde tre secondi dopo.
Matthew lo osservò schiudere le labbra con malcelato, falsissimo stupore, e sollevare un braccio nella sua direzione, muovendolo lievemente per salutarlo.
Sorrise.
Tom avrebbe potuto avere ragione su tutto.
*
Adesso ti insegno come si fa, Bellamy. Sta’ bene attento, prendi appunti.
- Eccoti qui.
- Scusa per il ritardo! Aspetti da molto?
Sorrisino tirato. Senza preoccuparsi di mostrarlo bugiardo per com’è.
- No, figurati, solo una mezz’oretta abbondante.
- …capisco. Comunque, dove pensavi di andare?
Sorriso più tranquillo, sereno, padrone.
- Io abito giusto qui sopra. Possiamo salire da me, se ti va.
Scacco matto. In quante mosse? Appena tre.
Spero tu abbia imparato qualcosa, quella di oggi è stata una performance spettacolare.
- D’accordo…
Oh, bene, vuoi giocare ancora, allora.
Certo, non mi tiro indietro. Ma il prossimo round si fa a casa mia.
Lo osservo con la coda dell’occhio guardarsi intorno nell’ingresso, osservarne lo sfarzo, adocchiare l’ascensore. Seguirmi con imbarazzo e circospezione su per le scale, ascoltare distrattamente il mio ancor più distratto “sto al primo”, fissare il corrimano in legno lucido color miele e gli scalini in marmo misto.
Dio, ho quasi l’impressione che potrebbe voltarsi e scappare già adesso!
- Stai proprio in un bel posto. – afferma con aria sognante, un attimo prima di entrare in casa.
Spero sinceramente che abbia il collasso che si merita, quando sarà dentro.
*
- Che casa magnifica!
Brian ridacchiò debolmente, accomodandosi in salotto senza neanche invitarlo a fare lo stesso.
- Avanti, non dire così… anche la tua sarà sicuramente all’altezza.
Matthew ripensò al proprio monolocale da scapolo incallito accanto agli studi della Universal, e rabbrividì.
Avrebbe potuto scommetterci tutti i propri soldi: lui lo sapeva.
Si sedette sul divano accanto alla poltrona dove stava Brian, mettendosi in punta, come temesse che rilassandosi troppo avrebbe perso perfino quel minuscolo briciolo di controllo che ancora possedeva.
- Ehm… - azzardò, torturandosi le dita, - Vuoi parlarmi di quelle famose note di cui mi avevi accennato al telefono? Sono curioso di sapere cosa pensi delle mie idee…
Brian si rilassò contro lo schienale della poltrona. Accavallò le gambe.
- Mh… no. – mugugnò, - Sai, per la verità non è che i tuoi appunti fossero così chiari… e non vorrei esprimere un’opinione sbagliata solo perché magari non sei riuscito a farmi capire esattamente di cosa stavi parlando… che ne dici di rispiegarmi tutto da capo?
Matthew deglutì.
Cercò di fare mente locale: per nessun motivo apparente, il cuore gli stava esplodendo nel petto; gli fischiavano le orecchie; aveva la mente così vuota che, se la sua vita fosse stata un cartone animato, nel suo cranio si sarebbero rincorse le nuvole di fieno del far west.
Brian l’aveva preso in trappola. L’aveva rincoglionito di chiacchiere – e non gliene erano servite neanche tante – e ora lo stava sfidando a tirare fuori qualcosa di sensato dalla bocca. I suoi occhi brillanti, verde cattiveria, gli stavano dicendo “avanti”, gli stavano dicendo “mostrami quello che sai fare”, gli stavano dicendo “attento, perché adesso dipende tutto da te”.
E lui, in quel momento, non capiva più niente.
Era fottuto.
Cercò di sistemarsi meglio sul divano, senza scivolare troppo in fondo ai cuscini. Doveva cercare di rendere la probabile fuga il più semplice possibile.
Nonostante la paura folle che sentiva scuotergli i respiri, riuscì a comprendere che lasciarsi andare a un delirio interiore e cominciare a strillarsi “scappa!!!” nella testa non l’avrebbe portato a nulla che non fosse un disastro. Avrebbe perso la faccia di fronte a due delle major più importanti del mercato, avrebbe messo nei guai Tom e Brian avrebbe riso di lui fino a sfinirsi.
Erano tre possibilità che non intendeva ammettere. E soprattutto l’ultima in quel momento gli sembrava intollerabile.
Prese un profondo respiro e guardò Brian, che lo fissava di rimando, perfettamente a proprio agio.
In fondo, non aveva che da parlare. Parlare era sempre stato il suo forte.
- Io ti ho sentito cantare la prima volta quando avevo diciott’anni. – disse, evitando il suo sguardo e fissando il proprio sulle dita che continuava ad intrecciare in grembo, - Ero una specie di ragazzino sbandato, al tempo. Facevo cose stupide. Andavo in giro con questo gruppo di tipe che si facevano chiamare “le streghe”, ed erano completamente pazze per la vostra musica. C’era questo stanzino, dove facevano delle… delle pseudo-orge o qualcosa del genere… eravamo tutti veramente dei ragazzini, quindi niente di particolarmente perverso, ma… - gli scoccò un’occhiata, intuendo appena la curva stranita delle sue sopracciglia, e le labbra arricciate in una smorfia incredula, - …sono cose che segnano la vita di un adolescente, credo. C’erano sempre i Placebo in sottofondo, in quel posto. – sospirò, - È stata lì la mia prima volta. E c’era la tua voce a fare da colonna sonora.
Brian sciolse le braccia e si accomodò meglio sulla poltrona, poggiando il gomito sul bracciolo e il mento sul palmo aperto.
- Poi vi ho persi di vista. Sono entrato in quel periodo stupido che credo attraversino tutti i giovani compositori… - ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca, - Quello in cui non ti vergogni di dire ai giornalisti che “non ascolti nulla per evitare influenze esterne”. Sono stronzate, ma – ridacchiò ancora, - be’, succede.
Sollevò lo sguardo su Brian, e lui annuì, fissandolo come se stesse chiedendosi dove diavolo volesse andare a parare.
- Quando vi ho risentiti di nuovo, era il duemila e quattro. Cioè praticamente dieci anni dopo. All’inizio quasi non potevo crederci, non sembravate neanche voi… la struttura musicale della canzone era completamente diversa da quelle che avevo ascoltato fino alla nausea nel primo album, e anche la tua voce si era… era cresciuta. Era più profonda, più ipnotica.
Lo guardò ancora.
Brian aveva stretto le labbra, e sembrava indeciso fra la possibilità di morderle e quella di spalancarle e strillare.
Matt si accorse che c’era qualcosa che non andava. Ma stava seguendo il filo di un discorso e non intendeva abbandonarlo. Non intendeva cedere. Non intendeva perdere. Non in casa sua.
- Quella canzone era English Summer Rain. E quando l’ho ascoltata io ho deciso che, se mai avessi scritto qualcosa per qualcun altro, avrebbe dovuto essere una filastrocca ammaliante di quel tipo. E avrebbe dovuto essere per te.
Si interruppe qualche secondo, ascoltando l’aria, cercando di captare il suono del fremito che vedeva agitarsi nel fondo degli occhi di Brian.
Quell’uomo sembrava sul punto di esplodere. E Matthew non aveva la più pallida idea di cosa avesse fatto per scatenare una reazione simile, ma era certo del fatto che quello fosse un punto a proprio favore nella silenziosa battaglia camuffata di gentilezze che lui e Brian stavano conducendo da quando s’erano incontrati la prima volta.
- È stato per questo che, quando la Universal mi ha proposto di collaborare con qualcuno, ho fatto subito il tuo nome.
Brian sbottò uno sbuffo di fiato, e sembrò rinsavire all’improvviso. Tornò ad accomodare con grazia il mento sulla mano e accavallò le gambe, sporgendosi tutto a sinistra, quasi avvolgendo il bracciolo della poltrona col proprio corpo.
- Cioè tutto questo è stata una tua idea? – chiese indifferente, guardandogli attraverso come fosse stato trasparente.
- …non è proprio così… voglio dire, io ho dato dei nomi, tu eri il primo, poi sono state la Universal e la Virgin a prenderla così dannatamente sul personale… - si giustificò lui con un mezzo sorriso, che non mancò di giudicare già da sé inappropriato, soprattutto dal momento che stava mentendo.
Brian annuì.
Quel senso di smarrimento che fino a poco prima Matthew sembrava percepire così chiaramente s’era del tutto volatilizzato negli ultimi secondi. Brian era di nuovo lì. Algido e immobile come una statua di cera, spaventoso. Quel briciolo di… umanità… che gli aveva visto brillare nelle pupille era completamente scomparso.
- Bellamy, non so se tu hai compreso bene il guaio in cui ti sei cacciato.
Dischiuse le labbra e lo guardò, incapace di trovare qualcosa con cui rispondere. D’altronde, a Brian sembrava non interessare affatto il suo parere sull’argomento. E dal momento che a lui era stato concesso un monologo più che soddisfacente, non gli sembrava il caso di privare Brian dello stesso diritto.
- Voglio essere onesto con te. – disse il frontman dei Placebo.
- È esattamente quello che voglio io! – confermò annuendo Matt, sperando per un secondo di aver fatto breccia da qualche parte e magari scalfito la corazza dell’uomo che gli stava di fronte.
- No, tu non vuoi davvero che io sia onesto con te, Bellamy. – disse Brian, sorridendo crudelmente e scuotendo il capo, - Tu vorresti che io ti ringraziassi per il pensiero e mi mettessi ai tuoi ordini.
- Io non-
- Sì, invece. Tu hai sempre desiderato comandarmi.
Si alzò in piedi, e Matthew lo osservò compiere quel movimento con esasperante lentezza, sconvolto: era davvero lui a muoversi così lentamente, come nei film, quando arriva il momento topico e i registi usano quest’espediente per fissare l’attenzione dello spettatore su un particolare che non sono stati in grado di mettere in risalto in modo meno pacchiano?, oppure solo a lui sembrava che Brian si muovesse così, ed era a causa del fatto che sembrasse perfettamente a proprio agio in ogni situazione, e che desse l’idea di poterlo essere sempre, indipendentemente da cosa gli fosse capitato?
Senza accorgersene, si tirò indietro, scivolando sui cuscini del divano fino a cozzare contro lo schienale dietro di sé.
Brian lo sovrastava, di fronte a lui, e lo scrutava attentamente, le mani sui fianchi e le gambe lievemente divaricate.
- A quanto pare sono stato parte della tua vita molto più a lungo rispetto a quanto tu lo sia stato della mia. – spiegò Brian, chinandosi su di lui per guardarlo meglio negli occhi, - E questa cosa probabilmente ti infastidisce. Io non credo affatto che tu mi ammiri, Bellamy, io credo che tu sia invidioso di me. Del mio successo, sì, ma soprattutto degli anni di esperienza che ho più di te. Questo vuoto non riuscirai mai a colmarlo, perché per quanto tempo tu possa passare a fare il musicista, il mio sarà sempre maggiore.
- Brian… - boccheggiò lui, stordito dalle sue parole e dalla sua improvvisa vicinanza. Sempre più grande, sempre più pericolosa, secondo dopo secondo, - Non ho mai-
- Forse non in pubblico. – rise malizioso Brian.
E poi praticamente gli salì addosso. Gli si sedette in grembo come in sella a un cavallo, e gli posò le mani sulle spalle per tenerlo ancorato al divano. Si chinò sul suo viso, lo sfiorò con lo sguardo e col respiro, e poi raggiunse un orecchio e riprese a bisbigliare.
- Forse non in pubblico. Ma quante volte in privato hai pensato che avresti voluto darmi la lezione che meritavo…? – gli disse, sorridendogli addosso, - Tu mi disprezzi, Bellamy… disprezzi il mio modo di intendere lo spettacolo, di intendere la musica. Disprezzi il lavoro che faccio nel portare avanti la mia band e la mia immagine, disprezzi il mio successo e disprezzi ogni singola parola che mi esce di bocca. Quanto sei stato felice quando ti ho consegnato il premio per Absolution? Quante volte, guardandomi durante quella premiazione, hai pensato “adesso hai quello che ti meriti, Molko”? E quante volte, davanti ai giornalisti, hai nascosto questi pensieri dietro un “apprezzo i Placebo, è un peccato che loro non apprezzino noi”?
Matthew serrò le labbra e deglutì.
Non c’era una sola parola vera fra quelle che Brian gli stava vomitando addosso come lava bollente.
Ma in quel momento, pur di scappare dalla morsa d’acciaio delle sue mani sulle proprie spalle e delle sue cosce attorno ai propri fianchi, avrebbe confermato qualsiasi cosa.
- Una volta hai detto di essere bravo a capire il perché della cattiveria delle persone. – continuò Brian, tornando a guardarlo e stringendo la presa, - Allora dimmi, Bellamy: perché ti sto facendo questo, adesso?
Non. Voglio. Saperlo.
Sollevò le braccia. Dapprima fu un movimento incerto. Non era davvero sicuro di volerlo fare. Scansarlo in quel momento avrebbe significato troppe cose… dargli ragione, cedergli il passo, confermare che, lo stava sconvolgendo, dargli l’occasione, fornirgli il pretesto perfetto per obbligarlo a mollare.
Ma lui era decisamente troppo vicino per continuare a tollerarlo.
E perciò gli piantò le mani sul petto e lo spinse sul pavimento, liberandosene.
- Non lo so. – mormorò, in un sospiro che gli parve distrutto, alzandosi in piedi e guardandolo dall’alto, - Vai oltre la mia comprensione, Brian.
Lui sorrise, appoggiato per terra con tanta naturalezza da far pensare quella fosse la sua posizione naturale.
- Tutto qui quello che hai da dire? – chiese, stringendosi nelle spalle.
- …cos’altro vorresti sentire?
Brian strinse le palpebre, allargando il sorriso.
- Ci stavo palesemente provando. Per quale altro motivo pensi mi sarei avvicinato tanto?
Matthew rabbrividì.
- No! – ringhiò.
- No? Non è la risposta alla domanda che ho fatto…
- No! – ripeté Matthew, muovendosi verso la porta senza staccargli gli occhi di dosso.
- Mai mostrare le spalle al nemico. – mormorò Brian in un soffio a malapena udibile, - Impari. Lentamente, ma impari.
- Senti, io non so cosa-
- Se esci da quella porta perdi. – disse Brian più deciso, sollevandosi in ginocchio e poi in piedi, - Il tuo “no” è una sconfitta.
- Non puoi dire questo! – si difese Matthew, fermandosi a un passo dalla porta, - Non puoi pensare che siccome per te allontanarsi in una situazione simile è sinonimo di sconfitta, allora anche per il resto del mondo-
- Non stavo parlando del resto del mondo. – lo interruppe lui, impietoso, - Non mi frega un cazzo del resto del mondo. Non mi interessa se fuori da questo appartamento tutti dicono “povero Bellamy, costretto a lavorare con l’arpia”, e ti trattano come un principino perché sei buono e gentile con tutti. Che dicano quello che vogliono. Io ti ho messo alla prova. E tu hai miseramente fallito.
- …no… - sputò fuori Matt in un mezzo singhiozzo, - no, io… non è così, tu… tu sei…
- Sono esattamente quello che tutti dicono. Uno stronzo. Una puttana. Quanto di peggio si possa incontrare.
Matthew afferrò la maniglia.
Aveva sentito abbastanza. Aveva sentito troppo.
- Tu cosa sei, Bellamy? – gli chiese Brian con un ghigno crudele sul volto.
Lui si rifiutò anche solo di pensare a una possibile risposta. Scivolò giù per le scale come stesse volando, e scappò da quel palazzo neanche fosse stato in fiamme.
Il pensiero che l’avrebbe rivisto troppo presto rispetto a quando avrebbe voluto lo terrorizzava in quel momento come mai prima.
*
Avrebbe dovuto fermarsi un attimo, magari smettere di picchiettare con la punta del piede per terra, osservando Matthew scappare per la strada come un coniglio in corsa, e sedersi da qualche parte, in silenzio, nella massima tranquillità, per riflettere e cercare di capire per quale accidenti di motivo aveva praticamente molestato il cantante dei Muse senza che ce ne fosse alcun bisogno.
Non era eccitato, si disse, guardandosi negli occhi attraverso il riflesso del vetro della finestra, e non stava cercando una scopata facile. Ed anche se l’avesse cercata, Matthew Bellamy decisamente non lo sarebbe stato. Non c’era nessuna scommessa in ballo, non doveva dimostrare a nessuno di essere in grado di portarsi a letto una qualsiasi vergine di ferro, e soprattutto lui neanche gli piaceva.
Quindi cosa. Perché.
Perché?
Si staccò dal davanzale, con enorme difficoltà, scollando con uno sforzo titanico lo sguardo dalla figura di Matt che, sempre più piccola, si allontanava verso la propria macchina e scompariva oltre lo sportello.
Dio.
Si gettò a peso morto sul divano, stendendo il capo su un bracciolo e i piedi sull’altro.
Dio!
Chiuse gli occhi.
Che hai combinato?
Perché l’hai fatto?

- Parlava troppo. – disse ad alta voce, come volesse convincersene.
Parlava troppo, d’accordo. Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo?
- Stava dicendo cose fastidiose.
Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo?
- È stato lui a tirare fuori il sesso per primo. Ha parlato della sua prima volta. Ha associato alla sua prima volta la mia voce…!
Quindi gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo.
- Non ho provato a scoparlo.
Sfiorò appena con una mano il tessuto del divano accanto a sé.
…ancora caldo.
Scattò in piedi e si guardò riflesso nell’enorme specchiera parietale inchiodata al muro di fronte a lui.
- Dio… - mormorò, passandosi una mano sulla fronte, lungo la guancia, giù per il collo, e lasciandola poi riposare inerme sulla spalla.
Era disfatto.
Sudato.
Agitato.
Pregò che Bellamy non avesse notato niente di tutto quello sconvolgimento. Pregò che la piazzata che gli aveva fatto l’avesse terrorizzato abbastanza da farglielo dimenticare, semmai l’avesse notato.
Si diresse a passi svelti verso il bagno e quando fu lì tappò il lavandino e aprì il rubinetto dell’acqua fredda, osservando il getto scorrere veloce e ordinato e riempire il lavabo.
Era scattato qualcosa.
L’aveva sentito chiaramente.
Nel momento in cui lui l’aveva sfidato e Matthew aveva raccolto la sfida, era cambiato qualcosa. Forse nello sguardo dell’inglese, forse nel suo modo di vederlo, nel modo in cui entrambi si squadravano da capo a piedi, cercando di trovarsi un senso a vicenda. Senza volerlo davvero.
Qualcosa si era trasformato.
…Matthew aveva risposto. Lui aveva fatto di tutto per metterlo in difficoltà, per metterlo in imbarazzo, per confonderlo, e poi gli aveva chiesto di parlare, e quello avrebbe dovuto essere il momento del trionfo, il momento in cui l’avrebbe guardato e, ridendo, gli avrebbe dato dell’idiota, dell’incompetente, del ridicolo.
Ma Matthew aveva parlato. E non aveva detto cose qualsiasi.
Per quanto fosse sconvolto, era stato in grado di trovare le parole esatte per…
…per cosa, poi?
Cos’era successo?
S’era sentito, mentre lo ascoltava. S’era sentito tremare, e sudare. S’era sentito respirare pesantemente. S’era sentito sgranare gli occhi, aveva percepito distintamente ogni cellula del proprio corpo mettersi in agitazione, ogni senso espandersi e acuirsi, ogni organo percettivo dare l’allarme.
Come aveva osato… mostrarsi così… perfettamente preparato… quando avrebbe solo dovuto chinare il capo e dichiararsi sconfitto? Come aveva osato opporre resistenza? Come aveva osato sfuggirgli?
Non è Bellamy che vuole comandarti, Brian.
Sei tu che vuoi comandare lui.
Sei tu che ti ostini a provarci.
Adesso, sei tu che scopri che non puoi riuscirci.
Gli sei salito addosso e hai provato a scopartelo.
Te lo saresti scopato sul serio.
Avresti dimostrato a te stesso di poter mantenere la supremazia, in un modo o nell’altro, e avresti mostrato a lui chi era il capo.
…non sei riuscito a fare niente di tutto questo.

Strinse gli occhi con forza, allontanandosi con disgusto dal proprio riflesso disfatto nello specchio. Fissò la piccola pozza d’acqua che si gonfiava nel lavabo fra le sue mani, e con un gesto lento e annoiato richiuse il rubinetto fino a quando non rimasero che poche gocce a scivolare giù dal tubo metallico, per infrangersi contro la superficie dell’acqua e dare vita a piccoli cerchi concentrici che sarebbero morti pochi centimetri più in là.
Si chinò.
Annegò.
E quando resuscitò si passò una mano sugli occhi e scoppiò a piangere.
Gli fecero compagnia solo il silenzio enorme dell’appartamento e il suono minuscolo delle gocce che si tuffavano pigre in piscina, saltellando dal tubo come da un trampolino.
Il rubinetto perde, pensò distrattamente, e non ricordo dove Helena teneva il numero dell’idraulico.
*
Non ho la più pallida idea di come sia passata questa settimana.
Ricordo vagamente Alex venirmi a recuperare direttamente a letto, lunedì mattina. Ricordo le sue urla e ricordo che mi ha detto qualcosa tipo “se potessi ti licenzierei io!”. Ricordo che mi ha portato in studio, che Matthew era già lì e faceva di tutto per non guardarmi negli occhi, e ricordo che, salutandolo tranquillamente, come fosse stato tutto a posto, Alex mi ha bisbigliato di comportarmi da uomo adulto e mettermi al lavoro.
Io ricordo di averla afferrata per un polso.
Di averla trascinata fuori di lì.
Di averla fissata negli occhi, di averle visto attraverso, di aver visto anche attraverso la porta, di aver osservato lo sguardo spaurito di Bellamy ancora seduto al suo posto e poi di essere tornato indietro, di nuovo dentro di me, e di averle strillato contro “cosa ti aspetti che faccia esattamente?!”, con cattiveria, con rabbia, come fosse stata lei la causa di ogni mio male.
Ricordo il suo sguardo glaciale. Quella piccola vena sulla fronte, quella che si ingrossa quando è veramente furiosa. Le braccia incrociate sul petto – era distante anni luce da me.
Ricordo che mi ha detto “guadagnati i soldi che ti diamo, Brian”. Ricordo che mi ha detto “guarda che avete una settimana per stabilire che brano volete preparare, poi parte il tour”.
Io non ne sapevo niente.
Ovviamente.
Perché, quando lei mi aveva annunciato della collaborazione, “oh, che bello, vediamo di capire in cosa consiste!” non era stato esattamente il primo fra i miei pensieri. Ma neanche l’ultimo. Semplicemente perché non era stato affatto fra i miei pensieri.
“Riassunto delle puntate precedenti”, ricordo di aver detto.
“Divertente”, ricordo sia stata la sua risposta, “Canzone. Nuova, vecchia, cover, vostra, loro, non importa. Una cosa qualsiasi. E poi giro per tutta quell’enorme quantità di stupidissimi festival musicali estivi che affollano la costa”.
La costa.
Cioè, l’Inghilterra è una fottutissima isola, cazzo.
La costa, dice lei.
Poi non ricordo molto altro.
Sono entrato in quella stanza, lui mi ha salutato timidamente, siamo rimasti in silenzio. Dopo qualche secondo di imbarazzo talmente profondo che quasi ci sono affogato, è riuscito a tirare fuori la voce e – poco – cervello solo per improvvisare uno di quei discorsi totalmente idioti e totalmente inutili del tipo “siamo adulti, siamo professionisti, mettiamo da parte i vecchi rancori – e anche quelli nuovi, ho pensato io, ma lui non l’ha detto – e lavoriamo seriamente”.
Ho annuito lentamente. Neanche mi rendevo conto. Ho annuito perché dovevo farlo.
Lui ha lanciato uno sguardo ai fogli degli appunti sparsi sul tavolo. Il foglio della “Canzone Perfetta” in cima. Ha guardato lui, poi me. Ha sbuffato.
“Cover?”, ha chiesto.
“Cover.”, ho risposto.
Non so come siamo riusciti a trovarci d’accordo sulla canzone da utilizzare – David Bowie, piaceva a me, piaceva a lui, Changes non era poi così difficile e ai fan avrebbe fatto piacere – non so come siamo riusciti a provare, non ho la minima idea di quanto possa essere piacevole il risultato finale. So che lui sfalsetta, come al solito. So che io strascico le parole, come al solito. Fine.
Non so, davvero, come sia passata questa dannatissima settimana.
Invece so benissimo com’è passato lui. Bellamy.
Come un camion.
Sopra di me.
So che può sembrare che il più delle volte io sia solo un maledetto bastardo egoista ed egocentrico totalmente disinteressato a tutto ciò che lo circonda, ma la verità è che per fare il maledetto bastardo egoista ed egocentrico eccetera eccetera devi essere dannatamente interessato a tutto il resto. Devi interessarti della gente, per cercare di capire se la gente si interessa a te. Devi interessarti dei loro gusti, per andar loro incontro. Devi essere morbido, malleabile, sfuggente, per prendere tutti senza lasciarti prendere da nessuno. Plastilina colorata. Che basta un rastrellino e cambia forma.
E quindi io in definitiva passo la mia intera vita ad osservare. Faccio la parte dello stronzo che avanza come un carro armato pestando tutto e tutti senza neanche accorgersene, ma in realtà io so sempre molto bene chi sto pestando, e se pesto qualcuno è perché voglio farlo, non perché m’è capitato casualmente sotto i piedi e mi sono detto “oh, be’, uno più, uno meno”.
Ho osservato mio padre rinunciare all’inutile tentativo di trovare un modo per governarmi, ed ho gioito.
Ho osservato mia madre sospirare e scuotere il capo di fronte ai miei milioni di capricci, rassegnandosi ad un figlio perennemente insoddisfatto, e ne sono stato triste.
Ho osservato Helena perdere ogni speranza di trovare ancora un motivo per aggrapparsi a un rapporto che, a conti fatti, visto il tempo passato insieme e quello passato da soli, non esisteva più, e ne sono morto.
Adesso osservo Bellamy.
Da mio padre, a mia madre, ad Helena, a lui. Non so neanche perché lo annovero fra gli Eventi della mia vita, in teoria non ha senso. Non ha senso perché lui non è nessuno, perché non è mai stato niente e perché grazie al cielo non c’è pericolo che diventi qualcosa in futuro – per merito soprattutto della mia abile opera di scoraggiamento, c’è da dire – anche se qualsiasi psicologo non farebbe che cercare di convincermi del contrario…
Però lo osservo. E più passa il tempo più capisco.
Lui sta lavorando sul serio, e probabilmente si sta davvero appassionando a ciò che sta facendo. Lo osservo chinarsi sugli spartiti ammonticchiati sul tavolo, increspare le labbra ed aggrottare le sopracciglia. “Non ci capisco niente…”, mormora, e prende un foglio tra il pollice e l’indice, sventolandoselo davanti alla faccia come se pensasse che, scuotendolo, dagli strani segnetti che ci sono fra le righe dovesse uscire fuori un qualche suono, un qualche linguaggio che anche lui riesca a comprendere, magari della musica. Sta facendo degli sforzi per starmi dietro, io lo vedo, anche perché da parte mia sto facendo di tutto per rendergli la vita un inferno. Avrei quantomeno potuto dire “d’accordo, la canzone riarrangiala tu e basta”, ma no, ho dovuto pretendere di studiare con lui ogni linea melodica, a partire dalla batteria per finire con gli effetti da adottare per la chitarra, ho dovuto piazzarlo davanti al software musicale del pc ed obbligarlo a mettere su carta le idee strampalate che ogni tanto si lasciava sfuggire, al punto che ormai temo abbia paura anche solo di dire “sai, pensavo che”.
Per non parlare del resto del team. Credo di aver già fatto impazzire la metà della band che ci farà da supporto durante il tour. Anche perché, quando c’è bisogno di discutere qualcosa, chessò, riguardo la linea di basso, non vado mica dal bassista, no, figurarsi. Vado da Matthew. Incuriosisce il fatto che né io né lui suoneremo mai quello strumento sul palco, come ama ripetermi Alex, scuotendo il capo e sospirando pesantemente, ma il fatto è che io voglio tenerlo al lavoro e sinceramente non m’interessa un’interazione con qualcun altro, per quanto minuscola e insignificante o necessaria e impellente possa essere.
M’interessa solo stare con Bellamy. Solo capire lui.
“Tu cosa sei?”, gli ho chiesto, ed era la tipica frase ad effetto perfetta per uscire dalla bocca del cattivo quando il supereroe di turno abbandona il campo, sconfitto, ma non era solo questo.
Io ho provato a ucciderlo.
A uccidere la sua ispirazione, a uccidere le sue motivazioni, a uccidere il suo coraggio e tutte le sue idee.
Lui è sopravvissuto.
E, mentre mi parlava di streghe, orge e della mia voce durante la sua prima volta, nel fondo dei suoi occhi io ho intravisto una luce che mi è sembrato potesse spiegare tranquillamente tutta quella forza d’animo enorme, quella sovrabbondanza di personalità che gli ha permesso di salvarsi dai miei attacchi continui.
Solo che io quella luce non l’ho capita. Non sono affatto riuscito a catturarla. Ne ho colto solo una scintilla, e non m’è bastata.
È la stessa luce che vorrei io. È la luce che mi permetterebbe di… di smettere di guardarmi intorno con aria smarrita quando torno a casa e la trovo vuota, di riprendere a lavorare tranquillamente, di recuperare le redini della mia vita e ricominciare a indirizzarla su una strada più sicura e meno accidentata delle notti insonni passate a rigirarsi nel letto, divorato dalla solitudine…
È per questo che non m’interessa altro, adesso. Solo lui. Voglio carpire ogni segreto, notare ogni particolare, imprimere la sua persona, la sua presenza, la sua essenza nel fondo dei miei occhi, per utilizzarla poi a mio piacimento.
Credo che l’esclusivismo che gli concedo lo inorgoglisca, un po’, anche se ormai, quando sono nei paraggi, sta così sulla difensiva che è impossibile dirlo con certezza.
…sinceramente, io non gli voglio male. Non lo odio. E non ce l’ho con lui perché è lui. È praticamente un ragazzino, è così giovane e immaturo che ho quasi voglia di nasconderlo sotto la mia ala protettiva e insegnargli a vivere piano piano, a piccoli passi.
Solo che no, non lo farò. Perché pur essendo una persona vagamente tollerabile, Matthew ha rubato tutte quelle cose che avrebbero potuto essere mie e non lo sono mai state.
Lui ha talento. Ha la vittoria facile. Ha un enorme ed acutissimo senso dell’ironia, ma non lo utilizza mai per ferire gli altri. È predisposto al lavoro duro, è naturalmente portato a compierlo tutto fino alla fine senza lamentarsi, e anzi, a cercare di tirarne fuori il meglio. È svelto ed estroso nelle associazioni mentali, e credo sia stato l’unico a seguirmi mentre, in riunione, durante uno dei rari momenti in cui mi sentivo in vena di lavorare, ho esposto alcune delle idee che avevo per l’organizzazione sul palco durante gli show.
Dopo tutto questo, sì, io sono certo che abbia anche dei difetti. Perché nessuno ne è privo.
Solo che non li vedo.
O forse lo conosco ancora troppo poco per poterne parlare.
*
Tom non aveva figli, ma era convinto che la sensazione che stava provando in quel momento – un’orribile commistione di ansia, fastidio e irritazione – fosse esattamente quella che qualsiasi padre ha provato almeno una volta nella propria vita, andando a recuperare un figlio in casa di amici ad un orario improbabile della notte.
Nella fattispecie, erano le tre del mattino, e già da una mezz’oretta lui pestacchiava col piede nei pochi centimetri di spazio liberi da pedali accanto all’acceleratore e stringeva le braccia incrociandole sul petto, mormorando rimproveri e lamenti a bassa voce, cercando di tenere il conto di tutti gli improperi che avrebbe rigettato addosso a Matt non appena l’avesse visto.
Lanciò un’occhiata distratta all’ingresso illuminato del palazzo e lo vide.
Stava prendendo un enorme respiro e probabilmente sperava che lui non l’avesse ancora notato. Sospirò pesantemente e pressò una mano contro il clacson. Vide Matt saltare letteralmente in aria ed affrettarsi a spalancare il portone ed agitare una mano per fargli capire che sarebbe arrivato in un secondo, e poi lo vide effettivamente uscire, muovere qualche passo verso la macchina… e fermarsi. Voltarsi. Lanciare uno sguardo in alto. Salutare Brian che lo fissava oltre il vetro della finestra al primo piano. E poi tornare a guardare lui, come niente fosse stato, sorridergli e infilarsi in macchina, erompendo in una serie infinita di “grazie” e “scusa” ad una tale velocità che quasi Tom dimenticò la ramanzina mentre cercava di contarli.
- Matt… - gli disse, tentando di mostrarsi paziente, una volta che lui ebbe finito di dispiacersi e ringraziare, - Non è che per me sia un fastidio venirti a prendere dovunque tu sia e in ogni momento tu voglia, eh. – seguì le sopracciglia di Matthew incurvarsi verso l’alto e si affrettò a correggersi, - Cioè, d’accordo, non faccio i salti di gioia. Ma se ti serve una mano lo sai che sono sempre disposto a dartela, insomma, l’ho sempre fatto…!
- Sì, sì, lo so… - lo interruppe Matt con una risata cristallina, nonostante le molte ore di lavoro sulle spalle, testimoniate dalle orribili borse sotto gli occhi che si trascinava dietro.
- Però-
- Sapevo che ci sarebbe stato un però!
- Fammi finire… - borbottò lamentoso.
- No, so già anche cosa vuoi dirmi…
- E va bene! – sbottò Tom, battendo irritato le mani sul volante, mentre metteva in moto la vettura e si reintroduceva nel traffico notturno di Londra, - Sai cosa? Non mi interessa se sei entrato nella fase adolescenziale nella quale non ti fa piacere sentire i rimproveri di papà! Adesso mi ascolti!
Matthew sospirò e appoggiò il capo contro il finestrino, fissando oltre il buio in un posto invisibile all’interno della propria testa.
Tom comprese che qualsiasi parola avesse usato da quel momento in poi sarebbe andata perduta nelle pieghe del silenzio di cui Matt si stava riempiendo il cervello, ma questo non lo fermò.
- Matthew, - disse, con la stessa pazienza di un padre, - questa cosa non ti sembra strana?
Lui non rispose, ovviamente.
- Insomma, lavorate già svariate ore agli studi, e nonostante questo lui poi pretende comunque di obbligarti ad andare a casa sua per continuare a lavorare. Ed è solo una fottutissima canzone! Non oso immaginare cosa ti avrebbe costretto a fare se fosse stato un intero album!
Matt si passò velocemente la lingua sulle labbra, inumidendosele, continuando a fissare le luci dei lampioni scorrere veloci oltre il finestrino.
- Matthew!
Niente.
Tom si morse un labbro, tornando a guardare la strada. Furente com’era, se non avesse prestato abbastanza attenzione lui e Matt si sarebbero andati a schiantare contro il primo palo/albero/idrante disponibile, e non sarebbe stato un bene.
Oltretutto, era evidente che Matthew non aveva neanche percepito una parola che fosse una, quindi per quale motivo continuare a insistere? Se aveva intenzione di infliggersi delle pene sempre maggiori, cercando di espiare un qualche terribile peccato di gioventù – perché Tom non riusciva ad immaginare nessun altro motivo che potesse portare un uomo a farsi questo – chi era lui per fermarlo? Amen.
- Più che altro mi guarda. – disse Matthew all’improvviso, senza voltarsi.
Tom gli lanciò un’occhiata svelta e spaventata. Per un attimo aveva creduto che si fosse addormentato e stesse parlando nel sonno, tanto lontana e bisbigliata sembrava la sua voce.
- Eh? – chiese, fermandosi ad un semaforo.
- Mi guarda. – spiegò Matt, impassibile. – Abbiamo finito di lavorare alla canzone già da secoli, ovviamente è già pronta. Partiamo fra due giorni, hai sempre saputo che l’avremmo finita in tempo.
- …questo non risponde al mio “eh?”. Che diavolo vuol dire che “ti guarda”?!
Il cantante si lasciò andare a un mezzo sorriso, sbuffando un po’ di fiato sul finestrino e arricciando le labbra in una smorfia delusa quando si accorse che sul vetro non si formava la condensa – cosa del tutto normale, vista l’afa umida che attanagliava Londra da qualche settimana a quella parte.
- Fammi capire. – continuò Tom, massaggiandosi le tempie prima di ripartire allo scatto del semaforo sul verde, - Vi sedete sul divano e rimanete a fissarvi da bravi idioti? Cos’è, una delle sue numerose perversioni sessuali?
Matthew ridacchiò.
- Ma no… qualcosa facciamo. – rispose, - Mi dà in mano una chitarra e mi fa provare e riprovare la melodia di base fino a quando non è soddisfatto del risultato, oppure suoniamo insieme fino a quando i suoni non si accordano perfettamente… è bello, a suo modo.
- Perfetto. – commentò Tom con uno sbuffo infastidito, - Praticamente scopate.
- Tom…
- No, sul serio! – continuò il manager, rovesciando la propria furia sulla leva del cambio, - Voi musicisti vi conosco, siete completamente sballati in questo senso! Non oso neanche immaginare a cosa pensate, mentre fate certe cose! Già mi sono venuti i brividi quando una volta ho visto te e Chris improvvisare un duetto di basso e chitarra sul palco, giuro che vi guardavate come se doveste saltarvi addosso da un momento all’altro, una cosa oscena!
- Posso tranquillizzarti, non metterò mai le mani addosso a Chris…
- Matthew, non c’è niente su cui scherzare.
Lui sbuffò, accomodandosi meglio sul sedile.
- Senti, guarda che è tutto a posto. Sono solo un po’ stanco perché passo tanto tempo con lui.
- Questo è esattamente il problema! – disse Tom, frenando un po’ bruscamente davanti al portone del palazzo in cui Matt abitava.
Matt cercò di fuggire dalla macchina bisbigliando un “buona notte” e tirando la maniglia per aprire lo sportello, ma Tom lo fermò chiudendo la propria sicura e attivando la chiusura centralizzata anche di tutte le altre.
- Aiuto! Rapimento! – scherzò il frontman, sollevando le braccia e agitandole come a voler attirare l’attenzione degli automobilisti distratti che sfrecciavano a decine accanto alla macchina ferma.
- Matthew… - lo richiamò Tom, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a fermarsi, - Tu sei giovane e stupido, e quindi sei del tutto convinto di poter arrivare alla fine di questo mese senza morire di stanchezza, pur continuando con questi ritmi. Io invece sono pronto ad assicurarti che tu non ce la farai. Non sarai solo stanco morto, Molko nel frattempo ti avrà anche fatto a pezzettini! Io sono davvero preoccupato, e non riesco a capire perché invece tu prenda tutta questa… cosa… così sottogamba! È… strano! Quello che fate è strano! Lo capisci, Matt?
Lui si abbandonò sospirando contro il sedile.
- È affascinante, non trovi? – disse in un bisbiglio concentrato, invece di rispondere.
- Cosa? La storia dei pezzettini?
Matt gli lanciò uno sguardo sconvolto.
- Tom, tu hai dei problemi…
- No, perché mi rifiuto di pensare tu stessi davvero parlando di Molko.
Il cantante sbuffò ancora. Era già abbastanza esasperato, e Tom non si stava certo risparmiando in commenti acidi.
- Senti, Tom, non so come dirtelo. A me sta bene. Mi… diverto, credo.
Tom si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo e meccanico, spaventoso.
- …ti piace? – gli chiese spettrale, stringendo la presa delle mani sul volante.
- Ma sì, te l’ho detto, è divertente, stiamo lì a-
- Molko. Dico Molko.
Matthew deglutì, mordendosi le labbra.
- Non mi sembra il caso di-
- È successo qualcosa fra voi. Lo so. Oddio! Matthew! Ma che cazzo combini?!, tu non hai mai-
- Tom
Il manager serrò le labbra, continuando a fissarlo con aria agghiacciata.
- Non… non è nel senso che intendi tu. È solo… lavoro. Perciò sta’ tranquillo e fammi uscire da questa macchina. Ho veramente sonno.
Non avrebbe voluto. Sinceramente, avrebbe preferito tenerlo imprigionato lì dentro per sempre e impedirgli di continuare ad avanzare lungo quel sentiero che, più che accidentato, a lui sembrava veramente distrutto, e molto più che pericoloso.
Ma che Matt avesse sonno – e che, soprattutto, avesse bisogno di riposo – era una verità inconfutabile, e lui non si sentiva di provare a metterla in dubbio proprio in quel momento.
Riaprì le sicure e lo osservò uscire dalla macchina.
- Riguardati. – gli disse.
Matthew non lo sentì.
Tom scosse le spalle, accorgendosene, perché tanto sapeva che non avrebbe fatto alcuna differenza.
*
Here I go and I don't know why
I spin so ceaselessly
Could it be he's taking over me
I'm dancing barefoot
Headed for a spin
Some strange music drags me in
It makes me come up like some heroine

Due settimane di tour all’attivo.
Mattino.
Non tanto presto. Neanche tanto tardi.
Il telefono squilla, sollevo la cornetta e poi la lascio tornare a posto con poca delicatezza.
La sveglia dell’albergo mi ha appena informato che è ora di smettere di poltrire e darmi una mossa, e chi sono io per dirle che ha torto?
Mi sollevo dal materasso, totalmente avvolto nelle lenzuola, col pensiero fisso che devo parlare a Matthew di una modifica che potremmo fare alla chiusura della canzone. Ricordo che l’ho pensata nel dormiveglia ed era una figata, c’erano battimenti pure lì, lui è assurdamente entusiasta da quando ha imparato a farli e sono giorni che sogna di infilarli da qualche parte.
L’obiettivo è dargli un’occasione di sorridere soddisfatto, giusto per vedere che espressione fa in una situazione simile.
Rigiro su me stesso e il mio sguardo cade sul mucchietto di vestiti sulla poltrona e che non riconosco come miei.
…ci metto effettivamente troppo tempo a capire che quelli non sono straccetti random, ma il corpo di Matt Bellamy in persona, addormentato in bilico fra un bracciolo e l’altro, con la testa che pende nel vuoto e la bocca spalancata che lancia una sinfonia di borbottii da sonno decisamente poco armonici.
Uno schiaffo in pieno volto mi avrebbe risvegliato con più delicatezza.
Uno schiaffo in pieno volto non avrebbe voluto dire altrettanto.
Respiro. Respiro. Perdio, respiro.
Ok…
Che. Ci. Fa. Lui. Qui?
*
Cerca di ricordare, Brian.
Non è poi tanto difficile, ieri sera non è stato così diverso dalle altre sere. Siete andati a cena, Tom e Alex vi hanno fissati con noia sempre crescente mentre parlavate di chissà cosa e di quello che pensavate di chissà chi – litigando vagamente, tra l’altro – poi tu hai ricominciato a punzecchiare Matthew – cosa gli hai detto? Non ricordi. Matt rideva, comunque – e Tom ti ha guardato come fossi l’anticristo e dieci minuti dopo aveva già finito di mangiare e dichiarato di avere mal di testa ed essere stanco morto, e perciò è sparito, lasciandovi soli con Alex, che s’è stretta nelle spalle, ha capito di essere appropriata all’ambiente come un pesce sulla cima di una montagna e s’è a sua volta dileguata in un battito di ciglia dopo un saluto sottovoce.
Avete dato un’occhiata ai dolci nel carrello, avete deciso entrambi che una mousse al cioccolato mezza sgonfia non valeva la pena di continuare a subire le occhiatacce dei camerieri appostati dietro l’angolo della porta della cucina, maledicendovi in ogni lingua per essere ancora lì all’una passata di notte, e vi siete spostati in camera tua “per continuare a chiacchierare”.
In realtà tu ti sei spostato in camera tua per continuare a fissare Matthew, e lui t’ha seguito perché per qualche strana ragione gli piace essere fissato da te.
Poco male, non t’importa, l’unica cosa importante è raggiungere il tuo obbiettivo.
L’hai lusingato un po’ per osservarlo ridacchiare timidamente, poi l’hai offeso tra le righe per osservarlo infuriarsi d’improvviso e cercare di nasconderlo, poi ti sei fatto perdonare chissà come – non vuoi saperlo – probabilmente un altro complimento piazzato lì tra una parola e l’altra come non fosse stato perfettamente pianificato. Matthew ci casca sempre, è quasi commovente.
Poi in camera sei crollato sul letto, giustamente distrutto, e Matthew ti ha imitato, crollando sulla poltrona.
Tu hai pensato di stuzzicarlo ancora e dirgli che se voleva poteva stendersi accanto a te, ma ti sei reso conto di non avere ben chiaro in mente se lo stessi stuzzicando solo per osservare con divertimento la sua reazione imbarazzata o perché… meglio non dirlo, e perciò hai lasciato perdere. Lui s’è accomodato sulla poltrona – nello strano modo in cui si accomoda, ovvero sottosopra – ed avete continuato a parlare di… boh. L’hai preso in giro per la sua posizione, lui ti ha preso in giro perché stavi crollando di sonno, tu l’hai ammesso e lui ti ha detto che… no, non lo ricordi, però ricordi che hai riso e ti sei appoggiato con la testa sul cuscino e hai colto di sfuggita l’orario assurdo lampeggiante sul display dell’orologio, e già dormivi.
Adesso sai esattamente cosa farai una volta che sarai uscito dalla tua stanza.
Scenderai di sotto, farai colazione, ti infilerai il cappotto e andrai a visitare l’ennesima location a due passi dalla spiaggia, rabbrividendo perché ormai siete al nord e comincia a far freschetto di sera, per non parlare dell’umidità – e tu odi l’umidità.
Farai il soundcheck, farai uscire pazzi uno o due tecnici del suono, giusto per il gusto di dimostrare che sei ancora bravissimo in questo, ascolterai distrattamente i commenti acidi dell’addetta ai microfoni, che s’è presa una cotta per Matt e quindi è sempre prodiga di “che bastardo, non posso credere che lo tratti così!”, e per darle ragione romperai un po’ l’anima anche a lui, anche se magari fino a quel momento non gli avrai fatto niente e non avrai neanche pensato di farlo.
Sì, come al solito.
Il problema è.
Come arrivare alla porta ignorando l’enorme disastro di cui Matt addormentato sulla tua poltrona è testimone?
*
Aprì gli occhi perché le sue narici catturarono il profumo di Brian.
Aprì gli occhi, sconvolto, perché riconobbe quel dannato profumo.
Sentì Brian mormorare un “maledizione” e lo guardò.
- Non volevo svegliarti. – disse l’uomo, fissandolo dall’alto, e Matt percepì chiaramente che non era un accenno di sentimento, ma una chiara dichiarazione di fastidio. Tradusse in inglese corrente, “non avevo affatto voglia di vederti”. La lingua di Brian non era più un mistero, ormai.
Non poteva far finta di niente e tornare a dormire, perciò si mise seduto e si grattò la nuca, forzandosi a tenere la bocca chiusa nonostante lo sbadiglio che scalciava per uscirne.
- È ancora presto. – continuò Brian, - Hai tempo sufficiente per farti una doccia, prima di scendere per la colazione. – lo guardò dall’alto in basso, le labbra appena increspate in una smorfia indecifrabile, - Non ti sei neanche cambiato per dormire. – puntualizzò, appoggiando il cappotto su una spalla con un movimento fluido e reggendolo per il colletto con l’indice e il medio.
- Scusa. – disse lui, senza specificarne il motivo. Aveva sempre la sensazione di doversi scusare per qualcosa, quando Brian gli parlava. Probabilmente perché ogni parola del cantante era intrisa da una tale quantità di risentimento da far sembrare che fosse lui stesso a pretendere delle scuse.
Brian scosse le spalle e si diresse tranquillamente verso la porta.
- Brian… - lo chiamò lui, sperando che lo ignorasse.
La cosa non avvenne.
…Brian non poteva ignorarlo.
Lui non poteva ignorare Brian.
- Sta succedendo qualcosa fra noi?
Brian lo fissò stupito, rigirandosi il cappotto sulle dita per poi appoggiarlo sul braccio piegato.
- Stiamo lavorando insieme. – rispose con naturalezza, scrollando le spalle.
Matthew si morse un labbro.
- A parte quello… - spiegò titubante.
Brian sospirò, scuotendo il capo.
- Cosa ti fa pensare che non avessi capito cosa intendevi? – chiese, mettendo una mano sul fianco.
- Hai risposto che stavamo solo lavorando insieme…
- …appunto.
Sentì il gran bisogno di stringere i pugni e schiacciarsi contro qualcosa di estremamente appuntito, fino a sanguinare.
Conosceva quella sensazione, era abituato a chiamarla frustrazione. Solo che sembrava mille volte più amplificata, quando Brian lo guardava con quegli occhi congelati e gli strillava addosso non sei niente!, senza neanche avere il bisogno di alzare la voce.
- Bellamy. – lo richiamò, e lui sollevò lo sguardo e tornò a fissarlo. – Non ti fare strane idee.
Matthew si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, massaggiandosi gli occhi.
- Se ti ho chiesto è proprio perché non ho nessuna idea.
Brian gli si avvicinò, lieve come stesse volteggiando a mezz’aria. Lo prese delicatamente per il polso e gli scostò la mano da davanti agli occhi. Così Matt poté vedere il suo sorriso sprezzante e morirci dentro.
- Sbagliato, Bellamy. Se mi hai chiesto è perché l’idea ce l’hai. E ti fa dannatamente paura.
*
Non ho ancora finito con te, e tu lo sai.
Il tuo cervello non è ancora del tutto andato, è per questo che riesci ancora a capire cosa diavolo ti sta succedendo.
D’accordo, non volevo che finisse così, all’inizio.
La cosa mi è sfuggita di mano, non ho problemi ad ammetterlo – almeno con me stesso.
Non mi sta bene, come finale, ma devo dire che poteva andarmi peggio.
Nel senso. Temo che tu ti sia, come dire, innamorato di me.
No, credimi, non penso di essere l’amore della tua vita e so perfettamente che quello che stai provando è il tipo di amore che dimentichi in una settimana quando l’oggetto del tuo desiderio non ti si agita più intorno come una trottola.
Ma è ossessivo. Cerca l’attenzione. Cerca l’approvazione. Cerca l’interesse.
Sì, sei decisamente innamorato, e questo è male.
Ma avrei potuto innamorarmi io, e questo sarebbe stato peggio.
Cerca di capire, Matthew, non sei tu il problema. Non lo sei mai stato, non sei stato che uno sciocco pretesto. E forse a te sarebbe andato bene essere davvero il fulcro della mia angoscia, forse quando capirai che in realtà, davvero, mi sei passato addosso come uno sbuffo d’aria in mezzo a una tempesta, ti sentirai usato e tradito e distrutto, ma è questo che sei.
Sarò sincero, Matthew, e lo sarò perché quello che sto per dire tu non lo sentirai mai – la bellezza del monologo interiore…
Io ti trovo fantastico. Tu sei luminoso. Sei positivo, sei talentuoso, hai davanti un avvenire invidiabile al punto da sembrare vomitevole, i ragazzini ti prenderanno a modello, nasceranno tante di quelle coverband dei Muse che non saprai dove guardare prima per trovare un sosia da portare in tour come supporto, e poi NME continuerà a spiaccicarti in copertina fino a quando il mondo non sarà sazio – e questo non succederà tanto presto, te lo assicuro – e Total Guitar continuerà a intervistarti cercando di carpire il segreto della tua bravura – senza riuscirci, perché il segreto della tua bravura sei tu e nient’altro, qualcosa di interamente non replicabile.
Io ti trovo perfino bello. Non che tu sia una bellezza canonica, tutt’altro, sei del tutto smontato, e sei troppo magro, e non hai la benché minima idea di come valorizzarti come uomo, ma hai un fascino naturale che in genere la gente se lo sogna, e riesci ad essere perfino carino anche quando hai addosso l’abbinamento più improponibile che potessi tirare fuori con una camicia e un paio di pantaloni. Hai un sorriso e una risata che smuovono cose nello stomaco, e un paio d’occhi che perforano il cristallo, Dio, quegli occhi, e ormai li conosco, non faccio che guardarli da settimane.
Ormai conosco te.
Non mi nascondi più niente.
Ormai io e tu non siamo più due stranieri, l’uno per l’altro.
Siamo qua.
Le nostre facce.
Brian Molko, Matthew Bellamy e tutto ciò che questo comporta.
La puttana e il pagliaccio.
Lo stronzo e l’idiota.
Il poeta da due soldi e il genietto immaturo e allucinato.
Non so chi ne esca peggio, ma è del tutto irrilevante, non è vero, Matthew? Quanto sarebbe sciocco cercare di stabilire a chi vada il primato dell’indecenza?, quando è già più che sufficiente sapere che io coi miei atteggiamenti da snob navigato e tu con i tuoi da novellino felice siamo ridicoli, e disgustosi, Bellamy, entrambi.
Non senti mai il peso di tutte le maschere che indossi, Matthew? La maschera con gli amici, la maschera con le scopate, la maschera con i colleghi, la maschera con i genitori…
Quante di loro ti assomigliano, almeno in parte? In quante ti riconosci?
Bellamy, io ogni tanto penso che stenterei a capire che sono davvero io anche se mi sbattessi addosso mentre cammino per strada.
Per me è difficile, davvero.
…ma non so perché, ora come ora ho la certezza assoluta che riconoscerei te ovunque. Che se ti adocchiassi, anche solo da lontano, ti vedrei risplendere e comincerei a seguirti come fossi la mia stella cometa, aspettandomi di essere condotto verso un luogo fantastico in cui ricevere un’illuminazione, una benedizione, un perdono.
Credo che questo gioco sia partito con Brian Molko che cercava di sopraffarti.
E anche se no, non sono innamorato, e anche se no, anche se lo fossi non lo ammetterei, credo anche che questo gioco si sia concluso con Brian Molko che, da te, si lascia sopraffare.
Matthew…
…tu mi riconosceresti?
Mi seguiresti?
Almeno per un po’?
*
- Brian, cerca di calmarti…
- Col cazzo che mi calmo, Alex! Dove diavolo è finita la Jaguar?!
- Diosanto… - mormorò Alex, lanciando intorno sguardi indemoniati ai ragazzi che ancora scaricavano casse di strumenti nel magazzino adibito come deposito per il festival di Aberdeen, - Ma con tutte le fottutissime chitarre che ha, dovevate perdergli proprio quella?!
La sua lamentela cadde nel vuoto, i ragazzi continuarono a sistemare le casse un po’ alla rinfusa, preoccupandosi solo di dividerle per gruppo secondo il nome stampato sul coperchio, e Brian si premurò di riaccendere l’interesse della propria manager tossicchiando irritato e incrociando le braccia sul petto.
- Senti, Brian. – disse la donna, riavviandosi i capelli dietro le spalle, - Non ho la minima idea di dove sia la tua Jaguar. Le altre chitarre sono a posto, fanne a meno e usa loro!
- Tu sei del tutto impazzita! – strillò Brian, stringendo i pugni, - Potrei anche lasciare perdere se non potessi usarla oggi, ma come pretendi che possa passare il resto della mia vita senza poterla più suonare?!
Alex sospirò, roteando gli occhi.
- Dio, Brian, è l’ultima data…
- E quella è la mia chitarra preferita!
- Brian!!!
- Senti, non è un casino che ho tirato fuori io per rompere le palle, d’accordo? Ci tengo davvero, lo sai!
- Oh, scusa! – lo prese in giro Alex, fingendo dispiacere, - Ormai hai tirato fuori tanti di quei casini senza nessun motivo, che fatico un po’ a riconoscere quando invece sei preoccupato sul serio!
A quel punto, Matthew, che aveva cercato di tenersi in disparte e in religioso silenzio fino a quel momento, capì che se non fosse intervenuto probabilmente quei due si sarebbero sbranati a vicenda, e decise perciò di farsi avanti.
- Brian… - lo chiamò appena, e subito lui lo graziò della propria attenzione, cosa che irritò non poco Alex, - Non è del tutto improbabile che abbiano imballato la tua chitarra assieme alle mie… vuoi che ti dia una mano a controllare?
Brian sospirò.
- È la prima cosa intelligente che sento dire oggi. – commentò, dirigendosi a passo spedito verso l’entrata del magazzino, mentre Matt lo seguiva a ruota. – Vedi che hai anche tu i tuoi momenti di genialità? Scommetto che se parlassi di meno si noterebbe di più.
Matthew ignorò gli ultimi commenti e lo condusse verso l’angolino in fondo al magazzino, nel quale erano stati stipati per primi i loro strumenti, dal momento che prima di partire da Edimburgo Brian aveva preteso per chissà quale motivo che fossero imballati e caricati sul camion per ultimi.
- Dovresti calmarti… - gli disse, osservandolo camminare nervosamente, a scatti.
- Fatti gli affari tuoi. – rispose Brian, scoccandogli un’occhiataccia, - Quando dicevo che dovresti parlare di meno, ero serio.
Matt sospirò e continuò a fissarlo di sottecchi.
Brian faceva lo stesso.
Brian continuò a farlo finché non furono finalmente davanti alle loro casse, con stampati sopra i loro nomi, uno sotto l’altro. E quando arrivarono lì, e Matt si guardò intorno, e vide che erano solo loro e centinaia di casse, che era come fossero completamente soli in un labirinto enorme, dal quale era totalmente impossibile fuggire, finalmente capì.
Ce ne aveva messo di tempo.
- Brian. – lo chiamò, e lui lo ignorò, si infilò un dito in bocca, morsicando nervosamente l’unghia, e si diresse deciso verso una cassa, mormorando “come diavolo la apro adesso?”. – Brian… - lo chiamò ancora lui, andandogli incontro.
- Bellamy, sto cercando la mia chitarra. – rispose l’uomo, continuando ad ignorarlo.
- Aspetta, Brian, ti devo parlare.
- Non voglio affatto parlare con te! - strillò Brian, fissandolo negli occhi per un solo secondo, - Voglio solo trovare la mia dannatissima chitarra, lasciami in pace!
Matt si tirò indietro, amareggiato.
Osservò Brian continuare a scrutare la cassa in ogni suo punto, cercando qualcosa per aprirla – un pulsante magico? Una cerniera? Un piede di porco messo lì ad uso e consumo di chi volesse dare una sbirciata all’interno? – e capì che non sarebbe riuscito a fargli dire nulla. Che Brian avrebbe continuato a trattarlo come niente. Che poi se ne sarebbe andato. Che non l’avrebbe più rivisto.
- Non puoi comportarti così. – disse deciso, - Devi prenderti le tue responsabilità!
Brian si fermò a metà del movimento che stava compiendo, tornando a guardarlo con più attenzione.
- Non ho responsabilità nei tuoi confronti. – disse freddamente, battendo un piede per terra.
- Queste sono le cazzate che puoi raccontare a chi vuoi, ma non a me!
E fu il turno di Brian di tirarsi indietro, spalancando gli occhi.
- Bellamy, non ti allargare!
Matthew si morse un labbro, muovendosi minaccioso verso di lui.
- Sei tu che ti sei allargato per primo! – ringhiò, furioso e irritato, - Questa situazione è tutta colpa tua!
- Dovevo trovare un modo per tenerti a bada.
- Certo, la molestia sessuale-
- La molestia sessuale! – scoppiò a ridere Brian, - Ti ho fatto tante di quelle cose che fatico io stesso a tenerne il conto! E tu pensi solo a quello! Bellamy, hai dei problemi…
- Piantala di chiamarmi Bellamy, Brian, mi dà un fastidio allucinante!
- Oh, ti infastidisce? Scusami, Bellamy. A me infastidisce che tu mi chiami per nome, guarda un po’! Come se avessi chissà che confidenza col sottoscritto! Fottiti!
Non si rese neanche conto di cosa stesse facendo, quando sollevò una mano e, piantandogliela con forza su una spalla, lo schiacciò contro il muro di casse che aveva dietro, costringendolo ad aderire perfettamente al legno ruvido e scheggiato, e aderendo perfettamente a lui.
Brian si lasciò andare ad uno sbuffo sorpreso, ma non si arrese. Trovò i suoi occhi e lo costrinse a fissarlo, lo scrutò fin dentro il cervello con quei punteruoli di ghiaccio verde brillante, e quasi lo fece indietreggiare di paura.
- Ti piace essere provocato, Bellamy. – constatò, parlando a bassa voce, in un sussurro appena udibile, quasi silenzioso in confronto ai rumori che venivano dagli altri settori del magazzino.
- Sta’ zitto! – replicò Matthew, afferrandolo per il colletto e spingendo l’avambraccio contro il suo collo.
Brian sollevò il mento, come gli si stesse offrendo.
- Hai un’indole da teppista! – commentò, quasi divertito.
- Molko, ti ho detto-
- Niente più Brian?
Gli stava scoppiando la testa.
Sentiva il proprio sangue rombare nelle tempie così furiosamente che si convinse che sarebbe davvero esploso, e che se tanto doveva morire…
- Piccolo bastardo… - mormorò Brian, - Guardati…
Invece di guardare sé stesso, Matthew continuò a guardare lui.
- Come diavolo fai?
Fare?
- Sei… sei disfatto… - sussurrò Brian, lasciando scorrere lo sguardo su di lui, dagli occhi alle labbra, - Sei stanco e distrutto… E sono stato io a ridurti così… ti ho mostrato il peggio di me, ti ho afferrato nel pugno della mia mano, Bellamy… - e sollevò la mano stretta a pugno, mostrandogliela senza alcun intento violento, solo per rafforzare il concetto, - …sei così terrorizzato che… guarda con che occhi mi fissi adesso… se potessi, se non fossi un uomo, staresti già piangendo da un pezzo, e le nostre posizioni sarebbero invertite…
- Che cazzo stai dicendo? – ansimò lui, stringendo di più la presa sotto il collo, pressandolo contro le casse e percependo il suo lamento di dolore quando uno spigolo ribelle gli si conficcò nella schiena.
- Sembri un condannato a morte… - continuò Brian, come stesse parlando con qualcun altro, sistemandosi meglio sotto di lui, - E nonostante questo…
- Brian-
- Fanculo. Sei fottutamente bello.
Provò repulsione, voglia di separarsi da lui e desiderio di spaccargli la faccia.
Rimase lì, interdetto, a fissarlo negli occhi.
- Mi piaci da morire. – spiegò il moro, guardandolo con la stessa intensità, - Io dovrei fare il bello e il cattivo tempo con te, dovrei rigirarti tra le dita e schiacciarti contro il palmo come carta straccia. E invece ti vengo dietro come un cagnetto. – sospirò, - Ti svolazzo intorno come una falena. Sono peggio del topo che prende comunque il formaggio dalla trappola, anche se sa che sarà un suicidio.
Silenzio.
Sembrarono fermarsi anche i ragazzi.
Loro due, altissime mura di scatole e il vuoto.
- Io sono già morto. – concluse Brian, - Sono morto quel pomeriggio, quando mi hai parlato di stronzate per tutto il tempo e io ti ho trovato affascinante. – ridacchiò, - Buffo, mi reputo una persona tanto intelligente… me ne sto accorgendo solo ora.
- Io non-
- Finiscimi.
- Cristo, Brian-
- Sono già morto. – si sporse appena, qualche centimetro, gli sfiorò le labbra, - Finiscimi.
*
Passò lievemente una mano sul pavimento sporco e guardò con paura le casse disordinate impilate l’una sull’altra accanto a lui, sperando che non decidessero di crollare proprio mentre lui e Matthew cercavano di riprendere fiato dopo aver finito di scopare.
- Abbiamo fatto un casino… - commentò a mezza voce, guardandosi intorno e notando alcune scatole già rovesciate per terra, - Speriamo di non aver spaccato qualche strumento.
Matthew ridacchiò appena, intervallando ad ogni risatina un tentativo di smettere di ansimare convulsamente.
Brian si voltò a guardarlo.
- Ti ho sopravvalutato. – disse con una smorfia.
- Che?! – strillò Matthew, voltandosi a fissarlo d’improvviso, - Voglio dire, non è che pretenda di essere un dio del sesso o che, ma almeno potresti-
- Non in quel senso! – rise Brian, stringendo le braccia al corpo e cercando di recuperare i propri pantaloni perduti da qualche parte fra le ginocchia e le caviglie, - Sei stato bravissimo, non preoccuparti…
Matthew sbuffò e arrossì, mentre chiudeva gli occhi e si voltava per sottrarsi al suo sguardo.
- Ho come l’impressione di averti guardato come fossi un dio, per tutto questo mese. – continuò Brian, il tono di voce sereno e rilassato come Matthew non l’aveva mai sentito, - Ma alla fine sei un uomo anche tu. Sei… - sorrise, - bello, affascinante e particolare. Il mio ideale di uomo, credo. Ma sei un uomo comunque. Stai qui accanto a me col fiato corto, sei un uomo normale.
- Non capisco se dovrei prenderlo come un complimento… - borbottò Matt, riabbottonando i jeans.
- Non puoi prenderlo come una semplice constatazione e fartelo bastare? – rise Brian, spostandosi di qualche centimetro verso di lui.
Matt lo osservò avvicinarsi, e quando lo vide fermo a pochi millimetri da sé si chinò verso di lui, baciandolo lievemente sulla bocca.
- I tuoi sono discorsi da addio… - commentò, sfiorandogli le labbra con due dita quando si fu separato da lui, - Sarai contento, adesso. – concluse malinconico.
- Più di prima, sicuramente. – ridacchiò Brian, ma quando vide che Matt s’era offeso si allungò su di lui, sfiorandogli il petto con una mano. – Se vuoi possiamo rivederci, comunque.
Matt lo fissò, sconvolto.
- Tu lo stai chiedendo a me?
L’altro annuì serenamente.
- Sai esattamente come andrà avanti questa “relazione”, se di relazione si può parlare… - si lamentò Matthew, - Per quanto io possa… tenerci… siamo troppo diversi, sarebbe un casino incredibile, finirebbe male!
Brian rise ancora, e Matthew pensò distrattamente di non averlo mai sentito ridere tanto.
- Ti sfido, Bellamy. – disse lui, sollevandosi in ginocchio e chinandosi su di lui, per sfiorargli la fronte con la propria, - Stupiscimi.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian. Be', sì XD
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Una notte, Matthew si sveglia d'improvviso e chiede al suo uomo se pensa che sia gay o bisessuale. E questo è solo l'INIZIO del disastro.
Commento dell'autrice: Avete assistito alle nuove quasi-dieci pagine di follia made by liz ^___^ (come se ne sentiste il bisogno…).
Anyway, è tutto vero >O< Matthew è gay. Non può essere altrimenti!
Nah, si scherza :D
Grazie alla Nai per il betaggio >.<
Dedicata con affetto enorme a Bea, che illuminandomi sulla palese gayezza (o era gaytudine?) di Supermassive Black Hole mi ha aperto un nuovo mondo çoç E all’Ele, perché… siamo in sintonia in questo senso <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
ASK FOR ANSWERS
ovvero
Capra E Cavoli

Quando aprì gli occhi, si spaventò.
- Matt! – strillò agitato, scattando a sedere sul letto, - Che diavolo hai?
Matthew Bellamy, il suo uomo, stava fissando la parete di fronte al letto con sguardo vacuo e labbra dischiuse. Come ipnotizzato. O come fosse totalmente pazzo.
Cosa che in effetti era. Dannazione!
- Matthew! – chiamò ancora, sempre più sconvolto, - Matt, ti dai una svegliata e mi dici cosa c’è?
Lui si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo, ruotando appena il capo sul collo – e fu una visione talmente inquietante che Brian a un certo punto pensò che l’avrebbe visto fare come la bambina protagonista dell’Esorcista, e che si sarebbe trovato a fissare negli occhi un Matt con la testa avvitata sul collo come una lampadina. Ma la testa di Matt non ruotò così tanto, e quindi Brian si ritrovò a fissare solo un enorme paio d’occhioni cucciolosi celesti che imploravano aiuto dal fondo della confusione mentale in cui erano intrappolati.
“Avrà fatto un brutto sogno”, si disse, sorridendo teneramente e cingendolo con un braccio intorno alle spalle per abbracciarlo.
Ma Matthew Bellamy non poteva certo lasciarsi consolare senza approfondire l’argomento, no.
Lui doveva esprimersi.
- Brian… - disse, col tono infantile e dispiaciuto di chi sa che sta per fare una domanda sciocca, ma non per questo si fermerà, - secondo te io cosa sono?
Brian lo guardò, inarcando le sopracciglia.
- Pensavo un “essere umano”, ma ormai comincio ad avere dei dubbi.
- …
- Sicuramente nella tua linea genealogica ci sono delle capre. Ed evidentemente, per i principi mendeliani, tu presenti i caratteri recessivi di questa tua discendenza.
Matthew lo fissò, attonito e perplesso, per molti secondi.
Poi scosse il capo.
- Sì, ok. – disse condiscendente, annuendo convinto, - Ma io dicevo… secondo te, no?... cioè, visto che hai anche più esperienza di me a riguardo… insomma, io sono gay o bisessuale?
Anche Brian lo fissò, cercando di capire se fosse serio e arrendendosi al fatto che, come sempre, quando si trattava di idiozie colossali, lo era.
- Capra. – concluse tranquillamente, con un lieve sbuffo di disapprovazione.
Quello fu abbastanza perché Matt cominciasse ad agitarsi sul posto, cercando di svoltolarsi dalle lenzuola per protestare con più veemenza contro il suo uomo insensibile.
- Perché mi dai della capra?! – strillò l’inglese quando riuscì nell’impresa, - Io ti ho fatto una domanda seria!
Brian sospirò, tornando a distendersi sul cuscino e sistemandosi le lenzuola sul petto.
- Matt, perché dev’essere un problema? – chiese, per poi passare a spiegare pazientemente la sua teoria, - Quando ti fai domande simili, risponditi che lasci che la tua sessualità fluisca liberamente dove vuole. Questione risolta.
- …perché questa frase non mi è nuova? – domandò Matt, guardandolo di sbieco e gonfiando le guance come uno scoiattolo.
- Perché è quella che si rifila ai giornalisti impiccioni. – rispose Brian con naturalezza, osservando le unghie ancora perfettamente laccate di nero.
Matthew lo guardò per qualche secondo, prendendosi il tempo necessario per realizzare.
- Bri. – lo richiamò poi a bassa voce, - Mi stai liquidando senza darmi retta?
Brian sorrise appena, guardandolo furbescamente di rimando.
- Adesso è la tua parte umana a parlare… - commentò soddisfatto, rivoltandosi sul materasso e prendendo a far dondolare le gambe sotto le lenzuola.
Matthew incrociò con disappunto le braccia sul petto.
- Ok. – borbottò deluso, - Ho capito. Se mi aspetto una soluzione da te, posso aspettare anche in eterno!
- Come sarebbe a dire “una soluzione”?! – si lamentò Brian, lasciandosi andare sul cuscino con un movimento stanco, - Ti aspetti davvero che sia io a definire la tua sessualità?
- Be’! – disse Matt, allargando le braccia, - Scusa se ti ho preso per un uomo sensibile che avrebbe potuto aiutarmi!
Brian si limitò a sospirare pesantemente, chiudendo gli occhi e ripetendosi di star calmo e dormire, ché quella follia prima o poi sarebbe passata come in passato erano volate vie le allucinanti tinture per capelli e le camice a righe bianche e gialle con il panciotto.
- Chiederò a Dom. – mormorò appena Matt, accomodandosi disteso al suo fianco e spegnendo il lume sul comodino per tornare a dormire, - Lui di sicuro saprà darmi una mano.
*
- Tu sei pazzo. – disse semplicemente Dominic, guardandolo con occhi vuoti.
- Non dire così! – si lamentò Matthew, stringendo i pugni come un bambino deluso, - Ti ho solo chiesto se pensi che io sia gay o bisessuale!
- Non è questo!!! – strillò Dominic, allargando le braccia in un gesto esasperato, - Per quanto sia già assurdo essere presi alla sprovvista con una domanda simile alle otto e mezzo del mattino, Matthew, è il discorso che hai fatto prima che mi ha sconvolto!
- Uh? – uggiolò Matt, come cadendo dalle nuvole, - Non capisco. A cosa ti riferisci? Al fatto che ho detto “tu che sei gay…”?
- ESATTO, Bellamy!!! Io non sono gay!
Chris scelse quell’esatto momento per apparire dal corridoio e sgranare gli occhi, avvicinandosi ai due litiganti.
- Che diavolo sta succedendo? – chiese curioso, incrociando le braccia sul petto, - Non mi pare che generalmente tu abbia bisogno di fare dichiarazioni simili così presto al mattino… - commentò, ridacchiando lievemente in direzione di Dom e poi restando in ascolto.
- Matthew è un idiota! – rispose semplicemente Dominic, cercando di fuggire attraverso la porta mentre Matt lo arpionava per un braccio, tenendolo fermo.
- Chris! Dom non mi capisce!
- E cos’è che non capisce?
- Sono venuto qui, disperato, mettendo il mio cuore nelle sue mani e chiedendogli se pensava che fossi gay o bisessuale e lui-
- A-Aspetta un attimo, Matt… - lo interruppe il bassista, aggrottando le sopracciglia, - cos’è che ti fa pensare che Dom possa avere la risposta per una domanda simile?
- Perché lui è gay! – asserì il cantante con estrema decisione, mentre Dom esplodeva in un potentissimo grido esasperato e Chris scuoteva il capo.
- Matt… - cercò di spiegare, liberando Dom dalla stretta, - Dominic non è gay. Non lo è mai stato.
- BALLE! – strillò Matt, riafferrando Dom per la collottola e scuotendolo energicamente, - Lui è stato assieme a Roger Teabing, al liceo! Non è che lo guardava da lontano e ci fantasticava, no! Lui c’è stato! A scuola lo sapevano tutti!
Chris sospirò, mentre Dom urlava ancora.
- Dominic, calmati. – disse il bassista, tappandogli la bocca, per poi tornare a rivolgersi al cantante, - Matthew, anche a te piaceva Roger Teabing. Perdio, a tutti piaceva Roger Teabing! E lui era una puttana, s’è ripassato tipo mezza scuola, e-
- Non ha mai ripassato me!!! – gridò Matthew, mollando all’improvviso Dominic per portare le mani ai capelli in un gesto disperato.
- …okay. Sorvolerò su quest’ultima cosa che hai detto. Il punto è, Matthew, che da quel momento Dom non è mai stato con nessun maschio, e che, per quanto ne so, relega Roger Teabing nella “parte dell’adolescenza di cui preferirebbe non parlare mai più”. È così, Dom?
Dom annuì con decisione, così velocemente che Chris temette per il suo collo.
- Quindi. – continuò il bassista, cercando di risolvere la situazione, - Il problema sarebbe…?
- Il problema è – inizio Matt, infervorandosi, - che ho bisogno di sapere se avete notato qualcosa… qualcosa di strano! Nei miei comportamenti, nei miei modi di fare… qualcosa che possa aiutarmi a stabilire se sono gay o no!
Dom strillò ancora una volta – evidentemente il fatto che Matt avesse riportato a galla una parte oscura e tranquillamente dimenticabile del suo passato aveva bruciato tutti i neuroni che gli erano rimasti.
Chris si limitò a guardare il proprio cantante con aria interrogativa, per poi esplodere in un ennesimo sospiro e scuotere il capo.
- Matthew. – disse dolcemente, con pazienza, - Ti scopi Brian Molko. Cioè… Brian Molko. Mi pare evidente che la tua sessualità è quantomeno… disordinata. Ma al di là di questo, che differenza vuoi che faccia? È… Brian Molko! Non puoi mica angosciarti perché non sai se ti piace scopare con gli uomini o con le donne o con entrambi… Molko è entrambi!
- Tu non capisci! – continuò Matt, intenzionato a non arrendersi, - Per me è importante! Ho bisogno di definirmi come persona! Ho bisogno di saperlo! E per inciso, Brian non è entrambi, Chris!
Il bassista si limitò a scrollare le spalle mormorando “be’, se lo dici tu…” e dirigendosi con aria neutra verso un divano, sul quale si abbandonò, prendendo a sfogliare distrattamente una rivista.
Dominic, frattanto, era tornato in sé.
- Senti, Matt. – disse, più per chiudere definitivamente l’argomento e rimandare Teabing negli abissi della memoria dal quale era stato riesumato, che per desiderio effettivo di aiutare il proprio migliore amico, - L’unico modo per uscire da questa situazione è rapportarti con gli altri. Guarda le persone! Frequentale! Insomma, Dio mio, sei passato da Gaia a Brian senza neanche prenderti un attimo di pausa! Devi volare di fiore in fiore, vedere che effetto ti fanno anche le… le margherite, e le… le violette! Mica solo… chessò, rose e gelsomini!!!
E questo fece accendere qualcosa negli occhi di Matthew.
Un qualcosa talmente inquietante che Dom si pentì subito di aver parlato.
- Matt… - cercò di chiamarlo, ma era già troppo tardi. Matthew si stava dirigendo a passo spedito e deciso verso l’ufficio di Tom
Ufficio nel quale irruppe gioiosamente, strillando “Tom! Credo di essere gay! Indiciamo una conferenza stampa!”, con l’unico risultato che il manager cadde dalla sedia e rischiò seriamente di spaccarsi l’osso del collo.
Presagendo la catastrofe, Dominic si introdusse a sua volta nella stanza, guardandosi intorno con occhi spaventati alla ricerca di Tom, che nel frattempo stava faticando per riemergere dal pavimento sul quale si era abbattuto.
- Cos’è che ha detto…? – furono le prime parole del povero Tom, quando riuscì a risollevarsi e riprendersi almeno un po’.
- Ah! Non chiedermelo! – si lamentò Dominic, agitando le mani, - È da quando è arrivato che dice idiozie e cerca di far decidere agli altri se è gay o no! Scommetto che è stato Molko a ficcargli qualche strana idea in testa…
- Va bene. Okay. – disse Tom, massaggiandosi le tempie e riportando l’attenzione su Matthew, che aspettava trepidante una sua risposta, - Matt, di che diavolo blateri?! Una conferenza stampa? Per dire cosa?!
- Dom mi ha convinto che-
- Dom non ti ha convinto di niente! – lo interruppe il batterista, arrossendo d’improvviso al ricordo delle idiozie che gli aveva detto per tranquillizzarlo.
- Sia come sia! – sbuffò Matthew, contrariato, - Adesso so come posso stabilire se sono gay o no!
- E come? – chiese Tom, per pura formalità, dal momento che già sapeva che risposta avrebbe dato Matt.
E infatti lui non lo deluse.
- Devo chiederlo a più persone possibile! Anzi, devo chiederlo a più giornalisti possibili! Loro sono abituati ad osservare, a prendere appunti, a ricordare le cose! Di sicuro sapranno darmi una risposta!
- Certo, Matt… - lo blandì Tom, condiscendente, - Ma vedi, questa cosa si chiama suicidio mediatico. Vuol dire che vai lì e consapevolmente prendi il tuo povero corpo e lo lanci ai lupi affamati, incitandoli a divorarti. Capisci cosa voglio dire?
- …no. Voglio solo parlare con i giornalisti! Che sarà mai?
- Che sarà mai?! – gridò Tom, evidentemente giunto al limite della propria capacità di sopportazione, - Capisco che tu possa esserti confuso con la metafora dei lupi famelici, ma la parola “suicidio” avrebbe dovuto metterti in guardia, no?!
Matthew si adirò, ed era lì lì per ribattere che non aveva alcuna intenzione di suicidarsi ma solo di parlare, e che se Tom non capiva le diverse sfumature di significato delle due parole era palesemente un cretino, quando Alex Weston apparve sulla soglia della porta, splendido sorriso predatore sul volto e criniera ricciuta come sempre sciolta sulle spalle, avanzando sicura di sé come una pantera in battuta di caccia.
- Allora! – esordì con una mezza risata, - Questa storia di Matthew che indaga sulla propria identità sessuale è vera o è una chiacchiera da assistenti repressi?
- Ossignore! – esclamò Tom, sconvolto, - Matt! Ma a quante persone l’hai detto?!
- Be’… - si giustificò lui a mezza voce, - Quando sono arrivato non riuscivo a trovare Dom… e così ho chiesto un po’ in giro…
- Mi auguro che in giro tu abbia chiesto dov’era Dominic!!!
- No. – rispose innocentemente Matthew, - Ho chiesto a chi incontravo se loro pensavano che fossi gay o no.
- Oh, tesoro! – esclamò Alex, stringendolo fra le braccia ed avvolgendolo in una nuvola di Chanel, - Sei così carino! Per curiosità, - aggiunse poi, con una risatina maligna, - i risultati del sondaggio quali sono stati…?
- Ho scoperto che tante persone credono che io sia stupido! – rispose Matt, agitandosi, - Il che è assurdo!
- Povero caro… - continuò Alex, sghignazzando tanto che non riusciva più neanche a darsi una parvenza di serietà, - Questo non c’entra niente con la tua sessualità!
- È quello che dico anche io! Se io vengo da te e ti chiedo “credi che io sia gay o bisessuale?”, tu non puoi rispondermi “secondo me sei stupido”! Cosa c’entra?!
- Quanto hai ragione, amore! – rise Alex, stringendolo di più perché non notasse la palese ombra di derisione che le oscurava lo sguardo, - Il mondo è cattivo con te!
- Anche Brian lo è stato! – proseguì Matt, contento di aver trovato finalmente qualcuno in grado di capirlo, - Quando l’ho chiesto a lui mi ha dato della capra!
- Non capisco come sia possibile! – sbuffò Alex, lasciandolo finalmente andare e mettendo le mani sui fianchi, - E come intendiamo risolvere questa spiacevole situazione?
- Io vorrei indire una conferenza stampa! – disse Matt con convinzione, - Ma Tom non vuole lasciarmelo fare!
La stessa luce che si era accesa poco prima negli occhi di Matt si accese anche in quelli di Alex. Ma nelle sue iridi verdastre assunse una sfumatura semplicemente demoniaca, una di quelle sfumature che volevano dire “ho trovato un nuovo modo osceno per far soldi”, e che mettevano sempre in agitazione il povero Tom.
- Una conferenza stampa…? – ripeté la donna come stesse recitando un incantesimo, - Be’, io non ci vedo niente di male.
- Ecco! Sapevo che sarebbe successo! – disse Tom, portando le mani ai capelli e cominciando a sudare, - L’idiota e il diavolo! Un dramma!
- Oh, Tom! Non farla così grave! – disse Alex, ragionevole, aiutandolo a sedersi e sistemandosi poi di fronte a lui, senza dimenticare di appoggiarsi sulla scrivania, per guardarlo dall’alto e non perdere il dominio della situazione, - Prova a pensarci: tutti i suoi problemi relazionali sarebbero risolti! Avreste un leader finalmente sereno, rilassato, felice… insomma, normale! E poi è notorio che fare outing aiuta… pensa a Brian!
Brian passò davanti alla porta dell’ufficio – ancora aperta – proprio in quel momento. Aveva gli occhi persi in una quantità infinita di scartoffie – i fogli che teneva fra le mani erano così tanti che davano l’impressione di dover cadere a terra da un momento all’altro – e un paio di cuffiette affondate in profondità nelle orecchie, e camminava velocemente, con incedere quasi isterico, borbottando a mezza voce frasi incomprensibili, intervallate con convinti “sì” o delusi “no”.
- …normale, dicevi…? – esalò Tom, sconvolto, mentre Alex ridacchiava imbarazzata.
- Secondo me siete tutti pazzi. – concluse Dominic, imboccando la porta per fuggire da quella situazione, - So già come finirà questa storia, e so già di non volerci avere niente a che fare.
*
Puntualmente, due ore dopo, la sala conferenze era gremita di giornalisti affamati di notizie, e Tom e i Muse – sudati e imbarazzati come mai, ad eccezione di Matt, che sembrava in agitazione solo perché la discussione che stava per avere luogo avrebbe, a sua detta, “cambiato la sua vita” – stavano seduti al tavolo, aggiustando nervosamente giacche e cravatte e sbottonando colletti quando eccessivamente stretti, mentre Alex, Stef e Steve monitoravano la situazione dal fondo della stanza e cercavano di riportare un Brian, ancora impegnato in chissà cosa, alla realtà.
- Io vorrei solo capire… - borbottò Dom, guardandosi intorno con fare isterico, - perché anche noi?! È lui l’omosessuale!
- Sta’ un po’ zitto, Dom! – lo rimproverò Tom, - E poi è sempre meglio essere uniti e compatti di fronte alle disgrazie. Sarà più facile salvare Matt e i Muse dal disastro, se staremo insieme!
Inutile dire che l’arringa non convinse affatto il batterista, che incrociò le braccia sul petto e guardò altrove, concentrandosi fortemente sul pensiero “in realtà non sono qui, sono alle Hawaii e una bella isolana sta ballando per me vestita solo di gusci di cocco”.
In quel momento, Matthew decise che aveva aspettato abbastanza e che era il momento di risolvere la questione. Prese il microfono fra le mani, si schiarì la voce, aspettò imbarazzato che il microfono smettesse di fischiare per protesta e infine parlò.
- Secondo voi… - chiese esitante, guardandosi intorno, - io sono gay?
Il momento di silenzio che seguì fu il più carico di aspettativa della storia di tutti i silenzi.
Ma non ebbe una conclusione soddisfacente.
I giornalisti, infatti, invece di rispondere alla domanda, letteralmente assaltarono i propri taccuini, prendendo a scrivere come forsennati e implorando i colleghi perché facessero riascoltare loro la registrazione, per descrivere ogni sfumatura della voce di Matthew Bellamy che confessava al mondo la propria omosessualità.
- No, no! – disse Matt, comprendendo che la piega che la situazione stava prendendo non era quella che lui si sarebbe aspettato, - Non stavo dicendo di essere gay! Avete capito male!
Tutti i giornalisti si fermarono d’improvviso, le penne a mezz’aria e qualche ghirigoro scarabocchiato sui fogli a quadretti.
- Stavo chiedendo a voi se pensate che io sia gay! – precisò con foga, alzandosi dalla propria seggiola e andando a sedersi in punta sulla pedana, i piedi dondolanti nel vuoto, molto più vicino ai giornalisti di quanto non fosse prima e ben deciso a dare il via a un serio dibattito sull’argomento.
E mentre Tom organizzava le guardie del corpo perché fossero pronte a recuperare il frontman prima che venisse mangiato vivo, successe l’impensabile.
Ovvero, i giornalisti cominciarono effettivamente a discutere.
Ipotizzavano.
Facevano esempi.
Riportavano alla luce fatti e capi di vestiario dei quali neanche lui ricordava più l’esistenza.
In un marasma concitato di voci diverse e contrastanti all’interno del quale non si capiva niente.
E Matt… Matt sembrava perfettamente a suo agio. Ascoltava tutto. Annuiva, ANNUIVA, di tanto in tanto. Spiegava, forniva giustificazioni, commentava, negava e asseriva.
- In effetti, quando siete usciti con la demo lei aveva un maglioncino rosa, signor Bellamy…
- Be’, sì, in effetti è vero…
- E in uno degli ultimi servizi fotografici che avete fatto, signor Bellamy, lei ha nuovamente indossato una maglietta rosa…
- Dite che il rosa può essere un indizio?
- Certo, signor Bellamy!
- E poi c’è il suo famoso falsetto…
- Ma il falsetto c’entra con l’omosessualità?
- Ma è ovvio, signor Bellamy! Per non parlare di certi completini che indossa…
- Ma siamo tornati ai vestiti?
- I vestiti sono spesso la più evidente prova di omosessualità, signor Bellamy!
Questo sembrò convincerlo più di tutto il resto.
Annuì vigorosamente, lasciando dondolare ancora un po’ le gambe giù dalla pedana.
- C’è anche il cappellino coi brillantini… - disse lui stesso, - In effetti sembrava strano anche a me…
- Ma allora, signor Bellamy… - azzardò un giornalista, pronto a scrivere qualora ce ne fosse stato bisogno, - lei è omosessuale?
E lì sarebbe successo il disastro.
Perché Matt avrebbe senza dubbio alcuno risposto “sì”. Se Dominic non avesse creduto opportuno darsi una manata sulla faccia, riscuotersi dallo sconvolgimento in cui quella situazione l’aveva gettato, afferrare due gorilla e correre in soccorso del proprio frontman, prelevandolo da dove si trovava prima che potesse dire qualcosa in grado di far esplodere una bomba dalla potenza tale che avrebbe distrutto tutta la loro vita per sempre.
- Lo spettacolo è finito. – annunciò teatralmente Tom, afferrando anche Chris per la collottola e fuggendo al piano di sopra, - Arrivederci e grazie.
Ben presto, fra lo sghignazzare convulso dei giornalisti che prendevano a chiamare in direzione per dire di avere “il silenzio-assenso del secolo”, la sala rimase praticamente vuota, e davanti alla porta restarono solo un’Alex con le braccia incrociate sul petto, perfettamente sorridente e soddisfatta, uno Stefan e uno Steve palesemente sconvolti che cercavano ancora di capire cosa diavolo stesse succedendo, ed un Brian che non sapeva più dove posare i fogli di carta e continuava a borbottare frasi senza senso mugugnando come un pazzo.
- Bri… - lo chiamò Stef, picchiettandogli con un dito sulla spalla, - che cosa sta combinando il tuo uomo…?
Brian non gli diede retta, scrollando le spalle e continuando a segnare appunti su appunti, cerchiando in rosso alcune parole sul testo che aveva davanti.
Il bassista lanciò uno sguardo a Steve, il quale si limitò a scuotere il capo e allargare le braccia in segno di resa.
- Stef! – chiamò all’improvviso il cantante, alzandosi in piedi e sventolandogli un foglio sotto al naso, - Secondo te l’espressione “spiral static” è equivocabile?
Stefan guardò Alex e vide che ridacchiava gioiosa.
Guardò Steve e capì che non poteva pretendere che riflettesse su una cosa simile.
Guardò Brian e lo vide in fiduciosa attesa di una risposta.
Perciò sospirò. E rispose.
- Brian, non ho idea di cosa tu stia dicendo.
Il cantante, per tutta risposta, arruffò le penne e strillò che nessuno di loro aveva capito niente, che alla fine toccava sempre a lui perdere vite per cercare di risolvere i problemi, e, minacciando di ucciderli tutti se si azzardavano a disturbarlo prima che avesse trovato una soluzione, fuggì di corsa dalla sala riunioni, raccogliendo fogli a destra e a manca se nella fretta ne faceva scivolare qualcuno per terra.
- Frequentare Bellamy gli sta facendo prendere cattive abitudini. – commentò semplicemente Steve, battendo un paio di volte con la mano sulla spalla del bassista e invitandolo ad andare fuori a prendere una boccata d’aria, mentre lui annuiva sconsolato.
*
Brian era un uomo molto innamorato. E perciò poteva percepire esattamente quanto frustrato e deluso e confuso fosse il suo uomo quella sera, quando se lo ritrovò nel letto, braccina incrociate sul petto e adorabile broncio a increspare le labbra sottili.
Ma dal momento che Matt non aveva fatto altro che sbuffare e contorcersi nell’angoscia da quando era tornato a casa, probabilmente il fatto che Brian avesse compreso il suo stato d’animo non dipendeva esattamente dall’enorme amore che provava per lui.
Matthew si rigirò fra le lenzuola per l’ennesima volta, agitandosi al punto da far dondolare il letto, e Brian capì che quello era il momento di rendere pubblici – almeno con lui – i risultati delle ricerche estenuanti che l’avevano tenuto impegnato per tutte le ventiquattro ore di quella giornata.
- Matt. – disse seriamente, aspettando che l’uomo si voltasse e lo fissasse negli occhi, prima di continuare, - Sei gay.
Si sarebbe aspettato molte cose.
Che le sue labbra si aprissero in un sorriso sereno e soddisfatto, che lui gli saltasse addosso ringraziandolo, o che dicesse malizioso “mettiamo in pratica le tue teorie” – anche se Matt non aveva mai fatto una cosa simile, purtroppo.
Ciò che vide non assomigliava a niente di quanto aveva immaginato.
Matthew… rimase lì.
Immobile come un rospo congelato.
Gli occhioni fissi e vuoti su di lui e le labbra strette in una smorfia di puro stupore.
Brian immaginò che volesse una qualche… prova… e quindi si affrettò a fornirgliele.
- Io… - cominciò, prendendo fiato, - non sono come quegli idioti dei giornalisti! Non starò a farti l’elenco dei vestiti che hai indossato o delle volte in cui sei saltato addosso a Dominic o a Christopher mentre eravate sul palco. No! Io ho portato avanti uno studio scientifico! Mi segui, Matty?
“Matty” annuì, incapace di fare altro.
- Ho stampato tutti i vostri testi! – spiegò Brian, riempiendosi d’entusiasmo di parola in parola, - E… sai, Matty, si dice che quando si scrive si è molto più sinceri rispetto a quando si parla…
- …io non scrivo i testi delle mie canzoni…
- Che c’entra? Componi! Crei! Butti giù!
- …no. Più che altro ricordo.
Brian si prese un attimo di pausa.
La nuova consapevolezza che il proprio uomo non mettesse su carta le robe che creava nella testa, cambiava qualcosa nelle sue convinzioni?
…no.
Annuì serenamente e ricominciò a spiegare.
- Vedi, Matt, in effetti tutto è cominciato molto tempo fa. In realtà tu già hai detto al mondo di essere gay nel vostro primo album!
- …nel… nel primo…?
- Sì! – annuì Brian, convinto, tirando fuori un foglio ricoperto di segnetti rossi da sotto il cuscino, - Vedi, in Sober…
- Sober era una canzone sull’alcool!
Brian gli scoccò un’occhiata severa, fissandolo di sbieco.
- L’alcool, Matt? Solido?
…in effetti…
- Insomma, per tutto il ritornello tu non fai che parlare di questa cosa dura che brucia dentro di te… a me sembra ovvio che o parlavi di una supposta o parlavi di un-
- Non dirlo!!!
Il cantante dei Placebo si interruppe di colpo, sgranando gli occhioni. Cosa stava succedendo a Matthew? Durante la conferenza stampa sembrava così impaziente di scoprire la verità sulla propria sessualità! E adesso stava lì a fare i capricci?
- Ma quello non è l’unico indizio, Matty… - continuò Brian, picchiettando con due dita su un altro foglio tirato fuori da chissà dove, - Pensa al testo di Fillip… qualcosa di nuovo, qualcosa di strano…
- Ma-ma-!!!
- Poi è ovvio che in Citizen Erased tu fai un passo indietro e cerchi di negare tutto. – proseguì Brian, sempre più deciso, annuendo, - Quando dici che devi mentire e coprire ciò che non va condiviso con gli altri. È ovvio!
- Ma questa ovvietà…
- Ah, be’, - lo interruppe Brian, continuando a fornire prove su prove, - poi in Time Is Running Out c’è quella famosa cosa del succhiare la vita… - un’occhiata languida, un sorriso appena malizioso, - …succhiare la vita fuori da te, ma non ricordo in questo momento se l’avevo presa come una prova di omosessualità o come un riferimento sessuale e basta…
- E io che pensavo che non fosse nessuna delle due cose… - sospirò Matt, esausto, abbandonandosi contro lo schienale del letto e fissando sconvolto i decori delle lenzuola.
- Ma la prova più schiacciante, Matt, - concluse Brian, tirando fuori un ultimo foglio da… da sotto la maglia del pigiama che indossava, - è il vostro ultimo album.
- Black Holes…?
- Esatto Matt.
- And…
- Sì, Matt.
- …And Revelations…
- Proprio così, Matt. Buchi neri e rivelazioni. E Supermassive Black Hole, Matt… Matt, è una canzone palesemente gay.
- …palesemente gay…
- Be’, sì, prova a pensarci… il falsetto… e… voglio dire, le superstar che finiscono risucchiate nel…
- …
- …ecco…
- …nell’enorme buco nero. Sì, Brian.
Brian guardò il proprio uomo.
Sembrava… disorientato forse non rendeva appieno, ma era di sicuro un modo per descriverlo.
Fissava angosciato un punto vuoto nell’aria davanti a sé, e non trovava neanche la forza per sospirare un assenso o un dissenso.
- Oh, be’. – disse a mezza voce Brian, sporgendosi verso di lui per baciarlo teneramente su una guancia, - Devi metabolizzare. È normale. Buonanotte! – e così dicendo si affrettò a spegnere il lume sul comodino, arrotolarsi fra le lenzuola e addormentarsi di botto.
Matthew rimase lì, seduto a fissare il niente.
- Brian… - mormorò appena, ancora incapace di muoversi, - Brian, tesoro.
L’altro mugugnò un “ti ascolto” trasognato, e Matthew sospirò.
- La prossima volta… - sbuffò, abbandonando il capo indietro, contro il legno, - quando ti faccio una domanda, ignorami.
Genere: Comico, Introspettivo.
Pairing: In pratica nessuno, ma Brian è chiaramente pazzo di Matt XD
Rating: R
AVVISI: CrackFic, RPS, Slash.
- Se c'è una cosa di cui Brian Molko è sicuro, è che Matthew Bellamy NON PUO' essere considerato oggetto di attrazione sessuale. Ne è assolutamente certo, convinto al cento per cento, il solo pensiero lo disgusta! Eppure... che diamine, perché non riesce a staccargli gli occhi di dosso?!
Commento dell'autrice: Oddio quanto amo scrivere cose dementi *-*!!! Questa, poi, è così totalmente idiota *___*!!! Aaawh. È nata da ispirazione fulminea mentre leggevo XL. Il giornalista di turno stava intervistando la cantante dei Noisettes, questo gruppo che ha fatto da supporto a Muse e Babyshambles nell’ultimo anno, e a un certo punto le ha chiesto proprio come fosse stato trovarsi a confronto con due tipi opposti di sexy al maschile XD E nello stesso momento in cui l’ho letto ho pensato “Oddio, Brian divorerebbe la pagina” XDDDDD È stato un momento meraviglioso nella mia giornata *-* Il fangirling non ha limiti ù_ù (il mio ancora meno). Inoltre >_< avevo voglia di farla pagare a Brian per “certi avvenimenti recenti” di cui parlerò più approfonditamente nella prossima fic idiota che scriverò (probabilmente adesso XD), e già che c’ero desideravo fare in modo che Matty uscisse vittorioso dal confronto dei cervelli, una volta tanto, così, tanto per cambiare. E questo è ciò che è venuto fuori “XD Sìììì, tremate X’DDDD
Ah, comunque nella fic ci sono un po’ di cose veramente provate ù_ù A parte l’articolo (che, se vi interessa, trovato nel numero di maggio di quest’anno :O), abbiamo il denim kilt di Brian (vi prego, non commentate troppo), la mise allucinante di Matt (ma come si fa a vestirsi così? ç_ç) e il suo adorabile gel brillantinato. Questi ragazzi saranno la mia rovina XD
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CONTROL
Flavour #15. Bathing in artificial light
Song #77. Look through my eyes

Non ricordo chi l’ha detto e non ho la minima idea di dove possa aver letto una cosa simile, ma so perfettamente di averlo fatto. Il suono delle risate che non avevo potuto trattenere mi riecheggia ancora nelle orecchie, e so che se chiedessi a Stef o a Steve entrambi farebbero roteare gli occhi e sospirerebbero pesantemente, dicendo “Brian, perché non puoi lasciare perdere mai niente?”.
Be’, scusatemi. Ma quando uno legge che qualcun altro in un’intervista ha dichiarato senza vergognarsene “Matt Bellamy può attrarre per il controllo che esercita intorno a sé”, non può lasciare perdere. Ed io magari sono un attimino fissato con questa cosa – solo da un paio di giorni e solo perché so che fra due ore saremo costretti a condividere lo stesso palco per quel festival del vattelappesca del cavolo cui Alex ci ha ordinato di presenziare – ma davvero, siamo seri.
Matthew Bellamy? CONTROLLO?
Ma, cosa ancora più assurda, Matthew Bellamy e la parola “attrarre” nella stessa frase?
No, davvero.
Ma davvero.
Scherziamo?
Quale essere umano sano di mente e di corpo potrebbe seriamente essere attratto da quel topo?
È un topo! Non ci sono dubbi su questo! Guardatelo, vi prego! Attentamente!
Lasciate stare le mani dalle dita lunghe e affusolate.
Lasciate stare l’adorabile fossetta sul mento.
Lasciate stare anche i lineamenti eleganti da lord inglese e la barbetta che si sta abituando a portare di recente!
Insomma, tutto il resto è indecente! È magro come un chiodo! E poi è basso! E guardate come si veste! Santo cielo, sembra che sia entrato nel primo negozio che ha visto mettendo piede in città e abbia afferrato le prime tre cose che gli sono capitate sottomano decidendo all’istante che quello doveva essere l’abbinamento perfetto quando era chiaro come la luce del sole che non lo era!
Ma si può?
Attratti!
Da Matthew Bellamy!!!
La donna che ne ha parlato doveva essere completamente priva di buon gusto. E il giornalista che ha posto la domanda – peraltro mi sembra di ricordare fosse pure maschio, pessimo, pessimo davvero – doveva essere un vero idiota.
Se mi sforzo riesco anche a ricordare com’era la domanda esatta. Devo riuscirci, perché era talmente ridicola che sarebbe drammatico osservarla perdersi nelle sabbie del tempo senza- ECCOLA. Stava parlando con questa tipa e a un certo punto le fa “durante i tour sei stata messa a confronto con due esempi opposti di sexy al maschile”.
ESEMPIO!!!
DI SEXY AL MASCHILE!!!
MATTHEW BELLAMY!!!
L’altro mi pare fosse Pete Doherty, ma la cosa è completamente irrilevante.
Voglio dire, è disgustoso. Non ha senso.
Io sono un esempio di sexy al maschile!
*

- Brian, per carità, vuoi calmarti?
Ho ritrovato la rivista!
Ho ritrovato la dannatissima rivista!
Ero certo di averla conservata, era troppo idiota per buttarla via! E finalmente è di nuovo fra le mie mani!
- Non posso, Stef! Tu non capisci! Questo tipo-
- Ha affermato che Matthew Bellamy è un esempio di sexy al maschile, sì. E con ciò?
- Come con ciò?! Che vuol dire con ciò?!
Stefan, farai meglio a smetterla di sospirare!
- Con ciò vuol dire che non capisco perché la cosa ti sconvolga tanto.
- Perché è evidentemente un paradosso!
Per un secondo, Stef mi guarda stupito.
Poi scuole il capo.
- Brian, Matthew Bellamy è un bell’uomo.



OSSIGNORE!
- Anche tu?!
- Come sarebbe a dire “anche” io?
- Anche Steve, poco fa…
- Brian, finiscila… - dice appunto Steve, riemergendo dal bagno, - Ti ho già detto di lasciare perdere questo discorso! Non ci porterà da nessuna parte!
- Ve lo dico io dove ci porterà! Ci porterà a capire che tutto il mondo è impazzito!
- Perché al mondo piace Matt Bellamy? – chiede Stef, sconvolto, - Davvero pensi sia così strano?
- ASSOLUTAMENTE!!!
- E perché ti sembra così strano?
- …ma l’hai guardato?!
Getta un’occhiata al manifesto del festival del vattelappesca, e cattura l’immagine di un Bellamy sorridente con le braccia incrociate sul petto e le bretelle bianche – Dio – sulla camicia nera.
- Sì, l’ho guardato, Bri.
- È magro! Scheletrico!
- È snello, Brian.
- Ha un pessimo gusto nel vestire!
- Almeno non ha mai indossato una gonna da liceale plissettata in denim durante i concerti…
- Era un kilt! Era un denim kilt!
- Sì, tesoro, sì…
- E senti come gracchia quando canta!
- Questo non c’entra niente col suo aspetto fisico…
- …
Ucciderò qualcuno entro stasera!
Dovrò usare l’ultima carta a mia disposizione!
- È basso! – dico, gonfiandomi d’orgoglio.
Steve spalanca gli occhi.
S’è limitato al silenzio fino ad ora, ma non sembra più in grado di resistere.
- Basso, Brian? Basso?! – chiede incredulo, - Tu sei decisamente più basso di lui!
- …
Io non sono più basso di lui!
Non lo sono affatto!
- Adesso silenzio. – afferma Stef categorico, - Stanno cominciando.
Percepisco la rabbia farsi strada dentro di me!
Esploderò!
Controvoglia, mi volto a guardare il palco.
I Muse si sistemano alle loro postazioni. Bellamy lievemente decentrato verso sinistra, il bassista a destra, il batterista dietro, assiso su una specie di altare viola luminoso.
So già che sarà disgustoso.
Bellamy è disgustoso! Indossa un paio di terrificanti pantaloni grigi che penso andassero di moda qualcosa come cinquant’anni fa fra gli uomini di mezz’età e un maglioncino rosa semplicemente pessimo.
Sospiro e mi accomodo sul sofà accanto a Stef, incrociando le braccia sul petto e preparandomi a tre quarti d’ora di sofferenza.
*

Supermassive Black Hole
Continuo a non capire come le masse possano apprezzare un individuo simile.
Va bene, la sua voce è sexy, ok, lo ammetto. Sì, anche quando sfalsetta. Sì, anche quando gracchia. Accidenti a lui. Non so come sia possibile, non chiedetemelo, credo sia qualcosa nel modo in cui mette le parole una dietro l’altra. E poi prende fiato in maniera oscena. È l’unico uomo al mondo a prendere fiato in maniera sessualmente esplicita! Ho detto non chiedete!
Santo cielo.
Esploderò, so che esploderò.

Map Of The Problematique
Io so esattamente qual è il mio problema, Bellamy!
E non è “quando finirà questa solitudine?”!
È “quando finirà questo STRAZIO?”!!!
Dio, tutto questo è veramente osceno. Sentite come trascina le note, sentite, sentite!!! È un incapace! Scommetto che quando canta sotto la doccia i vicini battono con la scopa sul soffitto per farlo tacere.
…e questo falsetto mi ucciderà! Distruggerà i miei poveri timpani! Santo cielo!
L’ho già detto? Lo ripeto. È uno strazio.
Non so se sia più straziante la sua voce o…
O.
O le piccole cose che comincio controvoglia a notare.
Detesto tutto di lui, ma mi piace come tiene la chitarra in mano. È… ossignore, non voglio davvero usare questo termine, ma lo userò: è tenero. È come un tenero amante. Prima di cominciare a suonare ha avvicinato la mano al manico con inusuale lentezza, con una dolcezza esasperante, e quando le sue dita scorrono lungo le corde, alla ricerca di qualche effetto strambo da dare al suono, sono… amorevoli. È come se si prendesse cura di lei. Come se la stesse coinvolgendo in una dichiarazione d’amore universale.
Quando suona, Bellamy cerca palesemente di procurare un orgasmo alla sua benedetta chitarra.
…scommetto che se avesse le labbra lei ringrazierebbe.



…io se fossi una chitarra ringrazierei.

Take A Bow
Non ci posso credere.
Questa è una canzone dance.
Cioè.
È una canzone dance!
Perché devo subire una tortura simile?! Perché non posso addormentarmi di botto adesso?!
Ve lo dico io perché! Perché la voce di questo dannato moccioso è talmente acuta che se provassi ad abbassare le mie difese anche solo per un secondo mi esploderebbe il cervello!!!
Santo cielo.
So di averlo già detto!
Lasciatemi in pace!
Che poi, con chi sto parlando?!
Con le vocine nel mio cervello!
Che assomigliano spaventosamente alla sua!
La mia testa è piena di piccoli Bellamy pigolanti che continuano a canticchiare “bow bow bow” in un’eco infinita come fosse il loro verso naturale! Bow bow bow! Così! Di continuo!
Santo cielo, morirò.
Mi lascio andare contro lo schienale del sofà e sospiro pesantemente. Sono sicuro che Stef ha capito che c’è qualcosa che non va, anche se in questo momento non mi va di pensarci, sinceramente.
Riesco…
…riesco solo a tenere gli occhi incollati su quel tipo là fuori.
Quel tipo assurdo là fuori.
Che fa il bagno nelle luci artificiali del palco, e sembra splendere – e giuro che non voglio sapere se è a causa del gel brillantinato che ha sulla testa.
Che si dimena, con quell’allucinante maglioncino rosa che si piega e si agita ad ogni movimento che fa, seguendo la traccia dei muscoli guizzanti sul corpo magro, seguendolo nei salti, nelle giravolte, perfino nei movimenti più allucinanti, quando si appoggia all’amplificatore con aria lasciva, come stesse provando a portarselo a letto, scivolando con il fianco sulla superficie mentre ascolta estasiato i suoni distorti che la chitarra lancia in un disperato tentativo di esprimere la propria sofferenza. Seguendolo nei gesti teatrali, quando solleva le braccia verso il pubblico, e sembra che il mondo intero stia urlando il suo nome, affascinato, no, totalmente rapito dalla sua presenza, seguendolo perfino quando si aggrappa al microfono e lo sfiora con le labbra in un bacio morbido e sensuale – ora capisco da dove viene la carica erotica che sprigionano le sue parole, è il contatto col microfono, metallo contro labbra, il freddo del ferro e il calore assurdo della sua pelle, l’eco che rende la sua voce mille volte più intensa, e-
Oh.
Mio.
Dio.
Abbasso lo sguardo.
Il piccolo Bri è inequivocabilmente sveglio.
E quando dico inequivocabilmente intendo che sta per esplodere nelle mutande, e che tutto ciò è dannatamente doloroso.
Ritorno in me giusto in tempo per capire che Stef, al mio fianco, mi sta guardando come se fossi mostruoso.
- Non ci posso credere… - dice, gli occhi spalancati e la bocca contratta in una smorfia di puro disgusto, - Sei… sei in calore…
Spalanco gli occhi a mia volta, tirandomi indietro come mi stessi scottando.
- N-Non sono in calore!!!
Quasi contemporaneamente, porto entrambe le mani all’inguine, nel disperato tentativo di coprire le mie vergogne – e che vergogne.
- Sei in calore! Sei completamente in calore! Un coniglio in calore!
Non afferro l’associazione mentale, mi limito ad arrossire come mai – credo – in vita mia, e a saltare in piedi, vagando per la stanza in preda alla sofferenza atroce che mi obbligano a patire questi dannatissimi jeans aderenti, cercando con gli occhi un bagno per placare questo desiderio francamente assurdo.
- Steve, guarda! – insiste Stef, e sembra divertirsi parecchio, al contrario di me, - Guarda, Bri è in calore!
- Comeche? – chiede lui, cadendo dalle nuvole, mentre solleva lo sguardo dalla rivista che leggiucchiava per ingannare il tempo.
- In calore! Eccitato come una ragazzina di fronte al suo idolo di sempre!
- Ma come mai?
- Possiamo, per favore, omettere questa parte della fanfiction?!
- Secondo te come mai? – il mio appello sembra passare inosservato! – È rimasto per tutta la mezz’ora dell’esibizione dei Muse a fissare Matt come una studentessa innamorata, e adesso logicamente se lo vuole fare!
Steve spalanca gli occhi, e così siamo in tre ad avere gli occhi spalancati.
Evviva lo stupore!
- Non ci posso credere! – strilla il mio batterista, agitando le mani come a dire “io ci rinuncio”, - Fino a qualche minuto fa Bellamy ti disgustava! Non sei possibile!
- Avevo detto omettiamo!!! Omettiamo, tagliamo, passiamo avanti, diocristo, dov’è il bagno?!
Nello stesso momento in cui mi pare di individuare qualcosa di simile a un cartellino verde con omini bianchi che mi invitano a chiudermi in un cesso e liberarmi da ogni problema, appare Alex.
La donna più priva di tempismo dell’intero universo.
(Anche se mi sa che stavolta sono io a mancare, quanto a tempismo.)
- Cosa ci fate ancora qui? – chiede pacata, sinceramente stupita, - Dovreste già essere pronti per entrare! Vi esibite adesso, non lo sapete?
Io continuo a dirigermi imperterrito verso il bagno.
E chiaramente a lei la cosa non va giù, perciò mi afferra per la collottola e mi riporta indietro, sollevandomi di peso come un giocattolo.
- Brian, dove stai andando esattamente?
- In bagno!
- Dovevi pensarci prima! Fila sul palco!
- Non posso!
- Oh, se puoi…!
- Non così! Lo capiranno tutti!!!
- COS’È CHE DOVREBBERO CAPIRE?!
- Vuole scoparsi Matt Bellamy. – si intromette Stefan con uno sbadiglio annoiato.
Perfetto! La fiera delle persone fuori luogo! Sono perduto!
…e lo sono davvero.
Quando sollevo lo sguardo.
E mi accorgo che Matthew Bellamy è proprio qui davanti a me, appena rientrato dal palco, e mi fissa con occhi semichiusi da gatto furbo e malevolo e un ghigno demoniaco sul volto.
Mette la mani sui fianchi, sporgendo lievemente il sedere e stringendosi nelle spalle, mentre solleva il mento con adorabile fossetta annessa, come volesse mostrarsi al meglio delle sue potenzialità.
Poi lancia uno sbuffo terribilmente carino.
E…
- Quando vuoi, Molko.
…e io non ho neanche il tempo di capire che mi sta palesemente prendendo per il culo, che il mio cervello implode e poi esplode, mentre lo sento allontanarsi vittorioso in preda alle folli risate che gli procura la sua furbissima battuta – o almeno, quella che nel suo cervello deve essere una furbissima battuta.
- Suvvia, suvvia. – dice Stefan, aiutandomi a risollevarmi dal pavimento sul quale mi sono abbattuto dopo le parole di quella zoccola di Bellamy, - Forza. Dobbiamo andare sul palco.
Non so ancora come, riesco a muovere quei quattro passi che mi separano dalle luci della ribalta, e nel momento in cui raggiungo la mia postazione e guardo il pubblico d’improvviso la mia mente torna chiara. Lucida. Efficiente.
Odio ancora Matthew Bellamy! Dannazione, lo odio adesso come non l’ho mai odiato prima d’ora! È un essere abominevole! Non ha decenza! Non ha rispetto per i problemi altrui! Ed è davvero una zoccola di proporzioni stratosferiche – non dimenticherò mai più quella mossettina coi fianchi, dannazione!
Mi propongo un giuramento: dal momento che quell’uomo non merita neanche considerazione, prometto a me stesso che mai più un singolo pensiero sarà rivolto a lui. Mai più!
Adesso va meglio! Adesso mi sento carico!
Mi volto per farmi passare la chitarra, e mentre la imbraccio…
…mentre la imbraccio catturo di nuovo lo sguardo di Bellamy. Mi spia dal backstage, nascondendosi con falso pudore dietro gli scuri tendoni che occultano al pubblico la visuale del retro del palco; crede di avere il controllo, lui, crede di essere unico padrone dell’intera situazione, e ghigna felino e famelico esattamente come prima, e io…

Accidenti a lui.
Accidenti, accidenti, accidenti a lui.
Cambio di programma.
Cambiamo giuramento.
Io giuro che quella zoccola prima o poi me la faccio!
Genere: Comico.
Pairing: MattxBrian
Rating: R, più o meno XD
AVVISI: Boy's Love, CrackFic.
- "- Bri?
- Mmmh.
- Credo di essere incinto.
Brian sollevò lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando e lo piantò con inaudito stupore sull’espressione serafica di Matt, disteso sul letto al suo fianco.
- Tu credi di essere cosa?!"
Commento dell'autrice: Per carità XD Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma tutto avrei immaginato meno che i protagonisti di una storia come questa potessero essere quei due! *però a ripensarci è del tutto naturale XD*
Niente di particolare da dire, è una storia demente che vorrei dedicare a tutte le persone che se la sono sorbita via chat e che hanno condiviso con me questo momento di delirio XD e in special modo alla nai, che mi aveva letto nel pensiero e l’aveva capita prima ancora che la capissi io XD E poi alla Juccha e ad Ana, che sono sempre di grande supporto e m’incoraggiano da brave bambine anche quando quello che faccio è totalmente demente – come in questo caso XD
Va a rinfoltire il gruppetto di fic che ho scritto per le 100Songs è_é Forza, procedendo di idiozia in idiozia prima o poi riuscirò a completare il set!
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
DETTAGLI!
Song #86 – Strange disease


- Bri?
- Mmmh.
- Credo di essere incinto.
Brian sollevò lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando e lo piantò con inaudito stupore sull’espressione serafica di Matt, disteso sul letto al suo fianco.
- Tu credi di essere cosa?!
Per tutta risposta, Matthew sollevò la maglia del pigiama fin sotto al collo e prese a rimirare con malcelato entusiasmo la curva – effettivamente un po’ gonfia – della sua pancia.
- Be’, guarda. – disse con innocenza, accarezzandosi il ventre in modo che Brian non esitò a giudicare dentro di sé come spaventosamente materno, - È tonda.
Allarmato, l’uomo si chinò su di lui, osservandolo da vicino.
- Tu non puoi dire sul serio!
Matt si limitò a scrollare le spalle e fissare il soffitto con aria trasognata.
- Matt, guarda che non è possibile.
Irritato dall’effetto discriminante e, evidentemente, eccessivamente razionalizzante delle parole di Brian, Matt scattò a sedere, mandando quasi Brian a gambe all’aria nel movimento, e lo fissò astioso.
- Perché non potrei essere incinto, scusa?!
- …tu non hai ovaie, Matthew!
L’uomo sbuffò, incrociando le braccia sul petto e guardando altrove.
- Dettagli.
- Dettagli?
- Dettagli!
- …
- Altro?!
- Matthew! Cerca di smetterla, avanti!
- Visto? Non hai altro da dire! Potrei essere incinto.
- Matthew, Cristo Santo, anche se tu avessi delle ovaie nascoste da qualche parte all’interno del tuo corpo, dubito che il mio sperma possa esserci arrivato entrando da dove è entrato!
- E tu cosa ne sai? Se ho delle ovaie, è probabile che ci sia un collegamento tra loro e quel posto lì!
- Oddio, sto con un alieno e non lo sapevo. – sbuffò Brian, decidendo di disinteressarsi completamente della cosa nella speranza che Matthew seguisse il suo esempio.
Molto contrariato, Matthew si limitò a grugnire una qualche offesa indistinta e tornare a distendersi sul letto, guardando fisso davanti a sé come se volesse uccidere qualcuno.
Così, passarono molti secondi.
Secondi durante i quali Brian ripensò alla rotondità della pancia del suo uomo.
E poi alla sua teoria assurda su ovaie e tube di falloppio situate da qualche parte fra i reni e l’intestino crasso.
E poi di nuovo alla rotondità.
E all’indubbia assurdità generale dell’uomo che gli riposava a fianco.
E la rotondità.
E…
…e la rotondità.
- Abbiamo sempre usato il preservativo, vero? – chiese titubante, senza azzardarsi a sollevare gli occhi dalla rivista.
Matthew scattò a sedere come se l’avessero punto con uno spillo.
- Vedi?! Vedi che è possibile?!
- Non ho detto niente del genere! Mi stavo solo chiedendo se per caso a-
- Perché avrebbe dovuto interessarti se non avessi pensato anche solo per un secondo che fosse possibile che io rimanessi incinto?!
- COSA NE SO, Matthew, sei TONDO, scusami se questo mi confonde un attimino!
- Sono tondo! L’hai detto! Sono tondo! Oddio!
- Adesso calmiamoci. – sentenziò Brian, poggiandogli una mano sulla spalla e fermando i suoi saltelli isterici sul materasso, - Dobbiamo vedere la situazione con lucidità e raziocinio. Abbiamo sempre usato il preservativo, vero?
- Sì, ma è irrilevante! Potrebbe essersi rotto!
Esasperato, Brian si passo una mano sulla fronte.
- Non mi sembra di ricordare cose simili…
- Logico! Se anche una volta si fosse rotto non ci avresti dato importanza, tanto ero un uomo e non potevo restare incinto!
- Sei ancora un dannatissimo uomo!
- Ma sono tondo!!!
- Oddio, Matthew, giuro che se lo ripeti ancora una volta ti faccio diventare quadrato a forza di botte!
Matthew decise saggiamente di restare in silenzio e continuare a urlare “Sono tondo!” solo nella sua testa, mentre Brian si massaggiava le tempie con tanta furia che sembrava volesse consumarsi i polpastrelli e cercava di capire come fosse giusto procedere.
- Che cosa diavolo possiamo fare? Merda… devo… chiamare qualcuno fidato… e chiedere consiglio…
- Dobbiamo andare a fare un’ecografia. – disse Matthew, sicuro di sé.
- …cosa?
- Un’ecografia! Sai, di quelle cose che ti fanno vedere il bambino nel monitor…
- So cos’è un’ecografia, Matthew! Ma tu non hai un utero!!!
- Potrei averlo!
- Sì, e t’immagini la dottoressa che lo va cercando con l’affare dell’ecografia per tutto il tuo corpo?! Potrebbe essere ovunque!
- È di sicuro nel mio stomaco.
- Nel tuo stomaco c’è solo del cibo, al massimo!!!
- Ma è lì la rotondità!!!
Brian si coprì gli occhi con le mani, sprofondando nella disperazione.
- Devo… devo chiamare Alex. – mormorò, la voce tremante, così come la mano che si allungava a recuperare il cellulare sul comodino e poi si affrettava a comporre il numero della manager sulla tastiera.
- Squilla? – chiese Matt, già ansioso per il futuro del suo bambino.
Brian annuì e gli intimò di tacere tappandogli la bocca con la mano libera.
*

- Pronto? – cinguettò Alex con un sereno sorriso sul volto, continuando a spalmare la crema solare sulle gambe.
- Alex? Brian.
- Sì, lo so, tesoro. C’era il tuo nome sul display.
- Ho un problema.
- Dimmi tutto, caro.
- Matthew.
Alex sospirò e roteò gli occhi dietro ai vistosi occhiali da sole firmati che indossava.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Quando Brian aveva un problema, quel problema o era causato da Matthew o era Matthew stesso.
- Che cosa c’è stavolta?
- Dice di essere incinto.
La donna si prese un secondo per riflettere.
- Dice di essere cosa? – chiese pacatamente, senza scomporsi più di tanto.
- Incinto. – ripeté Brian con un sospiro rassegnato.
- Matthew è pazzo, tesoro. – asserì la donna, sempre sorridendo, - Lui non può essere incinto. La parola “incinto” neanche esiste, sai?
- Sì, ma Alex… - e qui l’uomo abbassò la voce, come stesse cospirando, - …vedi, lui è così tondo!
- …tondo?
- Tondo!
- Nel senso… proprio… cioè…
- Be’, non ha un pancione come fosse incinto di nove mesi, chiaramente, ma è comunque… come dire… sferico
- …ha l’ombelico che esce?
- Eh?
- Controlla se il suo dannato ombelico è incavato o sporge!
- …aspetta un minuto. – borbottò Brian, armeggiando con la maglia di Matthew fra le sue sonore proteste, - …sì. È… sembra un bottoncino.
- …ok.
Alex sfilò gli occhiali e si passò una mano sugli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
- Ok, tesoro. In una situazione normale ti chiederei se per caso il suo ciclo è stato regolare ultimamente, ma… Matthew non ha un ciclo, e quindi…
La voce ovattata di Matthew, proveniente da qualche angolo lontano della stanza, protestò animatamente affermando che se poteva avere delle ovaie e un utero allora poteva avere anche delle mestruazioni, ma Brian fermò il delirio ricordandogli che non aveva mai perso sangue da là sotto e quindi questa possibilità era tranquillamente scartabile.
- Continua pure, Alex. – la incitò Brian, chiaramente sull’orlo del crollo.
- Non so che dirti, tesoro. – ammise Alex, stringendosi nelle spalle, - Tutte le indicazioni sembrano dire che Matt è incinto…
- Tutte le indicazioni sembrano dire cosa?!
- Ma nella mia esperienza posso assicurarti che è impossibile per un uomo una cosa del genere!
“È mio diritto in quanto uomo libero quello di poter essere incinto! Siamo in un paese democratico!”, sbraitò Matthew, sempre più lontano e sempre più invasato.
- Alex, ti giuro che io non so più che fare, il mio uomo è incinto e io non sono pronto a diventare padre!
- A-Adesso calmati, Bri, tesoro, non è sicuro…
- Non è sicuro?! NON È SICURO?! Non lo penseresti anche tu se fossi qui con un uomo tondo in preda alle crisi isteriche!!!
“Brian, smettila di dire che sono tondo! Mi fai sentire grasso!”
- Ecco, lo senti?! Lo senti?! È incinto!
- Ma Brian, Matthew è un uomo, Cristo Santo, non oso immaginare da che buco avrebbe intenzione di farlo uscire, questo fantomatico bambino!
“Voglio il cesareo!”, strillò Matthew, rabbrividendo al pensiero della sofferenza che avrebbe dovuto patire in caso di parto naturale.
- Cesareo sì! – gli fece eco Brian, inorridendo a sua volta, - Non voglio che mio figlio passi per posti strani, venendo al mondo!
- Ragazzi, secondo me state facendo un problema per una cosa che non esiste! Non può esistere! Siate realistici!
- Alex, ti giuro che io ci ho provato, ma… oddio. Oddio, Matt, che hai? Matty, tesoro?
“Mi sento male… ho la nausea…”
- Matt! – strillò Brian.
- Matt, perdio! – strillo a sua volta Alex, - Brian, chiama un’ambulanza!
- Non posso! Sto parlando con te!
- Chiudi questa maledetta conversazione e porta il tuo uomo incinto all’ospedale!!!
- No! Ho paura! Alex, non te ne andare!
- Brian!
“Urgh…”
- Matthew!
- Matty! Dove vai?!
- Dove va?
- È andato in bagno!
- Oddio! Avrà la nausea? È incinto sul serio!
- Te l’avevo detto io!
- Oddio!
- Oddio!!! Aspetta!
- Cosa?
- …è uscito.
- È uscito cosa, Signore Benedetto?!
- Matthew! Dal bagno!
- Come sta?
- Sembra…
- …sembra…?
- …tranquillo. Matty, amore, come va?
Alex sentì Matthew ridacchiare sommessamente.
“Tutto a posto.”
- Hai qualche problema? – chiese Brian, agitato e preoccupato, armeggiando con la cornetta per poterla tenere in bilico fra mento e spalla e utilizzare le mani per assicurarsi che non mancasse nessun pezzo del suo ragazzo.
“No, no”, rispose Matt tranquillamente, “E, Bri, scusami. Non ero esattamente incinto”.
- …non lo eri?
- Non lo era?!
Matthew scosse il capo.
- Ma eri gonfio! – disse Brian, un po’ stupito e vagamente deluso.
“Be’, non lo ero davvero, evidentemente”.
- Ma… e le ovaie? L’utero? Le mestruazioni?!
“Quelle non ci sono mai state, amore…”
- Ma l’ombelico! Brian! Digli dell’ombelico!
- Il tuo ombelico sporge!
Matthew sollevò la maglia.
- Sporge ancora!
“È sempre stato così, da quando sono nato…”.
In effetti, il gonfiore sembrava scomparso.
Non c’era più traccia della rotondità che tanto aveva allarmato Brian quando l’aveva vista.
- …ma allora potresti avere la bontà di spiegarmi cosa diavolo era che ti gonfiava come fossi incinto?
Matthew gli si avvicinò, appoggiando le mani a coppa attorno alle labbra.
“Stitichezza…”, bisbigliò lentamente, al colmo dell’imbarazzo.
- …COME, SCUSA?!
“Be’, erano un paio di giorni che non facevo-”
- E tu quando per un paio di giorni non vai al cesso e cominci a gonfiare pensi come prima cosa all’essere incinto?! Ma vai a cagare!
“L’ho appena fatto, Bri, ecco perché-”
- Matthew non mettere alla prova la mia pazienza più di quanto tu non abbia già fatto, ti avverto!
- Ragazzi… - sospirò Alex, sollevata, - dal momento che il problema è rientrato, se permettete io tornerei agli importantissimi affari che mi tenevano impegnata prima. – concluse, terminando la chiamata e ricominciando a ricoprirsi di crema abbronzante.
Brian gettò lontano il cellulare con uno scatto isterico, fissando Matthew con rabbia omicida negli occhi.
- Adesso veniamo a noi. – sentenziò minaccioso, facendo un passo avanti.
- B-Bri, tesoro… adesso calmati… non… non fare niente di cui potresti pentirti…
- Perché no, eh? Dammi un solo motivo per cui non dovrei pestarti a sangue fino ad ucciderti!
Matthew ci rifletté per qualche secondo, mordicchiandosi agitato le labbra.
- Be’… - disse infine, incerto, facendosi minuscolo a ridosso del muro, - anche se stavolta è andata male, potrei sempre essere la futura madre dei tuoi figli.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, OC, Incompleta.
- Quando, nella folla scalpitante che è il pubblico del concerto, Brian Molko intravede Matthew Bellamy, ha una "brillante" idea, le cui conseguenze saranno a dir poco devastanti per la sua vita, per quella di Matthew e per il gruppetto di fangirl slasher che assiste allo show e per le quali l'unico obiettivo degno di essere perseguito è quello di cercare di tramutare in realtà ciò che scrivono nelle loro fic...
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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A LITTLE RESPECT
CAPITOLO 1
HAVE FAITH AND PREY


- COSA STAI ANDANDO A VEDERE?!
Incredulo, Matt fissò la ragazza di fronte a lui – quella che, è bene precisarlo, avrebbe, AVREBBE dovuto essere la sua ragazza – e si abbandonò sulla sedia, appoggiandosi allo schienale, sconsolato.
- Non posso crederci… - farfugliò, ancora sconvolto, portando una mano fra i capelli, - Non posso credere che lo farai davvero…
- Avanti, Matt… - disse lei, stringendosi nelle spalle, i corti capelli a caschetto a ondeggiare sul collo, - E’… è solo un concerto…
- Sì, ma… oddio, non riesco neanche a dirlo… un concerto dei PLACEBO!!!
La ragazza sbuffò, contrariata.
- Oh, insomma. Ho ascoltato abbastanza lamentele. Non avresti fatto così se ti avessi detto che stavo andando a guardare, che so, il concerto dei Dream Theater!
- Se mi avessi detto che stavi andando a vedere un concerto dei Dream Theater ti avrei implorato di portarmi con te!
- Matt, santo cielo, ho comprato i biglietti e non intendo…
- Gaia, quella sottospecie di essere umano è convinto che io lo invidi! E, cosa ancora peggiore, è convinto di essere più bravo di me! Non so se comprendi!
Gaia sbuffò, esasperata.
- Comprendo solo che secondo te Brian Molko è un pallone gonfiato. E dunque?
- Come “e dunque”?! Che poi, sinceramente, non capisco come uno possa arrivare a spendere soldi per guardarli dal vivo, neanche fossero miracolosi…
La ragazza scrollò le spalle, guardando un punto imprecisato nel vuoto.
- Be’, in realtà sono bravi. – disse, aspettando la detonazione.
- BRAVI?! Sono degli emokid troppo cresciuti, il cui unico punto di forza è saper giocare bene sull’ambiguità sessuale e avere un frontman che, pur essendo una testa di cazzo, qualche anno fa, prima delle rughe, era carino e sembrava femmina!
Gaia sospirò. Sapeva che Matt non si sarebbe spostato di un millimetro dalle sue convinzioni, e che avrebbe fatto di tutto per cercare di convincerla a non andare a quel concerto.
Così come sapeva che non c’era niente che lui potesse fare per riuscirci.
Si alzò in piedi, scrollando le spalle e gettando uno sguardo veloce all’orologio a muro.
- E’ già tardi. – disse, - Devo andare. Cos’hai deciso?
- Ah, no, se anche potessi consentire a te di andare a vedere questo… questo scempio, di sicuro io non andrò mai a vedere i Placebo dal vivo.
- Ma non ci sei mai stato, dai, potrebbe rivelarsi una sorpresa…
- Potrebbe sorprendermi solo ancor più negativamente!
- Matt, non vorrai costringermi a stare in fila da sola per cinque ore mentre aspetto che inizi il concerto e cerco di guadagnarmi un buon posto?!
- Sono problemi tuoi! Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
- Matt!
- Ho detto mai, Gaia!
- Così sprecheremo i soldi del tuo biglietto!
- Sono sicuro che troverai qualche morto di fame a implorare carità davanti alle porte del forum.
- Matt, smettila di fare il bambino e infilati quella giacca, andiamo!
- Non ho nient’altro da dire.
Si fronteggiarono, fissandosi negli occhi con rabbia omicida, i pugni stretti e i lineamenti tesi.
- E’ la tua risposta definitiva? – ringhiò Gaia, gli occhi ridotti a due fessure.
Matt fece un passo indietro, spaventato.
Aveva imparato ad avere paura della sua ragazza, quando lo guardava in quel modo.
*

L’aria.
È così naturale averla a portata di naso che non ne capisci mai l’importanza.
Almeno fino a quando non ti trovi schiacciato tra centinaia di persone che pressano spingono tirano si buttano avanzano e indietreggiano seguendo percorsi e strategie complicatissime solo per raggiungere l’agognato obiettivo della prima fila, e, una volta giunte lì, morire schiacciate dalla massa che pressa alle spalle.
Teresa detta Terry, Julianne detta Julie e Amanda detta Amanda – perché qualsiasi vezzeggiativo sembrava troppo idiota per potere essere usato seriamente – erano a buon punto. Perdute da qualche parte nel centro esatto del forum, riuscivano a intravedere in lontananza il palcoscenico.
Avevano fatto del suo raggiungimento lo scopo della loro vita – almeno per le prossime cinque o sei ore.
- Sono già due ore che stiamo qua in mezzo, Julie… magari ci fermiamo? – propose Amanda, già annoiata dal clamore, dalla puzza di sudore e dai corpi degli altri esseri umani, troppo vicini per non essere insopportabili.
- Neanche se mi offrissero la vita eterna mi fermerei adesso! – disse la ragazza, col fuoco negli occhi.
- E se ti offrissero la vita eterna e ti permettessero di passarla con Brian? – chiese Teresa, gli occhi brillanti, persa nelle sue fantasie da delirio pre-concerto.
- Terry, che razza di ipotesi fai? Allora, ci muoviamo?
Così dicendo, spintonò un po’ a destra e un po’ a sinistra, lasciò che Teresa si infiltrasse nel microscopico pertugio che le sue spinte avevano generato e poi, tirando Amanda per un braccio, forzò l’apertura, fiondandocisi in mezzo e trascinando con sé le sue amiche e buona parte dei cadaveri già persi e abbandonati per strada.
Guadagnarono due file.
Se di file si poteva parlare in mezzo a quella massa informe.
- Ha! Sono fiera di me! Amanda, guarda se si vede il palco!
Dall’alto del suo metro e ottanta, Amanda si issò sulle punte e mise teatralmente una mano sulla fronte, come volesse coprire gli occhi dal sole.
- Be’, io lo vedo, ma per voi non c’è speranza.
Teresa sbuffò. Amanda era molto alta, certo, ma questo non la consolava. Insomma, Julianne era più bassa di Amanda, ma parlando di lei si poteva ancora parlare di stature normali.
Maledisse quei nanerottoli dei suoi genitori per il suo metro e cinquanta scarso.
Julianne le diede una pacca sulla spalla, sorridendole rassicurante, una gocciolina di sudore che le scendeva lungo una tempia.
- Non fare così, tanto questo posto non va bene neanche per me. Avanziamo ancora!
- Per carità… - si lamentò Amanda, sbuffando e roteando gli occhi, ma non si oppose quando venne nuovamente arpionata per il braccio e costretta a fendere la folla.
Mentre le tre avanzavano utilizzando Amanda come uno spartighiaccio, successe un miracolo. Qualcuno, qualcuno di molto vicino al palco, venne malamente spintonato da qualcun altro e cadde di lato. A seguito di questo smottamento, molte delle persone che si reggevano in equilibrio precario su un piede, in cerca di spazio dove poggiare l’altro, capitombolarono rovinosamente per terra.
Si aprì un varco.
Per poco Amanda non prese le sue due amiche per la collottola, nel tentativo di guadagnare quella terra santa.
Quando ebbero preso possesso del luogo, le tre si lasciarono finalmente andare a un sospiro di gioia e sollievo: erano arrivate a qualcosa come la terza fila, sempre se di file si poteva parlare! Il palco era così vicino che quasi avrebbero potuto prenderlo d’assalto e salirci sopra.
- Allora, ricapitoliamo il piano. – disse Julianne, seria, cercando senza riuscirci di mettere una mano sul fianco, - Aspettiamo che cominci il concerto, assaliamo il gruppo e rapiamo Brian. Dopodiché lo cloniamo e facciamo uno a testa, no?
- No! – si agitò Teresa, come se quello di cui stavano parlando fosse realmente possibile, - A me dovete darne due, uno devo portarlo a Phil.
- Ah, già, - disse Amanda, supponente, prendendola in giro, - non solo dobbiamo improvvisarci genetiste per realizzare una clonazione umana, ma dobbiamo anche supportare la latenza omosessuale del tuo ragazzo canterino…
- Lui… non ha nessuna latenza omosessuale! Lo vuole perché dice che deve rubargli le corde vocali!
- Sì, sì, - disse Julianne, dandole un buffetto sulla guancia, - vedrai, tesoro, un giorno Phil capirà che il motivo per il quale le sue prestazioni sessuali sono deludenti…
- Julie!
- …non è altro che in realtà non è interessato al genere femminile. E allora sarà più facile per tutti: per lui lasciarti e per te finalmente cadere fra le mie braccia.
- Santo cielo…
- Sì, Julie, - aggiunse Amanda, - Smetti di provarci con lei almeno oggi, per carità, risparmiaci…
- Oh, - si giustificò lei, sbuffando, - che posso farci se mi viene dal cuore?
- Va bene, va bene… - sbuffò Terry, tirando fuori dalla borsetta un blocchetto per gli appunti, - Invece di parlare di questi argomenti inutili, vediamo di occupare il tempo in maniera fruttuosa: stabiliamo la trama della fic fino alla fine.
Parlare della fanfiction a sei mani che stavano scrivendo piaceva loro molto più che scriverla, perciò prendere appunti per capitoli futuri dei quali avrebbero scritto qualche parola solo mesi dopo era la loro attività preferita.
- Ah, sì! – disse Julianne, illuminandosi, - Proprio ieri sera, prima di andare a letto, ho preso qualche appunto!
Tirò fuori un fogliettino spiegazzato dalla tasca degli strettissimi jeans che indossava, uccidendo una ragazzetta vestita come una brutta copia di Amy Lee con una gomitata.
- Allora, pensavo che il prossimo capitolo si potrebbe farlo un po’ più umoristico del precedente, no? Anche perché il venticinquesimo è stato proprio deprimente, Amanda…
La ragazza sbuffò, contrariata.
- Non era “deprimente”, ignorante. Era drammatico. C’è una bella differenza.
- Sì, però devi ammettere – si intromise Terry, stringendosi nelle spalle, - che avrebbe potuto essere un attimino più soft.
- Oh, insomma! Se non volete guardare in faccia la realtà non è colpa mia!
- Amanda, non s’è mai visto uno che prende coscienza di essere gay e quasi si butta dal balcone per la disperazione, Cristo! – sbottò Julianne, esasperata.
Il genere entro il quale avrebbe dovuto iscriversi la loro fanfiction era sempre stato motivo di pesanti liti fra di loro. Questo perché, mentre Amanda provava una perversa attrazione per tutto il filone delle, a scelta, emo/drama/dark/angst/death fic, Julianne non smetteva un secondo di perorare la causa delle fic umoristiche/demenziali/nonsense e Teresa, per conto suo, cercava di infilare batticuori, rossori, dichiarazioni e tenerissime prime volte in tutto ciò che scriveva, trasformando qualsiasi tipo di fic in una romance in un battito di ciglia.
- Infatti secondo me adesso sarebbe proprio l’ora di una romantica re-union!!! – suggerì Terry giungendo le mani sul petto e sorridendo, persa nelle sue fantasie.
- Ma non esiste proprio! – si oppose Amanda, guardando le due amiche dall’alto in basso come fossero stati scarafaggi, - Questo è il momento perfetto per una bella e drammatica presa di coscienza da parte di Brian!
Le altre due ragazze la guardarono attonite.
Ah, sì, piccola precisazione: nella fic che stavano scrivendo, uno dei protagonisti era Brian Molko. E non avrebbe potuto essere altrimenti, visto il morboso amore che nutrivano per il cantante di Placebo.
- Non posso credere che tu dica sul serio… - disse Julianne, con lo sguardo perso nel vuoto, - già nello scorso capitolo la “presa di coscienza” di Matt gli stava costando la vita, a momenti…
Seconda piccola precisazione: l’altro protagonista della storia era Matthew Bellamy, mai-abbastanza-idolatrato frontman dei Muse.
Ebbene sì. Siamo davanti a tre fangirl slasher inglesi in piena regola.
Siete autorizzati a pregare per la salvezza delle vostre anime.
- Non capite! – cominciò Amanda, incrociando le braccia sul petto e battendo nervosamente un piede per terra, - Fino ad adesso, per Brian, quello che c’era con Matt è stato solo un gioco. Ma ora la cosa deve cominciare a muoversi, altrimenti qua non la chiudiamo più e io invece ho già in mente un altro progetto, ve ne parlo poi… comunque, secondo me adesso è perfetto far prendere coscienza a Brian che quello che prova per Matt è serio, capite?
Teresa sbuffò, sconsolata.
- Possiamo anche capire, ma questa cosa sta diventando troppo deprimente! Non dobbiamo mica farlo diventare una versione edulcorata di “The Juda’s kiss”!
- Cosa c’entra “Judas” adesso, quella è tutta un’altra storia!
- E poi comunque stai pilotando troppo la trama, Amanda! – sbottò Julianne, - Anche noi abbiamo diritto di decidere qualcosa!
- Ehm… scusate…
Tutte e tre si voltarono verso la fonte della vocina che s’era appena intromessa nel loro discorso.
La copia venuta male di Amy Lee che Julianne aveva quasi ammazzato poco prima li stava fissando, stringendosi nelle spalle, rossa in viso.
- Scusate se m’intrometto… - continuò la ragazzina, che avrebbe potuto avere più o meno quindici anni, - Vi ho sentito parlare di fanfiction su Brian e Matt, o sbaglio…?
Le tre ragazze gonfiarono il petto, orgogliose.
- Sì. – disse Julianne, sorridendo spavalda, - Ne abbiamo scritte molte per conto nostro, adesso ne stiamo scrivendo una tutte assieme…
- Ah… allora avevo capito bene! – disse la moretta, illuminandosi in viso, - Voi siete le tre autrici di “A little respect”!
Se possibile, le ragazze s’inorgoglirono ancora di più.
Ebbene sì. Venticinque capitoli e centotrentaquattro recensioni all’attivo, la loro fanfiction era la slash più amata del suo fandom.
- Non posso credere di avervi trovato nel mezzo di tutto questo casino! – continuò la ragazza, entusiasta, - La vostra fic è grandiosa, la apprezzo moltissimo!
- Grazie, grazie, non meritiamo tanto… - disse Julianne, deliziata, agitando una mano.
- Stavate decidendo come andare avanti?
- Sì, ma faresti meglio a non ascoltare… - disse Teresa ridacchiando, - Abbiamo un mucchio di capitoli ancora non pubblicati, non vorrei che ti spoilerassi qualcosa…
- Ma che dite, forza, sono un’affamata di spoiler io!
- Mmmh… se è così… - disse Amanda, con un sorriso di sufficienza, - Le sceme, qui, non capiscono che al punto della storia in cui siamo, cioè Matt che ha appena scoperto di essere gay, un bel capitolo d’introspezione angst su Brian starebbe troppo bene!
- Mmh… - rifletté la moretta, grattandosi il mento, - In realtà, se posso dare un’opinione…
- Sì, sì, certo! – la incoraggiò Julianne, entusiasta.
- Be’… ve l’ho già detto un paio di volte anche nelle recensioni… in realtà penso che… - il suo sguardo prese letteralmente fuoco, mentre serrava i pugni e si stringeva nelle spalle, come a prepararsi per una carica, - In realtà penso che in questo momento starebbe benissimo una bella parte NC-17 in cui Matt #&%/&£ Brian e Brian €€/&/(%%/$° Matt e poi tutti e due assieme fanno ][&%/&$(/(&/(%!!! Ecco quello che penso.
Le tre ragazze fissarono sconvolte la nuova arrivata. Mai sentita una sequela simile di sconcezze nella stessa frase, per il progetto di una fancition.
A meno che non si trovassero davanti a…
- Ma… ma… - mormorò Teresa, terrorizzata, - tu non sarai mica…?
- Ah! Scusatemi! Sono una maleducata, avrei dovuto presentarmi! – disse la moretta, scrollando le spalle, - Mi chiamo Marianne, ma probabilmente voi mi conoscete come MarySmut, anche se nelle recensioni mi firmo sempre Annette…
Un urlo si levò dalle tre, zittendo per un attimo tutta la folla.
- TUUUUUUUU SEI MARYSMUUUUUUT!!! LA REGINA INDISCUSSA DELLE LEMON SLASH!!! – ululò Julianne, indicandola, - NON CI POSSO CREDEREEEEEEEE!!!
La ragazza sorrise imbarazzata, arrossendo.
- Ecco… non pensavo di essere così famosa…
- Ma stai scherzando?! – disse Teresa, - Le tue fic sono bellissime! Io le ho lette tutte! Amanda è una tua grandissima fan!
- Grazie, grazie davvero…
- A proposito… - continuò Julianne, guardandosi intorno, - Dove diavolo è finita Amanda…?
- Già… è sparita quando Mary s’è presentata… e non è che sia così facile perdere una come lei…
Proprio in quel momento, tutte e tre abbassarono lo sguardo e la videro. Amanda s’era letteralmente prostrata ai piedi di Marianne.
- Tu sei la mia dea!!! Non ho mai visto una combinazione tanto perfetta fra sesso e introspezione come in “Map of the problematique”, la oneshot che hai scritto un mese fa, e “Interlude”, poi… l’ho trovata illuminante! Per non parlare poi dell’ultima fic che hai pubblicato, “Peeping tom”, mamma mia, quanto ho pianto per quella!!! E adoro anche il fatto che tutti i tuoi titoli siano canzoni dei Muse o dei Placebo, è stupendo!!! Aaaaaaah, non posso credere di averti incontrata sul serio, devi farmi un autografo oraaaaaaaaah!!!
Si fermò, ansante, gli occhi ancora colmi di ammirazione, un sorriso idiota sul volto.
Un po’ stordita, Marianne l’aiutò ad alzarsi.
- Ecco… magari l’autografo lasciamo perdere… - disse, imbarazzatissima, - Però ti ringrazio molto per i complimenti, mi fanno piacere… cercherò di non deluderti neanche con la mia prossima fanfiction…
- Cosa? Stai scrivendo qualcosa di nuovo? – indagò Teresa, emozionata, mentre Amanda, per l’emozione, sveniva definitivamente ai piedi del suo idolo.
- Sì. – annuì Marianne, - Una storia un po’ complessa in cui Brian e Matt, dopo una serie di incontri fugaci, smettono di vedersi, perché si sono accorti che la cosa sta andando un po’ oltre… dopo un po’ riprendono a cercarsi ma a causa di impegni vari et similia non riescono più a rivedersi… l’uno arriva in hotel l’attimo dopo che l’altro se n’è andato eccetera… cose così. – sorrise, - Sarà un po’ triste.
- Posso immaginare… - ridacchiò Julianne, - E il titolo?
- “Without you I’m nothing”. Comunque finisce bene!
- Non vedo l’ora di leggerla! – esplose Amanda, stringendo una mano a Marianne.
La ragazza ridacchiò lievemente.
- Spero che ti piaccia quanto le altre. – disse. – Allora, avete finalmente deciso cosa succederà nel prossimo capitolo di “A little respect”?
*

Si affacciò appena dalle quinte, gettando un rapido sguardo sulla folla. Qualcuno dovette vederlo, perché cominciò ad urlare, e venne presto seguito da tutti gli altri: il forum divenne tutto un’unica voce invocante la loro entrata in scena.
Brian tornò a guardare Stefan e Steve, con un gigantesco sorriso sul volto.
- Sono esaltati! – annunciò trionfante, indicando il pubblico fuori con un ampio gesto del braccio.
- Mmmmmh, che meraviglia, non vedo l’ora di salire sul palco! – gioì Steve, incapace di rimanere fermo e ballando nervosamente da una gamba all’altra.
- Ragazzi, quando volete, luci e sound sono a posto. – disse loro il responsabile del forum, rassicurandoli sulle condizioni della scena.
I tre si guardarono in viso per un attimo. Poi Brian si ravviò i capelli e fece strada.


Piccolo demenziario indispensabile (?) per capire la fic è_é

Fangirl: Una fangirl è una ragazza che ama ossessivamente un personaggio o una coppia di un determinato anime/manga o chi per loro. Il termine è usato dispregiativamente dai fan normali; dire fangirl d’altronde equivale un po’ a dire “pazza pervertita maniaca ossessiva” XD Le fangirl, invece, generalmente si gloriano di esserlo :D Io mi glorio, ad esempio è_é E’ anche vero che esistono parecchie reluctant-fangirl, che si vergognano di esserlo e lo dissimulano >_< Scrivono comunque fic yaoi XD ma si mascherano dicendo che lo fanno perché i loro protagonisti si innamorano l’uno dell’altro come persone e non come persone di sesso maschile *-*
Dream Theater: Gruppo progressive rock tuttora attivo. Sono mostri sacri <3 E sono bravissimi :)
Emokid: Termine usato con accezione esclusivamente negative, indica tutti quei ragazzini che si atteggiano a dark depressi ed emotivi.
Fanfiction: Sapete cosa sono le fanfiction, via XD
Emo/drama/angst/death fic: Fic dai contenuti pesanti e tristi.
Umoristiche/demenziali/nonsense fic: Fic dai contenuti allegri o demenziali.
Romance: Fic dai contenuti romantici.
Slasher: Casta di fic-writer che scrive (quasi) esclusivamente storie in cui i protagonisti sono omosessuali.
The Judas’ kiss: E’ tipo la più bella BrianxMatt che vi potrebbe mai capitare di leggere XD Peccato sia in inglese. E peccato sia massacrante da tradurre ç_ç Però non è massacrante da leggere, quindi, se con l’inglese ve la cavicchiate, fatelo (link). E’ un po’ duretta, mh? Solo per avvertire XD
Amy Lee: Cantante degli Evanescence, popolare gruppo emo pseudo-rock sulla scena da qualche anno.
Lemon fic: Fic ad alto contenuto erotico.