rp: jorg kaulitz

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Erotico, Introspettivo.
Pairing: Bill/Tom, Bill/OFC, Tom/OFC, Bill/OFC/Tom, OFC/OFC.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Underage, Het, Threesome, Incest, Femslash, What If?.
- Bill e Tom sono due gemelli normali. E non hanno mai avuto un rapporto strano. Fino ad ora.
Note: Così si conclude questa storia per la quale provo del sincero affetto, per il semplicissimo motivo che è molto bello cimentarsi in qualcosa di nuovo e scoprire di essere in grado di soddisfarsi comunque <3 Badate bene, non penso che questa storia sia perfetta e continuo ad essere quasi sicura del fatto che le sarebbe servito più spazio per essere un racconto valido, ma per ciò che è, per come si muove, per come l’ho raccontata e per cosa ci ho messo dentro, ne sono soddisfatta. È una bella sensazione e spero che anche voi l’abbiate provata leggendo <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
LIEBESKETTE
CAPITOLO 1
LOVE WILL TEAR US APART

Bill e suo fratello Tom non hanno mai avuto un rapporto strano. Bill e suo fratello Tom sono sempre stati due ragazzi piuttosto normali, nonostante tutto, a prescindere dalla fama, dalle ovvie stravaganze che questa comporta ed anche dalle ovvie stravaganze derivate dal corredo genetico di una madre con un tale spiccato senso artistico da renderli entrambi un paio di piccole opere d’arte da rimirare da ogni lato fin da piccoli. Bill è sempre stato un tipo eccessivo – il trucco, i vestiti, l’atteggiamento – Tom è sempre stato un tipo estremamente sicuro di se stesso – la sfacciataggine, la supponenza, il menefreghismo – ma il loro rapporto è sempre stato più o meno normale. Due gemelli sono legittimati a prendersi certe libertà, quando – appunto – sono gemelli. Due gemelli possono anche dormire insieme, due gemelli si leggono nella mente, due gemelli ridono fra loro senza neanche dire ad alta voce la battuta che hanno pensato nello stesso esatto momento, due gemelli si sfiorano e vanno in giro appiccicati l’uno all’altro senza che questo causi sgomento da parte di nessuno. Due gemelli possono fare tutto ciò e possono anche tirarci su dei quattrini, questo è sempre stato sottinteso. Bill – che è sempre stato un tipo molto schietto – una volta s’è ritrovato a dire ad alta voce che, se lui e suo fratello non avessero fatto parte di una band, probabilmente sarebbero diventati due puttane e non sarebbe stato difficile trovarli in un angolo di strada ad offrirsi insieme per la gioia di qualche quarantenne allupato in aria di twincest omosessuale. Questo non perché ci fosse qualcosa di strano nel loro rapporto, ma perché i gemelli Kaulitz si assomigliano in maniera illegale e sono entrambi due pigroni la cui unica scintilla si risveglia nel momento in cui si ritrovano al centro dell’adorazione altrui. Non basta loro adorarsi vicendevolmente, la cosa è più complessa, più ampia, più universale. Bill e Tom non hanno l’istinto della zoccola, ma non hanno neanche due veri e propri talenti – Bill canta, ma insomma, Tom suona, ma insomma – e perciò quella sarebbe stata semplicemente l’unica strada possibile, se non avessero fatto musica: usare il loro rapporto per guadagnarci sopra. È quello che fanno anche adesso, in modi forse meno perversi, ma nemmeno poi tanto.
Quindi, Bill e Tom non hanno mai avuto un rapporto strano. Bill e Tom sono solo fratelli.
Al momento, però, Bill e Tom hanno due problemi parecchio urtanti. Primo fra tutti: il loro rapporto che non è mai stato granché strano, sta improvvisamente diventando parecchio strano. Secondo e ultimo: Bill e Tom tendono ancora ad essere solo fratelli, ma non sono gli unici fratelli. E, per quanto questo possa essere relegato nel giusto angolino buio cui appartiene per la maggior parte dell’anno, adesso non è proprio possibile ignorare quest’esistenza coordinata di tre Kaulitz adolescenti in giro per il mondo.
Sospirando profondamente, Bill si accomoda fra i cuscini del divano, stringendo l’enorme borsa Prada fra le mani e disegnando ghirigori insensati con la punta di uno stivale sulla tela perfettamente nera della valigia immobile e stesa per terra ai suoi piedi. È piena da scoppiare, per una sola settimana è decisamente eccessiva. Tom – che sta seduto proprio lì accanto e guarda il cellulare con aria incredibilmente interessata, in attesa di chissà cosa, poi – ne ha una identica posata sul pavimento nello stesso modo, ma lui è giustificato dal fatto che ha portato la giusta quantità di vestiti, sono le loro dimensioni a prendere tutto lo spazio possibile. I vestiti di Bill, invece, sono tutti minuscoli. Micro magliette, micro pantaloni, tutto piccolissimo e sottile. Però sono una quantità indecente. Non riuscirà nemmeno ad indossarli tutti, in sette fottuti giorni.
- Sono già le quattro? – chiede in un soffio. Tom non lo degna di uno sguardo.
- Quasi. – risponde però, - Hai fretta di andartene?
Bill scrolla le spalle.
- Prima andiamo, prima torniamo.
Tom si lascia andare ad un mezzo ghigno vagamente infastidito. C’è sempre stato dell’astio, fra Bill e Jörg, dettato non tanto dal risentimento nei confronti del divorzio che i gemelli hanno smesso di provare già da tempo – c’è un limite alla quantità d’odio che un essere umano può sostenere; c’è un limite anche alla quantità di tempo per il quale quel sentimento può perdurare, prima di devastarne il portatore – quanto piuttosto per una normale incompatibilità di carattere: Bill è tutto e tutto insieme, Jörg è poco e poco per volta. Jörg va più d’accordo con Tom di quanto non riesca ad andare d’accordo con Bill solo perché Tom è generalmente meno rompiballe del fratello, tutto qui, ma suo padre non piace neanche a lui. Gli vuole bene, sì, perché è suo padre, ma non è una persona che frequenterebbe se non gli fosse legato da quel vincolo biologico.
- Non sei contento di rivedere Edel? – chiede, invece di lasciarsi andare al solito “Bill, cerca di essere paziente, con papà. E non rovinare a tutti la vacanza”.
Bill si sposta a disagio sul divano. No, non è contento di rivedere Edel. Edel ha – fa rapidamente i calcoli – quindici anni. Edel è il motivo per cui i suoi genitori si sono lasciati. Edel è sua sorella, d’accordo, ma è una sorella di cui non sentiva per niente il bisogno. Edel, oltretutto, è una persona che lui non vede da anni. Doveva averne circa cinque, lei, quell’unica volta, e lui ne aveva appena otto. Tutto ciò che ricorda è una bimbetta paffuta e pallida vestita di rosa, con una disordinata matassa di capelli biondi sulla testa e degli occhi così simili ai propri da fare quasi paura. Non della stessa tonalità ambrata, però, e non con lo stesso taglio: i suoi, così come quelli di Tom, sono gli occhi di Simone; è una cosa che la figlia di Jörg non può vantare.
Se è contento di rivedere Edel? No che non è contento. L’unica cosa che lo farebbe contento, al momento, sarebbe sedersi ad un tavolino – o anche rimanere su quel divano, perché no? – guardare suo fratello negli occhi e chiedergli cosa diavolo stia succedendo fra loro. Perché stare vicini ultimamente sia così difficile. Cosa ci sia nel fondo dei suoi occhi quando lo ritrova a fissarlo dalla propria cuccetta, in piena notte. Se nel fondo dei propri ci sia la stessa cosa, ecco, questo vorrebbe proprio chiederlo, a Tom: io ci vedo la fame, nei tuoi occhi. La fame e il bisogno e il desiderio e la voglia. E non dovrebbe essere così. Però tu nei miei vedi la stessa cosa? Perché se così dovesse essere…
Lo squillo del cellulare di suo fratello lo distoglie dai suoi pensieri appena in tempo per non impattare contro qualcosa di decisamente troppo grosso e scomodo e brutto da poter essere affrontato così, alla luce del giorno. Un conto sono le mani che scivolano con finta casualità sotto le lenzuola quando è buio e nessuno le vede, un conto sono pensieri come quelli. Per pensare devi starci con la testa. Bill non può coscientemente accettare una realtà del genere. Quello è solo suo fratello. Solo suo fratello.
Tom risponde al cellulare e scambia qualche parola con Jörg. Annuisce ogni tanto, Bill segue il movimento del suo profilo e cerca invano di concentrarsi su qualsiasi-altra-dannata-cosa. Ci prova con tutte le proprie forze, cerca di pensare a suo padre, cerca di pensare alla sua compagna, cerca di pensare alla loro figlia che poi è sua sorella e fissa al centro di tutti i suoi pensieri quello per il quale, almeno, per tutto il resto della settimana lui e Tom non avranno mai occasione di ritrovarsi da soli da qualche parte.
Ti ho sconfitto, attrazione fatale, pensa prendendosi un po’ in giro, niente mani che vagano, niente occhi che bramano, niente labbra che esitano appena. Niente di niente.
Tom interrompe la chiamata e sospira.
- Sarà qui fra poco. – lo avverte quindi, - Raccogli le tue cose.
Bill solleva la borsa e tira un altro piccolo calcio alla valigia.
- Ho già qui tutto quello che mi serve. – te compreso. È un non-detto che si sente benissimo nell’aria, che parla attraverso i suoi occhi fissi in quelli del gemello, ed infatti Tom lo guarda ed inarca entrambe le sopracciglia, piegando le labbra in una smorfia infastidita.
- Non mi guardare così. – risuona la sua voce profonda nell’eco fastidiosa dell’enorme stanza vuota in cui David li ha mollati già almeno un paio d’ore fa, - Non qui.
Bill, oltraggiato, si tira indietro e guarda altrove.
- Non stavo pensando a niente. – gli dice, l’irritazione appena dissimulata nel tono offeso.
- Sto nella tua testa. – risponde candidamente Tom, scrollando le spalle e fissando a propria volta un punto a caso sulla parete di fronte, - Lo so a cosa stai pensando.
Le labbra di Bill diventano sottili come linee, mentre lui stringe le dita attorno ai manici della borsa in un gesto improvviso e violento.
- Tom-
Il cellulare del gemello squilla ancora e la loro conversazione si interrompe bruscamente, così come bruscamente era virata su quell’argomento. Tom ne è contento, perché la sola idea di potersi ritrovare a dover rispondere ad una domanda mirata di Bill lo terrorizza. Cosa diavolo potrebbe dirgli, d’altronde? Non so com’è, non so perché, ma ultimamente solo a guardarti mi viene voglia di spingerti contro la prima parete e baciarti fino a perdere il senso del tempo, dello spazio, della misura – Dio santo – della decenza? Non sono argomenti che uno dovrebbe affrontare col proprio fratello gemello. Punto e basta.
- Papà è qui sotto che ci aspetta in macchina. – dice a Bill, dopo aver chiuso la telefonata. – Andiamo.
Bill annuisce in silenzio. Non osa alzare lo sguardo. Lo lascia lì, piantato sulla punta dei propri stivali, anche quando escono in corridoio, prendono l’ascensore ed escono dal retro dell’albergo, seguiti a ruota dalle guardie del corpo, che li lasciano solo quando si infilano nell’Audi nera di Jörg, scivolando oltre lo sportello e sul sedile posteriore silenziosi e circospetti come ladri.
- Ragazzi. – li saluta loro padre con un sorriso, cercando i loro occhi nello specchietto retrovisore. Bill risponde con un sorriso piccolissimo, Tom solleva una mano e la agita appena, ma la sua espressione – oltre gli enormi occhiali a mascherina che coprono quasi metà del suo viso – non cambia di un millimetro. – Siete stanchi?
- Non particolarmente. – risponde Bill con una scrollatina di spalle, mentre le guardie del corpo finiscono di caricare le valigie nel bagagliaio della macchina e sollevano un pollice in direzione di Jörg, per informarlo del completamento delle operazioni. Jörg annuisce distrattamente e riavvia il motore, mentre osserva gli uomini entrare nelle auto di scorta ed imitarlo.
- In caso, - suggerisce ingranando la marcia ed immettendosi nel traffico di Amburgo, verso l’autostrada, - schiacciate pure un pisolino. C’è ancora tempo, prima di arrivare a casa. Ci saluteremo per bene quando saremo lì. Nicole ed Edel non vedono l’ora di rincontrarvi.
I gemelli pensano simultaneamente che sarebbe bellissimo poter dire che la stessa cosa vale anche per loro. Ma Bill ha solo voglia di sentire addosso le mani di Tom, in questo preciso istante, e Tom ha solo voglia di sentire sotto i polpastrelli la consistenza burrosa della curva morbidissima della pancia di Bill.
Bill e Tom sono due gemelli normali. Si stanno preparando ad una settimana di vacanza in casa di loro padre Jörg e, per la prima volta da quelli che sembrano secoli – e dieci anni, nella vita di un adolescente, sono effettivamente dei secoli – stanno per rincontrare la famiglia in favore della quale sono stati abbandonati.
Bill e Tom sono due gemelli normali. E non hanno mai avuto un rapporto strano. Fino ad ora.

Ispirata ad Hanging By A Moment di Lemonade.
Genere: Introspettivo, Triste.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG
AVVERTIMENTI: Angst, Spin-off.
- Tom è andato via da poco, ed a Jörg non resta che pensare. Ricordare il passato, riflettere sul futuro. E contemplare un presente immobile che non gli piace, ma che probabilmente era l'unica soluzione possibile.
Note: Lemmina scusaaaaaaaah ç___________________ç
Ma andiamo con ordine è_é!
Allora, immagino tutti conosciate Hanging By A Moment, che è semplicemente una delle fanfiction più belle che siano mai state scritte <3 Al di là dei vari gruppi in cui potrei inserirla (fra le AU, fra le RPS, fra le fic sui Tokio Hotel – e, soprattutto in quest’ultima categoria, per quanto mi riguarda nel fandom italiano è effettivamente il massimo) è proprio una storia meritevole. E splendidamente scritta. E descritta. E gestita. E narrata. E… io la amo ç_ç Non tanto quanto ami la Lemmina in sé, si intende, perché la Lemmina è il MIO amore ù.ù Come ben sa da quella lontana notte estiva bresciana in cui i nostri cuoricini fangirlanti battevano all’unisono di fronte all’esimia figura del signor Molko T^T Ma questa è un’altra cosa è_é”””
Comunque, una delle cose che più ho amato in assoluto in Hanging è stato il rapporto fra Jörg e Tomi, che Lem ha descritto divinamente T_________T Siccome tutti sappiamo come va a finire (._.), mi è sembrato giusto fare alla loro storia il tributo che meritavano (o meglio, spero di esserci riuscita XD Perché meritavano tanto, e non so se è quello che sono riuscita a dare loro ç.ç). Comunque non è solo dopo gli ultimi sviluppi della storia, che ho deciso di scriverlo. In realtà che li voglio spinoffare è una realtà nota da secoli o.o Da quando ho cominciato ad aiutare Lemmina nel betaggio <3 Li stra-amo, ecco ç^ç
Chiaramente, visto che come spinoff è altamente spoileroso O_ò non so quando la Lemmina lo pubblicherà è_é In ogni caso, è il mio regalo di Natale per lei <3 Oddio, come fic è triste ç_ç” È per questo che mi dispiacevo, all’inizio XD Spero solo che vi piaccia <3 Ma soprattutto che piaccia a te, Lem :**** Ti adoro e non vedo l’ora di rivederti <3 Baciotti >***<
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
AN DEINER SEITE
every act of love is separateness

Quando vivi da solo con un figlio per anni ed anni, sai perfettamente che la tua situazione non è paragonabile neanche alla lontana con quella di altri genitori calati in contesti più “normali”. Certo, non ti spingeresti mai a dire che loro non siano affezionati ai propri pargoli come te, ma è questo che pensi il più delle volte, quando tuo figlio fa qualcosa di abbastanza stupido o abbastanza bello da dartene l’occasione. C’è sempre qualcosa di diverso rispetto agli altri genitori, nella nota angosciata con la quale registri una cattiva notizia e in quella orgogliosa con la quale ne accogli una buona. Nello sguardo di un genitore che vive da solo col proprio figlio si riflette un affetto del tutto diverso.
Anche se, in realtà, “affetto” non è la parola giusta.
Per dire, io non l’ho mai pensata in questi termini. Fin da quando sono andato a vivere solo con Tom, non è mai stata “affetto” la parola che ho richiamato alla mente pensando a lui. Piuttosto, era “amore”.
Sì, sono sempre stato convinto di essere innamorato, completamente innamorato di mio figlio. Di lui, e di tutto il suo carico di irruenza e stupidità. E di coraggio, e di apertura. E di dannata bontà.
Forse è per questo che adesso sono qui, seduto su questa sedia in questa squallida cucina, da solo.
La luce della lampada, alta e gialla su di me, rimanda la sagoma scura della mia testa sul tavolo al quale ho appoggiato i gomiti. Scruto questa pozza grigio sporco e mi dico che non ho visto abbastanza spesso questa macchia e quella di Tom sfiorarsi su questa superficie legnosa, perché avremo mangiato insieme in questa casa… oddio, forse non è mai successo. Sono stato così impegnato ultimamente che proprio…
…comunque non ha senso piangere sul latte versato.
Se è vero che ogni separazione è un atto d’amore, è in questo che voglio credere per evitare di impazzire.
*
Quando i gemelli sono nati, in realtà io e Simone avevamo problemi già da un pezzo. Mi scoccia ammetterlo, perché mi è sempre piaciuto considerarmi una persona “diversa” rispetto alla media degli stronzi sposati con figli che conoscevo – persone in grado di mettere incinta una donna nella speranza che il nuovo nato facesse da collante per un rapporto che già vedevano sfaldarsi fra le loro mani – ma in realtà è esattamente così che è andata anche fra di noi. Se non altro, vivere la situazione mi ha aiutato a capire che si dovrebbe dare meno degli stronzi agli altri se non si ha la più pallida idea di cosa stanno passando.
I figli aiutano davvero a cementare i rapporti, ma li cementano nel modo sbagliato. Non ti aiutano a richiamare alla mente tutti i buoni sentimenti coi quali sei partito quando hai deciso di dividere la tua vita con la persona che amavi, ma vi impantanano entrambi in una rete di obblighi e responsabilità che più passa il tempo più diventa difficile dipanare.
Per i primi mesi, dopo la nascita di Bill e Tom, io e Simone siamo davvero stati convinti di poter ricominciare da capo, e farlo per bene. I nostri rapporti erano ancora disgustosi, e io provavo nei confronti del dovermi svegliare al suo fianco giorno dopo giorno lo stesso identico ribrezzo che, ne sono sicuro, provava lei. Ma c’erano due bambini di mezzo. Non eravamo più solo noi. Non potevamo prendere decisioni avventate che avrebbero potuto rovinare loro la vita.
Dovevamo stare attenti, sopportare, e prima o poi sarebbe passata. Ci saremmo abituati. Ne saremmo venuti fuori.

Sinceramente. Non so chi abbia smesso di crederci prima. So solo che a un certo punto è successo. E, nel momento in cui me ne sono accorto, stavamo già discutendo di chi avrebbe dovuto tenerli.
*
Un bambino piccolo per casa non è come un cucciolo tenero e spensierato cui basta dare qualche carezza e abbondanti dosi di cibo perché stia bene, sia felice e ti sia riconoscente. In realtà, un bambino per casa ha ben poco di tenero e spensierato, e somiglia più a un’enorme carico di responsabilità, appallottolato come in un pacchetto e compresso come sottovuoto, che rotola per l’appartamento in un costante tentativo di uccidersi e uccidere te per riflesso.
Questa era una cosa cui non volevo credere, prima che i gemelli nascessero. Intendo, che si potesse raggiungere un grado di empatia e dipendenza talmente alto da sapere con certezza che, nel momento in cui tuo figlio verrà a mancare, sarà esattamente come sentire la mancanza di un pezzo del tuo stesso corpo.
In realtà è esattamente così che succede. Per dire, quando era molto molto piccolo, avrà avuto nove o dieci mesi, Bill riuscì a mettere le mani su una di quelle sorpresine degli ovetti di cioccolato della Kinder. Lui e Tom amavano succhiare il cioccolato fino a farselo sciogliere sulla lingua, e poi pretendevano li si portasse davanti allo specchio per fare le linguacce alle proprie immagini riflesse, ridendo come pazzi per il colore marroncino che la lingua aveva assunto. Perciò, io e Simone compravamo costantemente quintali di quella roba. E io ne portavo sempre una confezione da tre quando tornavo da lavoro, la sera.
Conservavamo le sorpresine perché eravamo sicuri che ai bambini avrebbe fatto piacere ritrovarsele in mano quando avrebbero avuto quattro o cinque anni e sarebbero stati in grado di giocarci. Per questo, le tenevamo in una specie di boccia di cristallo posata in mezzo alla consolle che c’era in soggiorno.
Non ho idea di come fece Bill a ficcarci le mani e tirarne fuori una di quelle stupide tartarughine hawaiane giocattolo. Ma lo fece. E dopo averla tirata fuori decise che il luogo migliore nel quale poteva stare era la sua bocca, perciò fu lì che la infilò.
Quel giorno io sono morto due volte.
Prima nel vedere la sua espressione stravolta mentre tossiva forsennatamente, cercando di liberarsi del giochino che gli ostruiva la gola.
E poi quando il dottore, in ospedale, ci disse che avrebbero dovuto fargli una lavanda gastrica per tirarlo fuori.
Una lavanda gastrica.
Un bambino di dieci mesi.
Il mio bambino di dieci mesi.
Coi figli è sempre così, comunque. Se c’è una sensazione umanamente percettibile come quella che si prova mentre si sta morendo, è esattamente quella che provi quando tuo figlio mette in pericolo la propria vita con qualche atto sconsiderato. Quella vampata di calore improvvisa e poi di gelo impietoso che ti si abbatte addosso, confondendoti. Il cuore in mezzo alla gola che ti strozza. Il dolore sordo all’altezza dei polmoni. La nausea. Dev’essere così quando si muore. Dev’essere così perché è troppo orribile per essere altro.
*
Io non ho “scelto” Tom.
Non ho scelto Tom perché, in uno sciocco tentativo di prendere Simone per stanchezza e convincerla a lasciarmi tutti e due i bambini, mi sono rifiutato fino all’ultimo di scegliere qualcosa come lei pretendeva.
L’unico risultato che ottenni con quella tecnica di logoramento fu che alla fine Simone decise per entrambi, prese Bill e scappò a Loitsche dai suoi genitori.
Fu una scena patetica, davvero. Tornai a casa, e lei doveva aver calcolato male i tempi, perché aveva già preparato le valigie all’ingresso ma non era ancora completamente pronta.
Stringeva già Bill fra le braccia, però. E questo mi bastò per capire in un secondo l’intera situazione e fiondarmi nella cameretta dei gemelli, dove ancora Tom giaceva nella propria culletta, fissando con aria ammaliata le apine volanti del carillon sopra di lui.
Simone mi raggiunse subito dopo. Mi guardava con aria sconvolta, non aveva ancora detto una parola. Io staccai gli occhi da Tom e li piantai su di lei, mentre lasciavo scivolare una mano sulla pancia del piccolino, più in una vera e propria affermazione di possesso che non in un tentativo di protezione.
Provò ad avvicinarsi, stringendo a sé Bill, che per contro si mise a piangere. Il gemellino lo imitò, come succedeva sempre quando uno dei due stava male, ed io le strillai di non avvicinarsi e non provare neanche a toccare mio figlio.
È orribile a dirsi, ma in quel momento a Bill non pensai affatto. Lo vidi già in braccio a lei e pensai automaticamente di averlo già perso, e che non ci sarebbe stato niente che io potessi fare per strapparglielo di dosso.
Lo pensai perché sapevo che non ci sarebbe stato niente che lei potesse fare per strappare Tom da me.
E quindi la osservai cercare di calmare il bambino cullandolo dolcemente, mentre io provavo a mia volta a placare Tom accarezzandogli il pancino, e poi la vidi ritirarsi un passo dopo l’altro, senza smettere di guardarmi con l’aria di una bestia in trappola. Gli stessi occhi rossi iniettati di sangue e di una tale quantità di furore da paralizzarti dalla paura. Gli occhi di chi, lo sai, è pronto ad azzannarti al primo passo falso.
Usci dalla mia casa e dalla mia vita, ed io permisi che lo facesse portandosi via Bill.
Da allora, molto semplicemente, Tom è stato tutto.
Fino a poco fa, lo era ancora.
*
I bambini hanno bisogno di essere amati. Quando mia madre e mio padre discutevano della mia educazione, e lui le faceva notare che tendeva ad essere un po’ troppo morbida nei miei confronti, era così che lei rispondeva sempre. I bambini hanno bisogno di essere amati. Perciò necessitano di qualcuno che, non importa in che modo, li faccia sentire accolti, protetti ed apprezzati.
Io so di non essere un buon padre. Amo mio figlio ma ho sempre trovato i modi più sbagliati di dimostrarglielo. Quando, per il compleanno, gli ho comprato quella carretta di moto, è stato esattamente per questo. Non navighiamo nei soldi – e adesso che la cosa cambierà, sinceramente, mi sembra un po’ assurdo che, di tutti i soldi che guadagnerò con il nuovo lavoro, non spenderò per Tom neanche un centesimo – ma sapevo che desiderava un mezzo di locomozione. Purtroppo, non sono mai stato un genio quando si trattava di fiutare gli affari. Ho visto il motorino mezzo scassato e mi è sembrato che, rimettendolo in sesto, se ne potesse tirar fuori qualcosa di decente, perciò l’ho preso. Per qualche ora ho anche creduto possibile che Tom si esaltasse davanti alla prospettiva di improvvisarsi meccanico per rimetterlo in sesto. Già me lo vedevo nel cortile davanti casa, seduto sul selciato, il cappellino per traverso, le macchie d’olio e grasso sulla faccia e sulle dita e una chiave inglese in mano, fissare la moto con aria inquisitoria, mordicchiandosi le labbra e giocando col piercing come suo solito mentre cercava di venire a capo del mistero del serbatoio bucato o qualcosa di simile.
È strano. Conosco Tom da sempre e mi è sempre sembrato di osservarlo con estrema attenzione… eppure ero ancora disposto a pensare potesse interessarsi a qualcosa di simile. Un ragazzo che gioca a basket, ascolta solo hip hop e va in skateboard. Ma quanto devo essere stupido…?
*
Tom avrebbe potuto desiderare di andar via di casa autonomamente già molto tempo fa. Non avrei mai potuto biasimarlo. Non ho fatto che scarrozzarlo in giro per gli Stati Uniti come un pacco postale da quando è nato, in fondo. E spesso non sono stato a casa. Non ci sono stato quando lui ha avuto bisogno di me. Non è solo colpa del fatto che quando devi lavorare per due finisci anche a cercare di trovare il tempo per essere due, dimenticando che è impossibile.
No, il lavoro è soltanto un incidente di percorso. Non ci fosse stato, probabilmente non gli sarei stato vicino comunque. Per paura, per pigrizia, per incapacità. Per così tante di quelle cose…
Non mi sarei stupito, se mi avesse guardato negli occhi e mi avesse detto “vado via”.
E quello che mi uccide, adesso, è proprio che lui non l’ha mai fatto. È sempre stato al mio fianco. Quando avevamo il frigo vuoto perché non mi pagavano, quando tornavo a notte fonda e la pasta orrenda che aveva preparato s’era trasformata in colla sul tavolo davanti a lui, ma lui restava comunque ad aspettarmi. Quando mi chiedeva di aiutarlo a ripetere le lezioni ed io lo ignoravo o mi scusavo blandamente perché non avevo tempo da dedicargli. E anche durante tutte quelle volte in cui sbagliavo a mettergli il pannolino e lui finiva per insozzare il tappeto del soggiorno e io poi mi arrabbiavo e lo sgridavo, dicendogli anche cose orribili, strillando che non era un cane e avrebbe dovuto imparare a controllarsi. A un bambino di due anni e mezzo, lo dicevo. Merda d’uomo che non sono altro. O quando dimenticavo di mettere la crema dopo averlo lavato e il giorno dopo me lo ritrovavo col sederino tutto rosso e gli occhi colmi di pianto. E Tom ha imparato subito a trattenere le lacrime. Davvero troppo presto. O quando ha dovuto imparare da solo ad andare in bici, senza che fossi io a tenerlo fino a quando non si fosse sentito abbastanza sicuro di andare da solo sulle due ruote. E altre migliaia di episodi. Altre migliaia di occasioni. Altre migliaia di perché. Lui mi ha fanculizzato, mi ha preso a parolacce, mi ha incolpato di ogni crimine possibile, come tutti i figli e come tutti gli adolescenti, ma è rimasto. Sempre.
Se non l’avessi buttato fuori, sarebbe perfino rimasto ancora.
*
Comunque sia, sto solo cercando di giustificarmi, lo so. So di non aver preso la decisione giusta, mandando Tom a stare con sua madre e suo fratello. So che, se non faccio niente per cambiare l’opinione che ha di me da quando l’ho mandato via, conserverà per sempre il ricordo di un padre bastardo e questo potrebbe fare di lui un pessimo padre a propria volta. Così come un ottimo padre, in effetti non si può mai dire, ma è comunque una possibilità.
L’unico problema è che in una situazione simile non poteva esistere una decisione corretta.
Nel mare delle scelte sbagliate, dovevo solo scegliere la meno orribile.
È l’enorme problema dell’essere genitori. Scegli, e non scegli solo per te stesso. Sbagli, e non ferisci solo te stesso.
Per questo, ti può capitare di avere degli attimi di sconforto. Momenti in cui vorresti non dover scegliere niente. Non dover decidere affatto. Momenti in cui, pure se sei felice di avere un figlio perché, anche se è un cliché, resta una delle cose più belle che la vita possa darti, daresti qualsiasi cosa per non essere responsabile di un’altra vita oltre alla tua.
Non è la pressione che questa responsabilità ti esercita addosso, a farti sbagliare. Tu sbagli a prescindere. Ed è questa la cosa peggiore, in fondo. Che ci provi, ad essere migliore. A far bene. Ad essere una persona che renda orgoglioso te stesso e i tuoi figli.
E fai casino comunque.
*
Mandando Tom a stare dai Trümper, a chi ho fatto il regalo di Natale?
A lui o a me stesso?
*
In ogni caso, presto partirò. Mi fa un po’ rabbia che, dopo sedici anni di affetto – magari fuori dagli schemi, magari non propriamente canonico, magari non esattamente l’affetto che vorresti da un padre, ma affetto comunque – la prima parola cui Tom penserà ricordandomi sarà “bastardo”. Mi rattrista e mi ferisce, al punto che preferirei non si ricordasse affatto di me. Preferirei cancellare completamente tutta la sua vita fino ad adesso sia nei suoi ricordi che nei miei. Azzerare tutto. Ripartire da zero.
Sì, forse questa sarebbe la soluzione corretta.
Guardacaso, come spesso accade con le soluzioni corrette, è impossibile da attuare.
Io ormai ho quasi cinquant’anni. Mi sono abituato a non prendermela con la vita solo perché spesso non si è in grado di salvare tutti.
…solo, mi sarebbe piaciuto salvare almeno Tom.
Non esserci riuscito, forse, dovrebbe rassicurarmi.
In fondo, io ho fallito. È questo che mi dice la sofferenza di Tom e anche questo inspiegabile rimorso che provo. Tutto questo dolore mi dice che ho fallito. Che ho sbagliato tutto. Che è giusto che paghi.
Io la mia possibilità di agire e sbagliare l’ho avuta.
È giusto l’abbia anche Simone. Se non altro perché sembra che con Bill abbia fatto un buon lavoro, ecco.
Sembrava anche a me, con Tom. Avrò sbagliato anche allora, probabile.
E allora è meglio che il mio errore sia stato l’ultimo della serie.
Scritta in coppia con Ana.
Genere: Romantico, Commedia, Erotico.
Pairing: Bill/Tom, Bill/Andreas/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Lemon, PWP, Slash, AU, Threesome.
- liz scrive: "questa storia nasce un po' anche per prenderci per i fondelli... e prendere per i fondelli pure miles away XD sappiamo che la amate, ma quella fic aveva un'enorme pecca: non era abbastanza zozza!"
ana scrive: "ed e' per questo che veramente la consigliamo a chi ha una mentalità abbastanza perversa"
liz scrive: "e la sconsigliamo anche a chiunque vorrà trovarle significati profondi: vi assicuriamo che non ce n'è"
ana scrive: "l’unica profondità della quale si parlerà sarà..."
liz scrive: "SMETTILA SUBITOOOOOOOH X’DDDDDD"
Note: A sei mesi dalla sua apertura, quello che doveva essere uno spin-off scemotto per festeggiare il Natale in compagnia di Miles Away è diventato prima un concentrato di porno prolungato e poi una puccioseria random con la quale riappacificarsi col fluff in attesa del seguito angst (Perfect Shade Of Dark Blue, che non vedrete su questo archivio perché opera unica di Ana). Per la verità - e qui mi discosto da quella che pare essere l'opinione comune - io mi associo a Tab nel dire che ho tanto apprezzato lo scrivere le parti pornografiche quando mi ha per certi versi infastidito indulgere nell'introspezione XD Voglio dire: la storia era nata, appunto, per essere un porno senza pretese. Come dicevamo nell'intro, un modo per prendere in giro Miles Away. Ha preso una piega più riflessiva, verso la fine, e non me ne pento del tutto, ma mi pare che si sia un po' snaturata, col proseguire. Che sia un po' invecchiata prematuramente. Insomma. MA non me ne pento mica è_é E comunque la threesome resta una delle scene di sesso migliori che abbia mai scritto <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
MILES AWAY CHRISTMAS EDITION
Porn Is What We Aim For
- Capitolo 1 -

Si erano addormentati di nuovo. Cullati dal tepore dei loro corpi e avvolti in quello delle coperte, stavano riposando tranquillamente come non facevano da mesi.
Bill si svegliò per primo, destandosi da quel calore familiare e non poté fare a meno che appoggiarsi ai gomiti per fissare il gemello, che continuava a dormire beato, sdraiato sul fianco con una mano tesa in avanti, la quale fino a pochi momenti prima sfiorava quella dormiente del moro.
Si chinò sopra di lui, lasciando che i lunghi capelli nascondessero i loro visi, come i rami di un salice piangente. Scrutò attentamente il viso di Tom, cercando di capire se in quei due anni fosse cambiato. Invece era sempre lo stesso, naso uguale al suo, il neo sulla guancia destra, il piercing al labbro... soffiò leggermente, facendo sì che le palpebre del rasta si muovessero, indispettite dal lieve solletico. Le vide tremare ancora un po' e poi aprirsi, mostrando quelle iridi che aveva imparato a vedere ogni mattina, ma che solo dopo anni poteva ritrovare senza l'aiuto dello specchio.
- 'giorno... – mormorò Tom, continuando a sbattere le palpebre per togliere i fastidiosi residui di sonno.
Bill si limitò a sorridere per poi chinarsi a baciarlo.
- Buongiorno... – mormorò a sua volta dopo un breve istante.
Tom si mosse per far stiracchiare i muscoli della schiena, mentre Bill si aggiustava meglio, passando una gamba sopra il fratello per sedersi sulle sue ginocchia.
- Mi hai portato la colazione a letto? – chiese Tom, appoggiando le mani sulla schiena di Bill e accarezzandogliela dolcemente.
- No... – ammise l'altro, facendo una linguaccia.
Tom ghignò.
- Vorrà dire che mi accontenterò...- sussurrò semplicemente, muovendo una mano fino al collo di Bill e tirandolo gentilmente giù.
Il moro fece aderire i loro petti appoggiando le labbra su quelle di Tom, rimanendo piacevolmente sorpreso davanti al fatto che suo fratello gli aveva lasciato il via libera davanti alla conduzione del bacio. Solleticò la lingua del gemello col proprio piercing, felice nel sentire i mugugni di approvazione cui Tom si lasciava andare.
Scivolò in avanti, attaccando le labbra al collo del gemello, mentre sentiva le sue mani accarezzargli la schiena da sotto la maglietta e fermarsi sui fianchi.
- Tomi... – sussurrò mentre alzava leggermente la testa, esponendo il collo, che venne immediatamente attaccato dalle labbra del gemello. Sentì i polpastrelli freschi farsi strada oltre i pantaloni del pigiama e l'elastico dei boxer.
- Tom... – ripeté a voce leggermente più alta, cercando di alzarsi e staccarsi dal gemello, ma questo seguì le sue mosse e si mise seduto sul letto, mantenendo la presa salda che si stava pericolosamente abbassando verso il suo fondoschiena.
- Tom! – cercò di farlo sembrare un rimprovero, ma la sua voce smorzata tradiva il suo stato d'eccitazione, che non sfuggì al biondo, che lo attirò verso di sé facendo scontrare i loro bacini, mentre continuava a torturargli il collo.
- Tom Kaulitz! – esclamò quindi, a dir poco sconvolto, sentendo l'eccitazione del proprio gemello sfiorargli l'inguine.
E, finalmente, il biondo si decise a staccarsi dal collo di Bill, guardandolo negli occhi ancora spalancati dalla sorpresa.
E in quel momento sentirono la porta di sotto sbattere.
- Ragazzi! Ci siete? – la voce di Jörg Kaulitz riecheggiò per la villetta.
Bill e Tom la sentirono tanto forte che ebbero come l’impressione che quella sola voce potesse bastare per far tremare i vetri. E le pareti. Fino alle fondamenta.
- Dio mio… - esalò Bill, spaventato al punto da rimanere paralizzato addosso al gemello.
- Cazzo fottuto! – fu invece la più eloquente e pratica esclamazione di Tom, nel momento in cui afferrò Bill per i fianchi, lo rovesciò sul letto – completamente dimentico di tutta la delicatezza usata per “maneggiarlo” fino a pochi secondi prima – e scattò in piedi, impattando contro il pavimento congelato. – Cazzo, cazzo, cazzo fottuto!!! – rafforzò, quasi ballando sulle punte mentre andava alla ricerca di un paio di pantofole calde nelle quali affondare.
Non trovò niente del genere, perciò si accontentò di posare le piante dei piedi sui calzini che aveva abbandonato per terra la sera prima, mentre con gli occhi vagava su ogni superficie visibile della stanza alla ricerca dei propri vestiti.
In tutto questo, Bill era rimasto immobile sul letto, come tramortito.
- Tom, c’è papà… - disse trasognato, fissando il gemello che si affaccendava cercando di trovare qualcosa con cui coprirsi.
- Sì, questo era ovvio, Bill. Cazzo, io so di aver avuto dei vestiti… Bill, dove ho messo i miei vestiti?!
- C’è papà!!! – ripeté il moro, scattando seduto sul letto e portando le mani alle guance, sconvolto.
Tom smise di armeggiare con le lenzuola cercando di capire se per caso i suoi vestiti fossero scappati sotto il letto per eccessivo pudore, e lo guardò.
- Bill. – lo chiamò seriamente, - Io non ho imparato moltissime cose, nella mia vita. Però so con certezza che quando combini qualcosa che non vuoi i tuoi genitori scoprano, la mossa migliore è cercare di fare in modo che non se ne accorgano. Mi segui?
Bill annuì distrattamente, fissandolo come neanche lo vedesse, il labbro inferiore che tremava lievemente.
- Bene. – annuì Tom, fiducioso. – Quindi, adesso ti dirò esattamente cosa devi fare. Tu ti alzerai in piedi, prenderai i vestiti che hai lasciato qui sulla sedia, li indosserai, poi aiuterai me a trovare i miei vestiti perduti e scenderai di sotto. Saluterai papà, lo prenderai a parolacce perché ci ha mollati in Transilvania da soli come al solito, o qualunque cosa tu sia abituato a fare quando lo rivedi dopo qualche giorno, poi aspetterai che anche io scenda e… mi stai ascoltando?
- Assolutamente no. – rispose Bill, sinceramente, scuotendo il capo.
Tom sospirò rassegnato.
- Lo sospettavo. Senti, Bill, non puoi fare così, non ci ha ancora visti, e se non vogliamo che succeda-
- Ragazzi, siete qua dentro? Non ditemi che dormite ancora!
- Cristo santo!!! – e così dicendo, Tom afferrò il lenzuolo arrotolato ai piedi del letto e lo strattonò fino a srotolarlo tutto e coprire interamente Bill ancora disteso immobile sul materasso.
- Tom! – esclamò Jörg, aprendo la porta della camera e inorridendo di fronte allo spettacolo del proprio figlio maggiore in mutande nel mezzo della stanza, - Non dirmi che hai dormito così! C’è un freddo bestiale!
- Allora lo ammetti che è delirante chiederci di venire qui in pieno inverno!!! – si lamentò Tom, cogliendo appieno l’occasione di distrarre il proprio padre dalla sconvolgente verità per la quale non solo lui era in mutande, ma il suo letto sul soppalco era intonso come se nessuno l’avesse mai toccato mentre quello di Bill sembrava il risultato perfetto di un terremoto molto potente.
- Non dire assurdità. – borbottò l’uomo, infastidito da una simile mancanza di rispetto, - Basta solo comportarsi assennatamente, per non sentire freddo. Prendi Bill, per esempio. – disse, indicando il figlio minore con un cenno del capo, - Fa bene a dormire con la coperta tirata su fino al collo! Così non rischia malanni!
Bill annuì decisamente, mentre Tom lo fissava in cagnesco con l’aria di uno che gliel’avrebbe fatta pagare in seguito.
- Comunque sia… - riprese Jörg, agitando una mano come a voler scacciare via la discussione, - Datevi una mossa, vestitevi e scendete per la colazione. Ho una grande notizia da darvi!
Dopodichè abbandonò la stanza con un sorriso soddisfatto, trotterellando felice lungo il corridoio e giù per le scale. Bill e Tom rimasero immobili, ognuno nella propria posizione, a fissare il vuoto.
Poi, Tom si voltò a guardare il gemello in un gesto innaturalmente lento.
- “Bill fa bene a dormire con la coperta tirata su fino al collo”, eh…? – sibilò spettrale, assottigliando gli occhi per fissarlo malevolo.
- Eh, scusa! – si difese Bill, stringendosi nelle spalle, - Non potevo mica dirgli “oh, no, papà, hai frainteso! Non è che mi copro bene perché c’è freddo, è che sotto sono nudo come un verme e non è bello da vedersi”!
Tom sospirò e si lasciò ricadere seduto sul bordo del materasso.
- Be’. – precisò dopo pochi secondi, - Che non sia bello da vedersi non è del tutto esatto, ma…
- Cretino. – lo interruppe Bill, sbuffando, - Ti pare il momento di fare certi discorsi?
Tom tirò fuori la lingua in una pernacchia infantile ed enormemente offesa, prima di sollevarsi nuovamente in piedi.
- Adesso prepariamoci e scendiamo di sotto. – disse, strappando il lenzuolo dal corpo di Bill ed osservandolo divertito chiudersi a riccio mentre gli urlava qualche offesa a caso dopo aver strillato come una ragazzina isterica, - Avremo tempo per riprendere da dove ci eravamo interrotti in seguito. – concluse con un sorriso sornione, afferrando finalmente una maglietta pulita dall’armadio aperto e cominciando a vestirsi.
*
Non importava se li aveva lasciati in Transilvania da soli fino a quel momento.
Non importava se, poi, s’era presentato ben due giorni prima rispetto a quanto avesse detto, interrompendoli sul più bello mentre erano lì lì per darsi il buongiorno più piacevole che potesse esistere.
- Pensavo che una bella settimana di vacanza alle Maldive potesse farvi piacere!
In quel momento, Jörg Kaulitz era semplicemente l’essere umano più meraviglioso in tutto l’intero universo.
- Dici sul serio?! – quasi urlò Tom, spalancando gli occhi e le braccia e scattando in piedi, rovesciando alle proprie spalle la sedia sulla quale poco prima era seduto.
Bill roteò gli occhi, esasperato.
- Mai conosciuto tipo più confusionario… - borbottò a mezza voce, incrociando le braccia sul petto.
- Non sei contento, Bill? – chiese Jörg, incurvando lievissimamente le sopracciglia verso il basso, in una nota di dispiacere che era decisamente raro vedergli addosso.
Bill gli lanciò una breve occhiata, cercando di non mostrare quando la sua preoccupazione lo facesse felice, e sospirò vagamente, tenendolo sulla corda ancora per un po’.
- Be’, non mi dà particolarmente fastidio. – concesse infine, arricciando capriccioso le labbra, - In fondo, Andreas è di nuovo andato in vacanza lì. È un sacco che non passiamo un po’ di tempo tutti e tre insieme.
Finse di non notare l’occhiata sbilenca e decisamente poco compiaciuta che Tom gli scoccò dal metro che lo separava da lui, e sorrise lievemente. Suo padre gradì e gli allungò una paterna manata sulla spalla, ridendo come un bambino soddisfatto della risposta di mamma ai propri capricci.
Sì, be’. Non era certo strano che Bill avesse avuto un rapporto complicato col proprio genitore. A volte era perfino impossibile capire chi fra i due fosse più – o meno – maturo.
- Bene! Allora preparate i bagagli! – gioì appunto l’uomo, tirandosi in piedi dal divano e avanzando con aria vittoriosa verso la propria stanza al pianterreno.
- Eh? – si azzardò dunque a chiedere Tom mentre, senza staccare gli occhi dal padre, si chinava sul pavimento e cercava a tentoni di pescare la sedia per tirarla nuovamente sui propri piedi. – Perché i bagagli? Quando si parte?
Jörg si voltò appena per lanciargli un’occhiata incredula, inarcando le sopracciglia.
- Ma subito, ovviamente!
- Subito?! – strillarono in coro i gemelli, mentre entrambi scattavano di nuovo in piedi, Tom lasciando perdere la sedia che stava cercando e Bill rovesciando a sua volta la propria.
Jörg scoppiò a ridere, probabilmente divertito dalla loro sincronia – qualcosa alla quale non era più abituato da tempo.
- Be’, non subito-subito… - precisò gioviale, scrollando le spalle mentre allentava il nodo della cravatta, - Appena preparerete le vostre valigie!
- …cioè praticamente subito. – sospirò esausto Bill, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e incurvando pericolosamente la schiena. Dopodichè si diresse alla volta delle scale per salire in camera, raccattare le proprie cose e prepararsi a partire.
- Che reazione fredda! – si lamentò a quel punto Jörg, aggrottando le sopracciglia, - E io che sono tornato di corsa dalla mia riunione per darvi la bella notizia…
- Ma no, papà, siamo contenti… - si affrettò a rassicurarlo Tom, passando un braccio sulle spalle di Bill e dandogli qualche pacca affettuosa, - È che… - stavamo per scopare e sarebbe stato bello che riuscissimo a terminare, prima di ricevere questa “bella notizia”... - …così d’improvviso siamo preoccupati di dimenticare qualcosa!
Suo padre lo fissò come fosse stupido – e probabilmente anche lo pensò.
- Ragazzi, stiamo via una settimana! E non andiamo mica in una favela brasiliana! Andiamo alle Maldive, non so se mi spiego!
Dopodiché, borbottando qualcosa di incomprensibile, si chiuse in camera per preparare i bagagli.
- …preoccupati di dimenticarci qualcosa?! – sbraitò Bill, afferrando il fratello per un orecchio e tirando verso il basso.
- Ahi- Ahi!!! Bill!!! È come poco fa, non potevo mica dire la verità!!!
- Potevi stare zitto. – borbottò il moro lasciandolo andare e incrociando brevemente le braccia sul petto prima di scioglierle e cominciare a salire le scale, seguito a ruota dal fratello.
- Però che palle. – commentò il biondo quando furono in camera, appoggiandosi seccato alla porta, - Contavo che avremmo potuto stare un po’ di più da soli…
- Ma come? – ghignò Bill, aprendo ordinatamente la propria valigia sul letto e dirigendosi poi verso l’armadio, davanti al quale si fermò, soppesando le proprie scelte quanto ad abbigliamento da portare, - Non sei stato tu poco fa a causare quasi un terremoto solo muovendoti, tanto eri felice di partire?
- Be’, le Maldive sono le Maldive… - considerò saggiamente il ragazzo, annuendo, - Ma tu sei tu… - bisbigliò poi suadente, stringendolo da dietro e strofinando la punta del naso contro la pelle sensibile del suo collo.
- …Tom! – protestò irritato Bill, stringendo un paio di magliette fra le mani e cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
Il ragazzo sospirò infastidito.
- Ma com’è che oggi, ogni volta che cerco di fare qualcosa di piacevole, cominci a chiamarmi per nome per fermarmi? – sbuffò annoiato, - Sarebbe meglio se usassi il mio nome per scopi più… validi…
- Piantala immediatamente. – sbottò Bill, tirandogli una manata sulla testa, - Hai sentito nostro padre, dobbiamo preparare i bagagli in fretta.
- Daaai… - insistette lui, avvicinandoglisi di più, fino ad aderire perfettamente contro la sua schiena, - Mica parte senza di noi… ci aspetta…
- Non possiamo… Tom!!! – cercò di protestare ancora Bill quando il fratello sbottonò la chiusura dei suoi jeans, intrufolandosi con una mano all’interno dei suoi boxer; ma fu una protesta del tutto vana, un po’ perché le mani di Tom erano già arrivate dove dovevano – e Bill non aveva davvero intenzione di fermarle – e un po’ perché Tom non lo lasciò parlare, attaccando le sue labbra con le proprie e forzandole con la lingua, esplorando lentamente l’interno della sua bocca quasi volesse assaporare la sua intera essenza.
- Mmmh… - mugugnò Bill, fingendo di lamentarsi, rigirandosi nell’abbraccio di suo fratello per fronteggiarlo faccia a faccia, - Ma si può sapere cosa cavolo stai cercando di fare…?
Tom mugolò di piacere, sorridendo lievemente mentre tornava ad impadronirsi del suo sesso già pulsante di eccitazione all’interno dei boxer, e nello stesso momento si strusciava contro di lui, cercando di trovare sollievo per la propria erezione, ugualmente dolorosa e ancora costretta dalla chiusura dei pantaloni – fortunatamente abbastanza larghi da non causare traumi.
- Sto riprendendo da dove avevamo interrotto, come promesso… - rispose semplicemente con un ghigno, tenendo gli occhi fissi nei suoi.
- Sei proprio impossibile… - mormorò il moro, provvedendo a liberare anche Tom da ogni costrizione e sfiorandolo a propria volta prima lentamente, quasi con curiosità, dall’esterno dei boxer, e poi introducendosi all’interno, godendo del calore della sua pelle, delle lievi spinte di Tom contro la sua mano in movimento attorno al suo pene, dei suoi sospiri eccitati che s’infrangevano contro le proprie labbra, ancora brucianti dei baci che s’erano scambiati…
- Sei tu che sei fottutamente sexy… - commentò Tom, stringendolo con più decisione alla base ed aumentando il ritmo dei propri movimenti attorno a lui, col risultato che anche Bill si mosse più celermente, spingendolo pericolosamente vicino all’orgasmo, - Dio, mi fai impazzire… - e si morse le labbra, spingendosi un’ultima volta verso di lui, mentre Bill lasciava scontrarsi i loro bacini ormai scoperti ed entrambi venivano l’uno addosso alla pelle accaldata e sudata dell’altro, ritardando un orgasmo simultaneo solo di qualche secondo.
Rimasero fronte contro fronte a cercare di riprendere fiato, dimentichi del mondo intero e concentrati soltanto sulla persona che avevano di fronte. La persona che amavano e che avrebbero voluto stringere in quel modo per sempre.
- Ragazzi! – strillò poi Jörg, salendo le scale come un bisonte imbizzarrito, - State ancora perdendo tempo?!
E Tom ebbe appena il tempo di strillare a propria volta un ennesimo “cazzo fottuto”, prima di buttare il proprio gemello sul letto, rovesciargli addosso il contenuto della sua valigia per coprirlo e nascondersi vergognosamente sotto le proprie lenzuola sul soppalco.
…a trovare una scusa decente per quello scenario imbecille avrebbe pensato poi.
Scritta in coppia con Ana.
Genere: Malinconico, Triste, Commedia, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Slash, AU, Angst.
- Bill non vuole ricordare. Tom non vuole ricordare.
Nessuno dei due sente il bisogno di farlo. Perché fa male, fa troppo male, fa male come uno spiacevole ago conficcato in un fianco.
...entrambi, probabilmente, hanno tanto bisogno di ricordare che se non lo faranno scoppierà loro la testa.
Se poi Jorg Kaulitz decide di "dar loro una mano" inconsapevolmente...
Note: Scrivere questa storia è stato in parte veramente facile XD e in parte veramente difficile. E' una storia comunque particolare, nel suo genere, per quanto io resti comunque convinta del fatto che la trama non sia poi così incredibilmente originale come si è detto. Certo, si vedono poche fic del genere sui gemelli, ma dire che sia originale in assoluto... ma comunque questi sono discorsi spiccioli che non valgono niente. Miles Away è una puccina. Credo che la sua forza stia soprattutto nel fatto di essere una storia narrata semplicemente. Direttamente. Senza troppi fronzoli. Quella era, e quella, io e Ana, abbiamo messo giù. Credo sia abbastanza normale sentirti trascinato dentro una storia quando ti sembra che il personaggio stia dialogando con te, parlandoti direttamente. E credo sia successo esattamente questo, fra Bill, Tom e i lettori di Miles Away.
C'è da dire che ho fatto davvero la preziosa, con questa storia XD Dal momento che ero incasinata su più fronti, avrei preferito cominciare a scriverla più avanti, all'incirca verso Novembre. E invece ad Agosto eravamo già lì al lavoro. E per Settembre era tutto finito (missing moment a parte XD). E' stata una cosa un po' strana, e quasi... mah, non so, forse dolorosa °_° E' che, per quanto iniziare i capitoli fosse difficile (perché appunto ero sempre presissima da altro), Ana riusciva sempre in qualche modo a scrivere delle scene che poi mi ispiravano un casino, e io le andavo dietro come una matta, e in ventiquattr'ore in genere i capitoli erano davvero praticamente finiti, rivisitazioni successive a parte °_° E' una cosa quasi inquietante.
Per i missing moment stiamo seguendo una linea un po' diversa. A parte che sono io a rompere le palle per scriverli X'D Riusciamo davvero a finirli in pochissimo perché li scriviamo praticamente insieme su MSN, e poi, essendo vaccate, non hanno bisogno dell'attenzione spasmodica al particolare che invece dedicavamo alla storia madre. Spero solo che al pubblico piacciano altrettanto ù.ù
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Miles Away
- Prologo -

Cerco di concentrarsi sulle nuvole.
Le nuvole avevano un aspetto rassicurante. Bianche, tondeggianti, morbide. Solo a guardarle ci si poteva sentire molto più calmi, più rilassati, quasi felici. Ecco, sì. Sì. Se puntava gli occhi su quella bianca, bianchissima, a forma di patata perfettamente ovale – o pallone da rugby? Non era mai stato un genio dello sport, nonostante il corso di karate che, da piccolo, aveva frequentato con…
…no, meglio non pensarci.
Il suo cervello era già abbastanza sovraccaricato dal pensiero di doverlo rivedere. Non era necessario aggiungere anche il pensiero di lui in quanto lui. Decisamente.
La nuvola, dicevamo.
La patata ovale.
Il pallone da rugby.
Chi per loro, insomma.
Certo che le nuvole erano creature affascinanti…
…cioè, non erano creature. Avrebbe dovuto trovare un termine migliore per definirle.
Mordicchiandosi l’interno della guancia, faticò a trovarne uno, perciò lasciò perdere. Erano comunque cose parecchio affascinanti. Davano tanto l’idea di essere degli enormi cuscini comodi sui quali adagiarti senza pensieri dopo una giornata sfiancante… e invece, se qualcuno avesse realmente provato a distendersi su una di quelle enormi masse d’aria, non solo avrebbe provato tanto di quel freddo che si sarebbe sentito ghiacciare fin nelle ossa, non solo avrebbe corso il rischio d’essere attraversato da parte a parte da una potentissima scarica elettrica, ma invece di ricevere l’abbraccio caldo e confortante dei cuscini di quelle gigantesche finte poltrone si sarebbe anche trovato a galleggiare precariamente nell’aria, in attesa di schiantarsi al suolo.
Le nuvole non avevano pietà.
Esattamente come i ricordi.
I ricordi erano dannatamente uguali alle nuvole. Così amichevoli e dolci quando li intravedevi da lontano affacciarsi fra le pieghe della mente e dei sogni ad occhi aperti… così duri e spiacevoli quando ti decidevi ad avvicinartici e guardarci dentro.
I ricordi, come quasi tutti i bauli antichi delle case delle nonne, possedevano sempre un doppio fondo. C’era quello che vedevi col primo colpo d’occhio, che era quasi sempre delicato e semplice e nostalgico e terribilmente piacevole. E poi c’era quello che sentivi quando allungavi la mano per afferrarlo in un pugno.
E quello era duro.
Spigoloso.
E doloroso.
Sempre, sempre, sempre.
Lasciarsi andare contro una nuvola e lasciarsi andare ai ricordi potevano essere entrambe attività mortali. Praticamente allo stesso livello. Anche se si trattava di morti diverse.
Il segnale che avvisava i gentili passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza si accese, e fu presto seguito dalla voce suadente e vagamente smorfiosa di un’hostess, che informava tutti che l’atterraggio si sarebbe svolto nel giro di una quindicina di minuti, come previsto e in perfetto orario.
Tom ubbidì al segnale e alla signorina, strinse la cintura in vita e si aggrappò distrattamente con le mani ai braccioli del proprio sedile.
Lanciò un altro sguardo alle nuvole e provò ad immaginare come sarebbe stato passarci dentro.


Quando, dopo un quarto d’ora, l’aereo uscì dall’area di turbolenza e si diresse punta in basso verso la pista d’atterraggio, Tom ebbe la sua risposta.
Passare in mezzo alle nuvole faceva schifo.
Esattamente come passare in mezzo ai ricordi.