rp: cesc fabregas

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: PG-13
AVVISI: Het, Incest.
- Un tatuaggio è una promessa sulla pelle, e Cesc ne ha paura.
Note: Storia scritta perché i fratelli Fabregas giuocano coi miei sentimenti. *ride* Dedicata alla Nemi e alla Perla #perchéssì. E ispirata al prompt Promettere l'infinito (squadra 6) per il MDF @ it100.
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IN THIS EVER CHANGING TIME, LOVE WILL NEVER CHANGE

Cesc guarda i tatuaggi gemelli sul proprio polso e su quello di sua sorella, e non può che sentirsene spaventato. Carlota dorme, braccia e gambe e lunghi capelli castani sparsi ovunque sul letto, priva della benché minima grazia come la ragazzina incasinata che è, che è sempre stata, che sempre sarà, sospetta Cesc, e sui lineamenti rilassati del suo volto da bambina mai cresciuta non c’è la minima traccia di turbamento, mentre Cesc può sentire i propri tesi fino allo spasmo nello sforzo di corrugare le sopracciglia e serrare la mascella, digrignando un po’ i denti.
È preoccupato. E ha paura.
- Bimba? – sussurra appena, scuotendola lievemente. Carlota mugola e sbuffa e si gira su un fianco, accoccolandosi contro il suo petto. Le forme morbide e tiepide del suo corpo nudo gli si modellano addosso, incastrandosi come i pezzi di un puzzle. – Bimba, sei sveglia?
- No. – borbotta lei, strofinando il musetto contro la sua spalla, come un gattino in cerca di coccole.
- Stavo pensando ai tatuaggi… - continua lui, sollevando il proprio polso all’altezza del viso per guardarlo meglio, - Non credo che siano stati una buona idea.
- Ma ti ho detto che non sono sveglia… - piagnucola Carlota, aprendo solo un occhio per sbirciare la sua espressione e rassegnandosi ad aprire anche l’altro e sospirare pesantemente quando lo vede così agitato. Si solleva su entrambe le braccia, guardandolo dall’alto per un paio di secondi prima di montare a cavalcioni su di lui, piegandosi fino a sfiorare la punta del suo naso con la punta del proprio, scrutandolo negli occhi quasi volesse frugare dentro di lui. Il suo sguardo scuro è intenso e misterioso, e Cesc se ne sente ipnotizzato. – Di cosa hai paura? – gli chiede Carlota a bassa voce, e Cesc deglutisce a fatica.
- Di prometterti qualcosa che non posso mantenere. – le risponde incerto. – Questi… - continua, sfiorando l’interno del suo polso con l’interno del proprio, ed osservando con una certa tenerezza i tatuaggi sfiorarsi come si sfiorano le loro iniziali disegnate sulla pelle, - vogliono dire “per sempre”. Sono una promessa, sai?
- E non puoi mantenerla? – domanda ancora lei, e non c’è traccia di disappunto nella sua voce, o nel bagliore lontano e caldo che le illumina gli occhi. Cesc si morde un labbro, guardando altrove.
- Non lo so. – risponde, - Ho paura di no.
Carlota solleva una mano, stringendo le dita attorno al suo mento e forzandolo a voltarsi di nuovo verso di lei. Incapace di sfuggire al suo sguardo, Cesc lo ricambia, trattenendo il respiro. E lei è così bella, così forte, così sicura, che lui dimentica ogni insicurezza.
- Io lo so. – dice Carlota, e la sua voce è dolcissima, ma non debole. Mai debole.
Cesc si fa bastare la sua sicurezza, e annega le proprie paure fra le sue labbra.
Genere: Romantico.
Pairing: Carlota/Cesc.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Het, Incest.
- "'C’è spazio anche per me?'"
Note: Scritta per la Notte Bianca #2 @ maridichallenge su prompt Cesc Fàbregas/Carlota Fàbregas, compleanno.
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I GUESS I'LL HAVE TO SETTLE FOR A FEW BRIEF MOMENTS

Aveva deciso che gliel’avrebbe detto dopo la festa. Dopo la torta e lo spumante e i manicaretti della mamma, e dopo tutta la confusione che ci sarebbe stata, dopo le battute di Geri sul tornare a Barcellona e dopo le conseguenti litigate che ogni volta a causa loro avevano luogo, dopo la confusione, dopo la musica e le danze, dopo il dolore ai piedi che l’avrebbe costretta a sfilare le scarpe col tacco ed aggirarsi per casa a piedi nudi, dopo tutto questo, quando finalmente sarebbero rimasti soli, gliel’avrebbe detto.
Ci aveva pensato a lungo, si era chiesta in che modo avrebbe potuto farlo senza sconvolgerlo troppo e senza suonare troppo banale – per quanto dubitasse che una dichiarazione d’amore da parte di una sorella ad un fratello potesse risultare banale, ma dopotutto era sempre di una dichiarazione d’amore che si stava parlando, ed in quanto tale avrebbe corso il rischio di risultare banale sempre, anche in una situazione ben più disperata della loro, benché Carlota faticasse ad immaginarne una – ma alla fine aveva raggiunto la conclusione che una cosa del genere era impossibile. In qualunque modo avesse posto l’argomento, l’avrebbe sconvolto, e al contempo sarebbe stata comunque banale. Zuccherosa e stupida. Come tutte le ragazzine della sua età. Anche se adesso aveva un anno di più.
Lo raggiunse in terrazza. Cesc sembrava ubriaco, o per lo meno brillo. Disteso su una sdraio con un sorriso idiota sulle labbra, fissava il cielo scuro sopra la sua testa stiracchiandosi di tanto in tanto e cadendo pigramente addormentato nei ritagli di tempo. Carlota sorrise raggiungendolo e sollevando una gamba per tirargli un calcetto contro un fianco, giusto per attirare la sua attenzione.
- C’è spazio anche per me? – domandò in una mezza risatina, e Cesc le sorrise a propria volta, allargando immediatamente le gambe per farle spazio sulla sedia. Carlota si sedette il più possibile vicina a lui, appoggiando la schiena contro il suo petto e lasciandosi avvolgere dalle sue braccia calde.
- Ti sei divertita? – le chiese lui, lasciandole un bacio lievissimo alla base del collo. Lei ridacchiò, solleticata dalla barbetta che lui si era lasciato ricrescere per l’occasione su sua esplicita richiesta, e annuì.
- Ti devo parlare. – disse quindi.
- Anch’io. – sorrise Cesc, - È un po’ che volevo dirtelo. – cominciò, stringendosela contro, - Comunque: sei diventata stupenda. E grandissima. E non ho parole per quanto sei bella. E ho già detto che sei bellissima? – ridacchiò confusamente, cullandola un po’. – E sono così felice di averti come sorella. – aggiunse in un soffio, sfiorandole la nuca con la punta del naso. Il suo respiro era così caldo. Carlota si sentiva esplodere il petto.
Esalò un sospiro stremato, voltandosi per quanto possibile e raggomitolandosi contro il suo petto, chiudendo gli occhi.
- Grazie. – sussurrò.
- Non c’è di che. – rise Cesc. – E tu che mi volevi dire?
Carlota si concesse un sorriso, scuotendo brevemente il capo.
- Te lo dirò l’anno prossimo. – rispose. Come aveva pensato esattamente l’anno precedente, ed anche quello prima.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Incest, Het.
- Il sole sorge. In sogno.
Note: Dunque, prima di tutto ci terrei a precisare che non ho ben capito se alla fine Cesc e Carla si siano lasciati davvero, perché c'è stato del gossip mentre ero in viaggio e, una volta tornata, non sono più riuscita a recuperarlo. Comunque so per certo che Cesc ha scritto cose deprimenti su Twitter e che sua sorella, amore adorato che è, è corsa immediatamente a consolarlo <3 E quindi è da quasi due settimane che voglio scrivere questa storia XD Però sostanzialmente è una storiella onirica un po' buttata lì così. No big expectations, thanks.
A parte questo, l'ho scritta per la quarta missione dell'ultima settimana del COW-T @ maridichallenge", su prompt alba. Il titolo, invece, è rubato a Right Thru Me, indegna canzone di Nicki Minaj di cui mi sono perdutamente innamorata.
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YOU SEE RIGHT THRU ME
how do you do that shit?

I colori accesi e violenti dell’alba sono tutti riflessi nei capelli e negli occhi di sua sorella, quando apre la porta e se la ritrova davanti senza preavviso. Non ha tempo di godersi il brillio aranciato del sole e la luminescenza azzurrognola del cielo mentre si specchiano sulla sua pelle color caramello, comunque, perché Carlota si lancia contro di lui con un sospiro spezzato e nasconde il viso sul suo petto, strusciando un po’ il musino bagnato di lacrime sulla sua maglietta, come un gattino in cerca di coccole.
- Sono venuta il prima possibile. – dice, stringendolo alla vita con una certa forza, - Appena ho capito… perché non me l’hai detto chiaramente?
Cesc fatica a prendere atto della situazione. Stringendo sua sorella fra le braccia – più che altro perché non può fare altrimenti: Carlota è così abbandonata contro di lui che, se lui decidesse di lasciarla andare, cadrebbe sicuramente di faccia per terra – cerca di affacciarsi di fuori. Il riverbero rossastro del sole nascente lo acceca per un secondo, e Cesc stringe saldamente un braccio attorno alla vita di Carlota per sollevare l’altro a schermarsi gli occhi.
- Mamma sa che sei qui? – le chiede preoccupato. Carlota sbuffa e si allontana da lui in un gesto secco, lanciandogli un’occhiata colma di disapprovazione.
- Che importa se lo sa? – sbotta, - Lo sa, stai tranquillo. Ma non cambiare argomento.
Cesc si stringe nelle spalle ed abbozza un sorriso minuscolo, facendosi da parte per lasciare a Carlota spazio sufficiente per entrare, trascinandosi dietro un borsone enorme e tanto gonfio da dare l’impressione che voglia fermarsi per i prossimi due-tre mesi almeno.
Tutte le finestre della casa hanno le serrande sollevate. Ogni stanza è invasa dalla luce, si riflette sulle superfici di tutti i mobili, sull’intonaco bianco delle pareti, sul lucido marmo dei pavimenti. Batte impietosa sul parquet in salotto, rimbalzando sulle pareti dipinte di un giallo così tenue da sembrare bianco, di solito, ma che adesso sembra essersi infiammato tutto all’improvviso. Quando Cesc e Carlota entrano per accomodarsi sul divano – lei lascia il borsone da qualche parte con uno sbuffo affaticato, e con uno sbuffo identico si lascia ricadere fra i cuscini, chiudendo gli occhi e sospirando pesantemente – i colori che li circondano sono così assurdi da sembrare finti.
- Ma sto sognando? – chiede Cesc, sedendosi sul divano accanto a sua sorella. Lei gli solleva addosso gli occhi ed inarca un sopracciglio.
- Ma sei scemo? – ribatte, - Senti, mi dici perché non me l’hai detto?
- Sì, infatti, non te l’ho detto. – realizza Cesc, indicandola con sconcerto, - Quindi come fai a saperlo?
Carlota sbuffa, sedendosi più compostamente ed incrociando le braccia sul petto.
- Sei scemo. – constata con ovvietà, e poi si concede un sospiro rassegnato. – L’ho capito, no?
- E come l’hai capito? – borbotta lui, quasi offeso. Non riesce mai a nasconderle niente. Può essere frustrante, alle volte. Può essere pauroso, anche.
Il petto di Carlota, quando sbuffa ancora, irritata, si gonfia così tanto che i suoi piccoli seni premono contro la canotta e contro i suoi avambracci, ancora intrecciati. Cesc vorrebbe non lasciar cadere lo sguardo, ma fa fatica a tenerlo alto.
- Piantala di guardarmi le tette. – sbotta Carlota. Cesc avvampa, ma la luce infuocata dell’alba fortunatamente gli permette di nascondere il rossore dell’imbarazzo dietro a quello del riflesso del sole.
- Non stavo… - comincia, ma Carlota ride e scuote il capo, avvicinandosi un po’.
- Sono cazzate, queste. – conclude perentoria, - Dimmi di Carla.
Cesc abbassa lo sguardo, torturando fra le mani l’orlo della maglietta che indossa.
- Ci siamo lasciati. – confessa a bassa voce.
- Questo lo so già, ti ho detto che l’ho capito. – lo interrompe Carlota, con uno sbuffo annoiato, - Vorrei capire perché.
Cesc le solleva gli occhi addosso e guarda l’onda morbidissima dei suoi capelli lunghi colorarsi di rosso, il petto che si alza e si abbassa al ritmo lento dei suoi respiri, gli occhi che brillano di curiosità un po’ infantile e le labbra umide piegate in una smorfia apprensiva e impaziente, e non sa come dirglielo. Non sa proprio come fare. Non sa da che parte cominciare, non sa se una parte dalla quale cominciare esista.
Sono innamorato di te. Mi sono perso. Non sono ancora riuscito a ritrovarmi.
Sono innamorato di te da anni e non me ne sono mai accorto. Ma Carla sì.
Mi sono perso. Carla ha provato a cercarmi, mi ha chiamato ad alta voce.
Io non ho mai risposto. Sono ancora perso. In questo posto pieno di luce.
Non so se è il sole che colora questa stanza di rosso. Forse sei tu.

- Cesc. – lo chiama Carlota. È così vicina che può sentire l’odore del suo respiro. Non somiglia a niente che abbia mai assaggiato prima. – Devi dire la verità. – lui prova a schiudere le labbra, prova a seguire l’impulso che lo spinge verso di lei, ma Carlota solleva due dita e lo tiene lontano, sorridendo tristemente. – Non a me. – dice, scuotendo il capo. – A quella vera.
*
Cesc si sveglia accaldato e con un gran mal di testa. Il sole sta sorgendo e la stanza sembra dipinta di rosso. Ogni tanto, il riverbero pallido e celeste del cielo si riflette sulle pareti, ma è appena un bagliore. Il rosso annega tutto. Cesc chiude gli occhi, poi li riapre e si alza di scatto. Raggiunge il telefono e non pensa neanche all’orario indecente e al disturbo che potrebbe dare, per non parlare della preoccupazione che Carlota potrebbe provare nel vederlo chiamare a quest’ora improponibile.
- Cesc…? – risponde sua sorella dopo un paio di squilli, la voce confusa e ancora impastata dal sonno, - Che succede?
Cesc trattiene il fiato per un paio di secondi, e poi butta fuori tutto.
- Devo parlarti. – dice di fretta, - Io e Carla ci siamo lasciati.
- Cosa…? – domanda Carlota, improvvisamente più presente a se stessa, - Cesc, ma è terribile, quando è successo? Perché?
- Vieni qui, per favore? – le chiede, senza rispondere. Sente la propria voce spezzarsi e cerca di darsi un contegno, prima di continuare. – Ti spiegherò tutto, - riprende, dopo essersi calmato, - ma ho davvero bisogno di vederti. Ce la fai?
Carlota si prende un secondo, forse per svegliarsi del tutto.
- Ma sì, certo. – risponde alla fine, - Prendo il primo volo. Sarò da te per questa sera, al massimo.
Cesc sorride, interrompendo la telefonata, e poi si lascia ricadere sul letto, senza forze. Ha le gambe molli e il cuore che batte all’impazzata. Cerca di inseguire il proprio respiro per impedire che gli sfugga via dalle labbra, ma quello corre veloce, seguendo il flusso del sangue pompato nelle vene a velocità folle, e Cesc ha bisogno di più di qualche secondo per calmarsi abbastanza da riprendere a ragionare lucidamente.
Il sole sta sorgendo. Fra poco Carlota sarà lì. E lui ha bisogno di smettere di sognare e cominciare a pensare.
Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: R.
AVVISI: Incest (one-sided), Het, (vago) Underage.
- La relazione di Cesc con sua sorella Carlota viaggia su due binari. Uno è quello reale. L'altro, quello immaginario.
Note: Questa fic la voglio scrivere da quando Carlota ha twittato quella cosa su suo fratello che infastidisce la gente fotografandola nei momenti meno opportuni XD Voi capite che quei due mi obbligano a cose che io mai e poi mai nella vita...! No, sto mentendo, lo sappiamo tutti. Io, nella vita, eccome. *sospira*
Comunque, per darle giusto un minimo di dignità, partecipa alla prima missione della prima settimana del COW-T, su prompt Pioggia.
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AND THE RAIN KEEPS FALLING ON YOUR LIES

Carlota s’era infilata nel suo letto perché aveva paura dei tuoni. La stanzetta in cui l’aveva sistemata, in effetti, era abbastanza esposta, molto più esposta della sua, che si trovava in una parte più riparata dell’appartamento, verso l’interno. Era la prima volta che veniva a trovarlo a Londra tutta da sola. Era arrivata stravolta da quello che aveva raccontato come il volo peggiore della sua intera vita. Aveva i capelli fuori posto, gli occhi rossi e il suo odore aveva un retrogusto evanescente di sudore. Aveva anche messo su qualche chilo, rispetto all’ultima volta che l’aveva vista a casa. Era bellissima.
Portarsi dietro un sentimento come quello che si portava dietro lui – da ormai troppo tempo perché riuscisse a quantificarlo contandolo sulle dita di entrambe le mani – poteva essere molto pericoloso, ma diventava bellissimo quando eri in grado di gestire i giganteschi silenzi che dovevi autoimporti per far sì che restasse segreto. Dubitava ad esempio che Carlota avrebbe continuato ad infilarsi nel suo letto con tanta naturalezza, o che avrebbe continuato a comportarsi come sempre anche in ambiti che col letto non avevano niente a che fare, se avesse potuto sbirciare fra i suoi pensieri e vedere coi propri occhi come la immaginava ogni volta che l’aveva vicina, che sentiva il suo profumo, che sentiva addosso il tocco caldo della sua pelle o quello un po’ umido e morbido delle sue labbra. Sicuramente sarebbe scappata via da lui, non avrebbe più voluto rivederlo.
Tacendo, Cesc risolveva il problema alla radice: non metteva in pericolo la relazione che aveva in realtà con sua sorella, e poteva continuare a coccolare silenziosamente quella che invece coltivava con la sua immagine nella propria testa. Non era stato semplice e negli anni aveva vissuto momenti di sconforto in cui a volte aveva desiderato di poter prendere quella massa ingombrante di sentimenti sporchi e buttarla via, o nasconderla abbastanza bene da dimenticarsi lui per primo della sua esistenza. Altre volte invece avrebbe desiderato soltanto poter prendere Carlota in disparte e dirle tutto. La piega così dolce delle sue labbra, il bagliore di comprensione ed affetto assoluti che brillavano nei suoi occhi, ogni tanto giocavano a cercare di convincerlo che avrebbe potuto davvero, che se avesse trovato il coraggio di confessarle tutto lei l’avrebbe capito, perdonato, chissà, magari perfino ricambiato.
Ma non aveva mai ceduto a questi richiami. Sapeva che non erano che scherzi della sua immaginazione, che prendeva gli atteggiamenti sempre affettuosi di Carlota e li manipolava perché a lui sembrassero qualcosa di diverso, tentando di indurlo a liberarsi la coscienza. Non l’avrebbe mai fatto. Più che per se stesso – spesso si sorprendeva a gemere di dolore, nella notte, oppresso dai pensieri e dai desideri che non aveva modo di soddisfare, a dirsi che almeno dopo una bella confessione sarebbe stato libero – per Carlota. Lei, Dio mio, lei— non avrebbe mai sopportato di vedere l’ombra dell’odio e del disgusto calare sui suoi occhi. Non quando rivolti a lui. Aveva bisogno del suo amore, e poco importava che non fosse del tipo che lui segretamente desiderava. Era amore, bastava tanto.
In silenzio, mentre dei tuoni e dei lampi che squarciavano il cielo nerissimo della notte londinese non arrivava a loro che un’eco lontanissima, accese la luce della lampada sul comodino. Il chiarore giallastro che si diffuse subito dopo restituì al viso di Carlota i toni caldi e ambrati della sua pelle, prima pallida come quella di un fantasma nel buio della stanza. Cesc la osservò aggrottare le sopracciglia con un certo fastidio e poi tornare a distenderle, le labbra tirate in una breve smorfia ammorbidita subito dopo dalla pesantezza del sonno, più forte di quella di un qualsiasi disturbo esterno. Scivolò con due dita lungo l’ovale del suo viso, cercando di non disturbarla. Le ravviò i capelli sulla fronte, scoprendola.
Era bella, minuscola e arresa. Non avrebbe mai potuto essere sua.
Cercando di muoversi il più cautamente possibile, allungò una mano verso il cassetto del comodino. Lo dischiuse il tanto che bastava per tirarne fuori una macchina fotografica, e le piantò l’obiettivo addosso. Deglutì a fatica. Dio, fa’ che non si svegli, pregò. Pregava spesso, per gioco. Prima delle partite, per esempio, o prima degli allenamenti, quando si prospettava una giornata particolarmente dura. Quella volta, però, pregò credendoci.
Non servì a granché: al primo scatto, Carlota strizzò gli occhi e piegò il capo, e poco dopo si sveglio.
- Cesc…? – lo chiamò, la voce carica di sonno, prima di voltarsi su un fianco e nascondere il viso contro il suo petto, - Metti via quell’affare, ho sonno…
- Scusami. – sorrise lui, stringendosela contro dopo aver riposto la macchina fotografica nel cassetto. Una foto sarebbe stata sufficiente. Pregò che non fosse venuta mossa, ma senza crederci troppo. Se Dio ce l’aveva con lui – cosa, peraltro, del tutto possibile, visti i pensieri che gli ingombravano la mente tendendo in uno spasmo di desiderio tutti i muscoli del suo corpo – forse semplicemente non gradiva essere disturbato da lui, ed avrebbe mandato a puttane qualsiasi preghiera gli fosse giunta portando l’eco della sua voce. – Non volevo disturbarti.
- Spegni quella luce… - borbotta, la voce impastata, stringendo le dita attorno al tessuto della sua maglietta. Cesc si contorce un po’ per allungarsi a spegnere la luce senza per questo dover smettere di abbracciarla, ma alla fine ci riesce, e dopo esserci riuscito torna a chiudersi a riccio attorno a lei, come per proteggerla dai rumori lontani del temporale. – Piove ancora… - sussurra lei, delusa, - Speravo di svegliarmi col sole.
- A Londra? – ironizza lui. Lei risponde con un mugugno contrariato ed un debole pugno contro il petto. Cesc ride, posandole un bacio lievissimo sulla fronte. – Dormi. – dice piano, cullandola un po’, - Sono sicuro che domani sarà una bellissima giornata.
- Bugiardo… - pigola lei, ma sta già scivolando nel sonno. Cesc si concede un sorriso triste ed aspetta che lei si sia addormentata profondamente, prima di risponderle.
- Non sai nemmeno quanto, piccola. – sussurra, la voce spezzata in un mezzo singhiozzo che si premura di ricacciare quanto prima nel fondo della gola.
Fuori sta ancora piovendo, ma i rumori sono sempre più distanti, come venissero da un altro universo. Quando Cesc si immerge nel proprio, un universo di fantasia dove non importa che il primo legame fra lui e Carlota sia quello del sangue, quei rumori si annullano e scompaiono. Lì dove va ogni volta che chiude gli occhi inalando il suo profumo, non piove mai.
Genere: Introspettivo, Triste, Romantico, Erotico.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Lemon, Incest, Angst (lieve).
- Dopo una faticosa giornata passata a giocare coi cuginetti a Londra, prima di Natale.
Note: Dunque, innanzitutto ci terrei a specificare che è tutto vero niente di quanto descritto in questa storia è mai accaduto bla bla a parte il fatto che Carlota è davvero dal fratello coi cuginetti. Perché ho scritto questa fic? A parte l'ovvio motivo della loro bellezza intrinseca? Perché Cesc ha detto su Twitter che intende godersi i parenti che ha in visita. E, come dire. *si sotterra* Il titolo è questo solo perché ho cominciato ad ascoltare la canzone omonima di Vasco Rossi dieci secondi dopo aver cominciato a scrivere, e non ho più smesso. *cade*
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, divano.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
REWIND
RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, divano

Carlota si lascia andare di peso addosso a lui, le gambe penzoloni oltre il bracciolo e la faccia affondata nel cuscino. Sbuffa di stanchezza, ma Cesc riesce a intravedere un angolo della sua bocca sollevarsi in un sorriso soddisfatto, fra gli sbuffi di stoffa e le ciocche di capelli lisci e lunghissimi che si aprono a ventaglio tutti attorno al suo viso, scoprendole la nuca. Solleva una mano e gliela appoggia sulla vita, massaggiando piano, quasi sovrappensiero. Non bada a ciò che sta facendo, ma Carlota li lascia sfuggire un mugolio compiaciuto, perciò lui sorride a propria volta e comincia ad accarezzarla con più metodo, stando bene attento a cosa tocca, come e quando.
- Sei riuscita a metterli a letto? – le chiede. Carlota si sposta, sistemandosi meglio contro il suo corpo ed avvicinandosi abbastanza da poter nascondere il viso non più contro il cuscino ma contro il suo braccio, appoggiato mollemente sul divano.
- Sì. – risponde, la schiena che si inarca involontariamente sotto i suoi tocchi, - Si vedeva lontano un miglio che erano esausti, eppure continuavano a saltellare di qua e di là senza fermarsi. I bambini sono incredibili.
- Adesso… - la prende in giro lui, tirandole un debole schiaffo contro il fianco lasciato scoperto dal maglioncino stretto, - tu eri uguale. E comunque sei ancora una bambina anche tu, piantala di fare la donna navigata.
Non faccio la donna navigata… - si lamenta Carlota, sollevandosi abbastanza da puntare i gomiti sul divano e poggiare il viso sui palmi delle mani aperte, per lanciargli un’occhiata vagamente risentita. – E comunque sono cresciuta. Direi che, se non lo sai tu, non lo sa nessuno.
Cesc sorride intenerito, allungando una mano a sfiorarle il profilo del viso.
- Mi somigli incredibilmente. – si lascia sfuggire in un sussurro appena percettibile.
- In bella copia. – ride lei, rigirandosi su un fianco e guardandolo a lungo, i capelli che le scivolano lungo le spalle, una ciocca che cade sul davanti e si srotola lunghissima e vagamente arricciata in punta, fino al seno. Cesc si inumidisce le labbra, ravviandole i capelli dietro un orecchio e poi scivolando per tutta la lunghezza. La sfiora e lei si perde in un brivido, gli occhi scuri che si fanno liquidi e più luminosi.
- Quando hai detto che arrivano mamma e papà? – le chiede, deglutendo forzatamente.
Lei sorride appena, mettendosi seduta e poi scavalcandolo e scivolandogli in grembo. Lo allaccia al collo, pressandosi contro di lui – seno contro petto, pancia contro pancia – e lui le stringe i fianchi fra le dita, tirandosela contro.
- Non prima di domani a pranzo. – risponde, la voce dolce, bassa, così involontariamente sensuale da dare a Cesc i brividi lungo tutta la schiena. Insinua le dita oltre l’orlo del maglione, la pelle di Carlota al di sotto è calda e sembra avvolgere in un abbraccio quella gelata dei suoi polpastrelli. Sua sorella rabbrividisce, ma Cesc non è sicuro che sia per il freddo, e serra le cosce attorno al suo bacino, tirandosi indietro abbastanza da dargli la possibilità di risalire fino al seno. Cesc lo stringe fra le dita, così morbido e pieno, lo accarezza scivolando sui suoi capezzoli quasi con distrazione, godendo del modo in cui le sue carezze quasi inciampano su quelle piccole punte dure e tese di desiderio. Carlota geme, gli si struscia addosso, caldissima contro la sua erezione già dolorosa sotto i pantaloni, e Cesc, all’improvviso, si sente mancare completamente il fiato.
- Piccolina, ti prego. – le sussurra sul collo, e lei cerca di tirarsi indietro ancora un po’.
- Ci sono i piccoli di là… - mormora incerta. Lui se la spinge addosso e lei lo sente così duro che si lascia sfuggire un gemito incontrollato. Scivola lungo le sue gambe, spingendosi fino in punta alle sue ginocchia e sollevandosi appena per sfilarsi i pantaloni e le mutandine, e Cesc le tira su il maglione fino al collo, avventandosi sui suoi seni e ringhiando per la frustrazione di non avere abbastanza bocche per stringerli fra le labbra tutti e due, contemporaneamente. Sfibbia i jeans alla cieca, mordendo e leccando e succhiando tutta la pelle che riesce a raggiungere, e Carlota gli appoggia entrambe le mani sulle spalle, sistemandosi sopra di lui e poi calandosi sulla sua erezione in un gesto repentino e fluido, prendendolo dentro di sé fino alla base.
Cesc soffoca un gemito contro il suo collo, stringendole i seni nelle mani a coppa, accarezzandole i capezzoli coi pollici in gesti lenti e circolari. Carlota si solleva e si riabbassa su di lui, così calda e umida che Cesc scoppia di voglia, vorrebbe venire subito e non venire mai, o venire subito e poi ancora e ancora e ancora, a ripetizione, senza dover più uscire dal suo corpo, ma sa di non potere, e questa consapevolezza diventa ancora più evidente quando è le la prima a venire, contraendosi spasmodicamente attorno al suo cazzo teso ormai quasi al limite, e quasi per reazione l’orgasmo gli esplode nel bassoventre, riempiendolo di brividi e portandolo a serrare con forza quasi violenta le mani attorno ai suoi fianchi morbidi mentre si riversa ansimando dentro di lei.
Carlota continua a muoversi lentamente ancora per un po’, accompagnando le ultime scosse di piacere finché non si esauriscono del tutto, e poi appoggia il capo contro la sua spalla, respirando tranquilla ed accarezzandogli in gesti distratti la barba con la punta delle dita.
Casc sorride, stringendo la sua mano nella propria e portandola alle labbra per ricoprirla di baci.
- Non mi hai mai detto se ti piace.
- Cosa? – chiede lei, sollevando il capo e lanciandogli un’occhiata confusa.
- La barba. – ride lui, - Sono completamente diverso quando ce l’ho.
Carlota sorride a propria volta, le sopracciglia lievemente inarcate verso il basso.
- È vero, - annuisce, - ci assomigliamo di meno, così.
La risposta alla domanda resta sospesa nell’aria. Cesc non riesce ad afferrarla quando la sente scivolare attorno a sé come qualcosa di fisico, prima di disperdersi, e quando è passata del tutto non ha nemmeno tanta voglia di riprovarci.
Genere: Introspettivo, Triste, Romantico.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Lemon, Incest, Angst.
- "I chilometri sono solo spazio, così come i giorni sono solo tempo."
Note: La vergogna cada su di me e su tutta la mia genia. *sospira* Almeno posso giustificare tutto ciò dicendo che Carlota è palesemente troppo bella per essere vera, amo lei molto più di quanto ami suo fratello e un giorno la sposerò? No, eh? *sospira di nuovo* Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, devozione.
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PHILOSOPHY OF SPACE AND TIME
RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, devozione

Fin da quand’è nata, Cesc ha guardato Carlota con occhi speciali. Nessuno se n’è mai accorto – Cesc è stato spesso molto bravo a nasconderlo – ma è sempre capitato. Quand’era più piccino la cosa lo imbarazzava, si sentiva ridicolo a perdersi nel modo in cui spesso gli capitava di perdersi pensando a lei, ma non era qualcosa che riuscisse a governare, perciò la maggior parte delle volte si limitava a combatterla fin quasi a farsi male da solo. E poteva essere doloroso davvero, c’erano volte in cui semplicemente aveva voglia di guardarla giocare con le sue bambole o fingere di truccarsi davanti a quell’enorme toilette in plastica rosa che i loro genitori le avevano regalato per Natale, e si impediva di farlo. Bloccava i muscoli del collo fino a sentirli tutti intorpiditi, e c’era una voce dentro di lui che gli chiedeva con rabbia perché non potesse semplicemente concedersi un’occhiata – in fondo, cosa ci sarebbe stato di sbagliato? Carlota era così piccola, così carina, così sua, perché non avrebbe potuto farlo? – mentre un’altra voce, più piccola e lieve ma al contempo molto più decisa, perentoria, definitiva, si limitava a dire no. Non puoi farlo, Cesc. Perché non puoi.
Da ragazzino aveva continuato a fare male. Carlota aveva cominciato a crescere e lui s’era ritrovato all’improvviso circondato da ragazzini della sua stessa età che la guardavano nello stesso modo in cui ogni tanto si ritrovava a guardarla lui stesso. Loro non distoglievano gli occhi, non voltavano il capo. Sorridevano nel lasciar scorrere lo sguardo sull’onda ribelle dei suoi capelli lunghi, indugiavano con divertita malizia sull’ombelico lasciato scoperto dai top che avevano cominciato ad andare di moda in quel periodo, percorrevano in carezze impalpabili le curve appena accennate dei suoi fianchi, e quando qualcuno gli diceva “però, Fàbregas, lo sai che tua sorella sta venendo su proprio bene? Un altro paio d’anni e le chiedo di uscire con me”, Cesc si sentiva divorare dalla rabbia. Non era facile, per lui, odiare le persone, ma quelli erano momenti in cui non solo gli riusciva con una naturalezza disturbante, ma non poteva proprio farne a meno.
L’Inghilterra, un po’, ha aiutato. Soprattutto all’inizio. Mettere chilometri fra lui e sua sorella quantomeno lo privava della possibilità effettiva di guardarla, e in questo modo il non doverlo fare pesava di meno. Allo stesso modo non riusciva a incrociare i suoi occhi e non riusciva a stringere come avrebbe voluto il suo corpo morbido e caldo, ma non importava più che non potesse farlo perché no. Poteva illudersi di non potere solo perché lei non c’era, poteva raccontarsi un sacco di balle e dirsi che alla prima occasione l’avrebbe coccolata così tanto da lasciarle addosso l’impronta delle mani – e allora i suoi amici rimasti a Barcellona neanche ci avrebbero provato, ad avvicinarsi, o lui avrebbe divorato loro il cuore strappandoglielo dal petto con quelle stesse dita che sulle pelle di Carlota avrebbero lasciato tracce invisibili e indelebili – salvo poi vedere tutte le proprie convinzioni crollare rovinosamente al primo pranzo di Natale ed al primo compleanno o al primo weekend che Carlota riusciva a passare da lui.
I chilometri, si dice adesso che Carlota gli sussurra di piantarla e lo bacia con forza, inchiodandolo al divano sul quale fino a due minuti fa stavano innocentemente guardando la televisione, non contano niente. I chilometri sono solo spazio, così come i giorni sono solo tempo. La voglia che ha di sentire addosso Carlota è qualcosa di diverso, è una cosa incredibilmente più fisica, per quanto a pensarci sembri assurdo. Il tempo ti passa addosso, e quando succede lo senti. I chilometri ti scorrono sotto i piedi, e quando succede lo senti. La voglia invece era lì, sorda o acuta, forte o debole, presente o assente a tratti, e c’era da sempre. Combatterla non è servito a niente, ma Cesc non è proprio sicuro che abbandonarvisi invece possa essere la situazione più adatta.
Ma le mani di Carlota gli scorrono sul petto, sopra e sotto la maglietta, e sono calde di voglia e d’impazienza, e le sue labbra cercano quelle di suo fratello come fosse normale, come fosse giusto, e quando Cesc la guarda – immersa nella penombra della stanza rischiarata solo dalla luce debole della televisione ad angolo, gli occhi chiusi, una piccola ruga di preoccupazione in mezzo alle sopracciglia e il petto che si alza e si abbassa inseguendo il ritmo affannoso dei suoi respiri – prova a chiedersi un’altra volta perché non dovrebbe, e tutto ciò che cambia, rispetto al passato, è che la voce piccola e sicura che si è sempre premurata di rispondergli “perché no” stavolta tace.
E allora niente, alle mani di Carlota si aggiungono le sue, ai suoi baci risponde coi propri, e lo stesso fa con le sue carezze, e quando pochi minuti dopo la aiuta a stendersi sul divano e si insinua fra le sue cosce, che si chiudono immediatamente con forza attorno ai suoi fianchi, nasconde il viso sul suo collo e la stringe fino a far mancare il fiato a entrambi, affondando il naso fra i suoi capelli, inspirando il suo profumo, annegando nel calore umido del suo corpo e gemendo con forza nell’eco sussurrata e confusa degli ansiti e dei sospiri spezzati di sua sorella, che lo allaccia al collo, se lo tira addosso, si struscia contro di lui e sembra quasi volerlo risucchiare dentro se stessa per non lasciarlo più andare.
Solo quando viene dentro di lei, stringendole con forza i fianchi fra le dita – e l’impronta adesso è lì, e no, non andrà più via – Cesc capisce da quanto sta aspettando questo momento. Da quanto, e quanta strada ha fatto per raggiungerlo. Tempo e spazio riprendono ad avere un senso, nel sorriso che nasce sulle labbra morbidissime di sua sorella quando esce dal suo corpo e si accoccola contro di lei, restando immobile e annodato al suo fianco sul divano e chiudendo gli occhi non perché non vuole guardare, ma perché sa che quando li riaprirà potrà farlo ancora.
Fandom: RP: Calcio
Personaggi:
Genere: Comico.
Pairing: Cesc/OFC.
Rating: PG
AVVERTIMENTI: Crack, (pseudo) Het.
- "Scommetto che questo è un sogno."
Note: .../o\ Ok, dunque, la faccenda del sogno è reale, nel senso che sì, l'ho sognato davvero, quest'uomo, e nel sogno fra le altre cose gli accarezzavo la barba, perché allora ce l'aveva ancora good old times. Questa fic, comunque, non è la trasposizione di quel sogno, perché quel sogno era un porno. Questa fic, invece, non lo è, anche perché io nclpotreimaif. Molto semplicemente. Comunque, capite che il mio è un dramma umano molto profondo, se nonostante cose come questa io riesco ancora a trovarlo attraente e fattibile, a determinate condizioni.
Comunque sappiate che se mi diranno di confermare sotto giuramento che questa storia è stata un mio parto, io negherò. Ma mi serviva postarla per il Challenge Trimestrale @ dietrolequinte su prompt barba, per cui amen.
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DREAM A LITTLE DREAM OF ME


- Questa cosa è assolutamente priva di senso. – dice, ma per quanto se ne renda conto non riesce ad allontanarsi, né ad alzarsi, e nemmeno a smettere di accarezzargli la barba. – Io ti odio.
Cesc ride come un cretino, appoggiato alla parete e comodamente seduto sul pavimento. Non la stringe e per la verità nemmeno la tocca, a parte per i pezzi di corpo che, giocoforza, visto il modo in cui sono seduti, devono venire in contatto, però non sembra nemmeno così particolarmente infastidito dalla sua presenza, anzi.
- Direi che questo al momento è l’ultimo dei tuoi problemi. – le fa notare, sporgendo il mento per permetterle di accarezzargli la barba più comodamente anche in prossimità del collo, - Tipo, io sono qui, adesso.
- E questo non è un problema, perché è evidente che sto sognando. – annuisce compitamente lei, sistemandoglisi meglio in grembo ed arrossendo alla sua risatina palesemente maliziosa quando solleva le braccia e le appoggia le mani sui fianchi per tenerla ferma mentre si accomoda meglio sotto di lei.
- Oppure magari sono entrato dalla finestra arrampicandomi sulla grondaia per approfittarmi di te nel sonno. – ipotizza lui, e lei guarda altrove. Le sue dita non smettono un secondo di passare delicatamente sulle sue guance e sul suo mento, come stupite dalla sensazione tattile incredibilmente fisica che sta provando, e che sembra volerle suggerire che tutto questo non è un sogno, anzi, è più che reale.
- Tanto per cominciare… - borbotta lei, girando uno sguardo intorno ed inarcando un sopracciglio, le dita che prendono a disegnare ghirigori immaginari sul profilo del suo viso, - questa stanza non ha finestre. Ed è completamente bianca, guarda, è come essere sospesi nel vuoto. Cioè, immagino che ci sia un pavimento perché stiamo seduti, ma per quello che ne so invece potremmo essere in uno spazio vuoto e volteggiare nell’aria, o cadere verso le profondità della terra, solo che non ce ne accorgiamo perché non abbiamo punti di riferimento. È tutto uguale.
Cesc la guarda come avesse improvvisamente preso a parlare arabo – cosa anche possibile, visto che nei sogni può accadere questo e anche altro – e poi inarca un sopracciglio e decide semplicemente di sorridere.
- Ok, forse è un sogno. – ammette, - Ma tu sei una ragazza con degli evidenti problemi, lasciatelo dire.
- Sì, uno dei quali sei tu. – ribatte lei, corrucciata, - Come stavo cercando di farti capire prima, io ti odio. Non è che non mi piaci e basta, mi stai proprio sul cazzo.
- Tu non hai—
- E tu sei scemo. – lo interrompe, e fa per alzarsi, ma all’ultimo momento non ci riesce, come se una forza misteriosa la stesse spingendo a rimanere ferma dov’è. – Vedi? È un sogno. – annuisce convinta, - Non riesco a muovermi.
- Certo che non riesci a muoverti, ti sto tenendo per i fianchi. – le fa notare lui, stringendo appena la presa per far sì che lei se ne accorga, - Forse non sono io l’unico scemo.
- Ma sai che sei un soggetto? – borbotta lei, tirandogli uno schiaffetto poco convinto ma grandemente offeso, - Cioè, wtf, vieni qui, nel mio sogno, e non solo ti intrufoli senza permesso, non solo mi metti le mani addosso contro la mia volontà, ma fai anche lo splendido! Non esiste. E poi sei palesemente gay, piantala.
- Cosa? – sputacchia lui, sorpreso?
- Niente. – sbuffa la ragazza, guardando altrove.
- Ma tu dici spesso cose come “wtf”? – chiede Cesc, cambiando saggiamente argomento e guardandola con curiosità. Lei scrolla le spalle.
- Continuamente. – risponde disinteressata, - Ehi, come fai tu a sapere cosa vuol dire wtf?
- Se questo è un sogno, - pontifica Cesc con aria fintamente intelligente, - io non sono altro che una proiezione del tuo subconscio, e in quanto tale è ovvio che questa terminologia sia perfettamente alla mia portata, essendo frutto delle tue conoscenze. E se questo non è un sogno, - ridacchia alla fine, mettendo via la maschera intellettualoide, - io ho ventitre anni, passo le giornate libere su internet ed ho una sorella che perde continuamente tempo su ontd_football: non solo so cosa vuol dire wtf, ma potrei scrivere trattati sull’uso del LOL dagli inizi dei tempi che ti stupirebbero.
La ragazza lo fissa con aria incredula per molti secondi, prima di tirargli uno schiaffo anche sull’altra guancia.
- Ma vedi che sei cretino? – insiste, - “l’uso del LOL attraverso i secoli, saggio a cura di Cesc Fàbregas”. Non ti rendi conto di quanto suona idiota anche solo dirlo?
- Be’, se questo è un sogno, e quindi il prodotto del tuo subconscio—
- La vuoi piantare con questa storia del subconscio?! – strilla lei, appendendoglisi alla barba e cominciando a tirare verso il basso per fargli male e, una buona volta, zittirlo. Lui, però, a parte trovare il tutto estremamente divertente e, pertanto, scoppiare a ridere, non fa altro. – Ok, basta. – conclude quindi lei, sospirando, - Mi sono stancata di te, della tua idiozia e di questo stupido sogno, o qualsiasi altra cosa sia. Vattene. – ordina perentoria.
- Come faccio ad andarmene se non ti alzi? – le chiede Cesc, serafico. Lei gli tira la barba ancora una volta.
- È questo il problema, non posso muovermi! Non ci riesco! Le lenzuola devono avermi intrappolato le gambe. Scompari!
- Potrei scomparire, se fossi un sogno. – annuisce compitamente lui, - Ma se non lo sono?
- Se non lo sei, posso ammazzarti a padellate. – ribatte lei, irritata.
- Ma qui non ci sono padelle. – le fa notare Cesc, allontanando una mano dal suo fianco per indicarle l’ambiente bianco e vuoto.
- Be’, se è un sogno, posso farne apparire una! – insiste la ragazza, provando a sperare intensamente che una padella appaia come per magia e altrettanto magicamente si schianti contro la fronte dell’uomo, cosa che naturalmente non accade.
- Però, se fosse un sogno, io potrei sparire. – ragiona lui, annuendo con aria seria, - Ma invece forse non lo è, e allora io non posso sparire e tu non puoi fare apparire padelle, quindi siamo punto e a capo.
Esasperata, lei sospira e si abbatte contro una sua spalla, riprendendo ad accarezzargli la barba quasi subito, giusto per darsi qualcosa da fare.
- Quindi cosa, in pratica sono obbligata a rimanere qui per sempre? – borbotta, - Non c’è niente che posso fare per andarmene?
- Uhm, magari devi solo ammettere che in realtà mi ami. – suppone lui, le labbra arricciate in una smorfia dubbiosa.
- Ah, be’, - sbuffa lei, scrollando le spalle, - allora prepariamoci ad una lunga convivenza.
Cesc ride, e quando parla ancora il suo tono di voce si fa più basso e sensuale.
- Magari – le sussurra, le mani ancora sui suoi fianchi, - devi solo aprire gli occhi.
Lei inarca un sopracciglio, sollevando lo sguardo e fissandolo supponente.
- Ci ho già scritto due fanfiction, su questo concetto. – dice quindi, - Con me non attacca. Forse è la barba! – si illumina, le dita che si chiudono istantaneamente, ricominciando a tirare, - Ma sì! Dev’essere questo il problema! Prima io non ti cagavo neanche di striscio, poi lei è apparsa e all’improvviso…
- Ehi… - mormora lui, adesso vagamente inquieto, - Cosa… cos’hai in mente?
La ragazza sorride diabolica, stringendo la presa delle cosce attorno ai fianchi di Cesc per impedirgli di scappare.
- Scommetto che questo è un sogno. – dice, aprendo una mano, - E scommetto che se chiedo un rasoio bello tagliente appare.
- Un ra— Ehi, - biascica lui, genuinamente terrorizzato, - parliamone! Vuoi solo— intendo, vuoi solo radermi, no? Cioè, la barba e basta, giusto? – chiede, la voce che trema appena.
- Questo però non risolverebbe definitivamente il problema. – riflette la ragazza, il sorriso sempre più inquietante, mentre un rasoio appare effettivamente nella sua mano sinistra, - La barba, vedi, ricrescerebbe. Credimi, è molto, molto meglio, per entrambi, se risolvo il problema alla base. Sai, una volta per tutte. – conclude, passandosi eccitata la lingua sulle labbra.
Cesc è sparito il secondo dopo. Lei si sveglia nel proprio letto, da sola, le gambe effettivamente intrappolate in un groviglio di lenzuola, e impreca a bassa voce, un attimo prima di scoppiare a ridere.