Genere: Introspettivo, Triste, Romantico.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Lemon, Incest, Angst.
- "I chilometri sono solo spazio, così come i giorni sono solo tempo."
Note: La vergogna cada su di me e su tutta la mia genia. *sospira* Almeno posso giustificare tutto ciò dicendo che Carlota è palesemente troppo bella per essere vera, amo lei molto più di quanto ami suo fratello e un giorno la sposerò? No, eh? *sospira di nuovo* Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, devozione.
Pairing: Cesc/Carlota.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Lemon, Incest, Angst.
- "I chilometri sono solo spazio, così come i giorni sono solo tempo."
Note: La vergogna cada su di me e su tutta la mia genia. *sospira* Almeno posso giustificare tutto ciò dicendo che Carlota è palesemente troppo bella per essere vera, amo lei molto più di quanto ami suo fratello e un giorno la sposerò? No, eh? *sospira di nuovo* Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, devozione.
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PHILOSOPHY OF SPACE AND TIME
RPF CALCIO Carlota Fàbregas/Francesc Fàbregas, devozione
Fin da quand’è nata, Cesc ha guardato Carlota con occhi speciali. Nessuno se n’è mai accorto – Cesc è stato spesso molto bravo a nasconderlo – ma è sempre capitato. Quand’era più piccino la cosa lo imbarazzava, si sentiva ridicolo a perdersi nel modo in cui spesso gli capitava di perdersi pensando a lei, ma non era qualcosa che riuscisse a governare, perciò la maggior parte delle volte si limitava a combatterla fin quasi a farsi male da solo. E poteva essere doloroso davvero, c’erano volte in cui semplicemente aveva voglia di guardarla giocare con le sue bambole o fingere di truccarsi davanti a quell’enorme toilette in plastica rosa che i loro genitori le avevano regalato per Natale, e si impediva di farlo. Bloccava i muscoli del collo fino a sentirli tutti intorpiditi, e c’era una voce dentro di lui che gli chiedeva con rabbia perché non potesse semplicemente concedersi un’occhiata – in fondo, cosa ci sarebbe stato di sbagliato? Carlota era così piccola, così carina, così sua, perché non avrebbe potuto farlo? – mentre un’altra voce, più piccola e lieve ma al contempo molto più decisa, perentoria, definitiva, si limitava a dire no. Non puoi farlo, Cesc. Perché non puoi.
Da ragazzino aveva continuato a fare male. Carlota aveva cominciato a crescere e lui s’era ritrovato all’improvviso circondato da ragazzini della sua stessa età che la guardavano nello stesso modo in cui ogni tanto si ritrovava a guardarla lui stesso. Loro non distoglievano gli occhi, non voltavano il capo. Sorridevano nel lasciar scorrere lo sguardo sull’onda ribelle dei suoi capelli lunghi, indugiavano con divertita malizia sull’ombelico lasciato scoperto dai top che avevano cominciato ad andare di moda in quel periodo, percorrevano in carezze impalpabili le curve appena accennate dei suoi fianchi, e quando qualcuno gli diceva “però, Fàbregas, lo sai che tua sorella sta venendo su proprio bene? Un altro paio d’anni e le chiedo di uscire con me”, Cesc si sentiva divorare dalla rabbia. Non era facile, per lui, odiare le persone, ma quelli erano momenti in cui non solo gli riusciva con una naturalezza disturbante, ma non poteva proprio farne a meno.
L’Inghilterra, un po’, ha aiutato. Soprattutto all’inizio. Mettere chilometri fra lui e sua sorella quantomeno lo privava della possibilità effettiva di guardarla, e in questo modo il non doverlo fare pesava di meno. Allo stesso modo non riusciva a incrociare i suoi occhi e non riusciva a stringere come avrebbe voluto il suo corpo morbido e caldo, ma non importava più che non potesse farlo perché no. Poteva illudersi di non potere solo perché lei non c’era, poteva raccontarsi un sacco di balle e dirsi che alla prima occasione l’avrebbe coccolata così tanto da lasciarle addosso l’impronta delle mani – e allora i suoi amici rimasti a Barcellona neanche ci avrebbero provato, ad avvicinarsi, o lui avrebbe divorato loro il cuore strappandoglielo dal petto con quelle stesse dita che sulle pelle di Carlota avrebbero lasciato tracce invisibili e indelebili – salvo poi vedere tutte le proprie convinzioni crollare rovinosamente al primo pranzo di Natale ed al primo compleanno o al primo weekend che Carlota riusciva a passare da lui.
I chilometri, si dice adesso che Carlota gli sussurra di piantarla e lo bacia con forza, inchiodandolo al divano sul quale fino a due minuti fa stavano innocentemente guardando la televisione, non contano niente. I chilometri sono solo spazio, così come i giorni sono solo tempo. La voglia che ha di sentire addosso Carlota è qualcosa di diverso, è una cosa incredibilmente più fisica, per quanto a pensarci sembri assurdo. Il tempo ti passa addosso, e quando succede lo senti. I chilometri ti scorrono sotto i piedi, e quando succede lo senti. La voglia invece era lì, sorda o acuta, forte o debole, presente o assente a tratti, e c’era da sempre. Combatterla non è servito a niente, ma Cesc non è proprio sicuro che abbandonarvisi invece possa essere la situazione più adatta.
Ma le mani di Carlota gli scorrono sul petto, sopra e sotto la maglietta, e sono calde di voglia e d’impazienza, e le sue labbra cercano quelle di suo fratello come fosse normale, come fosse giusto, e quando Cesc la guarda – immersa nella penombra della stanza rischiarata solo dalla luce debole della televisione ad angolo, gli occhi chiusi, una piccola ruga di preoccupazione in mezzo alle sopracciglia e il petto che si alza e si abbassa inseguendo il ritmo affannoso dei suoi respiri – prova a chiedersi un’altra volta perché non dovrebbe, e tutto ciò che cambia, rispetto al passato, è che la voce piccola e sicura che si è sempre premurata di rispondergli “perché no” stavolta tace.
E allora niente, alle mani di Carlota si aggiungono le sue, ai suoi baci risponde coi propri, e lo stesso fa con le sue carezze, e quando pochi minuti dopo la aiuta a stendersi sul divano e si insinua fra le sue cosce, che si chiudono immediatamente con forza attorno ai suoi fianchi, nasconde il viso sul suo collo e la stringe fino a far mancare il fiato a entrambi, affondando il naso fra i suoi capelli, inspirando il suo profumo, annegando nel calore umido del suo corpo e gemendo con forza nell’eco sussurrata e confusa degli ansiti e dei sospiri spezzati di sua sorella, che lo allaccia al collo, se lo tira addosso, si struscia contro di lui e sembra quasi volerlo risucchiare dentro se stessa per non lasciarlo più andare.
Solo quando viene dentro di lei, stringendole con forza i fianchi fra le dita – e l’impronta adesso è lì, e no, non andrà più via – Cesc capisce da quanto sta aspettando questo momento. Da quanto, e quanta strada ha fatto per raggiungerlo. Tempo e spazio riprendono ad avere un senso, nel sorriso che nasce sulle labbra morbidissime di sua sorella quando esce dal suo corpo e si accoccola contro di lei, restando immobile e annodato al suo fianco sul divano e chiudendo gli occhi non perché non vuole guardare, ma perché sa che quando li riaprirà potrà farlo ancora.