rp: alberto paloschi

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Mario/Davide.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Underage, AU.
- "Ah, è il tizio che diceva il coach prima. È nuovo, si è trasferito qui da poco. C’è tipo un universo di leggende che circola su di lui."
Note: Scritta per la Notte Bianca #10 su prompt RPF Calcio, Davide Santon/Mario Balotelli, swimmers!AU. Solito obolo nottebianchiano pagato al Santonelli. Swimmers, because of reasons. (Yeah, I know.)
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I DON’T NEED TO HEAR YOU SAY THAT IF WE WEREN’T SO ALIKE YOU’D LIKE ME A WHOLE LOT MORE

- E quello? – domanda Alberto, indicando il ragazzino nuovo con un cenno del capo. Sembra molto più grande di loro, Davide gli darebbe almeno diciott’anni, ma potrebbe anche essere tutta un’illusione data dal fatto che ha spalle larghe come una portaerei e una schiena sulla quale si potrebbe tranquillamente correre una fottuta maratona, tanto è lunga. Per non parlare delle sue gambe.
- Ah, è il tizio che diceva il coach prima. – annuisce Mattia, scrollando distrattamente le spalle mentre stringe la banda di gomma degli occhialini, - È nuovo, si è trasferito qui da poco. C’è tipo un universo di leggende che circola su di lui.
- Tia, ma che cazzo dici? – sbuffa Alberto, roteando gli occhi, - Ma mi dici che minchia di leggende possono circolare su un pischello che s’è appena trasferito?
- Be’, tanto per cominciare, - comincia Mattia, imbronciato per essere stato preso poco sul serio, - Intanto dice che viene dal sud.
- Dal sud del mondo, tipo dall’Africa? – domanda Alberto, inarcando un sopracciglio, - Grazie, Tia, contributo veramente leggendario. E poi non l’avrei mai capito, così a partire solo dall’insignificante indizio del colore della sua pelle.
- Quello che hai appena detto è molto razzista. – ribatte Mattia, incrociando le braccia sul petto ed annuendo a se stesso, - Dare per scontato che tutti i neri vengano dall’Africa, intendo.
- Tia, Cristo Iddio, - rantola Alberto, passandosi entrambe le mani sulla faccia, - Intendevo solo dire che era presumibile che fosse africano, visto il colore della sua pelle! Cosa c’è di razzista in questo, non ho mica detto che i negri mi fanno schifo! Ma io dico.
- Be’, non fai che portare avanti uno stereotipo razziale basato su concezioni vecchie più di due secoli. – scrolla le spalle Mattia, - Dovresti leggere qualche social justice blog online, magari ne capiresti di più.
- E tu magari potresti tirarti fuori la testa dal culo, magari ti riempiresti la bocca di meno stronzate. – ribatte Alberto, acido.
- Come vuoi. – Mattia gli agita una mano davanti alla faccia e poi torna a guardare il ragazzo che, adesso, fasciato in un costume aderente al ginocchio, fa stretching a bordovasca. – Comunque, giusto per dimostrarti che gli stereotipi sono spesso bugie, no, non viene dall’Africa. Cioè, i suoi genitori tipo sì, credo, ma lui è nato a Palermo, però dice che tipo era gravemente ammalato, una roba da romanzo di formazione dell’800. E niente, ha vissuto in ospedale tipo fino a cinque anni, e poi una famiglia di qui l’ha adottato, e voilà.
- Come leggenda fa abbastanza cagare. – commenta Alberto, infilando le mani nelle tasche dell’accappatoio.
- No, ma c’è altro! – annuisce Mattia, tutto preso, - Tipo che pare che sia un soggetto poco raccomandabile. Prima frequentava un altro centro sportivo, e litigava sempre con tutti. Ma non nel senso di “mi hai preso la mia cuffietta, ridammi la mia cuffietta!”, no, litigate serie, con botte e tutto. E poi un giorno pare che un tizio l’abbia fatto incazzare al punto che lui ha preso e gli ha pisciato addosso.
- Che schifo, Tia, santoddio. – protesta Alberto con una smorfia. Mattia scrolla le spalle.
- Eh, che vuoi, non me lo sono mica inventato. Dicono così in giro. Comunque, - aggiunge, - si chiama Mario. Ha la nostra età, ed entra in squadra da oggi.
- Spero che si tenga il pisello nelle mutande, già mi basta quando pisci tu in piscina. – sbuffa Alberto, tirando una manata a Mattia. Poi si volta verso Davide, come accorgendosi della sua presenza solo in quel momento. – Dade, come mai così silenzioso? Niente da dire sul nuovo arrivato?
Davide sbatte le ciglia un paio di volte, e poi si volta nuovamente a guardare il tipo, che adesso si è sollevato sulla pedana e si piega in avanti, preparandosi al tuffo. I suoi occhi scivolano senza vergogna sull’intera superficie liscia e levigata del suo corpo, sulla perfetta torsione del busto, sull’angolo delle sue ginocchia piegate, sulla tensione dei muscoli delle spalle e delle braccia. E poi parla.
- Vorrei andarci a letto insieme.
Alberto spalanca la bocca, fissandolo con sconcerto evidente mentre Mattia scoppia a ridere, allontanandosi verso le pedane.
- Con questa, per oggi ho sentito tutto. – conclude Alberto con un sospiro. Si allontana a propria volta, e Davide resta solo, gli occhi ancora fissi su Mario. Che, a un certo punto, solo per un secondo, gli ricambia l’occhiata, prima di sparire con un salto oltre il pelo dell’acqua.
*
Davide lo osserva da lontano per giorni. Sa cosa vuole, sa perché lo vuole, da qualche parte dentro di sé sa di averlo sempre voluto – Mario è stato, per così dire, conveniente, nel posto giusto e nel momento giusto, nella posizione perfetta per fargli decidere che sì, doveva essere lui, ma non è che sia stata una rivelazione scioccante, non è che Davide non lo sospettasse da tempo, non è che Mario sia stato il primo che Davide si è fermato a fissare con lo stomaco sottosopra, Mario è solo bello al punto da fargli pensare che vale la pena provarci nonostante i rischi – l’unica cosa che non sa è come ottenerlo.
Mario non sembra molto facile da gestire, così dalla distanza. È abbastanza preso da se stesso, sembra trovare tutti incredibilmente antipatici, o almeno questo traspare dalle lunghe occhiate poco impressionate che lancia a chiunque cerchi di approcciarlo in qualunque modo. Non sembra interessargli niente a parte tuffarsi e nuotare, e risponde perfino con un certo fastidio quando qualcuno cerca di trattenerlo.
Non parla quasi mai, e Davide non cerca di parlare con lui. D’altronde, non è discutere che gli interessa. Non è mai stato innamorato, non è mai stato neanche interessato a qualcuno, ed alle volte gli capita di pensare che, probabilmente, non succederà mai. Certe persone ci sono portate, certe altre no, lui non si sente particolarmente talentuoso nel campo. Ed in effetti Mario non è certo un’eccezione alla regola: di lui, non gli importa niente; quali siano le sue origini, le sue motivazioni, cosa gli piaccia e cosa no, non gli interessa.
Vuole solo andarci a letto insieme. Ogni volta che lo vede, il pensiero gli esplode in testa con una detonazione assordante. Non riesce a vedere né a pensare ad altro. Le sue mani, le sue labbra, quelle cosce, quelle spalle, le vuole addosso, vuole sentirle sotto i polpastrelli, vuole sentire lui sopra e sotto e dentro e ovunque, vuole respirare l’odore del cloro e della sua pelle direttamente dal suo corpo, vuole sentirlo spingere e vuole sentire la sua voce nelle orecchie così vicina da sembrare una voce da dentro se stesso. Ne ha una voglia così assoluta che, quando lo vede, non ascolta più nessuno. Ignora gli amici, i discorsi, i cazziatoni del coach, le battute, lo squillo del cellulare. Quando il suo sguardo incontra il corpo di Mario, tutto il resto può attendere, perché tutto il resto non ha più nessuna importanza.
Per la maggior parte del tempo, comunque, Mario ignora anche lui. Sembra che non lo veda neanche, i suoi occhi lo trapassano come fosse fatto d’aria. Mario non vede niente oltre se stesso e l’acqua, e Davide pensa distintamente che, se è così, allora dovrà mettersi in mezzo a loro.
A dargli speranza, solo le occhiate che, ogni tanto, quando nessuno guarda, Mario gli ricambia per qualche secondo, prima di scappare.
*
Lo scopre per un puro caso, un pomeriggio che si attarda ad aspettare che suo padre finisca di lavorare per passarlo a prendere dalla piscina. Non ha visto Mario uscire dagli spogliatoi, ma d’altronde non l’ha mai davvero visto abbandonare la piscina, è come se ci vivesse dentro. Mentre, annoiato, cerca un modo per passare il tempo in attesa di suo padre, passeggia un po’ per il centro sportivo, anche se sa che ormai perfino l’impresa di pulizia è andata via, ed è mentre passa accanto alla piscina senza nemmeno vederla che, invece, vede lui.
È solo, seduto su una delle pedane di partenza sul lato corto della piscina. Ha un ginocchio stretto al petto e l’altra gamba stesa fino a sfiorare con la punta delle dita la superficie dell’acqua. Davide non riflette, non considera la situazione, non conta il tempo che gli resta né le possibilità che ha di riuscire nell’impresa: entra, si sfila di dosso tutti i vestiti, li ammucchia in un angolo, rimette il costume e corre fino a bordovasca. Il suo corpo si tende tutto durante il salto, il capo chinato per non opporre resistenza all’acqua, le braccia unite, le cosce e le natiche serrate, la linea della colonna vertebrale più dritta possibile, e poi l’impatto, gli schizzi – pochi – e gli occhi di Mario che si fissano su di lui, e la sua pelle che ne percepisce il calore nonostante lui non possa vederli.
Riemerge qualche metro più avanti, e finge di non accorgersi di lui. Un paio di bracciate e si immerge di nuovo, una capriola sott’acqua e poi riemerge, questa volta di fronte a lui. Inizialmente vorrebbe fingere stupore, provare a vedere cosa può ricavare dalla situazione se gioca la carta dell’innocenza, se prova ad attirarlo in acqua subdolamente, ma gli occhi di Mario sono assolutamente inespressivi, e sembrano accorgersi di lui solo perché la sua figura increspa la superficie dell’acqua, più che perché davvero lo veda, e Davide decide che, se questa è l’unica possibilità che ha, tanto vale essere onesti.
- Mi piaci. – dice, galleggiando pigramente, gli occhi nei suoi.
Mario lo fissa di rimando, dondolando un po’ la gamba a mollo.
- Neanche mi conosci. – risponde. Ha una bella voce, profonda e maschile, e un accento marcatissimo. Riecheggia nella piscina vuota, avvolgendo Davide come vapore. È piacevole.
- Che importanza ha? – ritorce, scrollando le spalle sott’acqua, - Non ho detto che mi sono innamorato di te. Mi piaci, per questo basta guardarti.
Le labbra piene di Mario si piegano in un sorriso sarcastico.
- Quindi non ti piaccio come persona. – dice, inarcando un sopracciglio.
- Non ho idea di che persona tu sia. – scrolla ancora le spalle Davide, - Quello che ho visto di te non mi piace granché, sei taciturno, egocentrico e te ne sbatti di chiunque altro non sia te stesso. – piega appena il capo, sulle labbra un sorriso malizioso, - Ci assomigliamo.
- Eppure hai detto che non ti piaccio. – dice Mario, sbuffando una mezza risata.
- Non mi piaccio granché neanch’io. – risponde Davide. Questo sembra bastare a Mario, che annuisce, ma resta in silenzio. Davide lascia passare qualche secondo, aspettando di vederlo muoversi, o dire qualcosa, ma Mario continua a fissarlo senza aggiungere altro, e dopo un po’ Davide sbuffa, impaziente. – Allora?
- Allora cosa?
- Ti ho detto che mi piaci.
Mario aggrotta le sopracciglia.
- E questo dovrebbe avere qualche conseguenza?
Sentendosi colto in fallo, Davide digrigna i denti, irritato, ma cerca di non darlo a vedere.
- Io ti piaccio? – domanda, invece di rispondergli.
Mario sorride ancora, divertito.
- Quello che ho visto di te non mi piace granché. – risponde, - Sei presuntuoso e supponente e ti comporti come ce l’avessi d’oro, come una ragazzina, anzi peggio, visto che non hai neanche un paio di tette e una fica per supportare la tua vanità.
Ferito, Davide arrossisce ed indietreggia appena nell’acqua.
- Improvvisamente parli un sacco, eh? – domanda sarcastico.
Mario scrolla le spalle.
- Quando serve.
Davide si avvicina ancora una volta, ostinato. È diventata una questione di principio, ormai. Non importa se uscirà da questa piscina odiandolo per tutto il resto della sua vita, vuole averlo, deve averlo, e lo avrà.
- Quindi ti piaccio o no? – domanda in un ringhio frustrato.
Mario gli lascia scivolare gli occhi addosso senza vergogna, poi appoggia le mani sulla pedana e si solleva appena, lasciandosi ricadere in acqua un secondo dopo. Si immerge completamente fin sopra la testa, sprofondando verso il pavimento della piscina dritto come un chiodo, e poi ritorna su, saltando come una molla, riemergendo a pochi centimetri dal viso di Davide.
Lo afferra per il collo, stringendo troppo forte. Solo per un secondo, ma abbastanza perché Davide, spaventato dal movimento improvviso ed inaspettato, porti le mani sulle sue e tiri un po’, cercando di fargli mollare la presa. Quando Mario la allenta, sta bene attento a fargli capire che non sono le sue mani ad averglielo imposto, ma solo la propria stessa volontà. Lo lascia andare coi suoi tempi, dosa la quantità di ossigeno che può andare a riempirgli i polmoni, dirige il traffico in entrata e in uscita. Davide lo sfida con lo sguardo, mordendosi un labbro nel tentativo di concentrarsi su qualcosa di diverso da lui, per mantenere il controllo su se stesso abbastanza da non cedere.
Lascia scivolare le mani sotto i suoi polsi, aprendo le braccia in un movimento improvviso per scrollarselo di dosso. Mario lo lascia fare e non si allontana.
- Quanto ti senti figo a mettermi le mani addosso? – domanda, - Omofobo del cazzo.
Mario solleva le braccia un’altra volta, in un movimento così veloce che Davide quasi nemmeno lo vede, e di sicuro non riesce a fermarlo. Se le ritrova premute contro la nuca, ampie e forti, i polpastrelli ruvidi che gli accarezzano la pelle sensibile riempiendolo di brividi. E poi le labbra di Mario, all’improvviso, forti e fameliche come lui, aperte e bagnate, premute contro le proprie in un bacio avido e vorace.
Davide gli si aggrappa alle spalle, geme nel bacio e nuota più vicino, il corpo che aderisce perfettamente a quello di Mario, bollente nonostante la temperatura dell’acqua. Lo sente già gonfio e duro oltre il tessuto sottilissimo del costume aderente, e non può aspettare oltre. Infila una mano oltre l’orlo e lo cerca con le dita, e quando lo trova lo stringe avidamente, accarezzandolo svelto dall’alto verso il basso. La sua pelle è calda come il fuoco, può quasi sentire sotto le dita il sangue che pulsa, rendendolo ancora più duro. Stringe con più forte, perché vuole sentirlo di più, ma ottiene in risposta solo un ringhio e le dita forti di Mario che si chiudono attorno al suo polso, strattonandolo via.
- Non è mica di marmo. – dice, accarezzandosi per qualche secondo mentre il fastidio scema. Davide sorride, sollevando solo un angolo della bocca.
- Avrei detto di sì. – commenta. Mario inarca un sopracciglio e si concede mezzo sorriso ironico.
- Non ho bisogno dei complimenti. – dice, - Voltati.
Davide non aspettava altro da giorni, e se ne rende conto mentre si volta velocemente e si aggrappa con furia al bordo della piscina, sollevando appena il bacino sott’acqua. Mario gli appoggia le mani sui fianchi, stringendolo senza riguardi, imprimendogli sulla pelle la traccia arrossata delle proprie dita. Poi afferra il suo costume con entrambe le mani e lo tira verso il basso, lasciandoglielo arrotolato attorno alle cosce, rendendogli praticamente qualsiasi movimento impossibile. Inizialmente Davide pensa sia solo un caso, un frutto della fretta, ma si rende conto che non è così quando capisce che, in queste condizioni, non può fare altro che affidarsi completamente a lui perché lo tenga sollevato sopra la superficie dell’acqua, perché lo pieghi in modo da poterlo penetrare piacevolmente, perché non gli faccia troppo male.
Chiude gli occhi e decide di fidarsi. Non di Mario, ma del momento. Di quello che stanno facendo, di quello che stanno condividendo in quella piscina. È superficiale, è brutale, è stupido, è solo sesso, ma sarebbe sbagliato dire che non ha importanza. Ha tutta l’importanza del mondo, specie adesso che Mario gli stringe le natiche fra le dita, saggiandone la consistenza sotto i polpastrelli prima di allargarle piano, per esporlo. Davide sente scivolare il suo cazzo enorme e bollente contro la sua apertura, verso l’alto e verso il basso, e poi di nuovo, e di nuovo, e sta per ringhiare, frustrato, quando Mario finalmente solleva i fianchi e si preme contro di lui, aprendolo lentamente ma senza mai fermarsi.
Davide si lascia sfuggire un lamento mentre si sente teso fino allo stremo, poi contrae i muscoli e Mario si sente risucchiato dentro di lui, e spinge più forte. Davide caccia un urlo corto che termina in un ansito senza fiato, ma poi non sente più dolore, schiude gli occhi e sente solo Mario, piantato così in fondo dentro di lui da non riuscire più a capire dove finisce uno e dove comincia l’altro.
Mario si avvicina di più, gli gira le braccia attorno alla vita e solleva le mani, stringendogli i capezzoli fra le dita mentre comincia a muoversi dentro di lui. Davide abbassa lo sguardo e osserva quelle dita così scure e ruvide strofinarsi insistentemente contro i suoi capezzoli, e pensa tutto insieme che adora il contrasto fra i loro colori, che non avrebbe mai pensato di poter sentire un piacere così intenso per carezze simili e che dentro di lui è in atto una rivoluzione. Una rivoluzione vera, una chiamata alle armi, un cambiamento che lo segnerà per sempre. Mario lo penetra svelto, l’acqua schiocca come uno schiaffo fra di loro, i fianchi appuntiti e possenti di Mario sbattono con un suono secco e bagnato contro le natiche di Davide, e Davide geme senza ritegno, coprendo tutti gli altri rumori, la voce che riecheggia nel silenzio assoluto del centro sportivo.
Si sente duro come non è mai stato, e l’acqua non serve a mitigare la sensazione di frustrazione assoluta che il suo cervello gli rimanda. Vorrebbe abbassare una mano, lasciarla scomparire sotto il pelo dell’acqua e masturbarsi, ma Mario spinge con tanta forza che Davide è sicuro che, se lasciasse andare la presa sul muretto, finirebbe per sbatterci contro, o affondare. Perciò si avvicina alla parete, usandola come sostegno mentre afferra Mario per un polso e porta la sua mano fra le sue stesse cosce, strofinandosi contro il suo palmo aperto e trattenendolo lì sotto finché Mario non capisce la sua richiesta. Solo quando lo sente chiudere le dita attorno a lui si convince a lasciarlo andare e tornare ad aggrapparsi alla parete con entrambe le mani.
Mario riprende a spingere, forte come prima, e stavolta c’è anche la sua mano a chiudersi ritmicamente attorno al suo cazzo dolorosamente teso, ed è tutto diverso. Davide getta indietro il capo, geme e poi geme più forte quando sente le labbra di Mario chiudersi attorno alla pelle sensibile del suo collo e succhiare affamate. Sente la pressione dei denti, la carezza bagnata della lingua, e poi di nuovo le sue labbra, chiude gli occhi e Mario lo penetra più profondamente di quanto abbia fatto fino a quel momento, e Davide vede bianco, si aggrappa con tutta la forza che gli resta alla parete e viene con un urlo soffocato, il corpo ricoperto di brividi, i muscoli che si contraggono in spasmi incontrollabili attorno all’erezione di Mario, strappandogli di dosso un orgasmo potente, che si diffonde dentro di lui in fiotti caldissimi di cui è solo vagamente consapevole, ma che sono quasi sufficienti ad eccitarlo di nuovo se solo ci pensa.
Mario non aspetta molto, prima di separarsi da lui. Dopo aver ripreso a respirare appena meno affannosamente, si allontana, scivolando fuori dal suo corpo ed immergendosi completamente in acqua mentre nuota fino al bordo. Davide non ha idea di come faccia ad avere voglia di fare qualunque cosa che non sia crollare addormentato proprio in quel punto, ma lo osserva issarsi fuori dalla piscina con uno sforzo delle braccia e sente un’ondata di calore diffonderglisi nel bassoventre.
- Vado a farmi una doccia. – dice Mario, sistemandosi il costume da bagno attorno ai fianchi e camminando spedito verso gli spogliatoi senza mai voltarsi indietro, - Ci si vede.
*
- Quello che dico è che non so come il coach si aspetti che noi si faccia squadra con Mario, se quello a stento ci rivolge la parola. – protesta Alberto, frustrato dopo l’ennesimo tentativo abortito di provare ad attaccare bottone con Mario per fare amicizia in vista della staffetta di prova di sabato prossimo.
- Che ti devo dire, - scrolla le spalle Mattia, chinandosi a recuperare la merendina che ha scelto dal cassetto a scorrimento del distributore automatico, - Magari sei noioso, oppure odia la tua brutta faccia.
- Invece a te è andata da Dio. – lo prende in giro Alberto, lanciandogli un’occhiataccia, - Quando hai provato tu ti ha trattato alla grande.
- Be’, - scrolla le spalle Mattia, - Almeno mi ha risposto.
- Ti ha detto “lasciami in pace, per favore”. – gli fa presente Alberto, scuotendo il capo. Mattia scrolla le spalle un’altra volta e non dice altro. – Dade, - si lagna dunque Alberto, appoggiandogli la fronte contro una spalla, - Com’è che con te si comporta quasi in maniera decente? Ti saluta, ti guarda quando lo guardi, voglio dire, quantomeno sembra accorgersi della tua presenza. Come hai fatto?
Davide accenna un sorriso divertito, piegando lateralmente il capo.
- Credimi, non vuoi saperlo.
Dall’inclinazione di quel sorriso, Alberto deduce che ha ragione, e stabilisce di non riprendere mai più la discussione.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG.
AVVISI: Gen.
- "Ho come l’impressione di essermi fermato."
Note: Fic nata parlando col Def a proposito del Paloschino e della sua storia col Milan. E' assolutamente gen perché in realtà tutto quello che volevo era mettere un po' a confronto la sua storia con quella di Davide, perché per certi versi si somigliano, nonostante le sostanziali differenze. E il MDF @ it100 mi ha aiutato con un prompt bellissimo: "Time is going by, so much faster than I." (Nickelback - Never gonna be alone) (squadra 6).
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LOVE IS ONLY A FEELING

- Allora, qual è il problema?
Davide sorride sinceramente, offrendogli la bottiglietta di tè al limone e sedendosi al suo fianco. Alberto non può che stringersi nelle spalle e ricambiare, anche se l’ultima cosa che vuole in questo momento è parlare.
- Chi ti dice che ho un problema? – chiede, fingendo una sicurezza che non possiede.
- Mario mi diceva che quando hai qualche problema ti viene quella ruga lì. – risponde Davide, indicando il suo volto con un cenno del capo. Alberto cerca di stendere tutti i lineamenti del viso, guardandolo con aria infastidita.
- Quale ruga? – borbotta. Davide ridacchia, allunga una mano e disegna una linea un po’ curva nel mezzo della sua fronte. Alberto si tira indietro immediatamente; scatta come una molla, con la stessa improvvisa violenza. Davide però non ne è spaventato, continua a sorridere mentre la sua mano rimane a mezz’aria, prima che lui si decida a metterla giù, finalmente.
- Dunque, - insiste, - qual è il problema?
Alberto abbassa lo sguardo e sospira profondamente, raggomitolandosi su se stesso mentre il sole batte sulle loro spalle, sulla scalinata che porta all’ingresso del centro sportivo.
- Ho come l’impressione di essermi fermato. – risponde, e Davide inarca un sopracciglio, dubbioso. Alberto capisce di non essersi spiegato abbastanza bene, e cerca le parole per spiegarsi meglio. – Hai idea di quanto tempo ho passato al Milan, io? – Davide annuisce e fa un gesto vago con una mano, come a dire che non ha certo tenuto il conto, ma non importa, perché ha capito dove vuole andare a parare. – Insomma, giocare per questi colori è sempre stato il mio sogno. – aggiunge Alberto con una certa fatica, e Davide, non visto, sorride, perché Alberto dice questi colori anche se al momento il colore che ha addosso è uno solo e col rosso e col nero non c’entra niente. Ma il rosso e il nero restano comunque questi colori, come li portasse tatuati dentro, nel sangue. – E adesso sono qui, e… - sospira appena, scuotendo il capo, - Lo so che non giocherò quasi mai. Lo so che sarò sempre solo una riserva, voglio dire, con tutta la gente che abbiamo in attacco? Non ho speranze. Ma non voglio andare via, io—
- Tu sei innamorato. – ridacchia Davide, stringendosi nelle spalle e nascondendo il proprio divertimento dietro una smorfia intenerita. – Posso capirlo. Ci hanno messo un mese a convincere me a cambiare maglia. Ed alla prima occasione favorevole sono comunque tornato a casa. Perché non potevo starne lontano, anche se so che molto probabilmente farò da riserva anch’io, quando tutti saranno tornati dalle vacanze.
Alberto sospira un’altra volta, rilassando le spalle e lanciando uno sguardo indifferente al cielo azzurrissimo sopra Varese.
- E come ci convivi? – domanda a bassa voce, sperando che Davide neanche lo senta. Davide però lo sente, e ridacchia un’altra volta.
- Ci convivo perché devo. – annuisce, - Perché sono innamorato anch’io.
Alberto si lascia sfuggire un mezzo sorriso, e continua a guardare il cielo, osservando le rade nuvole che ne macchiano la tinta impeccabile, come sbuffi di zucchero filato.
- Ha senso. – annuisce. Davide fa lo stesso, alzandosi in piedi e battendogli una pacca sulla spalla, prima di lasciarlo solo.
Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: Davide/Mario/Alberto.
Rating: R/NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Threesome.
- "Dio, vi odio. Vi detesto."
Note: Appurato che io faccio schifo al cazzo perché questa fic sta a fare la muffa nella mia cartella delle storie completate da tipo... be', sì, dal ritiro delle Nazionali, appunto. E insomma, niente, vedere Davide e Paloschi da una parte con l'U21 mentre il terzo angolo del triangolo stava in Nazionale Maggiore mi ha fatto troppo venire voglia di scrivere questa robina XD Per cui grazie a Def e Nemi che hanno insistito per averla ♥
Scritta per il MDF @ it100, su prompt Scrivere una drabble con prompt "Piccole Pesti Perfide e Maligne" (squadra 1).
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PICCOLE PESTI PERFIDE E MALIGNE

- Voi siete due merde. – mugola Mario, la voce distorta dal vivavoce che si diffonde per la stanza in un’eco calda e vagamente sospirante. A Davide scappa da ridere nel sentirlo così affaticato, ma cerca di trattenersi il più possibile. Alberto non è bravo altrettanto, si mette a ridere come un bambino e Davide prova a zittirlo, ma qualcosa va storto, perché nel muoversi verso di lui incespica sulle lenzuola scomposte e arrotolate e finisce per scivolargli addosso inavvertitamente, strusciandosi contro la sua pelle calda e invitante in un gesto tanto inatteso da costringere entrambi ad un mugolio grondante di piacere e di sorpresa. – No— cosa state facendo? – chiede Mario, percependo quel suono, - Dio, vi odio. Vi detesto.
Davide sorride, sollevandosi sulle braccia e sporgendosi a lasciare un bacio umido sulle labbra di Alberto, che lo trattiene contro di sé per qualche secondo, scivolando subito con la lingua fra le sue labbra subito dopo avergli lasciato appena il tempo di chiedergli scusa.
- Niente di particolare, Ma’. – dice quindi, allontanandosi da lui controvoglia, - Ci sentivamo un po’ soli, qui, senza di te. E ci annoiavamo.
- Parecchio. – annuisce Alberto, scivolando con una mano umida fra le gambe di Davide ed accarezzando la sua erezione ormai tesa fino allo spasmo. – Dio, Dade, sei bollente. – mugola, spingendosi immediatamente contro di lui mentre Davide non può fare a meno di concedersi un sospiro accaldato e pieno di desiderio insoddisfatto.
- No, dai, basta! – piagnucola Mario, ormai oltre il limite di sopportazione, - Siete tremendi, non vi sopporto. Mi state rovinando la convocazione, fate schifo!
Alberto ride ancora, sollevandosi dal materasso abbastanza per spostarsi e ricadere morbidamente in grembo a Davide, che subito gli stringe i fianchi fra le dita, saggiando la consistenza della sua pelle sotto i polpastrelli.
- Mario… - lo invita, mentre Alberto comincia a strusciarsi sempre più velocemente contro di lui, - Stai zitto.
E Mario obbedisce. Perché non c’è nient’altro che possa fare, perché è troppo distante da loro per provare a fermarli e probabilmente neanche vuole, perché i loro respiri sincronizzati, ora che la mano di Alberto stringe assieme l’erezione propria e quella di Davide, accarezzandole e contemporaneamente obbligandole a strusciarsi l’una contro l’altra, ora che il confine fra soffrire perché lo stanno facendo senza di lui e soffrire perché non può vederli mentre lo fanno senza di lui è così labile da poter essere soffiato via con un gemito, non c’è nient’altro che Mario voglia fare se non lasciarsi ricadere sul letto ed infilare le dita oltre l’orlo dei boxer, accarezzandosi piano seguendo la traccia quasi musicale dei loro sospiri, e venire assieme a loro, come se fosse lì, anche se non c’è.
Rimane zitto per molti secondi anche dopo, in verità. Almeno fino a quando non sente Davide ed Alberto cominciare a ridere come i due cretini invasati che sono.
- Piccole pesti perfide e maligne. – non può fare altro che ridere a propria volta, - Ma se vi prendo…
La minaccia resta sospesa per aria. Non è neanche una minaccia vera.