film: micky ward

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG-13
AVVISI: Gen.
- "Su quel ring, suo fratello era diventato l’Orgoglio di Lowell.
Ma soprattutto il suo.
"
Note: La cosa che mi piace di più di questa fic è il titolo, perché ha il significato doppio. *ride* Nel senso che il "ties" può essere visto sia come sostantivo che come verbo, e quindi ha valenza duplice all'occorrenza. *si gloria di cose assolutamente inutili*
No, a parte questo ho visto The Fighter oggi pomeriggio ed è la cosa più amorevole ever, Mark Wahlberg e Christian Bale sono la tenerezza e i due personaggi che interpretano sono l'amore. Peraltro appena ho finito di vedere il film la fic s'è messa a urlare per essere scritta, perché tutta la storia gira attorno alla famiglia e all'importanza di averne una ma di esserne anche indipendenti e, cioè, mi è tipo caduto dal cielo col prompt Famiglia @ terza settimana del COW-T. E niente. *fluttua via a postare anche l'ultima fic*
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FAMILY TIES

Ai tempi dell’incontro di Dicky con Sugar Ray Leonard, Micky aveva tredici anni. Non era potuto andare ad assistere all’incontro da sotto l’angolo di suo fratello come aveva sognato a lungo nei mesi di preparazione che si erano susseguiti uno dopo l’altro in vista di quello scontro dal sapore epico – uno sconosciuto di Lowell, un nessuno proveniente dal niente grigio e umido della cittadina più spenta del Massachussets – e perciò era rimasto a casa con le sue sorelle, mentre mamma e papà erano partiti per Boston, ben decisi ad accompagnare Dicky per mano fin nel centro del ring all’Hynes Memorial Auditorium, se fosse stato necessario.
Dicky aveva appena ventuno anni, allora. Ed era già un uomo fatto, non aveva paura di niente. Micky lo adorava. Avrebbe potuto seguirlo in capo al mondo, l’avrebbe fatto davvero, lo faceva già, quando Dicky lo prendeva per mano e lo portava a fare jogging la mattina presto per allenarsi, e poi lo trascinava in palestra dove lo posteggiava sulla panca accanto al ring mentre lui mandava gambe all’aria il malcapitato di turno solo per tenersi in forma e divertirsi un po’.
Micky era cresciuto lì. Nello spogliatoio puzzolente di quella palestra, fra le strade polverose di quella città, fra le stanze sempre incasinate della casa di famiglia. In mezzo al vociare di sua madre e delle sue sorelle, sulla riva del fiume a sporcarsi di fango e infradiciarsi fin nelle ossa, ma soprattutto al fianco di Dicky. Le mani strette nelle sue, così grandi, rese ruvide dalle fasciature, dai guantoni e dal sudore.
Seduto sul tappeto, con gli occhi fissi sul televisore, Micky aveva visto suo fratello mandare al tappeto Sugar Ray Leonard. Sugar Ray Leonard! Era caduto, l’aveva visto, ed anche se l’arbitro ed i commentatori televisivi, le cui voci scomparivano quasi in mezzo alle urla sguaiate delle sue sorelle, si ostinavano a ripetere che non era stato un vero e proprio KO, che Leonard era solo scivolato e stronzate varie, Micky sapeva la verità. Sugar Ray Leonard era andato giù. Giù come una pera cotta. Giù per mano di suo fratello.
Su quel ring, suo fratello era diventato l’Orgoglio di Lowell.
Ma soprattutto il suo.
*
Le cose sono difficili, sono incredibilmente difficili. Molto più difficili di quanto non sembrassero tanti anni prima su quel tappeto, col naso appiccicato al televisore. Suo fratello era una figura agile e snella che si muoveva così velocemente da sembrare volesse volare via dallo schermo. Micky non gli staccava gli occhi di dosso per paura di vederselo scomparire da sotto il naso all’improvviso.
Suo fratello è scomparso davvero. In quella casa bianca nella quale passa le sue mattine, i suoi pomeriggi, le sue serate, la sua intera esistenza quando non deve allenarlo. E, a volte, anche quando dovrebbe farlo, ma lo dimentica. È scomparso nella nuvola di fumo che lo avvolge costantemente, sia che si stia facendo di crack in quel momento, sia che abbia appena finito, sia che debba ancora cominciare, se queste espressioni possono ancora avere senso, dal momento che le pause che Dicky si prende dalla realtà non cominciano e non finiscono, sono e basta.
Suo fratello è scomparso e basta, come adesso che sono tutti al ristorante, con mamma, papà e le loro sorelle, e c’è anche Charlene, ed anche se l’aria è tesa, come al solito da quando c’è lei, si stanno tutti divertendo e stanno provando a passare una serata in compagnia, tutti insieme, perché sono una famiglia, perché è bello che lo siano e perché è bello ricordarsi che oltre alle urla e alle botte e ai soldi che non arrivano c’è anche questo, c’è stare insieme e semplicemente godere ognuno della compagnia dell’altro, senza dover pensare alla boxe.
Suo fratello non c’è, chissà dove cazzo è. Dove cazzo è Dicky? Ecco dov’è, lo dice un tizio che Micky conosce solo di vista. “Dicky è qua fuori, c’è la polizia, lo stanno massacrando!”, dice, e nonostante suo fratello sia uno stronzo, nonostante suo fratello se ne freghi di lui, Micky si alza e corre fuori, anche se tutti gli dicono di non uscire, anche se Charlene quasi si getta a terra a peso morto trascinandolo con sé per impedirgli di muoversi, lui va, e si mette di mezzo. Allontana il poliziotto da Dicky – la sua testa fa un salto all’indietro e poi si ripiega lungo la sua spalla, Dicky ha gli occhi aperti, è confuso e dolorante ma è ancora lì, è ancora lì – ma non può impedire agli altri due poliziotti di afferrarlo per le spalle e piegarlo sul cofano della volante, mentre un terzo spunta da chissà dove e fra le urla di mezza cittadina prende a colpirgli violentemente la mano destra col manganello.
Sente le ossa spezzarsi una ad una.
- Non toccare mio fratello! – strilla Dicky, - Non toccare mio fratello o ti ammazzo, brutto figlio di troia, non toccarlo!
Non serve a niente. Che Dicky ci sia o non ci sia non fa più la minima cazzo di differenza.
*
È incredibile che l’importanza di quello che hanno fatto prenda corpo solo su quel ring, quando sono lontani chilometri da casa. Londra è inospitale, tutto il pubblico è dalla parte di Neary e le uniche persone che possono dire di tenere alla vittoria di Micky sono sua madre, suo padre e Charlene, seduti in prima fila sotto al suo angolo.
E Dicky, ovviamente. Dicky che non sta seduto di sotto, Dicky che sta fermo lì all’angolo davanti a lui, con lui. Dicky che al sesto round, quando lui è così pesto e malconcio da non riuscire neanche a reggersi in piedi, lo forza a non sedersi, lo obbliga a saltellare sul posto per tener sveglie le gambe, lo fa bere, appoggia la fronte contro la sua e glielo dice. “È tuo questo match, Micky. È il tuo momento. Io il mio l’ho bruciato, ma questo è il tuo. Prenditelo.”
Batte Neary come ha battuto Fernandez. Prende colpi fino al sesto round, poi gli si scarica addosso come un temporale. Testa corpo testa. Testa corpo testa. Neary va giù come tutti gli altri prima di lui, e in quel momento, in quel preciso istante, che siano lì tutti – sua madre, suo padre, Charlene, le sue sorelle a casa davanti al televisore, Dicky, soprattutto Dicky, cazzo, Dicky – è fondamentale. E fa tutta la differenza del mondo.