film: clint barton

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Drammatico, Introspettivo.
Pairing: Pietro/Wanda.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Incest, Angst, Lemon, What If?.
- "La casa è piccola, ma pulita e ordinata. Pietro non ha mai vissuto in una casa come questa, una casa tutta per lui e per Wanda, con lo steccato bianco, da film, e il giardino di fronte, un po’ incolto, ma basterà curarlo un pochettino per farlo diventare splendido, con l’erba verde smeraldo e rada ma soffice, e la terra che puoi sentire friabile e un po’ umida sotto le piante dei piedi quando cammini scalzo al mattino, diretto verso la cassetta della posta – chissà cos’avrà lasciato il postino per loro?"
Note: Ora, io potrei dire di aver scritto questa storia per la terza settimana delle Badwrong Weeks, a tema incest, su prompt Avengers: Age Of Ultron, Pietro Maximoff/Wanda Maximoff, "Crea un'illusione per me", e ciò sarebbe idubitabilmente vero, ma la vera verità sarebbe che I'M NOT OVER PIETRO ma per niente proprio, tipo che è passato un mese da quando ho visto Age of Ultron e da allora l'ho pure rivisto ma nulla, non riesco ad essere over questa cosa. Pertanto, denial. Ecco. Questa storia è stata scritta perché DENIAL. Poi le persone che l'hanno letta hanno sofferto uguale, ma questo non è dipeso da me \o\
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HE WAS CAUGHT IN THE MIDDLE OF A DESPERATE FIGHT, AND SHE COULDN’T FIND HOW TO PUSH THROUGH

La casa è piccola, ma pulita e ordinata. Pietro non ha mai vissuto in una casa come questa, una casa tutta per lui e per Wanda, con lo steccato bianco, da film, e il giardino di fronte, un po’ incolto, ma basterà curarlo un pochettino per farlo diventare splendido, con l’erba verde smeraldo e rada ma soffice, e la terra che puoi sentire friabile e un po’ umida sotto le piante dei piedi quando cammini scalzo al mattino, diretto verso la cassetta della posta – chissà cos’avrà lasciato il postino per loro? Cartoline, lettere, pubblicità, la bolletta della luce e quella del gas? A Pietro andrebbe bene anche questo. Aprirebbe la busta e leggerebbe l’importo e tornerebbe in casa borbottando quello stupido arricciacapelli, Wanda, quello stupido arricciacapelli sempre acceso, neanche ti stanno bene i boccoli, ti preferisco liscia, sei tanto più bella al naturale, sei tanto più bella così come sei, vieni qui, dammi un bacio, dammene un altro, tutto perdonato, la bolletta non è poi così cara, arriccia i capelli tutte le volte che vuoi, amore mio, sai che sei bellissima sempre, sempre, sempre.
Wanda riderebbe come fa sempre, sei così stupido, gli direbbe, suonerebbe come “ti amo” ed a Pietro esploderebbe il cuore dalla gioia come ogni volta, ogni singola volta. Non potrà mai abituarsi. A quell’esplosione improvvisa. Al groppo di amore che lo soffoca.
Forse nella cassetta della posta non ci sarebbero bollette né pubblicità, però. Niente di così impersonale e freddo, ci sarebbe una lettera, una lettera dei loro genitori, sono così lontani, lui e Wanda hanno chiesto loro così spesso di trasferirsi negli Stati Uniti, sarebbero più vicini, sarebbe più facile, cominciano ad essere anziani, ormai, no, Wanda, no, così la tiri troppo, la tiri troppo e se la tiri così tanto si spezza, i loro genitori non ci sono più, non ci sono più da sempre, e questa è un’illusione alla quale Pietro non può credere, perciò Wanda frena bruscamente, torna indietro, indietro, Pietro non ha bisogno di una felicità perfetta, gli serve una felicità imperfetta, realistica, lontana dalla cassetta della posta, è a metà strada adesso e Wanda è lì, in cima alle scale sul porticato, di fronte alla porta smaltata color panna, lo chiama, Pietro, dove vai?, vieni qui, il postino non è ancora passato, e Pietro si volta e la vede, avvolta nella camicia da notte corta e bianca, semplice, da bambina, le bretelle sottilissime che le scivolano giù per la curva delle spalle, la punta dei capezzoli in rilievo attraverso il cotone sottile.
Calamita la sua attenzione e Pietro torna indietro, muovendosi lento verso di lei. Per un secondo gli sembra che tutti i suoi movimenti siano lenti, così inusualmente lenti da frustrarlo, ma si riprende subito quando la raggiunge, la tocca, le accarezza i capelli. Sei bellissima, le dice, gli sembra di sentire la propria voce ma non le proprie labbra muoversi, è così bizzarro, sente un solletico sotto la pelle come se volesse muoversi e non ci riuscisse, ma quando guarda le proprie mani percepisce il movimento, le dita che si stendono e si ritirano, che scorrono sulla pelle di Wanda, e lei che sorride con quelle labbra rosse e piene, e tutto si anima, dentro di lui, ogni cellula, ogni molecola, ogni particella, il suo corpo risponde a quello di Wanda a un livello subatomico, l’eco di risonanza che parte dal suo sorriso riverbera in quello di Pietro, lo fa più largo, più sincero.
Vieni dentro, dice Wanda, la sua voce riecheggia un po’, è così strano, sono fuori in giardino e Pietro ha come l’impressione di trovarsi sotto una cupola enorme e vuota, una cupola di cui non vede l’orizzonte, di cui non percepisce la curvatura. Il cielo sembra cielo anche se è cielo solo in trasparenza.
La segue in casa, dove tutti i mobili sono in legno chiaro, come nella casa dei loro genitori. Il tavolo, la credenza, i mobili della cucina, perfino lo sportello del frigorifero. Dalle finestre entra la luce dorata del sole, passa attraverso le tendine ricamate e proietta forme vagamente geometriche sulla parete di fronte, regolari ma allungate. Ondeggiano un po’ contro le assi ricoperte di venature e Pietro, ipnotizzato, le segue con le dita. Le ombre restano proiettate sul dorso della sua mano, come tatuaggi temporanei. Come lui sfiora la parete, Wanda sfiora la sua pelle. Non hai fame?, gli chiede, ho fame, ho fame, risponde Pietro, non solo di cibo, ma anche di quello. Gli brontola lo stomaco e allo stesso tempo lo sente stretto in una morsa dolorosa, la voglia che lo scuote da dentro, gli stritola le viscere.
Wanda gli dà le spalle, adesso, tutta impegnata a mescolare qualcosa in una ciotola gigante di un verde così brillante che Pietro fa una smorfia solo a vederlo. La plastica è traslucida e quando i raggi del sole la attraversano tutta la stanza diventa verde, anche se è una tonalità più tenue, più scura, come il colore del prato all’esterno. Pietro si sente rassicurato, ripensa al giardino, a tutto il lavoro che ci sarà da fare. Sorride.
Cosa fai, le chiede, la sua voce non riecheggia come quella di Wanda, ha una consistenza diversa, ma va bene così, è come se Wanda gli parlasse attorno, circondandolo, inglobandolo, è come se lui le parlasse dentro.
Lei risponde pancake, e lui fa un’altra smorfia. E chi ti ha insegnato a farli?, le chiede, Rogers, risponde lei, le labbra che si arricciano agli angoli in un sorriso da monella. Pietro aggrotta le sopracciglia, le stringe le dita attorno ai fianchi, quando si è avvicinato?, non ricorda di averlo fatto, ma è stato veloce, e questo va bene, sentire il corpo che risponde agli stimoli, le gambe che girano, girano, come il motore di una macchina, preciso, compatto, da zero a cento in un decimo di secondo.
Passi un sacco di tempo con Rogers, no?, le chiede ruvido, e Wanda ride, gli si rigira fra le braccia liquida come acqua, tanto che lui sente il bisogno di stringerla d’improvviso, premersela contro per sentirla. Ti ho persa per un secondo, le sussurra contro il collo. Lei gli accarezza i capelli, il suo corpo si adatta alle sue forme. Scusa, dice, non succederà più. Vuoi giocare ancora?
Pietro chiude gli occhi e scuote il capo. Non è geloso, non davvero, vuole solo sentirla, adesso, non importa nient’altro. In quella cucina di legno, nel calore del sole, sullo sfondo delle ombre proiettate contro la parete di fronte, le ombre che ondeggiano e fanno sembrare la stanza come lo sfondo in plastica di un acquario, e loro sospesi come pesci nell’acqua dolce e tiepida che li rallenta, li avvolge.
Le sfiora una coscia con le dita, dal ginocchio a salire, prima l’esterno, poi l’interno. Wanda schiude le gambe e le scappa dalle labbra un sospiro tremulo dolce come il miele. Pietro le bacia via lo zucchero di dosso, le sue labbra sono così morbide. La solleva a sedere sul ripiano, proprio accanto alla ciotola gigante. La sposta e l’onda verde trema per un secondo, poi torna a posto e Pietro bacia sua sorella sulla bocca come un uomo, e lei serra le gambe dietro la sua schiena come una donna, nuda sotto la camicia da notte, cremosa e soffice, umida di voglia.
Pietro la sfiora con la punta delle dita e lei geme, inarcando la schiena e spingendosi verso di lui. Lui la bacia ancora, scariche di piacere che si diffondono per tutto il suo corpo quando lei gli passa le dita fra i capelli e il bacio si fa affamato, confuso, una collisione di labbra e denti e morsi e cose che fanno male ma sono così belle, come Wanda, come loro. Pietro le appoggia una mano alla base della schiena per tenerla ferma e la masturba con l’altra, affonda dentro di lei, nel suo calore bagnato mentre la accarezza col pollice, e Wanda trema, arresa, gettando indietro il capo, l’onda rossa dei capelli che brilla nella luce del sole.
Pietro le si avvicina ancora, le si avvicina fino a sentirla tutta, potendo le si avvicinerebbe ancora di più, oltrepasserebbe i confini del suo corpo, le cadrebbe dentro, come si cade dentro una buca, come si cade giù da un burrone, come si salta giù da un palazzo, sentendo il vuoto sotto i piedi, l’aria che ti gonfia i vestiti, ti accarezza la pelle. Wanda si chiuderebbe come una porta sopra la sua testa, lo terrebbe dentro, lo terrebbe al sicuro, non lo lascerebbe più andare. Come le sue gambe strette attorno ai fianchi, le sue gambe che lo invitano a spingersi avanti, a lasciarsi andare.
Pietro si spinge i pantaloni giù per le gambe, il sesso duro, rosso di voglia. Può sentire il sangue rombargli dentro, risvegliare ogni singola terminazione nervosa sotto la sua pelle. Tutto il suo corpo formicola. Tutto il suo corpo è vivo. Tutto il suo corpo sente dolore, come fosse stato frantumato in mille pezzi.
Per un secondo la consapevolezza è troppo vivida, è tutto troppo reale, ma Wanda gli stringe le braccia intorno alle spalle, gli accarezza piano la schiena lungo la curva della spina dorsale, pensa solo a me, senti solo me, il dolore si allontana, si ritira, sconfitto, ha perso la battaglia, perderà anche la guerra.
Dentro, Wanda è calda come l’inferno. La sua voce gli esplode dentro come una bomba, inattesa e distruttiva. Pietro ne segue l’onda sonora, spingendosi con forza dentro di lei. Tutto si muove intorno a loro, il lettino cigola, quale lettino?, la cucina è solida, non si romperà. La corda si tende, si tende, poi schiocca, Pietro apre gli occhi e urla, il soffitto è bianco, le luci al neon gli feriscono gli occhi, si sente addosso i buchi, prova a contarli, Wanda lo bacia e sono di nuovo a casa, una domenica mattina, l’impasto dei pancake riempie l’aria di un odore zuccheroso che si mescola a quello del sesso, a quello dei loro corpi, all’odore di Wanda che trema fra le sue braccia e sorride a bassa frequenza, le ciglia che lo sfiorano ogni volta che sbatte le palpebre, come il battito d’ali di una farfalla.
Attraverso la finestra, Pietro vede ancora il prato. L’erba alta, la cassetta della posta sembra lontana mille chilometri e una foresta.
Avrò bisogno di un tagliaerba, dice. Wanda ride, Wanda piange ma Pietro ne sente solo l’eco, come si trovasse in un mondo diverso.
*
Clint osserva i gemelli al di là del vetro doppio. Non può sentire niente, ma anche se non vede le lacrime sa che Wanda piange, piegata sul corpo di suo fratello, il viso premuto contro il suo petto. Si è svegliato solo per pochi istanti. È già la terza volta. Ha urlato così forte che per un secondo Clint ha sentito tremare la finestra.
- Non sapevo che fossi qui, - dice Steve, avvicinandoglisi con un sorriso caldo, - Natasha non mi ha avvertito.
- Gliel’ho chiesto io, - risponde lui, - Sono solo di passaggio.
- Che tristezza, - scherza lui, - Da quando sei diventato un padre di famiglia non ci vediamo quasi più.
Clint si concede un sorriso divertito.
- Ero un padre di famiglia fin da prima che ci conoscessimo, - gli fa notare.
Steve scrolla le spalle.
- Dettagli.
Per qualche istante restano entrambi a guardare i gemelli. Wanda si è calmata, ha raddrizzato la schiena, stringe con una mano una mano di suo fratello, con l’altra gli accarezza la fronte, scintille rosse che scoppiettano sotto le dita.
- Sarà sicuro? – domanda Steve, - Per quello che sappiamo potrebbe finire col peggiorare le cose.
- Per quello che sappiamo potrebbe essere l’unica cosa a tenerlo in vita. – risponde Clint.
Steve annuisce lentamente, pensieroso.
- Dicono che non ha speranze, - dice, - I medici.
- Lei lo sa?
- Gliene ho parlato, - sospira lui, - Ma non le importa. Guarda dritta davanti a sé, quando si entra in argomento. Come se nemmeno ti ascoltasse.
- Tu ti ascolteresti?
Steve ride piano, scuote il capo.
- Mi manderei a fanculo.
- Moderiamo il linguaggio, adesso.
- Quand’è che torni a casa? Posso chiamarti un taxi.
Ride anche Clint, appoggiando una mano al vetro. Wanda si volta verso di lui, gli offre un sorriso stanco. Clint le fa un cenno di saluto e lei risponde. Poi torna a guardare suo fratello in un movimento frettoloso, ansioso, come avesse paura di aver già perso fin troppo tempo. Riprende ad accarezzargli la fronte.
- Se dovesse migliorare…
- Te lo farò sapere.
- Voglio—
- Lo so. Non credo che si aspetterebbe un ringraziamento, ma lo so.
Clint annuisce, allontanandosi dal vetro.
- Devo passare a prendere i bambini da scuola. – dice.
- Sei in ritardo? – domanda Steve, - Ti serve un passaggio?
- Sull’Helicarrier? Ai bambini esploderebbe la testa.
- E il parcheggio è un tale problema.
- Facciamo un’altra volta.
Steve sorride, annuisce, lo saluta. Clint si allontana piano, fatica ad interrompere il contatto visivo con Wanda e Pietro al di là del vetro. Sono fragili, fragili e in pezzi, ma possono ancora rimettersi insieme.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Thor/Loki.
Rating: NC-17.
AVVISI: AU, Angst, Slash, Lime, Incest, Underage.
- "Certe volte la libertà è un dono sgradito. Ci sono sbarre di ferro dalle quali un prigioniero non vorrebbe mai separarsi."
Note: Sono devastata e non riesco neanche a pensare X'D Dunque, questo è un plot Thorki che mi insegue da quando ho visto Avengers al cinema per la prima volta - cioè tipo un anno e mezzo fa, sono una persona orribile che porta a compimento plot mille anni dopo averli pensati, sì. Mi era venuta voglia di scriverlo, oggi, ma poi in ufficio non ho avuto tempo e ho lasciato perdere. Sennonché torno a casa devastata alle nove passate e vedo che il mio team al COW-T stava perdendo in modi abominevoli, e lì mi è partito l'embolo e ho cominciato a scrivere come una forsennata XD Trainando peraltro nella mia follia anche il resto del mio team. Insomma, sono stati momenti di grande emozione, anche a prescindere dal risultato finale.
La storia partecipa alla seconda missione terza settimana del COW-T3, con prompt slash/femslash NSFW.
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COLTIVA L'INVERNO

Loki è sempre stato troppo piccolo per la sua età. Troppo magro, troppo sottile, troppo fragile. Fin dalla culla, in realtà. Thor non è che abbia ricordi proprio chiarissimi di Loki nella culla, anche lui, dopotutto, era solo un bambino quando Loki era ancora così piccolo, ma che Loki sia sempre stato così piccolo, che sempre, guardandolo, il suo primo istinto sia stato quello di proteggerlo, fargli da scudo contro il mondo - qualsiasi cosa il mondo potesse volere da lui, poi -, è una sensazione talmente radicata dentro di lui che ogni tanto, pensandoci, si dice che anche quando saranno entrambi uomini adulti, magari sposati, ognuno con la propria famiglia, e si vedranno soltanto per le feste comandate, continuerà comunque a vederlo sempre come un bambino.
Il bambino che in realtà Loki non è mai stato, perché per quanto il suo corpo di ostinasse e restare piccolo e gracile, i suoi occhi hanno sempre parlato di una maturità diversa.
Loki non è mai davvero cresciuto. Thor, che ha vissuto con lui per quasi diciassette anni, se ne sarebbe accorto, se Loki semplicemente fosse cresciuto, gradualmente, come tutti gli altri bambini, come anche a lui stesso era successo.
Loki è diventato grande. E' successo all'improvviso, nottetempo. Il giorno prima era ancora solo un bambino, il giorno dopo bastava guardarlo negli occhi per rendersi conto che non lo era più.
Cosa sia diventato, Thor non lo sa. Un adulto probabilmente no, un ragazzo neanche, qualcosa di misterioso, qualcosa a metà.
Un po', Loki è sempre stato questo, in fondo. Qualcosa di misterioso. Qualcosa a metà. Ed a Thor questa cosa è sempre stata bene, finché è stato in grado di controllarla.
Da quando ha smesso di esserne capace, però, ha dovuto cominciare a prendere dei provvedimenti. Perché non si sente ancora uomo, ma a ventun anni passati è comunque il caso che cominci a prendersi le proprie responsabilità. Anche nei confronti di Loki. Soprattutto nei confronti di Loki.
- Thor, sei sicuro di quello che stai facendo? - gli chiede suo padre, seduto dall'altro lato del tavolo, le mani incrociate sul piano e l'unico occhio sano fisso su di lui, sul suo volto, per scrutarne i lineamenti ed individuarne anche il più minuscolo cambiamento.
Quando erano entrambi piccoli, loro padre usava quell'occhio per minacciarli scherzosamente. "Con questo," diceva, indicandosi l'occhio sano, "vedo i guai che combinate davanti ai miei occhi, ma con questo," aggiungeva, indicando l'occhio di vetro così chiaro e fisso e immobile sul suo volto già ridisegnato dalle rughe dell'età, "con questo vedo quelli che combinate alle mie spalle."
Col tempo, erano stati lui stesso e Loki ad ingigantire quella piccola leggenda metropolitana domestica riguardo l'occhio di vetro di Odino. Si diceva che riuscisse a riconoscere le bugie dalla verità, che fosse in grado di ricordare esattamente tutti i giocattoli ed i biscotti nella biscottiera per capire al primo sguardo se ne mancasse qualcuno, si diceva perfino che riuscisse a seguirti nei luoghi in cui andavi, anche di nascosto, cosa che non aveva mancato di terrorizzare Thor come un incubo infantile duro a morire anche durante gli anni della prima adolescenza, quando usciva segretamente di casa per andare a baciarsi con le ragazzine più grandi dietro la scuola.
Adesso l'occhio di suo padre non lo spaventa più come lo spaventava da piccolo. Non gli incute più lo stesso senso di rispetto e timore. Spesso gli fa solo tenerezza, ma poi ci sono momenti, momenti come questo, in cui Odino lo guarda dritto negli occhi e il suo occhio di vetro sembra più vivo dell'altro, e Thor si sente come se suo padre fosse in grado di vedere e conoscere ogni suo più intimo pensiero, ed è costretto ad abbassare lo sguardo, mentre mente, per paura che Odino riconosca le sue menzogne per ciò che sono.
"Thor," ripete la voce di suo padre all'interno della sua testa, "Sei sicuro di quello che stai facendo?"
Assolutamente no. Ma qualcuno dovrà pur fare qualcosa.
*
- E insomma, questa è la tua camera. - dice Tony, spalancando la porta e mostrandogli una stanza piuttosto grande, arredata in maniera a dir poco spartana. Non che la cosa lo infastidisca particolarmente, anzi, trova che sia una gradevole differenza rispetto agli sfarzosi ed eleganti mobili antichi disseminati un po' ovunque per la vecchia casa paterna, all'interno della quale peraltro la sua goffaggine naturale non è mai stata in grado di portare nient'altro che distruzione e devastazione, specie quando, correndo perché in ritardo - come al solito - per qualcosa di importante, finiva per urtare un qualche antico vaso cinese, o una qualche millenaria statuetta di ceramica, lasciandosi dietro solo la scia delle lamentele e dei rimproveri di sua madre, oltre che una quantità spaventosa di cocci.
Almeno, considera nell'osservare il letto singolo appoggiato alla parete in un angolo, il piccolo comodino, l'armadio ad una sola anta e la scrivania dell'IKEA provvista solo di uno sgabello, qui non correrà il rischio di fracassare niente.
- Allora? - richiama la sua attenzione Tony, - Ti piace?
Tony è il padrone di casa. Ha la sua età, più o meno, e anche una quantità di denaro tale da non avere il benché minimo bisogno di affittare alcunché a studenti e spiantati vari come invece fa, tirandosi in casa la qualsiasi senza alcun ripensamento. Dio solo conosce il motivo di questo suo particolare hobby, ma d'altronde, se c'è una cosa che ha imparato vivendo per più di vent'anni alla corte di suo padre, è che gli uomini ricchi hanno gli hobby più assurdi. Suo padre, per dire, colleziona manufatti alieni. Ha diviso l'enorme garage sotto casa in due e, nella parte più riparata, nasconde tutti questi strumenti classificati precisamente per data di ritrovamento, valore economico e presunta civiltà di appartenenza, qualsiasi cosa ciò possa voler dire. C'è tanta di quell'immondizia, là dentro, anche roba palesemente falsa tramite la quale suo padre è stato, negli anni, spennato di una quantità di denaro non proponibile, che Thor più volte si è sentito quasi in dovere, come figlio maggiore, di contestare la presenza mentale di Odino, rimediando per lo più solo scapaccioni gratuiti e un non tanto gentile invito a farsi gli affaracci suoi.
Se suo padre può collezionare soprammobili di dubbio gusto spacciati per ingegneria aliena e non essere considerato pazzo dalla maggioranza delle persone che lo conoscono, Tony Stark può bene affittare stanze della sua gigantesca e lussuosa palazzina a chiunque voglia, suppone.
- Andrà benissimo. - annuisce con un sorriso.
- Bene. - risponde Tony, soddisfatto, stringendogli con entusiasmo una mano, - Ora vieni, ti presento gli altri.
*
Gli altri sono un campione di umanità piuttosto eccentrico, invero. Natasha è bellissima, ma fredda come il ghiaccio, e ha un modo di guardarti che sembra voglia farti sentire piccolo e meschino solo perché esisti in uno spazio vitale palesemente e immeritatamente troppo prossimo alla sua persona.
Steve già solo a guardarlo è uno di quelli che ti fanno pensare che il mondo, alla fine, vale ancora la pena di essere abitato, perché quelle belle persone tutte d'un pezzo, oneste, rigorose, insomma, gli uomini d'altri tempi, esistono ancora. Tony ha palesemente un debole per lui, anche se non fanno altro che litigare tutto il giorno. Be', in realtà Tony ha palesemente un debole per lui e per questo non fanno altro che litigare tutto il giorno, ma sono sottigliezze.
Poi c'è Bruce, che è una di quelle persone che le vedi e vorresti solo abbracciarle, poi aprono bocca e vorresti cullarle fra le tue braccia e dire loro che niente nel mondo potrà mai farle soffrire fin quando ci sarai tu a proteggerle, e poi s'incazzano e tu indietreggi di dieci metri in dieci secondi, spinto dal più puro e tragico terrore. Nei giorni successivi alla sua presentazione, Thor lo vede arrabbiarsi solo una volta. Per placarlo devono fisicamente prenderlo e chiuderlo a chiave in camera sua finché non sbollisce la rabbia. Una roba spaventosa.
Infine c'è Clint -- Clint ha un arco. Ha un arco e un bersaglio appeso dietro la porta in camera propria. Passa la maggior parte del tempo ad allenarsi, e in quello che gli resta mangia, dorme e parla con Natasha. La prima impressione che Thor ha avuto di loro è che stessero insieme - se non altro perché lui sembrava l'unico che Natasha si abbassasse a non guardare come fosse una scoria chimica -, ma quando ha chiesto conferma in giro da più e più parti ha ricevuto solo risate in pieno viso, per cui suppone che siano sostanzialmente solo buoni amici.
Thor ci mette un paio di settimane a sentirsi finalmente a proprio agio con loro. Non sono loro a rendere il processo difficile - sono tutte persone simpatiche, in un loro modo piuttosto particolare e forse non esattamente visibile ad occhio nudo ma che sicuramente degli ottimi radar di precisione riuscirebbero a rilevare -, è lui che non è abituato a condividere gli spazi con persone che non gli siano intimamente legate dal vincolo familiare.
Sono due settimane intense, e Thor ce la mette tutta per essere socievole, spiritoso e simpatico, e si impegna così tanto che tutti i suoi casini scompaiono dal suo orizzonte. Per quelle due settimane, nella sua vita e nella sua testa non c'è assolutamente niente che non vada.
Poi Loki passa a trovarlo. E ricomincia tutto da capo.
*
Thor cerca di non guardarlo, perché posargli gli occhi addosso è una tortura. Loki resta lì, appoggiato alla porta chiusa con le braccia incrociate dietro la schiena, e lo fissa come se stesse cercando il modo più efficace per farlo fuori senza un eccessivo spargimento di sangue.
- Fai sul serio, allora. - dice Loki. La sua voce è gelida e distante, ma i suoi occhi stanno bruciando. Il loro fuoco crea cicatrici minuscole e invisibili sulla pelle di Thor, che fanno male come bruciature di sigaretta.
- Be', te l'avevo detto. - risponde lui, scrollando le spalle. - E' tutto a posto a casa?
Loki aggrotta le sopracciglia e stringe i pugni lungo i fianchi. Ha solo diciassette anni, e dentro di lui si agitano ancora tutte le emozioni confuse e complicate dell'adolescenza, ma è troppo maturo per affrontarle in maniera spensierata e allegra, ed è questa la sua maledizione.
- E' tutto a posto a casa? - ripete, facendogli il verso, - E' questo che vuoi chiedermi, Thor?
- Loki, ti prego. - sospira lui, passandosi una mano sugli occhi. Suo fratello è arrivato da meno di dieci minuti, e lui è già stanco di provare a ragionare con lui. D'altronde, ragionare con Loki non è mai stata un'opzione, per quanto lo riguardava. Suo fratello è una persona estremamente fredda e calcolatrice, ma per qualche motivo quando si parla di lui queste due caratteristiche si disperdono nell'oceano di emozioni prive di senso che gli si agitano in corpo quando pensa al loro rapporto. Loki può essere freddo con tutti, ma con Thor trasforma ogni minima scintilla in un incendio.
E adesso attorno a loro è tutta terra bruciata.
- Thor. - la voce di Loki suona troppo vicina per essere anche giusta. Thor alza immediatamente lo sguardo e vede che Loki si è spostato dalla porta. Adesso, a separarli ci sono solo pochi centimetri. - Perché mi fai questo, fratello? - domanda, sollevando una mano ed appoggiandogliela su una guancia. Segue la linea del suo zigomo col pollice, Thor lo guarda negli occhi e sa che sta soffrendo, e la sola idea gli spreme via tutta l'aria dai polmoni, è insopportabile.
- Perché lo fai tu a me, Loki? - ritorce, piegando appena il capo alla ricerca involontaria ma inevitabile delle sue carezze. Loki si lascia sfuggire un sorriso lontano e triste, piegandosi appena verso di lui.
- Dovrei lasciarti in pace? - gli domanda, - Dovrei semplicemente lasciarti andare via, nonostante ti veda scappare da me? Dovrei semplicemente rinunciare ad averti?
- Noi siamo fratelli. - risponde Thor, distogliendo lo sguardo.
E' il motivo per cui andato via. E' il motivo per cui ha dovuto farlo. E' il motivo per cui non aveva altra scelta. Per qualche ragione, ogni volta che questa frase gli sfugge dalle labbra in presenza di suo fratello, suona falsa, una di quelle bugie con le quali cerchi invano di proteggerti da un dolore che desideri come una carezza o un abbraccio.
- Thor, smettila. - dice Loki. Thor cerca di non guardarlo mentre gli scivola in grembo, mentre gli stringe le braccia al collo e gli copre le labbra di baci umidi e infantili, - Smettila di scappare.
Non fa altro da anni, ormai. Da quando Loki è cresciuto all'improvviso, da quel giorno in cui di punto in bianco Thor l'ha guardato negli occhi e ha visto questa persona oscura e misteriosa e spaventosa e così disperatamente attraente, e si è sentito spinto verso di lui come non si era mai sentito spinto verso nessun altro.
Loki gli è esploso nel cervello all'improvviso, e dopo è stato come averlo sempre voluto ed essersene accorto troppo tardi per impedire che accadesse. Non poteva fare altro che scappare, non poteva fare altro che andarsene. Non poteva restare in quella casa, vivere con lui, sentirsi scorrere i suoi occhi, le sue mani, le sue labbra addosso, fingendo che non ci fosse niente di male in quello che stavano facendo, fingendo di poter continuare a vivere la propria vita normalmente, fingendo che ciò che li legava fosse solo un dettaglio trascurabile della sua esistenza, un peccato da consumare al buio, in silenzio, e da dimenticare col sonno perché sparisse completamente dal suo viso in tempo per la colazione del giorno dopo.
- Thor. - lo chiama ancora Loki, il tono di voce insolitamente dolce. Thor sa che non dovrebbe lasciarsi manipolare così da lui, sa che Loki lo conosce abbastanza da farlo danzare senza fatica come un burattino nel proprio teatro delle marionette personale, e sa che dovrebbe essere invece forte abbastanza da impedirgli di continuare a farlo, ma la voce di Loki, quand'è così dolce, è ipnotica e piacevole come il canto di una sirena, e con la stessa cieca devozione con la quale i marinai inseguono quel canto nelle storie e nelle leggende, dirigendosi spontaneamente verso un'orribile morte, anche Thor segue il suono della sua voce con fedele ubbidienza, nonostante sappia che ad attenderlo c'è una sorte forse perfino peggiore.
Loki lo guarda senza vergogna, scruta dentro di lui con molta più facilità di quanto suo padre non sia mai riuscito a fare, e ci riesce davvero. E Thor si abbandona alle sue braccia, chiudendo gli occhi, spegnendo i pensieri, seguendo soltanto la scia del suo profumo, del suo sapore sulla lingua. Loki piega il capo, espone il collo sottile ai suoi baci e alle sue carezze, spinge il bacino contro di lui e si lascia scivolare sulla lingua e fra le labbra un gemito osceno, che Thor insegue coi propri mentre lo stende sul letto e si sistema sopra di lui, lasciandogli scorrere addosso le mani con febbrile impazienza.
Il corpo di Loki è così sottile. Così piccolo e sottile. E Thor cerca di non vederlo, non sentirlo e non pensarci, ma è così, e non c'è niente che lui possa fare per cambiare la realtà dei fatti, l'unica che conti, quella per la quale Loki è l'unica persona che vorrebbe essere in grado di proteggere da tutti i mali del mondo, ed allo stesso tempo è l'unica persona che non riuscirebbe mai a proteggere da se stesso.
Scivola dentro di lui come all'interno di un luogo speciale, un nascondiglio segreto, un rifugio sempre pronto ad accoglierlo. Loki se lo stringe contro, sospira il suo nome mentre getta indietro il capo, scosso dai brividi e dai gemiti incontrollabili che gli gonfiano e sgonfiano il petto, e Thor lo bacia con forza, spingendosi velocemente dentro di lui, stringendolo in un abbraccio che sa di trappola, una gabbia in cui Loki continua a tornare, come certi uccellini d'appartamento che si rifiutano di abbandonare il luogo in cui hanno sempre vissuto anche quando tu ti ostini ripetutamente a cercare di donare loro la libertà.
Certe volte la libertà è un dono sgradito. Ci sono sbarre di ferro dalle quali un prigioniero non vorrebbe mai separarsi.
*
Lascia scivolare le dita fra i suoi capelli scuri, e fissa il soffitto con aria assente. Con la stessa distrazione, Loki, steso al suo fianco, disegna ghirigori incomprensibili sul suo petto con la punta delle dita. Thor si sente addosso la carezza del suo respiro e come ogni volta pensa "ho fallito. Ho fallito di nuovo".
- Ti prego, torna a casa. - sussurra Loki, e non è facile sentirgli pronunciare parole simili. Loki non chiede mai per favore, non implora, non prega, non supplica. Spesso non pretende neanche. Spesso i suoi occhi sono sufficienti a dare ordini ai quali nessuno riesce a sottrarsi. Nessuno, poi, chissà. Sicuramente non Thor.
Ma Thor stavolta scuote il capo, e lo fa anche se, seguendo un impulso istintivo e irrazionale, le sue dita si serrano con decisione attorno alla spalla rotonda, bianca e sottile di Loki.
- Non posso farlo. - dice, la voce rotta da un singhiozzo senza lacrime, - Sai che non posso.
Loki aggrotta le sopracciglia.
- So solo che non vuoi. - dice, la voce di ghiaccio.
Non si volta a guardarlo nemmeno per qualche secondo, quando si alza, si riveste, e così come è venuto, come il tempo, come l'inverno, se ne va.
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Thor esce dalla sua stanza un'oretta dopo. Sa che dovrebbe farsi una doccia, staccarsi di dosso l'odore di Loki, ma non vuole. Non ora, non oggi. Ci penserà domani.
In cucina trova Natasha che prepara il tè. Clint, Tony e Steve stanno discutendo animatamente di qualcosa, probabilmente partite di football, e Tony sta perorando la propria causa contro gli altri due agitando per aria un biscotto con veemenza. Bruce, un po' distante dagli altri, sgranocchia patatine seduto sul divano, sfogliando una rivista scientifica. E' il primo ad accorgersi di lui.
- Ehi. - gli sorride cordiale, aggiustandosi gli occhiali sul naso, - Stavamo giusto per fare merenda. Sei dei nostri?
Thor gli sorride di rimando ed annuisce, sedendosi a tavola e mangiucchiando un biscotto con aria abbastanza depressa. E' così strano non vederlo ridere e comparire nelle stanze distribuendo poderose pacche sulle spalle a qualunque cosa lo circondi nel raggio di cento metri, che perfino Natasha si sente mossa a pietà e gli porge una tazza di tè fumante senza aspettare che sia lui a chiedergliela per piacere.
- Allora, - dice Tony a un certo punto, voltandosi a guardarlo e indicandolo con lo stesso biscotto che agitava fino a poco fa. Thor lo guarda e trema dentro, pregando che non voglia chiedergli di parlargli di cos'è che lo turba. Ma Tony sorride e aggiunge, - secondo te chi ha ragione?
Thor ride, ed ammette di non averne la più pallida idea.
- Non stavo ascoltando. - dice.
- Ma questo è perfetto! - esulta Tony, trionfante, - Lascia che ti spieghi da capo.
Steve e Clint erompono in una serie infinita di lamentele e piagnistei, implorandolo di fermarsi, strillando "Thor! Non ti interessa davvero!", e forse hanno ragione, ma in questo momento Thor ha bisogno di sentire le proprie orecchie riempirsi di qualcosa che non sia il suono della voce di suo fratello, e perfino gli assurdi vaneggiamenti pseudo-filosofici di Tony riguardo questa o quella squadra di NFL possono servire adeguatamente allo scopo. Al momento, gli basta non restare da solo. Tutto il resto è irrilevante.