rp: lorenzo crisetig

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Slash, What If?.
- Per un disguido tecnico, dopo il triangolare con Juve e Milan per il Trofeo Tim 2009, l'Inter è costretta a passare la notte a Pescara...
Note: Partecipante al Pigiama Party su Fanworld.it.
Se scrivessi con questa velocità e con questa continuità anche per il BBI, a quest’ora le mie sette storie sarebbero tutte pronte. *sospira* Comunque! Storia idiota nata da una serie di idiozie, elencabili più o meno in quest’ordine, dalla meno importante alla più fondamentale: il mio amore per Lorenzo Crisetig, il mio amore per Rene Krhin, il mio amore per Andrea Butti, il mio amore per José Mourinho, il mio amore per Bedy Moratti, il mio amore per l’Everlasting!Jobra e il mio amore per il Santonelli che più canon di così si muore. Yay XD
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LA TRAGICA LEGGENDA DELLO SPIRITO DEL MAL DI PANCIA

- Cosa vorresti dire con “non ci sono voli disponibili fino a domani mattina”, Andrea?
Il team manager esitò appena, stringendosi timorosamente nelle spalle e schiarendosi rumorosamente la gola, prima di spiegare meglio il concetto appena espresso. Era abbastanza ridicolo da osservare un uomo della sua stazza perdersi in tante incertezze a causa di un ometto alto più di venti centimetri in meno e pure decisamente più avanti di lui con gli anni, ma José tendeva ad avere quest’effetto di terrorismo psicologico sul mondo circostante, e se i ragazzi, essendo causa di problemi e rimbrotti continui, potevano dire di essercisi abituati piuttosto in fretta, altrettanto non era possibile affermare del povero Andrea, che per contro il suo lavoro lo faceva sempre e cercava sempre di farlo bene, perciò di fronte a quello sguardo intransigente e severo era costretto a ritrovarcisi decisamente meno spesso.
- Intendo dire che purtroppo il volo che avevamo prenotato è stato cancellato per problemi tecnici, mister, e non sarà possibile trovarne un altro prima di domattina, perciò-
- Chiama il presidente e fatti mandare un dannato aereo privato! – sbottò l’uomo, gesticolando animatamente, - Che razza di storie, chissenefrega se non c’è un aereo di linea disponibile fino a domani! Dopodomani abbiamo l’ultima amichevole prima del campionato, ed io ho bisogno che i ragazzi tornino a casa e si riposino, in modo da poterli obbligare a sputare sangue domani in allenamento! Perciò datti una mossa e risolvi questo problema, ora!
- Mister, se posso permettermi… - s’intromise Bedy, avvicinandosi con un sorriso e con la solita incontrastabile grazia, - Comprendo perfettamente le sue rimostranze, ma è troppo tardi per allertare il nostro pilota personale, soprattutto per circostanze che difficilmente si potrebbero definire di vita o di morte. – spiegò pacatamente, di fronte ad un José incapace di protestare di fronte a lei con la stessa veemenza utilizzata appena pochi istanti prima nei confronti di Andrea, ancora abbacchiato in un angolino a causa della sfuriata, - Perché non seppelliamo tutti l’ascia di guerra e chiediamo ad Andrea di trovare una soluzione ad un problema meno complesso? – concluse con un altro sorriso smagliante, piegando appena il capo e lasciando che la ciocca biondo platino sul davanti ricadesse graziosamente lungo i tratti tondi ma non sgraziati del viso senza età.
- Che donna. – mormorò Dejan, sgomitando Marco fra le costole, - Una botta gliela darei anche, cazzo. Pure due, in caso.
- Sei sposato. – rispose laconicamente il difensore, sollevando gli occhi al cielo, - E comunque daresti una o due botte a chiunque, tu. Ne sa qualcosa il povero Christian.
- Ehi! – borbottò Dejan, quasi offeso dall’insinuazione, - Non ho mai alzato un dito che fosse uno su Christi, lo rispetto troppo per portarmelo a letto.
Marco scosse il capo e sospirò platealmente, mentre Christian, accanto a lui, si tirava una rassegnata manata in piena fronte. Mario smise di ascoltare il discorso e ridacchiò appena – il peso di Davide ancora pressato contro una spalla e la solita interminabile tiritera di lamentele a scivolare fuori dalle sue labbra come una cascata. Seguì con gli occhi il mister mentre si rassegnava a sospirare e chiedere ad Andrea di trovar loro un albergo per la notte, prima di rifugiarsi in un angolo e cominciare a smanettare col cellulare, e poi Davide gli pizzicò un fianco talmente forte che lui, temendo per la propria vita, si rassegnò a concedergli un po’ d’attenzione.
- Sì, Dade. – rispose meccanicamente, - Hai ragione su tutto.
- Non hai la minima idea di cosa ti abbia detto, vero? – protestò il ragazzo, offeso a morte, tirandogli un mezzo calcio contro uno stinco, - Non hai ascoltato una parola!
- Per la verità, hai ragione. – annuì naturalmente Mario, sollevando un braccio e tirandoselo contro in un abbraccio sbrigativo, - Non ti stavo ascoltando. Ma so cosa stai pensando.
- E sarebbe? – lo sfidò lui, inarcando un sopracciglio.
- Che è tutta colpa tua se abbiamo perso, che se solo avessi segnato quel rigore noi ora avremmo un’altra coppa in bacheca e che il mister dovrebbe sgridarti perché è evidente che non hai dato il meglio di te. – tirò a indovinare, sulle labbra il sospiro rassegnato di chi sa già di avere ragione.
- …ecco. – ammise Davide, sistemandosi meglio sul suo petto, - …e pensi davvero che io abbia ragione?
- No, Dade. – sospirò ancora Mario, esasperato, - Penso che tu sia stato bravo, penso che tu abbia fatto il possibile e penso che tu ti sia mosso molto bene. Penso inoltre – specificò, - che entrambe le partite siano andate alla grande, abbiamo giocato bene, compatti, chiusi, organizzati, e che l’unico motivo per il quale abbiamo perso sia che i rigori sono un terno al lotto e la palla è tonda e, in quanto tale, gira, e non sempre nel verso che uno vorrebbe o si aspetterebbe.
- Parli bene, tu. – continuò a lagnarsi Davide, dispiaciuto, - Hai segnato, sei comunque l’idolo delle folle. – Mario inarcò un sopracciglio, come a dire “idolo delle folle? Io? Ma in che universo alternativo vivi?”, e Davide tossicchiò, affrettandosi a correggersi, - Intendo, il mister di sicuro starà comunque pensando un gran bene, di te. Si era tanto raccomandato di non sbagliare quel rigore, Mà, la voleva proprio quella coppa…
- Be’ – scrollò le spalle Mario, decisamente poco impressionato dal piagnisteo, - avrebbe voluto che Zlatan restasse ma non è successo, e s’è rassegnato. Avrebbe voluto Deco, Carvalho, Lampard, Drogba e un altro milione e mezzo di uomini, e nessuno di loro è arrivato, e s’è rassegnato anche a questo. Penso che potrà sopravvivere anche ad un Trofeo Tim in meno, considerando che in bacheca ne abbiamo ancora comunque, più di tutti gli altri, ti pare?
- Tu sei un cocciuto insensibile presuntuoso supponente e rompipalle. – borbottò ancora Davide, tirandogli un pugnetto parzialmente giocoso e parzialmente risentito fra le costole, costringendolo ad usa risatina divertita mentre lo fermava con un gesto tenero, - Ecco cosa mi pare.
- Intanto – continuò Mario, adocchiando nuovamente il mister muoversi in mezzo alla sala d’aspetto come un animale in gabbia, ancora attaccato al cellulare, - mi sa che per stanotte si resta qui. Chissà con chi cavolo sta parlando…
- Ma che ti frega, scusa? – chiese Davide, sollevandosi appena per guardarlo negli occhi, prima di crollargli nuovamente contro la spalla mentre, senza volere, ascoltava il mister biascicare un incerto “ma no… lascia perdere, i bambini” alla cornetta, - Sarà la moglie. Si aspettava che tornasse in serata, l’avrà avvertita.
- Mhmh… - mugolò dubbioso Mario, mentre il mister continuava a biascicare una sequela di “davvero, lascia perdere, ci vediamo domani a Milano”, - Sì, mi sa di sì.
-  Allora, ragazzi! – richiamò la loro attenzione Andrea, battendo sonoramente le mani, - Stanotte si resta a dormire qui, ho appena trovato l’albergo. – l’annuncio venne accolta con un fragoroso noooo di lagnoso disappunto, ed Andrea faticò non poco a ristabilire l’ordine, prima di poter continuare a parlare, - Dovremo stringerci un po’, - proseguì con un sospiro, - purtroppo l’albergo è molto bello, ma piccino. Molti di voi dovranno dividere la stanza, ma abituati come siete in Pinetina di sicuro la cosa non vi turberà più di tanto. Per il resto, avvisate mamme e mogli, così che non si preoccupino. Rientreremo a Milano nella mattinata di domani-
- E badate di riposare bene, stanotte. – lo interruppe burbero José, finalmente libero dalla conversazione con la signora, - Domani vi voglio freschi e pimpanti per l’allenamento, e se stanotte vi trovo svegli a bighellonare in giro giuro sui miei figli che vi sbatto in panchina fino alla finale di Champions, se ci arriviamo, vita natural durante se non ci arriviamo. Sono stato chiaro?
Il coro di sìììì che accolse le sue minacce non presentò sfumature di lagnoso disappunto molto diverse dal coro precedente, e la discussione si chiuse così – con tutti i ragazzi che prendevano posto sul bus, diretti alla volta del Victoria Hotel.

*

- Be’, almeno il posto è bello. – commentò Andrea di fronte all’edificio. José gli passò accanto, ruminando acredine.
- I balconi somigliano alle valve di una conchiglia. – borbottò aspramente, - Se volevo nascere mollusco, mi infilavo in un blocco di gelatina rosa e mi piazzavo una perla gigante in bocca, ti pare?
Bedy cercò di forzare una risata e consolò brevemente Andrea, mentre quest’ultimo si abbatteva in un angolo, disperato, e José prendeva posto nel centro del marciapiede, arringando i giocatori.
- Allora! – cominciò tuonando, - Le camere sono state sistemate in modo che possiate utilizzarle in quattro. – spiegò, spegnendo l’ennesimo coro di lagne con un’unica occhiata omicida, - Cos’è, volevate per caso che la camera della signora Moratti fosse aperta anche a voi, per distribuirvi meglio? Deki, non provarci nemmeno. – lo minacciò, prima ancora che il serbo potesse proferire parola, zittendo la sua battutina sul nascere e sfumandola in una risatina furba, - Allora, i gruppi sono… - cominciò ad elencare, e Davide smise immediatamente di ascoltare. Mario se ne accorse perché se lo sentì crollare rovinosamente sulla spalla con uno sbuffo annoiato, come al solito.
- E dire che prima per poco non mi mandavi in orbita, spintonandomi. – lo prese in giro, dandogli un colpetto tenero con la tempia contro la sua. Davide mugolò contrariato.
- Eravamo in mezzo al campo, c’erano ventimila tifosi e un altro centinaio di gente fra compagni, avversari e staff vario ed eventuale. – si lamentò, strusciando una guancia contro la sua spalla, - E tu prendi e mi salti addosso, chiaro che mi viene voglia di mandarti in orbita.
- Che palo in culo, Dio mio. – rise ancora Mario, osservando Diego guardare con una certa curiosità gli sguardi da belve inferocite che Deki e Marco gli lanciavano, traendo Christian fuori dalla sua portata prima ancora che lui provasse effettivamente a mettergli le mani addosso. Ah, calciatori. – E adesso va bene se ti strusci tu, invece? I compagni intorno ci sono sempre.
- Sì, ma ora sono stanco e ho sonno, – sbottò Davide, arpionando la sua maglietta e sprimacciandogli la spalla neanche fosse stata un cuscino, - per cui me ne frego.
- Sonno? – chiese Mario, cercando la sua fronte con le labbra, - Quindi stasera non si gioca?
- Non si giocherebbe comunque. – pigolò Davide, delusissimo.
- Balotelli, Crisetig, Krhin, Santon! – annunciò ad alta voce il mister, e Davide sospirò ancora, in sincrono con Mario. – E questo è quanto, diamoci una mossa prima che la mia naturale bontà si esaurisca e mi venga voglia di lasciarvi per strada solo per guardarvi arrotolarvi nelle coperte agli angoli della strada dalla comodità del mio letto.
Le camere non erano purtroppo particolarmente grandi. Pittoresche quanto si voleva, con quei dipinti sulle porte e tutto il resto, ma occupate per il cinquanta percento dal letto matrimoniale situato nel bel mezzo dell’ambiente e per il restante cinquanta dai due lettini singoli che vi erano stati trascinati e ficcati a forza, così che, per muoversi all’interno della stanza, si doveva praticamente camminare scalzi sui letti, o azioni di una normalità disarmante per un qualsiasi essere umano – come raggiungere il bagno o allungarsi verso il minibar alla ricerca di una bottiglietta d’acqua – si sarebbero rivelate impossibili.
Davide piantò un piede sul materasso occupato da Lorenzo – che per contro si spostò il più possibile per non intralciarlo nel movimento – lo superò, poggiò l’altro piede sul materasso immediatamente successivo, occupato da Rene, e naturalmente-
- Ah- cazzo, Davide! – si lamentò lo sloveno, scalciando furiosamente da sotto le lenzuola, - Le palle!
- Re- ferm- - poco da fare, non ebbe nemmeno il tempo di concludere la frase che si ritrovò a perdere l’equilibrio, ondeggiare incerto sul posto fra le urla di Rene e le occhiate incerte e divertite di Mario, prima di franare con pachidermica grazia proprio addosso a quest’ultimo, ficcandogli entrambi i gomiti e le ginocchia un po’ ovunque, fra pancia, palle e petto, ma ottenendo nonostante tutto in risposta solo un ahouff sbuffato in una mezza risata e un abbraccio protettivo e un po’ ondeggiante, condito da un sorriso tenero.
- Dio, perché? – continuò a lagnarsi Rene, massaggiandosi lentamente fra le gambe, - Perché mi odi così? Perché il mister non mi ha messo in camera di Tia e Luca, perché?
- Uh? – azzardò Lorenzo, stendendosi su un fianco e ripiegando un braccio sopra il cuscino, per tenere il capo sollevato e poterlo guardare più facilmente, - Perché dici così?
- Perché quei due – ringhiò Rene, infastidito, indicando Mario e Davide intenti a non dare l’impressione di volersi saltare addosso e stare in effetti ponderando la possibilità con o senza pubblico pagante, - sono due piaghe sociali. Al di là di quello che fanno continuamente e di cui hai anche avuto prova oggi sul campo… - raccontò roteando gli occhi, mentre Lorenzo ridacchiava al ricordo di Mario che si gettava a peso morto su Davide coinvolgendolo in un mezzo rotolio a centrocampo, proprio durante il blackout allo stadio, - sono incasinati, fanno rumore e chiunque vada in giro con loro il giorno dopo è talmente rincoglionito da fare per forza qualcosa di talmente idiota da mandare il mister su tutte le furie e giocarsi il posto in squadra. Matematico.
- …oh. – deglutì a fatica Lorenzo, tornando a voltarsi fra le coperte, dando la schiena agli altri tre, come sperasse che prendere le distanze in quel modo fosse abbastanza per continuare a mantenere il proprio posto fra le riserve.
Davide e Rene riuscirono appena a scorgere il sorriso semplicemente demoniaco sul volto di Mario, prima che tutte le luci si spegnessero, sprofondando quello che, a guardare fuori, sembrava l’intero quartiere in un buio talmente pesto da fare paura.
- …che città di merda. – commentò distrattamente Davide in un sospiro esausto. Mario rise, Rene si chiese un’altra volta il perché di tanta sfiga e Lorenzo chiuse gli occhi e cercò di astrarsi da tutto ciò che lo circondava, almeno fino a quando la porta della loro camera si spalancò, mostrando un inedito Andrea in versione notturna, completo di canottiera vecchia di cinque anni e boxer a righine, che li guardava con aria allucinata, illuminato appena dalla luce bianchiccia di una torcia elettrica.
- Tutto a posto, ragazzi? – chiese allarmato, illuminandoli uno per uno mentre Rene gli chiedeva per pietà di spegnere la dannata cosa, che gli infastidiva gli occhi.
- Aha. – annuì tranquillo Mario, Davide ancora steso sul petto neanche fosse stato perfettamente naturale, - Successo qualcosa?
Andrea sollevò gli occhi al cielo, mentre – dal profondo abisso del fondo scuro del corridoio – giungevano le urla belluine di José, impegnato ad imprecare in portoghese contro una lunga sfilza di divinità cristiane e non.
- …è saltata la luce. – biascicò stremato. – Che città di merda. – concluse quindi, richiudendo la porta. Davide rise piano e Mario gli fece il solletico, guadagnando in cambio uno schiaffone sul braccio talmente rumoroso che Lorenzo saltò a sedere e si guardò celermente intorno, allarmato dal fragore.
- Sapete che storia sarebbe perfetta da raccontare adesso? – chiese invece l’attaccante, mettendosi seduto così velocemente da costringere Davide a cadergli in grembo con un urletto sorpreso, - La vecchia storia del fantasma del mal di pancia.
- Mario… - cercò di rimproverarlo Davide, ritrovandosi immediatamente una mano schiacciata delicatamente sulle labbra, per impedirgli di proseguire.
- Oh, ti prego. – protestò Rene, tirandosi le coperte fin sopra la testa, - Risparmiami almeno questo.
- Che… che storia? – chiese invece Lorenzo, incrociando le gambe sul materasso e protendendosi interessato verso il matrimoniale.
- Mmh, non so se posso raccontartela… - rifletté Mario, mentre Davide roteava gli occhi e lo mandava discretamente a fanculo, tornando a stendersi sulla propria metà del letto nel tentativo di dormire, - Sei un po’ piccolo, ti pare?
- Ho sedici anni! – protestò lui, spalancando gli occhi. Mario sembrò considerare molto seriamente la possibilità di tacere e mettersi a propria volta a dormire, ma alla fine, fortunatamente, sospirò ed annuì.
- D’altronde, è giusto che anche tu sappia. Così potrai difenderti. – asserì serio, mentre Rene, dal fondo delle coltri che lo coprivano, lanciava al cielo un pietoso lamento.
- Mario, sei un cretino. – borbottò Davide, tirandogli un mezzo calcio da sotto le lenzuola, - Piantala, è solo un ragazzino.
- Non sono un ragazzino! – ruggì Lorenzo, profondamente offeso, ma Davide lo ignorò in modo così plateale da convincerlo a desistere da quell’inutile opera di persuasione e tornare a concentrare tutta la propria attenzione su Mario. – Che storia è?
- Be’, - scrollò le spalle lui, - naturalmente sai chi è Zlatan, no?
- Ovvio. – annuì Lorenzo, interessato. Lui non aveva avuto il piacere di conoscerlo, solo di osservarlo da lontano quelle poche volte che la Primavera s’era incrociata con la prima squadra durante gli allenamenti, ma la fama di Zlatan Ibrahimović non teneva conto né del tempo né dello spazio. E quindi sì, ovviamente sapeva chi fosse, e una volta fatto il suo nome anche tutto il resto della storia assunse un’importanza del tutto diversa.
- E, altrettanto naturalmente, - proseguì Mario, dosando attentamente i gesti e le pause per mantenere l’aspettativa al livello più alto possibile, - hai sentito parlare dei suoi numerosi mal di pancia.
Lorenzo annuì ancora, mentre Rene tornava a mostrarsi al di sopra delle lenzuola, solo per lanciargli un’occhiata sconvolta e mormorare un incerto “non vorrai mica…” che Mario ignorò apertamente, costringendolo a sospirare frustrato e tornare a nascondersi in un luogo sicuro.
- Insomma, la verità su Zlatan… - disse Mario a bassa voce, in tono cospiratorio, - è che era posseduto dallo spirito del mal di pancia.
- Lo sp-… - sbottò Rene, risorgendo ancora dalle coperte appena in tempo per notare Davide riemergere a propria volta e guardare quello che a buon diritto era possibile definire “il suo ragazzo” con un’occhiata a metà fra l’incredulo e l’ammirato, - …ma tu non puoi aspettarti che ci creda! – sbottò esasperato, - Lori, per carità. Mandalo a fanculo e mettiti a dormire.
Lorenzo si lasciò andare ad una risatina di puro disagio, grattandosi la nuca.
- Già… - biascicò incerto, - è… è sicuramente una cavolata, no? Mi stai prendendo in giro…
Mario scrollò disinvoltamente, come non gl’importasse certo se essere creduto o meno. Davide sospirò teatralmente e si spiaccicò una manata sulla fronte, tornando a stendersi su un fianco.
- Puoi credermi o non credermi. – buttò lì Mario, tranquillissimo, – Ma per quale altro motivo credi che uno dovrebbe voler rinunciare a un compenso da urlo come quello che Ibra aveva qui, per andarsene in un posto in cui lo pagano di meno, è odiato dai tifosi e non è nemmeno la stella della squadra? Semplicemente, - aggiunse con una scrollatina di spalle, - se non fosse andato via, lo spirito del mal di pancia avrebbe continuato a perseguitarlo per sempre. E adesso è ancora qui che si aggira in mezzo alla squadra, sotto forma di uno Zlatan scuro come la notte, impalpabile come una nuvola e con gli occhi rossi come quelli di un ratto bianco, e luminosi come stelle, che aspetta solo di prendere possesso del corpo di qualcun altro, per costringere anche lui a soffrire le pene dell’inferno finché non si rassegnerà ad andare via.
Un lungo silenzio seguì la dichiarazione di Mario. Un silenzio che fu riempito appena dal movimento degli occhi di Davide e Rene, che tornarono a fissarsi prima su Mario e poi su Lorenzo, come a volersi chiedere del primo come potesse essere così assurdamente perfido da perseverare in quell’atto di pura crudeltà verso un animale indifeso, e del secondo come potesse essere così assurdamente sciocco da cascarci.
Poi, Lorenzo ridacchiò imbarazzato, con considerevole difficoltà, e si ravviò la frangetta lungo la fronte.
- …andiamo… - deglutì a vuoto, - sono… voglio dire… non possono… - ma la sua frase, se mai aveva avuto intenzione di concludersi, non riuscì mai a farlo, perché venne presto sovrastata da un rumore nel corridoio, appena fuori dalla stanza, seguito da una serie di indistinguibili imprecazioni in una strana lingua a metà fra l’italiano, lo spagnolo e qualcos’altro che non era davvero possibile decifrare.
Lorenzo, Davide e Rene scattarono a sedere, trattenendo il fiato e portando entrambe le mani al cuore, mentre perfino Mario, che pure sapeva perfettamente di aver detto una marea di cazzate fino a quel momento, non poteva fare a meno di irrigidire tutti i lineamenti, fissando la porta con aria timorosa.
- Cosa… - biascicò Rene, inumidendosi le labbra, - Cosa è stato…?
- …non ne ho la più pallida idea. – ammise Davide, già moderatamente spaventato, - Qualcuno dovrebbe… andare a vedere.
Mario annuì, e per un secondo sembrò che dovesse essere lui l’eroe designato ad uscire, praticamente seminudo, per affrontare lo spirito del mal di pancia o chiunque altro avesse causato quell’improponibile tramestio là fuori. Poi, i ragazzi lo videro incrociare le braccia sul petto ed inspirare profondamente.
- Lori. – disse quindi, serissimo, quasi sacrale, - Vai tu.
- Cosa?! – strillò il ragazzino, portando le coperte a coprirsi fin quasi a metà viso, terrorizzato, - Assolutamente no! Se è lo spirito io non-
- Non esistono gli spiriti! – cercò di rabbonirlo Mario, alzando la voce, - Ti stavo prendendo in giro!
- E allora perché non esci tu? – replicò quello, ostinato, e Mario inarcò un sopracciglio.
- Perché – rispose Mario, ghignando supponente, - posso farti passare dei guai non indifferenti, se non obbedisci.
- Mario! – cercò di rimproverarlo Davide, ottenendo in risposta un mezzo cazzotto sulla spalla che lo stese letteralmente sul letto, mugolante di dolore.
- Va… va bene. – annuì quindi Lorenzo, sempre terrorizzato dallo spirito del mal di pancia ma indubbiamente più terrorizzato da Mario, - Esco.
I tre compagni lo osservarono sgusciare silenziosamente fuori dal letto, cercare a tentoni le proprie pantofole e poi muoversi lento verso la porta, appoggiandosi a qualsiasi superficie incontrasse con la mano tesa in avanti, per evitare di inciampare e cascare rovinosamente a terra. Poi lo osservarono schiudere la porta, trarre un profondo respiro e infine spalancarla e catapultarsi all’esterno della stanza, coinvolgendo lo spirito del mal di pancia in una capriola rotolante fino alla parete di fronte.
- Whoa! – esclamò stupito lo spirito del mal di pancia, battendo di spalle contro il muro. Davide sollevò la testolina arruffata dal cuscino, e Mario poté quasi vederlo tendere le orecchie e arricciare il naso, come subodorasse una presenza molesta o fuori posto.
- Zlatan. – disse quindi il ragazzo, prima di voltarsi verso di lui, - Zlatan! – ripeté, - Era la voce di Zlatan!
- Davide?! – strillò quindi Mario, turbato, - Che cazzo dici?!
- È impossibile! – rincarò Rene, saltando giù dal letto. La stessa cosa fecero anche gli altri due, iniziando poi a correre a perdifiato verso l’uscita della stanza, per poi fiondarsi in corridoio, inciampare nel peso morto del corpo di Lori ancora per metà steso in terra e carambolare anche loro contro lo spirito del mal di pancia, schiacciandolo ulteriormente contro la parete ed ascoltando non senza un certo stupore misto ad inquietante paura dovuta al fatto che effettivamente l’essere aveva la voce di Zlatan, si lagnava come Zlatan ed aveva perfino il suo stesso profumo.
- Cosa cazzo sta succedendo qui?! – strillò José apparendo da qualche parte in corridoio. E in quel momento si accese la luce, mostrando impietosa l’immagine di quattro adolescenti incastrati l’uno con l’altro come mattoncini del Tetris addosso al corpo di un ben noto svedese imprigionato senza scampo fra quegli stessi corpi, il muro e il pavimento. – Zla… Zlatan…? – mormorò l’allenatore, sgomento.
- Er… ciao… - biascicò Zlatan, sollevando una mano per salutarlo ed abbozzando un sorriso incerto.
- …ti avevo detto di aspettare a Milano! – protestò immediatamente José, gesticolando come un ossesso, - Mai che tu mi dia ascolto, Cristo santo! Mai!
- Scusa se avevo voglia di vederti! – sbottò Zlatan, sconvolto e offeso, scrollandosi di dosso i quattro corpi inerti ed alzandosi in piedi, per affrontare José da una posizione più vantaggiosa.
- Oh, non prendermi in giro con le romanticherie, adesso! Helena ricomincerà a rompere le palle. – sbottò l’altro, incamminandosi disinvoltamente verso la propria camera, subito seguito da Zlatan.
- La mia donna non rompe le palle più di quanto non faccia la tua! – corresse in un moto d’orgoglio, - E comunque non ho mica tutto questo tempo, io! Aspettarti! Domani devo tornare a Barcellona, che credi? Sono un uomo importante!
- Oh, certo, vostra maestà, scusatemi se ho dimenticato che ora siete voi la reginetta del ballo delle maturande, in quel di Spagna… - si fermò a due passi dalla porta, voltandosi a squadrare i ragazzi con aria truce, mentre loro cominciavano a riprendere i sensi dopo la collisione, - …parlatene con qualcuno e siete fuori squadra finché questo culo non lo vedrete sul campo. – minacciò, indicando con precisione il culo di cui stava parlando; per tutta risposta Zlatan si voltò indietro ad autoammirarsi con un sorrisino divertito. – Sempre che appunto ci si arrivi, come vi ripeto sempre. E ora, marsch! A fare la nanna! E di corsa! – e, così dicendo, si chiuse in camera con Zlatan.
Lorenzo, finalmente nel pieno di tutte le sue facoltà fisiche e mentali, si sollevò da terra e si spolverò i pantaloncini.
- Ma quindi… - azzardò, e se quello era il pieno di tutte le sue facoltà fisiche e mentali, non c’era da meravigliarsi che il mister non si fosse ancora convinto a fargli fare il salto di qualità per intero, - …mister Mourinho va a letto con lo spirito del mal di pancia, o che?
Davide, Mario e Rene lo guardarono con aria allucinata per molti secondi. Poi si alzarono in piedi ed entrarono in camera, chiudendo la porta. Rene si affacciò pochi secondi dopo, giusto per dirgli “tu dormi fuori”, e poi tornò a chiudersi dentro. A chiave.
Andrea passò per il consueto giro di controllo solo verso le sei dell’indomani mattina, ancora in canotta e boxer, e lo trovò seduto per terra in corridoio, spalle alla porta e testa pesante, ciondolante avanti e indietro.
- Lorenzo…? – lo chiamò appena, - Che ci fai qua fuori?
- Mmhn…? – biascicò lui, guardandolo con sincera gratitudine, - Sto attento che lo spirito del mal di pancia… non torni… per impossessarsi di qualcuno… - spiegò confusamente, fra un balbettio e l’altro. Andrea inarcò un sopracciglio, poi si chinò, lo tirò in piedi sollevandolo per le spalle e cercò di svegliarlo con qualche schiaffetto sulle guance, senza ottenere risultati granché rilevanti.
- Va be’. – annuì compiaciuto, - Dai, ti offro un caffè. – concluse, trascinandolo al piano di sotto. Lorenzo non trovò la forza di opporsi. 

Genere: Introspettivo, Romantico, (Pseudo) Erotico.
Pairing: Alen/Dejan, Mario/Davide, accennati Dejan/Siniša e José/Zlatan.
Rating: R/NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lime.
- Alen Stevanovic ci racconta la storia della sua personale fine del mondo, e già che c'è ci racconta anche quelle degli altri, fra partenze e ritorni, imparando a capire cosa vuol dire trovare un equilibrio.
Note: Questa è una storia assurda che ho cominciato a scrivere perché m’ero innamorata di Alen Stevanovic, giocatore serbo che probabilmente nessuno di voi conosce XD attualmente militante nella Primavera dell’Inter. Non so perché ho immediatamente deciso di darlo a Deki, sarà che le SerbsTP mi possiedono XD E alla fine ho concluso per infilare in questa storia semplicemente di tutto, per cominciare con la SerbsTP#1 (Deki/Sini ♥), continuando poi col Santonelli e il Jobra XD Insomma, tanto amore gaio di vario genere e tutto ciò che Ary ♥ che oggi compie gli anni ♥ Tanti auguri, tesoro, tutto per te :* Spero ti piaccia!
Ps. Titolo rubato a The Hardest Part dei Coldplay. Se dovevo dire altro, l’ho dimenticato XD
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You Left The Sweetest Taste In My Mouth


C’è un periodo molto preciso dell’adolescenza, che varia da persona a persona, naturalmente – perché nessuno è uguale a un altro neanche a cercare con la lente d’ingrandimento fra tutti e sette i miliardi e passa di persone che vivono su questo pianeta in questo momento – in cui non è importante quanti anni tu abbia o cosa tu faccia nella tua vita o quali siano le tue origini o con chi tu vada in giro o quali siano le tue convinzioni politiche o i tuoi credo religiosi: sei comunque una testa di cazzo. Ci provi anche, a volte, a uscirne, da questa maledizione tremenda, solo che non ti riesce. Testa di cazzo sei e testa di cazzo resti.
Si può manifestare in molti modi diversi – nel mio caso si manifestava con lo scopare in giro. Le cose, in Primavera, girano molto diversamente da come girino in prima squadra. La società crede in te, naturalmente, e sei capitale spendibile in cui investire, senza dubbio, ma ciò non toglie che tu non sia esattamente un elemento indispensabile per il gruppo della squadra, perciò sei molto più libero di quanto tu non sia quando poi fai il salto di qualità – se ci riesci, è ovvio – e ti ritrovi in panchina accanto al mister, o sul campo a sputare sangue per cercare di contribuire alla vittoria della squadra.
Chiaro, quando sei una nullità e tutta la tua vita gira attorno alla speranza che il mister possa chiamarti in prima squadra, la routine della Primavera la odi a morte. Sì, ci sono gli allenamenti a due passi dai campioni, e ci sono le partite e il campionato e tutto il resto, ma se hai delle aspirazioni, se il tuo obiettivo è diventare un grande, dopo un po’ continuare a giocare così in piccolo ti frustra. Oggi so che bisognerebbe essere abbastanza saggi da apprezzare ciò che si ha nel momento esatto in cui lo si possiede, ma d’altronde – come dice sempre Mario quando finisce gli allenamenti col Milan e passa a prendere Davide per tornarsene a casa – uno non ci pensa mai, a godersi quello che ha per bene, fino a che non lo perde irrimediabilmente. E lui ne saprà decisamente qualcosa, visto il casino che è successo fra lui e Davide quando s’è trasferito.
Comunque non è dei due idioti che voglio parlare, tanto più che è ovvio che hanno passato gli ultimi tre anni in astinenza in attesa che Davide riuscisse a venire fuori da questa specie di lutto che l’ha preso dopo il trasferimento, e da qui a qualche mese capiranno che stanno perdendo tempo in maniera idiota e ricominceranno a stendersi vicendevolmente su ogni superficie spendibile in tal senso nel raggio di chilometri, come ai bei tempi in cui stavano entrambi in prima squadra all’Inter e non c’era verso di staccarli l’uno dall’altro neanche ad usare le tenaglie o i gas repellenti.
O forse sì, è anche di questi due idioti che voglio parlare, mentre cerco di spiegarvi il momento assurdo che mi ha cambiato l’esistenza senza cambiare una virgola di ciò che ero.
Quando Mario ha accettato l’offerta del Milan ed è andato via – troppa competizione in prima linea, decisamente troppi attaccanti, e il Milan aveva urgente bisogno di corpi giovani dai quali attingere forza e velocità per provare a ribaltare una situazione che era pessima già da un paio d’anni – lui e Davide stavano insieme da molto tempo. Quando io sono arrivato in Primavera, loro scopavano abitualmente già da un anno abbondante, e se non avevano ancora ufficializzato la cosa era solo perché, in effetti, sarebbe stato abbastanza ridicolo ufficializzare qualcosa di cui tutti erano a conoscenza e che comunque tolleravano senza alcun problema.
Poi Mario è andato via. Loro hanno continuato a condividere l’appartamento, ma il senso di tradimento che Davide ha sentito più profondamente di tutti gli altri s’è frapposto ingombrante fra loro, e quindi in qualche modo si sono lasciati. Dico “in qualche modo” perché è sempre dura dire di qualcuno che ha lasciato qualcun altro quando continua a guardarlo nel modo in cui Davide guardava Mario, o quando continua a pensare a lui nel modo in cui Davide pensava a Mario – essendo peraltro in questo totalmente ricambiato. Comunque sì, si lasciarono. E una volta – non potrò mai dimenticarlo, si sfottevano tutte le teorie di fine del mondo nel 2012, visto che nel 2012 c’eravamo in pieno e non era successo niente di così drammatico, dato che eravamo ancora tutti lì a cazzeggiare – insomma, quella volta Davide, aspettando che Mario passasse a prenderlo, mi disse che in realtà per lui la fine del mondo c’era stata eccome.
E io ho capito cosa intendeva solo perché la mia, di fine del mondo, aveva già avuto luogo. Nel 2010.

*

- Per favore, per favore! – sussurrai a Simone, mentre lui faceva cenno a Lorenzo di aspettarlo un attimo, - Ho bisogno di stare fuori casa, stanotte! Ho detto a tutti che avrei fatto centro con la bionda dell’altra volta all’Hollywood! Non posso-
- Senti, Alen. – roteò gli occhi lui, esasperato, - Non è colpa mia se la gallina ti ha dato buca, okay? Io vivo coi miei, non posso portarti a casa con me! Se proprio non vuoi far sapere a nessuno che il grande Stevanovic, per una volta nella sua vita, non ha inzuppato il biscotto, aspetta che se ne siano andati tutti e chiama i tuoi genitori per farti venire a prendere!
- Ma dai! – insistei, agitato, - Lo sai che c’è un gruppo che si ferma sempre fino a tardi per guardare tutti gli allenamenti della prima squadra! Fino a che ora vuoi farmi aspettare?!
- Simo! – lo chiamò ad alta voce Lorenzo, agitando il casco, - Guarda che devo passare a comprare i pomodori o mia madre mi uccide, ce la diamo una mossa?
- Arrivo, arrivo! – disse sbrigativamente Simone, tornando a guardarmi. – Ale, ascoltami. A me dispiace per te, okay?, dico sul serio. Ma se perdo il passaggio di Lori poi sarò costretto a chiederlo a Mario e… - deglutì profondamente, cercando di trattenere una smorfia, - non ho alcuna intenzione di esserci, quando lui e Davide ricominceranno con la solita menata dei fidanzatini conviventi, ok? Quindi trova qualcos’altro o tornatene a casa. A domani. – e così dicendo sparì dalla mia vista, dirigendosi velocemente verso Lorenzo e raggiungendolo un attimo prima che quello se ne andasse per i fatti propri.
Scopare in giro, dicevo prima, era il mio modo di essere testa di cazzo, ai tempi. Ognuno di noi ne aveva uno suo, personale, il mio era scopare in giro e farlo chiassosamente, di modo che si sapesse. Un giorno sarei stato il mito dello spogliatoio per le mie capacità atletiche, in quel momento mi limitavo ad esserlo per la quantità spropositata di ragazze che m’ero portato a letto. Solo che, per quello stesso motivo, oltre all’ammirazione arrivava a pacchi anche l’invidia, e il rischio di venir preso per il culo vita natural durante per un due di picche era forte. Non so se immaginate quanto possa essere umiliante ritrovarsi in uno spogliatoio con venti diciottenni che ti sfottono come se da questo dipendessero tutte le loro vite. Non è bello. Ecco perché avevo sperato nell’aiuto di Simone, dato anche che ai tempi eravamo molto vicini e dividevamo la stanza in Pinetina, perciò lui era l’unico che, per forza di cose, quando mi andava male veniva a saperlo. Lui teneva questo segreto per me, io evitavo di parlare della cotta di proporzioni mistiche che lui aveva per Davide, ed eravamo entrambi contenti.
Mugugnando deluso e preparandomi ad una nottata all’addiaccio – a costo di restare a dormire fuori dai cancelli, cazzo, non avrei chiamato mamma e papà, non mi sarei fatto venire a prendere e non sarei tornato a casa – raggiunsi il gruppetto di ragazzi che osservava gli ultimi minuti di allenamento della prima squadra.
- Che ci fai ancora qui, Alen? – chiese Mattia con aria furba, - Non dovevi uscire con quella tipa bella come la Hunziker e via così?
- Certo che ci esco. – grugnii in risposta, sferzandolo con un’occhiataccia cattiva, - Più tardi.
- Oooh. – rise ancora lui, per niente convinto, e poi Ricky provò una trivela e la trivela mandò Julio a gambe all’aria, e quindi non ci fu più spazio per me e la possibilità di prendermi in giro, che si perse come una nuvola di fumo in mezzo all’esaltazione che ci dava il solo fatto di poterli osservare così da vicino, questi fenomeni.
Naturalmente, non avevo dove andare. Altrettanto naturalmente, aspettai che tutti fossero andati via e poi mi misi all’uscita, proprio accanto al cancello, a guardarmi intorno con aria sospettosa, preoccupato dall’idea che qualcuno potesse vedermi, mentre con una mano incerta accarezzavo il cellulare riposto all’interno della tasca dei jeans, combattuto fra la mia ostinazione e l’idea tremenda di passare davvero la notte all’addiaccio – non è una cosa che esattamente ti auguri, non agli inizi di novembre e non col freddo che fa da quelle parti in quel periodo dell’anno.
Come a voler coronare una situazione già inesorabilmente di merda, si mise a piovere. Mi bagnai come un pulcino tirando improperi a destra e a manca, cercando con lo sguardo un riparo inesistente senza per questo decidermi a mettere da parte l’orgoglio e chiamare i miei. E poi, la fine del mondo.
- Alen?
Mi voltai a guardarlo. Dejan, da sotto l’ombrello, mi fissava con aria allucinata, le labbra dischiuse e le sopracciglia inarcate verso l’alto.
- Ehm… - cercai di abbozzare un sorriso di circostanza; nonostante la nazionalità condivisa, io e Deki non è che parlassimo poi tanto. Io ero tremendamente in imbarazzo, nei suoi confronti, perché Dejan era, ecco, tutto ciò che avrei voluto essere, nel senso che era uno come me, un serbo, anche se io poi a conti fatti ero nato a Zurigo, e ce l’aveva fatta, era titolare in prima squadra, titolare in nazionale, pluripremiato e trattato da tutti con rispetto. Tutti noi in Primavera avevamo un modello, ognuno lo sceglieva in base alle affinità di gioco, o personali, io avevo scelto lui perché era serbo e perché mi piaceva guardarlo sfondare la difesa avversaria per spingersi in attacco. Non era fantasioso, e non era tecnicamente magistrale, ma era potente e ostinato e pulito. Mi piaceva. – …ciao. – conclusi quindi, deglutendo faticosamente.
- Ma… - riprese lui, guardandosi intorno come a chiedersi dove fossero i miei amici, - ma che ci fai qui da solo, scusa? Sta diluviando, non te ne sei accorto? Sei fradicio! – mi fece notare, il tono stupito di chi si chiede se davvero la persona che ha davanti non si sia resa conto delle svariate ovvietà di cui gli si sta parlando.
- Sì, è che… - balbettai incerto, - ci sono stati dei problemi, e… - cercai di tirare fuori una scusa convincente, ma non ce n’erano ed ero troppo stanco e bagnato per pensare lucidamente, - …e non posso tornare a casa, quindi…
Lui inarcò ulteriormente un sopracciglio, sempre più allucinato.
- Non puoi restare qui. – disse, senza chiedermi perché non potessi tornarmene a casa mia, - Ce l’hai un amico cui chiedere un posto per la notte?
Spostai il peso da un piede all’altro, imbarazzato, e nel movimento le mie scarpe, bagnate fin dentro, scricchiolarono sinistramente.
- …ho chiesto un po’, - mentii, - ma niente. Erano tutti… impegnati. – buttai lì, scrollando le spalle. Dejan annuì, inumidendosi le labbra.
- Senti, - disse, grattandosi la nuca, - …intanto vieni qui sotto, dai. – mi invitò, accennando col capo all’ombrello che reggeva in una mano e sotto il quale mi rifugiai istantaneamente, scuotendomi tutto per cercare di liberarmi da un po’ dei litri d’acqua che il mio corpo dava l’impressione di voler cominciare ad assorbire, neanche fosse stato una spugna, - Piano, mi bagni tutto! – rise lui, divertito, - Comunque, ascolta. Ho un appartamentino ad Appiano, a pochi minuti da qui, per le emergenze. Se vuoi… - scrollò le spalle, - intendo, se per te non è un problema, puoi stare lì per stanotte. – e poi, sorridendo furbo, aggiunse: - Non lo saprà nessuno.
Se non fossi stato così bagnato da gelare perfino nelle ossa, sarei probabilmente arrossito. Fortunatamente rischiavo l’ipotermia, e perciò il commento di Deki si limitò a salvarmi la vita ridando al mio corpo quel minimo di calore sufficiente a sopravvivere ma non abbastanza forte da affiorare alle mie guance.
- Grazie! – annuii agitato, - No che non è un problema, naturalmente non lo è! Grazie! – ripetei ancora, e lui rise passandomi una mano sulla testa come in una mezza carezza, scuotendo ancora un po’ d’acqua dai capelli corti.
L’appartamentino era un bilocale molto grazioso che con l’idea che mi ero fatto di Dejan non c’entrava un accidenti di niente. Guardi lui e pensi a un appartamento enorme e incasinato, perché insomma, Deki è incasinato, fa un sacco di cose assurde, è rumoroso, è sempre in movimento e non è mai aggraziato quando si agita, perciò avevo quest’idea di appartamento con i divani pieni di roba, mucchi di vestiti ad ogni angolo, il letto sfatto, che ne so. Invece niente, era un posto carino con le tende a fiori e le pareti in legno, una cosa molto simile a una casina di caccia, però in versione bilocale alla moda, ecco. Non so se si capisce cosa intendo. Comunque c’era questa grande stanza che era il salotto, col divano e la televisione e tutto, e poi c’era un soppalco, un po’ defilato, nascosto da un paravento con degli uccelli gialli disegnati sopra, dietro al quale s’intuiva un letto di dimensioni modeste ed un altro televisore, più piccino, in un angolo. E poi c’era un bagno, una veranda con cucina e un terrazzino sormontato dallo scheletro di quello che un tempo doveva essere un gazebo, ma del quale era rimasta soltanto la struttura in ferro, pure un po’ arrugginita, perché del tendone non c’era traccia.
- Lo tengo per quando faccio tardi agli allenamenti e sono troppo stanco per tornare a Milano. – mi spiegò, sfilando l’impermeabile ed appoggiandolo all’attaccapanni, lasciandolo poi lì a gocciolare sul pavimento, - Mi spiace se è tutto un po’ fuori uso, voglio dire, non è che ci passi tutto questo tempo. – aggiunse, guardandosi intorno con aria incerta, - Vedi un po’ se funziona la tele, che io cerco se c’è qualcosa da mangiare. – poi si interruppe e mi guardò a lungo, dall’altro in basso, ridacchiando e muovendosi svelto verso una cassettiera vicina al soppalco, - Facciamo così. – propose, porgendomi un pigiama pesante, grigio ed enorme, - Va’ in bagno, fatti una doccia calda, asciugati e metti questo. Io, nel mentre, chiamo Ana e le dico che stasera non torno. E poi ordino due pizze. – concluse con un’altra risatina. – D’accordo?
Annuii senza spiccicare nemmeno una parola.
Non saprei dire se fossi a disagio – d’accordo, ci conoscevamo poco, ma non è che fossi preoccupato dal ritrovarmelo intorno, anche in un contesto così intimo come casa sua. Avevamo condiviso lo spogliatoio, quel paio di volte che il mister mi aveva chiamato in prima squadra per qualche amichevole, giusto per cominciare a fare un po’ di esperienza sul campo, coi grandi, e una volta che condividi lo spogliatoio con qualcuno, soprattutto se quel qualcuno è Deki, che può tranquillamente essere definito spigliato, usando un eufemismo elegante, insomma, il pudore a quel punto diventa un optional anche un tantino idiota, nel senso che pure condividere il letto alla fine è una cosa fattibile. Certo, non ti metti a saltare e ballare in preda all’euforia, ma non ti senti in imbarazzo né fuori luogo, non ne hai motivo.
E quindi, mentre usavo il suo bagnoschiuma e i suoi asciugamani e indossavo il suo pigiama grigio, non è che mi sentissi propriamente in imbarazzo o avessi voglia di andar via, anzi, gli ero grato di avermi trovato un posto in cui stare e di aver rinunciato alla possibilità di passare una serata con sua moglie e i suoi figli, solo per tenermi compagnia.
Non ero in imbarazzo, non ero a disagio. Ero solo agitato.
Quando uscii dal bagno, ancora un po’ umido ed avvolto nel suo pigiama, lo trovai che finiva di sistemare le stoviglie sul tavolo. Le pizze erano già arrivate, aveva preso due margherite semplici e una bottiglia di coca cola, probabilmente cercando di tirare a indovinare cosa potesse piacere ad un ragazzo della mia età, o forse rovistando nei ricordi per cercare di riportare alla mente cosa piacesse a lui quando aveva meno di vent’anni. In ogni caso ci aveva preso, mi sedetti a tavola con lo stomaco che borbottava deliziato, desolatamente vuoto ed impaziente di essere riempito.
Parlammo tranquillamente di un sacco di cose. Di com’era il clima negli spogliatoi della Primavera – “torrido e umido”, risposi, “quando apriamo tutti l’acqua calda sembra di essere nella foresta Amazzonica”, e lui rise divertito – di quanto il mister ci tenesse a coinvolgere noi “piccoli” nel lavoro coi più grandi, di quanto contasse su di noi per costruire per l’Inter un futuro più solido, con prospettive più ampie, e mentre discutevamo di questi argomenti serissimi Deki trovò anche il modo di sdrammatizzare tirandosi addosso mezzo litro di coca cola e bagnandosi tutto come uno scemo, per poi sfilarsi la maglietta e lasciarla piegata in due e appoggiata sulla spalliera di una sedia, continuando a mangiare e borbottando di essere troppo affamato per andarsi a fare una doccia adesso, ci avrebbe pensato poi.
Poi non venne mai, perché dal tavolo ci trasferimmo direttamente sul divano, sazi e ancora ridacchianti per le scenette che s’erano avvicendate a tavola – non solo Deki che si versava addosso mezzo litro di Coca Cola, ma anche io che inseguivo un filamento di mozzarella fin quasi a rovesciare nel cartone tutto il condimento della pizza, o il momento in cui ci accorgemmo che una decina di piccioni stavano litigandosi uno spazietto al coperto sul terrazzino a colpi di becco e ali.
Dejan accese il televisore ma lasciò il volume basso perché preferiva continuare a parlare con me, e perciò lo sciocco programma d’intrattenimento su non mi ricordo che canale scivolò sullo schermo senza che nessuno di noi due vi prestasse attenzione. La pioggia, da fuori, picchiettava sui vetri delle finestre riempiendo la stanza di ticchettii ipnotici che si fondevano col brusio delle risate preregistrate in sottofondo al programma e facevano da colonna sonora al chiacchiericcio incessante di Dejan, che continuava a sciorinare episodi comicissimi degli allenamenti o dei pranzi di gruppo o dei grandi festeggiamenti per gli scudetti o di altre duemila occasioni diverse cui io avevo preso parte solo da spettatore marginalmente coinvolto, e non so cosa successe, non so perché a un certo punto mi sembrasse così naturale appoggiarmi alla sua spalla e socchiudere gli occhi mentre lui mi traeva delicatamente a sé, accarezzandomi distrattamente un braccio. Persi il senso del tempo inseguendo il suono della sua voce – sembrava cullarmi come una ninna nanna, non ascoltavo cose simili da più anni di quanti non potessi contarne con entrambe le mani – ascoltai ogni singola parola vibrarmi nella testa attraverso il suo petto – non mi ero accorto di essermi steso tanto, lui non aveva fatto una piega quando mi ero allungato contro il suo corpo – e quando sollevai il viso, del tutto casualmente, per trovare una posizione più comoda e sciogliere i muscoli intorpiditi da quei minuti di immobilità, trovai le sue labbra come fossero già in attesa delle mie, non protese né alla ricerca di un bacio, semplicemente lì, immobili, vicinissime, e non dovetti neanche sporgermi per riuscire a sfiorarle.
La scarica elettrica che mi percorse tutto lungo la schiena, scalando le vertebre con velocità e furia assassine, fino a risvegliare dal torpore ogni singolo muscolo del mio corpo, mi costrinse a saltare in piedi. Le braccia rigide e larghe lungo i fianchi ed il respiro pesante, restai a guardare Dejan ancora immobile sul divano col cuore che martellava tanto forte nel petto da farmi male. Tumptumptump, era tutto quello che potevo sentire.
- Alen? – mi chiamo Dejan a bassa voce, e io indietreggiai. - …mi dispiace. – aggiunse immediatamente. Io non risposi. Non riuscivo a respirare normalmente, ogni volta che ci provavo mi doleva il petto. Strinsi i pugni con tutta la forza che avevo, gli diedi le spalle e mi mossi senza pensare.
Fuori si congelava. La pioggia era ghiacciata e picchiava con una forza incredibile. Le gocce, grosse e pesanti, mi si schiantavano addosso come chicchi di grandine – o almeno facevano altrettanto male. I piccioni, che prima avevano combattuto tanto per un po’ di posto sotto la grondaia, erano alla fine riusciti ad accordarsi: stretti l’uno all’altro, le penne umide arruffate e le teste incassate fra le ali, si scaldavano a vicenda, incuranti del temporale. Rimasi immobile al centro del terrazzo finché la voce di Dejan non mi scosse ancora, pacata.
- Non volevo spaventarti. – disse piano, - Ti osservo da un po’. – continuò, come dovesse giustificarsi, - Mi dispiace di avere esagerato.
Io non mi voltai a guardarlo. Continuai a fissare i tetti delle case di fronte a me e la pioggia cadere scrosciante, scivolando ovunque in rigagnoli grigiastri, fino a terra.
- Posso avvicinarmi? – chiese Dejan. Io deglutii, prima di annuire, e poco dopo sentii le sue braccia circondarmi le spalle e la sua guancia sfiorare la mia in un gesto tenero e rassicurante. – Hai paura? – chiese a bassa voce, le sue labbra mi sfioravano la guancia ad ogni movimento. Annuii ancora. – Non ti piaccio? – scossi il capo energicamente, e non so nemmeno perché. Quella domanda lui non avrebbe nemmeno dovuto pormela. Era senza senso, fuori luogo ed era anche una pazzia. Eppure scossi il capo, perché la pressione delle sue braccia mi piaceva, perché mi piaceva il suo profumo, perché mi piaceva la sua voce, perché mi piaceva il modo in cui il suo corpo bagnatissimo aderiva al mio. – E hai paura lo stesso. – constatò lui con una mezza risata. – Sai, la prima persona che ha avuto me, poco prima di… insomma, capito, no?, mi disse “la paura è una componente fondamentale. È giusto avere paura”. – sospirò profondamente, allontanandosi da me e spingendomi a rigirarmi fra le sue braccia, fino a potermi guardare dritto negli occhi. I capelli fradici gli si erano appiccicati alla fronte e alle tempie, le sue ciglia erano talmente bagnate che sembrava avesse appena finito di piangere, ma i suoi occhi erano scuri e tranquilli e brillavano di determinazione. – Io credo che sia vero.
Mi baciò lentamente, quasi esitando, ed io vorrei poter dire che risposi perché ero confuso e stanco e stordito, ma tradirei troppo di ciò che sono, tradirei troppo di quella sera – tradirei troppo Deki – se solo mi azzardassi a dire una bugia simile. Risposi perché lo volevo. Risposi perché era abbastanza vicino da permettermi di farlo, risposi perché la sua pelle bagnata scivolava bene sotto le mie dita, risposi perché la sensazione che mi dava la sua lingua intrecciandosi con la mia ed accarezzandola lentamente era impagabile. Risposi perché non mi ero mai sentito così con nessuna delle ragazze con cui avevo scopato – e so che è un cliché, ma non ho mai detto di essere meno banale degli altri.
Avrei dovuto avere l’impressione di stare facendo qualcosa di tremendamente sbagliato, lasciando che mi spingesse contro una parete e mi accarezzasse lento lungo i fianchi e il torace, ma non sembrava niente del genere. Sembrava solo giusto – era piacevole. Continuai a farmi accarezzare dalla pioggia, dalle sue mani e dalle sue braccia, finché non furono quelle stesse braccia a riportarmi dentro e stendermi sul divano.
- Il letto è lontano. – disse Deki, scivolando con le labbra lungo il profilo del mio collo, - Ma non potevamo restare là fuori.
Risposi con un mugolio, e fu tutto ciò che riuscii a dire anche dopo – mentre Deki mi sfilava il suo pigiama ormai fradicio e lo lasciava ricadere a terra, mentre baciava ogni centimetro del mio corpo come volesse conservarne per sempre in memoria una traccia, mentre disegnava sui miei fianchi l’impronta delle proprie mani stringendo come se volesse renderla indelebile, mentre si sistemava fra le mie gambe e mi accarezzava svelto, cercando di distrarmi, mentre entrava dentro di me uccidendo il mio gemito di dolore in un bacio più profondo e rovente degli altri, mentre spingeva e ansimava e mi teneva stretto e io chiudevo le palpebre con tanta forza da vedere bianco, non dissi una parola. Solo quel mugolio, e nient’altro. Ricordo ancora il suono preciso che fece la mia voce quando sfilò impalpabile fra le mie labbra e si perse sulle sue. Mmhn. Mi chiedo se anche Deki lo ricordi ancora.

*

- Ehi! – mi saluta Mario, battendomi una poderosa pacca sulla spalla mentre finisco di raccogliere le mie cose nel borsone, - Come va? Sei in partenza?
- Ciao. – rispondo io con un sorriso, - Sì, Mihajlović mi ha convocato per l’amichevole di venerdì. Ci puoi credere?
Mario ride divertito, annuendo lentamente.
- Ci credo sì. Congratulazioni. – poi si guarda intorno curioso, quasi circospetto. – Davide? – chiede quindi, chinandosi appena verso di me, come non volesse farsi sentire da altri. Io sospiro pesantemente, rilassando le braccia lungo i fianchi.
- Il mister gliene sta dicendo di tutti i colori da almeno mezz’ora.
- Andato male l’allenamento? – indaga, mordicchiandosi un labbro.
- Diciamo che avrebbe potuto essere più brillante. – rispondo io con un altro sospiro. – È successo qualcosa fra voi? – chiedo quindi, cercando di essere discreto e di scrutare una risposta negli occhi di Mario prima che debba essere lui a darmela. Non faccio in tempo, comunque.
- Succede sempre qualcosa, fra me e Davide. – ride, con un pizzico di rassegnazione. – E temo che mi toccherà aspettare parecchio, se ricordo ancora come striglia il Mou.
Rido anch’io, e ci sediamo entrambi su una panchina. Le nostre risate riecheggiano ovunque nello spogliatoio vuoto, ed io temo di essere già in ritardo.
- Ti penti mai di essertene andato? – chiedo a bruciapelo, guardandolo di sottecchi. Mario fissa dritto davanti a sé, serio.
- Te lo ricordi Ibra? – ribatte invece di rispondere. Io annuisco, mentre nella mia mente si forma il profilo di un giocatore col quale ho potuto confrontarmi solo da avversario, da quando gioco seriamente a calcio, - Quando è andato via lui, gli ho fatto la stessa domanda. Non erano passati nemmeno tre mesi, ci siamo incontrati qui a Milano per la prima partita del girone di qualificazioni di Champions. Sembrava felice di giocare in blaugrana, ed io allora ero molto meno felice di vederlo con quel colori addosso. – scrolla le spalle, - Ero giovane e ancora piuttosto ingenuo, nonostante tutto. Comunque, gli feci la stessa identica domanda di fronte al succo di frutta che aveva insistito per offrirmi nonostante mi fossi lagnato per un’ora di volere una birra.
- E lui che rispose? – rido io, divertito. Mario sorride.
- Rispose che l’unica regola che aveva sempre seguito nella sua esistenza era stata quella di agire senza mai doversene pentire in futuro. In pratica, fare qualcosa solo quando si è certi di volerlo davvero con tutte le proprie forze.
- Ma non pensi mai a cosa hai lasciato? – insisto io, gesticolando, - Anche fra te e Davide-
- Sai, - mi interrompe lui, alzandosi in piedi con un sorriso e guardandomi dall’alto, le mani sui fianchi e le gambe semidivaricate in una posa sbruffona che gli ho visto spesso addosso sia in partita che fuori dal campo, - io credo che il punto della partenza non sia tanto cosa lasci quando vai via, ma cosa trovi quando torni. Intendo, - scrolla brevemente le spalle, - se torni e ci sono ancora le stesse identiche cose di quando sei partito, sei a casa. E magari prima di partire non lo sapevi nemmeno.
Schiudo le labbra, incerto.
- …non capisco. – mi arrendo con l’ennesimo sospiro, - Cosa c’entra?
Mario ride ancora, come mi stesse prendendo in giro – e probabilmente lo sta facendo davvero.
- Il Barça – dice, apparentemente senza un senso preciso, - non vince da quasi cinque giornate, sai? E io – ridacchia, - ho quindici gol all’attivo solo in campionato, ed un contratto che scade a giugno. – sorride più apertamente, mentre io spalanco gli occhi, - E gennaio è alle porte.
- Cosa?! – strillo, scattando in piedi, mentre Mario ride più forte, - Scherzi! Non scherzi?! – scoppio a ridere anch’io, - E Davide lo sa?
- No! – continua a ridere Mario, - E non dirglielo. Tanto, vedrai, litigheremo anche per quello. Sembra tanto pacato e remissivo, ma è una piaga sociale ed è anche più ostinato di un mulo. Vedrai che arrufferà le penne più adesso di quanto non abbia fatto quando sono andato via.
- Incredibile! – commento con un altro sorriso, - Solo che… insomma, - inarco un sopracciglio, - capisco perché stai tornando tu, voglio dire, seguendo il discorso di prima e quello che trovi tornando… ma Ibra?
Mario si lascia andare a un sorriso furbo, e quando il mister fa irruzione nello spogliatoio urlando e sbraitando chiedendoci cosa diamine ci facciamo ancora qui e perché il nemico si sia intrufolato nello spogliatoio, ride perfino più apertamente. Mario non risponde, suppongo che dovrei aver capito qualcosa, ma qualunque cosa sia mi sfugge. Solo che adesso sono in ritardo sul serio, quindi non ci penso più.

*

Siniša Mihajlović è identico a come lo ricordavo. L’ultima volta che l’ho visto stava accanto al mister e mi guardava con aria interessata. L’unica cosa che Mourinho ha voluto dirmi, in seguito a quel colloquio, è stato un “mi toccherà ricominciare a combattere per tenerti in squadra” condito da un sospiro esasperato che mi ha divertito parecchio. Meno di un mese dopo, la convocazione. È stato Davide a spiegarmi per sommi capi cosa l’allenatore intendesse con quelle parole, la minicronistoria del suo odio nei confronti delle nazionali maggiori mi ha divertito anche più del suo sospiro. Mi sono sentito molto lusingato, e mi sento così ancora adesso, mentre Mihajlović sorride e mi batte una bacca compiaciuta sulla spalla.
- Ce l’hai fatta, alla fine, - mi prende in giro, e parla in italiano perché sa che è la lingua che conosco meglio, - a liberarti dalle grinfie del demonio ed arrivare. – rispondo con una mezza risata, annuendo distrattamente. – Hai paura? – mi chiede quindi, con un sorriso un po’ storto.
Io resto in silenzio per qualche secondo e ascolto il battito del mio cuore. Tumptumptump.
- Sì. – rispondo quindi, e la voce mi trema un po’.
Mihajlović, comunque, sorride.
- La paura è una componente fondamentale. – dice, - È giusto avere paura.
Tumptumptump dice il mio cuore, saltandomi in gola.
Quando rispondo, non so come faccia la voce a passare.
- Cercherò di ricordarmelo.