rp: helena berg

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: PG
AVVISI: Slash, Fluff.
- La mattina del dieci dicembre duemiladodici, Brian apre gli occhi e si ritrova avvolto in un centinaio di strati di coperte calde ma desolatamente solo nel proprio letto. Una tale mancanza di rispetto nei confronti della sua palese vetusta persona non può restare impunita. Peccato che Matthew sia irraggiungibile, e che pertanto a fare le spese per la sua insubordinazione sia tutto il resto del mondo.
Note: Tanti auguri, Brian \*O*/ Sì, lo so, il compleanno di Brian era l'altroieri, ma io ho bisogno di tempo per scrivere, specie da quando non riesco più a scrivere flashfic ed ogni storia approfitta di qualsiasi pretesto per diventare spropositatamente lunga XD
Comunque u.u Niente, in realtà questa fic non nasce da nessuna ispirazione precisa, semplicemente ad un certo punto l'altroieri ho cominciato a sentire Brian parlarmi nella testa come non accadeva da un po', e questo è il risultato ♥
Scritta per la Maritombola @ maridichallenge con prompt #15 (X e Y hanno una relazione a distanza), e sul prompt #41 (Ed è bello) della 500themes_ita.
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Matthew aveva avuto quantomeno la decenza di presentarsi a casa il ventiquattro novembre senza por tempo in mezzo, questo Brian doveva riconoscerglielo. Non che ciò valesse in alcun modo a migliorare la sua posizione, considerando la situazione contingente che eliminava a priori qualsiasi possibilità di attenuanti applicabili, ma era giusto ricordare il particolare, fosse anche solo per darsi un singolo motivo al quale pensare quando l'avrebbe avuto nuovamente per le mani e si sarebbe trattato di decidere se lasciarlo in vita o terminare la sua patetica esistenza.
Il ventiquattro novembre mattina si era puntualmente fatto trovare sullo zerbino rosa a macchie leopardate fucsia che aveva preteso di scegliere personalmente quando avevano affittato l'appartamento ed erano di conseguenza dovuti andare all'IKEA per acquistare la relativa mobilia-barra-articoli di arredamento. Brian - imbottito di antibiotici per cercare di tenere a bada la tonsillite ricorrente contro la quale combatteva ormai da mesi, ed avvolto in una sciarpa arrotolata sei volte intorno al collo ed in una felpa larga almeno un paio di taglie in più rispetto alla propria - l'aveva accolto con la migliore fra le proprie espressioni affatto impressionate, come se, per Matthew, trovarsi lì quella mattina fosse il minimo da fare per non incorrere in qualche orrenda punizione divina coinvolgente mutilazioni e dannazioni eterne, cosa che peraltro corrispondeva al vero. Il suo sguardo di ghiaccio non s'era ammorbidito neanche quando Matt aveva piegato le labbra nel suo solito sorriso un po' triste e carico di scuse, ed aveva sfilato da sotto il cappotto una scatola di cioccolatini al liquore.
"Sorpresa," aveva abbozzato, e Brian aveva inarcato un sopracciglio, scostandosi dall'uscio per lasciarlo passare.
Ad onor del vero, bisognava riconoscere che le successive due settimane (tralasciando l’incidente relativo al Buddha in giada imperiale che era accidentalmente caduto sul piede di Matthew fratturandogli un dito, incidente col quale Brian negava recisamente di avere alcunché a che fare nonostante sia lui che Matthew sapessero perfettamente che non era così) erano state per Brian probabilmente le migliori in un lungo periodo in cui non avevano fatto che succedersi settimane peggiori, e bisognava riconoscere nondimeno che gran parte del merito per questo improvviso ed inopinato miglioramento andava senza dubbio attribuito a Matthew, il quale, preso atto della generica cattiva disposizione del proprio compagno rispetto al mondo circostante, invece di afferrare le proprie rachitiche stampelle e fuggire in Australia col primo volo disponibile, aveva ingoiato il rospo, smesso i panni del frontman di fama mondiale col gesso al piede ed indossato quelli della diligente infermiera devota per prendersi cura del proprio uomo depresso e malaticcio, cosa che, lentamente ma inesorabilmente, era riuscita a disciogliere lo spesso strato di ghiaccio attorno al cuore della Regina Checca delle Nevi, come Dom amava chiamarlo quando si riferiva a lui, rendendolo meno uggioso e più genericamente ben disposto, almeno nei confronti della sua persona.
Naturalmente, al punto in cui si trovava Brian quando, la mattina del dieci dicembre, si risvegliò, sommerso dai sei strati di coperte in differenti tessuti e a differente densità all'interno dei quali Matthew si era premurato di imbozzolarlo la sera prima dopo averlo imbottito di pasticche colorate e vomitevole tè bollente alla pesca nana del Madagascar, niente di tutta questa storia pregressa di amorevoli cure ed affezionate attenzioni aveva più un valore. La parte sinistra del letto era vuota e non c'erano crediti precedentemente accumulati che potessero rendere questa realtà meno offensiva o irritante.
Tirando rumorosamente su col naso, Brian strisciò all'esterno del caldo bozzolo, pentendosene all'istante e decidendo pertanto molto saggiamente di tornare indietro e nascondersi nuovamente sotto le coperte, impegnandosi il più possibile ad aggrottare le sopracciglia ed arricciare le labbra in un broncio impietoso. Lasciando emergere dalle coperte solo un braccio, come fosse un periscopio, recuperò a tentoni il cellulare abbandonato sul comodino e, pur sapendo già perfettamente cosa aspettarsi, provò a chiamare Matthew. La voce femminile impersonale ed anche vagamente antipatica della segreteria telefonica lo invitò gentilmente a riprovare più tardi o lasciare un messaggio dopo il bip, e lui, altrettanto gentilmente, la mandò a quel paese e poi chiamò Helena per la quotidiana telefonata mattutina a Cody. Cercava di andarlo a trovare il più spesso possibile - giornalmente, in periodi come quello in cui non era in tour e neanche impegnato ventiquattro ore su ventiquattro in studio - ma Helena gli aveva espressamente proibito di avvicinarsi a suo figlio - che da lui, oltre alle guance da criceto, aveva ereditato anche la salute particolarmente cagionevole - quando era ammalato.
Ad Helena bastarono venticinque secondi di conversazione per scoppiare in una risata divertita e sussurrargli "Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, vero?". Al colmo del disappunto, Brian tirò su col naso un'altra volta e borbottò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi fra le coperte.
- Cosa te lo fa pensare? - biascicò poi, cercando di sbirciare all'esterno del letto per capire che ore fossero.
- Non lo so, hai sempre quel tono di voce lì, quando sta qualche giorno e poi se ne va. - rise ancora Helena, - Oggi, poi, sembri particolarmente di malumore.
- Be', ti sbagli. - sbottò lui, - Matthew è qui e sta preparando i pancake per colazione. Mi ha promesso di metterci sopra lo sciroppo d'acero e portarmeli a letto, e se sono di malumore è solo perché sto diventando sempre più decrepito e brutto.
Helena rise ancora, divertita. Brian la immaginò scuotere il capo con aria a metà fra l'intenerito e l'incredulo mentre preparava una tazza di latte e cereali per Cody, e si concesse un sospiro stanco e vagamente nostalgico.
- Ovviamente non c'è nulla di vero in quello che hai appena detto. - commentò quindi, mentre Brian sbuffava ancora.
- Niente a parte il fatto che divento sempre più decrepito e brutto. - confermò lui, arreso, fra le risate divertite della sua ex. - Ma la pianti? - la rimproverò, fingendosi molto più offeso di quanto in realtà non fosse, - Hai il cuore di pietra, giuro. Cody?
- In arrivo. - lo rassicurò lei, allontanando la cornetta. "Cody, di' ciao a papà," la sentì raccomandarsi dolcemente col figlio a distanza.
- Papà! - strillò Cody, entusiasta, afferrando il telefono e fuggendo in un'altra stanza come faceva sempre quando parlava con suo padre, geloso di quei momenti d'intimità che solo a fatica riusciva a strappare dalla vita concitata dalla quale Brian non sembrava mai in grado di prendersi una pausa, - Tanti auguri!
- Grazie, piccolo. - rispose Brian in una mezza risata, accoccolandosi meglio fra le coperte, - Pronto per andare a scuola?
- Sì. - annuì lui, e poi Brian lo sentì come interrompersi all'improvviso per riflettere. - Zio Matthew è andato via senza farti gli auguri, vero? - domandò quindi, con l'aria di uno che chiede per scrupolo ma in realtà non ha alcun bisogno di sentirsi confermare a viva voce qualcosa che sa già essere vera.
- Che? - sbuffò Brian, spalancando gli occhi, - Ma da cosa l'hai capito?
- Boh, parli diverso quando se ne va. - rispose Cody con la massima naturalezza. Poi, dissipata la propria curiosità, tornò all'argomento principe della giornata. - Ti ho comprato un regalo! - annunciò felice, - Con la mia paghetta. - precisò con una punta di orgoglio.
- Davvero? - sorrise Brian, rigirandosi su un fianco.
- Sì! - confermò Cody, - Quindi guarisci presto, così posso dartelo.
- Va bene. - annuì Brian, compiaciuto, - Sono curioso di sapere--
- E' una borsa dell'acqua calda! - disse precipitosamente Cody, impaziente di rivelare al padre cosa avesse comprato per lui, - Così puoi dormire al caldo e smettere di ammalarti così spesso. - precisò, compiaciutissimo della propria scelta saggia ed evidentemente brillante.
Brian rise, scuotendo il capo con aria rassegnata.
- Va bene, tesoro. - concluse, - Ora vai a scuola. E ricorda da parte mia a mamma di rispiegarti di nuovo il concetto del regalo e della sorpresa.
- Papà, sei un cretino. - borbottò Cody, offeso, porgendo nuovamente il telefono ad Helena e correndo via per non perdere l'autobus per la scuola.
- Brian? - il sorriso perenne ed evidente nella voce di Helena lo investì come un'onda anomala di tepore improvviso, avvolgendolo tutto e costringendolo a propria volta ad un sorriso simile, - Che gli hai detto?
- Che dovevi rispiegargli il concetto dei regali e della sorpresa.
- Sei un cretino. - rise Helena, - Era solo impaziente di fartelo sapere. Sei contento?
- Estatico, - rispose Brian, accentuando ancora quel tono di offesa che si era ormai del tutto dissipato, - mio figlio mi ha appena confessato di avermi regalato una borsa dell'acqua calda, neanche fossi un nonnetto ottuagenario. Sono così depresso che penso mi trasferirò sul divano a guardare repliche di Dynasty ingozzandomi di cioccolatini.
- Bel modo di festeggiare i quaranta. - concordò Helena in una risata. - Cerca di rimetterti, piuttosto. - aggiunse più dolcemente, - A presto.
Dopo averla salutata, Brian si concesse altri cinque minuti sotto le coperte, prima di cominciare ad accorgersi di tutta quella serie di familiari doloretti ossei che avevano cominciato a tormentarlo recentemente quando si attardava a letto troppo a lungo. Sbuffando contro l'età e contro la ribellione ingiustificata del suo vecchio corpo, si costrinse a scivolare in una lagna infinita fuori dalle coperte, recuperando un plaid a scacchi dalla poltrona vicina e trascinandosi faticosamente verso il divano, fra le rassicuranti morbidezze del quale si lasciò sprofondare con un ennesimo sbuffo contrariato prima di avvoltolarsi la coperta attorno alle spalle.
Chiamare Stef non rappresentava niente di diverso rispetto al passaggio logico immediatamente successivo a tutta questa indecorosa fatica, motivo per il quale Brian si decise a non frapporre più la barriera della propria volontà fra se stesso e la telefonata, ed afferrò nuovamente il cellulare, schiacciando con forza il numero uno ed aspettando che l'autodialer facesse il resto.
- Pronto? - rispose la voce sempre pacata e compassata di Stef dopo non più di un paio di squilli.
- Stef. - cominciò Brian con aria grave, - Mio figlio mi ha comprato una borsa dell'acqua calda per il compleanno.
- Ossignore. - sbuffò Stef, passandosi una mano sulla faccia in segno di anticipata stanchezza rispetto alla conversazione che doveva ancora avere luogo, - Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, vero?
- Che? - sbottò Brian, sconcertato, - Ma cosa c'entra?! Ma mi ascolti? Ti ho detto una cosa molto precisa. Mio figlio--
- Sì, ma è evidente che Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, - insistette Stef, - E tu sei incredibilmente contrariato da questo fatto.
- ...be', sì. - ammise Brian, piegando le labbra in un broncio carico di disappunto, - Sì, se proprio vogliamo dimenticarci che oggi compio mille anni e questo sarebbe già un motivo più che sufficiente per essere contrariato, Matthew se n'è andato senza farmi gli auguri e questo mi rende ancora più contrariato, contento? Come hai fatto a capirlo?
- Non lo so, - rispose Stefan, quasi stupito dalla domanda, come non avesse mai pensato di potersi chiedere una cosa del genere, - E' qualcosa nella tua voce, quando se ne va c'è sempre.
- Ma piantala. - sbuffò lui, - Comunque non c'è. Se n'è andato. Ieri sera! Non ha neanche aspettato la mattina. E' fuggito via nella notte come un delinquente. Potrei denunciarlo.
- Per cosa, lesa maestà? - domandò curiosamente Stefan.
- Zitto! - lo interruppe Brian, urtatissimo, - Non capisci la gravità della situazione?
- Brian, i Muse sono in concerto ad Helsinki, stasera. - cercò di ragionare Stef, mentre Brian lo immaginava pinzarsi la radice del naso e fissare il soffitto con aria supplice, invocando un qualche miracolo che potesse salvarlo dalla successiva mezz'ora di conversazione, - Nonostante i tuoi ripetuti tentativi di sabotare il loro tour attentando alla vita del loro cantante nonché tuo fidanzato usando enormi Buddha di giada come armi contundenti.
- Queste sono volgari illazioni delle quali non mi curerò nemmeno, e comunque poteva anche partire stamattina! - sbuffò Brian, - Ci sono meno di tre ore di volo, da qui a lì. E poi nessuno mi leverà mai dalla testa che abbia fissato la data di ripresa del tour oggi appositamente per non restare con me il giorno del mio compleanno. - concluse con un altro sbuffo offeso.
- ...certo. - sospirò Stef, - Brian, cerca di riflettere un minimo. Hai dimenticato di prendere le tue medicine?
- Impiccati.
- Scherzo. - rise Stef, - No, dai, sul serio. A parte che le date del tour non le decide personalmente Matthew e non poteva certo dire al tour manager "no, guarda, il dieci dicembre no che se non sto a casa per il suo compleanno il mio uomo si sente trascurato". Ma poi, se davvero avesse preferito andarsi a nascondere in Finlandia proprio oggi, potresti biasimarlo?
- ...non mi piace dove sta andando a parare questo discorso. - sentenziò cupamente Brian, tirandosi su la coperta fin sotto al naso, - Penso che riattaccherò, ora.
- Davvero, Brian. - insistette Stefan, sospirando pesantemente ed ignorando del tutto la sua vana minaccia, - Sono almeno due mesi che fai terrorismo psicologico su quel povero disgraziato. Io per primo non ho ancora capito se questi benedetti auguri per questi benedetti quarant'anni li vuoi fatti o no. E se non l'ho capito io, figurarsi se può averlo capito Matthew, che per carità, ha tanti pregi, ma certamente, quando Madre Natura distribuiva la sagacia, era impegnato a mangiare la sabbia nella piscinetta del parco giochi ed è risultato assente.
Brian sbuffò sonoramente, cercando di trattenere l'impulso di ridere causato dall'immagine mentale che Stefan gli aveva appena regalato.
- E' per questo che non mi hai ancora fatto gli auguri? - domandò quindi, - Perché non hai capito se li voglio o meno?
- Ecco, appunto. - sospirò Stef, - Scusa, Brian. Auguri.
- No! - strillò istericamente Brian per tutta risposta, - Non li voglio! Cosa c'è da festeggiare in me che mi trasformo lentamente in Matusalemme?!
- Ma vedi? Vedi?! - strillò anche Stefan, nella voce la stessa sfumatura isterica che colorava anche quella di Brian, - Sono due mesi che ti comporti così! Se provavamo ad organizzare qualcosa per il tuo compleanno sbuffavi subito che non c'era niente da festeggiare, se rinunciavamo ti offendevi perché avevamo rinunciato troppo in fretta e non ti sentivi abbastanza considerato, e ti stupisci davvero che Matthew preferisca fuggire al circolo polare artico piuttosto che restare lì a farsi trattare malissimo solo perché non ti piace invecchiare e puntualmente quando ti accorgi che sta accadendo diventi isterico?!
- Io non sono per niente isterico! – strillò Brian, dimostrando quindi di esserlo eccome, - E sai cosa ti dico? I tuoi auguri ed anche i tuoi rimproveri non richiesti te li puoi anche tenere per te!
- Bene! – strillò anche Stef, - Non chiedo altro! Arrivederci!
- Addio! – rispose Brian, alquanto drammaticamente, prima di interrompere la chiamata con la stessa violenza con la quale avrebbe schiacciato uno scarafaggio orrendo se se lo fosse trovato di fronte sul ripiano della cucina e poi, non contento, lanciando il telefono sull’angolo opposto del divano, augurandosi di non rivederlo mai più.
Tutto quel movimento e tutta quella concitazione avevano avuto un solo effetto sul corpo di Brian, naturalmente negativo, perché non esisteva fenomeno naturale, atmosferico o emotivo che non avesse effetti negativi sul corpo di Brian: gli avevano fatto venire fame. Gorgogliando con estremo disappunto, Brian strisciò giù dal divano, avvolgendosi nella coperta per trascinarsi stancamente in cucina. Aveva bisogno di qualcosa di caldo, morbido e dolce, per cui decise che avrebbe preparato una camomilla ed avrebbe dunque passato la successiva mezz’ora ad inzuppare biscotti finché non fossero diventati morbidi abbastanza da poter essere ingeriti anche dal suo organismo palesemente secolare.
Si fermò sulla soglia della porta, però, notando un bigliettino – in realtà un quadrato di carta strappato da una pagina di un quaderno a quadretti – appeso alla maniglia con lo scotch. Lo staccò per portarlo più vicino al viso e poterlo leggere più agevolmente. Il biglietto, nella calligrafia incasinata ed onestamente indecorosa per un ultratrentenne che Matthew si ostinava a conservare neanche fosse un tratto distintivo della propria personalità, recitava: “Dunque, siccome siamo stati insieme senza praticamente mai vedere nessun altro due settimane e nonostante questo non sono riuscito ad assorbire per osmosi se volessi ricevere gli auguri ed un regalo per il compleanno o meno, io per non saper né leggere né scrivere il regalo te l’ho fatto, però poi sono anche fuggito in Finlandia dove non potrai farmi alcun male se la cosa non dovesse andarti a genio. Scusami, Bri, io ti amo ma amo anche le mie gambe, i miei piedi e in generale tutte le varie parti del mio corpo. Sono fuggito per autoconservazione.
Comunque, il regalo è oltre questa porta. Buon compleanno!”
Inarcando un sopracciglio e sbuffando dal naso, Brian appallottolò il bigliettino e lo ficcò senza riguardi in una delle tasche anteriori della felpa, spalancando la porta della cucina con un calcio e preparandosi a ritrovarsi sotto gli occhi quello che ovviamente sarebbe stato il regalo di compleanno più orrendo che si fosse mai visto da quando l’uomo aveva inventato l’usanza di regalare cose brutte ed inutili alla gente per festeggiare un fatto che non aveva alcun diritto di essere festeggiato, e poi, altrettanto ovviamente, si immobilizzò sulla soglia, gli occhi spalancati, le labbra dischiuse in segno di sorpresa, una miriade di fiori multicolori ad incontrare il suo sguardo ovunque lo guardasse.
- Oddio… - mormorò, muovendo un paio di passi incerti all'interno della stanza, - Oddio.
Matthew aveva spostato il tavolo per la prima colazione al centro esatto della cucina, cosa che, in qualsiasi altro momento, non gli avrebbe fatto guadagnare altro che una strigliata e possibilmente un paio di scapaccioni molto forti dietro la nuca. Non in quel momento, però, specialmente considerato il fatto che, sul ripiano del tavolo, campeggiava il portatile personale di Matthew, aperto ed acceso da chissà quante ore, peraltro. Sullo schermo, un video in attesa di partire ed un altro quadratino di carta a quadretti attaccato con lo scotch, con sopra scritto "pigia play!".
In estatico, quasi ascetico silenzio, Brian prese posto sulla sedia addobbata con un cuscino a forma di cuore che Matthew aveva sistemato proprio davanti al computer ed avviò il filmato. Per i primi tre o quattro minuti non si vedeva altro che Matthew che cercava di spostare il portatile in modo da inquadrarsi in maniera appena passabile, il tutto condito da una sequela di imprecazioni e insulti talmente buffi che, nonostante il mal di gola, Brian non poté fare a meno di ridere di gusto.
Dopodiché, intorno al quinto minuto di registrazione, il vero e proprio video d'auguri ebbe finalmente inizio.
"Ehi. Ciao. Buon compleanno!" diceva Matthew, agitando la manina oltre lo schermo, "Lo so che sei arrabbiato con me, avrei dovuto restare, ma mi facevi paura. Smettila di farmi paura, Brian. Perché devi sempre farmi paura? Ma poi, perché il tuo compleanno deve essere sempre una cosa così complicata? Io invecchio esattamente come invecchi tu, ma non faccio tutte queste storie, ogni anno."
Brian lo osservò interrompersi e poi schiarirsi imbarazzato la gola, come potesse osservarlo aggrottare le sopracciglia in reazione alle sue ultime parole.
"Ma sto andando fuori tema!" riprese a chiacchierare quindi, sollevando entrambe le mani in un gesto esageratamente gioioso. "Niente, dunque. Ho pensato a lungo a cosa regalarti per il compleanno, ma la verità è che sei troppo complicato per me. Okay? Lo ammetto candidamente. Non riesco a starti dietro. Per cui, visto che non ti manca niente e regalarti uno stupido orologio o uno stupido dolcevita mi sarebbe sembrato ridicolo, ho pensato di riempire la cucina di fiori e girarti un video. Anche perché tu gli orologi non li usi che ti danno fastidio al polso, e i dolcevita figurarsi, che metti magliette con lo scollo a v fino all'ombelico anche in pieno gennaio. Ho pensato, magari i profumi dei fiori gli liberano le vie respiratorie - aromaterapia! - e il mio video lo mette di buon umore - Matthewterapia! - per cui mi è sembrata la scelta più sensata," Brian lo osservò arricciare le labbra in una smorfia pensosa e grattarsi il mento con ponderazione, "Mi sovviene adesso che forse non è una scelta tanto sensata, ma mi è sembrata carina, sul momento. Meno male che sono in Finlandia."
- Meno male che sei un cretino e non posso prenderti a pugni perché sarebbe come perpetrare atti di crudeltà contro gli animali! - rise Brian, assestando un colpetto vagamente affettuoso sul fianco del portatile e poi incrociando le braccia sul tavolo ed appoggiandovi sopra il mento per continuare a guardare lo schermo con aria sognante, mentre Matthew continuava a parlare.
"Insomma, niente, volevo solo dirti che sono felice che stai invecchiando. Cioè, sono felice che stiamo invecchiando. Insieme. Nel senso che è una cosa bella ed io un po' l'ho sempre sognata, cioè, invecchiare insieme alla persona che amo. Che saresti tu. E quindi, boh, niente, tutto quello che spero è di riuscire a rendere il tempo che passa una cosa meno brutta per te, come tu la rendi una cosa meravigliosa per me. Ed ora, visto che palesemente non sono capace di parlare come una persona seria, però so cantare come una persona seria, ecco... ecco," biascicò, allungandosi fuori dall'inquadratura per recuperare una chitarra acustica abbandonata lì di lato, "Buon compleanno, Bri."
Avrebbe voluto risparmiarselo, giusto per fingere di possedere ancora un briciolo di dignità e non avere lasciato che lo stupido folletto dagli occhi azzurri del quale s'era innamorato gliela strappasse tutta di dosso, ma per tutti e cinque i minuti che seguirono, e che videro Matthew impegnarsi in una ridicola quanto adorabile cover di Absolute Beginners per voce e chitarra, Brian non riuscì neanche per un secondo a trattenere le lacrime.
Naturalmente, Stef si aspettava la telefonata che lo raggiunse pochi minuti dopo la fine dello spettacolo, motivo per il quale invece di rispondere al telefono col solito laconico "pronto?" trovò più opportuno rispondere con un semplice ed efficace "vai".
- Sono un cretino epocale. - biascicò Brian, ancora impegnatissimo ad asciugarsi le lacrime.
- E questo ormai non stupisce più nessuno. - sospirò pazientemente Stef, - Quanto è bello il regalo che ti ha fatto, da uno a dieci?
- Venticinque. - ammise Brian in un mugolio intenerito.
- Bene. - sorrise Stef, - Allora chiamalo, uomo orribile che non sei altro.
- Ma non risponde, - si lamentò Brian, - ho già provato!
- Dio mio, devi averlo terrorizzato proprio parecchio.
- Sta’ zitto, non ti ho dato il permesso di prendermi in giro. Proverò a mandargli un messaggio. - concluse lui, annuendo a se stesso con palese eccessivo autocompiacimento.
- Ecco, bravo. - rise Stef, - Fammi sapere poi.
- Seh. - concesse Brian, prima di interrompere la chiamata e restare poi in contemplazione della schermata per l'invio dei messaggi per i successivi dieci minuti. La testa ancora confusa dalla commozione e dalla generica esondazione d'amore che stava colpendo il suo povero cervello vecchio e stanco, si arrese con un gemito alla propria incapacità di trovare qualcosa di divertente e-barra-o spiritoso e-barra-o simpatico da scrivere a Matthew, e pertanto si limitò a scrivere "cretino".
Mattew chiamò puntualissimo pochi secondi dopo, e nello schiacciare il tasto verde per rispondere alla telefonata Brian si concesse un sorriso soddisfatto. Si sentiva già meglio.
Fanfiction a cui è ispirata: "Try Something New" di Happy.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt, BrianxHelena, MattxGaia.
Rating: R - probabile futuro NC-17.
AVVISI: Angst, RPS, Spin-off, Incompleta.
- Un anno è passato dall'ultima volta in cui Matt e Brian si sono visti. Un anno, e sembra non sia cambiato niente. Un anno, e in realtà c'è stata una rivoluzione, dentro di loro. Rivedersi è davvero la cosa giusta? Matt non lo sa. Sa solo che non può fare a meno di vagare per Hyde Park sperando di incontrarlo.
Commento dell'autrice: Se ne parla alla fine è_é
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TRY SOMETHING BETTER
CAPITOLO 1
SLEEPING WITH GHOSTS

“Don’t waste your time
Or time will waste you”
Muse – “Knights of Cydonia”


In effetti s’era sempre sentito un po’ in colpa per quello che aveva combinato a dicembre, l’anno prima. S’era sempre sentito un po’ in colpa e s’era sempre sentito anche un po’ – molto – vigliacco per quella fuga repentina e ingiustificabile, pretesa e ottenuta con tanti di quegli allucinanti strepiti che aveva sempre avuto paura che Tom e i ragazzi, da quella volta, avessero maturato nelle loro menti un’idea di lui in versione pazzo isterico che di sicuro non giovava alla sua autostima. Se ne accorgeva ogni volta che, ad esempio, Dom o Chris gli facevano un suggerimento a riguardo di qualcosa che avesse scritto: si avvicinavano sempre con timore, premettendo sempre che trovavano il suo lavoro fantastico, prima di dire quello che avrebbero preferito cambiare.
Anche Tom aveva difficoltà a parlare con lui. Al punto che ogni tanto, quando aveva bisogno di fare un qualche cambiamento nelle date dei tour o delle uscite dei singoli, neanche glielo diceva. Si limitava a farlo e poi avvicinarlo con cautela, offrirgli una cena o qualcosa di simile e mormorare “Adesso non ti arrabbiare, Matt, ma ho dovuto modificare questo, questo e quest’altro…”, ricevendo puntualmente in risposta uno stupito “Perché dovrei arrabbiarmi, scusa? Se hai deciso così avrai avuto un motivo, e poi il manager sei tu, sei tu che devi occuparti di queste cose, il mio lavoro è un altro…”, al quale, spesso, seguiva un sorriso imbarazzato e un “No, ma era per essere sicuro che non ti saresti infastidito”, che lui poteva spiegare solo ed esclusivamente come uno strascico della furia che l’aveva preso quando s’era trattato di tornare in studio a registrare coi Placebo.
Né Tom, né Dom, né Chris avevano mai capito. Anche perché, sul momento, sì, non l’aveva presa benissimo, aveva pregato un po’ tutti gli déi dell’universo perché gli concedessero di sfuggire a quella tortura, e s’era lamentato, e aveva protestato, ma era anche eccitato, era anche emozionato, e non vedeva l’ora, dannazione a lui, non vedeva l’ora di rientrare in studio e registrare di nuovo, non… non vedeva l’ora di rivedere Brian…
Per settimane aveva collezionato idee e spunti. E per settimane, i suoi amici avevano assistito stupefatti allo spettacolo sconvolgente di lui che rientrava in albergo, afferrava il cellulare, si gettava sul letto e chiamava Brian, improvvisando conversazioni del tipo “Ho visto questa scena fantastica oggi, per strada, dobbiamo assolutamente infilarla da qualche parte nello studio album, poi!”. Li avevano ascoltati chiacchierare per ore intere con toni che a volte sfioravano il romanticismo, e vagavano da un isterico “Molko, piantala, una buona volta, di dire porcate!” a un trasognato “Sì, anche tu mi manchi… un po’…”, sussurrato a stento, buttato fuori a fatica, coprendo la cornetta con una mano nella speranza che non sentisse nessuno.
Scene quasi surreali.
Cose di cui si vergognava da morire.
Per circa un mese avevano dovuto credere che fra loro ci fosse davvero qualcosa. Che stessero pensando a metter su famiglia o chissà cos’altro.
Dio.
E poi era successo qualcosa. Qualcosa che perfino Tom, malgrado sentimentalmente fosse l’uomo più ottuso del mondo, aveva dovuto capire perfettamente. Ovvero era arrivata Gaia.
Gaia l’aveva… l’unico termine che gli veniva in mente e che potesse, anche se molto vagamente, descrivere la sua situazione, era “sconvolto”. Gaia era stata un vero e proprio tumulto.
Era una loro fan. L’aveva letteralmente assalito all’ingresso dell’albergo nel quale alloggiavano, rischiando di farsi ammazzare dalle guardie del corpo e uscendo dalla rissa con una spalla lussata. Ancora dolorante, quando i ragazzi della security l’avevano sollevata e, comprendendo di aver calcato un po’ troppo la mano, l’avevano adagiata su una panchina, chiamando un’ambulanza, la prima cosa che lei aveva mormorato, appena lui le era andato vicino per assicurarsi che fosse ancora viva, era stata “Sono felice di averti potuto vedere così da vicino…”. E quando lui, ridacchiando, le aveva risposto “Hai rischiato grosso… la prossima volta che tenti di avvicinarmi sta’ più attenta…”, lei, sempre sorridendo, nonostante la smorfia di dolore che le sconvolgeva le labbra, aveva detto “Se potessi vederti ogni mattina nel mio letto non dovrei più temere per la mia vita”.
Lui era arrossito, sentendosi nello stesso momento attaccato e già sconfitto.
In quel preciso istante aveva capito che era lei, la donna che cercava. Non sapeva nemmeno il suo nome, conosceva soltanto il suo caschetto biondo, i suoi occhi verdi, la sua pelle chiara e il suo fisico minuto. Non conosceva la sua età, non sapeva nulla della sua vita, ma lei era quella donna, la donna di cui aveva spesso parlato a Dom con aria sognante, la donna per lui.
E lei gliel’aveva confermato riapparendo davanti all’albergo il giorno dopo, col braccio ingessato e un adorabile sorriso sul volto.
“Mi chiamo Gaia”, aveva detto, porgendogli la mano, “Scusa se ti do la mancina”.
“Niente”, aveva detto lui, rispondendo al saluto. “Posso invitarti a bere un te? Sai, per scusarmi del comportamento delle mie guardie del corpo, ieri…”.
Lei aveva sorriso ancora, e lui l’aveva trovata angelica.
“Certo che puoi. E sei già scusato, comunque”.
Era cominciata così.
E nessuno ci avrebbe scommesso su un centesimo.
Nessuno tranne lui, ovviamente.
Un mese dopo, già convivevano. Lei era giovane, molto giovane, aveva appena diciannove anni, ma i suoi genitori erano due persone molto aperte, avevano semplicemente preteso di conoscerlo e sottoporlo a un interrogatorio di un paio d’ore, dopodiché avevano spalancato le braccia e gli avevano affidato la loro bambina con un gioviale sorriso sul volto.
Era stato in quel momento che lui aveva cominciato ad avere paura.
Mancava solo un mese a dicembre. Mancava solo un mese al momento in cui avrebbe rivisto Brian.
E sapeva, perché lo sentiva continuamente, perché parlavano continuamente, sapeva che Brian non era cambiato di una virgola, così come non erano cambiate di una virgola le sue idee su di lui, su di loro.
Ed erano un pericolo.
Perché la sua storia con Gaia era ancora una bambina, era appena nata, era così minuscola e indifesa che lui sentiva il bisogno fisico di proteggerla, avvolgerla fra le sue braccia e impedire al mondo esterno di intromettersi e rovinare tutto.
Ci teneva troppo, per permettere a un altro terremoto di buttare a terra le fondamenta della sua nuova casa.
Perciò, a dicembre aveva semplicemente fatto esplodere un casino. Aveva gridato e strepitato, aveva affermato con convinzione che non gli interessava più nulla di lavorare di nuovo coi Placebo, che la produzione poteva andare a farsi benedire, che non gliele fregava nulla del contratto e poteva anche stracciarlo davanti a tutti, che voleva concentrarsi su sé stesso, che voleva preparare i nuovi pezzi per il nuovo album, che, in definitiva, non se ne faceva più niente.
Avevano protestato un po’ tutti, com’era stato ovvio fin dall’inizio. Dom, soprattutto, s’era infuriato, e avevano litigato come i pazzi per la prima volta dopo tanto tempo. A Dom, come lui stesso gli aveva detto, non fregava niente di quali fossero i suoi problemi personali, non avrebbe dovuto permettersi di impedirgli di passare un altro po’ di tempo con Stefan. E quando lui, protestando, gli aveva detto che comunque di Stefan non gli era mai davvero fregato niente, Dom l’aveva guardato con disgusto e gli aveva semplicemente detto che della vita non capiva un cazzo. Dopodichè l’aveva snobbato per qualcosa come tre settimane e alla fine era crollato e l’aveva “perdonato”.
Lui s’era sentito una bestia insensibile per tutto il tempo.
Soprattutto quando ignorava le chiamate di Brian che tempestavano il suo cellulare.
Ma non era disposto a cedere. C’era troppo in palio. E lui era sempre stato un tipo tenace.
Però, ecco, migliaia di volte, durante quel periodo orribile, avrebbe voluto prendere i suoi amici per le spalle, scuoterli violentemente e urlare “non è che la cosa mi faccia piacere, accidenti a voi, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un contratto, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un rapporto, non è che mi piaccia pensare che non rivedrò Brian mai più, solo ho una paura fottuta che questo possa distruggermi la vita, com’è che non lo capite?, com’è che non lo vedete?, PERCHE’, CAZZO, NON VE NE ACCORGETE?!”.
E forse era per questo che, quando aveva saputo che i Placebo avrebbero preso parte al mega-concerto organizzato a Hyde Park, aveva colto la palla al balzo e, mentendo a chiunque, ci era andato. Gaia non aveva sospettato niente, ma di lei non aveva effettivamente motivo di preoccuparsi, perché quella ragazza si fidava di lui come fosse stato suo padre. Dom, probabilmente, aveva sospettato qualcosa. Infatti gli aveva sussurrato malignamente “Tanto se vai lì ci vediamo, perché io ci sarò sicuramente”.
Fortunatamente, Dom non s’era fatto sfuggire nulla con Gaia. Quello sarebbe stato un problema non indifferente, da risolvere.
Cavolo, poteva vedersi. Poteva vedersi vagare sperduto fra i gruppetti di persone intenti a chiacchierare in attesa dell’inizio dello show. Si prospettava una manifestazione musicale di proporzioni cosmiche, avrebbero partecipato tanti di quei gruppi, tra vecchie guardie ed esordienti, che non riusciva neanche a ricordare tutti i nomi.
Anche se be’, in realtà non è che ci avesse realmente provato a memorizzarli, tutti quei nomi. I suoi occhi avevano individuato i Placebo fra i tanti e il suo cervello aveva provveduto a isolarli dalla massa e cancellare tutto il resto, così non è che fosse rimasto molto spazio per i nomi degli altri.
…era semplicemente patetico.
Era lì per vedere Brian, questo era chiarissimo perfino per lui, che pure aveva cercato di ignorare quella verità per tutto quel tempo, che pure aveva cercato di convincersi fosse solo curiosità, voler vedere come stesse, come se la passasse…
Non voleva incontrarlo, gli faceva ancora troppa paura, ma vederlo, quello sì, anche solo da lontano, anche solo intravederlo, anche solo-
- Carino.
Oddio.
Si congelò sul posto, stringendo i pugni e sentendo un brivido scendergli lungo la schiena fino a fargli tremare le gambe.
Oddio.
*
Qualche minuto prima.

Non che fosse inquieto.
E non che sperasse in qualcosa, ovviamente.
Però Dominic l’aveva chiamato in gran segreto e gli aveva detto che sospettava che Matt pensasse di andare al concerto, magari senza farsi vedere, e allora gli sembrava ovvio provare un attimino d’agitazione in prospettiva, o no?
Insomma.
Matt era… era rimasto una parentesi, nel suo passato. Una parentesi che non si era mai chiusa.
E faceva male, ecco. La situazione sospesa, il pensiero che potesse essere ancora sospesa anche nella testa di quel dannato stupido, oltre che nella sua…
Il desiderio di lasciare che tutto si esaurisse nel tempo passato e sprecato, e quello contrastante e altrettanto forte di tenere il ricordo fisso nella mente, per non perderlo mai di vista.
Scosse il capo, massaggiandosi le tempie con due dita.
È mai possibile essere così emotivi?, si disse, sconsolato, scuotendo il capo come a volerlo svuotare da tutti i pensieri.
Doveva uscire da quel dannato umore. Doveva uscire da quella dannata ragnatela di ricordi e soprattutto doveva smettere di vagare per il parco sperando di beccare Matt in mezzo alla folla.
Cercarlo lo faceva solo stare male. Lo riempiva solo di pensieri riguardo a come si era sentito durante l’anno, e quello che aveva passato, e…
Insomma, era stata sua la colpa. Tutta di Matt. Lui si era limitato a comportarsi come sempre, era sempre stato il solito Brian.
Per quanto poteva immaginare potesse essere stato questo a convincere Matthew a comportarsi come aveva fatto.
Ma aveva fatto in modo che nessuno si preoccupasse per lui, durante quei lunghissimi dodici mesi. A Stef e Steve non aveva voluto dire niente, aveva continuato a comportarsi con naturalezza senza lasciar sospettare come si sentisse in realtà. Con Helena non aveva voluto neanche accennare alla cosa, e anche con Alex non aveva avuto voglia di parlare, sebbene lei fosse stata l’unica a immaginare che tutta la sua allegria non fosse altro che di facciata.
Dannate donne, sempre così sensibili.
Ma lui era sempre stato così, in fondo, no? Preferiva tenersi tutto dentro e sorridere, di giorno, e dormire coi suoi fantasmi la notte. Magari affondare nel cuscino e respirare con forza, fino a farsi dolere i polmoni, strizzando gli occhi fino a vedere macchie bianche vorticargli dietro le palpebre, e poi riaprirli e guardare il buio, e trattenere le lacrime a stento o non piangere affatto, e stringere i pugni attorno al lenzuolo ripetendosi “passerà, passerà”, sapendo perfettamente che non sarebbe mai passata, perché i fantasmi ti si attaccano alla pelle, sono come il tempo, che passa e ti rimane ancorato alle spalle, e ne senti il peso, giorno dopo giorno, e senti il rimpianto dei giorni perduti e ti fa male anche se sei fortunato e trovi qualcuno che ti consoli.
Lui era stato fortunato, in fondo. Aveva trovato Helena. E lei era stata fantastica, e comprensiva, e permissiva, e lui era convinto, fermamente convinto che fosse la compagna perfetta, l’unica possibile. E poi lei gli aveva dato Cody, e Cody era semplicemente la cosa più… più grandiosa che avesse mai pensato di ricevere in dono dalla vita.
Adesso era un padre, era un uomo quasi sposato, era tutto sommato contento. Era maturato, dall’anno prima.
Eppure non riusciva a lasciarsi quello che aveva vissuto alle spalle.
Non sarà una volta sola, aveva pensato dopo quell’unica notte insieme, e invece era esattamente quello che era rimasto. Un errore. Un episodio isolato nella vita perfetta e razionale di Matthew Bellamy; un episodio isolato, e neanche l’ultimo di una lunga serie, anche nella vita caotica e assurda di Brian Molko.
Un bruscolino di polvere.
Un’invisibile crepa nella parete.
Un niente.
E poi sollevò lo sguardo. Lo fece vagare sconsolato fra le migliaia di facce sconosciute che sembravano troppo impegnate ad aspettarsi di vederlo sul palco per guardare oltre ai suoi occhiali da sole e al berretto che indossava e alla sciarpa che gli copriva per metà il viso, e accorgersi che era lui. Lo fece vagare fra gli alberi di Hyde Park, fra le aiuole ben curate e pulite, così tipicamente inglesi, e gli ampi spazi di terreno mattonato, e poi lo fece vagare su, perdendolo nel cielo plumbeo che sembrava nero attraverso le lenti degli occhiali, e quando lo riportò giù Matt era davanti a lui, voltato di spalle, e camminava spedito guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno, e a lui sembrò per un attimo di impazzire di gioia, e si sentì sudare freddo mentre tra i suoi occhi e tutto il resto germogliavano le parole cerchi me?, cerchi me?, dimmelo, se cerchi me, Dio, ti prego, fa che cerchi me…
Tirò un respiro profondissimo. Rilasciò l’aria dalle labbra, e quella si condensò in vapore e si sparse davanti a lui, rendendo l’immagine di Matt opaca e sfumata – che ironia – proprio come quella di un fantasma.
E poi prese di nuovo fiato, e cercò di sorridere.
- Carino. – disse, e fu abbastanza perché Matt si congelasse sul posto, stringendo i pugni e voltandosi a guardarlo.
*
Non lo individuò subito, quando si girò. Ma era sicuro che fosse lì, doveva essere lì, non poteva esserci soltanto la sua voce, perciò guardò meglio e lo vide. Sì, il nanetto imbacuccato in un lungo cappotto nero, con la sciarpa quasi annodata intorno al viso come un terrorista, e i capelli coperti da uno sciocco berretto bianco e nero, doveva essere Brian.
Non sapeva cosa dire, ma non poteva rimanere zitto, perciò sputò fuori un saluto, faticando enormemente per ricordare il giusto ordine delle lettere nella parola “ciao”.
Brian… sembrava a suo agio. Non poteva vedere l’espressione del suo viso, ma la postura del suo corpo – le gambe leggermente divaricate, le mani mollemente abbandonate nelle tasche del cappotto, le spalle sciolte e distese – e in generale la sua disinvoltura naturale e il tono pacato e quasi divertito con cui l’aveva chiamato, lasciavano intendere proprio quello.
Che per lui fosse tutto a posto.
Che incontrandosi dopo un anno lui potesse chiamarlo ancora in quel modo senza sembrare inopportuno.
Questo lo irritava.
Cercò di mostrare indifferenza, mentre il suo cervello ribolliva.
- Che coincidenza. – disse atono, guadagnandosi in cambio una risata tonante da parte di Brian.
- Coincidenza? – chiese l’uomo, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso e guardandolo da sopra le lenti, - Hai uno strano modo di intendere le coincidenze, tu.
- Se credi che ti stessi cercando, sbagli di grosso. – replicò, incrociando le braccia sul petto.
- Sì?
- Sì. Cercavo Dom, so che doveva venire.
Ancora, Brian rise forte.
- Se credi che lui o Stef siano ancora nei paraggi, dato che la prima cosa che hanno fatto rivedendosi è stata saltarsi addosso, allora sei tu quello che sbaglia di grosso. – disse sorridendo candidamente.
Lui si diede dello stupido. Avrebbe dovuto immaginare che una scusa simile non avrebbe funzionato, viste le circostanze.
Rimasto senza parole, totalmente incapace di reggere lo sguardo di Brian – cazzo – fissò la punta delle sue scarpe per una serie infinita di secondi.
Poi l’odore, la consistenza e la temperatura dell’aria attorno a lui cambiarono, e ancora prima di alzare lo sguardo lui seppe che Brian gli si era avvicinato.
- Posso offrirti una birra? – gli chiese l’uomo, gli occhi nuovamente coperti dagli occhiali, scrollando le spalle.
E lui sapeva che era un pericolo avvicinarglisi tanto.
Sapeva che era un pericolo, stare con lui.
E sapeva che era un pericolo anche bere qualcosa con lui.
Ma accettò senza pensarci neanche una volta.
*
Non voleva dargli l’idea che si fosse tenuto informato sul suo conto, durante quell’anno di assenza, perciò non poteva mica cominciare a chiedergli cose del tipo “Allora, ho sentito che finalmente stai mettendo la testa a posto! Com’è essere padre?” sperando che lui pensasse fossero solo informazioni sentite casualmente alla tv o intraviste di sfuggita su un giornale scandalistico.
Brian era scandalosamente portato ad osservare gli avvenimenti come se tutto avesse un perché.
Non ammetteva l’esistenza della casualità.
E Matt sapeva che mentre sorrideva sereno sorseggiando innocente la sua birra, in realtà stava pensando che se si erano incontrati era soltanto perché entrambi lo volevano fortissimamente, e che se lui aveva accettato di farsi offrire la birra era soltanto perché aveva voglia di stare con lui.
Non aveva pensato neanche un momento che avessero potuto incontrarsi per caso e che lui avesse accettato perché non vedeva per quale motivo non avrebbe dovuto.
No, decisamente, se gli avesse chiesto una qualsiasi cosa sulla sua vita privata Brian avrebbe pensato immediatamente che lui si fosse messo a raccogliere informazioni sul suo conto, ritagliare articoli di giornale e fotografie e costruire un altarino alla sua memoria – con candele e tutto – nel seminterrato di casa sua.
Cosa che effettivamente era stato tentato di fare, più di una volta.
Potenza della nostalgia.
Mentre rimuginava su cosa fosse giusto fare e cosa invece dovesse ricordarsi di non fare mai e poi mai, semplicemente Brian terminò la sua birra, sorrise e chiese “Allora, ho sentito che ti sei fidanzato. Sei felice?”.
Lui lo guardò, attonito, la labbra ancora dischiuse e il boccale a mezz’aria davanti al viso.
- Che vuol dire se sono felice?
Lui inarcò le sopracciglia, stringendo le labbra.
- E’ una domanda come un’altra. No?
- Sì, voglio dire… certo che sono felice! Amo la mia ragazza!
Brian sorrise.
- Vedi che non è difficile rispondere?
Che cosa diavolo gli stava succedendo? Non era mai stato così gentile, così ossequioso…
…così distaccato.
Odiava quel sorriso lontano. Odiava quelle domande di circostanza.
E odiava la consapevolezza che se Brian poteva permettersi senza troppi problemi di chiedergli se fosse veramente felice e come stesse con la sua ragazza era perché, evidentemente, lui l’aveva superato, quello che era successo fra loro.
E quindi, forse, in definitiva, quello che pensava troppo, fra loro due, era proprio lui.
Quello ancora spaventato.
Quello ancora attaccato al passato.
Quello ancora in- Dio, era lui, quello.
Abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole nei confronti di tutto il mondo.
- Allora, chi sei venuto a vedere? – chiese Brian tranquillamente, con curiosità, - I Genesis? La reunion sta facendo parlare di sé. Pare che andranno in tour, dopo questo concerto.
- Mh… - disse lui, poco convinto, mentre metabolizzava la sensazione che, con tutto il rispetto per Collins e compagnia, con Brian là davanti dei Genesis gli fregava meno di niente.
- E’ proprio vero che il tempo rinvigorisce i legami, quando sono sinceri, no?
Spalancò gli occhi.
Eccola.
Eccola, eccola, eccola!
La mazzata.
Doveva arrivare, prima o poi.
Stupido, deficiente lui che aveva creduto di averla passata liscia.
Il tempo rinvigorisce i legami sinceri, sì.
E distrugge tutti gli altri.
Capito l’antifona, Brian.

Ora era tutto molto più chiaro, e molto più doloroso.
Brian non era semplicemente passato avanti. Non aveva conservato il ricordo del tempo che avevano passato insieme immergendolo in un barattolino di dolce malinconia. Aveva camminato sui suoi ricordi, pestandoli e riducendoli in brandelli, e poi aveva messo quanto rimasto sott’odio, e lì l’aveva lasciato, a marcire, fino a quel momento.
Ecco cosa c’era dietro ai suoi sorrisi sereni, dietro al suo cortese distacco, alle sue fredde premure.
Quintali, quintali e quintali di schegge di rancore a saltellare impazzite nella sua mente, conficcandosi ovunque.
- Be’, chiunque tu sia venuto a vedere, - concluse Brian alzandosi in piedi, - spero tu rimanga anche fino all’esibizione dei Placebo.
In realtà aveva già visto chi voleva vedere.
Fin troppo.
E se Brian l’avesse saputo gli avrebbe detto tranquillamente che allora poteva andare via.
Ma lui non disse niente, si limitò ad annuire. Brian rispose con un sorriso e poi si voltò per uscire dal locale.
Resistette all’impulso di richiamarlo solo fino a quando non lo vide sulla soglia della porta.
- Brian! – disse a voce alta, attirando gli sguardi degli altri clienti e rimettendoli tutti ai loro posti con una serie di occhiatacce torve.
- Sì? – chiese lui, voltandosi e sorridendo cortesemente.
Matt si sentì avvampare.
- Canterai… canterai la nostra canzone? – chiese infine, imbarazzato, fissando il pavimento.
Brian scoppiò a ridere così forte che lui pensò di aver fatto una battuta.
- Mio Dio, Bellamy: no!