webcomic: gamzee makara

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: fem!Karkat Vantas/Gamzee Makara.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Lemon, AU, Switchgender.
- "Non sarà mai sufficiente. Sarà molte cose, sarà stupido e imbarazzante e ridicolo, e bello, probabilmente bellissimo, un bellissimo ricordo. E forse sarà doloroso, sicuramente sarà piacevole, soprattutto sarà tremendamente ingiusto, ma non sarà mai sufficiente."
Note: L'idea di scrivere questa storia nasce tipo trecento anni fa a causa del tumblr dell'autrice di 4Chords, un'AU comic molto famoso nel fandom di Homestuck ambientato nel mondo reale (al quale l'ambientazione di questa fic deve parecchio, a cominciare da chitarrista!Gamzee). E insomma, sul suo tumblr l'autrice rispondeva ad un po' di domande, ed una di queste domande era, in un ipotetico casting di Homestuck, chi sceglierebbe per dare il volto a Karkat, e lei rispose che avrebbe scelto Vanessa Hudgens. Ecco, io possiedo questo enorme e vergognoso soft spot per la Hudgens, e, insomma, couldn't be unseen. Da qui, il mio desiderio di maneggiare fem!Karkat. Ergo, la fic.
Scritta per 500themes_ita col prompt #44 (Ti desidero), per la wTunes Desires @ diecielode col prompt #09 (Your innocence is mine) e per sconfiggere il malefico Kutz per il dodicesimo round della Zodiaco!Challenge @ fiumidiparole.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
ONLY IF FOR A NIGHT

L’appartamento non lo immaginava così, ma non saprebbe dire se si senta davvero delusa o chissà che. Sentirsi delusa presupporrebbe che in qualche modo lei avesse sperato di poter mai entrare in casa sua, che avesse passato ore, o anche solo qualche minuto, ad immaginare come sarebbe stato oltrepassare quella porta, immergersi nell’oscurità dell’ingresso prima che lui accendesse la luce, o qualcosa del genere. Quando invece, naturalmente, non ha mai sprecato neanche un istante della propria esistenza per fantasticare su una cosa simile.
– Fai come se fossi a casa tua. – la invita Gamzee con lo stesso sorriso con cui le si è avvicinato un’ora fa, che poi era lo stesso sorriso che ha avuto stampato in faccia per tutto il tempo in cui, seduto sul suo sgabello sul palco, dietro al microfono e alla propria chitarra, ha suonato per tutta la gente venuta da ogni parte della città per ascoltarlo. Non è certo una celebrità – Karkat è abbastanza sicura che a Gamzee non interessi diventarlo, o ci sarebbe già riuscito – ma in città, sotto una certa età, lo conoscono tutti.
Il locale era pieno anche stasera. Karkat odia andare a sentirlo suonare nei locali. Odia dover pagare per vederlo, odia soprattutto il fatto che, la prima volta che l’ha visto, non è stata in un locale, ma in metropolitana. Tre anni fa, quando erano entrambi due ragazzini – ancora più di quanto non lo siano adesso, pur considerando la differenza d’età che, a confronto, rende Karkat quasi una bambina rispetto a lui – quando ancora nessuno conosceva il nome di quel tipo assurdo coi pantaloni a pois e il trucco da clown che aveva l’abitudine di attraversare l’intera città più volte al giorno spostandosi con la propria chitarra da un treno della metropolitana all’altro, senza smettere mai di suonare.
Gamzee raramente prende ancora la metropolitana, adesso. Suona quasi esclusivamente nei locali, per cui seguirlo lì ormai è diventata una scelta obbligata, se lo si vuole ancora ascoltare. E Karkat vuole ancora, anche se per tutti quegli anni, prima di stasera, Gamzee non l’ha mai salutata, non ha mai chiesto il suo nome, non l’ha nemmeno mai notata in mezzo alla folla.
– Fai come se fossi a casa tua. – le dice Gamzee, ma non c’è niente di familiare nel corridoio che Karkat attraversa – gli occhi bassi, fissi sulla moquette rovinata che copre il pavimento – senza neanche sapere dove sta andando. Si sente a disagio, anche particolarmente stupida, e non ha la minima idea del perché si trovi qui. O meglio, ce l’ha, ma non sa se lo vuole davvero. Praticamente la stessa cosa.
– Sete? – domanda Gamzee, apparendo sulla soglia con una bottiglia di birra per mano. Karkat solleva lo sguardo su di lui, deglutendo pesantemente, e scuote il capo. Forse un po’ d’alcool le farebbe bene, le darebbe una mano a sciogliersi, se non altro, ma niente, la gola e la bocca dello stomaco sembra che le si siano chiuse ermeticamente. A fatica riesce a mandare giù la saliva, figurarsi qualcos’altro.
Gamzee sorride e porta comunque entrambe le bottiglie di birra con sé quando raggiunge il divano, sedendosi al suo fianco. Beve silenziosamente per un paio di minuti, e per tutto il tempo Karkat tiene gli occhi fissi sul pavimento, torcendosi le mani in grembo mentre sente risuonare la propria stessa voce all’interno della testa in un urlo continuato di insulti misti a imprecazioni misti a consigli sicuramente utili – tipo “alzati e vattene” o “almeno di’ qualcosa” – che naturalmente non sarà in grado di seguire.
– Mi ricordo di te. – dice Gamzee all'improvviso, e Karkat si volta a guardarlo con un sussulto spaventato. Si era quasi abituata al silenzio, al punto che si aspettava che nessuno dei due parlasse più, che semplicemente la serata scorresse via così senza che nulla accadesse fino al momento in cui Gamzee si sarebbe alzato per dirle di sparire.
– Davvero? – gli domanda, fissandolo con terrorizzata curiosità. Ha quasi finito la prima bottiglia di birra, e già lancia occhiate concupiscenti alla seconda poggiata sul tavolino basso di fronte al divano.
– A–ha. – annuisce Gamzee, le labbra piegate in un sorriso evanescente che, se Karkat non fosse completamente cotta di lui, non esiterebbe a definire idiota, e che invece i suoi occhi recepiscono come misterioso e affascinante. – Piccola stalker. – aggiunge poi, il sorriso che si trasforma in un ghigno compiaciuto mentre Karkat arrossisce violentemente, stringendosi nelle spalle.
– Non sono una stalker. – risponde di getto, distogliendo lo sguardo.
Il sorriso di Gamzee si allarga e si addolcisce, mentre le scivola più vicino sul divano.
– Però mi segui ovunque. – dice, – Ti ho notata. Ormai ti cerco con lo sguardo dovunque vado, e quando non ti vedo mi preoccupo. – aggiunge con una risatina.
Karkat si volta a guardarlo ancora, le sopracciglia aggrottate, stavolta, ed un broncio offeso che aleggia sulle labbra.
– Se mi hai sempre notata, perché hai aspettato tutto questo tempo, prima di avvicinarmi? – domanda con risentimento palese nella voce, le mani strette a pugno sulle ginocchia. La urta ed allo stesso tempo la diverte che Gamzee sia esattamente come ha sempre ipotizzato durante i lunghi anni in cui non faceva altro che seguirlo ovunque, limitandosi a guardarlo da lontano. Gamzee sorride continuamente, e dà sempre l'impressione di divertirsi tantissimo, ma mai quella di essere davvero felice. E negli occhi ha quella luce scura tipica di tutti quelli che guardano gli altri esseri umani come giocattoli divertenti ma tutto sommato sacrificabili. Il modo in cui la guarda, anche adesso, è spaventoso. E tremendamente eccitante.
– Non lo so. – risponde Gamzee, scrollando le spalle, – Forse non ne ho mai avuto l'occasione, magari non mi è mai andato. Magari non mi interessavi.
La semplicità con cui dice qualcosa di simile ferisce Karkat solo superficialmente. Potenzialmente, ogni parola che Gamzee si lascia sfuggire è letale, ma è il modo in cui parla che smussa gli angoli di quelle frasi così taglienti. Parla come se le parole non avessero alcun peso, rendendole automaticamente più leggere anche se in teoria non dovrebbero esserlo affatto.
– E cosa è cambiato? – domanda quindi Karkat, sostenendo il suo sguardo con sfrontatezza.
Gamzee si accomoda meglio sul divano, sporgendosi impercettibilmente verso di lei. Parla più chiaramente col corpo che in qualsiasi altro modo. I suoi gesti parlano in silenzio, dicono esattamente ciò che Karkat vuole sentirsi dire.
– Non lo so. – ripete Gamzee, – Forse stanotte ero solo e curioso. Forse volevo solo portarti qui e metterti in imbarazzo. – ride.
– Non sono in imbarazzo. – ribatte Karkat, aggrottando le sopracciglia, e Gamzee le lancia un'occhiata ironica.
– No? Sei brava a fingere di esserlo, allora.
Karkat si morde l'interno di una guancia, stringendo forte i pugni. E' evidente che Gamzee si diverte. Ma lei non intende essere il suo giullare.
Si solleva in piedi lentamente, fermandosi poi davanti a lui, guardandolo dall'alto in basso.
– Vai già via? – le chiede Gamzee, inarcando un sopracciglio.
Per tutta risposta, lei dischiude le gambe, sedendosi a cavalcioni su di lui. Lo zittisce con un bacio, sentendo le sue dita risalire in tocchi leggeri lungo le cosce e poi fermarsi sui fianchi, che stringono con desiderio mentre il bacio si fa più profondo e aperto, e l'aria si riempie di suoni bagnati..
Quando si allontanano, Gamzee sta sorridendo, mordendosi il labbro inferiore. Karkat stringe la presa delle dita sulle sue spalle e si muove lentamente su di lui, in un invito silenzioso. Spera che sia abbastanza per convincerlo a prendere l'iniziativa, perché lei non sa più che fare.
E invece lui parla. Scivola lungo la curva del suo collo con le labbra umide e, un bacio e una carezza dopo l'altra, parla.
– Sei qui perché ti ho voluta. – le dice in un sussurro, le mani che si insinuano sotto la felpa pesante, e Karkat rabbrividisce, chiudendo gli occhi, rapita dal suono della sua voce. – Non so perché ti ho voluta stanotte e non tutte le altre notti. In realtà non mi interessa, e non dovrebbe interessare nemmeno te, perché adesso sei qui. Non è sufficiente?
E no, naturalmente non lo è. Naturalmente non lo è e non lo sarà mai, perché Karkat sa cosa c'è, dopo stanotte. Dopo stanotte c'è forse un'altra notte, ma più probabilmente non c'è nient'altro. C'è solo lei che torna a casa sua, e passato il momento, sbiadito il calore profondo che sentirà dopo quest'incontro, sarà di nuovo sola, e la vita riprenderà uguale a prima, e Gamzee sarà di nuovo il ragazzo lontano che ha conosciuto quando suonava per le strade, e che ora, anche se lei è sempre lì fra il pubblico, non solleva mai gli occhi per cercarla.
Non sarà mai sufficiente. Sarà molte cose, sarà stupido e imbarazzante e ridicolo, e bello, probabilmente bellissimo, un bellissimo ricordo. E forse sarà doloroso, sicuramente sarà piacevole, soprattutto sarà tremendamente ingiusto, ma non sarà mai sufficiente.
Ma Karkat non parla, Gamzee lo prende per un assenso e le sfila di dosso la felpa, le mani esperte che percorrono tutta la superficie del suo corpo saggiandone ogni curva, ogni spigolo. Karkat getta indietro il capo, esponendo il collo quando le labbra di Gamzee cominciano a scivolare lungo il basso, percorrendo la linea netta della clavicola e la curva dolce del seno.
Si limita ad un gemito un po' sorpreso quando le braccia di Gamzee la sollevano come fosse fatta d'aria, per poi adagiarla delicatamente sul divano. Schiude gli occhi e vede solo i contorni del suo corpo, le braccia magre, le gambe lunghissime, i fianchi dritti e ossuti, i capelli scarmigliati, una nuvola scura attorno alla sua testa, e poi sente il peso lievissimo del suo corpo sul proprio e schiude le gambe, accogliendolo più vicino a sé.
Gamzee si muove lento contro di lei, Karkat lo sente premere insistentemente contro le mutandine bagnate, unica barriera rimasta, ormai, fra il suo corpo nudo e il proprio, ed è lei la prima a poggiare le mani sulle sue, ancora premute contro il suo seno, per guidarle giù lungo i suoi fianchi. Gamzee la bacia ancora mentre aggancia l'orlo delle mutandine coi pollici e le tira giù, lasciandogliele scorrere con lentezza esasperante lungo le cosce e sorridendo compiaciuto quando lei si lascia sfuggire un sospiro lamentoso carico di impazienza e frustrazione.
Scivola dentro di lei lentamente, e Karkat si apre al suo passaggio, stringendo i denti per cercare di sopportare il fastidio. Non è vero e proprio dolore – lo vuole così tanto, non avrebbe mai permesso al dolore di frapporsi fra lei e quello che poteva avere, anche se solo per una notte – è più un malessere sordo, si sente indolenzita, esposta e quasi febbricitante per la voglia e la paura, ma Gamzee non le lascia il tempo di concentrarsi troppo sul modo in cui il suo corpo sembra volerla proteggere dal lasciarsi trasportare troppo dalle emozioni del momento. Le stringe le mani attorno ai fianchi, tenendola ferma mentre si solleva e poi torna a muoversi dentro di lei, più svelto e più preciso di prima. Karkat sospira, la schiena forma un arco perfetto mentre si solleva sulle braccia per avvicinarsi a lui il più possibile, andando incontro ai suoi colpi col bacino.
Gamzee le cattura le labbra in un bacio bagnato, posandole una mano alla base della schiena per spingerla ad avvicinarsi ancora, e Karkat lascia scivolare una mano fra i loro corpi, stuzzicandosi con le dita e gemendo liquida mentre lui si spinge sempre più profondamente dentro di lei, con una forza che sembra raddoppiarsi, triplicarsi con ogni spinta.
Viene per prima, il corpo scosso da un tremito furioso mentre si accascia stremata sul divano. Poi viene Gamzee, e lei lo sente, chiude gli occhi e cerca di assaporare la sensazione, di conservarla dentro di sé. Cerca di farne un momento da ricordare, e lo diventa davvero quando Gamzee si china su di lei e, baciandola lievemente sulle labbra, le sussurra che le vuole bene.
Lei spalanca gli occhi e lo guarda, arrossendo.
– Che vuol dire? – domanda. Lui sorride, quasi timido.
– Non ti basta? – chiede a propria volta.
E questo, in qualche modo, basta, sì.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Karkat/Gamzee.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Violence, Angst, Lemon.
- Quando Karkat si chiude in quella stanza, quando si assopisce e si lascia trasportare via dal sonno, lo fa sempre perché sa che è l'unico modo in cui riuscirà a chiamare Gamzee.
Note: Yeeee. Questa è la mia quota di Gamkat mensile, che poi sarebbe quel periodo del mese in cui l'ormone mi possiede ed io devo scrivere del Gamkat. E siccome io scrivo sempre la stessa Gamkat con parole diverse, è sempre una storia in cui Gamzee scopa Karkat in modo a dir poco brusco, e a Karkat garba sempre un sacco.
A questo giro, il mio ormone pazzo ha almeno prodotto qualcosa che posso riutilizzare per ben tre e dico tre challenge, che sono le seguenti: la challenge indetta da 500themes_ita, su prompt #295 (Sul bordo della sanità); la tabella wTunes - Desires @ diecielode, su prompt #10 (Trust me // You are the one); la Sagra del Kink 2.0 @ kinkmemeita, sul prompt rough sex del Menù Veneziano. La potenza delle mie multitasking skills è sempre eccezionale, come vedere. *soffia sulla pistola*
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GOT A HEAD FULL OF FEVER AND IT FEELS ALRIGHT

Ogni tanto lo fa solo per riuscire a sentire il suo odore. In quella stanza, sembra non debba sbiadire mai. Quel misto di sangue e slime che gli punge le narici, dandogli il mal di testa. E' un odore completamente spiacevole, aspro, sa di sporco, e Karkat sa che non dovrebbe cercarlo con tanto desiderio. Ma non riesce a farne a meno, così come non riesce a fare a meno di quella sensazione spaventosa e rassicurante insieme che spesso percepisce quando il sonno s'è impadronito abbastanza del suo corpo da impedirgli di muoversi o aprire gli occhi, ma non a sufficienza da permettergli di addormentarsi e non sentire più niente. In quel momenti, la percezione fisica della presenza di Gamzee, del suo sguardo vigile addosso, gli dà brividi sconosciuti e violenti dai quali Karkat si lascia scuotere e poi condurre verso il sonno con delicatezza.
Non lo vede ormai da mesi, anche se non saprebbe dire quanti - in viaggio su quell'asteroide c'è Rose a tenere il conto preciso dei giorni dalla partenza, ma è un numero che a Karkat continua a sfuggire, come se in realtà non volesse proprio sapere quanto tempo stanno perdendo nella speranza di sfuggire a Jack o a chiunque altro li stia minacciando adesso. Come se ci fosse, poi, una vera possibilità di sopravvivere a quello che sta succedendo.
Karkat sa che qualcosa che non va, perché se non fosse così Gamzee gli parlerebbe. Durante il primo anno di viaggio capitava spesso. Non che Gamzee facesse vita sociale, sull'asteroide. Restava per lo più nascosto, era più sicuro così, dopo tutto quello che era capitato, ma Karkat sapeva come trovarlo, o Gamzee sapeva come farsi trovare, e in qualche modo era tutto molto meno complicato di adesso.
Ora sensazioni più leggere e lievi di un sospiro sono tutto ciò a cui Karkat può aggrapparsi mentre tutto attorno a lui ogni cosa che conosceva sembra aver perso significato o importanza. Fatica a riconoscere i propri amici, tutte le cose che prima dava per scontate adesso non lo sono più, perfino Terezi è così strana da riuscire a stento a dire di poterla conoscere ancora. Non sa se sia la situazione o gli anni che passano, sa solo che improvvisamente, in un mondo che non ha più il minimo senso, l'odore di Gamzee è l'unica cosa che ancora ne mantenga una traccia.
Gli occhi chiusi, il viso affondato fra i corni di Gamzee, resta immobile quando sente il rumore un po' tintinnante che in genere annuncia il suo arrivo. La grata che chiude il condotto di areazione cade per terra e un attimo dopo Gamzee atterra sul pavimento, silenzioso come un gatto. Karkat sente il suo odore diffondersi nell'aria e mugola appena, tutto il corpo che, inconsciamente, si tende verso di lui.
Gamzee è vicinissimo, probabilmente accucciato accanto a lui. Ostaggio del proprio torpore, Karkat non riesce nemmeno ad aprire gli occhi - probabilmente neanche ci prova; probabilmente non vuole - ma riesce a percepire il volto di Gamzee così vicino al proprio da soffiargli sulle labbra con ogni respiro. Sente il suo sorriso, la tensione dei suoi muscoli, i graffi ancora freschi sul suo volto, il casino scomposto dei suoi capelli. Di Gamzee riesce a percepire cose che non dovrebbe essere in grado di percepire, forme mentre non lo tocca, colori mentre non lo guarda, sapori mentre non lo bacia.
Si sente tremare per la carezza del suo respiro e si volta appena, cercando inconsciamente il suo corpo per un tocco più concreto. Le dita di Gamzee lo sfiorano senza delicatezza, sono quasi invadenti nella fame che hanno di raggiungere ogni punto nascosto, ogni centimetro di pelle disponibile sotto i vestiti. Karkat si espone, si ritrae, si inarca e si contorce, confuso dal sonno e dall'odore ipnotico della pelle di Gamzee. Poi Gamzee si allontana, e Karkat geme, aggrottando le sopracciglia con disappunto. Ha le braccia pesanti e non riesce a sollevarle per cercare il suo corpo da qualche parte accanto a lui, ma fortunatamente non ne ha bisogno, perché pochi istanti dopo Gamzee gli è addosso e lui non ha più bisogno di cercarlo da nessun'altra parte che non sia se stesso.
Sente le sue labbra, le punte aguzze dei suoi denti sulla pelle sottile del collo. Si lascia sfuggire un gemito di dolore quando Gamzee lo morde, no, lo azzanna, stringe come una bestia affamata stringerebbe tra le proprie fauci una preda. Karkat sente il sangue scorrere dalla ferite aperte di Gamzee, sente il proprio scorrere dalle ferite aperte da Gamzee, e per quel secondo, quell'istante infinito e già trascorso in cui il loro sangue si mescola, non ci sono più differenze, fra loro, ed è tutto uguale a prima, e Gamzee gli appartiene, e lui è suo per sempre.
Gamzee se lo rigira fra le braccia e lui resta lì, inerte come una bambola. Non è più nemmeno torpore, non è più nemmeno sonno: è completo abbandono; Gamzee potrebbe fargli di tutto, in questo momento, e Karkat non solleverebbe un dito per fermarlo.
Gamzee gli fa di tutto, in momenti come questo. E Karkat non solleva mai un dito per fermarlo.
Sente le sue mani scorrere lungo la propria schiena, lo sente torreggiare sopra di sé, sente i suoi occhi addosso. Sotto i vestiti, rabbrividisce violentemente. E rabbrividisce ancora quando le mani di Gamzee si insinuano sotto la sua maglietta, e Karkat prega di aver chiuso la porta, prega che nessuno arrivi adesso, prega che Gamzee faccia in fretta, poi sente le sue unghie addosso, sente i graffi, geme e non gli importa più di niente.
Le mani di Gamzee scivolano verso il basso, artigliano l'orlo dei suoi pantaloni, lo strattonano senza delicatezza. Karkat si sente nudo e stringe i pugni, mordendosi il labbro inferiore. Se potesse parlare, in questo momento, se un qualsiasi suono più articolato di un gemito disperato potesse uscirgli dalla bocca, gli chiederebbe di più. Non sa nemmeno più di cosa, ma vorrebbe di più. Più pressione, più contatto, più unghie, più denti, più pelle. Di più del suo peso addosso, di più dell'invadenza priva di riguardi con cui si fa strada dentro di lui. Più forza, più frizione. Più veloce, più in fondo, di più, di più.
Karkat non riesce a parlare, ma Gamzee lo sente lo stesso. Gamzee lo sente, in qualche modo l'ha sempre sentito, è sempre stato pronto a ricevere tutti i suoi segnali, che li urlasse o meno, è stato sempre pronto a recepire i suoi stati d'animo, e non sono state rare le occasioni in cui, sentendolo tanto profondamente dentro di sé, Karkat si è chiesto se fosse giusto. In quale quadrante si trovassero. Perché non ha mai sentito di due moirail con una relazione simile a quella che lo lega a Gamzee, ma sono qualcosa di diverso anche da due matesprit.
Oltre i quadranti, dice una voce distante nella sua mente, la voce delle storie che leggeva da piccolo, delle leggende di cui si riempiva la testa quando ancora pensava che avrebbe avuto un ruolo preciso nella società e stava solo cercando di capire quale. Un amore che trascende i quadranti.
La voce si perde in un ennesimo gemito quando le labbra di Gamzee si chiudono un’altra volta attorno alla curva del suo collo. Quando la punta dei suoi denti aguzzi sfiora la pelle sensibile, lacerandola senza pietà, aprendo ferite nuove. Il sangue scorre ancora, ed ancora si mescola, e Karkat sa che Gamzee lo vuole più vicino. Si inarca quanto può, quanto la debolezza spossata del suo corpo gli concede, si sente già pronto a staccarsi da sé mentre l'asteroide va incontro all'ennesima bolla, ma Gamzee lo tiene ancorato alla realtà, lo tiene ancorato al proprio corpo. Tramite il dolore, lo tiene con sé.
Karkat non si è mai piaciuto tanto. Per una serie di ragioni, anzi, s'è sempre odiato moltissimo. Troppo diverso dagli altri per essere uno fra i tanti, non abbastanza speciale da seguire le orme del suo antenato. Nient'altro che un inutile ibrido, una ridicola mutazione, come quella del suo sangue.
Sa di piacere a Gamzee, però. Sa di piacergli così tanto che a volte Gamzee solo a pensarci perde il controllo su se stesso. Sa di piacergli tanto da poterlo lanciare con uno sguardo o una parola in abissi tanto scuri da far perdere la testa al più razionale dei troll, e sa di poterlo riportare indietro con la stessa semplice, quasi intuitiva naturalezza.
E allo stesso modo sa di aver dato a Gamzee tutte le chiavi per fare esattamente lo stesso. Gamzee lo conosce dentro. Sa come funzionano i suoi pensieri. Gamzee può rovesciarlo al contrario ed esporlo nudo e indifeso con un'occhiata più penetrante delle altre. Può riportarlo in sé ed asciugare le sue lacrime con una sola carezza. Può abbracciare la sua parte più intima, può farlo sentire perso e protetto, solo e compreso, e cieco e sordo e muto e allo stesso tempo ipersensibile ad ogni stimolo fisico e non.
Gamzee sa esattamente cosa fare per tenerlo lì per tutto il tempo che gli serve. Affonda i denti senza grazia perché è così che se lo tiene vicino, con l'unica emozione che non perde senso né valore a dispetto di quanto possano allontanarsi da Alternia e dal passato.
Il dolore non cambia. E Gamzee fa male come non gli ha mai fatto male nessun altro.

Quando finisce, è molto più dolce. Il dolore scompare piano, si prende prima tutto il tempo necessario per attutirsi, sbiadire come un sogno dopo un risveglio particolarmente delicato. L'eco è ancora lì quando Gamzee è già lontano, mentre Karkat lo ascolta rivestirsi e poi nascondersi nuovamente nella condotto d'areazione. Lascia che la sensazione lo culli, e scivola nel sonno sentendolo ancora pungere dentro di sé, così da sapere che, anche mentre non si trova più lì, Gamzee gli resta sempre accanto.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Karkat/Gamzee.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, Lemon, Dub-Con, Violence.
- "Terezi ogni tanto gli dice che, anche per essere troll, lui e Gamzee hanno una relazione fottutamente incasinata."
Note: Dunque, tanto per cominciare questa storia partecipa alla seconda Badwrong Week @ maridichallenge, a tema BDSM, Non-Con, Dub-Con e Violence. Poi partecipa anche al quinto round della Zodiaco!Challenge @ fiumidiparole, a tema Angst. Il tutto! essendo ispirato contemporaneamente al tema #4 della 500themes_ita (Ballando col diavolo) ed al tema #6 della tabella wTunes - Desires di diecielode (The undisclosed desires in your heart). BEHOLD MY MULTITASKING POWERS.
*cough* A parte questo, è ormai notorio che io mi ostino da mesi a scrivere sempre la stessa Gamkat con parole e pesantezza variabili ad ogni tentativo XD Quindi sostanzialmente sapete già cosa aspettarvi se aprite questa storia. Chi ha parlato di sober!Gamzee? *cough*
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
WICKED

Gamzee sa che gli piace. È il motivo principale per cui, ogni volta che accade, Karkat non riesce a guardarlo negli occhi. È consapevole di essere già abbastanza palese, nel modo in cui il suo corpo reagisce al tocco delle sue mani, ed è certo che, se Gamzee avesse la possibilità di guardarlo negli occhi, la verità sarebbe ancora più evidente. E lui non potrebbe sopportarlo, perché quello che succede è già abbastanza imbarazzante così.
Terezi ogni tanto gli dice che, anche per essere troll, lui e Gamzee hanno una relazione fottutamente incasinata.
Terezi parla senza conoscere neanche la metà del casino in cui lui e Gamzee sono invischiati. E se già coi pochissimi elementi a sua disposizione riesce comunque ad intuire quanto sbagliata e confusa sia la loro situazione, allora deve essere sbagliata e confusa per davvero, e parecchio.
Il loro non è odio, non è amore e non è amicizia. Karkat non lo sa davvero, cosa cazzo è. Sa come funziona, però. Perché funziona sempre nello stesso modo.
- Gamzee? – lo chiama piano, attraversando i corridoi del laboratorio. Si è allontanato da un pezzo dalle stanze che lui e gli altri frequentano più abitualmente, quelle che restano sempre illuminate, quelle che non restano mai vuote. Gamzee non ama frequentarle, in realtà, anzi, non le frequenta affatto. Preferisce i luoghi più periferici, quelli più bui, silenziosi e solitari. Ed è lì che Karkat lo cerca, quando lo stomaco gli si stringe in un nodo doloroso e tutto quello che riesce a realizzare coscientemente è che lo vuole.
Che Gamzee è lì lo sente nell’aria ancora prima di vederlo. L’odore di sangue è talmente forte da dargli quasi la nausea.
- Gamzee… - sospira, entrando all’interno della stanza buia e richiudendosi la porta alle spalle con cura, di modo che non faccia rumore, - L’hai fatto ancora.
- Karkat. – la voce di Gamzee è un ringhio basso e uniforme, viene da abissi che scavano nelle profondità del passato, nel richiamo del suo sangue, nella storia della sua casta. – Levati dai coglioni.
Karkat si sente scuotere da un brivido violento, le punte delle dita che prudono, il calore diffuso che gli inonda il bassoventre mentre si morde un labbro, i denti appuntiti che feriscono la pelle e la carne con una facilità che imita soltanto quella con cui Gamzee farà la stessa cosa nel giro di pochi minuti. Le ferite che Gamzee gli lascia addosso sono sempre molto più profonde e dolore si quelle che riesce a infliggersi lui stesso. Forse perché l’istinto di conservazione gli impedisce di affondare con troppa violenza. Gamzee, invece, quando è in questo stato risponde ad un solo istinto primario, ed al solo pensarci Karkat sente i pensieri confondersi, le guance arrossarsi e le tempie pulsare man mano che i battiti del proprio cuore aumentano d’intensità, pompando il sangue nelle vene con una forza che cresce e cresce e sembra non dover scemare mai.
Questi sono i momenti in cui comincia a fare troppo male. Sta peggio in un momento come questo, in cui si tiene tutto dentro e questa massa enorme di sentimenti che gli devastano l’equilibrio interiore si gonfia e si gonfia senza freni, che non quando finalmente passa sotto le dita di Gamzee, ed allora il dolore diventa una questione solo fisica, ed è gestibile, perché lui sa di volerlo. In momenti come questo, in cui anche la pelle sembra stargli troppo stretta addosso, il pensiero di sentirla spaccarsi sotto gli artigli di Gamzee è liberatorio. È come lasciare scivolare via un po’ di quella tensione insopportabile con ogni goccia di sangue che riesce a perdere.
- Gamzee… - mugola avvicinandosi e inginocchiandosi al suo fianco. Gamzee perde ancora sangue, deve essersi riaperto le ferite sul volto. A volte pensa che forse il motivo per cui sono talmente sincronizzati anche in quei bisogni – non è mai capitato che Karkat volesse qualcosa e Gamzee non fosse già pronto a darglielo – sia proprio che in realtà il bisogno che provano, di base, è lo stesso. L’irrazionale spinta verso il dolore, che sia subito o inferto. In realtà, almeno nella loro situazione, la differenza fra le due condizioni è veramente troppo labile per avere una qualche importanza. Karkat sa che Gamzee non vorrebbe ferirlo, sa che si sente in colpa per quello che gli fa, quando torna in sé. Forse anche questo è una parte dei motivi per cui costringerlo a farlo gli piace tanto. Gli piace subire il dolore fisico, e gli piace provocare quello emotivo. Esattamente come a Gamzee piace provocare quello fisico, e subire quello emotivo.
- Vattene. – insiste Gamzee. Trema così tanto che, quando Karkat gli posa una mano sul braccio, lo sente vibrare sotto le dita.
È un secondo, e basta quello. Gamzee l’ha avvertito, Karkat non ha voluto ascoltarlo, ha preferito toccarlo, ed ora, come ogni volta, ne paga le conseguenze. Gamzee lo afferra per il polso e tira, tira fino a costringere Karkat a sbilanciarsi in avanti. Lui punta le ginocchia, ma non è sufficiente: cade in avanti, quasi frana addosso a Gamzee, e disorientato dal movimento improvviso e dall’altrettanto improvvisa mancanza di equilibrio è completamente alla mercé di Gamzee, che gli piega il braccio dietro la schiena, costringendolo a voltarsi e poi a piegarsi sul pavimento con un lamento basso che assomiglia a un gemito nascosto.
- Gamzee. – lo chiama piano, cercando di voltare il capo, ma Gamzee lo spinge ancora più in basso, sollevandosi in ginocchio e sfruttando tutto il proprio peso per schiacciarlo contro il pavimento. Karkat si sente il sangue di Gamzee addosso, ne sente l’odore farsi strada nelle narici, la viscosità sporcargli le guance. C’è sangue ovunque, e Karkat chiude gli occhi ed assapora la sensazione.
- Ti avevo detto di andartene. – borbotta Gamzee, intento a piegargli il braccio con forza sempre maggiore, per sentire i suoi lamenti trasformarsi in urla, - Ma tu non hai voluto. Io ti ho avvertito, ma tu non mi ascolti. Tu non mi ascolti mai, e ora devi essere punito, Karkat. Lo sai anche tu che devi essere punito.
Karkat sente le ossa del braccio scricchiolare pericolosamente ed inarca la schiena, gettando indietro il capo in un urlo improvviso. Lo chiama ancora per nome, Gamzee, Gamzee, e suona a metà fra un no, ti prego e un sì, per favore. Si preme all’indietro, contro di lui, e Gamzee soffia, e poi ringhia, e poi Karkat lo sente armeggiare con i suoi pantaloni ed anche con i propri, e sente le lacrime che gli scorrono lungo le guance, le sente mescolarsi al sangue di Gamzee che ora copre anche il suo viso, e poi ne accoglie il sapore salato e metallico sulla lingua, la voce ridotta a un lamentio roco ininterrotto.
Non lo implora di fermarsi, perché ormai sono ben oltre quel punto. I primi tempi, sì, lo faceva. I primi tempi aveva paura di se stesso, di quello che provava, aveva paura dell’intensità con cui lo desiderava, con cui desiderava sentirsi male in questo modo, e perciò fingeva di implorare, fingeva di pregarlo di smettere, e quelle preghiere suonavano alle sue orecchie perfino più indecenti e sporche di qualsiasi lamento di dolore tramutato in gemito di piacere, perché erano false. Venivano pronunciate come no, e suonavano come sì, di più, dammi di più, e quelle richieste lo portavano ad odiarsi ben più di quanto non potesse tollerare. E perciò ha smesso.
Ora non implora più, ora le parole non servono e Karkat le tiene lontane perché non fanno che peggiorare la situazione. Geme senza fiato quando sente Gamzee insinuarsi dentro di lui senza averlo preparato prima, sente il vigore con cui si spinge dentro il suo corpo, si scava uno spazio al suo interno e si pianta più in profondità che può, per prendersi tutto di lui, ogni centimetro, sia lui disposto a concederglielo senza combattere o meno.
Il suo corpo si rifiuta di collaborare, i muscoli si contraggono attorno all’erezione tesa e pulsante di Gamzee e rendono i suoi movimenti più ruvidi e dolorosi, carichi di un attrito che Karkat dovrebbe rifuggire, e invece cerca disperatamente, stringendosi attorno a lui non più soltanto per riflesso, ma per studiato desiderio.
Intrappolato dentro il corpo di Karkat fin quasi a non potersi muovere più avanti e indietro, Gamzee non ha altra scelta che muoversi più velocemente e con maggiore furia. Con una mano continua a torcergli il braccio, ma l’altra è libera, e la utilizza per stringere il fianco nudo di Karkat fra le dita. Karkat sente le punte dei suoi artigli graffiare la pelle e poi affondare nella carne, sente il dolore pulsante delle ferite fresche e lancia ancora un altro urlo, in risposta al quale Gamzee spinge il suo braccio ancora più in alto. Karkat non lo sente quasi più, ormai, ha perso sensibilità sull’avambraccio e nella zona attorno al gomito, ma la spalla, la spalla brucia ancora, e ad ogni strattone di Gamzee sembra scivolare fuori dai suoi cardini e poi tornare a posto in un movimento secco e doloroso. Inizialmente, Karkat urla, ma poi il dolore diventa sopportabile, diventa un’abitudine, Karkat lo sente entrare in circolo e comincia a sentirlo trasformarsi in scariche di piacere che lo colpiscono al bassoventre, e più fa male più è intenso, più brucia più Karkat ne vuole, ed è lui a cercare le spinte di Gamzee adesso, è lui che, pur continuando a stringersi attorno a lui per forzarlo a spaccarlo in due con ogni colpo, spinge indietro il bacino, incontrando ogni suo movimento, invitandolo ad arrivare sempre più in fondo e poi rompendosi in un gemito liquido quando Gamzee lo penetra con tanta violenza da piantarsi dentro il suo corpo tutto intero, fino alla base.
Karkat non lo sente venire, ma lo sente uscire da lui in un movimento rapido e secco, che lo lascia vuoto e confuso. Lo sente accasciarsi contro la parete, il volto fra le mani. Piange silenziosamente, scuotendo il capo.
- Vaffanculo, Karkat. – gli dice, - Sei un bastardo figlio di puttana.
Karkat resta sulle ginocchia per minuti interi, appoggiato al pavimento sull’unico gomito sano. L’altro braccio è ancora privo di sensibilità, ma si muove. Karkat lo vede spostarsi pigramente avanti e indietro, a destra e a sinistra, e sa che non è rotto. Stavolta non si è rotto, la prossima chissà. Forse la prossima volta spingerà abbastanza da spaccarselo in due pezzi. Gamzee non gli ha mai rotto nessun osso, ma Karkat riesce a sentire dentro di sé che è quello il punto verso il quale si sta muovendo. Forse, quando sentirà le ossa scricchiolare e frantumarsi, allora sarà abbastanza. Perché per adesso, di certo non lo è.
Si solleva dopo un po’, ed anche il solo rimettersi dritto è doloroso. Gli piace avere a che fare con tutti i piccoli e grandi dolori che Gamzee gli lascia addosso anche quando non è più dentro di lui. È come prolungare il sesso anche dopo l’orgasmo. Karkat si sente avvolto da una membrana calda ed accogliente, all’interno della quale ci sono solo lui e il suo dolore, e lui è tranquillo. Non c’è odio, non c’è rabbia, solo una grande calma.
Il bruciore diffuso fra le gambe e dentro il suo corpo lo intontisce, ed è con aria un po’ confusa, quasi perfino assonnata, che gattona fino a Gamzee e si accuccia al suo fianco, contro il suo corpo. Gamzee solleva un braccio e glielo gira attorno alle spalle, stringendoselo addosso e premendogli un bacio umido sulla tempia prima di nascondere il viso fra i suoi capelli.
- Lo sai qual è l’unico fottuto miracolo in cui credo in questo momento, Karkat? – gli chiede a bassa voce, parlando contro la sua pelle, - Che sei ancora vivo. – continua. Karkat sorride appena, e lo stesso sorriso debole e stanco si dipinge anche sulle labbra ferite di Gamzee, - Non so come cazzo fai, ma sei ancora vivo.
Ed è vero, lo è. Ha solo bisogno di farsi male ancora un po’ per esserne del tutto sicuro.
Genere: Introspettivo.
Pairing: (accenni di) Karkat/Terezi.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Gen, Fluff, Spoiler A6I2, Missing Moment.
- "Sulla parete di fronte a lui, Gamzee ha disegnato uno di quei suoi stupidi sorrisi. L’onda violacea del suo sangue si allunga sulla parete, infilandosi fra le crepe più o meno larghe, rendendo il sorriso inquietantemente distorto. D’altronde, anche il sorriso di Gamzee adesso è così."
Note: Scritta per la tabella wTunes Desires, prompt #01 (I don’t want you to hide) @ diecielode, per la quale ho claimato Karkat e Gamzee; e poi anche per sconfiggere il malvagio Balam durante il terzo round della Zodiaco!Challenge @ fiumidiparole (prompt: la parola macchia/macchie ripetuta per tre volte all'interno della storia).
Quando Kanaya - mi pare fosse lei. O Dave? XD - ha detto che probabilmente nessuno sull'asteroide era a conoscenza del luogo in cui Gamzee si nascondeva a parte Karkat, ho lanciato uno strillo ultrasonico XD C'è da dire che Hussie mi odia, ma io ogni tanto mi prendo le mie buone soddisfazioni. *cough*
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YOU CAN SEW IT UP BUT YOU STILL SEE THE TEAR
wTunes Desires, #01 – I don’t want you to hide

Ufficialmente, è passato quasi un anno da quando Gamzee è scomparso, portandosi dietro il suo trono di cadaveri. Sembra che si muova abbastanza per l’asteroide, o meglio, sembra che l’abbia fatto, ad un certo punto, perché a poco a poco anche gli altri corpi sparsi su tutta la superficie del piccolo pianeta lanciato nell’universo alla velocità della luce sono spariti, e non ne è rimasta traccia se non per le macchie di sangue rappreso sul pavimento. Ogni tanto a Karkat piace osservare quelle macchie, gli piace – in qualche modo contorto che non riesce a spiegarsi, che forse non vuole nemmeno spiegarsi – sedersi sul pavimento ed osservarne i contorni. Forse perché il sangue per lui ha sempre rappresentato un tipo di fissazione diversa rispetto a quella che rappresentava per i suoi amici, troppo impegnati a badare a ciò che il colore del loro sangue rappresentava a livello gerarchico per capire che invece era molto più importante ciò che quel colore diceva di loro, di chi erano, del luogo dal quale provenivano e della loro storia. Di chi dovevano ringraziare per essere quelli che erano.
Quelle macchie di sangue sul pavimento hanno un significato ben preciso, e Karkat lo sa. Sono il segno manifesto di chi non ce l’ha fatta, di chi magari può tornare, tramite una bolla, di chi può ancora parlare con te se lo incontri all’interno dei confini incredibilmente impalpabili di un sogno surreale, ma in realtà è morto, e non tornerà mai più per davvero. Di lui non resta nient’altro che lo schizzo sbavato della vita che si è lasciato alle spalle, la traccia sbiadita di chi è stato. Del modo in cui è finito.
Karkat stringe le ginocchia al petto e fissa intensamente la pozza del sangue verdastro di Nepeta, ai suoi piedi. Era di un bel verde brillante, all’inizio. Poi è andata rapprendendosi, giorno dopo giorno è diventata sempre più scura e meno vischiosa. Adesso bisogna stare attenti a non camminarci sopra, per evitare di grattarla via dalle mattonelle grigie sul pavimento.
Gamzee è sparito da quasi un anno. Ufficialmente. E c’è una voce dentro la testa di Karkat, una voce che parla una lingua sconosciuta, che gli suggerisce che dovrebbe odiarlo per ciò che ha fatto. È stupido, Karkat lo sa. Uccidere è nella loro natura, è così che sopravvivono, è così che solo le larve più forti riescono a svilupparsi. Un troll non smette mai di uccidere i propri simili, darsi la caccia a vicenda è guerra, divertimento, attrazione. Allo stesso tempo un hobby e una ragione di vita, una ragione che Karkat non riesce completamente a comprendere, ma che allo stesso tempo ha imparato a conoscere, perché è sempre stata lì, anche dentro di lui. Un richiamo del sangue, anche se il suo sangue è ben diverso da quello di tutti gli altri.
Karkat solleva il viso. Sulla parete di fronte a lui, Gamzee ha disegnato uno di quei suoi stupidi sorrisi. L’onda violacea del suo sangue si allunga sulla parete, infilandosi fra le crepe più o meno larghe, rendendo il sorriso inquietantemente distorto.
D’altronde, anche il sorriso di Gamzee adesso è così.
Karkat si alza in piedi, sospirando pesantemente. Gira su se stesso, infilando le mani in tasca e lanciando un’occhiata infastidita al cono d’ombra che si allunga sul corridoio dietro un angolo.
- Puoi anche venire fuori. – sbotta. Da dietro l’angolo, Gamzee ridacchia. Karkat può vedere l’onda scomposta dei suoi capelli muoversi lentamente, mentre lui scuote il capo.
- Vieni tu. – dice.
- Gamzee, non sono dell’umore. – sbotta lui, muovendo comunque un passo nella sua direzione, - Vieni fuori di lì, coraggio. Non è possibile dover fare così ogni volta, dovresti piantarla di nasconderti. È una cosa ridicola. – Gamzee non risponde, e Karkat muove un altro passo verso di lui. Odia il silenzio, lo trova pesante, specie quando è coinvolto Gamzee, perciò riprende presto a parlare. – Quella roba lì… è sangue fresco. Ti sei di nuovo ferito in qualche modo? Devi piantarla.
- Nessuna ferita nuova. – dice Gamzee, la voce ridotta quasi a un sibilo, - È quella vecchia che si riapre.
- Cosa?! – Karkat si lascia sfuggire dalle labbra un lamento frustrato, avvicinandosi ancora, - Cazzo, Gamzee, ti ho detto mille volte di non toccarti quelle cazzo di ferite! Ti rimarranno le cicatrici. – borbotta, affacciandosi oltre l’angolo. Gamzee lo afferra per il colletto del maglione che indossa, trascinandolo nell’ombra con sé. Karkat si lascia sfuggire un gridolino fra il sorpreso e l’imbarazzato quando gli cade in grembo, piegando poi le labbra in una smorfia disgustata quando si rende conto di essere atterrato su qualcosa di morbido. – Ti prego, dimmi che non sono cadaveri. – si lamenta, mentre Gamzee se lo sistema fra le braccia come fosse una bambola e poi gli sorride sul collo, allungando una mano a stringere fra le dita uno dei suoi corni, per farlo suonare. Karkat sospira, abbattendosi contro il suo petto. – Avrei dovuto immaginarlo. – borbotta mentre lentamente il suo corpo si rilassa contro quello di Gamzee. – Allora, cosa vuoi questa volta?
Gamzee non risponde alla domanda. Circonda le spalle di Karkat con le proprie braccia, schiacciandoselo contro il petto. Karkat sente il suo respiro fra i capelli, sulla pelle, sente l’odore del suo sangue, del suo corpo. Si morde un labbro e cerca di non lasciarsi andare. Non adesso, non così.
- Lo sai, sarebbe molto più semplice se la piantassi di nasconderti. Nessuno ce l’ha con te. – lo rassicura, circondandogli mollemente la vita con le proprie braccia e sbuffando quando sente qualcosa di umido contro la guancia. – Pulisciti la faccia. Finirò per avere tutto il tuo sangue addosso.
- Non importa. – decide Gamzee per entrambi, - E Kanaya ce l’ha con me.
- No, non è così. – Karkat scuote il capo, - Cerca solo di evitare che le cose degenerino. Si preoccupa.
- Mi ucciderebbe.
- Non se tu la piantassi di comportarti come un pazzo. – sospira ancora, sollevandosi appena per appoggiare il capo sulla sua spalla, rilassandosi lentamente. Gli occhi socchiusi, lascia scorrere le mani sulla schiena di Gamzee in lente carezze dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, respirando piano. – Sei nervoso? – gli domanda.
- Come fai a saperlo? – chiede Gamzee. Karkat può sentirlo sorridere, mentre scuote le spalle.
- Lo so e basta. – risponde, - Cos’è che ti rende nervoso?
Gamzee sospira, appoggiando la schiena alla parete dietro di lui, accogliendo Karkat più comodamente fra le proprie braccia.
- Non lo so, amico, non lo so. Tutto, credo. C’è quel tipo—
- Quel tipo?
- Strider.
Karkat rotea gli occhi.
- Gamzee…
- Dico solo che non mi piace, ok? Il figlio di puttana non mi piace, tutto qui. Non mi fa bene averlo intorno.
- E quindi è meglio nasconderti nell’ombra e comunicare solo con me tramite murales dipinti col tuo stesso sangue? – Karkat solleva il viso, lanciandogli un’occhiata decisamente poco impressionata, di fronte alla quale Gamzee non riesce a trattenere una risata sincera, - Seriamente, sei un’attention whore e una drama queen. Dovresti smetterla.
Gamzee ride ancora, scuotendo il capo mentre se lo tira contro, strusciando il naso lungo la curva del suo collo.
- Non so nemmeno cosa vogliono dire queste parole, amico. – lo prende in giro. Karkat arrossisce, guardando altrove.
- Le ho imparate dagli umani. – ammette in un borbottio appena intuibile.
- Se non è un fottuto miracolo questo… - ridacchia Gamzee, e Karkat gli schiaffeggia la nuca, risentito.
- Non ricominciare. – lo rimprovera, e poi sospira, - Dai, torna con gli altri. Con me.
- Con te ci sono già. – gli fa notare Gamzee, sollevando lo sguardo e fissandolo nel suo. Karkat piega le labbra in un broncio deluso, aggrottando le sopracciglia.
- Non è la stessa cosa. – brontola, - Ci sono cose per cui avrei bisogno di averti accanto per tutto il tempo, perché solo tu puoi aiutarmi, come io aiuto te. E invece, quando io ho bisogno di te, tu non ci sei mai. Ma io devo—
Gamzee si sporge in avanti, posando le proprie labbra sulle sue in un bacio dal sapore amaro, e non solo per il sangue che cola dalle sue labbra graffiate.
- Va tutto bene con Terezi, fratello? – domanda Gamzee con quel suo solito tono calmo, rilassato, che il più delle volte fa solo venire voglia a Karkat di afferrargli la testa e fracassargliela contro una parete. Ma questa volta no.
Sospira, tornando ad accucciarsi contro di lui mentre fissa il buio, i corni che si muovono appena sotto di loro, riempiendo l’aria della loro voce fastidiosa ma familiare abbastanza da tranquillizzarlo.
- Uno schifo. – comincia a lamentarsi. Non finirà tanto presto.
Gamzee sorride, accarezzandogli i capelli e la schiena. È vero che non è sempre al suo fianco, ma Karkat è ingiusto quando dice che non c’è mai quando ha bisogno di lui.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Karkat/Gamzee.
Rating: R/NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Flashfic, Angst, Lime, AU.
- "Ci sono cose che semplicemente non fai, Karkat lo sa, non sa perché l’ha imparato, ma sa che è così."
Note: Scritta per la tabella wTunes Desires, prompt #03 (I want to reconcile the violence in your heart) @ diecielode, per la quale ho claimato Karkat e Gamzee; e poi anche per sconfiggere il malvagio Balam durante il terzo round della Zodiaco!Challenge @ fiumidiparole (prompt: la parola macchia/macchie ripetuta per tre volte all'interno della storia).
Di base, volevo (come già spesso mi è capitato in passato XD) replicare il rapporto fra Karkat e Gamzee in un 'verse humanstuck :3 (E al solito ho preso come riferimento ideale/generico 4 Chords XD Eh, amen.)
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FEEL IT BREAK
wTunes Desires, #03 – I want to reconcile the violence in your heart

Ogni tanto, Gamzee non è più Gamzee. Karkat non sa perché, non lo conosce abbastanza per saperlo, non lo conosce abbastanza neanche per chiederlo. Sono amici da più anni di quanti riesca a ricordarne, ma probabilmente non sarà mai pronto per chiedergli una cosa simile. Ci sono cose che semplicemente non fai, Karkat lo sa, non sa perché l’ha imparato, ma sa che è così. Quando Gamzee torna a casa dopo essere stato fuori delle ore, e i suoi occhi sono più scuri di come Karkat li ricordasse, e la sua voce più bassa, più pericolosa, e il profumo della sua pelle è più violento, come quello di certi animali selvaggi che utilizzano il proprio odore per far sapere ai loro avversari che devono temerli, allora Karkat sa che non è il momento di chiedere. Non è il momento di pensare.
È il momento di lasciare che le mani di Gamzee si insinuino sotto i suoi vestiti, cercando centimetri di pelle calda da sfiorare. È il momento di piegare il capo, per lasciare le sue labbra libere di disegnare una strada umida lungo la curva del suo collo, dalla linea dritta della sua mandibola alla collina sinuosa della sua spalla. È il momento di chiudere gli occhi e stringere i denti mentre quelli di Gamzee affondano nella sua pelle riempiendola di marchi rossi che pulsano al ritmo dei battiti del suo cuore. È il momento di trattenere il fiato mentre la punta della sua lingua disegna ghirigori senza senso attorno ad ogni impronta lasciata dalla chiostra dei suoi denti, è il momento di lasciarsi scivolare un gemito caldo e liquido fra le labbra mentre quelle già umide di Gamzee si chiudono attorno alla sua pelle ipersensibile, succhiandola dolcemente, quasi a voler contrastare la puntura di dolore ancora chiara dei suoi morsi.
È il momento di lasciarlo fare mentre Gamzee si sfoga, mentre gli lascia addosso segni che scompariranno nel giro di poche ore – una macchia dopo l’altra – ma che Karkat continuerà a sentirsi tatuati addosso per sempre – una macchia dopo l’altra – perché come l’inchiostro il sangue scivola sottopelle – una macchia dopo l’altra – ed anche quando l’alone scompare, il disegno resta.
Gamzee disegna mappe di dolore sul suo corpo – sulle sue spalle, sul suo petto, sul suo stomaco, sui suoi fianchi, sulle sue gambe, sulle sue braccia, sul suo collo – sono mappe che solo lui riesce a seguire, le usa per navigare nell’ombra che prende possesso della sua mente, le usa per ritrovare la via di casa, le usa per tornare da Karkat, volta dopo volta. Volta dopo volta. Ogni volta. Quando Karkat riapre gli occhi, dolorante e sfiancato, le gambe indolenzite e Gamzee piantato dentro ogni volta sempre un po’ più in profondità, gli occhi di Gamzee sono sempre un po’ più chiari, il suo sorriso sempre un po’ più sincero, i suoi tocchi sempre un po’ più lievi. La sua voce sempre un po’ più dolce.
E questo sarebbe il momento di chiedere, Karkat lo sa. Lo sarebbe, se avesse il coraggio di farlo. Quando Gamzee gli passa le dita fra i capelli, quando scivola col pollice sulle sue labbra, scacciando una goccia di sangue sbocciatagli sull’angolo della bocca dopo un morso più forte degli altri, quando si scusa piano, quando strofina il naso contro il suo, quando lo bacia dolcemente, quando le sue spinte diventano un modo per restargli vicino invece di un semplice modo per tornare a galla dopo aver rischiato di annegare, quando la sua voce comincia a chiamare il suo nome in una dichiarazione d’affetto e non in un’implorazione d’aiuto, è adesso che Karkat dovrebbe chiederglielo. Fermarlo e chiedergli perché. Perché gli accada tutto questo, perché tocchi a lui andarci di mezzo, cosa sia successo per motivare una cosa simile.
Ma non riesce. Forse neanche vuole, forse ha troppa paura che, se domandasse, Gamzee risponderebbe. E che con una sua risposta tutto finirebbe.
Perciò lo stringe a sé. Lo accarezza, lo consola, lo conforta mentre Gamzee, esausto, si lascia andare di peso contro il suo corpo.
Ed ogni volta pensa che la prossima volta, sì, la prossima volta troverà il coraggio di chiedere. Ma non ne trova mai a sufficienza.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Karkat/Gamzee.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, AU, Flashfic.
- "Il dolore ti incide dentro, [...]. Come ha fatto Gamzee con lui."
Note: Breve robina del tutto randomica ispirata a 4 Chords. Se non lo conoscete sarà dura ricollegarvi al 'verse di riferimento XD In ogni caso, di base, è una human!AU in cui Gamzee e Karkat condividono l'appartamento e, occasionalmente, anche il letto, e trascinano un rapporto molto confuso dai confini non bene identificabili che manda Karkat molto in confusione XD Trovate qualche fanart dell'autrice e qualche pagina dei fancomic che ha disegnato qui e qui (NSFW) :3
Scritta per la settima ed ultima settimana del COW-T @ maridichallene (Missione 1, prompt: fate il cazzo che vi pare con wordcount di massimo 500 parole).
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I CAN LIVE WITH YOUR GHOST, IF YOU SAY THAT'S THE MOST THAT I'LL GET

Sono passati tre anni, dalla loro prima volta. Karkat la ricorda con una precisione quasi violenta. Ci sono sere in cui Gamzee sembra non voler tornare mai, e allora lui chiude gli occhi e richiama gli istanti di quella notte alla memoria uno dopo l’altro. Nei giorni peggiori, riesce quasi a sentirsi dentro lo stesso dolore.
Ne ha parlato con Gamzee, una volta, e lui l’ha guardato come fosse fuori di testa, e gli ha chiesto perché sentisse il bisogno di ricordare il dolore più del piacere. Karkat ha scrollato le spalle e ha guardato altrove, imbarazzato. Gamzee gli ha passato un braccio attorno alle spalle, ridendo. Se l’è tirato contro, premendogli il naso contro una guancia. “Sei un figlio di puttana fuori di testa,” ha commentato intenerito. Karkat l’ha mandato a farsi fottere. Ovviamente.
Non lo sa nemmeno lui il perché. Immagina che sia una sorta di compensazione per il fatto che a Gamzee, del dolore, non interessa niente. E invece è importante anche quello. Forse più di tutto il resto, cazzo, il piacere cos’è, alla fine? Una scarica di adrenalina che ti fa tremare per un secondo. Poi si dissolve e non ne resta niente, infatti Gamzee salta da un letto all’altro con tanta facilità proprio per cercare un piacere nuovo una volta che la traccia di quello vecchio è sparita del tutto.
Il dolore ti incide dentro, invece. Come ha fatto Gamzee con lui.
Chiude istantaneamente gli occhi – stringendo con forza le palpebre, come i bambini piccoli – quando sente la porta dell’appartamento aprirsi e chiudersi, e il chiassoso mazzo di chiavi di Gamzee planare senza grazia sul mobile all’ingresso. Finge di dormire, spera intensamente di addormentarsi perché questo quantomeno gli risparmierebbe i soliti stupidi discorsi di circostanza – dove sei stato, cos’hai fatto, chi hai visto, te lo sei scopato – ma naturalmente, come tutte le cose che Karkat chiede, la sua preghiera non si avvera, e quando Gamzee entra in camera, si sfila di dosso i vestiti e poi si getta sul letto accanto a lui, Karkat lo sente sorridere e spera che non parli, ma ovviamente è un’altra speranza vana.
- Bella serata? – gli domanda.
- Sto dormendo. – risponde Karkat. Gamzee sorride ancora.
- Sapevo che non stavi dormendo anche prima di sentirti parlare. – risponde. È incredibile, Karkat ogni tanto pensa che Gamzee possa accorgersene anche solo annusandolo, o toccandolo appena. Non sa come ci riesca, ma sa che è fastidioso. – Allora? È stata una bella serata?
- Sono stato chiuso in casa a non fare un cazzo tutto il fottuto giorno, Gamzee! – strilla lui, voltandosi a guardarlo, - Come cazzo potrebbe essere stata una bella giornata?!
Gamzee sorride, un sorriso da predatore. Karkat si sente sciogliere qualcosa sullo stomaco, e sa che è voglia.
- Allora miglioriamola un po’. – sussurra Gamzee avvicinandoglisi.
Karkat chiude gli occhi e lo lascia fare. Lascia che Gamzee gli scavi dentro un’altra ferita, un dolore nuovo, perché a volte ricordare quello vecchio non basta più neanche a lui.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Karkat/Gamzee.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: AU, Slash, Lemon, Blood, Violence, Spoiler per l'Act5.
- "Karkat entra all’interno dell’appartamento solo quando smette di sentire le urla e i tonfi."
Note: Scritta per il Carnevale delle Lande su prompt Serial killer!AU.
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EVERYTIME I'M LOST, I'M ALWAYS FINDING MY WAY BACK TO YOU

Karkat entra all’interno dell’appartamento solo quando smette di sentire le urla e i tonfi. Si è prodigato in una serie di smorfie che nessuno ha visto, per tutto il tempo, chiedendosi perché Gamzee non potesse, per una volta, essere discreto, ma ha finito per rispondersi da solo. Gamzee non è mai discreto, non è mai tranquillo, non è mai silenzioso, ecco perché li mandano sempre assieme. Sono tutti convinti che sia Gamzee, fra loro due, a fare “il lavoro sporco”, ma nessuno si è mai chiesto quanto sporco fosse il suo, di lavoro. Danno per scontato che lui risolva problemi di cui loro non sono nemmeno a conoscenza, e questo perché se lo fossero probabilmente finirebbero a far rinchiudere Gamzee in qualche gabbia di matti, e Karkat non può lasciare che questo succeda. Per cui, dove Gamzee non può essere discreto, tocca a Karkat compensare.
L’ingresso dell’appartamento è una stanzetta claustrofobica a pianta quadrata. I soffitti sono bassi, qui come – Karkat immagina – in tutto il resto della casa. Si concede una smorfia nel vedere macchie di sangue sparse un po’ ovunque, sulle pareti, naturalmente, a imbrattare la carta da parati vecchia e ingiallita, ma anche sul soffitto, a rapprendersi sull’intonaco bianco.
Il respiro affannoso di Gamzee si sente fin là.
Karkat avanza un passo dopo l’altro, con cautela. Quando Gamzee è in queste condizioni, non si può mai sapere cosa combinerà. Ogni tanto lo riconosce, ma spesso è successo che Karkat dovesse prendersi una buona mezz’ora per riportarlo in sé a suon di ceffoni, prima di poterlo trascinare via.
Nel corridoio c’è il cadavere di un uomo a cui è stata strappata di netto la testa dal collo. Il corpo esanime giace riverso in una pozza di sangue, e la testa è rotolata così lontano che Karkat non riesce a vederla. O forse, pensa con un brivido, Gamzee l’ha tenuta con sé. Dio, questa sua assurda passione per le teste decapitate è una roba agghiacciante.
- Gamzee. – lo chiama a bassa voce, entrando nell’unica stanza la cui porta sia aperta. Lui non risponde, ma se non altro sembra tranquillo. È voltato verso la finestra, la serranda è alzata e la luce del sole, filtrando attraverso il vetro, lo illumina e lo riscalda. Gamzee ha gli occhi aperti e fissa i ghirigori che ha disegnato spargendo con le proprie dita il sangue delle sue vittime su e giù per la superficie liscia e trasparente. Sembra molto soddisfatto di se stesso. – Dio, di nuovo… - si lamenta Karkat, sospirando rassegnato, - Giuro che ogni tanto mi sembri come quei bambini che, per quanto li rimproveri, continuano a disegnare coi pastelli a cera sulle pareti.
Gamzee non emette un suono, e Karkat decide che può anche occuparsene dopo.
Si volta verso l’unico elemento di arredamento contenuto nella stanza, una vecchia scrivania da pochi soldi, smaltata ma rovinata in più punti, sul piano della quale Gamzee ha disposto ordinatamente le teste di tutte le sue vittime, i cui corpi giacciono invece sparsi per tutto il perimetro della stanza in cui si trovano adesso ed anche – Karkat ipotizza – di tutte le altre stanze della casa, considerato il fatto che il numero dei cadaveri presenti non corrisponde al numero delle teste.
- Sai, questa cosa è inutilmente inquietante. – commenta, incrociando le braccia sul petto, - A cosa ti serve metterle in ordine? Non puoi trattarle come trofei, non puoi mica portarle a casa.
L’idea un po’ lo diverte, perché sa che a Gamzee piacerebbe avere una mensola sulla quale disporre tutti i suoi macabri souvenir, e si lascia sfuggire un mezzo sorriso che però ha appena il tempo di passargli come un’ombra sulle labbra, prima di venire spazzato via: Gamzee gli si avvicina di soppiatto, allacciandogli le braccia al collo e premendosi contro di lui. Nessuna bugia che Karkat possa raccontarsi in questo momento sarebbe sufficiente a cancellare l’evidenza dell’eccitazione di Gamzee che, attraverso i vestiti, preme contro le sue natiche.
- Oh, Dio, no. – si lamenta, cercando di allontanarsi da lui, - Gamzee, ti prego.
Ma Gamzee non risponde, Gamzee probabilmente nemmeno lo sente, mentre lo costringe a voltarsi e poi preme con forza le proprie labbra sulle sue, costringendole a dischiudersi e ad accogliere la propria lingua.
Karkat si lascia sfuggire un gemito infastidito, cercando invano di voltarsi per sfuggirgli, ma Gamzee lo tiene ancorato a sé, spinge tutto il peso del proprio corpo contro il suo e, quando lo sente arrendersi sotto le sue mani, lo solleva per i fianchi, issandolo senza grazia sul tavolo. Un paio di teste rotolano giù quando Karkat, agitando le braccia per trovare un appiglio, le colpisce senza neanche accorgersene.
- Gamzee, ma che cazzo. – borbotta contro le sue labbra, mentre le suo mani corrono svelte a sbottonare i pantaloni, prima che Gamzee glieli strappi di dosso facendoli a brandelli, - Questa cosa non può continuare.
Gamzee gli sorride addosso, le labbra umide che lasciano tracce di sangue e saliva sul collo di Karkat mentre ne risalgono la curva. Continua a non parlare, e Karkat non ha più voglia di farlo neanche lui, tanto sa già che sarebbe inutile. Ormai non può più riportarlo indietro con le parole.
Lo accoglie fra le gambe con un gemito infastidito, perché Gamzee non ha grazia né riguardo, quando è fuori di sé, non si preoccupa minimamente di quanto male potrebbe fargli, e solo l’abitudine che ormai Karkat ha sviluppato nei confronti dei suoi modi spicci riesce ancora a tenerli uniti.
Gamzee affonda nel suo corpo con un ringhio che non ha niente di umano, e Karkat getta indietro il capo, stringendo le dita attorno alla propria erezione per accarezzarsi bruscamente mentre insegue col proprio bacino le spinte di Gamzee, che gli ansima sulle labbra, gli occhi chiusi, i capelli scompigliati, le tracce del trucco ridicolo che utilizza per terrorizzare a morte le sue vittime ormai tutte sbavate attorno ai suoi occhi e alle sue labbra. C’è sangue ovunque, e se Karkat socchiude gli occhi, attraverso il velo di lacrime di dolore e piacere, riesce a vedere solo rosso.
Gamzee si spinge dentro di lui un’ultima volta, con violenza. Karkat strilla e poi stringe le braccia attorno alle sue spalle mentre lo sente venire dentro di sé, e poi cominciare a strillare a propria volta.
- Ssh… - mormora, accarezzandogli lentamente la testa e il collo, - Ssh, Gamzee.
Le urla di Gamzee si fanno meno rumorose, più rauche e stanche, e Karkat lo stringe a sé, cullandolo come un bambino. In momenti come questi, momenti in cui i problemi che Gamzee ha nella testa si mostrano così evidenti, lo rendono prigioniero e lo abbandonano rivoltato dall’interno, c’è sempre solo una cosa che Karkat vorrebbe fare. Prendere Gamzee e portarlo via. Via dall’organizzazione, dalla vita che conducono, dagli omicidi, dal sangue.
Sa che la via che hanno imboccato è senza uscita, ma non riesce a costringersi a smettere di sperare che un giorno potranno scapparne via.
- Ce l’hai fatta di nuovo, fratello. – sussurra Gamzee, appoggiandoglisi contro, esausto. Karkat si lascia stringere, chiudendo le gambe attorno ai suoi fianchi magri per trattenerlo il più possibile dentro di sé. – Mi hai riportato indietro un’altra volta. Che fottuto miracolo.
Karkat sorride appena, strusciando la punta del naso contro la curva del suo collo. Fra pochi minuti dovranno separarsi, ripulire e tornare alla base.
Non adesso, però.