telefilm: ramsay bolton

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Erotico, Drammatico.
Pairing: Ramsay/Theon.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Angst, Torture, Dub-con, Violence.
- Reek riceve un regalo inaspettato.
Note: Chiedete alla mia donna le condizioni in cui ho affrontato tutta la scena Ramsay/Theon nella 4x06, e lei sarà prodiga di aggettivi nei miei confronti XD La scena del bagno mi ha letteralmente fatta urlare per tutta la sua durata. E' stata una delle robe più soddisfacenti che mi sia capitato di guardare recentemente in una serie televisiva. Kudos a Benioff e Weiss per avermi dato ciò che nessun altro avrebbe mai potuto darmi XD
Fic scritta per la seconda settimana delle Badwrong Weeks, a tema (ovviamente) BDSM, Non-con, Dub-con e Violence. Questa storia è praticamente TUTTO insieme. Evviva me.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
AS SWEET AS A NIGHT OF SURRENDER

La spugna gonfia d’acqua tiepida scivola dolcemente sulla pelle di Reek, e Reek è così grato al suo padrone per questo. Il padrone è così buono, con Reek, quando Reek si comporta bene. Reek l’ha imparato sulla sua pelle. Su quella che prima c’era, sulla punta delle dita, e che poi non c’è più stata. Carne esposta. Reek è stato carne esposta e sanguinante per così tanto tempo. Ma adesso non ci pensa più. Adesso è tutto diverso. Adesso Reek vuole bene al suo padrone, e se è bravo abbastanza, se è ubbidiente abbastanza, il suo padrone lo ricompensa. Perché è buono. Perché è giusto. Perché non farebbe mai del male al suo caro Reek, ed anche quando è un po’ severo – pensa ai legacci attorno ai polsi e alle caviglie, al loro ruvido strofinare contro la sua pelle fino a scavare solchi che bruciavano come ferri per marchiare il bestiame; pensa alla punta del coltello che scivola sottile, si insinua sotto le unghie, e al colpo secco che le fa saltare; pensa al coltello dalla lama spessa e seghettata; al taglio netto; a Theon che prima c’è e poi non c’è più. Chi è Theon? Reek l’ha dimenticato. Theon non gli piaceva neanche. È meglio che sia sparito – sì, anche quando è un po’ severo Reek sa che lo fa per il suo bene. Per insegnargli come ci si comporta. Cosa ci si aspetta da lui.
Ogni tanto il suo padrone ha degli ordini per lui, ogni tanto gli spiega esattamente cosa vuole che faccia. Quando ci sono gli stivali da pulire. Quando deve giocare con qualche ragazza. Quando bisogna prendersi cura dei cani – i cani hanno tanti bisogni, il padrone glielo dice sempre. Tu devi provvedere a tutti. Reek deve provvedere a tutti.
Ogni tanto invece no, ogni tanto il suo padrone ha solo voglia di stare con lui. E se Reek è stato cattivo allora sa di doversi aspettare una punizione – ma va bene, perché se è davvero stato cattivo sa di meritarsela. Ma se è stato buono, allora sì, ogni tanto può aspettarsi una ricompensa. Ed alle volte è un sorriso e un complimento – Reek è così felice quando il suo padrone gli dice qualcosa di carino sorridendo gentilmente; Reek non è mai più felice di quant’è felice in quei momenti – o un piccolo regalo. O del cibo, o un po’ di vino. Altre volte, invece, è un regalo grandissimo, una gentilezza enorme, una di quelle che fanno quasi venire a Reek voglia di piangere. Una cosa come un bagno.
È successo pochissime volte, oh, così poche da quando è qui. E solo quando Reek è stato tanto, tanto, tanto buono. Un bagno è un complimento indiretto. Vuol dire che è stato buonissimo. Che il padrone è contento di lui. E mentre il padrone lo lava, la pelle pallida che riemerge sotto lo strato di sporco che si è accumulato negli ultimi mesi, Reek non riesce a smettere di sorridere, e non riesce a smettere di piangere.
- Che c’è, Reek? – domanda il padrone, sorridendo divertito, - Non sei contento?
- Reek è contento, padrone. – si affretta a rispondere, la voce spezzata dai singhiozzi, - È contentissimo.
- Non sei grato?
- Reek è così grato, padrone. – Reek nasconde il viso, imbarazzato dalle proprie stesse lacrime mentre cerca di scacciarle, - Grazie, padrone.
- Mi ami, Reek? – chiede il padrone in un sussurro bassissimo, stringendo i capelli di Reek fra le dita e forzandolo a piegare indietro il capo per pulirgli il viso.
- Sì, padrone. – Reek risponde subito, nonostante l’acqua che gronda dalla spugna e gli entra in bocca, riempiendola del sapore nauseante del suo stesso sporco. – Vuoi che Reek faccia qualcosa per te, padrone? – domanda, ansioso di essere utile, sperando che questo possa garantirgli presto un’altra ricompensa.
Il padrone gli sorride, ed è così bello quando gli sorride. Reek lo ama così tanto. Il sorriso del padrone è così buono, il padrone lo guarda con così tanta indulgenza quando gli sorride così. Perché gli vuole bene, nonostante Reek sia così disgustoso, e sporco, e brutto, e nonostante lo deluda così spesso, il padrone gli vuole così tanto bene.
- Non oggi, Reek. – risponde il padrone, passandogli le dita bagnate fra i capelli incrostati e sudici, - Oggi voglio solo stare con te. Voglio stare solo con te, come quando vengo a trovarti nella tua gabbia la notte. Te lo ricordi cosa succede quando vengo a trovarti, vero?
- Non sei venuto per così tanto tempo, padrone. – risponde Reek, fremendo sotto le sue dita, - Ma Reek ti ha aspettato.
- E ti sono mancato? – domanda il padrone, le dita che scivolano lungo la linea del suo collo e poi giù lungo le spalle magre.
- Sì, padrone. – risponde Reek, deglutendo a fatica, abbassando appena lo sguardo per seguire le dita del padrone mentre scompaiono oltre il pelo dell’acqua, scendendo lungo il suo petto e il suo ventre. Il padrone sta per toccarlo come gli piace toccarlo quando nessuno li guarda. È una cosa speciale, un segreto che custodiscono entrambi – oh, il padrone è stato molto chiaro, la prima volta che è successo, gli ha spiegato in maniera molto esaustiva sia i motivi per cui questa cosa dovesse essere tenuta segreta, sia quello che gli sarebbe capitato se mai qualcuno ne fosse venuto a conoscenza – e per Reek è un tesoro prezioso, perché il padrone gliel’ha detto, non tocco nessuno in questo modo, Reek, mio caro, caro, stupido Reek, solo te.
Sa che è quello che il padrone vuole, e quindi schiude le gambe, appoggiandosi indietro contro la vasca e chiudendo gli occhi. Le dita del padrone scivolano lente fra le sue cosce, seguendone la linea dritta e un po’ ossuta verso il ginocchio e poi di nuovo in alto verso l’inguine. Giocano intorno la sua apertura, quella nuova, quella che il padrone gli ha aperto addosso, una ferita che fatica a rimarginarsi, che brucia ancora nella notte, che quasi lo fa piangere, ma quando il padrone lo tocca, quando il padrone lo tocca è bellissimo, quando le sue dita un po’ ruvide strofinano la pelle ipersensibile attorno al taglio, quando la punta si insinua appena oltre le pieghe della pelle arrossata e infiammata, e poi Reek urla perché il dolore è troppo forte, ed è troppo intenso, e lui non riesce a trattenerlo, e il padrone sorride, e ritrae la mano all’istante. Perché è buono, perché non vuole fargli male. Vuole solo toccarlo, e Reek vuole essere toccato, vuole essere toccato tantissimo.
Apre gli occhi, appannati dalle lacrime, e cerca di distinguere l’espressione del padrone oltre il velo che gli impedisce di vedere. Il padrone sta sorridendo, un sorriso largo e soddisfatto.
- Ti ho fatto male, Reek?
- No, padrone. – Reek scuote il capo, - È stato bellissimo.
Il sorriso del padrone si allarga, e gli occhi di Reek si riempiono di lacrime. È così bello quando sorride, il suo padrone. È così bello quando è gentile con lui.
- Sai cosa voglio, adesso, vero? – riprende, alzandosi in piedi, - Vero, Reek?
Reek annuisce lentamente, già intorpidito dalla scarica di dolore e dalla promessa di piacere che racchiude. Afferra i bordi della vasca fra le dita, facendo presa per tirarsi in piedi, e quando ci riesce si volta, piegandosi in avanti.
- Così, padrone? – domanda, voltandosi a guardarlo da sopra la spalla.
- Sei ancora tutto sporco. – commenta il suo padrone, studiandolo da vicino. – Sei disgustoso, Reek. Ma sei il mio Reek. Per questo motivo, farò lo sforzo di pulirti.
- Grazie, padrone. – Reek quasi singhiozza, esponendosi alle carezze delle mani bagnate del suo padrone. Sono ruvide e un po’ brusche, ma a Reek piacciono tanto. Geme quando il padrone lo tocca, quando sente le sue dita farsi strada dentro il suo corpo, due da subito, tre dopo pochi istanti, e geme ancora, più forte, quando lo sente allargarle, per allargare anche la sua apertura, stirandola al limite.
- Ti piace, vero, Reek? – domanda il padrone, guardandolo compiaciuto.
Reek geme, getta indietro il capo, dondola i fianchi e stringe l’anello di muscoli attorno alle sue dita.
- Sì, padrone. – esala in un fiato.
- E vuoi di più? – continua lui, sfilando le dita dal suo corpo e chiudendo con forza le mani attorno ai suoi fianchi, tirandolo indietro.
Reek annuisce velocemente, gli occhi chiusi, le labbra aperte e un po’ secche, la lingua che guizza ad inumidirle ogni tanto. L’attesa è più piacevole del piacere, anche perché il piacere è spesso intriso di dolore. A Reek piace anche quello – a Reek piace tutto, tutto quello che il suo padrone può dargli, tutto quello che gli dà – ma l’attesa è più gentile, l’attesa non graffia e non sfonda e non brucia e non tira e non strappa.
Poi il suo padrone scioglie il laccio che tiene chiusi i pantaloni in vita, li abbassa quel tanto che basta per scoprire la propria erezione – quel tanto che basta per tenerli attorno ai fianchi, quel tanto che basta per lasciare le fibbie libere di incidere la loro impronta sulle natiche di Reek quando si avvicina – e subito dopo gli entra dentro, un colpo deciso, giù fino in fondo, che lo apre in due.
Le lacrime agli occhi, Reek urla, stringendo le dita attorno al bordo della vasca finché non gli sbiancano le nocche. Il suo padrone lo scopa così forte che la vasca trema sotto di lui, e l’acqua schizza ovunque, sulle sue gambe, fra le sue cosce, si rovescia sul pavimento, sulle gambe del suo padrone. Sarà arrabbiato, dopo, per essersi bagnato con l’acqua sudicia della sporcizia di Reek, ma se Reek lo soddisfa adesso, se fa il bravo e il padrone è contento di lui, forse non avrà voglia di punirlo, dopo.
Stringe i denti, andando incontro alle sue spinte con movimenti svelti del bacino. L’erezione durissima del suo padrone brucia come ferro arroventato dentro di lui, ed è bellissimo. Oh, sì, Reek adora questa sensazione, il dolore che riempie il suo corpo goccia dopo goccia come un vaso, fino a raggiungere il bordo, e poi semplicemente esonda, e libero dagli argini Reek non lo sente più. Il suo corpo percepisce ogni cosa come ovattata, tutte le sensazioni diventano distanti, tutte le sensazioni diventano piacere, e i suoi gemiti si fanno più profondi, e poi qualcosa brucia dentro di lui, ma si spegne subito, come la fiamma di una candela che annega nella cera liquida quando si è consumata tutta. Il piacere si accumula, ma non scoppia, e quando il suo padrone esce dal suo corpo Reek crolla sulle ginocchia, lo stomaco annodato dalla frustrazione, il corpo scosso da tremiti molto simili alla rabbia. Troppo simili alla rabbia.
- Stai bene, Reek? – chiede il suo padrone. Reek può immaginare il tipo di sorriso che gli piega le labbra in questo momento. Tirato agli angoli, cattivo, divertito. Lo immagina anche se non può vederlo, perché lo conosce bene. Prima di Reek, prima di questo, quel sorriso—ma Reek non vuole pensarci. Fa male pensarci. E non ne vale la pena.
Annuendo lentamente, solleva il capo, guardando il suo padrone con occhi pieni di lacrime e gratitudine.
- È stato bellissimo, padrone, - mugola, - A Reek è piaciuto tanto.
Il suo padrone soppesa le sue parole con aria cupa per qualche istante. Il cuore in gola, Reek prega gli dei vecchi e nuovi per un po’ di clemenza, perché non può fare nient’altro. E poi le labbra del padrone si aprono in un nuovo sorriso indulgente, e la sua mano ancora umida si solleva, passando dolcemente fra i suoi capelli bagnati, accarezzandolo come un cane fedele.
- Pulisci questo disastro, Reek. – ordina gentilmente, - E poi torna nella tua gabbia.
Reek sospira di sollievo, chiudendo gli occhi ed appoggiando la fronte al bordo freddo e bagnato della vasca quando il suo padrone abbandona la stanza da bagno. Poi, lentamente, si raccoglie dal fondo della vasca e scivola sul pavimento, in ginocchio, come sa che piace al suo padrone, stringendo forte lo straccio che usa per pulire per terra, stringendolo così forte da sentire scricchiolare le dita.
Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Ramsay/Theon.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Rape, Torture, Slash, Angst.
- "La pena non è commisurata ai crimini. Raramente lo è, nel mondo che conosce, nel mondo in cui è cresciuto, nel mondo in cui è stato possibile che, ancora bambino, venisse strappato dalle braccia della propria famiglia per una colpa non sua, ma per quanto orrende possano essere le sue colpe – no. Questo no. Questo è troppo."
Note: Ramsay e Theon sono chiaramente due soggetti su cui potrei scrivere sempre la stessa cosa quindici, venti volte, senza mai stancarmi, è meraviglioso XD Grazie, Benioff e Weiss, per avermeli dati. Adesso perfino la vita di Theon ha uno scopo -- no, Theon non mi piace. Non provo per lui la benché minima pietà, non empatizzo, okay, soffro fisicamente durante le sue scene, but still sono fra i pochi (?) che ancora non credono che la redenzione di un personaggio possa passare tramite le sofferenze che patisce, ma solo tramite la sua redenzione. But that's beyond the point.
Insomma, Theon e Ramsay vanno a solleticare la parte di me che per robe come questa si prende benissimo. Aggiungiamoci che loro non si fanno certo pregare. E insomma. *sparge fiori sulla gente*
Questa storia partecipa alla seconda settimana delle mie adorate Badwrong Weeks, dedicata a cose turpissime tipo il non-con e i suoi parenti vicini e lontani. Mi pare evidente perché. Inoltre! filla il prompt #25 (Soffrire l'agonia) della 500themes_ita.
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THESE ARE THE SCARS THAT SILENCE CARVED ON ME

Ogni centimetro del suo corpo trema, quando Ramsay appare sulla soglia. Il suo corpo è una macchia nera contro lo sfondo illuminato del resto del mondo, ma Theon riesce comunque ad intuire la sua espressione, quel sorriso agghiacciante, perfido, sbilenco, i suoi occhi azzurri spalancati in un impeto di gioia quasi infantile.
Istintivamente, malgrado non riesca quasi a muoversi – ogni spostamento, pur minimo, gli causa un dolore inimmaginabile; alle volte sembra che non esista un solo punto del suo intero corpo che non sia fatto di dolore senza fondo –, cerca di farsi indietro, di schiacciarsi il più possibile contro la croce di legno alla quale è legato. È consapevole di essere ridotto ormai a poco più di un animale, una bestia spaventata, mutilata, spezzata. Gli sfugge un gemito dalla gola. “È così bello che tu sia ancora vivo,” dice Ramsay. Theon preferirebbe mille volte essere già morto.
China il capo, lasciando che siano solo i lacci che lo legano a sorreggerlo. Lo stringono ai polsi, sono taglienti al punto da lacerargli la pelle e penetrargli nella carne, ma fa comunque meno male che cercare di reggersi dritto con le proprie forze.
Non sente più le gambe da giorni. Si chiede se riuscirà mai a camminare di nuovo. Si chiede anche – il cuore quasi si ferma al solo pensiero – che senso abbia domandarsi se riuscirà mai a camminare ancora, quando è evidente che non avrà più nemmeno l’occasione di provarci. Morirà – e morirà qui. Legato a questa croce. Esalerà l’ultimo respiro fra le braccia di Ramsay. Prova a cercare di vedere tutto questo come una sorta di legittima punizione per tutti i crimini di cui si è macchiato, contro gli Stark, contro Winterfell, contro la sua famiglia e la sua casa, ma funziona solo per brevi istanti, solo quando il senso di colpa lo schiaccia. Poi il dolore gli esplode dentro, da qualche parte, da tutte le parti, ed il senso di colpa si solleva come il vento di notte, scacciando via i suoi pensieri, lasciandolo stranamente, dolorosamente lucido.
La pena non è commisurata ai crimini. Raramente lo è, nel mondo che conosce, nel mondo in cui è cresciuto, nel mondo in cui è stato possibile che, ancora bambino, venisse strappato dalle braccia della propria famiglia per una colpa non sua, ma per quanto orrende possano essere le sue colpe – no. Questo no. Questo è troppo.
Ramsay infila due dita oltre l’orlo dei suoi pantaloni, tirando appena per allargarli. “Vediamo come stai,” quasi canticchia, le labbra che tremano dall’emozione, mentre gli insinua una mano fra le gambe. “Non è ancora ricresciuto,” ride, pressando due dita contro la ferita ancora fresca, frugandovi all’interno senza pietà, “Scommetto che ti manca.” Theon urla, il dolore che si diffonde ovunque contemporaneamente, come non avesse più nemmeno un epicentro. È consapevole delle ferite che lo ricoprono, del suo sesso strappato via come ad una bestia pronta per il macello, delle dita mozzate, della pelle strappata via a chiazze dal suo corpo, ma ormai tutti quei singoli dolori hanno smesso di vivere indipendentemente l’uno dall’altro. È tutto un dolore unico, un’agonia continua. Che Ramsay lo tocchi o non lo tocchi, non cessa mai.
“Uccidimi,” lo implora in un rantolo soffocato, gli occhi fuori dalle orbite mentre le dita di Ramsay scavano sempre più profondamente dentro di lui, e lui le sente rovistare fra le sue interiora come topi in una cantina, “Uccidimi, ti prego, uccidimi.”
“Non potrei mai, Reek,” risponde Ramsay, il tono carezzevole, allontanando finalmente le dita da lui, “Certo, potrebbe essere un’esperienza interessante,” dice, sollevando le due dita sporche di sangue all’altezza del proprio viso, “Estremamente lunga ed estremamente interessante,” precisa con un sorriso, “Ma una volta morto,” chiede poi, tornando a guardarlo, “A cosa mi serviresti?”
Theon gli solleva addosso uno sguardo martoriato, incapace di trattenere oltre le lacrime – e incapace di piangere ancora, il corpo scosso dai singhiozzi e gli occhi aridi, completamente asciutti.
Ramsay sorride sereno e si infila le dita in bocca, assaggiando il suo sangue in punta di lingua. Poi, con una smorfia disgustata, sputa sul pavimento. “Non hai un buon sapore, Reek,” dice, annusandosi la punta delle dita, “Perfino il tuo sangue puzza.”
Theon china il capo un’altra volta, con un lamento straziato. Ramsay si allunga a slacciare le corde che lo immobilizzano, ed una volta privato del loro sostegno Theon cade in avanti, lanciando un urlo disperato quando le ginocchia sbattono con uno scricchiolio sinistro contro il pavimento in pietra dura. La parte inferiore delle sue gambe, ancora assicurata alle braccia della croce, si contorce, tirata dal suo peso morto, e lui urla ancora, il corpo improvvisamente attraversato da una scarica di forza disperata che scaturisce solo dalla chiara consapevolezza, quasi un fulmine che gli attraversa il cervello, del fatto che non sarà mai in grado di sopportare il dolore che prova se non cessa immediatamente.
Si agita senza scopo, in un tentativo inconscio e furioso di strapparsi le gambe di dosso, come se ciò potesse servire in qualche modo a lenire il suo tormento. Ramsay ride di lui, e si prende tutto il tempo che gli serve ed anche di più per sciogliere i nodi attorno alle sue caviglie, e svitare i perni che tengono immobili i suoi piedi.
Theon nasconde il viso contro il pavimento, piangendo rumorosamente senza una lacrima. La porta è a pochi metri da lui, ma anche se riuscisse a strisciare fin lì sa che non riuscirebbe mai ad andare oltre. Dove, poi? In che luogo? Non c’è niente, per lui, oltre quel rettangolo di luce. C’è il mondo da cui proviene, ma al quale non può tornare. Non ha più una casa, non ha più una famiglia. Non ha più nemmeno un nome da difendere. Reek è tutto quello che gli resta, e Theon urla perché preferirebbe non avere più nulla.
Urla così a lungo da potersi illudere di buttare fuori dai polmoni anche l’ultimo granello d’aria, l’ultimo respiro che potrebbe mai esalare. Urla fino a riuscire a illudersi di poter morire di dolore. Ma quando la sua voce si spegne, il suo respiro è ancora lì, e lui è ancora vivo. Ostinatamente, irrazionalmente aggrappato ai battiti del proprio cuore finché non gli sanguinano le dita.
Ramsay attende in silenzio, finché non lo vede accasciarsi nuovamente sul pavimento, privo di forze. “Hai finito?” chiede quindi, gelido come la pietra contro la quale Theon si schiaccia, nel tentativo di colare via fra le crepe e disperdersi nella terra, come il proprio sangue. “Finalmente,” commenta, quando non ottiene risposta. Poi si china e lo afferra per la cintola, sollevandolo dal pavimento e trascinandolo verso il tavolo. “Sei insopportabile quando gridi prima ancora che io ti tocchi,” lo rimprovera aspramente, sbattendolo con forza sopra la superficie di legno. L’angolo appuntito gli si conficca nel fianco – privo di forze, prossimo alla perdita di conoscenza, Theon non riesce a far altro che gemere pietosamente. “Ora urla perché ti sto toccando,” conclude Ramsay, e Theon si sente addosso il suo ghigno storto e spaventoso, i suoi occhi spalancati che gli scavano ferite profonde sotto la pelle. E poi le sue mani, mentre svelte gli strattonano i pantaloni lungo le gambe, lasciandolo nudo ed esposto. E le dita che gli stringono con forza le natiche, allargandole per esporre la sua apertura.
E poi lui che si fa strada dentro il suo corpo, duro ed enorme e bollente come una mazza infuocata. “Urla,” sibila Ramsay, annusandogli il collo e mordendogli un orecchio fino a farlo sanguinare, “Urla, adesso.”
Gli si mozza il respiro in gola e sviene prima di potere anche solo cominciare.