Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Ramsay/Theon.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Rape, Torture, Slash, Angst.
- "La pena non è commisurata ai crimini. Raramente lo è, nel mondo che conosce, nel mondo in cui è cresciuto, nel mondo in cui è stato possibile che, ancora bambino, venisse strappato dalle braccia della propria famiglia per una colpa non sua, ma per quanto orrende possano essere le sue colpe – no. Questo no. Questo è troppo."
Note: Ramsay e Theon sono chiaramente due soggetti su cui potrei scrivere sempre la stessa cosa quindici, venti volte, senza mai stancarmi, è meraviglioso XD Grazie, Benioff e Weiss, per avermeli dati. Adesso perfino la vita di Theon ha uno scopo -- no, Theon non mi piace. Non provo per lui la benché minima pietà, non empatizzo, okay, soffro fisicamente durante le sue scene, but still sono fra i pochi (?) che ancora non credono che la redenzione di un personaggio possa passare tramite le sofferenze che patisce, ma solo tramite la sua redenzione. But that's beyond the point.
Insomma, Theon e Ramsay vanno a solleticare la parte di me che per robe come questa si prende benissimo. Aggiungiamoci che loro non si fanno certo pregare. E insomma. *sparge fiori sulla gente*
Questa storia partecipa alla seconda settimana delle mie adorate Badwrong Weeks, dedicata a cose turpissime tipo il non-con e i suoi parenti vicini e lontani. Mi pare evidente perché. Inoltre! filla il prompt #25 (Soffrire l'agonia) della 500themes_ita.
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THESE ARE THE SCARS THAT SILENCE CARVED ON ME

Ogni centimetro del suo corpo trema, quando Ramsay appare sulla soglia. Il suo corpo è una macchia nera contro lo sfondo illuminato del resto del mondo, ma Theon riesce comunque ad intuire la sua espressione, quel sorriso agghiacciante, perfido, sbilenco, i suoi occhi azzurri spalancati in un impeto di gioia quasi infantile.
Istintivamente, malgrado non riesca quasi a muoversi – ogni spostamento, pur minimo, gli causa un dolore inimmaginabile; alle volte sembra che non esista un solo punto del suo intero corpo che non sia fatto di dolore senza fondo –, cerca di farsi indietro, di schiacciarsi il più possibile contro la croce di legno alla quale è legato. È consapevole di essere ridotto ormai a poco più di un animale, una bestia spaventata, mutilata, spezzata. Gli sfugge un gemito dalla gola. “È così bello che tu sia ancora vivo,” dice Ramsay. Theon preferirebbe mille volte essere già morto.
China il capo, lasciando che siano solo i lacci che lo legano a sorreggerlo. Lo stringono ai polsi, sono taglienti al punto da lacerargli la pelle e penetrargli nella carne, ma fa comunque meno male che cercare di reggersi dritto con le proprie forze.
Non sente più le gambe da giorni. Si chiede se riuscirà mai a camminare di nuovo. Si chiede anche – il cuore quasi si ferma al solo pensiero – che senso abbia domandarsi se riuscirà mai a camminare ancora, quando è evidente che non avrà più nemmeno l’occasione di provarci. Morirà – e morirà qui. Legato a questa croce. Esalerà l’ultimo respiro fra le braccia di Ramsay. Prova a cercare di vedere tutto questo come una sorta di legittima punizione per tutti i crimini di cui si è macchiato, contro gli Stark, contro Winterfell, contro la sua famiglia e la sua casa, ma funziona solo per brevi istanti, solo quando il senso di colpa lo schiaccia. Poi il dolore gli esplode dentro, da qualche parte, da tutte le parti, ed il senso di colpa si solleva come il vento di notte, scacciando via i suoi pensieri, lasciandolo stranamente, dolorosamente lucido.
La pena non è commisurata ai crimini. Raramente lo è, nel mondo che conosce, nel mondo in cui è cresciuto, nel mondo in cui è stato possibile che, ancora bambino, venisse strappato dalle braccia della propria famiglia per una colpa non sua, ma per quanto orrende possano essere le sue colpe – no. Questo no. Questo è troppo.
Ramsay infila due dita oltre l’orlo dei suoi pantaloni, tirando appena per allargarli. “Vediamo come stai,” quasi canticchia, le labbra che tremano dall’emozione, mentre gli insinua una mano fra le gambe. “Non è ancora ricresciuto,” ride, pressando due dita contro la ferita ancora fresca, frugandovi all’interno senza pietà, “Scommetto che ti manca.” Theon urla, il dolore che si diffonde ovunque contemporaneamente, come non avesse più nemmeno un epicentro. È consapevole delle ferite che lo ricoprono, del suo sesso strappato via come ad una bestia pronta per il macello, delle dita mozzate, della pelle strappata via a chiazze dal suo corpo, ma ormai tutti quei singoli dolori hanno smesso di vivere indipendentemente l’uno dall’altro. È tutto un dolore unico, un’agonia continua. Che Ramsay lo tocchi o non lo tocchi, non cessa mai.
“Uccidimi,” lo implora in un rantolo soffocato, gli occhi fuori dalle orbite mentre le dita di Ramsay scavano sempre più profondamente dentro di lui, e lui le sente rovistare fra le sue interiora come topi in una cantina, “Uccidimi, ti prego, uccidimi.”
“Non potrei mai, Reek,” risponde Ramsay, il tono carezzevole, allontanando finalmente le dita da lui, “Certo, potrebbe essere un’esperienza interessante,” dice, sollevando le due dita sporche di sangue all’altezza del proprio viso, “Estremamente lunga ed estremamente interessante,” precisa con un sorriso, “Ma una volta morto,” chiede poi, tornando a guardarlo, “A cosa mi serviresti?”
Theon gli solleva addosso uno sguardo martoriato, incapace di trattenere oltre le lacrime – e incapace di piangere ancora, il corpo scosso dai singhiozzi e gli occhi aridi, completamente asciutti.
Ramsay sorride sereno e si infila le dita in bocca, assaggiando il suo sangue in punta di lingua. Poi, con una smorfia disgustata, sputa sul pavimento. “Non hai un buon sapore, Reek,” dice, annusandosi la punta delle dita, “Perfino il tuo sangue puzza.”
Theon china il capo un’altra volta, con un lamento straziato. Ramsay si allunga a slacciare le corde che lo immobilizzano, ed una volta privato del loro sostegno Theon cade in avanti, lanciando un urlo disperato quando le ginocchia sbattono con uno scricchiolio sinistro contro il pavimento in pietra dura. La parte inferiore delle sue gambe, ancora assicurata alle braccia della croce, si contorce, tirata dal suo peso morto, e lui urla ancora, il corpo improvvisamente attraversato da una scarica di forza disperata che scaturisce solo dalla chiara consapevolezza, quasi un fulmine che gli attraversa il cervello, del fatto che non sarà mai in grado di sopportare il dolore che prova se non cessa immediatamente.
Si agita senza scopo, in un tentativo inconscio e furioso di strapparsi le gambe di dosso, come se ciò potesse servire in qualche modo a lenire il suo tormento. Ramsay ride di lui, e si prende tutto il tempo che gli serve ed anche di più per sciogliere i nodi attorno alle sue caviglie, e svitare i perni che tengono immobili i suoi piedi.
Theon nasconde il viso contro il pavimento, piangendo rumorosamente senza una lacrima. La porta è a pochi metri da lui, ma anche se riuscisse a strisciare fin lì sa che non riuscirebbe mai ad andare oltre. Dove, poi? In che luogo? Non c’è niente, per lui, oltre quel rettangolo di luce. C’è il mondo da cui proviene, ma al quale non può tornare. Non ha più una casa, non ha più una famiglia. Non ha più nemmeno un nome da difendere. Reek è tutto quello che gli resta, e Theon urla perché preferirebbe non avere più nulla.
Urla così a lungo da potersi illudere di buttare fuori dai polmoni anche l’ultimo granello d’aria, l’ultimo respiro che potrebbe mai esalare. Urla fino a riuscire a illudersi di poter morire di dolore. Ma quando la sua voce si spegne, il suo respiro è ancora lì, e lui è ancora vivo. Ostinatamente, irrazionalmente aggrappato ai battiti del proprio cuore finché non gli sanguinano le dita.
Ramsay attende in silenzio, finché non lo vede accasciarsi nuovamente sul pavimento, privo di forze. “Hai finito?” chiede quindi, gelido come la pietra contro la quale Theon si schiaccia, nel tentativo di colare via fra le crepe e disperdersi nella terra, come il proprio sangue. “Finalmente,” commenta, quando non ottiene risposta. Poi si china e lo afferra per la cintola, sollevandolo dal pavimento e trascinandolo verso il tavolo. “Sei insopportabile quando gridi prima ancora che io ti tocchi,” lo rimprovera aspramente, sbattendolo con forza sopra la superficie di legno. L’angolo appuntito gli si conficca nel fianco – privo di forze, prossimo alla perdita di conoscenza, Theon non riesce a far altro che gemere pietosamente. “Ora urla perché ti sto toccando,” conclude Ramsay, e Theon si sente addosso il suo ghigno storto e spaventoso, i suoi occhi spalancati che gli scavano ferite profonde sotto la pelle. E poi le sue mani, mentre svelte gli strattonano i pantaloni lungo le gambe, lasciandolo nudo ed esposto. E le dita che gli stringono con forza le natiche, allargandole per esporre la sua apertura.
E poi lui che si fa strada dentro il suo corpo, duro ed enorme e bollente come una mazza infuocata. “Urla,” sibila Ramsay, annusandogli il collo e mordendogli un orecchio fino a farlo sanguinare, “Urla, adesso.”
Gli si mozza il respiro in gola e sviene prima di potere anche solo cominciare.
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