telefilm: bufalo

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo, Erotico, Commedia, Romantico.
Pairing: Freddo/Libanese, accenni a Gigio/Libanese e a Freddo/Roberta.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, What If?.
- "Er pischello che diceva Bufalo… era Gigio."
Note: Avevo promesso a Tab che l'avrei fatto... XD Dunque, questa fic è il seguito di Talk To My Troubled Brain, ed è di quel tipo di seguiti che non puoi capire se non leggi la fic da cui sono stati generati, per cui, se proprio volete godervi questa, andate prima a godervi quell'altra XD ...e niente. *sospira e piange sale* A parte questo, io amo Bufalo, unico sprazzo di normalità di tutto ciò. Mi sono divertita da morire a scrivere la prima scena X3 Belli lui e il Dandi che si scazzano di continuo. ♥
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, "Sei uguale a tu' fratello. Con voi nun ce se sbaglia."
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
BODY AND SOUL ARE BLOWN UP IN PIECES
ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, "Sei uguale a tu' fratello. Con voi nun ce se sbaglia."

- E ‘nsomma, sto pischello vie’ fori dar bar. – racconta Bufalo, gli occhi enormi, mentre gesticola animatamente per esprimere tutto il proprio sconcerto di fronte alla propria piccola platea improvvisata. Dandi gioca a biliardo con Trenta Denari e non sembra granché interessato a niente che non sia sferico e non rotoli su un tappeto verde, i Buffoni, Fierolocchio e Scrocchiazzeppi sono persi in una partita di poker che va avanti da almeno tre ore ed alzano gli occhi su di lui solo a tratti e Freddo sta appoggiato alla parete poco distante, unico nel mucchio che lo degni di un po’ d’attenzione, mentre Libano, con gli occhi chiusi e apparentemente impegnato altrove dentro la propria testa, sta seduto come il re dei poveri sulla sedia rinsecchita e cigolante che gli fa da trono dietro al suo solito tavolino, un bicchiere di whiskey in una mano e una sigaretta nell’altra. – E nun me degna de ‘n’occhiata. Esce come ‘na furia e si tiene su ‘e braghe come se je devono casca’ da ‘n momento all’artro.
Freddo inarca un sopracciglio, le labbra sottili strette in una smorfia che le rende ancora più sottili, quasi lineari.
- E chi era ‘sto pischello? – chiede, ma è più che altro una gentilezza che gli fa per permettergli di continuare a parlare. Bufalo si volta verso di lui, le braccia che gli ricadono lungo i fianchi come si fosse smosciato d’improvviso.
- E secondo te io che ne so? – chiede aggrottando le sopracciglia, - Era piccino, c’avrà avuto diciassett’anni. Poi entro qua e je chiedo si lui ne sa niente, - continua, indicando Libano con un cenno del capo, - e ce lo sapete lui che me dice? Ce lo sapete?
- No, Bufalo, e nun ce ne frega manco ‘n cazzo. – risponde Dandi, prendendo la mira, - Te stai ‘n po’ zitto, mo’? Nun me riesce de concentrarmi se parli de continuo.
- A Dandi, te te devi sta’ attento. – dice subito lui, infilando le mani in tasca ed abbassando considerevolmente il tono di voce, mentre gli si avvicina a gambe larghe e testa bassa, come volesse caricarlo né più e né meno di come fanno gli animali di cui porta il nome, - Te te devi sta’ attento perché mo’ ce stai proprio a rompe’ er cazzo.
- E si te sei rotto er cazzo perché nun te ne vai a casa a dormi’, Bufalo? – ribatte Dandi, posando la stecca sul bordo del tavolo e voltandosi verso di lui col solito sorriso spavaldo, le mani sui fianchi e il petto in fuori, - Che a me me sa che stai a dormi’ poco, visto che te stanno a veni’ ‘e visioni.
- A Dandi, sta’ attento a cosa dici, eh, - insiste Bufalo, andandogli tanto vicino da poterlo prendere a testate sul naso, volendo, - che io a te ancora te devo quarche cazzotto, ricordatelo sempre.
- E c’avete rotto er cazzo tutti e due mo’! – tuona Libano, posando il bicchiere sul tavolo con un tonfo secco. – Basta, è tardi e semo tutti stanchi. Tutti. – precisa, guardando Dandi per ricordargli che pensa lo stesso anche di lui, quando Dandi fa tanto di sorridere soddisfatto, - ‘Namosene a casa, va’. – conclude alzandosi in piedi, - Quanti sordi hai buttato ar cesso stasera, Scrocchiazze’? – chiede con un mezzo sorriso, voltandosi verso l’amico, per stemperare l’atmosfera improvvisamente tesa.
- Troppi, Libane’, c’hai ragione. – annuisce lui alzandosi in piedi e mettendo via il poco che gli resta, - Me sa che è meglio se la chiudiamo qua, pe’ stasera, rega’.
- E me sa de sì. – annuisce Fierolocchio, stiracchiandosi sullo schienale della sedia, - Che m’o dai ‘no strappo a casa? – chiede, e Libano torna subito a disinteressarsi dei loro discorsi, spostando lo sguardo su Bufalo e Dandi per assicurarsi che si allontanino senza prendersi a cazzotti e poi salutino tutti, dirigendosi uno dopo l’altro verso l’uscita.
- Te no. – dice indicando Freddo quando lo vede allungare una mano verso la giacca per indossarla, - Te devo parla’.
Lui inarca un sopracciglio e sembra piuttosto stupito dalla richiesta, ma lascia subito perdere la giacca e gli si avvicina, raggiungendolo dov’è ed aspettando finché la sala è vuota per voltarsi verso di lui e abbozzare un sorriso.
- Che so’ ‘ste formalità? – chiede divertito, - Che me devi di’?
Il Libanese schiude le labbra, convinto che quando l’avrà fatto le parole usciranno da sole nel modo migliore – l’unico modo possibile, in realtà, migliore o peggiore non ha mai fatto tanta differenza, per lui; d’altronde, se una notizia è brutta puoi infiocchettarla quanto vuoi, sempre brutta rimane, mentre se c’hai un camion pieno di mignotte che aspetta solo di essere scaricato per dare la notizia va bene un modo qualunque, tanto nessuno se ne accorge – e invece gli si blocca il fiato in gola, come ci si fosse affogato.
Annaspa per qualche secondo, si schiarisce la voce e poi torna a guardare il Freddo, che lo fissa con curiosità, le braccia incrociate sul petto e il capo lievemente inclinato. Libano si accorge solo ora di non sapere come dirgli che in mattinata suo fratello s’è presentato da lui chiedendogli se avrebbe accettato dei soldi per fargli del male. E che lui naturalmente ha rifiutato, sì, ma già che c’era se l’è scopato.
Sul momento l’idea non era sembrata male. Il Freddo e suo fratello, ha scoperto, hanno un sacco di cose in comune – e lui ha paura di essere diventata una di queste, tra l’altro – ed una di queste è che magari non si incazzano spesso, ma quando s’incazzano fanno il diavolo a quattro. E il Freddo lo si calmava in due modi soli, o gli si dava un cazzotto – poco raccomandabile, come soluzione: lui aveva il brutto vizio di rimandarlo al mittente – o gli si dava un modo alternativo per tenere impegnate le mani. Di solito funzionava a distoglierlo dal motivo per il quale era arrabbiato, e per quando tutto si concludeva l’incazzatura gli era passata del tutto e manco si ricordava più perché fosse stato arrabbiato in passato. E con Gigio era andata allo stesso modo, dopotutto, quindi magari scoparselo non è stata proprio una brutta idea a livello generale. È il doverlo dire a Freddo che proprio gli crea dei problemi che mai prima di oggi non si sono mai presentati, e che in realtà in prospettiva lo preoccupano. Se non riesce a dirgli una cosa del genere, quanti casini sarà in grado di creare in futuro per cose ben più difficili da sputare fuori?
- Er pischello che diceva Bufalo… - comincia con una certa difficoltà, passandosi una mano sulla nuca e districando i riccioli annodati alla base del collo, - era Gigio.
Freddo lo guarda per un lungo secondo come se non riuscisse a vederlo, come se le immagini che gli si stanno affollando nella mente – o forse le parole che gli si sono infilate nelle orecchie e che, fra i suoi pensieri, hanno preso forma fisica – lo stessero accecando.
- Che stai a di’? – sputa alla fine, senza fiato. Libano sospira profondamente.
- M’è venuto a fa’ ‘na visita. – spiega, cercando di mantenersi rilassato e tranquillo, come stesse riferendo una notizia della minima importanza. – Io nun è che vojo mette er naso ne l’affari tua, Fre’, - esita, in un borbottio per lui tremendamente inusuale, omettendo che in realtà il naso negli affari suoi lo vorrebbe mettere eccome, se non altro per strillargli in faccia “e questa ragazza chi sarebbe?”, - ma è er fratellino tuo e nun me pare er caso de mandallo in giro a di’ cose come quelle che ha detto a me oggi. – conclude, annuendo a se stesso, soddisfatto per come è riuscito a gestire il flusso d’informazioni che doveva comunicare e, fino a pochi istanti prima, non sembrava avere alcuna intenzione di venir fuori.
Freddo sbianca in volto, le labbra dischiuse e le braccia abbandonate lungo i fianchi.
- Che t’ha detto? – chiede in un rantolo, e Libano ha l’impressione che Freddo si aspettasse, in qualche modo, che suo fratello prima o poi avrebbe fatto qualcosa di pazzo, anche se non era riuscito a intuire quanto.
- M’ha detto che gl’hai fregato la ragazza. – butta lì. Freddo trema. – E m’ha chiesto se te potevo fa’ ‘a festa pe’ quarche spicciolo. Che poi so’ sordi tua, Fre’.
Freddo boccheggia come un pesce fuori dalla boccia per una quantità di secondi infinita. È sempre stato un tipo piuttosto riflessivo, Libano ha perso il conto delle volte in cui ha dovuto risvegliarlo con un “aò!” perché, mentre parlavano, s’era perso nella propria testa inseguendo un pensiero dei suoi, di quelli lunghi e articolati che finivano sempre per arrotolarglisi addosso imprigionandolo come una rete da pesca, ed anche adesso si prepara a tirarlo fuori da un labirinto simile nello stesso modo, se non che, un attimo prima che lui si decida finalmente a schiudere le labbra per richiamarlo, un lampo di qualcosa di pericoloso e preoccupante passa sul fondo scuro degli occhi del Freddo, e invece di chiamarlo Libano allunga una mano. E fa appena in tempo, perché riesce a chiudergli le dita attorno al braccio proprio mentre lui si sta voltando per recuperare la giacca ed uscire di gran corsa dal locale.
- Lasciami anna’, Libano. – dice con voce tremante, e il Libanese stringe ulteriormente la presa.
- ‘Ndo vai? – gli chiede. Freddo ringhia, cercando di allontanarlo con uno strattone. Non ci riesce.
- Da Gigio. – risponde quindi, cercando di mostrarsi più calmo e lucido. – A risolve ‘sta questione.
- Così? – dice il Libanese, indicandolo tutto con un ampio cenno della mano libera, - Nun ce lo vojo un cadavere de famiglia sulla coscienza.
Freddo inarca un sopracciglio, voltandosi a guardarlo e riuscendo finalmente a liberarsi della sua stretta.
- Come sarebbe a di’ de famiglia? – chiede a voce bassa ma decisa. Libano tira il petto in fuori. Freddo gli sta muovendo contro battaglia, e lui deve resistere.
- È fratello tuo, no? – gli chiede, facendo il vago.
- Nun hai mai considerato de famiglia er fratello di Scrocchiazzeppi. – dice Freddo, - E nun t’è mai fregato ‘n cazzo de Gigio fino a che… - i suoi occhi si spalancano all’improvviso, le labbra si schiudono modellandosi addosso ad un concetto al quale non riescono a dare forma in parole. – Libano…! – strilla all’improvviso, e lui gli preme una mano sulla bocca, per ogni evenienza.
- Sta’ ‘n po’ zitto, che so’ le quattro der mattino. – ordina. Freddo si fa indietro e si libera del suo bavaglio improvvisato, guardandolo con orrore.
- Libano, nun te sarai scopato mi’ fratello?! – gli chiede, le braccia larghe ai lati del corpo in segno di incredulità.
- In quarche modo dovevo prova’ a calmarlo. – risponde lui, stringendosi brevemente nelle spalle. Le braccia di Freddo ricadono inerti lungo i suoi fianchi e le sue labbra si schiudono ancora in una o di annichilito sconcerto.
- E t’o sei scopato?! – insiste dopo essersi ripreso, le braccia che si sollevano per un attimo prima di tornare molli e abbandonate lungo i suoi fianchi.
Il Libanese si concede un sorrisetto divertito.
- Co’ te funziona. – risponde. Freddo rotea gli occhi, accompagnando il gesto con un mugolio esasperato, e fa per voltarsi ancora. Ha già un braccio allungato verso la giacca – per la terza volta in meno di mezz’ora – quando Libano – per la terza volta in meno di mezz’ora – lo blocca, afferrando la mano protesa ed intrecciando le proprie dita con le sue in un gesto più intimidatorio che rassicurante, esattamente come ha fatto quella mattina con Gigio. Stringe la presa, ma Freddo non geme di dolore come ha fatto suo fratello. Si limita a guardarlo aggrottando le sopracciglia, infastidito ma non certo scosso, né tantomeno spaventato. – Mo’ resti qui. – gli dice, tirandoselo contro. Il gesto è improvviso, Freddo non se l’aspetta e gli frana addosso incespicando sui propri stessi piedi.
- Mo’ nun resto manco per cazzo. – ringhia Freddo, piantandogli una mano nel centro del petto ed allontanandosi di qualche centimetro prima che Libano riesca ad afferrarlo per un fianco e schiacciarselo nuovamente contro, - Libano, devo anna’.
- E ‘ndo dovresti anna’? – gli chiede, le labbra che già scivolano lungo la linea curva che dal suo collo si trasforma nella sua spalla, perdendosi dentro lo scollo del maglione, - A casa dei tuoi, a quest’ora? A sveglia’ la gente per bene pe’ pija’ a cazzotti tu’ fratello? – Freddo si agita fra le sue mani, prova a liberare le dita dall’intreccio con le sue ma Libano stringe più forte, e stavolta Freddo non riesce a fermare il gemito che gli sfugge dalle labbra. Libano ci legge dentro il dolore, ma anche la voglia, e gli sorride addosso. – Oppure devi scappa’ dalla squinzia che gl’hai fregato, ar fratellino tuo? – chiede con voce carezzevole, quasi prendendolo in giro. I denti di Freddo si chiudono improvvisamente e con forza sopra la sua gola, e Libano lascia andare una risata sorpresa, senza fiato, e anche vagamente divertita.
Se lo stacca di dosso afferrandolo per i capelli quando il morso comincia a farsi troppo doloroso. Sente la pelle bruciare nei punti in cui i denti di Freddo si sono quasi conficcati, ma gli sorride come se volesse sfidarlo nonostante il dolore. Freddo lo guarda con rabbia, i suoi occhi sono scurissimi. È in imbarazzo, e Libano sa che, più che per tutto il resto, è a disagio perché lui ha scoperto di questa ragazzetta prima che Freddo riuscisse a dirglielo di persona. Sa che, se lo lasciasse andare adesso, Freddo ci andrebbe davvero, da suo fratello. Lo butterebbe giù dal letto, sveglierebbe tutto il quartiere, se dovesse servire a parlargli adesso, immediatamente, per mettere in chiaro tutto. Perciò lo afferra per i fianchi, ribaltando le loro posizioni in modo che sia Freddo a premersi con la schiena contro il bordo del tavolo da biliardo, e lui gli si schiaccia immediatamente addosso, tagliando ogni possibilità di fuga e chiudendo con foga le labbra sulle sue.
Freddo prova a dibattersi, per qualche secondo, ma la sua bocca accoglie le carezze della sua lingua fin dal primo istante, e perciò ogni resistenza è futile, serve solo a divertire Libano, perfino a farlo sentire più forte. Ogni strattone che Freddo dà alla sua camicia nel tentativo di allontanarlo, gonfia il suo ego esattamente come, qualche secondo più tardi, fanno degli strattoni nuovi, non più mirati a respingerlo, bensì a sfilargli di dosso ogni abito che gli impedisca di sfiorare la sua pelle nuda e accaldata con le labbra e con le dita.
Libano lo agevola, togliendogli le mani di dosso il tempo necessario alla camicia per scivolare lungo le sue spalle e le sue braccia. Finisce sul pavimento, in un mucchietto inerte, e Freddo la scalcia lontano con un gesto casuale, perché non li impicci nei movimenti. Impiega solo un secondo ad afferrare il proprio maglione per gli orli inferiori, tirandoselo via dalla testa prima di saltare a sedere sul bordo del biliardo e schiudere le gambe nello stesso istante in cui il Libanese, dopo essersi liberato dei pantaloni, si schiaccia contro di lui.
I loro bacini collidono, e trovarsi così inaspettatamente e incredibilmente eccitati riempie entrambi di fitte di piacere, venate di uno stupore davvero duro a morire e quasi ridicolo, visto che ormai avrebbero dovuto fare l’abitudine al modo impetuoso in cui il desiderio esplode sempre fra di loro come fosse una sorpresa, indipendentemente dal luogo in cui sono o da quanto tempo sia passato dall’ultima volta che l’hanno estinto.
- Sei uguale a tu’ fratello. – gli sussurra all’orecchio il Libanese, lasciando scivolare le mani sotto le sue natiche mentre lui si solleva appena da dove è seduto per agevolarlo nel movimento. Le loro erezioni si sfregano ancora una volta l’una contro l’altra, e Libano geme, affondando i denti nella spalla del Freddo. – Con voi nun ce se sbaglia. – conclude con un sorrisetto soddisfatto. Freddo grugnisce qualcosa di incomprensibile e si spinge con forza contro di lui, per zittirlo. Il Libanese si concede una mezza risata senza fiato e poi lo tira di peso giù dal tavolo, rigirandoselo fra le mani ed osservandolo mentre si piega sul tappeto verde, la schiena che s’incurva flessuosa sotto le sue dita quando la percorrono dalla nuca alla base lungo il disegno preciso e in rilievo della spina dorsale.
Il solo pensiero che Freddo si trovi adesso steso nello stesso punto e nella stessa posizione in cui si trovava steso suo fratello fino a qualche ora prima, è sufficiente per riempirlo di desiderio al punto da sentirsi bruciare sottopelle. C’è qualcosa, nel sentirsi sotto le mani Freddo e nel sapere che potrebbe prendere qualsiasi cosa, dalla sua vita, e farla propria, senza che lui possa sognarsi minimamente di protestare sul serio, che lo fa sentire importante. Lo fa sentire forte, imbattibile, eterno. Ogni tanto si ritrova a pensare che, se anche dovesse morire, non morirebbe davvero. Gli si è infilato negli occhi così in profondità che continuerebbe ad esistere anche sepolto tre metri sotto terra.
Ma sono pensieri cupi, che lo accarezzano soltanto. Resistono il tempo giusto di regalargli un brivido che si trasforma in un gemito mentre affonda lentamente dentro di lui, e Freddo si solleva all’improvviso, andandogli incontro per prenderlo più in fondo e voltandosi a cercare le sue labbra, mentre lui gira attorno ai suoi fianchi con una mano e serra il pugno attorno alla sua erezione calda e così dura da spaventarlo, quasi, per l’intensità del desiderio di cui è testimone.
La bocca del Freddo è affamata e risentita, i suoi denti affondano nelle labbra del libanese mordendo senza pietà, sfiorano la sua lingua solleticandola per il gusto di confonderlo e riempirlo di desiderio, e il Libanese vorrebbe affondare nella sua bocca esattamente come sta affondando dentro il suo corpo, vorrebbe avere più mani, più lingue, vorrebbe essere due uomini per prenderlo di più, più in profondità, con più forza, vorrebbe essere due per stringerlo in trappola, vorrebbe essere due per avere fiato abbastanza da lasciargli addosso segni ben più duraturi di un succhiotto o di un morso, vorrebbe essere in grado di entrargli dentro fino a fargli male, ma male sul serio, perché sa che di quello Freddo non potrebbe mai dimenticarsi. Vuole di più e lo vuole tutto insieme, non gli basta sentirlo aprirsi e richiudersi strettissimo al suo passaggio, non gli basta sentire la sua voce mentre si fa sempre più alta e roca un gemito dopo l’altro, non gli basta sentire l’odore del suo corpo avvolgere il proprio, non gli basta sentirlo crescere, scaldarsi e poi esplodere fra le sue dita. Non basta a lui, ma basta al suo corpo, basta al suo orgasmo per esplodergli dentro, e Libano serra gli occhi con tanta forza da vedere bianco, mentre viene dentro di lui e se lo stringe contro, sperando di poterlo mangiare tutto intero nell’ultimo morso che gli posa alla base del collo.
Ci mettono entrambi più di qualche minuto a riprendere fiato. Il Libanese resta appoggiato addosso al Freddo, aderendo alla curva della sua schiena, recuperando il respiro e un minimo di lucidità mentale mentre il sudore gli si asciuga sulla pelle e la temperatura del loro corpo torna ad abbassarsi.
- Quanto me la volevi tene’ nascosta? – chiede a bassa voce, restandogli piegato contro e seguendo i suoi movimenti quando il Freddo si tira su e poi si volta, appoggiandosi di nuovo al bordo del tavolo per guardarlo negli occhi.
- Te dà fastidio? – gli chiede incolore, ma nel fondo delle sue pupille si agita un barlume di preoccupazione che chiarisce senza alcun dubbio chi venga prima nelle gerarchie serrate che riempiono ordinatamente la testa del Freddo.
Libano sorride.
- No. – risponde, - E poi co’ quarcuno lo dovrai fa’ ‘n erede. – lo rassicura, sorridendo quando vede i lineamenti del suo viso sciogliersi, finalmente rilassati. – Pe’ quella questione de Gigio… - riprende poco dopo, allontanandosi da lui di un passetto e tirando su i pantaloni, - ce pensi te, no?
Freddo sospira, scivolando giù dal biliardo e sgranchendosi un po’ le gambe.
- Seh. – risponde quindi, - Domani ce vado a parla’.
Libano annuisce. Anche lui domani avrà da parlare con qualcuno.
- Com’è che se chiama ‘sta squinzia tua? – chiede casualmente.
- Roberta Vann— - comincia il Freddo con naturalezza, recuperando il maglione da terra, ma si interrompe quasi subito, voltandosi a guardarlo con le sopracciglia aggrottate, - Nun ce prova’ nemmeno, Libano. – borbotta, e il Libanese si mette a ridere. Il nome per intero lo scoprirà quando ne avrà bisogno. Per ora, può anche lasciar correre.
*
- Che state a fa’ ancora qua? – chiede Bufalo entrando in sala una mezz’ora dopo, visibilmente assonnato ma anche visibilmente confuso dalla loro presenza. Il Libanese recupera la propria giacca dallo schienale della sedia alla quale era appesa, e lancia le chiavi della Porsche a Freddo, che le afferra al volo.
- Che ce stai a fa’ tu, semmai. – ribatte, lanciando al Bufalo un’occhiata estremamente disapprovante, - Nun v’ho mannati tutti a dormi’ ‘n’ora fa?
- Ho dimenticato le chiavi. – notifica Bufalo, passando davanti a loro senza mai voltare le spalle e fissandoli guardingo mentre si allunga a recuperare il mazzo dal tavolino dove l’ha lasciato, - Ce volevo anna’ a dormi’, ma nun potevo entra’ ‘n casa.
- E mo’ ce potrai entra’. – dice tranquillamente Freddo, tenendo le chiavi della macchina di Libano strette nel pugno mentre indossa la giacca, - Quinni vedi de moverte, che domani si non siete tutti a posto nelle zone vostre pe’ l’orario giusto giuro che ve vengo a prenne a casa uno per uno.
Bufalo gli lancia un’occhiata infastidita e un grugnito sbuffante, ma li saluta entrambi con un cenno della mano e si avvia, salvo poi fermarsi a due passi dalla porta per voltarsi nuovamente verso di loro.
- A Libano, - dice, - te sei proprio sicuro che nun ce lo sai chi era er pischello de stamattina?
Libano rotea gli occhi.
- Bufali’, - dice, passandogli accanto, - c’hai proprio rotto er cazzo co’ ‘sto pischello de stamattina. – conclude. Freddo si fa una risata, seguendolo.
Genere: Introspettivo, Erotico, Commedia. Triste.
Pairing: Gigio/Libanese, accenni aFreddo/Libanese.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, Dub-con, What if?.
- "Aiutami a vendicarmi del Freddo."
Note: La pazzia. Nata in seguito a un totale viaggio mentale mio e della Tab, visto che nella serie originale questi due manco s'incontrano. Ma nemmeno di sfuggita, tipo. *si vergogna molto*
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt ROMANZO CRIMINALE Gigio/Libanese, "Aiutami a vendicarmi" "Te sembro Zoro?"
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
TALK TO MY TROUBLED BRAIN
ROMANZO CRIMINALE Gigio/Libanese, "Aiutami a vendicarmi" "Te sembro Zoro?"

Il Libanese inarca un sopracciglio, restando appoggiato al tavolino, gli occhi fissi sul ragazzino magro, impaurito e tremante seduto sulla seggiola in mezzo alla sala vuota, occupata solo da biliardi ai quali nessuno gioca e mazzi di carte abbandonati che nessuno fa frusciare nell’aria ancora densa del fumo della mezza dozzina di sigarette che la appestava finché non ha fatto sgombrare tutti.
- Scusa, è che nun ce sento bene. – disse, cambiando posizione ed infilandosi teatralmente un dito nell’orecchio, come volesse ripulirselo, - Me potresti ripetere ‘n attimo che voi?
Gigio si stringe nelle spalle, serrando i pugni sulle ginocchia. Ha le nocche talmente bianche che potrebbero cadergli le dita. È così uguale a suo fratello che il Libanese neanche ci può credere. L’ha riconosciuto subito, quando è arrivato, pure se non l’aveva mai visto prima e lui s’è presentato solo dopo un paio di minuti di imbarazzato silenzio. Già quando l’ha visto entrare da Franco e guardarsi intorno con aria persa, sulla difensiva, tutto stretto nelle spalle e avvolto in quell’enorme camicia a quadretti aperta su una canotta bianca un po’ lisa, s’è detto “e quello è er fratellino der Freddo”, e non ha avuto alcun dubbio a riguardo.
- Mi serve aiuto. – ripete Gigio, guardando ostinatamente un punto a caso sul pavimento sporco.
- E pe’ che cosa? – insiste il Libanese, sperando che, a questo giro, la risposta sia differente.
E invece non lo è. Gigio solleva il capo in un moto di orgoglio improvviso, i ricci che gli ricadono scompostamente sulla fronte, e serra le labbra per un attimo prima di decidersi a parlare.
- Aiutami a vendicarmi. – gli dice, - Aiutami a vendicarmi del Freddo.
Libano sospira, passandosi una mano sulla fronte e ravviandosi i capelli su un lato della testa, prima di massaggiarsi la nuca con evidente stanchezza. Non è davvero possibile che uno passi una giornata d’inferno, risolvendo un casino dietro l’altro, poi arrivi a sera e voglia solo starsene per i cazzi suoi, e invece debba stare dietro pure ai capricci di ragazzini che non gli competono.
Afferra una sedia e la sistema proprio davanti a lui, girandola in modo da potersi sedere a cavalcioni appoggiando le braccia sullo schienale, e poi lo fissa da vicino. Gigio indietreggia appena, deglutendo vistosamente.
- Guardame attentamente. – gli dice, indicandosi il muso, - Te sembro Zoro?
Gigio abbassa lo sguardo, profondamente imbarazzato.
- No… - risponde esitante, le sopracciglia inarcate verso il basso.
- Ce lo sai chi so’ io, regazzi’? – chiede ancora il Libanese, avvicinandosi un altro po’ senza preoccuparsi del fastidioso rumore scricchiolante che producono i piedi della sedia strisciando sul pavimento.
- Certo che lo so! – sbotta Gigio, alzando nuovamente il capo, stavolta quasi offeso dalla sua considerazione, come la ritenga un inappropriato giudizio sulla sua persona. – Sei il Libanese. – dice quindi, per provare che non sta mentendo.
Libano annuisce.
- E chi te fa pensa’ che c’ho tempo da perde co’ ‘n regazzino come te? – gli chiede, appoggiando il mento sulle braccia incrociate e sorridendo appena, divertito.
- Ti posso pagare! – ribatte immediatamente Gigio, infilando le mani in tutte le tasche che possiede per tirarne fuori una manciata di banconote spiegazzate di vario taglio. Il Libanese guarda i biglietti da ventimila e cinquantamila lire tutti appallottolati fra le sue dita magre e pallide, e poi torna a fissarlo negli occhi.
- Chi te l’ha dati ‘sti sordi? – gli chiede. Gigio esita.
- …mio fratello. – risponde quindi, in un fiato sottilissimo.
Il Libanese scoppia a ridere. Lo fa inaspettatamente perfino per se stesso: immaginava che i soldi di Gigio venissero dal Freddo, ma non sospettava minimamente che il ragazzino potesse avere tanta faccia tosta da ammetterlo in una situazione simile. Rovescia la testa indietro, inarcando la schiena, e si aggrappa con foga allo schienale della sedia per non ribaltarsi e ruzzolare sul pavimento mentre si lascia andare con gioia a quell’accesso di risate sorprendenti, prima di riacquistare il controllo e tornare a guardarlo, asciugandosi una lacrima malandrina dall’angolo di un occhio.
- Famme capi’ bene… - gli dice, scuotendosi ancora di tanto in tanto per le risate che faticano a sfumarsi, - Te voi pagarmi pe’ fa’ der male a tu’ fratello… e voi pagarme co’ li sordi suoi? – ride ancora, scuotendo il capo, - Armeno er funerale je lo paghi te o c’hai un conto aperto der Freddo pure pe’ quello?
Gigio aggrotta le sopracciglia, paonazzo. I suoi pugni si chiudono convulsamente attorno alle banconote, facendole crepitare.
- Non c’è bisogno che prendi per il culo. – gli dice, e Libano ride ancora.
- Ah, no? – chiede, - No, perché me sembrava de sì, invece. – annuisce, - Comunque… - continua poi, prendendo un respiro più profondo degli altri per placare una volta per tutte il bisogno di ridere che ancora sente premere fortissimo nel fondo della gola, - Io nun so’ ‘n cane, regazzi’. Anna’ in giro a fa’ fori la gente per bene, nun so cose che se fanno.
- Lui non è per bene! – sbotta subito Gigio, - Lui è un delinquente. Come te.
Il Libanese si trattiene dall’offrirgli la risposta più ovvia, e cioè che se c’è una persona in tutta Roma che sa perfettamente bene quanto Freddo gli sia simile, in quanto a professione, quella è lui. Decide di mantenere il segreto ancora per un po’, comunque. Dal modo in cui Freddo gli ha sempre parlato di suo fratello, Libano aveva immaginato che avessero un bel rapporto, particolarmente stretto. Vuole vederci chiaro, in questa faccenda, vuole scoprire per quale motivo Gigio sembra così deciso a fargli del male.
- Senti ‘n po’, - gli dice quindi, avvicinandosi ancora e riducendo la voce a un sussurro cospiratorio, - ma che t’ha fatto tu’ fratello pe’ farti incazzare ‘n questo modo?
Gigio arrossisce ancora, più violentemente di quanto non abbia fatto fino ad ora. La sua pelle così incredibilmente pallida, quasi cinerea, si colora tutta all’improvviso, e al Libanese viene di nuovo da ridere, ma stavolta la risata la trattiene.
- Mi ha rubato la ragazza. – risponde Gigio. E il Libanese spalanca gli occhi.
- Che hai detto? – chiede inebetito. Gigio sbatte le ciglia un paio di volte, inumidendosi le labbra.
- Mi ha rubato la ragazza. – ripete, e non è sicuro di come dovrebbe sentirsi. Imbarazzato, probabilmente, o meglio, ancora più imbarazzato di quanto già non sia, ma l’espressione del Libanese è così ingiustificatamente sconvolta che in qualche modo l’imbarazzo gli sembrerebbe comunque troppo poco. Finisce col sentirsi inadeguato e fuori posto, perfino un po’ irritato, come un bambino rimasto sveglio troppo a lungo e seduto accanto a papà mentre tutti gli adulti fumano, giocano a carte e parlano di politica. Distoglie lo sguardo, aggrottando le sopracciglia e tendendosi tutto. Il Libanese non parla, non lo fa per minuti interi, e Gigio accarezza più volte la possibilità di alzarsi, dirgli “va be’, fa niente” e tornarsene a casa. Mamma sarà preoccupata per lui, è già in ritardo di quasi due ore.
Quasi lo fa davvero, quando il silenzio si prolunga ancora, solo che poi il Libanese inspira profondamente e sembra tornare normale tutto assieme. I suoi occhi, comunque, sono diversi da com’erano prima. Più cupi, più pericolosi, forse. Non saprebbe dire in che modo, perché non ne ha proprio paura. Anche se forse dovrebbe.
- A regazzi’, - gli dice Libano, - nun je posso fa’ niente a tu’ fratello. Me sa che mentre stavi a cerca’ informazioni su de me t’hanno detto tutto tranne la cosa fondamentale.
- Che sarebbe? – gli chiede, inarcando nervosamente un sopracciglio. Libano sorride, gli occhi che si rischiarano per un attimo.
- Io e er Freddo lavoramo insieme. Da anni, ormai. È come un fratello, pe’ me. – risponde. Gigio trattiene il respiro, abbassa lo sguardo e stringe le banconote fra le dita per un secondo, prima di ficcarsele tutte sbrigativamente in tasca.
- Allora stai attento, - ringhia alzandosi in piedi, - perché magari come l’ha fregata a me la ragazza la frega pure a te.
Il Libanese allunga una mano ad afferrarlo. È più veloce di lui, che fa in tempo ad accorgersene ma non ad allontanarsi abbastanza da sfuggire alle sue dita che si chiudono con forza attorno al suo gomito, affondando nella morbidezza del suo braccio nonostante i vestiti.
- ‘Ndo vorresti anna’ mo’? – gli chiede, tirandolo indietro e obbligandolo quasi a sbattergli addosso, prima di farlo voltare nuovamente verso di sé.
- Non sono affari tuoi. – risponde Gigio a muso duro, e per tutta risposta il Libanese stringe più forte, facendogli male e costringendolo ad un gemito lamentoso di cui Gigio si pente immediatamente, appena lo sente prendere il volo dalle proprie labbra.
- Regazzi’, tutto quello che succede ‘n ‘sta città è affare mio. – ribatte Libano, appoggiandolo con rude gentilezza contro il bordo del tavolo da biliardo più vicino, - So’ er re de Roma mica pe’ niente, e te nun te poi aspetta’ che te lascio’ anna’ chissà dove dopo che m’hai detto che voi fa’ fori er socio mio.
- È mio fratello! – strilla Gigio, come se questo gli desse un qualche diritto di precedenza sul Libanese nei confronti del Freddo, - E smettila di chiamarmi ragazzino. Non sono un ragazzino!
- A me me pare de sì, invece. – considera Libano, e il suo sguardo è serio, sembra quasi studiarlo mentre lo schiaccia con tutto il proprio corpo contro il tavolo da biliardo. – Vediamo se funzioni allo stesso modo der fratello tuo. – dice quindi con un mezzo sorriso, inchiodandolo al legno per un polso con una mano e sbottonando i pantaloni con l’altra.
Gigio sbianca in volto, sentendosi gelare il sangue nelle vene.
- Che vuoi farmi? – gli chiede, la voce che gli trema sulle labbra. Il Libanese inarca un sopracciglio, quasi sorpreso dalla domanda, come non la ritenesse nemmeno degna di risposta da tanto quest’ultima è ovvia.
- Niente. – dice quindi, lasciandogli andare il polso e prendendo ad armeggiare con la cintura strettissima che gli tiene appesi i jeans ai fianchi. – Cazzo, ma siete du’ chiodi uguali, te e Freddo. – commenta divertito. Gigio capisce, capisce fin troppo bene, e troppe cose nello stesso momento. Si sente improvvisamente consapevole e confuso allo stesso tempo, non sa bene come questo sia possibile ma è così, ed è una sensazione devastante.
- No… - geme a corto di fiato, dimenandosi sotto di lui ed ottenendo in cambio dei propri sforzi solo che la mano del Libanese riesca a scivolare dentro ai suoi pantaloni con molta più facilità di quanto non avrebbe fatto se invece fosse rimasto perfettamente immobile.
- Rilassate ‘n po’. – gli suggerisce il Libanese con una mezza smorfia, chiudendo le proprie dita attorno a lui e quasi offendendosi personalmente nel trovarlo ancora floscio e perfino vagamente intirizzito. – Te sei più chiodo de’ tu’ fratello, però. – annuisce, accarezzandolo lentamente avanti e indietro mentre Gigio trattiene il respiro in gola quanto più può, lasciandolo andare solo quando comincia a sentirsi soffocare. – E sei pure più moscio, cazzo, a Gigio, damose ‘na svegliata, ma che è? L’adolescenti erano più vivi, ‘n tempo.
- Lasciami andare! – prova a protestare, piantandogli entrambe le mani sul petto e cercando di spingerlo lontano da sé. Il Libanese rotea gli occhi, sospira pesantemente e poi gli appoggia la mano libera sulla nuca, tirandoselo contro e baciandolo all’improvviso, le labbra aperte e la lingua umida che corre a insinuarsi nella sua bocca prima che lui abbia il tempo di sottrarsi alle sue carezze calde, mentre si percepisce indurirsi contro la propria stessa volontà fra le sue dita, che ogni volta che gli si stringono attorno e passano quasi inavvertitamente a sfiorarlo sulla punta lo riempiono di brividi di piacere tanto forti che gli stringono lo stomaco fino a fare male.
- Sta ‘n po’ zitto. – suggerisce il Libanese in un sussurro umido sulle sue labbra, quando si separa da lui. Gigio deglutisce, manda giù il suo sapore e sente gli occhi riempirsi di lacrime perché gli piace. Il Libanese è caldissimo contro il suo corpo, o forse sembra così caldo solo a lui, ma comunque non importa, perché inventata o no è una sensazione che lo terrorizza. Cerca di muoversi ancora, per spostarsi, ma tutto ciò che ottiene è l’inaspettata sensazione di qualcosa di duro a premere contro la coscia.
Strabuzza gli occhi, terrorizzato, ed annaspa alla ricerca d’aria mentre gesticola confusamente in cerca di un appiglio qualsiasi al quale aggrapparsi per trascinarsi lontano da lui, ma il Libanese lo afferra con l’unica mano libera che ha, intrecciando le proprie dita con le sue e stringendo per fargli male. La scarica di dolore che si diffonde velocissima fra le ossa fragili della sua mano gli annebbia la vista, al punto che Gigio è costretto a strizzare le palpebre, e due lacrimoni grossi come gocce di pioggia rotolano lungo le sue guance arrossate, mentre lui trattiene a stento un gemito di sofferenza pura.
Il Libanese sorride, sporgendosi a baciarlo lievemente sulle labbra e raccogliendo in punta di lingua il sale delle lacrime che lì si sono fermate. Non gli dice niente, ma riprende ad accarezzarlo, più velocemente di prima, e nello stesso momento allenta un po’ la presa sulle sue dita. Il sollievo è tale che Gigio non riesce a impedirsi un sospiro spezzato di piacere che si diluisce nella paura e nell’imbarazzo, che gli schiude le labbra e permette a Libano di trovare nuovamente la strada per la sua lingua.
Gigio pianta entrambe le mani sul bordo del biliardo e cerca di fare presa attorno a quello per tirarsi indietro, ma tutto quello che riesce a fare è sollevarsi abbastanza perché il Libanese possa afferrarlo per le natiche, stringendone con forza una fra le dita attraverso il cotone sottilissimo degli slip che sono l’unica cosa rimastagli addosso ora che i jeans, trascinati dalla fibbia della cintura, gli sono scivolati quasi alle caviglie, impedendogli ogni movimento. Prova a liberarsi dei pantaloni in un gesto disperato, dicendosi che non gli importa se dovrà correre via in mutande, purché riesca a farlo, ma nel momento in cui schiude le gambe il Libanese si spinge con forza contro di lui, i loro bacini collidono e Gigio si sente mancare il fiato nel sentirlo così incredibilmente duro contro la propria erezione ormai perfettamente formata e ancora stretta nel calore adesso un po’ umido del suo pugno.
- Ti prego, - supplica Gigio, la voce ormai ridotta a un ansito roco e quasi infantile, - non farmi male.
Il Libanese si lascia sfuggire una risata senza fiato, mentre gli si spinge ancora incontro.
- Nun te ne faccio male, tranquillo. – dice, ma nel momento in cui si allontana da lui abbastanza da rigirarselo fra le braccia e piegarlo sul tavolo, Gigio capisce che sta mentendo. Ciononostante, non è in grado di fermarlo, forse perché non vuole, forse perché le dita che tornano a stringersi immediatamente attorno alla sua erezione non gliene lasciano il tempo, forse perché la pressione di altre dita, dita più umide, svelte ad accarezzarlo fra le natiche, è piacevole più di quanto non riesca a dire o anche solo a pensare. Il perché non lo sa, non vuole saperlo, stringe i denti e pianta le mani bene aperte sulla superficie morbida e verde del tavolo, osservando la propria ombra ondeggiare avanti e indietro mentre segue i movimenti delle dita del Libanese, che prima paiono come bussare senza avanzare mai per davvero, e poi, quasi senza attrito, scivolano all’interno del suo corpo, costringendolo ad inarcare la schiena e gettare indietro il capo in un gemito sconnesso.
Gigio singhiozza, anche se ha smesso di piangere da un pezzo – più o meno da quando la vergogna s’è persa, dissolvendosi del tutto nelle scariche di piacere che le dita di Libano gli davano muovendosi avanti e indietro per tutta la sua lunghezza – e prova ancora a imbastire una protesta sterile, che si spegne subito quando sente la pressione di qualcosa di più grosso e più duro di un paio di dita contro la propria apertura.
Ha appena il tempo di prendere fiato, che subito dopo il Libano scivola dentro di lui con un po’ d’attrito in più rispetto a quanto ne abbiano incontrato prima le sue dita.
La scarica di dolore è improvvisa e violenta, si diffonde lungo tutta la sua spina dorsale e non è acuta e lancinante, ma piuttosto sorda e continua, e lo terrorizza, perché sembra di quei dolori che non ti abbandonano dopo qualche ora, ma che continui a portarti dentro a lungo, forse addirittura per anni, che ancora percepisci a livello mentale quando il fastidio fisico si è dissolto.
- Bugiardo. – sussurra, appoggiano la fronte agli avambracci incrociati mentre ricomincia silenziosamente a piangere, - Sei un bugiardo. Come mio fratello.
Il Libanese si muove lentamente dentro di lui, riesce ad essere perfino discreto, ma la pressione che Gigio sente è troppa, la confusione che gli ingolfa il cervello perfino maggiore. Singhiozza e si lamenta a bassa voce, come un bambino piccolo, nascondendo il volto fra le mani, e Libano si china sulla sua nuca a lasciargli un bacio consolatorio talmente inaspettato che, quando Gigio sente le sue labbra calde e un po’ umide posarglisi addosso più velocemente del battito d’ali di una farfalla, s’interrompe all’istante, abbassa le mani e solleva gli occhi ancora lucidi e arrossati.
- Dopo ‘n po’ smette de fare male. – gli spiega il Libanese, continuando a muoversi lentamente e tornando ad accarezzarlo anche fra le cosce, - Questo intendevo. E vale pe’ tutto, regazzi’. Pe’ quello che stamo facendo mo’, e pure pe’ quello che t’ha fatto tu’ fratello prima.
Gigio inspira ed espira profondamente, seguendo i suoi movimenti col proprio corpo, accogliendolo dentro di sé e spingendosi lento dentro il suo pugno chiuso attorno alla propria erezione. Annuisce e chiude gli occhi, ed è allora che il Libanese comincia a muoversi più velocemente, adattando il ritmo delle proprie carezze a quello delle proprie spinte. E Gigio si adatta a sua volta, scoprendo che è vero, dopo un po’ va meglio, dopo un po’ il dolore diventa sopportabile, anche se non si spegne mai del tutto, e le dita serrate del Libanese, le dita forti che lo accarezzano sulla lunghezza e sulla punta, compensano la sofferenza col piacere, allo stesso modo in cui immagina che la presenza di suo fratello nella sua vita, sempre pronto ad aiutarlo, compenserà il dolore che gli procurerà guardarlo negli occhi e sapere che la donna che amava e con la quale avrebbe voluto un futuro adesso è sua.
Il libanese viene in silenzio, pochi secondi dopo, sprofondando dentro di lui in un colpo secco al quale Gigio risponde con un gemito forte e denso, prolungato, mentre viene a propria volta fra le sue dita.
Il suono ancora riecheggia nell’aria pesante del loro odore, quando si tira frettolosamente su i pantaloni ed esce.
*
Bufalo si allontana dalla porta appena in tempo per impedire al ragazzino scarmigliato che gli viene incontro di investirlo. Ha gli occhi rossi e l’aria di uno che vuole solo tornarsene a casa, nascondersi sotto le coperte e piangere per giorni fino ad esaurirsi. Si tiene su i pantaloni con entrambe le mani, la cintura sfibbiata col gancio che gli pende lungo una gamba, tintinnando rumorosamente ad ogni passo che fa. Lo guarda passargli oltre senza nemmeno vederlo e resta lì perplesso per un paio di secondi, prima di cercare il pacchetto di sigarette a tentoni nella tasca posteriore dei pantaloni che indossa, ed accendersene una.
Quando entra da Franco, trova il Libanese seduto su uno sgabello di fronte al bancone del bar, con una bottiglia di birra appena aperta e ancora ghiacciata tenuta per il collo fra due dita. Ha gli occhi cupi e pensosi, e il solito grugno serio e un po’ schifato dal mondo stampato sulle labbra. Tutto sommato, è uguale a come l’ha sempre visto. Lo saluta con un cenno del capo e poi indica la strada con un pollice, tenendo gli occhi fissi su di lui.
- Ma l’hai visto quel pischello? – chiede basito, - Che, ne sai niente te? – il Libanese scrolla le spalle e manda giù un’abbondante sorsata di birra. Bufalo lo prende per un no. – Vabbe’. – sospira, sedendosi al suo fianco ed accettando la bottiglia che gli offre, - Certo che ‘sto bar non è più quello de ‘na vorta.