In coppia con Nainai
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
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Ero ubriaca quella sera!!! (scusa improbabile della Nai per giustificare il mancato inserimento dei ringraziamenti)
ç__________ç
Perdono!

L’Easily Forgotten Love ringrazia tutti i lettori e le lettrici ^_^
Ed un grazie speciale con un grosso bacio a Whity, Isult, Stregatta ed Erisachan per il loro sostegno continuo!

They Have Trapped Me In A Bottle


Seven:

- Tu non capisci. – esordisco al telefono, dopo aver aspettato per quelli che mi sono sembrati secoli che Matt sollevasse la cornetta e rispondesse un trasognato “pronto?”.
- …no… - ammette lui, confuso, - Non solo non capisco quello che mi stai dicendo, ma dato che sono le… - lo immagino lanciare uno sguardo veloce alla sveglia sul comodino, - …tre del mattino, Brian… non capisco niente neanche a livello assoluto…
- Però hai fiato per parlare! – sbotto io, appoggiando la schiena contro il finestrino e distendendo le gambe sulla panca accanto al tavolo.
Matt sospira e sbuffa un mezzo sorriso.
- Cos’è successo? – chiede premuroso, mentre lo ascolto sistemarsi fra le coperte per mettersi seduto.
- Stefan. – rispondo con naturalezza, lanciando uno sguardo circospetto tutto intorno a me.
- …Stefan?
- Stefan!
- …Stefan. Ok. Stefan. È successo qualcosa a Stefan?
- Certo che è successo qualcosa a Stefan, altrimenti non sarei qui a ripetere “Stefan” come un demente perché tu non riesci ad afferrarlo alla prima, Bellamy!
Matt ride. Sono contento che prenda questa mia momentanea isteria nel modo migliore – ovvero per la momentanea isteria che in effetti è. La sua risata tranquilla è esattamente quello che mi serve per smettere di strillare.
- Racconta, su. – mi incita. Nella sua voce non c’è più neanche una traccia di sonno, e non faccio in tempo a sentirmi in colpa per questo che lui insiste, - Allora? – e mi obbliga a rispondere.
- È cominciato tutto quando abbiamo incontrato i cosi, là, i My Chemical Lagnance!
- …i chi? – interroga lui, tornando confuso.
- Ma sì che li conosci!
Lui pare fare mente locale.
- I My Chemical Romance. Ok. Ti piacevano, fino a una settimana fa.
- Certo, perché ancora non conoscevo quel mostriciattolo diabolico del loro cantante!
- Uh. Avanti, in fondo Gerard non è così male…
- Gerard! – strepito, alzandomi in piedi di scatto e cominciando a vagare come un’anima in pena per il tour bus ormai vuoto, - Gerard, diavolo! Già il nome, Dio mio, è un nome da piccolo aiutante di Satana!
- Non confondere le leggende, Bri, quelli sono i folletti di Babbo Natale…
- Piantala, so esattamente di cosa sto parlando! – mi lamento indispettito, - E poi che vorrebbe dire “Gerard”? Lo conosci?
- Be’, sì, i MyChem hanno aperto il secondo concerto a Wembley…
Mi fermo, strabuzzando gli occhi e rimanendo in silenzio.
- …no, non li chiamerò mai più MyChem, Bri. Tranquillo.
Riprendo a respirare e borbotto un “sarà meglio!”, prima di ricominciare il racconto.
- Comunque, dovevo capirlo che sarebbe stato un problema. Fin dal primo giorno!
- Mh. – annuisce lui, attento, - Perché? Che ha fatto?
Raccolgo tutto il fiato che ho in corpo e sbotto.
- S’è messo a girare attorno a Stef!
È il momento di tacere un po’ anche per Matt.
- Ah. – dice, dopo una lunga pausa di riflessione, - Adesso capisco.
- Non sono geloso!
- No, no. – afferma lui, ridacchiando.
- Davvero! – rinforzo io, vagamente imbarazzato, - È che mi infastidisce! Il povero Vincent è li a casa ad aspettarlo come tutte le brave spose di guerra e Stefan se la spassa con questo ragazzino del cavolo!
- Vincent non è una sposa e voi non siete in guerra… - precisa Matt, continuando a ridere, - E oltretutto Gerard non è un ragazzino, Brian, ha la mia età…
Borbotto un dissenso poco convinto e mi fermo istantaneamente, quando lui ricomincia a parlare.
- E comunque non devi preoccuparti, è innocuo. Credo abbia una passione per i bassisti, ci ha provato anche con Chris. Probabilmente non ci prova con il suo perché sono fratelli, ma dal momento che è strano non ci giurerei…
Adoro quando blatera.
Adoro che lo faccia per consolarmi perché sono geloso.
- Innocuo non direi. – brontolo, lasciandomi ricadere di nuovo sulla panca, - Indovina cos’è successo stamattina?
- Mmmh… ti sei svegliato e te lo sei ritrovato nel letto? – ipotizza curioso.
- Né io né lui saremmo ancora vivi per raccontarlo! Comunque no. Stavo prendendo il mio caffé e all’improvviso sento gli anelli delle tende della zona notte che scorrono… - Lo sento sbadigliare, - Mi ascolti? – “sì, sì”, bisbiglia lui, - E insomma, mi volto – continuo impietoso, - e loro due stanno là, mezzi nudi, che escono insieme dalla zona notte!
Scoppia a ridere. Lo sento rotolarsi fra le lenzuola.
- Però! Dimmelo, se devo cominciare ad evitare Vinny…
- Ma no, che c’entra… - sbuffo, guardandomi alle spalle per vedere se riesco a distendermi, - Stef mi ha assicurato che non hanno fatto niente. Anche se, sinceramente, non so se credergli… dal primo giorno non ho fatto altro che dirgli che avrebbe dovuto smettere di trattarlo come un cucciolo carino e toglierselo di torno, ma lui mi ha sempre risposto che gli piace adottare cuccioli carini, perché sono carini…
- Oh, andiamo! – sbuffa divertito, - Conosco Stef, conosco Vin e conosco Gerard… - si interrompe, ascolta il mio silenzio, si corregge, - Conosco Stef e conosco Vin, so che si amano e scommetto che non sarà Gerard Way il motivo della loro separazione.
- Perché – chiedo agitato, - pensi potrebbe esistere un motivo per il quale separarsi…?
- Mh-hm. – annuisce scherzosamente lui, - Un frontman iperprotettivo, ad esempio.
- Stronzo! – sibilo io in una mezza risata, - Non sono un rovina famiglie! Mi offendi!
- Ah, sì! – concorda, - Hai anche tu una tua etica, lo ammetto.
Rimaniamo in silenzio per un po’. Lo ascolto respirare, dall’altro lato dell’oceano. Lo ascolto distendersi nuovamente fra le lenzuola, sistemare il cuscino sotto la testa, stendere le gambe sul materasso e incastrare un braccio dietro la nuca.
- Va meglio? – mi chiede a bassa voce.
Se dicessi sì, in questo momento, sarebbe palese che sto bene solo perché lo sento parlare, e che se sopravvivo è solo perché lui in qualche parte del mondo esiste e questo rende il mondo stesso un posto migliore.
Non sono sicuro di volerlo ammettere, nonostante tutto.
- Amore, ho sonno, cerca di farmi sapere se sei ancora vivo prima che torni in letargo…
Sbuffo e sorrido.
Matt non ha il minimo senso del limite.
- Sì, sono vivo. – lo rassicuro, - E sto meglio. Grazie.

***

Il primo problema, chiaramente, è sempre stato riuscire a vedersi.
Avere una relazione in cui entrambe le parti sono generalmente impegnate in giro per il mondo per periodi di mesi e mesi ininterrotti, può rapidamente trasformarsi nella ragione più valida perché una storia finisca in uno spazio di tempo brevissimo.
Non si tratta di una semplice relazione a distanza, in cui comunque si creano dei ritmi, ci si ritaglia degli spazi. Si tratta di non avere ritmi e non avere spazi, se non presi di forza, all’ultimo minuto, fuggendo da qualsiasi altro impegno più pressante che ci sia da osservare.
Quella notte accadde proprio questo.
Non ci capita spesso – a me e Matt, intendo – di poter passare la notte assieme. Sembra strano, ma invece è orribilmente ordinario, avere impegni per l’indomani mattina che ci impediscano di trattenerci a casa l’uno dell’altro. O comunque nel letto l’uno dell’altro.
Generalmente quelle rare volte che annusiamo questa possibilità, siamo entrambi talmente euforici da dimenticarci di tutto. Tipo, quella notte, dimenticarci che eravamo comunque ad un party di beneficenza e che ci si aspettavacomunque che facessimo presenza, prima di dileguarci insieme. Cosa che, ovviamente, mancammo di fare. Aspettammo alla festa giusto il tempo necessario ad incrociarci dopo essere sgattaiolati da sotto i nasi dei rispettivi manager e compagni di band, poi, di comune accordo e senza nemmeno dircelo, ci fiondammo direttamente all’uscita e fuori da lì a tempo di record.
Casa mia era più vicina, lui non ci era venuto nemmeno tanto spesso, un altro migliaio di scuse ridicole, ed eravamo già sul letto, con Matthew attaccato alle mie labbra ed io che, ricordo distintamente, provavo anche a dirgli qualcosa… un’idea che mi era venuta o semplicemente un chiarimento di cui avevo bisogno, mentre lui mi zittiva continuando a baciarmi – ed a spogliarmi – e borbottava un “dopo, dopo” fin troppo esaustivo e decisamente tenero.
Il “dopo” non c’è stato. Era troppo tardi ed eravamo troppo stanchi. Ci siamo addormentati di sasso, l’uno accanto all’altro, ed abbiamo dormito beatamente fino al mattino, quando ho spento la sveglia con una manata ed ho osservato tra le palpebre socchiuse Matt agitarsi infastidito, voltarsi di schiena, rotolare in punta al letto e ricominciare a russare.
Ho preso fiato, respirando a fondo, e mi sono tirato sulle braccia per convincermi a mettermi dritto ed uscire dalle coperte.
Più tardi, anche Matt è emerso dal letargo. Ha ricordato di aver lasciato a casa mia una sottospecie di tuta che utilizza come pigiama in quelle rare occasioni in cui si ferma da me, appunto. L’ha infilata ed ha arrancato alla meno peggio fino alla cucina. L’ho visto emergere dalla porta in stile zombie, gli occhi ancora semichiusi ed un’aria intontita, ha sbadigliato ed io l’ho fissato da sopra l’orlo del giornale, seguendolo fino alla sua incursione presso il frigorifero. Si è fermato davanti allo sportello, scrutandolo per un po’ come se non sapesse bene cosa fosse, poi ha allungato una mano e lo ha aperto, infilandoci la testa dentro quasi nello stesso momento. Quando ne è riemerso reggeva tra le mani un contenitore in vetro, pieno di caffè macinato, se lo è rigirato tra le dita, continuando la propria indagine perplessa. Poi si è voltato, lo ha sporto in avanti, come i bambini quando ti mostrano i propri giocattoli come fossero trofei, e mi ha guardato.
Ed io lo ammetto. Era la cosa più carina che avessi mai visto in tutta la mia intera esistenza.
E se pensate che la parola “carina” riferita ad un maschio adulto ventinovenne – e riferita da un maschio adulto trentacinquenne – sia assolutamente fuori luogo, sappiate che avete la mia totale approvazione.
Ma resta il fatto che era la cosa più carina che avessi mai visto, e non era utilizzabile un altro aggettivo.
Perché se ne stava lì, con il suo faccino addormentato, la sua barbetta rada, i capelli aggrovigliati più del solito, i vestiti che gli cadevano addosso, i piedi nudi e quel barattolo davanti al viso, in cui gli occhi azzurri erano acquosi ed interrogativi.
-Questo si beve?- mi ha chiesto.
Ho pensato che avrei dovuto ridere. Il fatto che lo pensassi invece di farlo mi dice quanto lo trovassi assolutamente adorabile in quella versione. Così, invece di ridergli in faccia, ho sollevato la mia tazza di caffè, ancora piena, e l’ho agitata un momento davanti a lui. E Matt, chiaramente, ha lasciato perdere il barattolo e, portandoselo dietro, mi ha raggiunto all’isola centrale della cucina e si è arrampicato su uno degli sgabelli che stavano lì intorno, mollando il caffè in polvere accanto a sé ed attaccando subito la mia tazza.
-Grazie.- ha bofonchiato infilandoci il naso dentro.
A quel punto ammetto di essermi concesso anche una risatina, mentre mi alzavo ed andavo a recuperare un’altra tazza ed il bricco del caffè già pronto.
-Ci sono dei biscotti nel contenitore sul tavolo.- gli ho detto.
Lui ha infilato la testa anche lì, riemergendone deluso con un paio di biscotti integrali.
-Tu non sai proprio cosa voglia dire “vivere”.- ha commentato, fissandoli con aria depressa.
-Alex dice che devo mantenermi in forma per tutto il tour e che posso ridiventare un maialino rotolante solo quando finisce.- ho spiegato, tornando a sedermi anch’io e rubando dalle sue mani uno dei due biscotti.- Non sono male.- ho commentato, comunque, addentandolo.
-Bah!- ha sbottato lui, infilando l’altro in bocca e masticando di malavoglia- Uno non può fare sesso sfrenato tutta la notte e poi trovare questi ad aspettarlo il mattino dopo!- ha protestato vivacemente, mentre finiva il biscotto ed allungava la mano al contenitore per servirsi ancora.
-Se facessi sesso sfrenato tutte le notti, ti darei ragione.- risi io- Ma visto che non ci vediamo abbastanza spesso per sostituire la dieta e la palestra con te …
-Uhm- ha ribattuto lui, riflettendo con aria seria- Potrei proporre ad Alex di assumermi come preparatore atletico…
-Matt!- ho strepitato, mentre lui rideva.- Uff, sei un idiota…
-Ed io non facevo te così puritano.- mi ha risposto Matthew, ridacchiando ancora, mentre riprendeva a bere il caffè.
Non ricordo con esattezza di cosa abbiamo parlato e come ci siamo arrivati, ma ad un certo punto è finita che lui stava parlando di Dom già da un po’ ed io lo stavo osservando con fastidio sempre crescente. Così che lui se n’è dovuto accorgere necessariamente ed ha smesso di parlare, fissandomi interrogativo.
-Perché fai così?- mi ha chiesto, diretto come sempre.
-…così come?- ho ribattuto io, abbastanza incerto da fargli intendere che avevo capito benissimo di cosa stessimo parlando.
-Io non sono geloso del tuo rapporto con Stefan.- ha fatto notare lui.
Ho sospirato.
-Non avresti di che essere geloso.- ho ammesso.- Tra me e Stefan è finita. Un sacco di tempo fa e con una tale precisa completezza che sarebbe impossibile ricominciasse per qualsiasi motivo. È su questo che si fonda il nostro rapporto attuale.
Mentre scivolavo giù dal mio sgabello e mi portavo dietro le tazze per sistemarle nel lavello della cucina, Matthew è rimasto in silenzio. Ed io ho ascoltato quel silenzio.
-Allora…- ha cominciato lui dopo un po’.- è vero che siete stati assieme.
Mi sono voltato, pulendo le mani su un panno che ho abbandonato in una specie di mucchio disordinato sul piano da lavoro accanto ai fornelli.
-Cosa vuoi sapere, Matt?- gli ho chiesto senza nessun colore.
-La verità, penso.- ha risposto lui onestamente- Anche se non posso dirti che non importa…- ha confessato subito dopo, distogliendo gli occhi dai miei.
Io ho annuito, pure se non poteva vederlo, e sono tornato a sedere davanti a lui, incrociando le mani sul tavolo ed aspettando con pazienza che lui alzasse lo sguardo nel mio.
-Siamo stati assieme.- ho ripetuto a quel punto.- Per un bel po’ di tempo, anche. Ma ci aggiungerei che la mia storia con Stefan è stata forse la cosa meno simile ad una relazione in cui mi sia mai imbarcato. Comprese le scopate casuali del sabato sera.- ho ammesso senza problemi, scrollando le spalle ed osservando un vago fastidio disegnarsi sul viso di Matthew.
Lui lo ha ricacciato indietro quasi subito ed io ero così interessato a dirgli davvero chi fossi, che ho represso l’impulso istintivo di correggere il tiro.
-Perché dici questo?- mi ha chiesto quando è stato in grado di accettare e superare quel particolare buttato lì.
-Semplicemente perché è così, Matthew. Ero molto giovane, molto più stupido di adesso e decisamente poco intenzionato ad avere una relazione seria con chiunque.- ho riassunto per lui.- La verità è che Stefan si è fatto carico di me in un momento in cui avrebbe fatto bene ad imitare tutti gli altri, prendere quello che gli serviva e dimenticare il resto.
Ha sorriso, anche se con una punta di tristezza.
-Non credo che Stefan Olsdal sia capace di comportarsi come tu hai appena consigliato.- ha sussurrato con una certa ammirazione.
-Sì, credo di sì.- ho concordato con lui.- Fatto sta che era veramente un brutto momento e lui è stato praticamente l’unico che mi sia stato vicino mentre lo affrontavo. Ma io non sono mai stato capace nemmeno di dire “grazie”.- ho raccontato atono.- Quando più o meno ne ero fuori, lui ha pensato che fosse arrivato il momento di chiarire le cose tra noi. E mi ha lasciato.
Sapevo di averlo sconvolto. Non mi stupì vedere la sua espressione sorpresa, che mi squadrò come se avesse difficoltà nell’afferrare il senso di quello che dicevo. Aspettai che lo facesse da solo o che, quantomeno, arrivasse a chiedermi cosa intendessi.
-Ti ha lasciato lui?- si limitò a ripetere Matt, alla fine.
Sorrisi.
-Ti riesce così difficile crederlo?- ritorsi.- Lui ovviamente mi spiegò il perché, Stefan non è certo tipo da piantarti in asso senza dirti il motivo. Io lo odiai comunque, ma non glielo dissi perché dirglielo avrebbe significato ammettere di amarlo ancora, ed io non ero il tipo che ammette di avere bisogno di qualcuno.
-E lo lasciasti uscire dalla tua vita per orgoglio…- m’interruppe Matthew.
Lo osservai. Sapevo che si stava silenziosamente chiedendo se avrei fatto lo stesso con lui quando mi fossi stancato o quando tra noi fossero sorti problemi.
Non sapevo cosa rispondergli.
-Mesi dopo conobbe Vincent. Lui è l’esatto opposto di ciò che sono io.- ripresi in tono fioco, fuggendo io, stavolta, il suo sguardo azzurro quando si sollevò a cercarmi.- All’inizio, chiaramente, la sola presenza di Vin mi dava i nervi, lo evitavo come la peste, non lo sopportavo. Amavo ancora Stefan e non potevo arrendermi all’idea che non mi appartenesse più. Ma poi incontrai Helena, e lei in qualche modo riuscì a farmi stare bene ed a restituirmi una forma di equilibrio.- spiegai con una certa semplicità. Ed affinai il concetto- Lei sembrò quasi inserirsi in quell’opera di recupero che Stef aveva cominciato, riprendere da dove lui si era arreso e mettersi con calma a finire di ricostruire quella montagna di macerie senza senso che ero diventato negli anni.
Mi zittii da solo. Interrompendomi e guardandomi attorno come se cercassi all’esterno un modo per raccogliere le idee che erano dentro di me. Non era una cosa successa così tanto tempo fa, in qualche modo era ancora viva e pulsante dentro di me, metterla fuori avrebbe significato decidere di prenderne coscienza. Mi domandai se ne fossi già in grado.
-Io non l’ho mai amata.- ammisi alla fine in un sospiro, tornando a voltarmi verso Matthew. Lo trovai che mi osservava in attesa, senza alcuna espressione che non fosse una curiosità paziente ed affatto invadente. Apprezzai questo suo silenzio rispettoso e ne trassi il coraggio per continuare.- Lei, però, ha deciso comunque di aiutarmi ed a me bastava, quanto meno per mettere da parte una storia finita senza essere mai nata e prendere coscienza che io e Stefan potevamo esistere nello stesso luogo senza sfiorarci e senza che questo dovesse necessariamente lacerarmi.- buttai fuori.- Accettai anche Vincent… Dopo mesi accettai di incontrarlo. E quando parlammo per la prima volta, lui mi disse quello che Stefan non era riuscito a spiegarmi nel momento in cui mi aveva lasciato.

***

Matt ha il dono di stare a sentire la gente. Gli capita di rado, perché generalmente è sempre troppo “in movimento” per fermarsi abbastanza da ascoltare, ma quando lo fa ha il dono di saper ascoltare. Non è poco. Non tutti ci riescono. La maggior parte delle persone ha l’arroganza di voler sapere ancora prima di aver sentito, non stanno in silenzio, ti buttano lì i loro commenti senza pensare neppure che magari tu non li vuoi. Volevi solo sfogarti ed avere qualcuno con cui farlo.
Matthew è qualcuno con cui sfogarsi. Sta in silenzio fino alla fine, quando sa che serve farlo.
Quella cosa di Vincent era dentro di me da un bel po’, il discorso assurdo che lui mi fece la prima volta che ci incontrammo. Era ad una festa di compleanno. Di Stefan chiaramente. Vivevano già assieme ed avevano organizzato una specie di piccolo party da loro. Era la prima volta che mettevo piede in casa di Stef da quando Vin si era trasferito lì.
Non sarebbe stata l’ultima.
Io me ne stavo fuori, sulla terrazza del salotto. Avevo bevuto, e tanto. Helena era da qualche parte dentro che chiacchierava con la moglie di Steve, io cercavo solo di nascondermi, perché ancora non era tutto così chiaro come lo sarebbe diventato con il tempo ed ammetto che presentarmi lì quella sera era stato un bello sforzo per me.
Vincent venne fuori proprio con l’intento di parlarmi. Mi raggiunse anche se io gli voltai le spalle, sperando che capisse che non avevo piacere di intrattenermi con lui, ma chiaramente ignorò la mia scelta. So che a Vincent io non faccio simpatia particolare. Non più di quanta lui ne faccia a me, anche a distanza di anni. Sappiamo entrambi che siamo qualcosa di indispensabile per Stefan e che ognuno di noi ha un ruolo in questo ed io so che Vin è il genere di persona incapace di provare rancore o portare odio a qualcuno. Per cui è sincero quando si rapporta con me e questo vuol dire che, a modo suo, mi vuole anche bene.
Ed io, a modo mio, ne voglio a lui. Perché so che Stefan è felice con lui, come con me non è mai stato. E so che Stefan ha bisogno di lui, mentre decisamente non aveva bisogno di me e del mio essere così dannatamente contorto. E so che se loro due si dovessero lasciare per qualsiasi ragione, io mi sentirei tradito quasi quanto mi sono sentito tradito quando Stefan ha lasciato me.
Vorrei non fosse così. Vorrei poterlo odiare e penso che sarebbe più facile rivendicare diritti, che ho perso da tempo, su una persona che per me ora vuol dire qualcosa di così difficilmente inquadrabile da darmi il capogiro. In generale, credo di volere una vita più lineare. Ma non sono una persona lineare.
Quella sera, Vincent me lo disse esplicitamente. Mi guardò in faccia, dritto negli occhi e senza avere nessun problema a sostenere il mio fastidio o il sarcasmo con cui cercai di ricacciarlo indietro. Aspettò che la smettessi di punzecchiare inutilmente, come un gatto arruffato, e che accettassi un confronto su basi normali.
A quel punto mi disse quello che Stefan mi aveva già detto.
-Credo che tu sia stato e sarai per sempre la persona più importante della sua vita.- esordì.
Boccheggiai, guardandolo come se non potesse essere vero.
-Di che ti stupisci, Brian?- mi chiese lui.- Quante persone credi che esistano a questo mondo che siano riuscite a lasciare Stefan così pieno di veleno e di odio come ci sei riuscito tu? Ne è ricolmo ancora adesso, e questa è l’unica vera ragione per cui ti ha lasciato.
Tirai un respiro lento, nello spazio che lui mi dava per farlo e riprendere fiato. Poi ci appoggiammo entrambi al parapetto della terrazza e, quando mi resi conto che la sua vicinanza non mi dava l’irritazione che credevo avrei provato, capii che era lui ad avere ragione. Ed io un torto fottuto. Così lo ascoltai fino in fondo.
-Te lo ha detto lui?- gli chiesi.
Vincent annuì.
-Stefan mi ha parlato di te per settimane intere, all’inizio. Sembravi il suo unico argomento di discussione e sapevo che eri ancora l’unica persona che amasse.
-Ora non più.- sorrisi con una certa ironia.
-Non dipende da me o da te. Dipende da lui e da quello che vuole.- mi rispose senza lasciarsi ferire- E comunque non c’entra molto.- aggiunse.- Quello che devo dirti ha a che fare con Stefan solo in parte, Brian.
-E cosa dovresti dirmi?- gli domandai appoggiando la testa sul pugno chiuso ed osservando il suo profilo.
-Che il problema sei tu.- mi rispose lui tranquillamente.- Stefan, Helena e chi verrà dopo di loro, possono solo aiutarti, tu ti appoggerai in tutto e respirerai la loro aria, sarai come un parassita, in cambio della vita gli cederai veleno, perché sei tu ad esserne ripieno fino all’orlo. E non puoi sopravvivere così, devi cederlo a chi ti sta intorno.
-…e ho fatto questo a Stefan?- mi obbligai a chiedere, mentre sentivo la gola serrarsi.
Lui sospirò, voltandosi ad incrociare i miei occhi, ed io mi resi conto che i suoi erano di un colore così chiaro da risultare simili al ghiaccio e trasparenti. Non è facile sostenere occhi così.
-Brian, qualunque cosa io, o chiunque altro, ti dica non vale niente.- disse piano.- Sei tu che ci devi arrivare da solo e sei tu che devi aiutare te stesso.

***

Ecco cosa intendo quando dico che Vincent è il mio esatto opposto. Lui è come Stefan, per certi versi, solo meno generoso. Almeno con me. Vincent è l’equilibrio statico di chi ha raggiunto la piena realizzazione del proprio io e non c’è nulla al mondo che credo possa davvero scuoterlo da questo stato. Tranne forse la possibilità che tra lui e Stefan finisca senza un motivo reale.
Dio, se solo penso a quanto sono legati mi sento male. Li invidio. Sul serio. Vorrei riuscire ad essere come loro e ad amare Matt nello stesso modo maturo e adulto in cui loro due si amano.
Ma non sono come loro.
E nemmeno Matthew.
Gli raccontai quella cosa per intero, chiaramente, non omisi nulla di quello che Vin mi aveva detto. Lui mi ascoltò fino alla fine, come ho detto prima. Non m’interruppe, non disse nulla, non fiatò. Aspettò che io finissi di parlare e che tornassi ad accorgermi davvero della sua presenza. Credo che capì anche che il fatto di avergli detto tutto quello era la prova più lampante che potessi dargli dei miei sentimenti verso di lui.
Eccoti Brian Molko, Matthew, senza più scudi e senza difese. Ora puoi ucciderlo o accettare di amarlo per com’è.
E lui chiaramente non vedeva le cose così complicate come le vedevo io. O forse è solo che è un inguaribile ottimista. Ma non si fece spaventare dalla prospettiva che io potessi davvero essere una sorta di vampiro, che si ciba dei sentimenti altrui e li lascia pieni del veleno che ha in corpo.
Quando tornai a guardarlo mi chiese di Helena. E lo fece mentre mi fissava tranquillo e sereno, come se io non avessi nemmeno aperto bocca fino a quel momento.
-Helena?- ripetei.
-Sì.
Feci fatica a ricondurre il nome a qualcosa di diverso da quello che avevo già detto. E cioè che non l’amavo e che lei, invece, aveva amato me al punto da salvarmi. Mi ci sforzai un attimo.
-Credo che Helena sia stata una fortuna, Matthew. Dopo Stefan sarei potuto andare tranquillamente alla deriva, se non ci fosse stata lei.
Ricordo che mi voltai in modo naturale verso le mensole accanto all’ingresso della cucina. Ci tenevo le foto della mia famiglia, dei miei amici ed anche quelle della persona con cui stavo. Era sempre stato l’altarino della mia “vita”, cambiava con me, e mi piaceva al mattino, mentre facevo colazione, dargli uno sguardo distratto.
C’erano una foto dei miei con me e Barry da piccoli; una della famiglia di Barry, con i bambini; una del gruppo, con Vincent, la moglie di Steve ed Emily ed Alex con il compagno.
E poi c’era una foto di me ed Helena.
Corrugai la fronte. Era rimasta lì, non l’avevo tolta dopo che c’eravamo lasciati. Non l’avevo sostituita con una mia e di Matthew. Realizzai che non avevo una foto di noi due da mettere al suo posto. E mi fece un po’ male pensare che non avessimo mai avuto il tempo, il modo o il motivo per fare una foto assieme.
Matt seguì il mio sguardo. Vide la foto. Pensai di dovermi scusare, perché era davvero una cosa idiota che fosse ancora lì ed al posto suo io mi sarei sentito un imbecille e mi sarei incazzato. Ma non feci a tempo a dirgli “mi dispiace”.
-Non mettere il muso, Bri.- mi disse, sorridendomi e posando il mento sulla mano per sporgersi leggermente in avanti, verso di me.- Se vuoi una foto nostra, basterà che ti inviti a cena con me appena abbiamo tempo e poi ti baci all’uscita del ristorante.- scherzò.
Sorrisi.
-Anzi! Pensaci!- continuò ridendo allegramente- Avremmo un intero servizio fotografico gratis e saremmo perseguitati dalle nostre facce spiaccicate su tutte le riviste e tutti i muri di Londra!
-Matt…- lo chiamai io.
Lui mi guardò.
Non riuscii a dirgli niente, il telefono squillò nello stesso momento in cui qualcuno suonava al citofono. Chiesi a Matthew di vedere chi fosse e, bestemmiando contro il dannatissimo portiere che era incapace di fare il proprio lavoro, avvicinai la cornetta all’orecchio e sentii Alex riversarmi addosso tutti gli insulti che le venivano in mente.
Dall’altro lato della casa, Matt rispose a Tom che scendeva subito.

***

Fuori c’è un vento piuttosto fresco e ci sono dei nuvoloni affatto promettenti che si affollano sull’orizzonte. Mi stringo nella felpa, tirando su il cappuccio e la zip ed allungando le maniche a coprire le dita intirizzite.
Dannazione! Ci manca solo che mi prenda un colpo d’aria, Alex mi ammazza se mi viene il raffreddore… o peggio… il mal di gola…
La sola idea mi fa scorrere un brivido lungo la schiena. Ma mi sa che è il freddo e basta. Penso che dovrei tornare dentro ed acchiappare una di quelle graziose sciarpette di seta che, nell’ultimo periodo della mia esistenza, stanno diventando un dannatissimo must del mio abbigliamento. Ma poi ci ripenso. E per un motivo scemo.
Quando alzo lo sguardo, davanti a me c’è una distesa di nulla ed in quel nulla, fatto solo di terra e di cielo, c’è quest’immagine di nubi che il vento spinge via sull’orizzonte. È bello. Talmente bello da sembrare perfetto, nonostante le linee sgraziate dei pullman sulla parte più in basso di quel quadro grigio e blu. Bello, nonostante il vociare cacofonico delle persone che passano davanti a me, oscurando per un attimo appena un angolo dello stesso quadro. Bello in un modo che mi convince a rimanere a fissare il cielo, intontito, rabbrividendo nella felpa troppo leggera.
-Brian, cosa ci fai piantato lì?
Mi volto. Nadine mi viene incontro, è insieme ad un’altra ragazza che non ho mai visto, le sorrido di rimando quando lei mi si ferma davanti con la tizia. Immagino sia qualcuna dello staff di un altro gruppo, siamo troppi perché io riesca a ricordarmi davvero di tutti.
-Ah.- Cerco di fare mente locale e tirar su una balla, che valga da risposta, in tempi congrui.- Cercavo Stef, l’hai visto?- dico precipitosamente.
Ecco, Stefan diventa come sempre una specie di appendice che mi porto dietro. Dovrei smetterla di fomentare certe leggende urbane.
Nadine scuote la testolina rosso fuoco.
-Nah, Brian.- mi risponde spiccia. Poi mi pianta addosso uno sguardo sospettoso.- Non sarai vestito un po’ leggero per andare in giro con questo tempaccio…?- inizia.
-Ma no, sto bene, figurati!- sminuisco io, voltandomi rapidamente intorno.
Mi ci manca solo che la truccatrice si metta a farmi la predica!
-Sì, ok.- sbuffa lei scuotendo le spalle magre. Mi giro di nuovo, in tempo per vederla sfilarsi dal collo una sciarpa multicolore, da cui proviene un profumo intenso di fiori e frutta, che poi mi ritrovo serrata attorno al collo.- Senti, se ti ammali, Alex diventa intrattabile quasi quanto te. Ed io non ci tengo, visto che è lei la mia datrice di lavoro!- mi dice rapida.- Beh, noi andiamo.- aggiunge subito dopo.- Se cerchi Stef, prova a chiedere a Gerard, prima erano insieme.
La ragazza sconosciuta ridacchia in un modo che non mi piace affatto; quando alza la mano per salutarmi, prima di andarsene con Nadine, vedo che porta una maglietta di quei dannatissimi My Chemical Cosilà e capisco allo staff di quale gruppo appartiene. Sbuffo, lei e Nadine si tengono per mano allontanandosi. Mi sa che la mia cara, piccola truccatrice mi deve raccontare qualcosa che ha omesso di dirmi…
M’incammino verso il tour bus di Gerard Way e compagni, stringendomi le braccia al petto nel tentativo vano di impedire al vento di raggiungermi. Li trovo che stanno seduti appena fuori dall’ingresso del bus, stanno parlando di lavoro perché si passano di mano in mano degli spartiti pasticciati e confusi e discutono tra loro abbastanza animatamente. Ma Stefan decisamente non è lì.
E quindi io dovrei limitarmi a chiedere a Gerard se sappia dov’è e poi andarmelo a riprendere da un’altra parte.
E non ho nemmeno una ragione valida per fermarmi, invece, lì davanti a loro e guardare dritto in faccia il loro cantante ed aspettare che lui alzi il viso e mi veda.
Fa una faccia stupita. Nient’affatto convinta. Gli altri si zittiscono e si voltano a guardarmi anche loro, io però non gli bado.
-Gerard.- “hai visto Stef?”, conclude il mio cervello in tono piano- Posso parlarti un secondo?- chiedo invece.
Bene. Siamo in due a non sapere cosa sto dicendo, Gee. Quindi, fai un favore ad entrambi e non guardarmi a quel modo!
-S… sì… certo.- balbetta lui a disagio, mollando il quaderno musicale al ragazzo che gli sta accanto e sollevandosi in piedi.
Sembra intimorito. Ottimo. Adoro avere il predominio sugli altri, quando sto per prenderli ad insulti.
E sto per prenderti ad insulti, Gerard Way. Mi conosco abbastanza bene da sapere quando sto per fare una cazzata grande quanto una casa, anche se ancora a livello cosciente il mio “io” si è dimenticato di comunicare le informazioni al resto del corpo.
Ci allontaniamo di qualche passo. Dietro di noi, gli altri componenti della band allungano i colli il più possibile, strabuzzano gli occhi e ci spiano senza capire. Gerard lancia loro un’occhiata che vorrebbe essere distratta, ma che so benissimo interpretare per un tentativo pietoso di trarre da loro un minimo di coraggio per affrontarmi.
È una situazione surreale. Siamo praticamente coetanei, sei grosso il doppio di me ed io non mangio le persone. Anche se le persone sembrano non crederlo possibile. Finiamola qui e vediamo di parlarci in modo civile.
-Senti, Gerard.- esordisco colloquiale, sciogliendo le braccia per assumere un atteggiamento più rilassato e vedere di appianare un po’ quella cavolo di tensione.- Magari Stef non te lo ha detto, perché è uno abbastanza riservato, ma lui sta già con qualcuno.
-Ahah.- mi risponde Gerard.- Lo so.
Ah.
-…scusa… ma se lo sai, perché non la pianti?- butto fuori stringatamente.
Lui si stringe nelle spalle e scuote la testa.
-Tanto per cominciare, perché Stefan non mi ha mai chiesto di “piantarla”.- mi fa notare.
Sbuffo un mezzo sorrisetto, piuttosto tirato. Questo moccioso mi sta dando i nervi rapidamente.
-Perché secondo te non basta dire “sto con qualcuno”, per far intendere che puoi anche smetterla di provarci?!- gli chiedo cattivo. Voglio che sappia che può anche fare fesso Stefan… o meglio, credere di starlo facendo fesso, ma io so esattamente dove vuole andare a parare.- O.k, te lo dico io in modo più chiaro allora. Stefan ha un compagno, tu non sei niente, non sarai mai niente, non esisterai nemmeno mai nella sua classifica personale delle “cose da prendere in considerazione”.
-Oh.- mi risponde lui. Non mi piace la faccia che fa mentre se ne esce con quella semplice esclamazione. E mi piace ancora meno la faccia che fa dopo, quando si volta verso di me e mi sorride di rimando- Scusa, ma a te che te ne frega?- mi domanda a bruciapelo.
-E’ il mio migliore amico.
-Siamo grandi tutti e tre abbastanza da non doverci mandare gli ambasciatori per dirci le cose!- ride lui.
-Va bene, allora mettiamola in questo modo se preferisci.- comincio a spazientirmi.- Non voglio che giri più intorno al mio bassista, non lo ammetto. Chiaro?- sottolineo seccamente.
-Non è una tua proprietà!
Questo ragazzetto è un rompicoglioni a certi livelli!
-Sono cazzi miei cosa succede all’interno della mia band, Gerard Way!- ruggisco inferocito, allungandomi verso di lui e piantandogli un dito nel petto.- E non voglio che tu ci ficchi il naso! Ti voglio fuori dalle palle, ragazzino! In fretta ed in modo definitivo!- lo aggredisco.
Lui mi spinge indietro senza troppa gentilezza, si rimette dritto e mi pianta in faccia gli occhi pittati di scuro.
-Sentimi, tu, razza di coglione megalomane!- attacca.- A me non frega un cazzo se tu ritieni di poter tiranneggiare chi ti sta intorno come preferisci, io non lavoro per te e faccio il cazzo che mi pare! Se a Stefan dà fastidio me lo dice ed io deciderò cosa fare!
Adesso ho davvero voglia di sbranarlo.
-Forse non ti è chiaro il concetto…- inizio in tono calmo, paziente.
E non finisco.
Qualcuno mi strattona bruscamente per una spalla, spingendomi via.
-Scusaci, Gerard.- sento dire in tono basso e sicuro alla voce di Stefan.- Io e Brian dobbiamo parlare urgentemente.
Quello spostato di un darkettone rimane fermo dove sta, borbottando a mezza voce un “sarà meglio” che mi fa salire alla testa quel poco di sangue che avevo ancora in circolo. Ma siccome Stefan continua a trascinarmi per un braccio, nemmeno fossi un bambino di dieci anni al seguito del padre, non posso voltarmi a rispondergli come vorrei e sono costretto a seguire Stef fin sopra il nostro bus. Mi molla di mala grazia, spingendomi a sedere sul divanetto, e si ferma davanti a me.
-Ti sei bevuto quel po’ di cervello che le droghe non ti avevano fottuto, Brian?- s’informa gelidamente.
-Stavamo solo parlando.- rispondo io incolore, lasciandomi andare all’indietro tra i cuscini.
Stefan sorride a denti stretti.
-Raccontala a qualcun altro.- mi ritorce bruscamente.- Torno a farti la domanda, Brian, che cazzo stavi facendo?
Ci penso su. Evito di incrociare il suo sguardo perché so che finiremmo per litigare ed io non voglio litigare. Perché sono in torto e mi limiterei a rovesciargli addosso la qualsiasi pur di non doverlo ammettere e perdere così questo scontro. Ho bisogno di fare il punto della situazione.
-O.k.- mi precede Stefan- Rispondo io per te.- mi dice secco.- Stavi facendo una scenata di gelosia a Gerard Way.
-Stronzate!- sbotto, interrompendolo infastidito.
-No, Brian, le cazzate che hai detto a quel ragazzo sono “stronzate”!- sibila Stef. Ed  io sussulto nel sentirlo usare un tono simile e mi volto di scatto per riuscire a vedere la sua espressione furiosa. Sto zitto.- Te lo dico una volta sola ancora, Brian, poi mi limiterò a mandarti a fanculo. Te e tutte le tue paturnie del cazzo. Tieniti fuori dalla mia vita quando non sei stato esplicitamente invitato.
…fa più male di quello che pensavo.
Respiro.
-Te l’ho ripetuto in tutti i modi possibili ed immaginabili, Brian, Gerard Way ed io siamo amici. Lui mi fa simpatia. Tu non sei autorizzato a chiedermi di non vederlo o a pretendere alcunché da me o da lui.- mi spiega in modo lineare.- E soprattutto, Brian,- aggiunge fissandomi dritto negli occhi e parlando con estrema lentezza- non ti azzardare mai più a nasconderti dietro Vincent per mascherare la tua gelosia.
Fa più male di quello che pensavo, guardarlo uscire da lì.
Steve sulla porta lo incrocia. So che ha sentito tutto, o quasi, perché glielo leggo in faccia quando prova a fermare Stefan e viene mandato al diavolo senza troppi convenevoli. Si volta verso di me. In silenzio.
Io deglutisco a vuoto.
-…che cazzo hai combinato, Brian?- mi chiede.
-…niente…- mento senza nessuna intonazione.



Nota di fine capitolo della liz, obbligata a scrivere per prima nonostante Nai sappia quanto le fa piacere distorcere le menti delle fangirl facendo loro il lavaggio del cervello per ultima!

Prima di tutto: giunta alla fine della correzione (ovvero di quel poco che c’era da sistemare) del capitolo, non ricordavo più con esattezza chi avesse scritto per prima e chi per ultima nello scorso capitolo; perciò, mi stavo coscienziosamente adoprando per aprire il sesto capitolo e vedere (per poi agire comunque di testa mia :D), quando alla fine di questo documento vedo le testuali parole:

LIIIIIIIIIIIIIIIIIIZ!
Tocca a te ù_ù

Il che dimostra palesemente che Nai è paranoica e non si fida di me, alla faccia di San Valentino >_< *festaccia immonda* *voglio un/a ragazzo/a çOç*
Per Stregatta: quando ci mettiamo a fare il nostro famoso giochino al ribasso, non siamo affatto carine >.< Dovresti vederci al telefono, “Nooo, tu sei più talentuosa di meeeee”, “Noooo, non è affatto veroooo, tu sei l’unica che abbia un po’ di talentoooo” eccetera eccetera… quando non c’è palesemente nulla da discutere: è lei quella talentuosa del duo u.u Lo dimostra che il novanta percento di questo bellissimo capitolo è suo <3
Comunque, buon San Valentino alle fidanzate/ammogliate d’Italia e del mondo (e l’augurio, chiaramente, implica anche Gaia ed Helena <3) (…e Vinny, se esiste <3). Ciu :*
PS: Poi abbiamo stabilito che la colpa di Gerard Way in questa fanfiction è mia. Be’. ç_ç. Ele, te lo dedico çOç :*





Nota di fine capitolo della Nai:

Non trovate la parte della telefonata iniziale semplicemente m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a?! *.*
Sìììììììììììì, lo è!!!
Ovviamente è di Liz  U_U
Detto questo. Sono in periodo di puccioseria romantica e Trapped ha ancora l’effetto di farmi sberlucciare felice, per cui è sempre un piacere rileggerla con la scusa della correzione *svolazza via felice*
…sarà S. Valentinooooooo…

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