In coppia con Nainai
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
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L’Easily Forgotten Love ringrazia Whity, Erisachan, Isult e Stregatta per averci come sempre regalato un commento a dimostrarci il loro affetto.

Che noi ricambiamo con un bacione enorme! *_*

They Have Trapped Me In A Bottle


Ten:

-Come lo hai chiamato?

Alzo leggermente lo sguardo, senza muovere la testa, con il mento poggiato sul dorso delle mani sopra il tavolino nel tour bus.

-Leonida.- rispondo a Stefan, che ridacchia e mi posa il caffè davanti la faccia.

Scosto la tazza per riprendere a fissare negli occhietti pallati il mio gatto di peluche marroncino e tigrato.

-Leonida è un nome idiota.- afferma Steve perentorio, attraversando il corridoio per arrivare al cucinino ed infilare la testa nel frigorifero.- Brian, hai di nuovo mangiato tutte le mie merendine?- mi chiede sollevando la testa di scatto.

-Sì.- ammetto spiccio.- Ma stavolta sono stato previdente!- affermo poi, alzandomi ed uscendo da dietro il tavolo.

Raggiungo Steve e mi allungo al di sopra della sua schiena per aprire uno degli sportelli del cucinino. Tiro fuori un pacco di merendine ancora intonso e glielo mostro con un sorriso compiaciuto.

-Al cioccolato!- annuncio.

Lui sorride, mi scompiglia i capelli come si farebbe con un bambino piccolo ma accetta il regalo e viene a sedersi con me e Stefan intorno al tavolo. Leonida ci fissa dal centro esatto. Gli rimando l’occhiata mentre spacchetto una delle merendine che Steve mi ha passato.

-Il cioccolato è una delle sette meraviglie del mondo.- afferma oziosamente il mio batterista, osservando compiaciuto la crema scura e densa che fuoriesce dal pan di Spagna.

-Sono quasi sicuro di no, Steve.- ribatte Stefan incolore.

-Non capisco perché tu dica che Leonida è un nome idiota.- borbotto contro Steve.

-Brian, a volte ti fissi sulle cose…- interloquisce ancora Stef.

-Non potrò più guardare “Trecento” con gli stessi occhi.- mi spiega intanto Steve- Avrò sempre l’immagine di una specie di coso peloso che mi fissa con occhi pallati.

Arriccio il naso. Guardo il gatto, poi di nuovo lui.

-Ti somiglia!- affermo.

Ed a quel punto, Chester entra a salvarmi dalle veementi proteste del mio batterista.

-Brian!- lo sento chiamare quando è già dentro il tour bus. Ha un sorriso enorme in faccia, scruto il suo entusiasmo chiedendomi da cosa dipenda, ma lui non sembra intenzionato a svelarmene i motivi.- Io sto andando in città, mi chiedevo se ti andava di venire con me.- mi propone invece.

Mi stringo nelle spalle.

-Se mi dai dieci minuti per infilarmi qualcosa di accettabile…- ribatto.

-Certo.- annuisce lui subito.- Ti aspetto all’ingresso.


***


Chester mi piace. È una persona semplice, uno di quei ragazzi che non hanno smesso di essere “alla mano” solo per via del successo.

Il mio esatto opposto, insomma.

Ma io, comunque, non sono mai stato uno alla mano. Nemmeno prima del successo.

Per questo mi piace avere a che fare con tipi come lui, non puoi entrare in competizione con uno così, alla fine ci passi ore assolutamente rilassate e tranquille. E poi è un nostro fan. Meglio, è un mio fan. Ed io sono un egocentrico. Amo avere gente che mi rispetta e che mi apprezza intorno, quindi ho una predilezione per chi riesce a farlo con una buona quantità di discrezione ed eleganza. Chester rientra nel novero di tali individui, per cui mi piace la sua compagnia e, sebbene di fatto non ci si conoscesse che di vista prima di questo festival, mi ritrovo con lui con una certa facilità.

È per questo che passiamo fuori tutta la giornata. Attraversiamo la città a piedi, ci infiliamo in negozi di souvenir e ci riempiamo di cianfrusaglie inutili. Penso distrattamente che l’anno prossimo mi ritroverò un nuovo scatolone pieno di ricordi da tirare fuori quando sarò di cattivo umore, ma non riesco ugualmente ad impedirmi di comprare a Steve un assolutamente inutile ed orribile paraorecchie peloso. Mentre rovistiamo negli scaffali, Chester mi parla, mi racconta di sé, della band, del lavoro in genere. Ci scambiamo battute distratte, ci fermiamo a mangiare da qualche parte e ripartiamo per un altro giro dopo pranzo.

Quando rientriamo al festival, in tempo per il concerto, ci separiamo infilandoci rapidamente nel backstage. Nadine mi accoglie strillando che se continuo ad arrivare così tardi si licenzia, io scrollo le spalle e le dico una cosa carina per tenermela buona, mentre raggiungo la costumista per cambiarmi.

Stefan, già pronto per uscire in scena, mi raggiunge mentre Nadine sta finendo di sistemare il trucco.

-Divertito?- mi chiede.

-Ho comprato cose inutili, chiacchierato di cose futili e mangiato schifezze.- riferisco brevemente, chiudendo gli occhi per lasciare che il mascara allunghi innaturalmente le mie ciglia.- Certo che mi sono divertito!- affermo quindi.

-Ed abbiamo anche trovato il tempo per spettegolare della nuova fiamma di Ville Valo.- aggiunge Nadine, ridacchiando insieme con me al pensiero delle ciarle che ci siamo scambiati poco prima.

-Bene.- sorride Stefan- Io suono di nuovo con i MyChem.- mi dice quindi.


***


- Non avevano davvero bisogno di un altro bassista. – preciso con uno sbuffo contro la cornetta, dopo essermi lasciato ricadere nella mia cuccetta sul tour-bus, - E tra l’altro due linee di basso non c’entrano niente con la musica dei My Chemical Lagnance. Per non parlare del fatto che chiaramente Stefan non aveva una propria linea di basso, per quelle canzoni, e ovviamente Mickey Way è troppo perfetto per permettere a qualcun altro nell’universo di utilizzare la sua! E quindi, di conseguenza, il mio bassista è stato anche costretto a perdere del tempo per idearne una nuova! Come non avesse già abbastanza da fare!

Termino lo sproloquio e resto in attesa.

Devo dire la verità: vedere Stef suonare coi My Chemical Romance mi ha irritato, ma non tanto quanto sto cercando di dare a bere a Matthew. Ho solo voglia di sentirmi un po’ rassicurato, e questo è uno dei trucchi meschini che utilizzo con gli altri quando sono in queste condizioni: fingo uno stato d’animo che non mi rispecchia per sentirmi dire ciò che voglio.

Matt, dall’altro lato della cornetta, per un po’ non dice niente.

Poi respira faticosamente e sbotta un “mh” che non capisco se prendere come un incitamento a proseguire o chissà che altro.

Proseguo.

- No, davvero. – insisto, - Con Gerard mi sono scusato e tutto, ma non capisco per quale motivo debbano stare così appiccicati! Non è per gelosia… - mi fermo, ridacchio, - Ok, non solo; è anche per rispetto nei confronti dello stesso Gerard! A lui Stefan piace sul serio. Alla fine Stefan lo pianterà in asso come niente e lui ci resterà male. Come fa Stef a non capirlo?!

Mi interrompo di nuovo ed aspetto.

Matt respira ancora, sempre più faticosamente.

- Matthew? – lo chiamo, preoccupato, - Ma stai bene?

Lui si prende ancora del tempo.

Odio quando lo fa.

Significa che vorrebbe dirmi delle cose che mi irriterebbero, e sta cercando di trovare un modo per addolcire la pillola prima di ficcarmela in gola.

- Dovresti… smetterla di parlarne. – mi dice seccamente dopo un po’.

- Mi lamento quanto mi pare e piace. – sbotto con tono falsamente irritato.

- No, dovresti smetterla di parlarne e basta. – afferma lui, più duramente.

I respiri riprendono, aritmici e spossati come se dovesse tirarseli fuori dal petto per forza.

Realizzo d’improvviso che Matthew è nervoso.

- Matthew, guarda che scherzavo… - preciso, un po’ incerto, sperando di interrompere l’apertura del baratro enorme che mi si sta formando sotto i piedi.

- Certo. – borbotta lui, sospirando pesantemente, - Scherzavi. Ma è più di una settimana che ti sento parlare solo di questa storia. Mi dà fastidio.

- Ma Matthew- - provo ad interloquire, roteando gli occhi.

- No! – urla lui, zittendomi. – No. – ripete più a bassa voce, cercando di farmi capire che è davvero al limite della sopportazione e non mi conviene spingerlo ancora, - Come diavolo fai a non capire?! Posso sentirti solo per telefono e solo due o tre volte al giorno, altrimenti sia i miei che i tuoi compagni di band desidereranno la mia testa su un piatto d’argento, e quando finalmente riusciamo a parlare l’unico argomento di conversazione che tiri fuori qual è? Stefan. Stai cercando di dirmi qualcosa, Brian?

Il suo tono, insinuante, affatto educato, direi addirittura irrispettoso, mi manda su tutte le furie.

- Adesso calmati. – intimo freddamente, - Non dire cazzate.

- Dovrei continuare ad ascoltarti mentre mi sputi in faccia quanto sei geloso del tuo ex, Brian?

Annaspo.

È un colpo basso.

Aveva tutte le armi per farmi una cosa simile. Gliele ho fornite io, quando gli ho raccontato tutto del mio passato, senza omettere neanche un particolare perché pensavo che non avrebbe mai potuto utilizzarli a proprio vantaggio contro di me.

Ma evidentemente mi sbagliavo.

- Come ti permetti? Bastardo! – urlo nel telefono, e Dio sa se vorrei averlo davanti agli occhi per prenderlo a pugni.

- Certo, Brian! – strilla lui a propria volta, con una risata sprezzante, - Urla! Offendimi! Avanti, fai come fai sempre quando sai di avere torto! Forza!

- Matthew, piantala immediatamente se non vuoi che questa conversazione si trasformi nella nostra ultima conversazione. – minaccio a bassa voce, sperando che ubbidisca.

- Per quello che t’importa, Brian, - bisbiglia, ed io tremo perché mi sembra di stare parlando con la copia isterica e confusa di me stesso, - credo che sarà comunque una conversazione di troppo.

Chiude il telefono.

Lo fa per primo ed è la prima volta che litighiamo in una situazione simile.

Il mio braccio perde forza, non riesce più a reggersi e si schianta esanime contro il materasso della cuccetta. La presa delle dita si affloscia, e il cellulare rotola fra le lenzuola fermandosi su uno sbuffo di tessuto, mentre lo schermo va in risparmio energetico e diventa grigio. Lo osservo ancora un po’, aspettando che perda del tutto i colori e si spenga.

Più di ogni cosa mi fa male non sapere cosa diavolo sia successo.

Io e Matthew abbiamo litigato e non saprò mai il perché. Sì, perché il motivo non era la mia gelosia nei confronti di Stefan, e non è neanche il fatto che siamo lontani e ci sentiamo poco. Queste sono solo le aggravanti del caso. C’era un motivo, dietro al nervosismo di Matthew. E potrebbe essere stata qualsiasi cosa. Uno scazzo con Dom, una performance o un’intervista andati male, magari una delle sue chitarre s’è rovinata o ha perso qualcosa di importante in casa.

Un tassello della sua vita s’è staccato dal quadro generale ed è scivolato sul pavimento. E dopo s’è perduto.

Lui quel tassello lo conosceva, perché l’aveva vissuto, e perderlo l’aveva irritato.

Io non ero lì. E non l’ho ascoltato abbastanza.

E quel tassello non lo conoscerò mai.

Chiudo gli occhi e respiro profondamente per qualche minuto. Cerco il cellulare a tentoni e quando lo trovo lo afferro e lo riporto con un gesto lento e stanco sul comodino. Sollevo le palpebre ed osservo la lucetta che indica che è acceso lampeggiare frenetica per qualche secondo, prima di tornare nel buio.

Mi appisolo senza rendermi conto dei minuti che passano nell’attesa del sonno.

So che quando mi sveglierò starò ancora male. Perciò spero di svegliarmi il più tardi possibile.


***


Ovviamente non succede.

Non succede quasi mai nulla di quello che voglio davvero.

Succedono solo le cose che ho perseguito con coscienza e volontà. Ostinatamente.

È per questo che ciò che sono è diventato sempre più uno specchio di una realtà distorta. Freddo, caparbio, falso e duro.

Strappare alla vita le poche certezze che è disposta a concederti non è piacevole. Non è bello. E non ti rende una persona migliore.

Io non faccio eccezione.

Apro gli occhi con una consapevolezza nuova che mi è strisciata addosso di soppiatto. Mi si è infilata in testa, risalendo lungo la spina dorsale, e mi è parso quasi di avvertirla mentre mi camminava addosso, sotto pelle, seguendo la linea dei nervi.

Quella consapevolezza si chiama bisogno.

Ed insieme si chiama abbandono.

Le ho sperimentate entrambe. Allora ero un ragazzino e, come qualunque altro ragazzino, ci sono finito dentro fino al collo. So come finisce. A leccarti le ferite per un tempo variabile, tendenzialmente lungo, nel quale comunque non hai diritto di soffrire, perché la sofferenza è un lusso che è concesso davvero a poche persone al mondo.

A me non è concesso. Ora meno di ieri.

Dunque, la consapevolezza di un bisogno legato a Matt e della sensazione fisica connessa al suo abbandono sono qualcosa che non posso permettermi.

Questa consapevolezza sveglia la parte di me che ha imparato ad essere uno specchio e lei, quella parte, decide che è arrivato il momento di agire.

Mi tiro in piedi, lancio uno sguardo distratto al telefono e lo vedo ancora quieto e silenzioso sul ripiano. Il led lampeggiante mi dice che è rimasto nella stessa silenziosa immobilità da quando l’ho posato lì.

Lo ignoro.

Sistemo la camicia in pochi gesti impersonali e già mi sto muovendo verso l’uscita del bus.

Da fuori arrivano i rumori di una festa. Si avvicina la fine del festival, è arrivato il momento di divertirsi e lasciarsi andare, allentare un po’ la tensione accumulata con la concentrazione di questo mese.

Penso vagamente che tra pochissimi giorni sarò a casa. Il mio stomaco mi dice che ho perso il motivo per tornarci solo pochi minuti fa. La mia testa lo ignora e mi indica le luci in lontananza, da dove proviene tutta la confusione.

Quando arrivo, stanno organizzando un paio di gruppi per andare in città. Mi viene incontro Chester, riconoscendomi da lontano; ha un sorriso gigantesco, perfino più grande di quello del mattino, l’adrenalina del palco lo ha reso euforico ed io mi concedo un sorrisetto sarcastico, pensando tra me e me che è solo un ragazzino.

Lo specchio che sono diventato ha superato l’euforia delle esibizioni da un pezzo. Sa riprodurla quando serve. E sa mentire quando gli viene chiesto.

Quindi Chester non si accorge di nulla nell’avvicinarmisi felice.

-Brian, vieni con noi?- mi chiede rapido, indicando un paio dei propri compagni di band e qualche altro tizio a caso che si stanno già infilando nelle auto parcheggiate in fondo al piazzale.- Andiamo a bere qualcosa.

A giudicare dalle facce di tutti – compresa la sua – hanno già iniziato a bere qualcosa mentre erano qui. Ed il qualcosa sta facendo anche effetto.

Penso che dovrei tornare indietro, prendere il cellulare, chiamare Matthew e scusarmi.

Ma è sempre il mio stomaco a pensarlo.

La testa gli ricorda pacatamente che Matthew non sarà in eterno lì dov’è.

E quindi perché ostinarsi a credere il contrario?

-Sì, perché no?- mi stringo nelle spalle.

Il sorriso di Chester diventa ancora più luminoso. Ne sono compiaciuto. Lo ammetto.

È troppo tempo che non mi godo la sana adorazione degli altri.

Troppo distratto per accorgermi che il mondo intorno a me mi regala ancora le solite, abitudinarie certezze di sempre.


***


Ho bevuto. E tanto.

Mi sento terribilmente confuso.

Ad inizio serata ho chiesto a Chester se sapeva dove fosse Stefan. Credo mi abbia risposto che lui ed i MyChem mi avevano cercato e poi erano usciti in città anche loro.

Lo credo solo. Ma più che altro perché ricordo di aver provato una certa irritazione. Magari avrei potuto parlare con lui, Stefan ha il dono di ridimensionare le cose. Io ho solo quello di capire quando è il momento di ridimensionarle.

Chiaramente la serata aveva deciso di prendere una piega diversa.

Osservo distrattamente la confusione terribile del locale. Quasi tutti quelli con cui siamo arrivati si sono trovati di meglio da fare che restare seduti al tavolo. Mi chiedo perché Chester non rimorchi qualcuno e si levi dalle palle anche lui. Ma non sembra intenzionato a farlo e continua a sciorinare stronzate al mio orecchio, mentre io evito di ascoltarlo e continuo ad ordinare da bere.

Mi ricordo che Matt ha sempre detto di amare la mia voce.

È stato uno dei suoi complimenti preferiti per un tempo terribilmente lungo.

In realtà lui non lo recepiva nemmeno come un complimento: quando mi diceva che gli piaceva la mia voce intendeva dire che avrebbe potuto restare per ore ad ascoltarmi cantare senza avere il coraggio di respirare troppo forte per paura di rovinare qualcosa.

Il fatto che dietro al suo concetto di “amore” per la mia voce ci fosse questo, dal canto mio, mi ha sempre messo in soggezione.

Non è facile essere amati da qualcuno che si stima. Ci si sente in difetto comunque, non all’altezza, e si tende a vedere nelle attestazioni dell’altro dei contentini al nostro orgoglio già ferito o, come nel caso di Matt, quando è impossibile pensare che siano menzogne, degli impegni pesanti da rispettare per non deludere l’oggetto della nostra ammirazione.

È molto più facile avere relazioni che non implichino la superiorità di nessuno dei due.

O, in alternativa, relazioni in cui si sia il soggetto più forte fin dall’inizio e si permanga in tale condizione fino alla fine.

La fine inevitabilmente arriva. Oscilla su un bordo, guarda giù e ci cade.

Sprofonda. In un mare liquido e torbido che è il pozzo senza fondo dell’animo umano. Un incidente di percorso.

Ma in fondo qualsiasi vicenda umana è classificabile come incidente di percorso, no?

Vorrei che questo incidente non fosse mai accaduto. Matt è qualcosa di troppo, qualcosa da cui rischio seriamente di non riprendermi come vorrei. Non posso permettermelo.

Così quando inizio a ricordare che lui mi ha sempre detto di amare la mia voce, ricordo anche che una delle volte in cui me lo ha detto eravamo a letto. Avevamo fatto sesso e, come nelle peggiori tradizioni, io avevo deciso di fumare. Sono impulsi che vengono in automatico, a distanza di anni non ci fai nemmeno caso più di tanto, così mi ero messo seduto tra le coperte ed avevo allungato una mano al comodino, scavando nel cassetto alla ricerca di accendino e pacchetto.

Matt mi aveva fissato in silenzio per un po’. Aveva tirato su la testa dal cuscino e si era appoggiato con il mento alla mano, scrutandomi da sotto in su mentre io mi appoggiavo all’indietro contro la testiera del letto.

-Brian.- mi chiamò dopo un po’. Solo allora mi accorsi di avere quegli occhi azzurri puntati addosso e lo fissai interrogativo.- Sai che hai un voce bellissima?- mi chiese.

Ricordo che arrossii in modo automatico, senza riuscire a rendermene nemmeno conto. Ringraziai la penombra per offrirmi un riparo molto più sicuro del mio autocontrollo.

-Grazie.- dissi quietamente, certo che lui non volesse affatto un ringraziamento e che quello fosse solo l’esordio di un discorso più lungo.

Ed infatti lo era.

-Sul serio. È incredibile come una voce come la tua possa risultare semplicemente ipnotica per chi la ascolta.- riprese come se io non avessi nemmeno aperto bocca. Si sistemò meglio, girandosi su un fianco e continuando a gettarmi occhiate trasversali mentre parlava.- Le voci molto nasali non sono piacevoli di solito. Ma tu non hai semplicemente un timbro meraviglioso, riesci anche a dare alla tua voce l’esatta vibrazione che serve per farla scivolare sottopelle a chi ascolta.

Capii che un mio intervento ulteriore, per arginare il flusso assolutamente inopportuno di complimenti che mi stava riversando addosso, sarebbe stato inutile. Nervosamente terminai la sigaretta e la schiacciai malamente sul fondo del pacchetto vuoto.

Matt continuò ignorando la secca stizza dei miei gesti.

-Ed è per questo che non riesco a fare eccezione. Finisco anch’io per rimanere stregato da te e per essere perdutamente innamorato della tua voce.

Quest’ultima frase la buttò lì come un regalo. Non mi guardava, e non era nemmeno veramente diretta a me. Erano i suoi pensieri che venivano fuori ed andavano a sistemarsi da qualche parte nello spazio che lo circondava.

Rimase in silenzio per un po’ ancora ed io pensai che avesse finito per infilarsi in uno di quei suoi contorti ragionamenti, che lo portavano ad estraniarsi completamente dalla realtà. Sospirai e mi stiracchiai, pensando di rimettermi giù e vedere di racimolare qualche ora di sonno.

Stavo ancora sprimacciando il materasso per cercare di trovarvi una sistemazione comoda, prima di ributtarmi steso, quando Matt riprese a parlare. Voltandosi di scatto verso di me e piantandomi gli occhi in viso a distanza ora ravvicinata.

-Brian, tu mi ami?- mi domandò a bruciapelo.

Rimasi interdetto, sostenendomi con le braccia per non cadere di botto sul materasso, sgranai gli occhi e lo guardai.

-…s…sì…- balbettai a mezzo fiato.

-E ti fidi di me?- aggiunse lui senza battere ciglio.

Tirai un respiro forzato. Le braccia cedettero nonostante tutto ed io ricaddi sul cuscino, con lui che si spostò proprio sopra di me, per continuare a fissarmi.

-Matt, che cavolo ti prende?- protestai.

-Smetti di fumare.- mi chiese lui.

Me lo chiese seriamente. Con molta calma e guardandomi senza ombra di ripensamento in viso. Non era un ordine, ma non era nemmeno una domanda, era una richiesta ben precisa, che implicava quel sottile ricatto morale comune alle coppie che si amano. Un modo come un altro di dire “fallo per me”.

Mi sentii stretto come da un nodo, mi serrò la gola e mi fece mancare il fiato. Matt aspettava una mia risposta?

-Pensaci su.- aggiunse alla fine, davanti al mio silenzio. Si strinse nelle spalle come per indicare che non aveva tanta importanza. Ma io sapevo che ne aveva e molta. Mi baciò, piegandosi ad annullare la distanza brevissima che ci separava.- Io ti amo.- disse poi.


***


Non gli ho mai dato una risposta.

Ma non ho più toccato una sigaretta da quella notte.

Per questo ora mi allungo verso Chester e lo vedo smettere istintivamente di cianciare per irrigidirsi e fissarmi attento e sorpreso. So che siamo troppo vicini, e so che questa cosa lo sta innervosendo. Ha ragione. Ma non m’interessa, non è un mio problema.

-Chester, hai una sigaretta?- chiedo spiccio, acquattandomi davanti a lui sul divanetto ed osservandolo mentre segue stregato il movimento delle mie labbra nel formulare quella domanda.

Socchiudo gli occhi.

Chester prova un certo interesse per me, registro pianamente.

Intanto lui deglutisce e scuote la testa.

-N…non fumo.- ammette strozzato.

Sbuffo, tirandomi indietro e distogliendo lo sguardo nello stesso momento.

Chester si sente subito meglio, ma a quel punto subentra un isterico desiderio di assecondarmi. Le persone sono così prevedibili…

Gli getto un’occhiata di traverso e lo vedo affaccendarsi a cercare qualcosa nel giubbotto di uno dei suoi amici. Mi porge sigarette ed accendino e, quando lo guardo inarcando un sopracciglio, lui si stringe nelle spalle.

-A Mike non darà fastidio.- assicura.

Scrollo le spalle anch’io.

-Se lo dici tu.- ribatto atono, sfilando una sigaretta dal pacchetto che regge per me.

Quando vedo le sue dita tremare leggermente capisco che l’interesse di cui parlavo prima è molto più intenso di quello che credessi. Presumibilmente complice qualche birra di troppo.

Sorrido.

Penso che non ho nemmeno un motivo valido per non approfittarne.

Matthew appare sul fondo della mia mente e viene cacciato via quasi nello stesso momento. So quanto sarà difficile riprendersi. E so quanto più facile diventerà se semplicemente me ne dimentico.

Di lui.

Di me.

Di noi due.

…soprattutto di me.

Non prendo l’accendino che Chester regge sopra il pacchetto. Poso la sigaretta tra le labbra ed alzo il viso, aspettando.

E nel farlo lo fisso dritto negli occhi, solo per vederlo diventare pallido e tentare di respirare.

Per poco il cilindro di plastica colorata non gli casca dalle mani, nel tentativo di sfilarlo da sopra il pacchetto ed accendere una sottile fiammella che si alza davanti al mio volto.

-Grazie.- sussurro quieto, piegandomi appena per avvicinare la sigaretta alla fiamma.

Mi tiro dritto, lasciandolo libero mentre chiudo lo sguardo ed assaporo il tabacco, sbuffando la prima nuvola odorosa.

Avevo quasi dimenticato il piacere che si prova nel nascondersi dietro i gesti consueti di una sigaretta. La incastro tra le dita, facendo scivolare via la mano dal viso con grazia, appoggio il gomito allo schienale del divanetto e torno a guardare Chester.

Lui non mi ha staccato gli occhi di dosso. Ma questo già lo sapevo. So esattamente quando la gente mi sta guardando, perché sono io a fare in modo che lo facciano. Non ci sono gesti casuali nel mio modo di attirare l’attenzione altrui.

-C’è qualcosa che non va, Chester?- domando suadente, sorridendo cattivo.

Gioco con le unghie attorno alla sigaretta, lui osserva per un attimo quel movimento poi si volta quasi di scatto, manifestando con facilità il nervosismo che lo agita.

-No.- risponde in un gemito strangolato.

Ridacchio. Mi sembra quasi di percepire i brividi che gli suscita quel suono insinuante. Scrollo la cenere sul bordo del mio ultimo bicchiere, lasciandolo andare ancora per qualche minuto.

È come pescare, Chester.

Tu sei un piccolo pescetto ingenuo. E ci sei cascato. Io ti do lenza e poi ti riprendo quando credi di essere ormai in salvo.

…come ora.

Rialzo il viso che sono praticamente ad un respiro da lui. Non è stato difficile.

Quando incrocio il suo sguardo, capisco che non si è nemmeno accorto del mio lento avvicinarmi a lui, era talmente affascinato dal movimento delle stesse labbra che ora fissa avidamente…

-Non dovresti mentirmi.- mormoro. Il mio fiato investe il suo viso, il suo il mio. Sentiamo entrambi odore di alcol, ma è eccitante, lo ammetto.- Non sono molto tollerante con chi cerca di prendermi in giro.

-…non volevo prenderti in giro.- risponde stupidamente lui.

Sorrido ancora.

-E cosa volevi?- chiedo.

Lui non risponde subito. Non mi mentirà stavolta, lo so. Ma voglio vedere se avrà il coraggio di chiedere.

Ed ovviamente non lo ha.

La sua bocca mi si incolla addosso, forza la mia. Mi spinge contro il divano, salendomi addosso ed allargando le mani a catturare i miei fianchi. È un comportamento tanto assurdamente inaspettato per quello che credevo essere un tipino ingenuo e timido, che rimango un secondo sorpreso e non oppongo nessuna resistenza, mentre sento le sue dita infilarsi risolutamente sotto la camicia.

Beh, non posso dire che mi spiaccia. È decisamente troppo tempo che non faccio sesso, decisamente troppo tempo che non mi concedo sfizi da una notte, e Chester promette di rivelarsi un’interessante scoperta.

Così, invece di respingerlo, lo assecondo. Circondo il suo collo con le braccia, attirandolo ancora di più contro di me, lui sussulta e geme tra le mie labbra, approfondendo il bacio che ora io ricambio. Attraverso i pantaloni avverto la sua eccitazione, faccio scivolare una mano verso il basso tra i nostri corpi e lo sfioro da sopra i vestiti, sentendolo rabbrividire e schiacciarmisi contro in cerca di un contatto maggiore.

-Brian…- mugola al mio orecchio, in una specie di preghiera.

Era tanto che non mi godevo un po’ di sana adorazione senza remore. Questo stesso bisogno spasmodico che mi viene riversato addosso in modo adorante e cieco, privo di controllo.

Penso che è esattamente quello di cui ho bisogno. Che Chester mi tratti con la riverenza che si riserva alle divinità per una notte e che io, domattina, mi dimentichi di lui, alzandomi dal suo letto per non tornarci mai più.

Non voglio essere legato a nessuno.

Non voglio avere paura di nulla.

Non voglio dover perdere nessuno.

Voglio solo questo. La sensazione di altre labbra che divorano le mie, con bramosia e quasi senza rispetto. La percezione di mani che non conosco che mi scavano dentro, che rubano la mia pelle, violando il mio corpo. Il peso di qualcun altro su di me, che mi schiaccia contro il velluto rosso del divano, affondandomi in un odore che non riesco a riconoscere…

Voglio solo questo.

Voglio solo questo.

Voglio…


***


No.

Voglio essere a Londra.

In un appartamento che è piccolissimo, per una persona che potrebbe permettersene uno dieci volte più grande.

E dalla finestra del salottino riesco a vedere fuori quasi tutta la città.

Quando piove diventa tutto grigio, ma dentro non fa mai freddo e non c’è mai umido.

Matt ha il parquet su tutto il pavimento del salotto e della camera da letto, a me piace perché posso girare a piedi nudi per casa e da sotto le tavole di legno viene su un calore confortante.

Lui dice che giro per casa come un gatto. Che sono un abitudinario e che mi impossesso degli spazi. Mi ci avvicino un pezzo alla volta e poi li faccio miei, a quel punto è come se potessi girare per casa anche ad occhi chiusi.

Dice anche che gli piace.

Perché pensa che sarebbe bellissimo se io diventassi una parte della sua casa e non ne uscissi più.

Quindi, no.

Non voglio questo.

Voglio qualcosa che ho perso solo pochissime ore fa.

Ed è ancora ad un passo da me.

Lo sento.

Se allungo le dita, lo sfioro.

E non ho intenzione di lasciarlo andare via.


***


Lo spingo via. Chester ci resta male, mi fissa ad occhi sgranati, io non ho tempo per dargli le spiegazioni che mi chiede.

Afferro il giaccone che ho lasciato sulla sedia accanto a me, mi disincastro da dietro il tavolo ed esco di corsa.

Non so come faccio a trovare un taxi a quell’ora assurda di notte. Per giunta, non ricordo nemmeno come arrivare alla location del festival. In qualche modo, comunque, riesco a dirgli come portarmi indietro. Arranco lungo i gradini del tour bus senza neppure accorgermi davvero che è ancora vuoto e spento, il cellulare è dove l’ho lasciato ed io lo afferro al volo e faccio al contrario la stessa strada.

E poi mi butto per terra dietro i generatori di elettricità del bus.

Tiro indietro i capelli, apro il display e chiamo.

Matthew risponde subito.

Ed io capisco dalla sua voce che stava aspettando che lo chiamassi. Perché non è più nervoso, ma solo ansioso ed angosciato, e quando mi chiama per nome è come se prendesse fiato dopo un’apnea di ore.

-Brian?!- mi chiama strozzato.

Vorrei rispondergli.

Mi ero fatto tutto un discorso terribilmente logico, che valesse a giustificare ogni cosa, ogni singola stronzata che ho fatto da quando l’ho chiamato stasera ad ora…Era un discorso molto convincente…

-…sono uno stronzo…- dico soltanto.

Mi accorgo da me che sto piangendo. Ne sono quasi sorpreso, sciolgo le dita dai capelli e le abbasso a sfiorare le guance.

Matt respira a fondo.

-No, Brian, non…

Non lo faccio finire. Se comincia a parlare lui, io non dirò più nulla e non è quello che voglio.

Ricaccio giù le lacrime e lo interrompo.

-No, Matt, ascolta!- protesto veemente.- Tu…- esito, prendo fiato a forza, cacciandomi l’aria in gola perché non posso permettermi di farmi soffocare proprio adesso. Dopo magari, ma a Matt devo un minimo di sincerità.- Tu faresti bene a mandarmi al diavolo una volta per tutte.- scandisco con calma, costringendomi a respiri corti e regolari.- Faresti bene a mandarmi a fanculo per poi dimenticarti anche della mia esistenza.- rincaro.- Perché io sono uno stronzo, Matt.- ribadisco subito dopo- E stavo per andare con un altro solo perché…

Oddio. Quanto può essere difficile capire se stessi? Eppure io sono sempre stato bravo nel farlo, ma di solito con gli altri mi difendo.

Di solito non mi butto via come sto per fare.

-…perché se tu mi lasciassi io non riuscirei a dire “non importa”. Ed anche se riuscissi a tirare avanti, sarebbe terribilmente difficile e non so quanto potrebbe fare male. Ma ho paura di farmi male, una paura fottuta. E quindi è più facile fingere che non m’importi e scopare con qualcuno che non m’interessa per dimenticarmi di te, e di noi, e di tutto quello che c’è stato…

Lo dico d’un fiato e non mi fermo fino alla fine.

Non mi fermo nemmeno dopo, vado avanti a sputare fuori tutto, come sto sputando fuori queste dannate lacrime che insistono a non fermarsi e che sicuramente avranno reso il trucco una maschera patetica. Odio rendermi ridicolo.

-Faresti davvero bene a dimenticarti di me, Matthew, perché sono una delle persone peggiori che si possano incontrare sulla Terra. E non ho nemmeno il sacrosanto coraggio di vivere quello che provo, e preferisco mandare a monte ogni cosa che affrontarle e…

A bloccarmi è la consapevolezza che non posso limitarmi a ripetere gli stessi due concetti in milioni di forme diverse.

Mi rendo conto che ho bisogno di respirare, deglutisco e lo faccio.

-Scusami.

Non ci credo nemmeno. Sgrano gli occhi, boccheggiando.

Matt continua come se niente fosse.

Ha il tono serio da grandi occasioni, quello che gli sento davvero di rado ma che suona sempre rassicurante, caldo, avvolgente. Come in questo momento.

-Mi spiace davvero tanto di aver detto quelle sciocchezze prima.- continua lui.- Non volevo ferirti. E nemmeno insinuare che tra te e Stefan ci sia ancora qualcosa. Solo che non stavo bene.

“…Matt…ho detto meno di due minuti fa che stavo per scopare con un altro…”

Lascio cadere all’indietro la testa, urto contro il metallo e mi faccio male, ma non apro bocca. Chiudo invece gli occhi e continuo a piangere.

-Brian,- mi chiama a mezza voce. Non ho la forza di rispondere e spero solo che lui vada avanti da sé.- spero che tu voglia perdonarmi…

Dio, Matt…tu non puoi essere vero.



Note di liz, che non ricordava esattamente se dovesse scrivere per prima o per seconda…

 

Il fatto è che l’ultima volta, causa pigrizia immonda della Nai, ho scritto le note uniche >.< Perciò sono dovuta risalire addirittura all’ottavo capitolo per capire dove dovessi collocarmi. Sfiga vuole che io debba collocarmi per prima, stavolta u.u” Odio parlare per prima, non riesco a manipolarvi come vorrei T_T

Fatto sta! In questo capitolo ho scritto una pagina *_*” A fronte delle dieci totali, un’inezia. Facciamo tutte un applauso alla Nai per essere riuscita a gestire miracolosamente bene un capitolo difficilissimo e sommariamente tragico quale era questo <3

Comunque sia, è stata una sua idea. *si nasconde dietro un dito, perché lei l’ha avallata* Dovreste vederla, ora! È tutta emozionata perché ama fare del male alle fangirl, e sta aspettando di vedere le vostre reazioni disperate a quello che è il dramma sommo di questa storia *_*

Vi preghiamo si sopportare ç_ç Dal prossimo capitolo andrà meglio ç_ç

PS: Per Isult, che si preoccupava dei nostri rapporti coi My Chemical Romance: il numero delle loro canzoni che mi piacciono è salito a due, perciò mi considero ufficialmente perduta XD

 

 

*spazio per le note di Nai – guai a te se non le scrivi >_

 

Note della Nai:

 

ehi! Io godo della sfiga dei pg, non di quella delle fangirl! >_<

E comunque ad ognuno la sua responsabilità! Se tu non avessi messo dentro Gerard Way, io non ci avrei infilato Chester e non avrei dovuto trovargli qualcosa da fare! ù_ù

…ok, non regge, lo so, ma cercate di capirmi: questa storia rischiava di diventare un po’ noiosa… (per lei la noia coincide con l’assenza di tragedie).
 


Vabbè, mi scuso per il ritardo abnorme e spero che questo non vi porti a smettere di volerci bene ç_ç

 

p.s. Stavolta lascio le minacce di Lizzie! Così capite che non è che io sono quella cattiva e lei è dolce e carina come sembra, eh! >_<

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