Fanfiction a cui è ispirata: The Bitter End di Stregatta.
Genere: Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: NC-17
AVVISI: Angst, Slash, Spin-off.
- Passato un anno dal giorno in cui Brian ha deciso di troncare la strana relazione che lo legava a Matthew, la parola a quest'ultimo, per spiegare ragioni e sentimenti. Se di cose simili si può parlare.
Commento dell'autrice: Certo, mi rendo conto che per essere una shot conclusiva di una saga è abbastanza frustrante XD Ma quei due sono due stronzi: vi pareva che potessero darci una qualche minima soddisfazione? XD Per quanto mi riguarda, in The Bitter End, Stregatta è stata fin troppo buona! è_e
Il mio motto, mentre scrivevo questa fic, è stato: se dobbiamo essere cattivi, siamolo almeno fino in fondo e appassionatamente. Solo che, seguendo alla lettera questo principio, purtroppo è venuta fuori una roba vagamente incompleta, crudele, esibita, fine a sé stessa e anche vagamente compiaciuta °_° A parte lo stile usato per la narrazione, per il resto, infatti, è molto diversa da The Great Pretender. In un certo senso, naturalmente, doveva essere così. Perché Brian e Matthew, pur essendo due uomini piuttosto incattiviti, sono comunque fondamentalmente diversi. Non potevo ignorare quella nota di crudeltà gratuita cui sia Stregatta che io avevamo accennato nelle altre storie *-* Andava approfondita è_é Matthew ne viene fuori comunque maluccio, ma ehi, almeno ha spiegato le proprie ragioni >____ Grazie per aver seguito fino a qui *-* E… se volete dare un ulteriore seguito alla saga dei bastardi… siete le benvenute X’D *tifa per una neverending story*
Per il titolo si ringrazia l’omonima canzone degli X-Japan <3 fedeli compagni di tante avventure fanficcose *-* Che poi è anche bellissima. E contiene una delle linee di piano più belle che siano mai state composte… <3
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UNFINISHED

Da quando hai tradito Gaia la prima volta, a Dominic non hai più raccontato niente delle tue cosiddette “avventure”. Non l’hai più fatto perché l’occhiata che ti ha lanciato quell’unica volta ti è bastata per capire cosa stesse pensando di te e del tuo modo di agire. Lui ha sorriso, è stato comprensivo, mentre raccontavi ti ha dato perfino ragione. Ma tu lo conosci da una vita e sai che, nonostante ti sia rimasto accanto, in realtà per te ha provato solo una considerevole dose di indignazione e disgusto.
Perciò, di tutte le decine di persone senza faccia che si sono susseguite nel corso dei tuoi sette anni con Gaia, nonché di tutti gli altri che poi ne hanno preso il posto negli ultimi due anni senza di lei, Dominic non sa nulla. Nomi, circostanze, nottate spese da te o da loro. Niente di niente. Persi nella polvere.
Chiaramente, non sa nulla neanche di Brian. Non ne sa nulla perché quando l’hai avuto la prima volta stavi ancora con Gaia, e non ne sa nulla perché quando avete cominciato la vostra strana relazione, dopo che Gaia era sparita, a te aveva fatto più comodo tacere.
Se non altro perché ti sarebbe dispiaciuto osservare riflessa negli occhi di Dom di nuovo quella sfumatura di irritazione manifesta eppure arginata entro i confini di un affetto che, lo sai, neppure le peggiori nefandezze potrebbero estinguere.
È lo svantaggio di conoscersi da tanto tempo, dell’essere importanti l’uno per l’altro come fratelli se non di più: se pure non riesci a condividere le scelte dell’altro, ciò che condividi, che non puoi fare a meno di condividere, è l’altro stesso. La sua persona.
Date le circostanze, dunque, non ti stupisce che adesso Dominic ti fissi perplesso dall’altro lato del tavolino del pub in cui state bevendo birra da una mezz’oretta.
- ‘Cazzo t’è preso? – borbotta, battendo lievemente il boccale sul ripiano in legno per attirare la tua attenzione.
Tu stacchi gli occhi dal corpo di Brian e lo guardi.
- Niente. – affermi, scrollando le spalle. – Perché?
- Fa’ un po’ tu, ti sei ipnotizzato a fissare il vuoto.
Gli occhi di Dominic, probabilmente neanche l’hanno registrata, la sua presenza. Non l’hanno registrata perché Brian Molko per Dominic Howard ha la valenza di un complemento d’arredo. C’è, ma non sembrerebbe strano se non ci fosse. C’è, ma non è necessario pensarci su. C’è, ma non è importante notarlo.
Non è strano incontrarlo, perché in fondo siete a Londra, in un pub molto frequentato da quelli come voi, e quindi non è affatto inspiegabile la sua presenza nel fondo del locale, mentre sorseggia un drink e fuma distrattamente una sigaretta, passandosi stancamente una mano sulla fronte mentre il suo batterista cerca di parlargli e gli gesticola davanti come un bambino in cerca d’attenzione.
Dominic non lo sa – e se lo sapesse probabilmente metterebbe da parte la facciata da connivente, più che da amico, che mostra con te da quando ha scoperto che sei un bastardo traditore, e ti costringerebbe a uscire da questo locale strisciando – ma tu con quell’uomo hai un conto in sospeso. Perché tu con quell’uomo ci sei stato. E alla fine sei stato mollato.
Oh, non che tu l’abbia messa in questi termini, nel periodo in cui vi frequentavate, certo che no. La versione ufficiale, quella in cui credevi – quella che, in fondo, rispecchiava la più nuda verità dei fatti – era che vi scopavate a vicenda perché ogni volta che vi trovavate vicini o che i vostri sguardi si incrociavano vi eccitavate in maniera veramente indecorosa. Ma poi ci hai riflettuto, e hai anche capito che “la nuda verità dei fatti” non è che una semplificazione degli stessi. E le semplificazioni, lo sai, sono stratagemmi sciocchi che gli esseri umani utilizzano per rendere più accessibili cose che, se viste nella loro più vasta e sensata complessità, non vorrebbero vedere neanche da lontano.
La tua relazione con Brian Molko era quel tipo di cosa. Una cosa che non avresti voluto vedere neanche da lontano, se l’avessi presa per l’enorme garbuglio che effettivamente era. Un rapporto patologicamente ossessivo in cui l’ostinazione spesso prendeva il posto del vero desiderio. Un rapporto in cui era più importante soggiogare l’altro fra le lenzuola che non godere del piacere che riusciva a darti. Un rapporto in cui contavano di più le ferite che riuscivate a scoccarvi con le chiacchiere fra una scopata e l’altra, che non le scopate stesse.
Era molto più comodo che Brian restasse “quello con cui scopavi”.
In realtà era quello con cui stavi.
Che la vostra relazione fosse malata o meno, sempre di relazione si trattava.
È comodo prendere la verità per sommi capi, senza approfondirla. Tu l’hai tenuta per gli angoli, come un lenzuolo sporco, per tutto l’anno in cui vi siete frequentati. Poi lui s’è reso conto dello schifo in cui vi trovavate prima di te, e ti ha lasciato.
La bruciatura non t’è mai passata. Ecco perché adesso lo guardi e ti sembra che potresti sbranarlo con gli occhi.
Ma Dominic non lo sa, perciò chiede.
E tu non vuoi dire cosa c’è sotto, perciò assecondi un pettegolezzo.
- Hai visto chi c’è? – domandi piatto, indicando Brian con un cenno del capo.
Dom mugugna un’inarticolata richiesta di spiegazioni e si volta nella sua direzione, allungando il collo per adocchiarlo meglio.
- Ha! – sbotta poi, mentre gli occhi gli s’illuminano di una strana luce infastidita, - Toh! La merda!
Dominic non è uno che serbi rancore a lungo. Ma per Brian ha sempre fatto un’eccezione. Forse perché ha sempre trovato indecente che uno come lui, facendo quello che fa lui, potesse azzardarsi a mettere bocca sulla musica che fate voi. E che rappresenta indiscutibilmente la cosa più importante che esista per Dom.
Ghigni divertito e ti stringi nelle spalle.
- Inaspettato, vero? – borbotti ironico.
- Vuoi andare via? – ti chiede lui, inarcando le sopracciglia.
Già. Perché in teoria tu dovresti voler stare a chilometri da Brian Molko.
Sì, anche se in pratica in realtà vorresti chiuderti con lui nella prima camera da letto disponibile.
- Nah. – scuoti il capo, - È arrivato il momento di regolare i conti.
Ti alzi in piedi, e Dom solleva il boccale nella tua direzione, facendoti i propri auguri.
- Cerca almeno di non farti pestare. – rimbrotta, affondando il naso nella birra, - Sarà pure più basso di te, ma in confronto a lui tu sei un fuscello.
Ridacchi e continui a dirigerti con naturalezza verso il suo tavolo.
A un paio di metri di distanza lo senti sbottare isterico che, di ciò che il suo batterista cerca di spiegargli da almeno mezz’ora, non gli frega un cazzo.
I lineamenti del suo volto sono tesi, gli occhi sono arrossati dal fumo e lui è così irritato che sembra lanciare scariche elettriche nell’aria intorno a sé. Potrebbe fulminare qualcuno. E tu lo conosci poco ma hai come l’impressione che la persona che vorrebbe fulminare si trovi proprio lì davanti a lui.
Batti un colpetto sulla sua spalla e lui si volta a guardarti repentinamente, mentre anche gli occhi del batterista si posano su di te in un misto di stupore e incredulità.
Gli occhi di Brian invece dipingono tutt’altro quadro. Un quadro di paura e smarrimento. Il quadro esatto di chi avrebbe potuto pensare a tutto meno che a quella eventualità. Il quadro esatto di chi, nel momento in cui l’eventualità diventa realtà, si dà dell’idiota: perché avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto evitarlo e non c’è riuscito. Peggio, non ci ha proprio neanche provato.
- Hai due minuti? – gli chiedi gentilmente, indicando la porta del locale con un pollice.
È evidente lui non sappia cosa fare. È evidente lui si alzi in piedi solo perché sospinto da una strana curiosità che è poi esattamente lo stesso motivo per cui ti segue fuori dal pub senza spiccicare una parola.
- È passata un’eternità. – constati con un breve sorriso mentre passeggiate fianco a fianco sul marciapiedi, le mani ficcate a fondo nelle tasche dei cappotti e il mento affondato nelle sciarpe. Siete vestiti praticamente allo stesso modo, lui in bianco, tu in nero. Trovi questa coincidenza semplicemente stupenda, anche se non sapresti spiegarne i motivi.
- Non abbastanza, per quanto mi riguarda. – sibila Brian, astioso, scoccandoti un’occhiata glaciale almeno quanto il vento che vi sferza contrario per la strada.
- Come sei cordiale. – commenti sarcastico, - Sai, quasi la dimenticavo, la tua proverbiale gentilezza.
Brian sospira, socchiudendo gli occhi e fermandosi all’improvviso in mezzo al marciapiedi.
Per la strada ci siete praticamente solo voi. Voi e le rare macchine che macinano lentamente centimetri su centimetri d’asfalto, guidate da automobilisti terrorizzati dalla possibilità di incontrare ghiaccio mortale sotto le ruote.
Ti fermi al suo fianco e lo guardi.
- È stata una giornata di merda, Bellamy. – sbotta lui, infastidito, - Quindi, se hai veramente qualcosa da dire, parla. Altrimenti, la strada per andare a fanculo la conosci.
Decidi senza troppi pensieri di ignorare quella che, in fondo, non è che una richiesta di pietà, e sfoggi un sorrisetto furbo.
- Mi ci hai mandato tante di quelle volte che ormai la sento un po’ come l’unica via possibile, con te! – ridacchi divertito.
Lui ti guarda per qualche secondo, come chiedendosi se tu stia facendo sul serio. Poi qualcosa nei suoi occhi cambia. Probabilmente realizza che sei effettivamente stronzo come ricordava, e abbassa lo sguardo, rassegnato.
- Cos’è che vuoi? – chiede, riprendendo a camminare.
- Volevo solo sapere come ti andava la vita. Lavoro, amici, amore…
- Tutto perfetto, grazie mille.
- Mi fa piacere. – sorridi sereno, - So che adesso stai con Helena Berg, e che è anche in dolce attesa…
- Ci siamo lasciati. E la gravidanza è stata una montatura dei giornali. – ti solleva addosso uno sguardo brillante e un ghigno sicuro, tale e quale a quelli che sfoggiava spesso con te quando vi vedevate. Ti fa piacere rivederlo così, è un po’ come ritrovare un pezzo di passato perduto, - Ti pare che se stessi ancora incatenato e con un moccioso in arrivo potrei dirti che è tutto perfetto?
Scoppi a ridere. Non vorresti ma lo fai comunque, e devi quasi tenerti lo stomaco per il gran divertimento.
- Adesso sì che sono sicuro che stai bene! – commenti, piacevolmente sorpreso, mentre anche Brian si lascia andare ad un sorriso vagamente sincero e tu capisci che queste battutine, queste beccate provocatorie, questo innocuo gioco al massacro senza regole che avevate messo su due anni prima, ti era un po’ mancato. E probabilmente anche a lui.
- Dovresti trattare meglio il tuo batterista, comunque. – consigli con aria disinteressata, imboccando una strada secondaria nel momento in cui vedi il marciapiedi riempirsi di gente, - Se continui a ignorarlo come hai fatto poco fa, finirà che ti mollerà come il primo.
Brian si lascia andare ad un sorriso storto e inquietante, sbuffando una mezza risata.
- Il primo batterista l’ho buttato fuori io. – precisa con presunzione, lanciandoti l’ennesima occhiataccia della serata, - Comunque mi fa piacere notare che non hai perso l’abitudine al giudizio facile.
- Parli proprio tu! – protesti divertito, - Non hai fatto che sparare sentenze su di me dalla prima volta che mi hai visto! Anzi, in realtà già da prima…
- Ma avevo ragione su tutto.
- Sicuro?
- Certo. Io ho sempre ragione.
- Ah-ha. – annuisci, - E dimmi, quando mi hai mollato… avevi ragione anche allora?
Lui ti guarda, e per un solo secondo riesci a scorgere nel fondo delle sue pupille una nota di panico che proprio ti mancava, nell’enorme campionario di occhiate di Brian che hai custodito gelosamente in un baule nel fondo della memoria nel corso degli ultimi dodici mesi.
Realizzi: lui non ci ha riflettuto, su quello che siete stati. Lui ha continuato a trincerarsi dietro la verità più facile.
- Siamo stati insieme? – chiede infatti, sarcastico, - E quando?
Tu sorridi, abbassando lo sguardo sul ciottolato che state percorrendo, a zonzo per i vicoli del centro di Londra.
- Eppure mi pare di ricordare un periodo della nostra vita in cui abbiamo condiviso il letto, Molko.
- Esatto. – ribatte lui seriamente, - Il letto e nient’altro.
- Che tristezza! – sospiri allora, inarcando giocosamente le sopracciglia verso il basso, - E i mobili della cucina, il divano del salotto, la vasca da bagno…
- Oh, be’, scusa. In effetti hai ragione. Stilerò un elenco di ogni centimetro sul quale abbiamo scopato e poi lo leggerò ad alta voce, così nessuno dei nostri appartamenti si sentirà offeso. Contento?
Ridacchi.
- Sei un po’ troppo acido per essere uno che ha una vita perfetta.
- Sei tu che mi rendi acido. – si ferma un secondo, adocchiando distrattamente la neve che comincia a cadere intorno a voi. – E mi fai ritrovare la parlantina. – aggiunge cupo.
Dovresti ghiacciare, ma in realtà non senti neanche freddo. Questa capacità di scaldarti internamente è sempre stata una prerogativa del corpo di Brian. Forse è per questo che con lui hai insistito tanto. Che hai cominciato la relazione, invece di aspettare e vedere se sarebbe stato lui a cominciarla. L’hai fatto tu, perché Brian non era una certezza. Non era scontato che decidesse di vederti una seconda, una terza, una quarta volta. Non era scontato ma tu lo volevi, e perciò l’hai preteso e ottenuto.
Sai anche dove sta la differenza con gli altri: lui non è stata la prima persona che hai preteso e ottenuto, ma è stato il primo per cui hai combattuto.
E forse è proprio questo che ti infastidisce tanto. Sì, ti indispone aver combattuto per qualcosa ed esserti ritrovato alla fine con niente in mano. Brian non ha perso la propria lucidità, durante la vostra relazione. Tu invece sì. Hai creduto che non sarebbe mai scappato, che la maglia di sesso e cattiveria che avevi tessuto attorno a lui fosse abbastanza forte e fitta da stringerlo senza scampo. Ma ti sbagliavi. E forse eri troppo stordito dal suo profumo per accorgertene.
Il profumo di Brian è lo stesso anche adesso. È lo stesso, anche se si porta dietro un anno di rabbia. È lo stesso, perché l’anno che per te è stato un anno di rabbia, non lo è stato per lui. E perciò lui è ancora intatto. Esattamente come lo ricordavi.
Lo stringi contro un muro e non t’importa se siete per strada. Se qualcuno potrebbe vedervi. Se c’è un freddo che ti gela le ossa. Lo stringi al muro e lo baci profondamente, ansimando sbuffi di fiato che si condensa sulla sua pelle. E lui ti sorride fra le labbra, e sbuffa anche lui, ma del suo respiro tu non lasci andare neanche una goccia.
- Ti sono mancato…? – chiedi sarcastico, separandoti da lui e sfiorando con le labbra il profilo del suo volto.
- Se ti dico di no, ci credi? – ghigna lui senza aprire gli occhi, sollevando appena il viso e tendendo la pelle del collo in attesa che tu possa scenderle addosso, assaggiandola. Scuoti il capo, strofinando il naso contro il suo in un gesto volutamente infantile e capriccioso, - Eppure sarebbe la verità. – commenta secco lui, - Non mi sei mancato affatto. Almeno, non dopo i primi giorni…
- Tutta questa sincerità mi ucciderà. Seriamente, rischi di mandarmi in overdose, non sono abituato.
- Non fare sarcasmo.
- E tu non parlare troppo.
Ti chini ancora su di lui. Sei rude, lo sei sempre stato, e lui non si stupisce quando ti sente infilare una mano sotto il giaccone, alla ricerca della pelle sotto gli abiti. Ha solo un lieve tremito quando sente addosso le tue dita ghiacciate, ma non si discosta e non ti ferma. Si lascia baciare, si lascia stringere, si lascia accarezzare.
- Tu mi sei mancato…
- Adesso sei tu che parli troppo.
Sorridi e torni a baciarlo, slacciando la fibbia del cappotto e strappandoglielo di dosso, per poi gettarlo per terra.
- Sei pazzo? – ride lui mentre ti osserva fare lo stesso col tuo, - Si muore di freddo…
- Ti scaldo io. – lo rassicuri sensuale, succhiando avidamente la pelle tenera sotto il suo orecchio.
- Sì, ma gli altri vestiti lasciameli addosso… - annuisci distrattamente, sfibbiandogli i pantaloni, - …e non ti spogliare neanche tu, non ti voglio sulla coscienza.
- Non sono coglione a questo punto.
In realtà stai mentendo.
In realtà lo sei eccome.
Lo sei già solo per il fatto che adesso sei in un vicolo buio e nascosto, privo perfino di finestre sui muri dei palazzi, che si imbianca di neve in una serata invernale che più fredda non avrebbe potuto essere, e stai schiacciando Brian Molko contro una parete in cemento armato, per scopartelo.
Lo sei per il fatto che non sai imparare dai tuoi errori, e che per questo stai sempre male a livelli disumani. Talmente male che il dolore supera la soglia di sensibilità. Talmente male che è come quando metti la mano sotto il getto d’acqua bollente al punto da sembrarti ghiacciata. Talmente male che per non sentirti peggio fai ogni genere di nefandezza e tratti gli altri come accessori del tuo piacere, nel tentativo di lenire il dolore anche se sai bene – perché lo provi sulla pelle ogni dannatissima volta – che non servirà neanche per un cazzo.
Sei un coglione.
Non hai cervello.
E non hai dignità.
E forse è per questo motivo che, quando senti Brian venirti tra le mani, decidi che è il momento di prenderti una pausa dalla tua stessa idiozia. È il momento di cambiare giro. Solo per un po’.
Ti conosci, sai che tornerai a comportarti come prima. Perché come tutte le brutte abitudini ormai è un vizio. Sai che prima o poi riprenderai. Come si sa che chiunque smetta di fumare un giorno ricomincerà. Come si sa che chiunque si disintossichi dalle droghe un giorno riprenderà a farsi.
Perché quando cose del genere ti entrano in circolo, si sostituiscono al sangue e ti fanno esplodere il cervello, è verso di loro che continui a tenderti.
Perché magari ti fanno male ma almeno è qualcosa.
Almeno senti qualcosa.
Ma intanto ci provi, a venirne fuori.
Ci provi e ti rassicuri col fatto che poi tornerai quello di prima.
Qualche mese di vacanza non potrà che farti bene, no…?
- È stato solo un episodio. – gli sussurri nell’orecchio senza permettergli di voltarsi a guardarti. Trema come un pulcino, perché adesso che non scopate più il freddo si sente eccome. Fin dentro. – Non pensare che voglia tornare con te.
Lui sbuffa una risata sarcastica.
- Quanto sei stronzo. – afferma scrollando il capo. – Sei davvero peggio di quanto pensassi, Bellamy.
E dire che non ti conosce.
Se ti conoscesse, forse allora…
…ma il suo parere non avrebbe comunque alcuna validità.
- Addio, Brian. – sorridi. – È bello trovarsi dall’altra parte della barricata, per una volta?
Lui ha un attimo d’esitazione. Prova a voltarsi per guardarti, ma cambia idea all’ultimo minuto.
- Che intendi dire? – sussurra incerto.
Tu sorridi cattivo sulla sua pelle e gli mordi il collo. Così, senza un perché. Non vuoi neanche fargli male, e infatti addosso non gli resta nemmeno un segno.
- Niente. – rispondi spiccio, separandoti da lui e chinandoti per recuperare il cappotto da terra.
Per un attimo, mediti se sia il caso di prendere anche il suo e metterglielo sulle spalle.
Il solo fatto che tu ci stia pensando su indica però che non vuoi davvero farlo.
E lasci perdere.
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