Fandom: RP: Calcio
Personaggi:
Genere: Introspettivo.
Pairing: Cesare/OC.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Angst, Slash.
- Cesare cerca di nascondere qualcosa ad Arturo, ma Arturo già lo sa.
Note: Scritta per la settimana corrente del Challenge Trimestrale di dietrolequinte, su prompt You better look it over / Before you make that leap, da Spaceman dei Killers, ma in realtà è una storia che voglio scrivere da luuuungo tempo, anche da prima che la notizia di Prandelli come nuovo CT della Nazionale diventasse ufficiale. Dedicata alla Chiara perché le vu bi un casino, e se non avete letto Celebration fate pure a meno di leggere anche questa XD
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- Ne sei sicuro?
Cesare sospira, passandosi una mano fra i capelli.
- Non sono mai stato così sicuro di nient’altro.
Giacomo borbotta qualcosa di poco chiaro, sospirando a propria volta.
- Perché lo dici a me?
Cesare scrolla le spalle.
- Avevo bisogno di dirlo a qualcuno.
Giacomo aggrotta le sopracciglia con disappunto.
- Perché non a lui?
Cesare guarda altrove, gli occhi velati da un’ombra di colpevolezza.
- Avevo bisogno di dirlo a qualcuno che non fosse lui.


GETTING READY TO LEAVE THE GROUND


You better look it over
Before you make that leap


L’appartamento è completamente immerso nel buio, ma Cesare non ha bisogno di vederlo coi suoi occhi per sapere che Arturo è lì. Non sente il suo odore nell’aria, non sente il suono del suo respiro, non sente nemmeno la sua presenza a livello conscio o inconscio, è più una certezza dettata dall’abitudine, dal fatto che non gli è mai capitato di desiderarlo e non trovarlo sempre pronto, a portata di mano. Arturo l’ha abituato ad esserci, ed è entrato nella sua routine quotidiana con una semplicità quasi spaventosa. Sarà dura cambiare abitudini, quando Firenze resterà solo un ricordo, e anche lui.
Lo trova steso sul letto in camera. Dorme, o almeno così sembra, sistemato nella propria metà del letto e con addosso solo un lenzuolo attorcigliato in mezzo alle gambe. È di fianco, i capelli gli coprono il viso a tratti, una mano nascosta sotto il cuscino e l’altra appoggiata sopra, all’altezza delle labbra semidischiuse, stretta a pugno come quelle dei bambini piccoli quando dormono.
Sospirando, Cesare sfila la camicia e l’appoggia sulla sedia davanti alla scrivania. Toglie la cintura, sbottona i pantaloni e li ripone sulla seduta preoccupandosi appena di piegarli decentemente. Mette da parte l’idea di scalciare via le scarpe quando si rende conto che farebbe rumore, perciò si siede sul letto e le toglie lentamente, appoggiandole sul pavimento accanto al comodino con attenzione, ma scopre di avere utilizzato accorgimenti del tutto inutili quando, voltandosi per sdraiarsi a letto, vede che Arturo è sveglio, e lo guarda.
- Hai fatto tardi. – dice sorridendo. Cesare sorride a propria volta, quasi nel tentativo di scusarsi.
- Non volevo svegliarti. – dice, allungando una mano ad accarezzargli una guancia e trovandola un po’ ruvida. – Non hai fatto la barba, oggi?
- Non avevo voglia. – scrolla le spalle Arturo, guardando altrove, - Come mai hai fatto tardi? – chiede quindi, tornando a puntargli gli occhi addosso.
- Avevo da fare. – risponde Cesare, sfilando il lenzuolo da sotto il proprio corpo per coprirsi, mentre Arturo scivola naturalmente sul materasso per avvicinarsi a lui, deciso a ritrovare il proprio usuale posto fra le sue braccia. – Tu che hai fatto? – chiede con un sorriso, quando si sono entrambi incastrati nel giusto modo.
- Ho perso tempo. – risponde Arturo, il tono assente, - Al solito, suppongo. Sono uscito un po’ con Giacomo e la Chiara e poi ovviamente loro mi hanno mollato a metà pomeriggio perché i loro ragazzi non saltano gli appuntamenti.
Cesare si allontana un po’, cercando gli occhi di Arturo.
- Avevamo un appuntamento? – domanda con aria persa. Arturo annuisce vago.
- Niente di che, - precisa, - dovevamo solo prendere un caffè insieme. Ma, per dire, Adi ed Albi non hanno mai fatto aspettare Chiara, e tutti sappiamo che bestioni siano, e tu non riesci nemmeno a—
- Arturo, - lo interrompe Cesare, stringendoselo di nuovo contro e muovendosi quasi a cullarlo, - Arturo, mi dispiace. L’ho dimenticato. Non intendevo lasciarti solo, è stata solo una distrazione.
Arturo si divincola lentamente dal suo abbraccio, e Cesare non oppone resistenza quando il ragazzo manifesta l’intenzione di allontanarsi. Lo guarda sollevarsi sui gomiti ed osservarlo dall’alto con una punta di paura, chiedendosi cos’abbia intenzione di fare e perché si ostini a guardarlo come se dovesse sparire da un momento all’altro. La risposta, Cesare lo sa, è che è proprio così, purtroppo.
- Hai un sacco di preoccupazioni per la testa, in questo periodo. – sussurra Arturo, accarezzandogli la fronte con la punta delle dita e spianandone dolcemente le rughe. – Cose di cui non puoi parlare?
- In un certo senso. – risponde Cesare, a corto di fiato, intrecciando le proprie dita con quelle della sua mano libera. – A suo tempo lo saprai, Arturo, te lo prometto.
Arturo annuisce nel buio, distogliendo lo sguardo. È sempre guardando altrove che gli pone la domanda successiva.
- Quando parti?
Il respiro di Cesare gli si blocca in gola, soffocandolo per qualche secondo prima che lui si decida a sforzarsi per buttarlo fuori e riprendere a far lavorare normalmente i polmoni.
- Cosa-- - chiede incerto, - Come—
- Non me l’ha detto nessuno, se è questo quello che stai pensando. – lo rassicura Arturo, rotolando di schiena sul materasso e fissando il soffitto con inusuale concentrazione, - L’ho capito da solo, e poi anche io leggo i giornali, sai. E so navigare su internet e come hai potuto dirlo prima a Giacomo e a Chiara che a me?
- Arturo, io volevo solo che—
- Cosa? – ringhia lui, voltandosi d’improvviso a guardarlo, - Era più facile parlarne con loro invece che con me? Speravi che se lo lasciassero sfuggire così tu non avresti dovuto dirmi niente? Be’, loro sono stati discreti ma, contento?, l’ho detto prima io. Così ti sei risparmiato la dolorosa confessione del cazzo.
- Avevo bisogno – dice Cesare, alzando un po’ la voce per arginare il fiume in piena della sua, - Avevo bisogno che loro lo sapessero prima. Così avrebbero potuto farci l’abitudine, e starti vicino quando l’avresti saputo tu.
Arturo lo guarda stranito per qualche secondo, come avesse sentito qualcosa di completamente inatteso. Poi si volta su un fianco, dandogli le spalle e rannicchiandosi in posizione fetale.
- Sì, be’, grazie della premura, ma come vedi non è servito a niente. – borbotta.
- Me ne rendo conto. – annuisce Cesare avvicinandoglisi, stando però bene attento a non toccarlo, - Ma dovevo provarci. – poi sospira, passandosi una mano sugli occhi. – Chiara mi aveva detto che l’avresti presa male.
- Aveva ragione. – sputa fuori Arturo, rannicchiandosi possibilmente ancora di più ed allontanandosi di qualche centimetro, - E tu sei uno stronzo. Hai già firmato?
- Arturo—
- Hai già firmato?
Cesare si morde un labbro, reggendosi su un gomito. Si allunga a stringerlo fra le braccia – che lui lo voglia o no – prima di rispondergli.
- Sì. – lascia andare in un sospiro, sentendosi immediatamente sollevato, - È soltanto un accordo di massima, ma sì. A meno di qualche intoppo—
- Non darmi speranze. – dice Arturo, gelido. Cesare inspira profondamente.
- Non ci sarà alcun intoppo. – si corregge. Lo stringe più forte, ma Arturo non ricambia la sua stretta. – Subito dopo la conclusione dei Mondiali, sarò il nuovo CT della Nazionale. - Arturo non risponde, ma i singhiozzi leggeri che lo scuotono non lasciano grandi dubbi sul fatto che stia piangendo. – Hai diciannove anni… - sospira Cesare, chinandosi su di lui e lasciandogli un bacio lievissimo sulla tempia, - Guarirai. Dimenticherai. Farà meno male. Non era neanche giusto tenerti legato a me, Arturo, io sono anziano.
- E a me non è mai importato! – scatta Arturo, liberandosi delle lenzuola e delle sue braccia e saltando giù dal letto. la maglietta bianca che indossa quasi luccica della luce della luna. Sembra che si tenga su da sola, che non ci sia niente dentro. Il suo corpo – la pelle abbronzata, i capelli sottili, le gambe e le braccia madre – si perde e si sfuma nella notte oltre la finestra, e Cesare deglutisce a fatica. – E non voglio guarire. Non voglio dimenticare e non voglio che faccia meno male. Voglio che resti, e sono sicuro che resterà più di quanto non sia rimasto tu.
Cesare lo ascolta trattenere un singhiozzo e poi correre in bagno. Quando la chiave gira nella toppa, si mette seduto sul letto, le gambe appena piegate e la testa fra le mani. La voce di Giacomo, in un’eco lontana, gli chiede ancora se sia sicuro di ciò che sta facendo. La sua risposta non è più tanto netta, ma adesso non ha più nemmeno importanza.
Silenziosamente, si alza dal letto e si riveste. Quando lascia l’appartamento, nel sentire il suono della porta che si chiude – mentre quella del bagno torna ad aprirsi e le lacrime e i singhiozzi di Arturo esplodono per qualche secondo, prima di tornare ad essere ovattati dal cuscino che sicuramente si starà premendo contro il viso – nel guardarsi intorno e vedersi solo e sentirsi solo, Cesare scopre che Arturo aveva ragione. Questo durerà molto più di quanto non sia durato lui.
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