Genere: Romantico
Pairing: Kotori/Kamui.
Rating: PG
AVVISI: Songfic, What if?.
- "E standogli così vicino, posandogli una mano sul petto, sentendo il proprio respiro infrangersi sulla sua pelle accaldata, e le punte dei suoi capelli sfiorarle la fronte facendole un po’ il solletico, Kotori d’improvviso capì che era reale, che lo poteva toccare. Che non aveva più bisogno di sognare Kamui. Che Kamui era uscito dal sogno e le si era seduto accanto. Che sarebbe rimasto."
Commento dell'autrice: Una storia dalla lunghiiiiiiissima gestazione O_O L'idea mi è balenata in testa immediatamente, ascoltando "La porta dei sogni" di Ligabue. Non so se per il testo in sé o per l'atmosfera dolcerrima creata dalle musiche, ma insomma, ho pensato subito a Kotori e Kamui. Volevo che si chiarissero, volevo che si dessero un bacetto, volevo tanto love-love. Che poi alla fine è quello che ho ottenuto XD Yay *_* Comunque è partita con un'ispirazione folle, e infatti i primi due pezzetti li ho scritti di getto sul quadernetto, e poi li ho ricopiati al pc senza neanche modificarli tantissimo. Poi s'è bloccata °_° Sono stata presa da altre cose XD E l'ho conclusa in questi ultimi due giorni XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
E MI ATTACCO ALLE STELLE


E mi attacco alle stelle, che altrimenti si cade…


Perse gli occhi nel blu cobalto della notte, gioendo delle moltitudini di stelle che incontrava il suo sguardo. Si ravviò una ciocca di capelli dietro un orecchio, e per un attimo quella vista la commosse al punto che le sembrò di stare per scoppiare a piangere. Invece sorrise e, poggiando le mani sulla ringhiera del balcone, giocò a indovinare le costellazioni. Era un giochino che la riportava alla sua infanzia – come tutti gli altri giochini – era un giochino che la riportava ai sei anni e a Kamui che le prometteva che un giorno l’avrebbe sposata.
Si voltò, posando lo sguardo sulla sua placida figura addormentata. Era riuscito ad assopirsi, finalmente, dopo il terremoto e la visita di quello strano ragazzo, che sembrava averlo turbato moltissimo. Un sonno tranquillo. Non ansimava, non si rivoltava tra le coperte, non strizzava gli occhi. Kamui calmo.
Quando l’aveva rivisto a scuola, quella mattina, sì, un poco aveva avuto paura. Aveva avuto paura per il suo cuore, le era sembrato che le potesse saltar fuori dal petto ed esplodere lì, di fronte ai suoi occhi. Si era sentita sopraffatta dalla felicità. Aveva sentito crescere in lei quella fiducia nella bontà del mondo che sempre si portava dentro, e che la vita aveva sempre cercato di estirparle dall’anima. Il mondo, la realtà, non poteva poi essere così crudele, se alla fine le permetteva di rivedere Kamui.
Rientrò in camera, inginocchiandosi accanto al futon. Lasciò scorrere gli occhi sul ragazzo addormentato, cercando di ricollegarlo al bambino dei suoi ricordi. Non era tanto difficile riuscirci, era rimasto uguale in maniera imbarazzante. Era anche bello in maniera imbarazzante.
Gli rimboccò le coperte, lievemente scostate, e d’improvviso lui aprì gli occhi.
Si tirò indietro, agitata.
- Scusa! – mormorò incerta, - Non volevo svegliarti…
Lui la guardò per un attimo, e poi guardò altrove, disinteressandosi di lei.
Le si strinse il cuore.
- Scusa. – ripeté, - Adesso vado via.
Fece per alzarsi, ma lui riportò gli occhi su di lei e poi sollevò una mano, aggrappandosi all’orlo della sua gonna.
- Aspetta… - disse, titubante, - Rimani.
*

…e poi alzo il volume di questo silenzio
che fa stare bene…


Cercò di alzarsi da solo, ma a metà percorso le gambe e le braccia gli cedettero, e crollò in ginocchio sul futon, privo di forza. Kotori gli si avvicinò, preoccupata, sostenendolo per le spalle.
- Non devi sforzarti! – gli disse, premurosa, cercando di farlo nuovamente distendere, - Riposa ancora un po’.
Lui scosse il capo e cercò di sorridere, per rassicurarla. Aveva voglia di uscire da quelle lenzuola, aveva voglia di respirare aria fresca, aveva voglia di vedere fuori. Si sentiva schiacciato.
- Aiutami… - le disse in un soffio.
Osservò la sua espressione cambiare, da preoccupata a decisa, e poi la vide annuire con convinzione. Le passò un braccio sopra le spalle e lei, tenendolo per la vita, lo aiutò ad alzarsi.
- Grazie.
Lei sorrise.
- E… ora?
- Andiamo fuori… al balcone…
Kotori sorrise ancora e lo condusse all’esterno, dove lo liberò dalla sua stretta e lasciò che si sorreggesse da solo, appoggiandosi alla ringhiera. Gli rimase vicino, comunque, continuando ad osservarlo.
Lui guardò la strada deserta.
- Che ore sono…? – le chiese, stupito dal silenzio irreale che li circondava.
- Molto tardi… - disse lei, sollevando il polso e guardando l’orologio, - Le quattro del mattino…
La guardò, stupito.
- …quanto ho dormito?
- Non molto, in realtà… forse quattro o cinque ore… Kamui, devi riposarti! – soggiunse, ritornando a sostenerlo per un braccio, spaventata che potesse crollare di nuovo.
- No, sto bene… davvero.
Kotori sospirò e puntò lo sguardo in alto, al cielo. Lui la seguì nel movimento.
- Quante stelle…
Kotori sorrise. Lo poté sentire nella sua voce, quando parlò.
- Da qui d’estate se ne vedono ancora di più. Te lo ricordi…?
Sì, lo ricordava.
Non rispose, continuò a fissare il cielo.
Kotori gli si avvicinò e non disse una parola. Rimasero lì, rapiti dal panorama, a osservare la notte farsi grande e profonda sulle loro teste e a riempirsi di silenzio splendido e vuoto.
*

…e mi sa che sei quella che fa luce pian piano
Chissà come ci vedi
Chissà come ridi di quello che siamo…


La guardò di nuovo quando il cielo cominciò a tingersi di macchie più chiare, e il sole a fare capolino all’orizzonte. Così, con lo sguardo fisso e capelli e vestiti immobili, sembrava una statua, o un dipinto. O un ricordo.
Il pensiero gli fece male. Gli fece male perché si rese conto, tutto d’improvviso, di quanto tempo fosse passato da quando era andato via. Di quanto tempo non li avesse neanche visti, lei e Fuuma. Di quanto tempo avesse dovuto sopportare lo scorrere, e la nostalgia. E si sentì un codardo, perché davanti a lei, in quel modo, malgrado comprendesse perfettamente la saggezza della decisione di sua madre, desiderò non essere mai partito. Desiderò avere combattuto al loro fianco, fare sapere loro tutto, condividere con loro tutto il dolore che aveva provato.
Poi desiderò schiaffeggiarsi, si diede del bambino immaturo e irresponsabile e abbassò lo sguardo sulla ringhiera, fissando le proprie mani stringersi al ferro con rabbia.
Kotori rabbrividì leggermente.
- Senti freddo…? – le chiese, tornando a guardarla.
Lei sorrise, le guance arrossate da un lieve imbarazzo, stringendosi nelle spalle.
- No, è tutto a posto! Sul serio! Piuttosto, tu…
- Senti freddo… - disse nuovamente lui, stavolta semplicemente constatandolo.
Lei sorrise un po’ più debolmente.
- Non devi preoccuparti… - lo rassicurò, - Sto bene davvero.
Sorrise della sua dolce ostinazione e le si avvicinò, a fatica, al punto che lei a un certo punto dovette aiutarlo, reggendolo da sotto le ascelle.
Lui sorrise amaramente.
- Sono pesante…
- Ma no, non lo sei affatto…
Erano sempre stati così ossequiosi? Così freddamente premurosi? Avevano sempre avuto bisogno di trattarsi con tanto educato distacco, per preoccuparsi l’uno dell’altra?
No. Sicuramente no.
Si lasciò cadere seduto per terra.
Kotori, in un secondo, fu accanto a lui, preoccupata.
- Kamui! È tutto a posto?
Lui le sorrise.
- Non volevo che mi reggessi. Preferisco stare seduto per terra.
Lei sembrò offendersi. E rattristarsi, anche.
- …non vuoi che ti tocchi…?
Sollevò un braccio, sfiorandole il viso con due dita.
- Non è così. Solo, voglio stare accanto a te senza avere bisogno di essere tenuto in piedi.
- Ma qui fuori è sporco! Non è meglio se entriamo? Potresti prendere freddo!
Kamui rise di cuore.
- Non preoccuparti, dai. Facevamo pazzie peggiori, quando eravamo piccoli, non ricordi?
Kotori rimase in silenzio, spalancando gli occhi.
- Io ricordo tutte le nottate passate a dormire fuori, accampati sul prato, solo con un sacco a pelo. Giocando fino a notte fonda, aspettando l’alba. Vuoi che ci sconfigga qualche ora passata a guardare il cielo?
La ragazza sorrise.
- Hai ragione.
Si sedette comodamente accanto a lui, appoggiando la schiena al muro.
- Guarda, Kotori. Il sole.
Una macchia rossa cominciava ad apparire, lontana, all’orizzonte, mutando il colore del cielo. Kotori la fissò, lasciando che le bruciasse gli occhi, per poter versare qualche lacrima di commozione senza dover per forza ammettere di essere semplicemente felice come una bambina, da scoppiare.
Kamui la vide piangere e capì tutto. Le passò un braccio sopra le spalle, stringendola a sé. E standogli così vicino, posandogli una mano sul petto, sentendo il proprio respiro infrangersi sulla sua pelle accaldata, e le punte dei suoi capelli sfiorarle la fronte facendole un po’ il solletico, Kotori d’improvviso capì che era reale, che lo poteva toccare. Che non aveva più bisogno di sognare Kamui. Che Kamui era uscito dal sogno e le si era seduto accanto. Che sarebbe rimasto.
*

E mi attacco alle stelle, tiro un po' a indovinare
mi predico un presente in cui non c'è niente
se non respirare


Quando Kotori sorrideva non era mai silenziosamente. I suoi respiri sorridevano con lei, si sentiva nella loro tranquillità, in quella regolarità tutta speciale. Risuonava nel lieve sollevarsi e abbassarsi del suo petto, si sentiva che si muoveva con gioia. Si percepiva la calma fluire dai suoi occhi. Non erano particolari che si potevano cogliere solo con uno sguardo, no, né solo sensazioni tattili. Erano suoni. Reali. Avevano bisogno di essere ascoltati.
Kotori era musicale.
Kotori era musicale anche in quel momento, solo per lui. Stava suonando la sinfonia del suo corpo per fargli sentire che era felice. Gliel’aveva dedicata quando era nata, quell’aria, e continuava a dedicargliela sedici anni dopo. Assolutamente fedele. Assolutamente presente. Assolutamente sua.
Non poté fare a meno di arrossire, realizzandolo. Capì che, per quanto la sua vita potesse essere incasinata, per quanto non avesse idea di dove si sarebbe trovato l’indomani mattina aprendo gli occhi, di chi o cosa avrebbe potuto vedere o di che cosa gli sarebbe potuto accadere, Kotori aveva scelto di essere tutta sua, di esserlo sempre, con tutta la sua gentilezza. E ogni suo tocco lieve era una dichiarazione.
- Kotori… - mormorò, imbarazzato, riscuotendosi lievemente per poterla guardare con la coda dell’occhio.
Lei non disse niente, non si mosse di un millimetro, ma chissà come il suo respiro lo incoraggiò a continuare.
- …sono felice di averti rivista. Non volevo tornare e non volevo rivedervi, né te né tuo fratello. Non volevo… non vi rivolevo nella mia vita. Però, adesso che ti ho vista, sono felice che sia successo.
E nel momento stesso in cui lo disse si sentì liberato dal macigno che lo opprimeva da anni. Si sentì come rinato. Come salvato.
Se quella ragazza non era un angelo vero…
- Io non ho sognato altro, sai, Kamui? Da quando sei partito non ho fatto che sognare il tuo ritorno. E ogni volta che tornavo a casa, o che mi andavo a coricare, mi sentivo sempre un po’ male perché il mio sogno non si avverava mai. Ma poi tornavo a sognarti mentre dormivo, e mi riempivo di speranza ancora una volta.
Si appoggiò a lui col capo.
- Sempre. Non ho saltato una notte, Kamui.
Si chinò su di lei. Osservò il suo sguardo perso di gioia, le labbra dischiuse in un sorriso di festa, e le volle assaggiare, per vedere se erano buone come aveva sempre immaginato fossero. La baciò lievemente, sfiorandola appena, accarezzandole i capelli morbidi dietro alle spalle.
Non ebbe il tempo di separarsi da lei, perché appena si scostò Kotori afferrò un lembo della sua maglietta e, rossa in viso, con gli occhi semicoperti dalla lunga frangetta, lo invitò a restare.
Il sapore era buono, la stretta gentile.
Rimase.
*

E mi attacco alla luce di questa notte
E salto, salto, ma rimango giù…


Rientrarono, quando gli occhi di Kamui cominciarono a chiudersi e il suo abbraccio a farsi pesante e abbandonato per via del sonno. Era già mattina, per quanto presto fosse, e il sole aveva già preso a riscaldare l’aria e diradare le poche nubi di umidità della notte. I capelli di Kotori splendevano, e i suoi occhi pure.
Adagiandosi sul futon, poggiando il capo sul suo grembo, desiderò addormentarsi con quell’immagine fissa negli occhi, e la pregò di restare. Lei sorrise, sistemandogli le coperte sul petto e giocando coi suoi capelli con teneri gesti lenti. Continuò a giocare fino a quando non ebbe chiuso gli occhi.

…la porta dei sogni chiudila tu.
back to poly

Vuoi commentare? »





ALLOWED TAGS
^bold text^bold text
_italic text_italic text
%struck text%struck text



Nota: Devi visualizzare l'anteprima del tuo commento prima di poterlo inviare. Note: You have to preview your comment (Anteprima) before sending it (Invia).