Genere: Introspettivo
Pairing: Brian/Justin
Rating: R
AVVISI: Boy's Love.
- Brian può essere sicuro di poche cose, come di quelle di cui non ha assolutamente bisogno.
Commento dell'autrice: Prima storia ispirata da uno (per la precisione, il #1) dei temi della serie “Melodies of love”, dalla community True Colors (che vi consiglio di visitare perché, dannazione, è la prima writing community italiana, merita seguito!). In questa prima storia ho voluto parlare di Brian e di come si sente da quando Justin è andato via con Ethan. Essendo lui quello che è XD non potevo certo mettermi lì a parlare di depressioni sceme è_é Ho cercato di prenderla il più… brianamente possibile XD Tutta la cosa è nata dalla considerazione che, malgrado Justin sia andato via, e malgrado Brian sappia perfettamente che quello che desidera in realtà – anche se non lo ammetterà mai – è riaverlo indietro, continua a comportarsi con lui come il gran bastardo che è XD Personalmente, amo i dialoghi irritati che mettono su quando si incontrano *-* Forse l’ultima parte è un po’ melensa O.o Io credo che ci stia, poi giudicate voi è_é!
PS: In originale, il verso non conteneva un “he”, ma un “she”. L’ho dovuto cambiare, giocoforza XD
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Need not
#1 Don't be afraid, I promise that he will awake


Apre gli occhi. Il mattino esplode dietro le finestre, la luce invade il loft e anche il suo campo visivo, nonostante il paravento. Si stropiccia un po’ gli occhi e sbadiglia, voltandosi dall’altro lato nel disperato tentativo di riconquistare il sonno perduto. Si arrende, pochi minuti dopo, e si alza in piedi, raggiungendo il bagno con passi lenti e stanchi.
Una testa bionda e riccia emerge dalle coperte, si guarda intorno con curiosità e poi realizza.
- Che ore sono? – chiede a bassa voce.
Brian non lo sente, e se anche lo sentisse non risponderebbe, è troppo impegnato a lavare via tutto ciò che di appiccicoso gli è rimasto sulla pelle dopo la notte.
E anche a cercare di ricordare cosa cazzo è successo prima che si addormentasse.
Mh, ok. Dev’essere stata una cosa a tre, almeno. Ricorda che c’era un bruno. Lo ricorda perfettamente, ricorda la sua schiena sudata muoversi davanti ai suoi occhi, ricorda i capelli corti a lambirgli il collo, umidi e scuri.
Il biondo non lo ricorda proprio. Eppure, è lì. Qualcosa deve aver fatto.
Esce dalla doccia e si avvolge in un asciugamano di spugna proprio nel momento in cui il ragazzo entra in bagno.
- Ti dispiace se uso la doccia?
Scrolla le spalle, asciugandosi. Il ragazzo scompare nel box. Lui torna davanti al suo letto.
E il letto è sfatto e macchiato. Lancia un’imprecazione fra i denti e tira via le lenzuola di seta con rabbia. Lo infastidisce doverle portare in tintoria.
In pochi minuti, il ragazzo esce dalla doccia, si asciuga e comincia a rivestirsi.
- Che fine ha fatto l’altro? – gli chiede, quasi soprappensiero, mentre afferra un paio di jeans.
- Boh. Sarà andato via.
Brian spera non si sia nascosto da qualche parte dentro casa in attesa del momento giusto per rubargli qualcosa.
- E’ ora che vada via anche tu. – dice al biondino, senza premurarsi di guardarlo.
Quello sorride.
- Immaginavo che avresti detto una cosa simile…
- E allora perché sei ancora qui?
Il ragazzo lo guarda per qualche secondo, sembra seccato e contrariato. Chissenefrega. Brian sostiene il suo sguardo e sorride serafico. Il ragazzo afferra il giubbotto ed esce.
Per un secondo, realizza che tutta la storia del portare i ragazzi a casa – scopate a parte – è una gran rottura di coglioni. Tutti, o quasi tutti, credono ci sarà un seguito. E quando si svegliano, invece di realizzare di stare già invadendo impunemente il suo spazio vitale, aspettano. Una parola gentile, un invito a restare, qualsiasi cosa.
Illusi.
Brian non ha bisogno di comportarsi bene con loro per sapere che è ancora in grado di tenersi stretto un ragazzo, se vuole.
*

Chiede un caffellatte. Che gli viene servito, condito da un sorriso sottile che non può fare a meno di essere in parte infastidito dalla sua presenza. Ricambia con un sorriso allegro e aperto.
- Cos’è questo nervosismo? Va male col chitarrista?
- Ethan suona il violino.
- Quello che è.
- Va tutto benissimo.
- Ma dai? Mi era sembrato di vedere del dispiacere sul tuo faccino, Raggio di Sole.
- Sei tu che mi metti di malumore. – conclude Justin con una linguaccia ironica, mentre si volta per servire altri clienti.
Brian ridacchia fra sé, sorseggiando il caffellatte.
Debbie appare di fronte a lui, guardandolo in cagnesco.
- Perché non provi un po’ a lasciarlo in pace?
- Non era un locale pubblico, questo?
- Sarò costretta a mettere il divieto d’accesso sulla tua dannata faccia, se non la pianti con queste storie sul ragazzo di Justin. Sono seria.
- Ma davvero?
- Sai, Brian? Sei sempre stato un mistero, per me. Per quale motivo ti ostini a comportarti come ti comporti con le persone che ti amano, davvero, non l’ho mai capito. E sinceramente, non ci tengo. Smettila e basta, o dirò al cuoco di sputare nella tua cena.
- Agli ordini, comandante! – dice scattando in piedi e facendo il saluto militare.
Debbie si allontana, mugugnando fra sé qualcosa di poco carino. Il suo sguardo fugge casualmente su Justin, che ridacchia e scuote il capo. Nei suoi occhi, nelle pieghe delle sue labbra, una lieve nota di tenera nostalgia. È inconfondibile, quell’espressione lì.
Brian sorride e si avvia verso l’uscita.
Non ha bisogno di comportarsi gentilmente con Justin, per sapere di poter avere ancora quell’effetto su di lui.
*

La musica è fortissima, gli riempie le orecchie. Le luci lo abbagliano, gli odori dei corpi in movimento frenetico lo stordiscono. Il suo stesso movimento lo ipnotizza, quel ritmico spostare il peso da un piede all’altro, l’alternarsi agitato delle sue braccia, in alto e in basso, l’ondeggiare del capo. È in trance. Di più, è in estasi.
Rischia di non capire più niente entro la fine della serata. Gli sembra di avere in corpo più droga di quanta ne abbia mai vista in vita sua. Continua a ballare nel pensiero fisso che sudarla via potrebbe fargli bene.
Lancia un’occhiata a Micheal. È ancora fermo con Ben davanti al bancone del bar. Sa che non andrà via. Almeno, ha un passaggio per tornare a casa. Se c’è qualcosa che non si sente di fare, è guidare.
Un ragazzino lo avvicina e attacca a ballare con lui. Avrà sì e no sedici anni. È senza maglietta, e chiaramente anche lui ha preso qualcosa. Ha lo sguardo lucido e perso nel vuoto. Ansima un po’. Brian sospetta balli da ore. Non gli interessa andare a fondo della questione. Adocchia un ventenne poco più in là e gli si avvicina. L’espressione del viso è chiara, il ragazzo la coglie e ci sta.
Non ha neanche il tempo di avvicinarsi e sussurrargli qualcosa all’orecchio, che il sedicenne si rimette in mezzo, continuando insistentemente a provarci con lui. Brian solleva un sopracciglio e lo guarda per un secondo; dopodiché afferra il ventenne per il colletto della maglietta e, continuando a ballare, lo trascina nella backroom, lasciando il ragazzino con un palmo di naso.
Assolutamente no, Brian non ha bisogno di rimorchiare un minorenne per sapere di essere ancora in grado di far presa su ragazzi così giovani.
*

In realtà, Brian non ha bisogno di nessuna conferma.
Non ha certo bisogno di rimirarsi allo specchio per sapere di essere ancora bellissimo, allo stesso modo in cui non ha bisogno di controllare il suo nome all’anagrafe per sapere di chiamarsi Brian Kinney. Non ha bisogno di dichiarazioni di tristezza e rabbia, per sapere di essere dannatamente incazzato, anche se morirà prima di ammetterne il motivo. E soprattutto non ha bisogno di riempirsi il cervello di cantilene melense, promettendosi e assicurandosi che un giorno riconquisterà Justin.
Perché lui lo sa. Un giorno, Justin si sveglierà, così come s’è svegliato lui quella mattina, e si ritroverà nel suo letto. E il dannato chitarrista, o violinista, o quello che cazzo è, rimarrà un sogno che sfuma nel sole del mattino. E sul letto, tra le lenzuola di seta nera, a guardarlo svegliarsi ci sarà lui e nessun altro. È matematico, è ovvio, è naturale. Perché Brian sa perfettamente che ora come ora Justin vive in un’illusione dolcissima e splendida, e sa perfettamente che non la abbandonerà tanto facilmente. Ma verrà un momento in cui si scontrerà con qualcosa di duro e doloroso, verrà il momento in cui i suoi occhi si apriranno e saranno feriti dall’odioso pungere dei raggi del sole, e allora lui ritornerà, perché capirà che l’illusione era dolce ma fittizia, e la sua realtà, beh, quella potrà anche essere dolceamara, ma sicuramente è tangibile, ed è una cosa che di notte si può stringere fra le braccia.
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