Genere: Introspettivo.
Pairing: (accennate) Makoto/Haruka, Haruka/Rin.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Gen, Angst.
- "È in quel momento che lo sente, un lamento basso, continuato, e subito pensa “un fantasma”, e gli corre un brivido gelato lungo la schiena."
Note: Questa storia è interamente colpa della Caska ed io pretendo che se ne prenda la responsabilità, perché io sugli shotini di Free! volevo scrivere solo porno stupido e porco, ed invece lei è arrivata a darmi notizie canon angst tremende su High Speed! e io non ho potuto evitare di scrivere questa cosa tremenda T__T Watch Free!, they said, it will be fun, they said.
La storia partecipa alla seconda settimana del #summerCOWT, sfida 3, prompt altrove, e alla sfida di 500themes_ita sul prompt #79 (Momento tragico).
Pairing: (accennate) Makoto/Haruka, Haruka/Rin.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Gen, Angst.
- "È in quel momento che lo sente, un lamento basso, continuato, e subito pensa “un fantasma”, e gli corre un brivido gelato lungo la schiena."
Note: Questa storia è interamente colpa della Caska ed io pretendo che se ne prenda la responsabilità, perché io sugli shotini di Free! volevo scrivere solo porno stupido e porco, ed invece lei è arrivata a darmi notizie canon angst tremende su High Speed! e io non ho potuto evitare di scrivere questa cosa tremenda T__T Watch Free!, they said, it will be fun, they said.
La storia partecipa alla seconda settimana del #summerCOWT, sfida 3, prompt altrove, e alla sfida di 500themes_ita sul prompt #79 (Momento tragico).
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CUT ADRIFT, BUT STILL FLOATING
A Makoto non piace molto aggirarsi per la piscina quando è vuota e sta per chiudere. Sembra che tutti quei rumori che, quando è piena, suonano assolutamente normali – lo sciabordio dell’acqua contro le piastrelle in ceramica, il gocciolio delle docce, il fruscio degli alberi di fuori – si mettano tutti d’accordo per suonare il triplo più inquietanti e spaventosi quando possono riecheggiare nel silenzio vuoto del tardo pomeriggio.
Non ci sono bambini che ridono e non ci sono passi che risuonano e non ci sono gli splash assordanti dei ragazzini che si tuffano e quelli un po’ più discreti delle bracciate, non c’è niente a parte il silenzio – il silenzio sembra sempre così reale, nei posti così grandi, quasi fisico, quasi minaccioso – e Makoto comincia a pentirsi di aver lasciato che tutti gli altri bambini facessero la doccia prima di lui.
Haruka non l’ha aspettato, e la cosa lo rende triste. Forse, se Haruka fosse rimasto ora non avrebbe così paura, il silenzio non lo inquieterebbe così tanto. Haruka non parla molto, ma in realtà non ne ha bisogno: la sua presenza riempie lo spazio e, con lui, Makoto non ha paura.
È in quel momento che lo sente, un lamento basso, continuato, e subito pensa “un fantasma”, e gli corre un brivido gelato lungo la schiena. Gli tornano in mente le parole di Nagisa, la sua vocetta infantile mentre gli racconta “ma come, non lo sai? Questo posto è stregato!”, e stringe le braccia attorno allo zainetto in un gesto convulso, spalancando gli occhi e digrignando i denti.
Il lamento viene dallo spogliatoio. Ogni tanto si interrompe, e poi riprende in un riecheggiare continuo di singhiozzi e mugolii e brevi colpi di tosse inframezzati dal familiare tirare su col naso dei bambini molto piccoli.
“Un bimbo della nostra età,” dice Nagisa nella sua testa, “È affogato in piscina e da quel giorno il suo fantasma infesta il centro sportivo. Si sente solo e tutto quello che vuole è qualcuno con cui giocare. Per questo, quando ogni tanto senti qualcuno afferrarti la caviglia sott’acqua, devi nuotare più veloce!, perché potrebbe essere lui.”
Makoto manda giù un groppo enorme di saliva, aria e paura e si avventura giù per il corridoio, verso lo spogliatoio. Non sa perché lo stia facendo, sarebbe sicuramente meglio voltarsi e correre a perdifiato verso l’uscita, il più velocemente possibile, ma quei singhiozzi continui e spezzati sembrano attirarlo verso di loro, e ad un certo punto Makoto ha come l’impressione di non riuscire più a controllare le proprie stesse gambe.
Entra nello spogliatoio il più silenziosamente possibile, trattenendo il respiro, stringendo lo zaino al petto come fosse uno scudo. Lancia attorno a sé un’occhiata terrorizzata, convinto che improvvisamente vedrà spuntarsi davanti agli occhi il cadavere di un bambino imputridito dall’acqua – l’acqua fa questo, ai morti, sfilaccia la pelle, scava dentro gli occhi, mangia la carne attorno alle ossa, ti strappa via il colore dal viso, il calore dalle mani, l’anima dalla gola – ma qualcuno singhiozza, e quel qualcuno è un ragazzino della sua età, e quel ragazzino ha i capelli rossi e i fianchi stretti e la pelle chiara e gli occhi che brillano al buio, ed è Rin, raggomitolato in un angolo, sotto la doccia ormai chiusa che insiste a gocciolargli in testa, e nel vederlo a Makoto si stringe qualcosa nel petto.
- Rin…? – lo chiama piano, avvicinandosi quasi con timore reverenziale, una mano protesa in avanti come se si trovasse davanti un cane spaventato e volesse farsi annusare per fargli capire che può sentirsi al sicuro.
Rin solleva la testa con uno scatto istintivo, dardeggiandolo con un’occhiata di fuoco, i denti serrati, le guance arrossate dallo sforzo del piangere. Sembra calmarsi, però, quando vede che si tratta solo di lui. Per qualche motivo, Rin lo trova del tutto inoffensivo. Per qualche motivo, questa cosa fa dolere il petto a Makoto in un punto nuovo, che non aveva mai sofferto prima.
“Sa che non sei una minaccia, per lui,” dice una voce cattiva nella sua testa, e Makoto non sa spiegarsi perché la trovi così irritante. Dovrebbe essere felice di non essere un pericolo per Rin, ma non è così. I contorni del viso di Haruka si condensano per un secondo davanti ai suoi occhi, ma scompaiono subito, inghiottiti dall’acqua, come spesso succede anche ad Haruka stesso quando Makoto, seduto a bordovasca, lo guarda nuotare in piscina.
Rin, nel mentre, ha smesso di stringersi le ginocchia al petto in un abbraccio tremante e si è alzato in piedi. Si asciuga gli occhi col dorso della mano, le spalle ancora scosse dai singhiozzi, ed abbozza un sorriso incerto.
- Credevo di essere rimasto solo io. – dice, stringendosi nelle spalle. Si avvicina alla panchina e solleva un asciugamano, col quale si asciuga sbrigativamente prima di indossare la felpa. Makoto si sente più in imbarazzo di lui, ha come l’impressione di avere appena ficcato il naso in qualcosa che non lo riguardava minimamente, e si sente in colpa, anche se sa di non averlo fatto apposta. – Scusa per lo spettacolo. È imbarazzante.
Makoto scuote il capo, stringendosi ancora lo zainetto contro il petto. Ora non ha più paura di poter vedere un fantasma, ma per qualche motivo Rin lo turba. Specie la velocità con cui è riuscito a piegare le proprie labbra arrossate dai morsi nel solito sorriso sereno e positivo, specie dopo aver pianto così tanto e così disperatamente. C’è qualcosa di sbagliato, in questo, qualcosa che lo preoccupa.
- Senti, - dice Rin, quando lo vede restare lì in piedi senza fare né dire niente, - Questo non dirlo ad Haruka, okay?
Makoto aggrotta le sopracciglia in un’espressione confusa.
- Perché? – domanda. La risatina di Rin riecheggia per tutta la stanza vuota, rimbalzando contro le pareti come l’eco delle gocce d’acqua che si schiantano sul pavimento piastrellato delle docce.
- Be’, mi prenderebbe in giro se sapessi che mi hai trovato qui a piangere come una femminuccia.
“Haru-chan non farebbe mai niente del genere,” pensa Makoto. Poi il ricordo di un giorno lontano – lacrime sulle guance, la mano di Haruka che lascia la sua, la sua schiena sbiadita dal pianto mentre lui si allontana senza voltarsi mai indietro – lo raggiunge veloce e forte come uno schiaffo, e Makoto pianta gli occhi per terra, stringendo le dita attorno allo zainetto.
Forse Haruka non prenderebbe mai in giro Rin per aver saputo che ha pianto, però forse lo abbandonerebbe.
Gli passa un lampo per la testa, una possibilità vaga – d’altronde, Haruka è sempre appiccicato a Rin, in questi giorni, è vero? D’altronde, Haruka non passa più tanto tempo con Makoto, da quando Rin si è messo in mezzo, è vero? D’altronde, Haruka non ha mai guardato Makoto con gli occhi con cui guarda Rin, è vero? – ma la mette subito da parte, sentendosi uno schifo anche solo per averla pensata.
- Non preoccuparti. – dice, con la voce che trema un po’, - Non gli dirò niente.
Vorrebbe andare via, perché non gli piace l’effetto che Rin ha su di lui. Non gli piace la persona che diventa quando è in sua compagnia. Vorrebbe essere una persona migliore, vorrebbe essere più gentile, vorrebbe essere meglio di ciò che è, ma la verità è che, quando si trova al suo fianco, diventa meschino, cattivo. E adesso Rin sorride ma i suoi occhi sono ancora rossi, e le sue guance sono ancora rosse, e la sua voce trema ancora un po’, e Makoto si sente così in colpa che vorrebbe sprofondare in un buco enorme fino al centro della terra e non risalire mai più in superficie.
Poi pensa al buio, e si sente tremare dentro. Per non perdere il controllo, mette il pensiero da parte, e si aggrappa con tutte le sue forze all’immagine del viso di Haruka per uscirne.
Per la prima volta, non basta. Ma la voce di Rin fa il resto.
- Posso chiederti una cosa? – domanda. Makoto solleva lo sguardo e fortunatamente è di nuovo lì, è saldo sulle gambe, non sta tremando, non si è messo a piangere. Poi tutto precipita. – Tu eri lì, vero?
Makoto spalanca gli occhi. Non sa perché, ma istintivamente sa già di cosa Rin sta parlando. Stringe i pugni e serra le labbra, perché non sa cosa rispondere. Il sorriso di Rin si allarga un po’.
- Tu eri lì quando la barca è affondata. – dice, - L’hai visto, mentre succedeva.
Il cuore di Makoto batte così forte che se lo sente scoppiare nel petto. Gli occhi di Rin danzano dal suo volto al pavimento, e brillano di una luce strana, quella di chi si fa del male consapevolmente.
- Com’è stato?
Makoto deglutisce a vuoto, le labbra che tremano. La memoria lo trasporta in un luogo diverso, distante nel tempo. I piedi sulla sabbia, il mare agitato di un colore così cupo da non sembrare più nemmeno l’oceano. Le urla, la confusione. Pioveva, forse? O stava solo piangendo?
- Orribile.
Rin annuisce, come avesse davvero avuto bisogno di sentirlo dire da lui per rendersene conto. Poi la sua voce si fa più dolce, sottile.
- Tu ci credi nei fantasmi, Makoto?
Makoto trema ancora. Odia essere qui, odia questa conversazione, odia tutto quello che sta accadendo ed odia Rin, lo odia tantissimo, per le cose che gli dice, per quello che lo costringe ad affrontare, per gli oceani che gli smuove dentro.
- Tu? – domanda con un filo di voce invece di rispondere, perché sa che rispondere di sì sarebbe ridicolo e, per qualche motivo, non vuole rendersi ridicolo davanti a Rin, - Tu ci credi?
Rin gli sorride con più sicurezza, adesso, le mani infilate nelle tasche della felpa.
- Io ci spero. – dice, - Se esistono, so che mio padre mi guarda, e lo renderò fiero di suo figlio.
La risposta è talmente inaspettata che Makoto sente scivolare tutta la paura e tutta la rabbia fuori da sé. Le sue spalle si rilassano, e le sue labbra si piegano in una smorfia incuriosita mentre fissa Rin come avesse improvvisamente cambiato colore.
- E come pensi di riuscirci? – domanda.
Rin ride, e Makoto capisce Haruka per la prima volta.
- Vedrai. – dice annuendo, - Sarà così fiero di me che tornerà indietro apposta per dirmelo.
Così preso alla sprovvista dalla sicurezza di Rin da non sapere nemmeno che cosa dire, Makoto annuisce vagamente. Spera solo di non essere lì, quando il fantasma del padre di Rin tornerà indietro dal mondo dei morti, perché se c’è una cosa di cui è sicuro adesso è che, se Rin vuole qualcosa, troverà un modo per ottenerla, e sarà disposto a fare di tutto per riuscirci.
- Mi raccomando, eh. – gli ricorda Rin, afferrando il proprio borsone e dirigendosi verso l’uscita a passo spedito, - Acqua in bocca con Haruka.
Curioso che usi proprio quest’espressione, pensa Makoto, portandosi una mano alla gola e stringendo appena. Lui il sapore dell’acqua in bocca lo sente già.