Genere: Erotico.
Pairing: Nessuno.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Self.
- Fin da piccolo, Rin ha sempre voluto una sola cosa. (No, non diventare il più grande nuotatore al mondo.)
Note: Voglio scrivere questa fic da quando io e la Caska, durante un'ispirata conversazione telefonica, abbiamo deciso che in realtà Rin piange sempre perché in realtà lui vorrebbe solo essere sfondato da un uccello enorme, e nessuno lo capisce, e lui poverino è costretto a fingersi un top quando in realtà è un bottom senza speranza, la qual cosa lo frustra fino alle lacrime. Povero Rin.
Poi a darmi la scusa per mettere in pratica il mio malvagio piano (?) è stato il MMOM, con la sua annuale carica di wank. Quest'anno il Def si è superato e, invece dei soliti dieci prompt, ce ne ha dati trentuno. Eqquindi io per forza dovrò scrivere trentuno fic. Questa era ispirata ad A.D.I.D.A.S. dei Korn, per ovvi motivi XD More will come. E' una minaccia promessa.
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A.D.I.D.A.S.

Fin da piccolissimo, non ha mai voluto altro. Ogni tanto immagina come potrebbe essere parlarne con Haruka e Makoto, chiedere loro se abbiano mai provato qualcosa di simile oppure se pensano che sia una cosa strana, e quando ci pensa finisce sempre per ringhiare di frustrazione e schiacciarsi il cuscino contro la faccia con forza, nel tentativo di soffocare via i pensieri. Anche se sono così ingombranti che fa una fatica del cazzo anche solo a cercare di ignorarli, figurarsi scacciarli via.
In ogni caso è sicuro che né Haruka né Makoto capirebbero. Ormai si sente abbastanza tranquillo da poter parlare con loro di quasi tutto, ma il sesso è questa grande nuvola di mistero che aleggia su tutti quanti e rende impossibile la discussione. Rin immagina che sia perché loro sono cresciuti in Giappone, mentre lui no. In Australia – così come più o meno nel resto del mondo civilizzato – parlare di sesso fra ragazzi è una cosa normalissima. Lui ricorda non solo i ragazzi più grandi, ma anche i suoi coetanei, a Sydney, parlarne come se fosse la cosa più banale del mondo, dicendo ad alta voce anche le robe più luride. Era imbarazzante, le prime volte, ma è diventato sempre più normale col passare del tempo, ed ora che è tornato in Giappone ed ha ripreso a frequentare tutti quanti spesso gli capita di dire qualcosa e fermarsi all’improvviso per notare come intorno a lui tutti siano arrossiti e abbiano smesso di parlare senza una motivazione valida, salvo poi realizzare di aver detto qualcosa di imbarazzante, e finire per sentirsi imbarazzato di riflesso.
No, non potrebbe parlarne con Haruka e Makoto, sarebbe ridicolo. Finirebbero per guardarlo come se fosse un alieno, Haruka sempre con quella sua espressione insopportabile, le sopracciglia inarcate, e Makoto sconvolto come se avessi preso un gattino a mazzate di fronte a lui dopo averlo legato alla sedia per costringerlo a guardare. Quelle non sono due persone con cui è possibile parlare di cose del genere. Ryugazaki, naturalmente, è fuori discussione, Rin non lo conosce abbastanza e, per quel poco che sa, è abbastanza sicuro che, se mai lui si avvicinasse con l’intenzione di affrontare un discorso simile, quello finirebbe per arrampicarsi sul primo albero disponibile e fingersi morto come un opossum finché lui non fosse andato via. Il che naturalmente lascia fuori solo Nagisa, e Rin è abbastanza sicuro che Nagisa sarebbe entusiasta all’idea di affrontare l’argomento (con chiunque, peraltro), ma per qualche ragione questo è proprio il motivo per cui Rin non ci proverebbe mai.
Potrebbe anche parlarne con Ai, volendo, ma Ai è pazzo. Rin non si fida di lui. Tende a prendere tutto troppo a cuore e riversare entusiasmo eccessivo sopra ogni cosa che Rin gli confida. Solo Dio sa che cosa potrebbe succedere se Rin gli parlasse di una cosa simile. Il suo istinto di conservazione gli dice che non è il caso.
Il fatto è che questa cosa è così fastidiosa che forse parlarne con qualcuno lo aiuterebbe a smaltire un po’ di frustrazione, ma dal momento che non può la frustrazione non fa che aumentare, e certe sere, quando chiude gli occhi e, anche se non vuole, comincia a fantasticare, è quasi insopportabile.
La prima volta che gli è venuto duro per davvero – duro per qualcosa di relativo al sesso e non per qualche randomica reazione corporea notturna o uno strofinio involontario contro qualche superficie morbida – è stato guardando un tizio che si masturbava su internet. Aveva dodici anni. Non è che fosse andato cercandola, una roba così, ma sì, stava cercando porno su internet. Non sapeva bene che tipo di porno, in realtà aveva subito capito che non doveva essere lui a cercare il tipo di porno giusto, gira e rigira sarebbe stato il tipo di porno giusto a trovare lui, e poi il tizio era apparso sulla pubblicità di un altro sito, Rin era andato in quella direzione e bam!, durissimo in meno di dieci secondi.
Aveva un affare di dimensioni surreali, il tizio. Rin non ne vedeva neanche la faccia e, peraltro, anche il fisico non è che fosse chissà che, ma quel cazzo era enorme, ed era stato come vedere la luce per la prima volta, tipo, un enorme cartello pubblicitario al neon si era acceso dentro la sua testa e diceva “questa è la roba per te, Rin”, e Rin aveva subito pensato lo voglio dentro. Prima ancora di capire le implicazioni pratiche di quel desiderio. Lo voglio dentro.
È stata la sua fantasia principale da quel momento in poi. L’unica, per un sacco di tempo. È stato in grado di masturbarsi per giorni seguendo sempre la traccia della stessa fantasia, lui schiacciato a pancia in giù contro il materasso mentre qualcuno dietro di lui lo tiene fermo per i fianchi e lo sbatte con tanta forza da fargli tremare il letto sotto le ginocchia. Certe sere non riesce neanche ad addormentarsi se prima non si è masturbato pensandoci. Certi giorni la frustrazione per non poterlo avere, per non poter sentire cosa si prova in realtà quando una cosa tanto enorme ti entra dentro, risvegliando tutti i tuoi sensi e scuotendoti fin nelle ossa, è talmente tanta che potrebbe perfino mettersi a piangere. Ogni tanto le dita sono sufficienti, ogni tanto riesce a farsele bastare, ma la maggior parte delle volte no.
Sospirando, si alza dal letto, passandosi una mano fra i capelli per ravviarli all’indietro. Si chiede dove sia finito Ai. Almeno, se ci fosse lui a riempire il silenzio appiccicoso della stanza, potrebbe distrarsi, smettere di pensarci, strappare questo fastidioso chiodo fisso dalle pareti del suo cervello e provare a concentrarsi su altro, ma lui non c’è, e non c’è niente da fare in questa camera vuota a parte continuare a fantasticare su cose che non può avere, e Rin è abbastanza sicuro che, continuando di questo passo, avrà un breakdown nervoso prima del diploma, e poi nota la busta fare capolino da uno dei cassetti della sua scrivania, e improvvisamente si ferma a fissarla.
È abbastanza sicuro di non averla messa lui lì. Anche perché, se l’avesse fatto, quella busta non sporgerebbe fuori come fa adesso. È anche abbastanza sicuro che non dovrebbe interessarsene, magari è roba di Ai che, disordinato com’è, l’ha infilata nel suo cassetto confondendolo con il proprio, ma al momento sta cercando una distrazione – una qualsiasi – così disperatamente che decide di mettere la riservatezza da parte e si china per aprire il cassetto ed estrarre la busta senza rovinarla.
Il punto è che, quando il cassetto viene aperto, la busta scivola sul pavimento e finisce dimenticata, perché proprio lì accanto, sul fondo, sopra gli appunti di non ricorda nemmeno che materia ordinatamente impilati, c’è un dildo gigantesco che Rin è sicuro, senza alcun margine di errore, di non avere mai visto.
Inizialmente si limita a fissarlo, tutti i muscoli del suo corpo immobili, come congelati. Sarà lungo almeno una trentina di centimetri, e spesso quanto il suo pugno chiuso. È nero e lucido, e sulla superficie sono riprodotte le pieghe e le nervature di un cazzo vero, con una precisione tale che è più facile del previsto dimenticare che si tratta di un’imitazione in PVC, perfino nonostante il colore. Non c’è niente di simulato nella fitta di desiderio che prende Rin allo stomaco quando il suo cervello riesce finalmente a gestire la consapevolezza della presenza di quell’oggetto in camera sua. Qualsiasi altra cosa perde importanza, mentre si china a recuperare il dildo dal cassetto, sollevandolo per poterlo osservare meglio.
È così bello. Rin ha smesso da tempo di essere un tipo da grandi chiacchiere, ma anche da ragazzino, quando bastava un niente per indurlo a parlare ininterrottamente per ore, la vista di un’erezione tesa e fremente ha sempre azzerato la sua capacità di formare pensieri coerenti. Non gliene frega niente di pensare coerentemente. Vuole solo questa cosa piantata dentro il più profondamente possibile, ovunque va bene, non importa, lo vuole così tanto che se non lo avrà adesso sarà costretto a mettersi a urlare.
Dà un’altra occhiata al cassetto e nota il piccolo tubetto monodose di lubrificante lasciato palesemente da Dio per la sua gioia, e lo prende in mano, tornando verso il letto. Si siede sulla sponda e poi scivola all’indietro sul materasso, fino a toccare la parete con le spalle.
Appoggia il tubetto sul materasso al proprio fianco, perché non ne ha bisogno adesso. Solleva il dildo, deglutendo a fatica. Ha letteralmente l’acquolina in bocca, ed è una cosa piuttosto imbarazzante, o almeno lo sarebbe se gliene fregasse qualcosa dell’imbarazzo. È difficile badarci quando stringe fra le mani questa cosa enorme, e sa di poterne fare ciò che vuole.
La solleva ancora, appoggiando le labbra sulla punta. Il sapore non è quello che si sarebbe aspettato. Lo pensava più pungente, più gommoso. Invece non è male. Lascia scorrere la lingua attorno alla sommità in movimenti lenti, circolari, abituandosi alla forma, alle irregolarità della superficie, alle dimensioni. Poi schiude le labbra, e il dildo gli scivola in bocca. Rin lo sente riempirla fino a rendere impossibile il passaggio dell’aria, lo sente premere sulla lingua e contro il palato, e si abbandona al riflesso spontaneo che lo costringe a succhiare e deglutire. Manda giù solo saliva, ma il pensiero di quello che potrebbe essere lo eccita fino a fargli dolere lo stomaco un’altra volta, e sotto i pantaloni della tuta è così duro da fare male.
In un gesto nervoso, si solleva sulle ginocchia, appoggiando il dildo sul materasso accanto a sé. Afferra il cuscino e lo sprimaccia fino a farne una palla informe, sulla quale si sdraia dopo essersi abbassato i pantaloni in fretta e furia, le guance arrossate dalla vergogna e dalla voglia. Si sistema in modo da tenere solo il bacino sollevato, la schiena un arco perfetto mentre afferra il dildo con una mano e stappa il tubetto di lubrificante con l’altra. Non sa quanto dovrebbe usarne e non è sicuro che quello contenuto nel tubetto sarà sufficiente. Decide di usarlo tutto e la sensazione viscida e un po’ bagnata che sente spandersi sotto i polpastrelli non lo infastidisce neanche un quarto di quanto aveva immaginato.
Mordendosi un labbro, affamato e impaziente, si piega quanto può, stringendo il dildo in una mano forte a sufficienza da tenerlo in posizione mentre lo guida verso la propria apertura, ma non abbastanza da lasciarselo sfuggire dalle dita. Lo lascia scivolare fra le proprie natiche in un movimento lento, verso l’alto prima e verso il basso poi, chiudendo gli occhi e rilasciando un sospiro tremante quando sente la punta minacciare di scivolargli dentro, per poi passare oltre con un sussulto improvviso.
Gli sfugge dalle labbra un gemito disperato privo di pudore, mentre prende a strofinarsi contro il cuscino. Non può più aspettare. Gli sembra di avere aspettato tutta la vita per questo. E forse non è quello che vorrebbe davvero, ma probabilmente è meglio così, perché forse quello che vuole davvero al momento non è davvero quello che gli serve. Quello che gli serve è qualcosa di enorme, qualcosa che possa riempirlo tutto, qualcosa che possa farlo sentire pieno fino a scoppiare e che possa poi svuotarlo per intero quando scivola fuori. Gli serve una cosa come questa, ma che possa controllare. E non c’è niente di meglio rispetto al dildo gigantesco che stringe convulsamente fra le dita, per questo.
Geme ancora, un misto confuso di dolore, frustrazione ed eccitazione, quando finalmente riesce a spingere la punta oltre la resistenza ostinata dell’anello di muscoli stretto attorno alla sua apertura. Sente la forma tiepida e dura del dildo farsi strada dentro di sé, ne sente i contorni con una precisione spaventosa, così acuta, all’inizio, da disegnare nella sua mente un’immagine perfetta di quello che sta accadendo, anche se non può vederlo. Dura solo pochi istanti, è un flash improvviso che si annacqua e sbiadisce quando comincia a muovere il dildo avanti e indietro, ma nella sua memoria resta la traccia di quell’immagine, e della prima scarica di piacere e dolore che l’ha seguita, e Rin la tiene stretta fra le dita come tiene stretto il dildo, nascondendo il viso contro il materasso mentre i suoi fianchi seguono il movimento che la sua mano gli impone, costringendolo a strofinare la propria erezione dolorosamente tesa e arrossata dal desiderio contro il cuscino, morbido abbastanza da fornirgli un incavo accogliente per le sue spinte.
È una sensazione piacevole, ma non quanto quella della penetrazione. Il dildo che gli scivola dentro lo riempie di brividi, di scariche di piacere così intense da lasciarlo stordito. Quando viene, non è perché si stava strusciando contro il cuscino. È perché ha finalmente ottenuto quello che voleva, spingendo il dildo dentro di sé fino alla base, sentendosi spalancarsi al suo passaggio fino a sentirsi fischiare le orecchie per il rombo furioso del sangue dentro ogni capillare del suo corpo.
Quando la sensazione comincia a sbiadire abbastanza da consentirgli di aprire gli occhi, ricordare dove si trova e provare ad imporre un ritmo meno frenetico al proprio respiro, Rin si solleva sui gomiti, gemendo appena per il dolore che gli provoca il dildo ancora dentro di lui a causa del movimento. Lo stringe fra le dita con cautela, guidandolo fuori e poi tornando a stendersi a pancia in giù sul materasso. Si sente esausto e tutto intorpidito. Se non ritenesse fuori discussione la sola idea di farsi trovare in quelle condizioni da Ai quando finalmente si deciderà a rientrare in camera, crollerebbe addormentato in quel momento senza aspettare un secondo di più.
Invece si alza in piedi, mugolando di disappunto, per provare a ripulire un po’ prima di dover fornire al suo compagno di stanza spiegazioni che non è sicuro di voler dare. Ed è allora che nota la busta scivolata fuori dal cassetto quando l’ha aperto. È caduta per terra e, preso com’era da tutto il resto, l’aveva completamente dimenticata.
La solleva dal pavimento, guardandola per qualche istante da un lato e dall’altro per cercare una qualche indicazione sulla busta. Non c’è niente, perciò, alla fine, scrollando le spalle, decide di tagliare corto ed aprirla.
All’interno è contenuto solo un biglietto bianco, semplicissimo. Vi sono scritte sopra solo poche righe.

Senpai,
non hai bisogno di dirmi niente.
Lo so.
Questo regalo è per te.
Fanne buon uso.


Stringe il biglietto fra le dita, rabbrividendo fin nel profondo. Non è firmato, ma non è necessario un genio per capire da parte di chi è. Ai gli fa una paura bestia. Non è sicuro di voler continuare a dividere la stanza con lui.
Lancia un’occhiata all’enorme dildo nero ancora da ripulire e poi nascondere da qualche parte, e non è sicuro di cosa dovrebbe pensare di tutta questa situazione. Vorrebbe davvero poterne parlare con Haruka e Makoto, ma dopo attenta riflessione decide di lasciare perdere. In qualche modo ne verrà a capo da solo. O forse non ne verrà a capo affatto, ma stranamente, in questo momento, non ne sente davvero nemmeno il bisogno.
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