Genere: Commedia.
Pairing: Dave/Kurt.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Dave Karofsky ha una missione, e fosse anche l'ultima cosa che fa nella propria vita la porterà a termine. Anche se ciò comporta mettere piede nel luogo più spaventoso che conosca.
Note: Storie che si aprono e si chiudono nel giro di un paio di giorni, io vi amo, e dovrei scrivere solo voi. Anche se siete assurde, come questa.
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HORROR HOUSE

Casa Hummel-Hudson è, come al solito, assolutamente terrificante. Dave è consapevole del fatto che in realtà sia una casa normalissima, perfino accogliente, di quelle che ispirano amore, famiglia, affollati pranzi di Natale e del Ringraziamento o di qualsiasi altra cosa sia possibile festeggiare con tavoli lunghi più di sei metri ed almeno una cinquantina di sedie attorno, col vischio appeso sopra ogni porta e miriadi di bambini sovrappeso vestiti da mostriciattoli che inseguono gatti paffuti agitando bastoncini di zucchero e inciampando su zucche finemente decorate mentre cuccioli di labrador con enormi occhi color cioccolato uggiolano lanciandosi felicemente addosso agli ospiti e rotolando sulle proprie stesse zampette incerte in sul background musicale di un estasiato coro di “aww”, ma lui la teme. Ne è terrorizzato. Essa è peggio di un castello incantato protetto da boschi di rovi e da draghi infuriati, e perciò, ogni volta che è costretto a visitarla, si immagina sempre come se fosse Shrek, pronto ad introdursi in questo spaventoso maniero per salvare la sua Fiona.
Pensa a Shrek perché pensare ad un principe stile damerino-di-Biancaneve (la cui canzone d’amore Kurt conosce a memoria) sarebbe estremamente inappropriato, per lui. Non riesce a immaginarsi in calzamaglia e mantellino e col rossetto – perché palesemente il principe di Biancaneve ce l’aveva, il dannato rossetto – mentre si sdilinquisce sotto il balcone di Kurt cantando nenie intollerabili sulla meraviglia della sua pelle bianca come la neve e delle sue gote rosse come mele eccetera eccetera. No, quello era il metodo di Blaine, e lui è stato mollato. Quindi Dave non ripercorrerebbe il sentiero già battuto da lui neanche per tutto l’oro del mondo.
Il punto della questione, comunque, non è tanto immaginarsi sotto forma di un principe palesemente gay o di un orco verde palesemente disgustoso, no, quanto più cercare di immaginarsi in mezzo ad una quest il più avventurosa e spaventosa possibile, perché onestamente l’idea di avere paura di questa dannata casa proprio in quanto casa della famiglia Hummel-Hudson è disturbante. No, lui non ha paura di una stupida casa. O di chi la abita. Assolutamente.
Lui ha paura perché lui ha una missione da compiere. Una questione di vita o di morte. Una cosa di un’importanza talmente esagerata da meritare di essere trattata con tutto il rispetto e il sacro timore che si riserverebbe ad una crociata, o qualcosa di simile.
Per questo Dave Karofsky ha paura.
Non certo perché i membri della famiglia del ragazzo che gli piace – nonché, per certi versi, anche il ragazzo stesso – sono fra le creature più assurde e spaventose che gli sia mai capitato di incontrare in tutto il corso della sua vita.
Ormai è passato quasi un anno esatto dalla prima volta che, costretto dalle circostanze, si è ritrovato sulla soglia di questa casa. Dovrebbe ormai essere abituato a frequentarla, visto che a quella prima occasione – il primo PFLAG Meeting organizzato dalla nuova e scintillante Gay-Straight Students Alliance di cui Kurt per parecchi mesi è stato socio e consocio fondatore, presidente ed unico partecipante che non si trovasse lì perché obbligato dal programma scolastico – ne sono seguite poi moltissime altre, che si sono poi naturalmente trasformate in allegri pomeriggi passati assieme a Kurt non perché obbligato da una nota del preside Figgins ma per semplice desiderio di farlo, e in tutto questo tempo Dave ha imparato a conoscere le insidie e gli anfratti nascosti, le numerose trappole che ogni angolo di quella struttura ha in serbo per lui, pronta a sguinzagliare forze demoniache al suo solo passaggio, ma ciononostante ancora ne ha paura. Anche perché molti dei tranelli che la casa degli orrori gli tende lui dovrebbe avere imparato a scansarli con grazia e agilità, e invece niente. Forse proprio perché grazia e agilità non rientrano esattamente in nessuna delle poche pagine che compongono il suo vocabolario. Kurt ha provato ad aggiungerle sui bordi bianchi di quel vocabolario immaginario con un pastello rosa, spargendo porporina ovunque, ma non ha ottenuto altro che una gran confusione e una crisi isterica da parte di Dave che, al ventesimo tentativo di fargli pronunciare le frasi per esteso senza contrazioni si è messo a piangere in un angolo strillando che se le contrazioni erano state inventate era stato per aiutare la gente, quindi erano una cosa buona, quindi andavano utilizzate, e quindi Kurt era inutilmente crudele contro la lingua inglese nel cercare di impedirgli di farne buon uso.
Insomma, in assenza di grazia e agilità, conoscere a memoria le insidie di quel luogo tremendo non è di alcun aiuto, e difatti ogni qualvolta Dave si ritrova a varcare la soglia dei cancelli infernali per entrarvi lo fa col cuore in gola, l’ansia tipica del condannato a morte ad attanagliargli il petto e lo stomaco, costringendolo a sudare – cosa che odia, perché sa che Kurt la nota, e ciò è oltremodo fastidioso – e a respirare affannosamente – altra cosa che odia, perché così sembra che i passi gli costino fatica, e questo palesemente aumenta l’impressione che a suo modo di vedere Kurt ha sempre avuto di lui, e cioè che lui fosse molto più sovrappeso di quanto in realtà Dave poi non sia; Dave è certo che, nella testa di Kurt, lui sia un ciccione rotolante, e questa cosa lo angoscia a livelli difficilmente comprensibili, livelli che lui stesso faticava a inquadrare in una qualsiasi definizione razionale, prima di capire la triste, spaventosa e devastante verità.
Triste, spaventosa e devastante verità che è un po’ il punto cardine di tutte le motivazioni per le quali Dave continua a presentarsi a casa Hummel-Hudson nonostante la odi; ed è un po’ il punto cardine di tutte le motivazioni per le quali Dave si trova qui adesso, anche, pronto a compiere l’ultimo passo verso la confessione finale.
Deglutendo forzatamente e rischiando di soffocarsi con la propria stessa saliva come un imbecille, Dave si decide finalmente a suonare il campanello. Non passa molto prima che riesca a percepire l’ormai familiare scalpiccio di piccoli e graziosi piedi di donna, e passa ancora meno fra il momento in cui percepisce questo suono e quello, quasi immediatamente successivo, in cui la porta di casa si spalanca sul sorriso esagitato e luminoso di Carole.
Dave si tira istantaneamente indietro. Questa creatura lo disturba profondamente. Può sembrare forse il livello più semplice da superare all’interno della quest mentale che, in un palese sfoggio di totale schizofrenia, si è costruito attorno, ma ciò non toglie che sia un arduo nemico anche lei.
Per prima cosa, la donna abbraccia.
La donna abbraccia.
Tutti gli esseri umani che abbiano compiuto quarant’anni dovrebbero essere a conoscenza della regola basilare di convivenza con gli adolescenti maschi dagli anni diciassette in su, secondo cui essi non vanno toccati per nessun motivo che non sia l’intenzione di infilargli una mano nelle mutande e masturbarli, ed anche in quel caso né prima, né durante, né tantomeno dopo sono compresi gli abbracci.
Gli abbracci sono il male. E quella donna li usa come arma contro di lui.
Cercando di dare fondo a tutta la propria atletica destrezza, Dave si ingegna nel provare a passarle accanto superando la minaccia delle sue braccia già tese verso di lui, ma ovviamente fallisce. Non c’è atletica destrezza, in lui, ed è per questo che fa la guardia e non il quarterback. A lui viene bene lanciarsi sulle persone e schiacciarle a morte, non sfuggire alle loro fameliche braccia desiderose di stringerlo in teneri abbracci materni. Ma lui poi non ha bisogno di teneri abbracci materni, lui possiede già una madre che ottempera a tutte le sue necessità di provare dell’imbarazzo per contatti assolutamente inappropriati come questo! Che la madre di Hudson se ne stia al posto suo, per carità di Dio.
- Dave! – urlacchia la donna, avvolgendogli le braccia attorno al collo in un palese tentativo di soffocamento, - Che piacere vederti. Capiti giusto a proposito, ho appena sfornato una crostata di albicocche che è semplicemente la fine del mondo. Ti va di provarla? – domanda zuccherina. Dave, se potesse, incrocerebbe gli indici e strillerebbe “vade retro, satana!”. Cosa crede di fare agitandoti davanti agli occhi i suoi turpi tentativi di ingrassarti? Non sa che all’usuale programma di sollevamento pesi ora hai aggiunto anche una corsetta attorno al parco alle sei di ogni mattina per perdere un po’ di peso? Nessuno qui presta la dovuta attenzione ai tuoi tentativi di non apparire come un disgustoso botolo ciccioso agli occhi di Kurt! Mostri. Sono tutti mostri, ecco cosa.
- Ehm, no, signora Hudson, grazie mille. – declina educatamente, scuotendo il capo. – Senta, Kurt è in casa? Dovrei parlargli.
- Oh, ma sì, naturalmente. – risponde lei in un cinguettio estasiato, - Vieni, accomodati pure. – lo invita, ed è allora, entrando in casa, che Dave percepisce l’approssimarsi di un ulteriore pericolo.
- Chi è, Carole? – tuona burbera la voce del signor Hummel, e Dave rabbrividisce da capo a piedi.
Anche quell’uomo, come quasi tutto il resto di ciò che quella casa contiene, lo terrorizza a morte. Ma Dave ha ottimi motivi per sentirsene terrorizzato, anche se Burt non fa quasi mai niente di inappropriato, quando lui è nei dintorni. Non cerca di abbracciarlo, tanto per cominciare, non cerca di offrirgli torte ipercaloriche, non cerca di legare con lui a tutti i costi parlando di football – anche perché, Dave ne è quasi certo, se affrontassero l’argomento come minimo scoprirebbero di tifare per due squadre avversarie e porre così il definitivo mattone sul muro d’odio reciproco che ormai da più di un anno stanno alacremente costruendo fra loro – insomma, se ne sta più o meno sulle sue, e questo Dave lo apprezza e lo rispetta.
Ma quell’uomo gli è saltato addosso, un anno e mezzo fa. Quell’uomo gli è letteralmente saltato addosso scaraventandolo contro un armadietto e poi scaraventandosi contro di lui e premendogli un dannato avambraccio contro la gola nel bel mezzo di un maledetto corridoio scolastico pieno di studenti e professori che ovviamente smaniavano per interessarsi di qualsiasi cosa che non fosse la violenza che lui stava subendo in quel momento. Queste non sono cose che una persona possa dimenticare facilmente. E quindi, anche se sa perfettamente che Burt non si sognerebbe mai di ripetere la propria eroica performance in difesa della virtù violata del suo unico figlio maschio adesso che tanto tempo è passato e tante cose sono cambiate, Dave ritiene comunque di avere ancora il diritto di mostrare sacro timore nei confronti di questo soggetto dall’aria cupa e inquietante.
Gli si avvicina pertanto con una certa reverenza.
- ‘Sera, signor Hummel. – saluta con un educato cenno del capo, - Cercavo suo figlio.
- Il tuo hobby preferito. – risponde l’uomo, lanciandogli un’indecifrabile occhiata di ghiaccio. Alle volte Dave ha seriamente l’impressione che Burt si stia preparando a diventare il suocero peggiore nella storia dell’uomo. Usualmente a Dave non piace lasciarsi andare al pensiero, perché la suocerizzazione mentale di Burt implica la proiezione virtuale di tutta una serie di filmini dietro i quali Dave può perdere anche ore intere fissando il vuoto con aria persa e la bavetta alla bocca, ma ci sono momenti in cui è difficile ignorare la sensazione, specie quando lo vede diventare così improvvisamente suoceresco tutto assieme. È inquietante, è qualcosa nel suo sguardo, nelle battute amare che fa, nel modo in cui si muove, qualcosa di spaventoso che, se Dave sapesse controllarsi appena meno di quanto non sappia controllarsi – che pure è molto poco, in realtà – lo porterebbe a strillacchiare “signor Hummel, la smetta, non l’ho ancora sposato, buon Dio!”. Fortunatamente, mai una frase simile è sfuggita dalle sue labbra. Ancora.
Ma la paura che ciò possa accadere da un momento all’altro è forte, e sicuramente Dave non riuscirà più a trattenersi, e l’Inferno verrà pertanto rovesciato sulla terra sovvertendone gli equilibri e causando distruzioni e morte ovunque, se lui continua a rimanere attorno al signor Hummel a farsi suocertrollare. Motivo per il quale risponde alla battuta con una lieve risatina e poi si avventura coraggiosamente al piano di sopra, dove lo aspettano il penultimo livello e il boss finale.
A un occhio meno esperto, o a un osservatore occasionale, potrebbe forse sembrare che Finn Hudson non sia esattamente ascrivibile all’elenco dei soggetti pericolosi che abitano in questa casa. Il curioso di passaggio potrebbe forse ridere del profondo terrore che attanaglia il cuore di Dave nel salire le scale, perché penserebbe “ohibò! Dopo aver superato gli appiccicosi abbracci di mamma Carole e dopo essere sopravvissuti al terrificante atteggiamento di papà Burt, cosa mai potrebbe farti paura adesso? Non c’è niente che Finn possa inventarsi per rappresentare per te un pericolo maggiore”, ecco, questo direbbe il pellegrino distratto della domenica, e naturalmente sarebbe in errore.
I problemi con Finn sono cominciati prima, in realtà, prima che Dave capisse di essersi preso una cotta di quelle pesanti per il di lui fratellastro, prima che tale fratellastro si mettesse in testa di organizzare i PFLAG Meeting che avevano condotto Dave a prendere atto di questa verità, prima ancora, a onor del vero, perfino che il fratellastro in esame decidesse di tornare al McKinley. Tutto era cominciato con gli zombie. Era stata colpa dei dannati zombie, ecco. Era stato allora, in occasione di quel ridicolo bootcamp, che Finn aveva cominciato a interessarsi, e che Dave aveva cominciato a temere.
Finn è sostanzialmente insostenibile. Appiccicato come una cozza e stupido uguale, vive la sua vita costantemente immerso in un flusso di canzoni che si canta nella testa continuativamente, e che ogni tanto lo portano ad esplodere e a cominciare a cantare pure nella vita vera, sotto gli occhi di tutti. In questo senso, lui e quella nana della sua ragazza isterica e dall’indubbio cattivo gusto nel vestire sono fatti decisamente l’uno per l’altra. Ma questo non è il punto della questione, il punto della questione è che Finn ha sempre avuto questo spiccato atteggiamento da gallo alfa del pollaio, se un qualcosa di simile a un gallo alfa del pollaio esiste, per cui qualsiasi problema c’è lo deve risolvere lui, e qualsiasi difficoltà uno dei suoi ragazzi possa avere lui deve farsene carico sulle proprie sbilenche spalle da spaventapasseri spelacchiato.
È questo che è successo durante il bootcamp. Nel corso della loro breve ma indubbiamente intensa frequentazione in quel periodo, Dave potrebbe – o non potrebbe, si parla naturalmente per ipotesi – essersi comportato con Finn come se, in qualche modo, lontanamente, da un certo punto di vista, sotto una luce particolare ed inclinando la testa di novantacinque gradi rispetto all’asse di rotazione terrestre, stesse cercando da lui dell’approvazione, o dell’aiuto. Potrebbe – o non potrebbe, sempre – avere espresso a parole l’intenzione di stringere con lui un legame amicale di un certo qual tipo, intenzione che avrebbe potuto essere giudicata come tale solo guardandola attraverso uno specchio in grado di ingrandire e allo stesso tempo ribaltare l’immagine riflessa, ma che cionondimeno avrebbe potuto essere interpretata in questo modo. Potrebbe o non potrebbe avere fatto tutto ciò, e questo potrebbe – o non potrebbe, naturalmente – essere stato l’errore più grande della sua intera esistenza, perché da quel momento lui è diventato anche un problema di Finn. Una cosa che Finn doveva incaricarsi di risolvere in quanto quarterback, cantante solista dei New Directions e protagonista principale del ridicolo teen-show che si gira da solo in testa quando è convinto che nessuno lo guardi, e che – Dave ne è sicuro – deve essere scritto coi piedi, anche solo per il fatto di avere lui come protagonista.
Insomma, Finn ha deciso, in quel giorno lontano, che doveva essere lui a risolvere tutti i problemi di Dave Karofsky. Ed è stato molto palese nel farglielo sapere, prima cercando di legare con lui in qualsiasi ridicolo modo – mostrandogli fumetti idioti ed aspettandosi che Dave li trovasse divertenti ed esaltanti come sembrava fare lui, per dire, o approcciandolo casualmente durante gli allenamenti per parlare di tattica quando non aveva mai fatto una cosa del genere prima di quel momento – e poi cercando di convincerlo a rapire Kurt per riportarlo al McKinley, sottraendolo all’abbraccio in puro cotone traspirante della divisa della Dalton.
È stato allora che Dave ha sentito la necessità di porre un limite, e l’ha posto, oh!, se l’ha posto, e fortunatamente dopo lo spiacevole episodio del “Dave! Vieni con me a chiedere scusa a Kurt!” “Mai nella vita, Hudson” i rapporti fra lui e Finn si sono raffreddati a sufficienza da rientrare in una zona meno pericolosa – anche perché poi Finn ha ritenuto più opportuno mettersi a fare cose allucinanti tipo cambiare ragazza due volte in due mesi e imbastire banchetti ai quali offriva se stesso per pochi spiccioli come d’altronde a Dave sembra anche logico, visto che chi pagherebbe più di pochi spiccioli per baciare Finn Hudson? – ma ora tutto sta precipitando nuovamente. E per ora si intende naturalmente da sei mesi a questa parte, ovvero da quando la frequentazione di Dave di casa Hummel-Hudson e dei suoi spaventosi misteri s’è fatta più assidua, e da quando lui ha cominciato a sospettare di essersi innamorato di Kurt.
Finn deve essersi accorto, in qualche modo, del suo imbarazzo. Delle difficoltà che ha di stare attorno a Kurt senza arrossire, agitarsi, rovesciare bicchieri di coca cola sulle tovaglie, inciampare, muoversi in maniera scoordinata, urtare mobili, frantumare inermi stoviglie e scaraventare involontariamente a terra placide bocce contenenti innocenti pesci rossi per salvare i quali è poi costretto a lanciarsi verso il primo lavandino disponibile per riempire bicchieri d’acqua che possano fungere da abitazioni provvisorie finché una nuova boccia non viene acquistata.
Sono, naturalmente, tutte prove indiziarie. A chi non è mai capitato di arrossire a caso? O di colpire involontariamente qualcosa mentre si era distratti? O di rovesciare il contenuto di un bicchiere per pura e semplice goffaggine? Sono cose assolutamente normali. Nessuno dovrebbe poter desumere un qualche disagio da dettagli così palesemente insignificanti, anche se occasionalmente capita che tutte queste cose si verifichino contestualmente nel giro di una mezz’ora. Ma Finn evidentemente ha un sesto senso che gli permette di comprendere chissà cosa anche da questi irrisori episodi, ed ha quindi intuito che Dave ha un problema.
Ciò non sarebbe un problema per Dave, se Finn si limitasse a tenersi questi infamanti sospetti casualmente corrispondenti a verità per sé, ma dal momento che, come già detto in precedenza, l’animo profondamente egocentrico di Hudson gli impedisce di stare alla larga dai problemi della gente, ecco che il dramma si verifica in tutta la sua drammatica drammaticità: ogni volta che Dave sale al piano di sopra, sa già che Finn Hudson sarà lì, pronto a lanciare la sua rete per catturarlo. E infatti, puntualmente, anche stavolta accade.
- Karofsky. – lo chiama piano, attirando la sua attenzione da un angolo del corridoio, addossato alla parete del quale lui sta appoggiato, tutto storto e goffo come la sua allucinante statura gli impone, le braccia incrociate sul petto e sul volto un’espressione talmente investigativa che potrebbe esserlo di più solo se indossasse un impermeabile color kaki e un cappello a tesa larga appropriatamente misterioso.
- Hudson… - si lamenta Dave, coprendosi il viso con entrambe le mani e fermandosi in mezzo al corridoio, - Cosa diavolo ci fai qui?
- Be’, è casa mia. – risponde placido Finn, staccandosi dalla parete e avvicinandosi di un paio di passi.
- Intendevo qui, in mezzo al corridoio. – ribatte Dave con un sospiro, inarcando un sopracciglio. – Seriamente, se tu pensi che sia normale stare qui nascosto nell’ombra ad aspettarmi ogni volta che vengo a trovare Kurt, allora—
- Se c’è qualcuno che non dovrebbe mai parlare di normalità, Karofsky, quello sei tu. – lo interrompe Finn, fermandosi a un paio di passi da lui, e cioè comunque troppo vicino rispetto ai normali standard di distanza che due adolescenti maschi della loro età dovrebbero rispettare, anche se uno dei due è gay. – Questo perché tu hai un problema, e prima o poi dovrai dirmi di cosa si tratta.
- Perché?! – sbotta Dave, allargando le braccia ai lati del corpo, - Se anche avessi un problema, spiegami per quale oscuro motivo dovrei venirlo a dire a te! Non siamo neanche amici!
Finn spalanca gli occhi, indietreggiando appena. Sembra perfino oltraggiato, e Dave non può fare altro che complimentarsi con se stesso perché, pur andando del tutto alla cieca, sembra aver trovato una contromisura adeguata alla smania di controllo che agita il cervello di Finn impedendogli di badare solamente ai fatti propri.
- Questo è un colpo basso, coso. – annuncia con voce tremula, indietreggiando ancora, presumibilmente verso la propria stanza.
- Non chiamarmi coso, coso! – strilla Dave, oltraggiato tanto quanto lui, muovendosi speditamente verso camera di Kurt. Questo luogo è per lui assolutamente insostenibile. Dovrebbe essere così semplice entrare in una casa, salire al piano di sopra e bussare ad una porta per andare a trovare un amico! E invece per lui è tutto difficilissimo! E naturalmente non è certo per colpa sua o della sua incommentabile goffaggine nel momento in cui deve avere a che fare con altri esseri umani con cui interagire. Nossignore, per niente. Sono gli abitanti del luogo che sono pazzi.
Anche adesso che non ci sono più ostacoli fra lui e il suo obbiettivo finale, in realtà, la paura non lo abbandona. E questo perché Kurt è pazzo tanto quanto i suoi familiari, come ovviamente era prevedibile. E la pazzia di Kurt supera in qualsiasi scala di misurazione di gran lunga la pazzia di tutti gli altri. È un po’ come se all’inizio della catena di montaggio che ha poi prodotto la famiglia Hummel-Hudson ci fosse un enorme barile pieno di pazzia, e degli stampini in cui questa pazzia andava versata per creare esseri umani che ne fossero ricolmi. Sono stati creati Burt, Carole e Finn, pieni di pazzia fino all’orlo, come uova, e nonostante questo con tutta la pazzia avanzata si sarebbero potuti realizzare almeno altri quattro o cinque esseri umani ugualmente strabordanti di pazzia, ma era rimasto un solo stampino, e quindi tutta la pazzia rimanente è stata versata in quello, creando un essere umano talmente ripieno ed esondante di pazzia da rappresentare il matto definitivo. E questo era Kurt. Non stiamo parlando di un semplice boss di fine livello. Questo è il boss finale.
Prima di bussare alla porta, Dave si prende un momento solo per se stesso e, fissando le venature del legno con aria ipnotizzata e vagamente assente, si chiede chi glielo stia facendo fare. Perché, pur ben consapevole della pericolosità del generale livello di insanità che si respira in questa casa, vuole comunque varcare questa soglia e chiedere a Kurt di diventare il suo ragazzo e andare con lui al ballo studentesco?
Aspetta la risposta per qualche secondo, ma quella non fa in tempo ad arrivare perché, dalle profondità del corridoio, comincia a venire fuori la voce lamentosa di Finn che riprende a cercarlo, probabilmente credendo che un secondo tentativo di venire a capo del suo problema sarà meno infruttuoso del precedente. Terrorizzato dalla sola idea di trovarsi nuovamente faccia a faccia con lui, Dave bussa un paio di volte, sorridendo sollevato quando la porta si apre e lo accoglie oltre la soglia il sorriso estasiato di Kurt.
- Dave! – lo chiama festoso, - Vieni, vieni! – saltella, afferrandolo per un braccio e trascinandolo all’interno per poi chiudersi immediatamente la porta alle spalle. Dave si concede di immaginare quella stessa porta sbattere sul naso già peraltro abbastanza brutto di Hudson, ed è l’ultimo pensiero distratto che si consente di indirizzare a qualcuno che non sia Kurt, prima di concentrarsi esclusivamente su di lui, e naturalmente sulla propria fondamentale missione.
- Ehm, Kurt, ciao. – lo saluta, mentre Kurt continua a trascinarlo verso quella che è la sua cabina armadio, e che in realtà più che una cabina armadio è un appartamento indipendente dotato di bagno privato e di una stanza in più all’interno della quale Kurt ha montato la propria macchina per cucire, e che sostanzialmente utilizza come sartoria personale. – Non hai idea della fatica che ho fatto per arrivare fin qui.
- Fatica? – domanda Kurt, completamente disinteressato all’argomento, posando Dave su un enorme pouf rosa fastidiosamente peloso, - David, non dire sciocchezze, casa mia e casa tua distano appena due isolati. Sei un po’ sovrappeso, ma è letteralmente impossibile che pochi passi ti abbiano stancato a questo punto. – sbotta, mentre una fitta di dolore all’altezza del petto annuncia a Dave che il suo sistema nervoso ha stabilito che è più facile morire che intavolare una conversazione sensata con Kurt, ed ha pertanto avviato la procedura di autodistruzione.
- Uh… sì. – piagnucola Dave, guardando in basso e cercando di affondare nella peluria del pouf per scomparire alla vista il più possibile, - No, non intendevo in quel senso, comunque ok. Senti, Kurt, ho bisogno di parlarti. – prova, con piglio più sicuro, ma Kurt lancia un urletto stridulo che gli scompiglia tutti i capelli e Dave salta sul posto, una mano sul petto, guardandosi attorno per assicurarsi che nessun animale strano sia apparso all’improvviso a generare la paura di Kurt.
Ovviamente, non c’è nessuno strano animale. Solo Kurt, il quale sta reggendo fra le mani una giacca di un qualche tessuto assurdamente traslucido di un intenso color ciclamino, ed un berretto in coordinato, con un’elegante fascia di seta nera tutta attorno alla tesa.
- Guarda! – strilla, prendendo il tutto ed esponendoglielo con orgoglio, - È finalmente pronta!
- …non ho idea di cosa tu stia parlando. – ammette Dave, fissandolo con sconcerto. – Comunque, ti sarei grato se potessi ascoltarmi un attimo, voglio—
- Ma come non hai idea di cosa io stia parlando?! – sbotta Kurt, praticamente spalmandogli la giacca sulla faccia, come se averla a due millimetri dagli occhi, schiacciata contro il naso e mezza infilata in bocca dalla foga con la quale è stata premuta contro il suo viso, potesse aiutarlo a visualizzarla meglio. – È la nuova divisa per i Bully Whips! – squittisce estatico, ritirandola verso di sé solo per stringersela al petto come un figlio adorato.
Il programma di protezione degli adolescenti gay dal bullismo imperante al McKinley ha fatto molta strada da quando, più di un anno fa, Santana e Dave l’hanno messo in pratica per la prima volta. Adesso è un’organizzazione, con dei capi, dei responsabili, una gerarchia e una ventina di iscritti solo fra le guardie del corpo. Insomma, sostanzialmente è diventata una casta di cui Dave fa ancora orgogliosamente parte, anche se solo in veste di rappresentanza, un’attività che lo riempie anche di un certo orgoglio, specie quando gli chiedono di andare in giro per gli altri licei di Lima e delle città limitrofe, per tenere ispirati discorsi sulla bontà del programma e sui suoi sicuri effetti sulla vivibilità degli ambienti scolastici.
Già da un po’ Kurt blaterava dell’impossibilità di tenere ancora quella divisa così rustica e rudimentale, adesso che i Bully Whips sono una cosa molto più seria di quella che erano all’inizio, ma Dave non pensava che dicesse sul serio. E in ogni caso non gli interessa parlare della nuova divisa proprio in questo momento, a una settimana dal ballo. E comunque non indosserà mai niente che sia color ciclamino, dovesse morire nel tentativo di impedire a qualcuno di infilargliela addosso.
- Kurt, possiamo parlarne dopo? – tenta, la voce tremula e l’aria di uno che ha decisamente bisogno di più comprensione dal mondo circostante. Kurt, naturalmente, lo fissa di rimando, inarcando un sopracciglio, con l’aria di uno che se ti aspetti comprensione da lui, buona fortuna.
- No, naturalmente! – strilla, - Adesso ho bisogno che tu ti spogli. – aggiunge, annuendo perentorio. Dave spalanca gli occhi, salta in piedi e rovescia il pouf, il quale urta la torre di scatole di scarpe vuote che Kurt conserva in un angolo, le quali rovinano a terra sparpagliandosi ovunque e gettando l’intero ambiente nel caos primordiale.
- Cosa?! – grida quindi, giungendo le mani sul petto come a proteggersi, - Che?! No!
- Dave! – ribatte Kurt, sconvolto, - Devi provare la giacca! Voglio vedere come veste!
- No! – insiste Dave, sconvolto, sconcertato e con una gran voglia di lanciarsi contro la prima finestra disponibile e sparire nell’iperspazio, - Me ne vado!
- Che?! Ma sei appena arrivato! – sbotta Kurt, afferrandolo per le maniche della felpa, - Andiamo, via questa roba!
- No! – si agita Dave, turbato fin quasi alle lacrime. Non può lasciare che Kurt lo spogli! Ma che storia è?! Non ha senso! Perché la sua quest ha improvvisamente preso questa piega assolutamente delirante? Lui aveva un piano! Doveva soltanto seguirlo! E invece eccolo qui che cerca di difendersi da una palese violenza sessuale dopo aver evitato madri, scansato padri, dribblato fratellastri e rovesciato colonne alte metri di scatole di scarpe vuote! No, non può lasciare che questo accada. Non può lasciare assolutamente che questo accada prima di… prima di…! – Kurt! – strilla, afferrando il ragazzo per entrambe le spalle e scuotendolo un paio di volte per obbligarlo a interrompersi, - Mi piaci! Ti prego, diventa il mio ragazzo! Voglio che tu venga al ballo studentesco con me! – butta fuori, tutto d’un fiato, e quando riapre gli occhi, terrorizzato, sente il bisogno fisico di provvedere a suicidarsi quanto prima nell’osservare lo smarrimento e lo sconcerto nelle iridi chiarissime di Kurt.
- Cos… che? – biascica, fissandolo sgomento. Dave si allontana da lui, grattandosi la nuca, e si schiarisce la voce, recuperando dalle profondità della propria coscienza il discorsetto che s’era preparato prima di arrivare e che naturalmente, con tutte le cose che sono successe, non ha ancora avuto modo di pronunciare.
- È… è dal ballo dell’anno scorso che rimpiango di non aver seguito il tuo consiglio. – comincia, stringendosi nelle spalle, - Sai, fare la differenza, dire la verità. Ballare con te. – aggiunge, lanciando a Kurt un’occhiata vagamente imbarazzata e tornando poi a fissarsi la punta delle scarpe. – È da allora che aspetto questo momento, per cercare di… di riparare. Perché… - guarda Kurt ancora una volta, arrossendo violentemente e gettando alle ortiche il discorso perché non ci si può davvero aspettare che un uomo provato da mille pericoli quale lui è parli in maniera assennata, adesso. Andrà a braccio, sperando che Kurt capisca. - …perché, oh, perché mi piaci, e vorrei avere un’occasione di dimostrarti che sono un bravo ragazzo, e— cioè, te l’ho dimostrato già più volte nel corso dell’anno che sono un bravo ragazzo, con tutta la questione del PFLAG, e i Bully Whips, e tutto, ma vorrei dimostrartelo di più, e siccome mi piaci davvero tanto, e siccome non c’è più quel tizio che ti portavi dietro fino all’anno scorso, e non c’è più, vero? no che non c’è più, sì? E insomma, vorrei davvero che—
- Dave! – lo interrompe all’improvviso Kurt, e Dave non ha altra scelta che smettere di parlare per la duplice ragione che Kurt sta ridendo e la sua risata suona come campane in festa, e che comunque sta premendo il palmo di una mano contro la sua bocca per zittirlo. – Calmati un secondo. – ridacchia. Dave produce un suono naturalmente incomprensibile contro la sua mano, e poi si placa. Solo allora, Kurt la ritira, ridacchiando ancora una volta. – È… abbastanza inaspettato. – dice. Ma non sembra disgustato. Questo è già un enorme segnale positivo rispetto a quello che Dave aveva prefigurato. Qualcosa di orribile che comprendeva cose potenzialmente pericolose puntate verso parti del corpo potenzialmente molto dolenti. – Non so bene cosa pensare di tutta la questione del piacersi e dello stare insieme, intendo… - scrolla le spalle con un risolino, - non è che tu non mi piaccia, ma è un po’ fare il passo troppo lungo rispetto alla gamba, ti pare?
Dave abbassa il viso, lo sguardo e, se potesse, abbasserebbe pure le orecchie.
- S-Sì… - ammette, dispiaciuto, e sta per chiedere a Kurt se questo vuol dire che non andrà nemmeno al ballo con lui, quando Kurt gioca d’anticipo e sorride ancora.
- Al ballo con te però ci vengo volentieri. – lo rassicura, - Anche io rimpiango di non avere avuto l’occasione di ballar col mio legittimo sovrano. – ridacchia. Dave arrossisce vistosamente, ma immagina che Kurt non abbia la minima idea di cosa queste parole possano implicare se viste in un’ottica appena più da flirt spensierato rispetto a quella dalla quale Kurt stesso le sta guardando, e quindi, per non traumatizzarlo ulteriormente, non sottolinea la cosa. Si limita a sorridere fiducioso, per la prima volta da quando è entrato in questa casa, e quando Kurt, pochi secondi più tardi, gli chiede se può occuparsi lui del suo look per quella sera, lui è talmente felice, sereno e soddisfatto di sé che non si dà neanche la pena di darsi dell’idiota e mettersi a piangere.
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