Genere: Drammatico.
Pairing: Kurt/Blaine, Kurt/Dave.
Rating: R/NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Angst, Non per stomaci delicati, Abuse, OOC, What If?.
- Kurt ha qualcosa di strano. Qualcosa che Dave non riesce completamente ad afferrare, e che allo stesso tempo non riesce neanche ad ignorare. Lo scoprirà, comunque, e una volta scopertolo non potrà fare altro che cercare di porre rimedio. A suo modo.
Note: Questa storia è l'agghiaccio. *ride* E', tipo, la classica storia che mai nella vita avrei pensato di poter scrivere. Va contro tutti i miei principi, e infatti si vede, perché è tremenda XD Che poi è il motivo per il quale di sicuro non le farò pubblicità e penso proprio che resterà qui, confinata sul Poly, di modo che solo i forti di stomaco possano trovarla. La tragedia. *sospira*
Insomma, gli avvisi (compreso l'OOC che mi è costato, sappiatelo) sono tutti lì. Prendetene accuratamente nota, prima di avventurarvi. XD
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YOUR HEART IS AN EMPTY ROOM

Quando Kurt comincia a cambiare, Dave se ne accorge subito, e la prima cosa che fa è ricacciare quel pensiero molesto in fondo allo stomaco, da dove è risalito in uno scatto violento non appena l’ha visto entrare nell’aula che il preside Figgins ha fatto adibire per gli incontri del PFLAG. Nasconde con stizza e ostinazione questa consapevolezza perché lui non è mai stato un osservatore, non è mai stato uno attento ai dettagli, o uno che notasse le sottigliezze, e tutte quelle cose che in genere rendono alcuni esseri umani sensibili – in barba allo stereotipo per cui gli omosessuali dovrebbero possedere almeno un briciolo di sensibilità, per essere credibili nel loro ruolo; be’, lui viaggia fuori dallo schema comune anche in quel senso, allora – e neanche Kurt è stato in grado di cambiarlo in quel senso – di Kurt ha sempre notato ben altro che i semplici dettagli, ed in genere già l’insieme da solo bastava a confonderlo abbastanza da non fargli neanche venire in mente di soffermarsi sui particolari – e perciò è strano, molto strano, quasi disturbante notare la diversità adesso.
Eppure c’è, palese in maniera quasi fastidiosa. È un dettaglio così insignificante che Dave non è neanche sicuro che riuscirebbe ad indicarlo se qualcuno glielo chiedesse, eppure stona così tanto, nell’insieme talmente perfetto che usualmente Kurt è ai suoi occhi, che a Dave riesce perfino difficile guardarlo.
Kurt non si comporta differentemente rispetto al solito. D’accordo, forse è un po’ più silenzioso di altre volte, quando non gli tocca piazzarsi al centro del circolo per animare un po’ la discussione che, senza la sua guida, ogni tanto finisce per arenarsi su argomenti troppo tristi perché i ragazzi ancora alle prime armi con questo genere di cose non decidano di tacere all’improvviso, lasciandola cadere nel silenzio. A parte questi momenti, in effetti sta un po’ sulle sue, in effetti si tiene lontano dal centro dell’azione, in effetti non tocca neanche gli stuzzichini che la signora Hudson ha portato prima che la riunione cominciasse, il che è strano, perché ne va matto, e non ci vuole un grande osservatore per saperlo, dal momento che usualmente Kurt non molla mai il tavolo sul quale sono poggiati i vassoi, per assicurarsene una fornitura continua nel corso delle due ore di durata dell’incontro.
Stavolta no, però, stavolta non lo fa e Dave si agita, perché se da un lato gli riesce difficile continuare a fissarlo – un po’ per quel senso di disturbo che questo fantomatico dettaglio invisibile gli provoca, un po’ perché sarebbe maleducato, e un po’ perché sarebbe come darsi via in un niente, ed è stato troppo bravo a nascondere almeno questo, fino ad ora, che non ci tiene proprio a rovinare tutto adesso, ora che è così vicino ad uscire dal liceo, non vederlo più e farsela passare definitivamente – dall’altro lato non riesce a smettere. Kurt è seduto dall’altro lato del cerchio, rispetto a lui, vagamente decentrato, ed ogni due, tre minuti Dave deve per forza voltarsi a guardarlo, come lo stesse controllando.
È un po’ preoccupato, non riesce a convincersi di non esserlo. E questa cosa è così stupida che quasi si prenderebbe a calci da solo.
Uno dei nuovi ragazzini entrati a far parte del circolo di recente è in piedi, adesso, e sta parlando a bassa voce. Dev’essere uno del primo anno, Dave non lo conosce. Forse non lo conoscerebbe neanche se fosse del secondo o del terzo, non sembra un tipo che frequenti la squadra di football e, a parte Kurt, Dave non ha amici all’infuori di quella ristrettissima cerchia. Comunque, il ragazzino sta parlando di quanto sia stato male per mesi prima di capire che era arrivato il momento di chiedere aiuto a qualcuno, perché da solo non riusciva a venire fuori dal casino che s’era combinato in testa da solo, e Kurt lo ascolta. Dave no. Dave fissa Kurt e nota particolari che non avrebbe mai notato, in condizioni normali. Tipo il lieve tremolio delle sue gambe accavallate, o il modo in cui si tortura le dita, o ancora la linea estremamente piatta e tesa delle sue labbra piene.
Quando il ragazzo smette di parlare, Dave non se ne accorge perché l’ha sentito smettere, o perché l’ha sentito cominciare a piangere, o perché ha sentito il trambusto attorno a sé, tutti i ragazzi e le ragazze che si sono alzati per andarlo a consolare – ma non Kurt, no, lui ci mette un po’ a ingranare col contatto fisico, e per quanto possa essere partecipe delle sofferenze di un ragazzo che ha affrontato il proprio calvario prima di uscire allo scoperto, non andrà mai ad abbracciarlo o a dargli una pacca sulla spalla solo perché qualcuno si aspetta da lui che lo faccia per educazione. No, quando il ragazzo smette di parlare, Dave se ne accorge perché tutti i muscoli tesi del corpo di Kurt si rilassano in un respiro, le sue mani tornano placide e intrecciate sul suo grembo, le sue gambe smettono di tremare, la linea delle labbra si scioglie nella curva dolce di un sorriso appena accennato.
Dave distoglie lo sguardo, arrossendo furiosamente. Intorno a lui, tutti applaudono perché il ragazzo è riuscito a condividere finalmente la propria esperienza dopo ben due settimane di incontri. Non può fare a meno di chiedersi cosa succederà quando sarà lui – che è lì dall’inizio, ufficialmente solo perché è obbligato a partecipare agli incontri per sviluppare un senso di tolleranza che, a quanto pare, non possiede – ad alzarsi dalla propria sedia ed annunciare al gruppo che ha qualcosa da condividere. Come lo guarderanno tutti? Quando quel giorno arriverà – se mai arriverà – come lo guarderà Kurt?
- Ehi. – lo saluta Kurt con un sorriso, e Dave solleva lo sguardo su di lui, accorgendosi del fatto che devono essere passati parecchi minuti dall’ultima volta che s’è guardato intorno, perché l’aula è quasi completamente vuota, eccezion fatta per la signora Hudson che recupera i vassoi semivuoti, - Pensi di restare lì a scaldare la sedia ancora a lungo? Dovremmo finire di riordinare.
- Uh, no. – scuote il capo Dave, alzandosi in piedi, - Cioè, sì, potete sistemare. Intendo, vi do una mano. – chiarifica, recuperando la propria sedia e riportandola a posto dietro un banco, e procedendo poi a fare lo stesso con le altre sedie del circolo. Nel mentre, guarda Kurt, che si aggira per la classe vuota rimettendo a posto sedie, riallineando banchi e ripulendo tracce di gesso dalla lavagna, e deglutisce. Vorrebbe chiedergli “c’è qualche possibilità, una su un milione, che io non sia pazzo nel pensare che ci sia qualcosa che non va in te? Stai bene?”, ma non lo fa, perché non è sicuro di come suonerebbe, e l’idea di esporsi troppo lo terrorizza.
- Siamo pronti? – domanda la signora Hudson, guardandosi intorno, - Possiamo andare?
Kurt annuisce sorridendole, e muove perfino un passo verso di lei prima di voltarsi nuovamente verso Dave.
- Tu hai come tornare a casa? – gli chiede. Dave, preso alla sprovvista dall’interessamento, distoglie lo sguardo e scrolla le spalle.
- Tornerò a piedi. – borbotta.
- Cosa? – quasi strilla la signora Hudson, sconvolta, - Ma neanche per sogno! Ha nevicato per tutto il pomeriggio e c’è un freddo glaciale! – scuote energicamente il capo, mentre Kurt si volta ancora a guardarla con un sorrisetto intenerito che, per qualche secondo, gli restituisce un’immagine più normale, quasi rassicurante, che Dave può guardare sentendosi riscaldare dentro senza dover necessariamente distogliere lo sguardo. – Casa tua è solo ad un paio di isolati dalla nostra, vero? – continua la donna, e Dave annuisce, più per educazione che per altro. – Bene, conclude lei, sorridendo soddisfatta, - Allora vieni con noi. Così mi aiuti a riportare in casa i vassoi con gli avanzi, e poi posso riportarti a casa tua in macchina.
Dave indietreggia, guardandosi attorno sulla difensiva, mentre la signora Hudson decide per lui, strillando che non lo lascerà tornare a casa da solo con questo tempaccio, e che quindi si diano entrambi una mossa a prepararsi, mentre lei porta la macchina più vicina all’ingresso della scuola.
- Non so se… - comincia Dave quando la vede sparire in corridoio, ma Kurt si copre la bocca con una mano e lascia andare un risolino divertito che lo spiazza, lo ipnotizza e lo confonde al tempo stesso.
- È inutile resistere, - lo avverte, - non si rassegnerà fino a quando non ti avrà riportato sano e salvo a casa tua.
Dave arrossisce incerto, guardando altrove.
- Sicuro che non è un problema? – domanda a bassa voce.
Kurt scuote il capo, sorridendogli incoraggiante, e quando lo vede esitare ancora sbuffa, appendendo una mano al fianco e sporgendolo un po’ lateralmente, in una posa vagamente insofferente.
- Oh, andiamo, David, - dice, usando il suo nome per esteso come ogni volta in cui sente il bisogno di essere severo con lui, - se io ho deciso di provare a darti fiducia, potresti usarmi la cortesia di farlo anche tu con te stesso? Un po’ di sicurezza non ti farebbe male, ti aiuterebbe anche ad aprirti. – si interrompe un secondo, riflettendo sulle proprie stesse parole, e poi precisa, - Non è che stia cercando di forzarti a fare coming out, - dice in un sussurro, - ma…
- Ho capito, ho capito. – si affretta a interromperlo lui, agitando le braccia ed annuendo freneticamente, - Dio, Hummel, potresti provare ad essere un po’ più discreto. – borbotta, e Kurt risponde con un ghignetto divertito e supponente, inarcando un sopracciglio.
Non hanno il tempo di portare a termine la conversazione, perché la signora Hudson rientra in aula, stringendosi in un abbraccio protettivo, piena di fiocchi di neve fra i capelli.
- Suggerisco il cappuccio. – annuisce rabbrividendo. – Allora, andiamo?
*
Durante il viaggio in macchina, Dave è silenzioso, ma nessuno se ne stupisce. Le riunioni del PFLAG lo rendono sempre di umore cupo e scontroso, e sia Kurt – col quale si ferma sempre a chiacchierare un po’ dopo ogni riunione, essendo lui l’unico col quale si senta vagamente libero di parlare di quello che ha provato ascoltando gli altri – sia la signora Hudson – che è sempre lì intorno a recuperare stuzzichini e, quindi, ha avuto modo di osservarne il comportamento – sanno bene che spingerlo a parlare controvoglia non sortirà alcun effetto oltre al costringerlo a chiudersi ancora di più in se stesso, perciò non lo forzano. Kurt, d’altronde, riempie da solo il silenzio abbastanza efficacemente, raccontando nei dettagli alla donna chi è scoppiato a piangere, come, quando, perché e da chi è stato consolato.
Le lacrime mettono Dave a disagio, specie in un contesto come quello delle riunioni del PFLAG. Ogni volta che qualcuno racconta la propria storia e le emozioni diventano tali da non poterle più contenere, e magari qual qualcuno si mette a piangere e qualche altro, commosso, lo segue a ruota, lui non può fare altro che sentirsi fuori posto, come se non appartenesse a quella categoria di persone. Non è una questione di razzismo e non si tratta di qualche parte del suo cervello più ostinata delle altre che cerca di convincerlo di non essere gay – Dave ha superato quello scoglio, ormai, anche se questo ancora non lo sa neanche Kurt – è una cosa diversa, è una questione emotiva. Ogni volta che pensa a come si sentirebbe se raccontasse tutto dall’inizio, di come si sente, di quello che ha fatto per nasconderlo e tutto il resto, tutto ciò che riesce a percepire è una grande rabbia, un grande senso di perdita e, giusto in fondo, una sensazione pulsante e luminosa di liberazione che però gli sembra troppo piccola e lontana per poterne attingere a piene mani per provare a sentirsi meglio. Non è sicuro che queste sensazioni lo porterebbero a piangere, e quindi non può fare a meno di pensare che forse c’è qualcosa di sbagliato, in lui. Forse lui dovrebbe piangere, dovrebbe sentirsi spinto a farlo, d’altronde cosa c’è di male nelle lacrime? Niente, no? Ha pianto, quando si è scusato con Kurt. Be’, forse non ha proprio pianto-pianto, forse non gli sono scese proprio lacrime lungo le guance, ma lui si sentiva compresso e imbarazzato proprio come se lo stesse facendo, per cui non è che ci sia molta differenza, in fondo.
Non sente nessun bisogno di piangere, però, quando pensa ad un probabile coming out. Forse, pensa, il bisogno verrà quando effettivamente farà coming out, ma se così non dovesse essere? Magari lui sarà lì, in piedi davanti alla propria seggiolina, e racconterà tutto, e alla fine i suoi occhi saranno asciutti e la gente non saprà come prenderlo, perché tutti si aspetteranno da lui che pianga, e lui invece non lo farà.
Dave sospira, guardando fuori dal finestrino. Kurt sta ancora parlando di quel ragazzino e della sua storia, e dice a Carole “mi sono così commosso!”, e Dave vorrebbe dirgli “però non sembravi commosso, sembravi teso”, ma non ha il tempo di farlo e, anche se l’avesse, probabilmente non ne avrebbe le palle, e comunque la macchina si ferma e non nevica nemmeno più, e davanti casa di Kurt c’è un’automobile che Dave ha imparato a conoscere e odiare, un’automobile che fa brillare gli occhi di Kurt in un modo che Dave odia, che ancora oggi, nonostante tutta la strada che ha fatto, gli fa stringere i pugni e tremare le mani tanta è la voglia di fare del male a qualcosa che lo prende quando la vede.
L’automobile di Blaine.
- Ehi! – cinguetta Kurt, catapultandosi fuori dalla macchina nel momento in cui si ferma completamente. Dave non vorrebbe guardare, ma guarda. Lo vede planare allegro fra le braccia di quel tipo, e trattiene il respiro per non ringhiare.
- Mi dai una mano, Dave? – domanda la signora Hudson con un sorriso, e Dave annuisce, scendendo dalla macchina e recuperando i vassoi, tutti e tre insieme. Non sono proprio facilissimi da maneggiare, perché sono mezzi vuoti e faticano a stare in equilibrio, un po’ come lui che fatica a stare in equilibrio sul vialetto lastricato bagnato di neve che conduce alla porta d’ingresso, ma è nauseato dalla sola idea di fare tre volte avanti e indietro per recuperarli ad uno ad uno, ed essere costretto a posare gli occhi ogni singola volta su Kurt e Blaine che parlano fitto e si stringono l’uno all’altro e ogni tanto, solo ogni tanto, si sfiorano le labbra in un bacio appena accennato che lo disturba anche più di quanto lo disturberebbe un bacio vero, perciò si concentra e cerca di non combinare nessun disastro; quando i vassoi sono al sicuro sul tavolo della cucina, e la signora Hudson recupera nuovamente le chiavi della macchina per riaccompagnarlo, lui tira su un sorriso grato ma imbarazzato, e scuote il capo.
- Ha smesso di nevicare, preferisco tornare a casa a piedi. – si giustifica.
- Ma fa ancora così freddo… - prova la donna, ma lui scuote il capo un’altra volta.
- Sul serio, lo preferisco. – insiste, e poi la saluta educatamente, tornando fuori.
Kurt e Blaine sono ancora lì, naturalmente. Non perché Blaine non abbia il permesso di entrare in casa – figurarsi, è stato accolto come un figlio dal primo giorno – ma perché probabilmente ad entrambi piace prendersi un po’ di tempo per stare da soli senza dover per forza a che fare con tutto il resto della variopinta famiglia di Kurt. Dave distoglie lo sguardo, inspirando ed espirando profondamente per cercare di mantenere la calma, e prova a passare loro a qualche metro di distanza, per imboccare la strada di casa senza che lo notino, ma naturalmente ciò non avviene.
- Dave! – lo chiama Kurt, correndogli dietro e trascinando con sé anche Blaine, la mano del quale stringe nella propria con forza, come fosse intenzionato a non lasciarla andare per nessun motivo al mondo, - Cosa fai, vai via senza salutare? – lo prende in giro in un borbottio giocoso, fingendo di essersi offeso per il suo tentativo di fuga.
- È che sono già in ritardo… - si giustifica lui, stringendosi nelle spalle. E poi, visto che sa ce comunque deve farlo, aggiunge, - Ciao, Blaine.
Il ragazzo risponde con un mezzo sorriso partecipe, ma Dave non riesce a non vederci dentro anche una scintilla di superiorità. È convinto che Blaine sappia – Blaine non è come Kurt, Kurt certe volte pur di continuare a ignorare una verità scomoda è disposto a mentire a se stesso fino al ridicolo, ma Blaine no; Blaine capisce, Blaine probabilmente sa perfettamente che a Dave Kurt piace, che non l’ha baciato solo perché era l’unico ragazzo gay nei dintorni, che la sua non era solo una richiesta di aiuto, ma di qualcosa di ben più preciso e specifico. Blaine sa, e sorride in questo modo perché sa anche che Dave non ha nessuna speranza. Perché a Kurt non potrà mai piacere un tipo come lui, e perché lui, in ogni caso, non avrà mai il coraggio di confessargli i propri sentimenti.
- Allora ci vediamo domani? – domanda Kurt, incoraggiante. Per un secondo, Dave si sente preso alla sprovvista: non c’è nessun incontro del PFLAG in programma per domani, quindi per quale motivo Kurt dovrebbe dargli appuntamento? Poi ricorda: i Bully Whips, i turni di sorveglianza, deve accompagnarlo da un’aula all’altra. Si sforza di sorridergli e annuisce, e Kurt ridacchia della sua incertezza. – Bene. A domani. – sorride, per poi voltarsi nuovamente in direzione di Blaine, e cominciare a condurlo verso casa.
Ora che non ha più fretta di scappare, Dave può permettersi di rimanere lì sul marciapiedi, a due passi dalla cassetta della posta, ad osservarli camminare elegantemente lungo il vialetto e poi entrare in casa, e finalmente riesce ad individuarlo. Quel particolare, quella stranezza che ha reso Kurt difficile da guardare per tutto il pomeriggio. È un marchio scuro. Sul collo.
*
Quando Kurt si presenta a scuola con dieci chili in meno addosso, non serve poi essere un grande osservatore per accorgersene, e ciononostante sembrano tutti ben determinati a non farlo, cosa che rende Dave vagamente inquieto. Kurt sparisce dentro i propri vestiti, ma siccome sorride tanto e non fa che strillare di essere felice, così felice che più felice non si può, sono tutti disposti a passare sopra al particolare, come se non contasse niente.
Ma Kurt è così magro che sembra fragile il doppio, e già prima non è che desse una grande idea di solidità, e la sua pelle è ancora più bianca e trasparente del solito, e i suoi sorrisi sono più ampi, sì, ma sembrano plastificati, e Dave si ritrova nuovamente in condizione di non riuscire a guardarlo e contemporaneamente non riuscire a staccargli gli occhi di dosso quando gli capita di intravederlo da qualche parte.
La riunione è appena finita, e gli studenti ancora emotivamente molto scossi – ormai sono quasi in trenta, fra ragazze e ragazzi, e Dave comincia a sentirsi un po’ stupido quando pensa che non fa ancora davvero parte del gruppo; per questo, cerca di non pensarci troppo spesso, dal momento che comunque sa che di fare coming out, almeno per ora, non se ne parla nemmeno – e Kurt, in genere sempre primo ad alzarsi per congedare il gruppo, resta seduto al proprio posto, come facesse fatica ad alzarsi.
In condizioni normali, Dave non troverebbe mai il coraggio di chiedergli qualcosa, ma Kurt è davvero troppo magro, troppo pallido e troppo strano per impedirselo, perciò gli va vicino e gli si siede accanto, mentre anche gli ultimi studenti abbandonano l’aula, dandosi appuntamento per il giorno dopo o per la riunione successiva.
- Ma stai bene? – domanda senza la minima delicatezza. Kurt si volta a guardarlo, spalancando gli occhi, e solo in quel momento Dave capisce che sostanzialmente non si scambiano una parola da giorni e la prima cosa che ha fatto lui è stata sedersi al suo fianco e ficcare il naso nei suoi affari, peraltro con una brutalità che come unica risposta meriterebbe solo che Kurt si alzasse e lo mollasse lì per andarsene.
Kurt, però, resta lì. Accavalla le gambe e incrocia le braccia sul petto, sulla difensiva, e guarda altrove, ma risponde.
- Come mai me lo chiedi?
Dave scrolla le spalle, appoggiandosi allo schienale della sedia e guardandosi intorno a propria volta, giusto per non tenere gli occhi incollati al profilo di Kurt.
- Sembri strano. – risponde, inumidendosi le labbra e schiarendosi la voce per farsi coraggio, - Intendo, non sembra che tu stia bene.
- Cosa vorrebbe dire questo? – domanda Kurt, lanciandogli un’occhiata brevissima e poi tornando a fissare ostinatamente la parete di fronte a sé, dall’altro lato della stanza.
- Be’, ce li ho gli occhi, lo vedo quando qualcuno sta male, intendo, fisicamente male! – sbotta Dave, infastidito dalla sua freddezza.
- Cosa domandi a fare, allora, se conosci già la risposta? – insiste Kurt, alzandosi in piedi. – Lasciami in pace. – conclude, dirigendosi a grandi passi verso la porta, diretto probabilmente all’auditorium.
- Ehi! – lo ferma Dave, scattando in piedi a propria volta ed allungando una mano per afferrargli un polso, - Mi sto solo preoccupando, potresti—
- Ahi! – soffia Kurt, ritraendo la mano. Le dita di Dave non si erano ancora neanche chiuse attorno a lui, e per questo gli riesce molto facilmente di sottrarsi alla sua stretta. Per lo stesso motivo, però, è decisamente improbabile che sia stato lui a fargli male, e nel momento in cui lo realizza Dave si ferma a metà di un passo, guardando Kurt con gli occhi sgranati, mentre Kurt gli restituisce lo stesso sguardo, solo un po’ più spaventato, stringendosi la mano al petto.
- Che ti sei fatto? – domanda, indicando il polso con un cenno del capo. Nota solo in questo momento che indossa uno di quei maglioncini dalle maniche lunghissime che spesso portava fino a un paio di anni fa. È quasi interamente coperto dalla spalla alla punta delle dita. Cerca di ripetersi che probabilmente è solo per il freddo, ma non può fare a meno di trovarlo strano.
- Niente. – risponde subito Kurt, scuotendo il capo, e poi, rendendosi conto che non può mentire, aggiusta il tiro. – Me lo sono slogato. Mentre ballavo. Non è un gran problema, ma non stringerlo.
- Oh… - riprende a respirare più tranquillamente Dave, tornando anche a rilassare i muscoli tesi delle spalle e delle braccia, - Ok. Comunque, ero solo preoccupato. Non c’è bisogno di rispondermi male solo perché mi interesso. Sei stato tu a dirmi che dovrei essere più sicuro, o no?
Kurt sospira, passandosi una mano fra i capelli ed ostinandosi a tornare a guardare altrove.
- Scusa. – dice a bassa voce, - Sono un po’ teso.
- Stai anche diventando trasparente. – insiste Dave, acido, ma quando Kurt scatta a guardarlo, gli occhi nuovamente spalancati e pieni di paura, si rende conto di aver passato un confine, e si tira subito indietro. – Scusa, non volevo… intendo, non sono fatti miei.
Kurt apre e chiude la bocca un paio di volte, come stesse sforzandosi di cercare qualcosa da rispondergli, un qualche commento sarcastico che possa rimetterlo al suo posto, o qualcosa del genere, ma evidentemente non trova nulla, perché dopo qualche secondo di silenzio preferisce voltargli le spalle ed abbandonare l’aula, rifugiandosi nell’auditorium ben prima dell’inizio delle prove del glee club.
A Dave non resta molto addosso, se non la sensazione di essersi spinto troppo in avanti ed aver combinato un casino, come gli servissero altri motivi per sentirsi a disagio attorno a Kurt.
Cerca di lasciarsi rassicurare dalla scusa che Kurt ha usato per giustificare quel dolore al polso, ma la verità è che non può fare a meno di pensare che se il ballo è anche la causa di tutti i chili che ha perso, allora Kurt dovrebbe andarci più piano. E in generale, in realtà, se anche la causa non fosse il ballo, probabilmente Kurt dovrebbe andarci più piano comunque.
*
Poi un giorno succede che Kurt non viene a scuola, e questa cosa non solo rovina tutta l’attenta programmazione della giornata che Santana aveva approntato per Dave perché tenesse bene a mente anche gli orari in cui doveva portare in giro Kurt da un’aula all’altra, ma è anche strano, perché Kurt non si assenta mai. È uno degli studenti col numero di presenze più alto di tutto il liceo, e Dave non può fare a meno di preoccuparsi. Per qualche motivo, i vestiti troppo larghi, il pallore, la generale tristezza e il polso dolorante di Kurt non lo lasciano in pace. È ben consapevole che potrebbe semplicemente essersi preso un raffreddore, ma questo non riesce a tranquillizzarlo del tutto.
Si giustifica con se stesso dicendosi che è sicuramente un effetto collaterale del senso di responsabilità che percepisce per tutta la questione dei Bully Whips, ma la verità è che sa perfettamente che non è vero, e l’imbarazzo che prova nei confronti della situazione generale non è comunque sufficiente a tenerlo lontano da casa Hummel, quando la giornata scolastica finisce. Deve comunque passare per quella strada, e lo fa ripetendosi che non deve fermarsi, non deve attraversare il vialetto, non deve suonare il campanello e non deve restare lì per chiedere informazioni a chiunque gli apra la porta, ma sono esattamente le cose che fa quando la casa entra nel suo raggio visivo, e non riesce a impedirselo.
- Oh, Dave. – gli sorride la signora Hudson, - Sì, Kurt non sta bene. Il problema è che non è qui. – Dave aggrotta le sopracciglia, preso alla sprovvista, e lei lo rassicura con una risatina. – È andato a trovare Blaine alla Dalton, ieri, ma poi non s’è sentito bene, e visto che ha la febbre non se l’è sentita di tornare indietro, per cui è rimasto lì. Gli dirò che sei passato, gli farà piacere.
Dave annuisce, la saluta e riprende a camminare per la propria strada, ma non riesce a togliersi dalla testa il pensiero che dovrebbe controllare. È un pensiero ridicolo e idiota, insomma, Kurt è con Blaine, se davvero sta così male di sicuro non è da solo a prendersi cura di se stesso, ma questa consapevolezza non impedisce a Dave di chiedere in prestito la macchina a suo padre – ed ottenerla, complice l’acquazzone che si riversa giù dal cielo mentre lui è ancora per strada – e guidare direttamente fino alla Dalton.
Arriva verso metà pomeriggio, e ha già smesso di piovere. Quando varca il cancello principale, è sconvolto dall’enormità di quello che vede: solo l’edificio scolastico sarà grande il doppio rispetto al McKinley, ed i due edifici che suppone siano i dormitori si estendono per decine e decine di metri in lunghezza, dando a chi li guarda l’illusione di poter contenere una quantità di stanze molto superiore – Dave ne è sicuro – rispetto a quelle che servono per una scuola privata come questa.
Si intrufola direttamente in uno dei dormitori, dove un ragazzo di poco più grande di lui sta seduto dietro un tavolo con due registri aperti di fronte a sé. Dave non li guarda neanche, sta già cominciando a sentirsi molto più nervoso di quanto non dovrebbe e comunque non è più tanto convinto – se mai ne è stato – che venire fin qui sia stata una buona idea.
- Blaine Anderson… - dice a bassa voce. Il ragazzo sta leggendo una rivista di motociclismo, e non solleva neanche gli occhi su di lui, si limita a gettare un’occhiata svagata ad uno dei registri e poi sfogliare un’altra pagina della rivista.
- È a lezione. – risponde atono, - Ripassa più tardi.
- Veramente io starei cercando il suo ragazzo. – insiste allora Dave, parlando velocemente, per evitare di interrompersi a metà perché si è pentito di averlo detto. Cosa che comunque fa quando il ragazzo, finalmente, gli solleva gli occhi addosso, inarcando un sopracciglio. – Kurt Hummel… - si sforza di dire Dave, deglutendo pesantemente, - Dovrebbe trovarsi qui.
Il ragazzo mette via la rivista e controlla più accuratamente l’altro registro, che dev’essere quello degli ospiti. Lo scorre con un dito e poi batte quello stesso dito un paio di volte in corrispondenza di una riga in cui, in effetti, è segnato il nome di Kurt.
- Sì, è in camera sua. – ammette, - Ma probabilmente non dovresti disturbarlo. Né essere qui, in questo momento.
Dave aggrotta le sopracciglia, perché sa che è vero.
- Mi ha chiamato lui. – mente, sperando che questo sia sufficiente ad eliminare ogni sospetto, di qualsiasi tipo possa essere, - Se non mi vede arrivare, si preoccuperà.
Il ragazzo sembra stupito dalla sua affermazione, ma allo stesso tempo si ferma a riflettere abbastanza a lungo da far capire a Dave che la trova plausibile. Quando, alla fine, il ragazzo scrolla le spalle e gli comunica il numero della stanza ed il piano al quale deve recarsi, indicandogli gli ascensori in fondo al corridoio, Dave non può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, ringraziando distrattamente.
Quarto piano, stanza 109. Dave controlla scrupolosamente le targhette numerate sulle porte, per essere sicuro di non sbagliare, e quando la trova bussa lievemente, un paio di volte. Il silenzio che si protrae dopo quel gesto dura anche troppo, per i suoi gusti, ma alla fine Kurt risponde.
- Blaine non c’è. – dice, la voce distante e molto più nervosa di quanto dovrebbe essere.
- Kurt… - lo chiama Dave, bussando ancora, ed evidentemente Kurt non deve riconoscerlo, perché la sua risposta è raggelante per quanto è assurda e incomprensibile, al punto che Dave non riesce quasi nemmeno ad assimilarla.
- Per favore… - dice in un pigolio esausto, - Sono stanco, per oggi basta.
- Che…? – biascica Dave, talmente preso alla sprovvista da entrare in confusione, - Kurt, sono Karofsky! – precisa, bussando ancora una volta, e dall’interno della stanza giungono chiarissimi i suoni ora più frenetici, ora più quieti e ovattati, di qualcuno che si scaraventa giù dal letto e si veste in fretta e furia.
Kurt apre la porta qualche secondo dopo, col fiatone, una camicia spiegazzata ed un paio di pantaloni addosso e i capelli tutti in disordine.
- Che… che ci fai qui? – domanda, gli occhi spalancati, pieni di terrore.
Dave non sa neanche cosa dovrebbe fare. Kurt potrebbe anche invitarlo a entrare, ma Dave non è sicuro di volerlo. Non sa neanche se accetterebbe.
- Ero preoccupato. – deglutisce, ed è la cosa più sincera che può dire, in questo momento, - Sono passato da casa tua, ma…
- Lo so che sei passato da casa mia, Carole mi ha chiamato poco fa. – lo interrompe lui, stringendo convulsamente le mani attorno allo stipite della porta, - Perché sei venuto?
- Ero preoccupato, ti ho detto. – ripete lui, aggrottando le sopracciglia e sentendo già montargli nello stomaco la familiare sensazione di rabbia frustrata che Kurt è sempre capace di generare in lui ogni volta che, dopo una piccola apertura, torna a richiudersi a riccio.
- Ho capito che sei preoccupato, ma dovresti cominciare a preoccuparti di meno. – ribatte Kurt, gelido, - Sto benissimo.
- Lo vedo. – soffia Dave, - Non sembra neanche che tu abbia la febbre, in realtà, quindi direi che non mi voglio certo fare i fatti tuoi, ma qui qualcuno sta dicendo cazzate a qualcun altro.
- Quello che dico ai miei genitori non sono fatti tuoi. – risponde Kurt, spalancando gli occhi, oltraggiato, - Ora, se non ti dispiace, tornatene da dove sei venuto, grazie.
Dave stringe forte i pugni lungo i fianchi, trattenendo un ringhio di gola.
- Sicuro… - dice cupo, voltandogli le spalle e camminando svelto verso l’ascensore. Si ferma a metà percorso, però, voltandosi indietro repentinamente, e Kurt è ancora lì, che lo guarda dalla soglia della porta. – A cosa ti riferivi, prima? – domanda. Kurt inarca un sopracciglio.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando. – dice freddamente, e Dave ritorna verso di lui in un paio di ampi passi rabbiosi.
- Prima di aprire, quando ho chiamato il tuo nome. – dice, la voce che quasi gli trema dall’irritazione, - Hai detto “sono stanco, per oggi basta”. Non credo proprio che tu stessi parlando con me. Con chi credevi di stare parlando? E che volevi dire con quella frase?
- Ero ancora mezzo addormentato! – si difende Kurt, stringendosi nelle spalle e provando a chiudere la porta per lasciarne aperto solo uno spiraglio, cosa che Dave gli impedisce di fare piantando una mano contro la superficie liscia in legno scuro, - Non lo so nemmeno cos’è che ho detto! David, devi andartene. – dice quindi, più serio, e nella sua voce c’è una traccia di preoccupazione che Dave non è sicuro di riuscire a interpretare correttamente.
- Kurt? – domanda qualcuno alle spalle di Dave. Non ci mette molto, a riconoscere la sua voce. – È tutto a posto?
- Blaine! – sorride immediatamente il ragazzo, - Sei tornato.
Blaine gli ricambia il sorriso, avvicinandosi di qualche passo, e Dave istintivamente indietreggia, allontanandosi dalla porta.
- Karofsky, stai ricominciando? – domanda con fare minaccioso, per poi voltarsi a guardare Kurt. Dave lo vede chiaramente essere sul punto di dire qualcosa con aria preoccupata, qualcosa tipo “ti stava infastidendo?” o qualcosa del genere, puoi sempre prevedere quando qualcuno sta per dire una frase simile, perché le espressioni della gente spesso sembrano preimpostate in un dato modo. Specie quando non sono sincere. In ogni caso, l’espressione di Blaine diventa immediatamente molto più sincera, e per questo anche molto più spaventosa, quando si incupisce all’improvviso. – Ma come sei conciato? – domanda, e Kurt, arrossendo violentemente, si stringe la camicia al petto con una mano, coprendosi dove i due bottoni aperti lo lasciavano scoperto.
- Dave stava andando via. – dice Kurt, parlando a bassa voce, come stesse giustificandosi, - Ha saputo da Carole che non stavo bene ed è voluto passare per salutarmi, ma ora va via subito. Vero, Dave? – domanda, lanciandogli un’altra occhiata piena di quella preoccupazione che prima era stata solo accennata.
Dave ne ha paura, perché è qualcosa che non dovrebbe trovarsi negli occhi di Kurt. È qualcosa che non dovrebbe trovarsi negli occhi di nessuno, eppure è lì. La sensazione di essersi tirato sulle spalle una situazione molto più complessa di quanto lui possa gestire è spaventosamente intensa, al punto da costringerlo ad annuire velocemente e correre via lungo il corridoio, rifugiandosi nell’ascensore il prima possibile.
Non è per niente sicuro di aver capito cosa sia successo. In realtà, non è neanche sicuro di volerlo scoprire.
*
Quando Kurt torna a scuola, due giorni dopo, è ancora più magro di come lo ricordava. Solo a guardarlo si sente fisicamente male, e perciò evita di farlo per la maggior parte del tempo, ma è costretto a farlo quando, durante la riunione del PFLAG, Kurt si siede proprio di fronte a lui. Non fa che tremare per tutto il tempo, e Dave ne è terrorizzato. Kurt è l’ombra del ragazzo che era fino a sei mesi fa, è l’ombra del ragazzo al quale bastava lanciargli un’occhiata impietosa da un lato all’altro del corridoio per farlo sentire in pericolo, vulnerabile, esposto.
Vorrebbe avvicinarlo, subito dopo la conclusione della riunione, ma Kurt non gliene dà il tempo. Scappa in auditorium, e lì Dave non può seguirlo, perché quelli del glee club, nonostante tutta la situazione con Santana – forse, in parte, proprio per quello – non lo vedono ancora di buon occhio, e lui in realtà non è che abbia faticato più di tanto per entrare nelle loro grazie, per cui preferisce tenersene alla larga. Lo cerca, dopo gli allenamenti di football, ma non riesce a trovarlo, e suppone che se ne sia già tornato a casa, motivo per il quale anche lui va via.
Sulla strada, comunque, il suo sguardo viene attirato da un drappello di persone raggruppate attorno a tre coppie di ballerini. Si avvicina, attirato dalla scena, perché è piuttosto strano vedere dal vivo persone come loro, che prima di quel momento ha visto solo in televisione, a quelle gare di danza delle quali sua madre sembra non poter fare a meno. indossano costumi particolari, molto colorati, e la gente attorno a loro batte le mani al ritmo della musica nell’osservarli volteggiare elegantemente sulla piattaforma circolare in legno che hanno montato su uno slargo del marciapiede.
- Ciao, - lo saluta un ragazzo con un ridicolo cravattino colorato coordinato con un cappello ugualmente ridicolo, - ti interessano due biglietti? Magari per portarci la tua ragazza. – offre con un sorriso.
Dave a stento lo guarda, impegnato com’è a scrutare interessato le mosse dei ballerini. Due in particolare attirano la sua attenzione. Hanno la pelle scura, sembrano portoricani, o qualcosa del genere. Lei ha capelli lunghi e ricci e si stringe a lui sensuale e abbandonata. Lui le posa una mano alla base della schiena, guidandola nei movimenti mentre lei ancheggia docile, premendosi contro il suo corpo.
- Che stanno facendo…? – domanda curiosamente.
- Ballano la lambada. – risponde il ragazzo, divertito. Dave scuote il capo e lo fissa in cagnesco.
- Sì, lo vedo anch’io, questo. – sbotta, - Perché lo stanno facendo qui in mezzo alla strada? – precisa.
- Questo ci riporta al nostro principale argomento di conversazione. Quella che cercavo di intavolare mentre tu non mi ascoltavi. – annuisce il ragazzo, ridacchiando e sventolandogli i biglietti davanti alla faccia. – C’è uno spettacolo, stasera, stiamo vendendo gli ultimi biglietti.
- Uno spettacolo di che tipo? – domanda lui, e il ragazzo inarca un sopracciglio.
- Sai, credo che tu non avresti comunque nessuna ragazza da portare a vederlo. – commenta, - Mi sembri un po’ lento. Uno spettacolo di danza, no? È rimasto qualche biglietto invenduto e stiamo facendo un po’ di promozione per vedere se riusciamo a fare il tutto esaurito. Sarebbe una gran cosa, riusciremmo a pagarci il viaggio per la finale a New York. Sai, un concorso. Abbiamo passato le semifinali e tutto. Per cui, se sei interessato—
- Hai detto uno spettacolo di danza? – domanda Dave, riportandogli gli occhi addosso dopo un altro paio di secondi passato ad osservare i ballerini in scena, che nel mentre hanno cambiato costume e anche tipo di ballo. Non ha neanche bisogno di pensarci su, le associazioni mentali si fanno da sole. Danza. Kurt. Kurt non sta bene. Lui ha bisogno di tempo di passare in sua compagnia. Lo porterà allo spettacolo.
Compra due biglietti, e quasi si spacca una gamba rischiando di scivolare per terra quando imbocca di corsa la strada per casa di Kurt.
*
Kurt non sembra entusiasta dell’invito, ma per la verità non sembra neanche infastidito. È un po’ difficile inquadrare il suo stato d’animo, se continua a fissarlo come non riuscisse a capacitarsi della sua esistenza in vita, ma Dave è abbastanza sicuro che lo sgomento che gli legge negli occhi non sia dovuto al fastidio di sentirsi invitare ad uscire proprio da lui, quanto più ad un senso di stupore generale legato sì al fatto che non si aspettava che Dave potesse mai invitarlo ad uscire – per assistere a uno spettacolo di danza, poi – ma anche ad una sorta di sorpresa nel riscoprirsi lusingato da una richiesta simile.
- Stasera? – domanda, - Ma non so neanche… ma perché hai deciso di invitare me?
- Non è che avevo i biglietti in mano e ho pensato a te a caso, Hummel, li ho comprati apposta. – borbotta Dave, salvo arrossire furiosamente quando si rende conto di ciò che le parole che ha appena detto implicano. – Intendo… - prova a salvare la situazione, ma Kurt si stringe nelle spalle e ridacchia, divertito, e il suono è sufficiente a confondergli i pensieri abbastanza da non riuscire a trovare neanche una scusa plausibile da rifilargli, motivo per il quale, alla fine, preferisce stare zitto.
- Credo di aver capito. – dice con un sorriso, - E grazie. Sei molto gentile.
- Significa che verrai? – domanda subito lui, ansioso. Kurt arrossisce ed indietreggia di qualche centimetro, esitando vistosamente. Si mordicchia il labbro inferiore e guarda in basso, riflettendo per qualche secondo, mentre il cuore di Dave batte così forte che lui lo sente fisicamente spingere contro la sua cassa toracica, probabilmente intenzionato a sfondarla per andarsene, incapace di sostenere il carico di emozioni che gli confonde il cervello.
- Sì. – dice Kurt alla fine. È un sussurro talmente impercettibile che Dave schiude le labbra per chiedergli di ripetere, giusto per essere certo di non aver preso un abbaglio colossale, ma Kurt lo anticipa, ripetendolo più ad alta voce. Sul suo volto pallido, le guance arrossate spiccano come se si fosse versato addosso un barattolo di salsa di pomodoro. È adorabile.
Dave non riesce a smettere di sorridere come un idiota, per tutto il tragitto fino a casa.
*
Quando Dave torna a sedersi al suo fianco, portandogli la bibita che ha chiesto ed un hot dog da sgranocchiare in attesa dell’inizio del secondo tempo dello spettacolo, Kurt ridacchia, imbarazzato.
- Sei sempre stato così gentile, quando non mi spintonavi contro tutti gli armadietti della scuola, e io non me ne sono mai accorto, o è una cosa che hai cominciato a fare solo di recente? – domanda, accettando l’hot dog con un cenno di ringraziamento e posando l’enorme bicchiere contenente la bibita sulla panchina di legno sulla quale sono seduti. Dave distoglie lo sguardo, arrossendo vistosamente.
- Non è molto carino da parte tua fare battute su questo argomento. – borbotta.
- Perché no? – domanda Kurt, le labbra piegate in un sorriso sereno e rilassato, il primo che Dave gli veda fare da troppo tempo per non essere felice di rivederlo, - In fondo, sono io quello che dovrebbe esserne traumatizzato, no? Tu dovresti subire la tua punizione e basta.
- Mi sembra che qua si stiano ponendo le basi per un rapporto piuttosto sbilanciato… - borbotta ancora Dave, ma gli salta il cuore in gola quando sente Kurt irrigidirsi all’improvviso al suo fianco, stringendo le dita attorno al suo hot dog con tanta forza che quasi si sporca con la senape. - …ho detto qualcosa di sbagliato? – domanda ansioso, e Kurt si affretta a scuotere il capo ed avvolgere meglio il panino nella carta, per scongiurare pericoli eccessivi.
- No, scusa. – sorride ancora, - Sono solo un po’ nervoso.
- E perché? – domanda Dave. Kurt si volta a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
- Secondo te? – ritorce, - Mi hai chiesto di uscire…
Dave arrossisce furiosamente, scuotendo il capo.
- Sì, ma non in quel senso! – gracchia, preso alla sprovvista. Kurt ride.
- No? – lo prende in giro, - Dai, scherzo. Sei stato carino a portarmi fuori, specie visto come ti ho trattato ultimamente.
Dave distoglie lo sguardo, incapace di obbligare al suo flusso sanguigno di riprendere a scorrere in modo da non fargli illuminare la stanza col rossore delle proprie guance, specie ora che la sala, nel brusio della gente attorno a loro, torna buia, e i tecnici lasciano accese solo le luci che illuminano la pista da ballo.
- Mi hai trattato in maniera particolare? – chiede, - Non me ne sono accorto.
Kurt ride ancora, gli occhi già incollati alla pista.
- Adesso la gentilezza si sta trasformando in stupidità, e non sono tanto sicuro che tu non stia flirtando. – commenta con un ghigno.
- Ma piantala! – sbotta Dave, arrossendo ancora, - Ma ti diverti?
- Sì. – ammette Kurt, stringendosi nelle spalle. Dave sospira, e cerca di rilassarti contro lo schienale della panca, mentre due ballerini entrano in pista. – Oh, il tango! – squittisce Kurt, giungendo le mani sotto il mento. Dave lo guarda, inarcando un sopracciglio.
- Come fai a capirlo? Non si sono ancora neanche mossi.
- Dave, è evidente da come sono vestiti, via. Lei in nero, gonna con spacco che in qualsiasi altro contesto le porterebbe solo guai, calze a rete, capelli appuntati sulla nuca… lui pantaloni neri, camicia rossa, una rosa in mano… non ti dice niente? – sbuffa Kurt, quasi sconvolto dalla sua palese ignoranza in materia, quando lo vede scuotere il capo. – Sono ancora convinto che, più che le riunioni del PFLAG, a te servano un paio di pomeriggi alla settimana da passare a casa mia a guardare DVD o facendo shopping al GAP.
- Sì, certo. – sospira Dave, scuotendo il capo e concentrandosi sui ballerini. Sono bravi, almeno, per quanto può saperne lui, cioè molto poco. Mentre osserva la ragazza girare attorno al ragazzo, aggrapparsi alle sue spalle e poi lasciare che lui la afferri per un polso per riportarla di fronte a sé e premersela contro, muovendo un paio di passi in avanti e poi un paio di passi indietro, prima di cominciare a ballare sul serio, Dave non può fare a meno di sperare che questi ragazzi vincano qualsiasi cosa debbano andare a vincere, a New York. Si sente molto grato nei confronti del mondo intero perché adesso può stare seduto al fianco di Kurt a sentirlo sospirare innamorato per ciò che vede, ma in special modo crede di dovere un ringraziamento a questi ragazzi, che l’hanno reso possibile, perciò, fra una sbirciatina rubata al profilo sereno di Kurt e l’altra, si concede anche di augurare loro buona fortuna.
Poi, la luce biancastra del cellulare di Kurt si diffonde nell’ambiente, e Dave ne è allo stesso tempo attirato e infastidito. Si volta per chiedergli di spegnerlo, ma l’espressione che gli vede cristallizzata sul viso è sufficiente a fargli trattenere il fiato: Kurt ha gli occhi spalancati, pieni di paura, ed una mano a coprirsi le labbra. L’ha già visto così una volta, ma è abbastanza sicuro di non essere il motivo per cui lo sta venendo così adesso, perciò gli si avvicina.
- Kurt…? – sussurra, e senza volerlo sbircia lo schermo del cellulare.
Il messaggio recita “so dove sei”. C’è scritto “Blaine”, proprio sopra il testo. Le due cose messe insieme fanno scorrere un brivido talmente lungo e intenso, lungo la schiena di Dave, che deve per forza raddrizzarsi, per scrollarselo di dosso, mentre Kurt spegne frettolosamente il cellulare e se lo stringe al petto.
- Kurt, ma che diavolo—
- L’hai visto? – domanda Kurt, la voce che trema, - Dio… devo andare. – biascica, alzandosi in piedi e cominciando a chiedere permesso alle persone sedute nella loro stessa fila, per uscire di lì il più in fretta possibile.
- Kurt! – lo chiama lui, bisbigliando per non dare fastidio, - Aspetta!
- Non seguirmi! – lo avverte lui, prima di sparire oltre la porta d’ingresso. Dave impreca sottovoce, e poi si alza, decidendo di non seguire il suo consiglio e venendo perciò sommerso dagli insulti e dalle lamentele della gente quando a propria volta si fa strada nell’intricato groviglio delle loro ginocchia, per andargli dietro.
Lo cerca ovunque, attorno all’edificio, e quando non riesce a trovarlo decide di dirigersi verso la macchina, per cercarlo più velocemente nelle strade intorno. Probabilmente ha già ripreso la via di casa, se si muove in fretta dovrebbe riuscire a recuperarlo prima che arrivi. La situazione non gli piace, vedere Kurt così teso e sconvolto non gli piace e decisamente non gli piace il contenuto del messaggio che ha intravisto poco fa. Quale razza di fidanzato scrive una cosa simile al proprio ragazzo? È una cosa così inquietante che solo a pensarci la schiena di Dave si riempie nuovamente di brividi.
Individua la propria automobile, si avvicina e fa per aprire lo sportello, ma quando sente il singhiozzo minuscolo che proviene dal lato opposto rispetto a quello in cui si trova non ci mette molto a capire che Kurt dev’essere ancora lì. Gira attorno alla vettura e, non appena lo vede seduto lì per terra, tutto raggomitolato su se stesso, le spalle scosse dai singhiozzi e la schiena appoggiata allo sportello della macchina, si inginocchia al suo fianco.
- Kurt… - lo chiama piano, - Ma che ti è preso? Cos’era quel messaggio?
- Dave, devi andartene. – singhiozza Kurt, scuotendo energicamente il capo ma continuando a nascondersi dietro le proprie stesse braccia, - Per favore, vattene via.
- Non posso! – sbotta Dave, poggiandogli una mano su una spalla, - Cioè, non voglio, ma anche se volessi non potrei, visto che se stai seduto qui rischio di metterti sotto appena parto.
- Non sapevo dove altro andare! – strilla in risposta Kurt, sollevando lo sguardo. Ha gli occhi arrossati e gonfi di lacrime, e i capelli tutti scompigliati sulla fronte, - Carole deve avergli detto dov’eravamo, avevo bisogno di nascondermi, se lui mi trova…
- Se lui ti trova?! – esclama Dave, sconvolto, - Kurt… senti, mi sembra evidente che qui c’è qualcosa che non va. Già quando sono venuto alla Dalton non mi è sembrato che la situazione fosse del tutto normale, ma adesso stai dicendo delle cose che o non hanno senso… - si interrompe, deglutendo faticosamente, - …o ne hanno uno che non mi piace per niente. – Kurt distoglie lo sguardo, mordendosi un labbro e continuando a piangere in silenzio, forzandosi orgogliosamente e testardamente a tenere gli occhi aperti il più possibile, per cercare di farsi scivolare fra le ciglia meno lacrime. Ma quelle sono così tante, e si gonfiano così in fretta, che continuano a rotolargli lungo le guance anche se lui cerca di fare l’impossibile per trattenerle. – Kurt, ascoltami… - sospira Dave, rassegnandosi a sedersi per terra al suo fianco, - voglio aiutarti. Tu hai aiutato me anche quando io non volevo, ed ora mi sembra che sia tu quello che non vuole essere aiutato per nessun motivo al mondo. Il punto è che me ne frego del fatto che tu non voglia essere aiutato, come te ne sei fregato tu quando la situazione era invertita. Quindi adesso prendi un bel respiro e raccontami tutto, fin dall’inizio.
Kurt tira su col naso, asciugandosi gli occhi con i palmi di entrambe le mani, e poi appoggia la testa contro la portiera alle proprie spalle, chiudendo gli occhi e lasciandosi accarezzare la pelle accaldata e arrossata del viso dalla brezza tagliente e fredda della sera, per cercare un po’ di sollievo.
Quando riapre gli occhi, Dave stringe i pugni, perché qualcosa dentro di lui pulsa insistentemente per avvisarlo che, molto probabilmente, qualsiasi cosa Kurt gli racconterà adesso gli darà molti più brividi di quanti gliene abbia già dati quel messaggio sul cellulare.
Dave non è sicuro di sentirsi pronto, ma il punto è che non gl’importa di esserlo.
*
Comincia quando Kurt dice a Blaine che vorrebbe tornare al McKinley. “Posso farlo,” gli dice, “non c’è bisogno di preoccuparsi. La situazione è sotto controllo. Santana si è occupata di Karofsky.”
Blaine però non sembra preoccupato. Blaine è cupo, scontroso, aggrotta le sopracciglia e mette il broncio come un bambino al quale abbiano rotto il giocattolo preferito. Kurt non capisce cosa stia succedendo. Non lo capisce nell’immediato, quando Blaine smette di farsi sentire la sera per la buonanotte per lunghissimi periodi e poi riprende a comportarsi normalmente, facendogli pensare di essere ammattito, di avere solo immaginato le stranezze e il malumore e il disinteresse che gli attribuisce.
Questa è la cosa peggiore, a ripensarci adesso. È la cosa peggiore, dice a Dave, pensare di aver creduto, anche solo per un istante, di essere stato quello in difetto. Di essersi immaginato tutto, di aver perfino trattato Blaine in maniera ingiusta, facendogli notare quando sembrava trascurarlo o ignorarlo del tutto mentre invece Blaine magari stava solo avendo qualche altro problema che, sul momento, gli impediva di stargli dietro coccolandolo come al solito. Aver pensato di essersi comportato solo come uno stupido, ingrato, viziato, capriccioso. Mentre invece era vero. Mentre invece Blaine lo faceva apposta, ad accorciare ed allungare il cordone ombelicale che li univa, solo per giocare con la sua testa. Per metterlo nella posizione di non capire più cosa fosse reale e cosa no, cosa vedesse perché era lì e cosa immaginasse perché pensava che fosse lì per davvero quando invece non c’era affatto.
Kurt non capisce cosa stia succedendo in quell’istante, e non lo capisce nemmeno giorni dopo, quando Blaine gli dice che d’accordo, lui non ha nulla in contrario al suo trasferimento, che continuerà ad amarlo anche se potranno vedersi molto meno spesso, che tutto ciò che vuole è che lui sia felice.
E poi gli chiede di fare l’amore. Glielo chiede, come non ha mai fatto prima. “Fai l’amore con me,” gli dice, “fallo per me.” E Kurt non riesce a trovare neanche un motivo valido per dirgli di no, o forse un motivo ci sarebbe, ed è che non si sente ancora pronto, ma dopo tutto quello che Blaine gli ha detto, davvero, come può rifiutarlo?
Kurt non capisce cosa sta accadendo neanche in quel momento. Non lo capisce quando, dopo aver fatto l’amore, Blaine non si fa sentire per una settimana intera. Kurt prova a chiamarlo ininterrottamente, e lui non risponde mai, e Kurt cerca di distrarsi con l’emozione che prova per essere ritornato a casa, al McKinley, coi New Directions, impegnato nelle mille attività che il ritorno a scuola gli ha permesso di intraprendere, ma non è mai abbastanza per fargli smettere di pensare a lui, e fa sempre troppo male non sentirlo per tanti giorni consecutivamente.
Poi è Blaine a chiamarlo, e la felicità che Kurt prova nel sentire anche solo la sua voce è sufficiente per farlo scoppiare a piangere. Gli chiede perché l’abbia ignorato così a lungo, forse perché ha fatto qualcosa di sbagliato? Forse l’ha fatto arrabbiare?, e Blaine ride di tutte le sue paure. “No, tesoro, sono solo stato impegnato. Fai lavorare troppo il cervello,” gli dice, e Kurt si vergogna così tanto che vorrebbe sparire. Si è immaginato tutto, non era vero niente, è solo uno stupido ragazzino in cerca di continue attenzioni, e Blaine dovrebbe stare lontano da lui, perché lui non se lo merita.
Quando si incontrano, due giorni dopo, Kurt piange per ore. Non sa spiegarsi neanche perché. Stretto fra le sue braccia piange e piange, vergognandosi come un criminale, e Blaine asciuga tutte le sue lacrime in punta di lingua, e poi glielo chiede ancora. “Fai l’amore con me, fallo per me,” e Kurt non deve neanche più dire di sì. Blaine chiede, lui dà. Tiene gli occhi chiusi e il viso nascosto dietro l’avambraccio per tutto il tempo, sentendosi male, quasi nauseato, per ogni minuto che Blaine passa piantato in profondità dentro al suo corpo.
Ancora una volta, Blaine non si fa più sentire. Passano due settimane, e di lui nessuna traccia. Kurt piange ogni giorno. Inizialmente si dice che prima o poi le lacrime cominceranno a diminuire, ma non è vero. Non è mai vero. Alla fine, prende la macchina e guida fino a Westerville. Blaine lo accoglie in camera propria sorridendo, come non fosse successo niente. E Kurt sa già cosa significa quel sorriso. “Ma che sciocchezza, ti sei immaginato tutto,” si dice. Blaine non ha più neanche bisogno di chiedergli di fare l’amore con lui, Kurt lo bacia e tutto il resto viene da sé, troppo facilmente per pensarci, troppo per non fare almeno un po’ male.
Stavolta, Blaine non smette di farsi sentire. Riprende a chiamarlo ogni giorno, riprendono le ore passate su Skype a parlare del più e del meno quando non riescono a vedersi, riprendono le telefonate fiume del weekend, riprendono gli sms della buonanotte, riprende l’abitudine a trovare ogni scusa plausibile per evitare gli altri impegni e potersi vedere più spesso. Riprende tutto come prima, e Kurt si sente sempre peggio. Ormai non capisce più nemmeno perché. Qualsiasi cosa Blaine faccia lo fa sentire colpevole. Ogni volta che lo guarda, si sente disgustoso per avere anche solo provato a pensare qualcosa di cattivo su di lui. Non riesce quasi a stargli accanto, ma non potrebbe stare senza, e non ha la minima idea di come sia riuscito ad arrivare a questo punto immaginando tutto da solo.
La richiesta, poi arriva all’improvviso. “C’è questo mio amico…” dice Blaine, e poi glielo chiede. “Fai l’amore con lui, fallo per me,” e Kurt spalanca gli occhi e dice no. Dice no con violenza, si allontana da lui con uno scatto furioso e recupera la borsa, oltraggiato, indietreggiando verso la porta. Gli chiede cosa gli passi per la testa, ma Blaine non risponde. Aggrotta le sopracciglia, scrolla le spalle. “Era solo un favore,” dice. La frase da sola è sufficiente a sconvolgere Kurt ben oltre le sue capacità di sopportazione. Gira sui tacchi e va via, e per i primi giorni, quando ovviamente Blaine non si fa più sentire, Kurt riesce perfino a pensare che va bene così. Chi se ne frega, è pazzo, non lo merita.
Poi, la morsa allo stomaco comincia a farsi sentire. È nostalgia, è bisogno, Kurt ha voglia di Blaine e il solo pensiero lo disgusta, ma è così. Ha voglia di sentirsi addosso le sue mani, ha voglia di sentire la sua voce, ha voglia perfino di sentirsi come si sente mentre scopano. Che non è mai un sentimento piacevole. Ma gli manca perfino quello. Perciò torna da lui. Torna da lui e lo fa senza pensare alle conseguenze. Forse perché le immagina, e preferisce non farlo.
Le conseguenze sono quelle che si aspetta. Quando Blaine gli parla nuovamente del suo amico, “sicuramente lo conosci, è nei Warblers anche lui”, Kurt sa già cosa aspettarsi. Se dice no, saranno altre due settimane di assenza. Forse anche di più. Al solo pensiero, il suo corpo non regge. Gli si annoda lo stomaco, gli si attorcigliano le viscere, si sente nauseato, svuotato, stanco e non vuole, non vuole, non può. Perciò dice sì. Lo dice una volta, e poi due, e poi tre. E gli amici aumentano. Uno per volta, due o più insieme. Kurt perde il senso del limite, non ricorda più come si fa a negargli qualcosa, e Blaine lo sa. Blaine lo sa perché è stato lui a portarlo fin lì. L’ha fatto consapevolmente, e questa è la seconda cosa peggiore, così dice a Dave, piangendo così forte da farsi dolore il petto. Questa è la seconda cosa peggiore. L’essersi messo nelle sue mani spontaneamente. Non essere stato capace di frenarlo in nessun modo.
Essere stato tanto stupido da credere all’amore solo perché per la prima volta qualcuno l’aveva fatto sentire amato.
*
- Sapevo che vi avrei trovati qui a rivangare. Siete un cliché. Molto più di quanto non lo fossimo io e te, Kurt. E immagino che non ci sia modo di sistemare questa storia senza che qualcuno ne pianga le conseguenze, giusto? – dice Blaine, in piedi di fronte a loro, ancora seduti per terra, - Prima di ogni cosa, non ho tempo per le sciocchezze. E non ho tempo per te, Karofsky. Vai a farti un giro, devo parlare con Kurt.
- Neanche per idea. – ringhia Dave, scattando in piedi, - Tu ora scompari. Per sempre. E non ti avvicini a Kurt mai più finché sei vivo. E io potrei prendere in considerazione l’idea di non prenderti a sprangate sulla nuca e non denunciarti alla polizia.
- Oh, sì, prendimi a sprangate sulla nuca e poi vai alla polizia, sono sicuro che saranno molto interessati alla tua storia. – ride Blaine, - O alla tua, - aggiunge, voltandosi a guardare Kurt, - della quale non puoi dimostrare niente. Per dire la verità, non sono neanche sicuro di aver fatto qualcosa di realmente illegale. Ti ho sempre chiesto cosa volevi fare, sei sempre stato tu a rispondermi di sì. – dice con un mezzo ghigno che però non sembra affatto realmente divertito. Kurt non riesce nemmeno a guardarlo. Si copre il volto con entrambe le mani e Dave non ha bisogno di molto altro, per decidere cosa deve fare.
La spranga potrebbe non essere necessaria.
*
Kurt ritorna di corsa, rosso in volto, trafelato, imbarazzato oltre ogni dire. Scarta il ghiacciolo che ha comprato dal chiosco in fondo alla strada e lo appoggia sull’occhio già gonfio e giallastro di Dave, inginocchiandosi al suo fianco e sospirando pesantemente.
- Non avevano del ghiaccio vero, mi sono dovuto accontentare. – gli spiega, - Sarai un po’ appiccicoso, ma almeno la tua faccia non diventerà il doppio più grossa.
- Visto che lo è già abbastanza… - commenta Dave con una risatina, e Kurt arrossisce ancora più violentemente, tirandogli uno schiaffetto contro una spalla.
- Non fare ironia, cretino. – lo rimprovera, e poi sospira ancora. – Non pensavo che sarebbe riuscito a colpirti. Certo che sei un idiota, sei alto e largo il doppio e ti fai prendere così a pugni in faccia…
- Un solo pugno. – borbotta Dave, quasi offeso, - Mi sono distratto per un secondo e la sua statura ridicola gli ha permesso di muoversi più velocemente di quanto pensassi. Ma a lui è andata comunque peggio.
Kurt si lascia andare ad un sorrisetto divertito, e Dave sa che lo fa perché sta pensando al labbro ed al sopracciglio spaccato di Blaine e a quanto sangue perdeva mentre si allontanava zoppicando e piangendo in maniera ridicola.
- Sai cosa? – dice, - Mi sento ancora più stupido, adesso. Ti sono bastati dieci minuti di botte per farlo fuggire via in lacrime. Ti rendi conto di quanti mesi abbia passato io piangendo disperatamente perché non sapevo cosa fare? È imbarazzante. – sbuffa contrariato, sedendosi al suo fianco. – Toh, continua a premerti il ghiacciolo contro l’occhio. – si raccomanda, passandogli il ghiacciolo tenendolo saldamente per il bastoncino di legno.
- Dovresti sentirti fortunato, invece, perché almeno hai trovato uno come me che aveva la soluzione a portata di mano. – borbotta Dave, ubbidendo all’ordine. C’è tanto di quel freddo che il ghiacciolo neanche si scioglie. Gli rimarrà appiccicato alla faccia.
Kurt lancia un’occhiata alle mani di Dave, e fa una smorfia addolorata. Quando Blaine si è allontanato e lui ha potuto avvicinarsi per guardarle, le nocche erano così scorticate da sanguinare. Le hanno avvolte in due pezzetti di stoffa che Kurt ha strappato da una camicia che improvvisamente sembrava molto meno di valore di quanto non apparisse quando, una settimana prima, l’ha comprata per un prezzo allucinante durante lo shopping del venerdì, ma Kurt non riuscirà a levarsi la loro immagine dalla testa tanto facilmente.
- Mi dispiace per le tue mani. – dice a bassa voce, - È… è assurdo che tu abbia dovuto farlo. Mi dispiace moltissimo.
- Oh, per piacere. – sbotta Dave, scrollando le spalle, - Cercavo solo una scusa per prenderlo a pugni da mesi. Sono io che dovrei ringraziare te. La Furia decisamente si sente molto grata, in questo momento. Un po’ ammaccata e dolorante, ma grata in ogni caso.
- La Furia… - Kurt sorride appena, stringendosi nelle spalle e sedendosi abbastanza vicino da potergli sfiorare un fianco col proprio, - Sono contento che tu l’abbia presentata prima a Blaine che a me. – aggiunge con una mezza risatina.
Dave gli lancia un’occhiata e si sente arrossire così tanto che perfino il ghiacciolo comincia a sciogliersi.
- Mi sa che al ritorno dovrai guidare tu. – gli dice per cambiare argomento, lanciando un’occhiata al cielo limpido e ghiacciato sopra di loro. Kurt annuisce. Non sembra granché infastidito dall’idea, e Dave si concede un sorriso sollevato. Poteva andare peggio, o forse no, ma comunque non importa. L’importante è che sia passata.
back to poly
  1. La Fuuuuuuuuuuuuuuuriaaa çOç Ddddio, che amori <3
    La storia è stupenda; creepy e- duh, agghiacciante. La cosa peggiore è che è la stessa identica meccanica dietro a numerosissimi casi di prostituzione; è tutto terribilmente plausibile.
    Amo il tuo Dave e duh, quando parlavo di scazzottata tra Blaine e Dave intendevo qualcosa che sfociasse in angry!sex (XD), ma questa cosa è perfetta <3
    Inquietante da morire Blaine ._.

    (Plus, ma Kurt adesso si ritrova il traforo del monte bianco tra le gambe…?)

    *COUGH*

    Complimentissimi <3

    Harleen
    26/09/2011 23:06

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