Spin-off di Wicked Game di Stregatta.
Genere: Commedia, Erotico.
Pairing: TomxBrian.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: PWP, Slash, Spin-Off.
- Qualche tempo dopo la fine della sua pseudo-storia con Brian, Tom si ritrova a Londra nel tentativo di riportare a casa quello scapestrato di suo fratello in viaggio di nozze, e per puro caso incontra proprio l'uomo che non pensava avrebbe incontrato mai più...
Note: *_____* Io amo questa storia. Indipendentemente dal fatto che sia una PWP (perché lo è ç_ç), dal momento che è stata pensata per essere un tributo ad un personaggio che ho amato tantissimo (il Tom di Wicked Game, di Stregatta <3 cui ricordo il mio amore profondo anche in quest’occasione <3), era ovvio che ci tenessi in modo particolare. Stranamente, non mi sembra neanche forzata ed illeggibile come mi capita sempre quando scrivo lemon. È un grande traguardo, sentirmi soddisfatta di una scena simile T_T È che Tomi e Brian in quella storia sono davvero troppo intriganti e sexy per non desiderare di dar loro un finale alternativo che sia anche – ehm – piacevole <3
Spero di non aver deluso nessuno :* Grazie!
PS: La poesia dalla quale sono tratti i versi che aprono la storia, e che le dà anche il titolo, è stata scritta da Gian Pietro Lucini ed è tratta dalla raccolta “Revolverate”. La poesia è splendida e molto smaliziata, non sono altro che le confessioni di un giovane cavaliere di ritorno dalla guerra, ma mi sembrava che questo passo si adattasse particolarmente a quei due, perciò l’ho citato, ed in effetti è da lui che ho preso ispirazione XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Before you begin… Questa storia non narra fatti realmente accaduti e non ha alcuna pretesa di ritrarre la reale psiche delle persone dietro ai personaggi usati a puro scopo ludico e non lucroso. Essendo questa fanfiction uno spin-off di Wicked Game di Stregatta, vi invito a leggere quello prima di avventurarvi in questa pur breve storiellina, perché altrimenti potreste non capirci un accidenti o.o Per il resto, badate che il rating parla chiaro e non si risparmia nulla <3 Perciò divertitevi XD


*


Una volta, Stefan gli aveva consigliato di non mettersi mai a giocare coi sentimenti dei ragazzini. “Coi ragazzini”, gli aveva detto, “non importa chi sia il vincitore materiale dello scontro: i vincitori morali sono sempre loro”.
Certo, il caso riguardo al quale il consiglio era stato espresso era sostanzialmente diverso da quello che Brian aveva vissuto nel corso dell’anno precedente, durante le sessioni di registrazione dell’ultimo album a Lipsia. Per dire, quando il consiglio era stato dispensato la prima volta, si era trattato di un adorabile batterista irlandese con una decina d’anni meno di lui; non di un chiassoso chitarrista tedesco che di anni in meno rispetto a lui ne aveva diciassette. Almeno anagraficamente. Perché, quanto a maturità, lo scarto avrebbe potuto sembrare perfino maggiore.
In ogni caso, che il consiglio fosse stato lo stesso per due situazioni differenti, non era granché rilevante.
Quando Stef l’aveva ripetuto, infatti, come la prima volta era stato del tutto ignorato.

La Canzone Del Giovane Eroe


Badate a me:
posso offrirvi una notte d’amore?
L’ozio mi irrita della caserma,
la cavalcata mattutina mi eccita,
il fruscio delle gonne mi snerva;
amare, Signore, è necessario,
come combattere, come… conquistare.




Tom non era affatto cambiato, dopotutto. La qual cosa lo irritava parecchio, in realtà.
Insomma: era sempre stato consapevole del potere delle esperienze sulle persone. Lui era la prova vivente di come le persone inevitabilmente cambiassero in seguito a determinati avvenimenti della loro vita! Era cambiato quando era andato a vivere da solo, era cambiato quando s’era scoperto bisessuale, era cambiato quando aveva messo su i Placebo, era cambiato quando aveva perso il suo primo batterista, era cambiato quando la sua ex s’era quasi suicidata per lui, era cambiato quando aveva rischiato di crepare come un coglione mentre vagava ubriaco per le strade, era cambiato quando s’era visto surclassato da gruppi più giovani all’interno di un genere musicale che riteneva parzialmente proprio, era cambiato quando aveva conosciuto Helena ed era cambiato anche recentemente, dopo aver visto la fine del loro rapporto. Probabilmente, se avesse incontrato per strada il se stesso di vent’anni prima, non si sarebbe neanche riconosciuto. O, se si fosse riconosciuto, si sarebbe dato un bel ceffone. O anche due. Li avrebbe comunque meritati.
Nell’anno appena trascorso, e che li aveva separati, Tom Kaulitz aveva fatto in tempo a riprendersi dalla cotta potenzialmente più disastrosa della sua vita, maturare abbastanza da accettare di essere il testimone di nozze del proprio gemello – e svolgere adeguatamente il compito, a quanto pareva, visto che nessun giornaletto da ragazzine aveva riportato notizie di disastri di sorta, tipo chitarristi che vorticano sul tappeto rosso della sala del municipio dopo essersi attorcigliati nei propri vestiti e impiccati coi propri rasta – e guidare il proprio gruppo all’esplosione di ascolti negli Stati Uniti, cui aveva seguito un breve tour di ricognizione i cui incassi erano stati tanto incoraggianti da dare modo alla produzione di organizzarne uno ben più nutrito per l’anno successivo. Peraltro, aveva pure trovato il tempo di prendere quelle cinque-seimila lezioni di chitarra serie di cui aveva bisogno per improvvisarsi chitarrista quantomenoaccettabile. E riuscire nello scopo.
Insomma, qualcosa doveva essere cambiata, in lui. Qualcosa che non si esprimesse soltanto nel far scorrere più o meno disinvoltamente le mani su un manico di chitarra, o nel non ammazzarsi da solo incespicando emozionato mentre si cerca di raggiungere all’altare il proprio fratello, con le fedi accuratamente nascoste nella tasca dei jeans extralarge cui non si è comunque voluto rinunciare, nonostante l’occasione solenne.
Qualcosa di più sostanziale, di più profondo. Qualcosa che avesse a che fare col modo di affrontare la vita, le persone. Qualcosa nel modo di rapportarsi con loro. Di interagire con loro senza irruenza, con delicatezza ed educazione. Qualcosa di importante.
E invece no.
- Brian!
Nel pub semivuoto e silenzioso, la sua voce risuonava forte e chiara, quasi fastidiosa, sfondando ogni resistenza e piantandosi con prepotenza direttamente nel timpano, costringendo all’attenzione.
Esattamente come l’ultima volta che l’aveva sentita.
Così come identica era l’inflessione tutta speciale con la quale Tom chiamava il suo nome. Non gli capitava così spesso, di sentire il proprio nome pronunciato in modo simile. Non dipendeva solo dall’ammirazione assoluta che provava nei suoi confronti, o dall’indubbia attrazione sessuale che l’aveva costantemente spinto contro di lui per tutto il tempo in cui s’erano frequentati a Lipsia, no. Tom chiamava il suo nome con presunzione. Come se avesse tutti i diritti di far sentire al mondo che lui era l’unico che avesse il potere di pronunciare quel nome nella sua forma più completa, perché della persona che lo portava aveva compreso tutto.
- Tom. – lo chiamò lui, voltandosi a guardarlo e preparando il più perfetto dei propri sorrisi disinteressati mentre lo faceva.
Doveva essere impeccabile. Rivedere Tom, rivederlo in quel modo, inspiegabilmente lo turbava. Ma non poteva lasciare trasparire niente, di quelle emozioni. Niente, o Tom se ne sarebbe approfittato. Lo sapeva per certo, anche se non riusciva a comprendere di cosa il suo cervello stesse cercando di avvisarlo con esattezza, con quell’incessante segnale di pericolo a lampeggiare davanti agli occhi.
- Oddio, mi sembra una vita! – continuò lui, con entusiasmo, prendendo possesso dello sgabello accanto al suo e facendo cenno al barista per farsi portare un boccale della sua stessa birra. – Che hai fatto, in tutto questo tempo?!
- Più che altro mi sono sfinito. – ammise con noncuranza, sorseggiando la bevanda ancora freddissima ed estremamente piacevole, frizzante sulla lingua e sul palato.
- Ho sentito… - ridacchiò Tom, socchiudendo gli occhi come un gatto curioso, - Siete candidati come Best Headliner, quest’anno… è la prima volta, no?
- Ed era anche ora. – sbottò lui, stringendosi nelle spalle, mentre Tom ridacchiava compiaciuto, - Solo che, ovviamente, è un delirio. Perché siamo contro Muse, Linkin Park e i pagliacci di Leto, quindi ovviamente nemmeno mia madre scommetterebbe a nostro favore. – aggiunse con una smorfia sinceramente contrariata, mentre Tom annuiva comprensivo, poggiando il mento contro il palmo della mano – le dita ripiegate a sfiorare distrattamente il labbro inferiore – e il gomito sul legno ruvido e grezzo del bancone.
- Be’, l’ultimo album dei Linkin Park è bellissimo. – argomentò seriamente, riflettendo compito, - Pare che il tour in America sia andato alla grande. E poi sta per partire il nuovo Projekt Revolution, figurati. Però se fossi in te di Leto non mi preoccuperei troppo… - mugugnò, - Quest’anno ha fatto più cinema che altro.
- Ti vedo informato. – commentò con un sorrisetto, inclinando lievemente il capo.
Conosci il tuo nemico! – sillabò lui con competenza, - Siamo contro di loro per il Rock Out. Dei Muse invece non so niente… non mi pareva avessero fatto album nuovi, e a quanto mi risulta sono ancora persi da qualche parte nel mondo in vacanza…
- In effetti è vero, almeno, quando ci siamo sentiti l’ultima volta Bellamy mi ha confermato di essere ancora perso nella giungla australiana col padre. – sospirò Brian, allargando le braccia ai lati del corpo, come per prendere atto di una realtà scomoda quanto incontestabile, - Ma figurati se non mettono i Muse in lizza per un premio alla migliore esibizione live. Potrebbero pure darsi per dispersi per sei anni, e vincerebbero comunque sei premi su sei.
Tom rise ancora, in quel modo del tutto sincero e spontaneo che sempre era riuscito a fargli capire come ridesse per lui, per ciò che diceva, perché lo seguiva, non per compiacerlo e farsi approvare.
- E voi? – chiese, più rilassato, - Niente tour?
- Macchè. – borbottò Tom, contrariato, - Mio fratello sta approfittando del matrimonio con fin troppa disinvoltura. – lo informò, incrociando le braccia sul petto. – È per questo che sono qui. – aggiunse, ringraziando il barista con un cenno quando si ritrovò la birra ghiacciata sul bancone, - Sono venuti a nascondersi qui a Londra, ed io ho pensato di venire a recuperarli prima che David impazzisca del tutto.
- Ah-ha. – annuì lui, con una risatina divertita, - E allora com’è che perdi tempo qui?
Tom affondò nella propria birra, mugugnando una protesta inarticolata prima di deglutire e cominciare a lamentarsi anche verbalmente.
- Mi hanno rifilato un piatto di pasta per cena e poi sono stato gioiosamente sbattuto fuori con la richiesta di tornare solo con un mandato di perquisizione controfirmato da David in persona… che, figurati, mi piacerebbe anche!, almeno potrei sbatterlo in faccia a quel pigrissimo porco che ho per fratello e ridere, ma tornare in Germania al momento è un pensiero che mi uccide…
- Mh… e come mai?
Tom roteò gli occhi.
- Lavoro, lavoro e ancora lavoro! – guaì, - E l’idiota sta in vacanza, perché “tanto la traccia vocale si registra dopo”! Come se fosse una scusante. – si lasciò andare ad una smorfia, bevendo un altro po’ di birra, - Adesso che lo so, prenderò delle misure adeguate. Mi metterò con qualcuno, lo mollerò e poi tornerò strisciando e proponendo matrimoni a destra e a manca dopo aver capito di aver fatto una cazzata, così dopo potrò prendermi una vacanza a tempo indeterminato e sarò felice!
Brian rise, rigirandosi il boccale fra le mani ed osservando un sottile strato di schiuma formarsi sulla superficie della birra.
- Almeno lui ha capito di aver fatto una cazzata, invaghendosi del sottoscritto. – commentò malizioso, strizzando gli occhi.
- Be’, lui l’aveva fatta. – replicò tranquillamente Tom, - Io no.
…bene.
Aveva fatto una stronzata.
Quando, Dio, quando avrebbe imparato che perfino il più piccolo spiraglio può essere letale, di fronte ad individui simili? Individui come Tom, che sanno maledettamente bene quello che vogliono e, purtroppo, sanno altrettanto bene anche come prenderselo, che s’infiltrano fra le pieghe delle parole e le prendono fra le mani, mescolandole tra loro per dare vita ad un impasto dal quale forgiarne di nuove, da utilizzare come armi contro la ritrosia di chi vogliono raggiungere, per esempio.
- Sei del tutto irrecuperabile. – sospirò pesantemente, abbandonando il capo contro il palmo aperto.
- Oh, non farmi passare per un criminale, adesso! – si giustificò Tom, ridendo di cuore, - Non è che avessi pianificato tutto fin dall’inizio! Non sapevo che ti avrei trovato qui, per esempio.
- …che intendi?
- Be’, Bill mi aveva fatto questa lista di pub particolarmente frequentati, e-
- Tom!
E lui rise ancora, chiudendo gli occhi e piegandosi in due, avvicinandoglisi tanto che Brian sentì perfino il profumo della sua pelle.
- Sto scherzando. – lo rassicurò il rasta, sorridendo malizioso una volta tornato dritto. – Non ti stavo cercando, davvero. Volevo solo una birra.
Brian inclinò il capo, sorridendo.
- L’hai avuta. – notò con distacco.
- Sì, certo. Però poi ti ho visto… - s’interruppe un attimo, giusto per dare alla curva delle labbra un’inclinazione ancora più maliziosa, - …e quindi adesso voglio anche te. – concluse, come fosse ovvio.
Brian rise di nuovo.
- Sai, sei esattamente come avevo immaginato. Non sei maturato per niente.
- Scherzi?! – si lamentò il biondo, gravemente offeso, - Ti rendi conto che, quando ho aiutato mio fratello a scegliere lo smoking per il matrimonio, ne ho provato uno anche io?!
- Sì, però poi non l’hai usato…
- Quello non sarebbe stato maturare. – contestò lui con serietà, - Sarebbe stato svendermi!
Brian roteò gli occhi, ridendo ancora.
- Povero Bill! – esalò, sollevando comicamente le braccia verso il soffitto, - Non lo invidio per niente.
- Invece dovresti. – mugugnò Tom, divertito, - Lui s’è liberato di me. Tu non ancora.
- Oh! – singhiozzò Brian, mimando disperazione, - Questo è un colpo al cuore!
- E di certo non vorrai lasciarmi qui da solo, a vagare per strade che non conosco, col rischio che possano rapirmi o derubarmi o torturarmi o farmi chissà che altro!
Brian inarcò le sopracciglia, incredulo ma stuzzicato.
- Non ti starai autoinvitando a casa mia?! – esordì, scoppiando a ridere come un bambino.
Anche Tom sghignazzò un po’, prima di dare al proprio uno sguardo una sfumatura d’intensità che non aveva niente di giocoso, e tornare a guardarlo attentamente.
- Ci sarebbero problemi? – gli chiese seriamente, giocando col piercing al labbro.
Brian si prese qualche secondo, prima di rispondere.
Più per salvare la faccia che per altro.
- No, non credo.

*

Tom gli era letteralmente saltato addosso già in ascensore. Non era stato particolarmente irruento o violento: non l’aveva schiacciato contro il muro, non gli aveva bloccato le braccia, non l’aveva afferrato con forza. Si era semplicemente chinato su di lui, e l’aveva baciato. Aveva chiesto il permesso di scivolargli fra le labbra con discrezione addirittura riverente e, per quanto aveva riguardato altri tipi di contatti fra i loro corpi, non c’era stato altro che una carezza dolce e un po’ impacciata dalla guancia alla base del collo.
Brian l’aveva comunque sentita come una violenza. Un po’ perché sentiva sottopelle di stare commettendo l’ennesimo errore più grande della sua vita – solo uno in più in una lista che andava solo allungandosi, e che sospettava avrebbe continuato a farlo per sempre – ed un po’ anche perché, per quanto Tom non stesse cercando in alcun modo di imporsi fisicamente su di lui, malgrado potesse eccome, in realtà si stava imponendo con fin troppa intensità su tutti i suoi sensi, per non rappresentare un elemento di disturbo.
Ma era un fastidio strano. Era un fastidio che gli pizzicava le labbra e gli accarezzava la lingua. Un fastidio identico al tocco di quel dannato piercing sulla bocca: freddo, straniante, da brivido, ma sensuale ed erotico come poco altro.
Tom baciava bene.
Tom baciava dannatamente bene.
La gavetta fa miracoli. Lui lo sapeva alla perfezione.
Solo quando fu certo del suo assenso, Tom si azzardò a cingerlo alla vita e tirarselo contro, aderendo perfettamente al suo corpo e lasciandogli scivolare con navigata grazia un ginocchio fra le gambe. Se volesse dare una controllatina o se la sua intenzione primaria fosse solo stuzzicarlo una volta di più, Brian non lo seppe mai, perché comunque l’effetto di quel tocco fu devastante.
Niente di esageratamente plateale – non sarebbe stato da lui – ma il singhiozzo strozzato che gli sfuggì dalla gola concedeva a Tom molto più di quanto non desiderasse. E riusciva ad essere, allo stesso tempo, la misura esatta di ciò che voleva dargli e che pretendeva in cambio da lui.
Era strano. Era contorto. Era sporco.
Il sesso lo è sempre.
Tom gli sorrise sulla pelle, ma non era un sorriso di scherno né una vittoriosa presa di coscienza della propria posizione di vantaggio: era un ringraziamento sincero.
Qualcosa del tipo…
- Non pensavo che ce l’avrei fatta davvero, un giorno.
Brian sorrise a propria volta, sollevandogli addosso uno sguardo rovente.
Tom si leccò le labbra, e sullo specchio opaco e bramoso dei suoi occhi poté vedere chiaramente tutti i suoi sensi attorcigliarsi e confondersi in un senso unico: quello che gli permetteva di assaggiarlo, ascoltarlo, inalare il suo profumo, ammirarlo e sfiorarlo insieme. Il senso di Brian. L’espressione palese del suo desiderio.
- Sei stupendo… - gli sussurrò sulle labbra, prima di ricominciare a baciarlo, con passione crescente.
Brian lo lasciò fare, spingendolo al contempo fuori dall’ascensore, verso la porta di casa ed all’interno dell’appartamento, dove Tom non aspettò nemmeno la camera da letto per fermarsi e pretenderlo tutto. Brian lo osservò divertito cercare a tentoni una qualsiasi superficie semirigida alla quale appoggiarlo ed appoggiarsi. Lo osservò trovare il divano e spingerglisi contro nel tentativo di obbligarlo a distendersi sotto di sé.
Oppose resistenza per il solo piacere di sentirlo mugolare, insoddisfatto e implorante, e perdersi con le labbra e le mani sulla superficie della sua pelle, indugiando appena sulla scollatura della maglietta ed oltre l’orlo dei pantaloni.
- Tu godi nel farmi soffrire… - si lamentò Tom a mezza voce, annegando nel suo profumo.
Brian sorrise ancora.
- Solo un po’. – ammise, stringendosi nelle spalle, - Ma so anche essere un bravo bambino, quando voglio.
Tom sollevò gli occhi nei suoi, incerto.
- E vuoi?
Brian ebbe un attimo di esitazione. Non perché si sentisse improvvisamente insicuro, ma perché dannazione, così timido e rassegnato Tom era uno spettacolo indescrivibilmente bello, quasi ipnotico. Il modo in cui torturava il piercing, il respiro mozzo e ansioso a gonfiare il petto sotto l’enorme maglietta, la piega tormentata e sensuale delle sue sopracciglia, l’onda increspata delle labbra piene arricciate in una smorfia spaventata… era tutto quasi troppo bello per essere solo di una persona.
Fu solo un attimo, comunque. Si sporse quasi subito a baciarlo.
- Voglio. – puntualizzò, prima di lasciarsi ricadere sul divano con un lievissimo sbuffo d’aria.
Tom lo seguì, sorridendo felice come un bambino e cominciando immediatamente ad armeggiare con i suoi vestiti per spogliarlo.
Brian provò a propria volta a mettere mano nell’enorme impalcatura d’abiti extralarge che lo avvolgevano, ma la ritrasse presto, confuso.
- Faccio io, faccio io! – lo rassicurò Tom, entusiasta, sfilando in un gesto unico cappellino, berretto e fascia, lasciando la lunga coda di dread a carambolare pesante lungo le spalle e la schiena. Brian si concentrò sul movimento di quelle ciocche bionde e scure. Le osservò risollevarsi, trascinate dalla scollatura della maglietta, e ricadere poi sulla sua pelle nuda, dorata e profumata, tanto liscia e perfetta da far venire voglia di morderla.
Tom chinò il capo per slacciare la cintura che reggeva i pantaloni poco sotto l’orlo dei boxer, e nel movimento alcune ciocche ricaddero sul petto, incastrandosi nel solco fra i pettorali ed inciampando nelle sporgenze spigolose delle clavicole, sfiorandolo appena. Istintivamente, si sollevò a lambire con le labbra lo stesso percorso dei rasta, mentre Tom cercava di darsi un contegno sorridendo lievemente ma non riusciva ad impedire alle proprie mani di tremare spasmodicamente, come desiderasse averne più di due, perché per fare tutto ciò che desiderava quelle che aveva non sarebbero mai bastate.
Brian sorrise a propria volta sul tintinnio della fibbia della cintura che non si decideva a venire via, e sui grugniti sconnessi di Tom, che non sapeva se lamentarsi o gemere di piacere.
- Questo posso farlo anche io… - gli sussurrò addosso, scendendo con le mani a slacciare velocemente la cintura e sfilandola dai pantaloni, mentre Tom si occupava del bottone e della cerniera e, dopo essersi liberato del pesante ingombro dei jeans, sfilava svelto i boxer, premendosi contro di lui come a volergli dare una prova inconfutabile della propria eccitazione.
Brian gli scivolò addosso, lascivo, accogliendo compiaciuto il suo mugolio e le brevi quanto insistenti spinte che gli regalò in risposta. Gli concesse un bacio in premio. E poi un altro, e un altro ancora, fino a che non fu più tanto chiaro chi stesse dando e chi stesse ricevendo, nel serratissimo rincorrersi di labbra e lingue ch’era diventato quello scontro.
Tom scese con le mani lungo i fianchi in una carezza infinita, sfiancante, devota e tremendamente dolce. Brian rispose sollevando le braccia e stringendolo dietro la nuca, invitandolo ad andare avanti mentre giocava a torturare il suo lobo con la lingua.
Tom ristette appena sulle sue natiche, prima d’insinuarsi quasi timoroso nel solco fra di esse, scendendo a sfiorare la sua apertura nell’ennesima carezza devota che lo fece sospirare. S’inarcò e gemette sotto quella lieve pressione sulla pelle ipersensibile, e trattenne il fiato mentre lui portava le mani al viso ed inumidiva la punta delle dita, prima di tornare quieto ad accarezzarlo più intimamente, forzando con premura ma con decisione le naturali resistenze del suo corpo e scavandosi quasi di prepotenza un posto dentro di lui, obbligandolo a chiudere gli occhi ed adattarsi alla nuova presenza con gesti frettolosi ed agitati.
Quando le sue dita cominciarono a muoversi, Brian lasciò perdere il fastidio che ancora provava e socchiuse gli occhi, osservando l’immagine sfocata di Tom attraverso le palpebre. Era ancora bellissimo. Sudato ed ansimante, continuava a pressarglisi addosso, stuzzicando insieme le erezioni di entrambi. Era talmente piacevole che avrebbe quasi desiderato che continuasse semplicemente così fino alla fine.
Ma Tom aveva altre esigenze, lo sapeva. Ed anche lui, ormai, era ben più che semplicemente curioso. Voleva sentirselo dentro, voleva guardarlo muoversi mentre si faceva strada verso di lui, voleva sfiorare i muscoli là dove si tendevano e si stiravano al solo scopo di procurare piacere ad entrambi, e voleva assaggiare in punta di lingua il sapore della sua pelle.
Gli si avvicinò con più decisione, con uno scatto in avanti che costrinse le dita di Tom ad abbandonare il posticino caldo ed umido che s’erano conquistate a fatica. Tom non tardò a cogliere il suo desiderio. Si chinò su di lui, baciandolo profondamente mentre si sistemava fra le sue gambe e sollevava il suo bacino perché aderisse al proprio.
Compiendo lo stesso movimento di qualche minuto prima, portò di nuovo la mano alle labbra, leccandola stavolta per tutta la superficie del palmo, prima di lasciarla scendere a cingere la sua erezione per indirizzarla più facilmente verso di lui.
Gli scivolò dentro con estrema semplicità, quasi senza attrito. Brian lo sentì gemere prepotentemente contro la sua pelle, e gettò il capo all’indietro, provando a trattenere i sospiri mozzati che premevano per uscire dalle sue labbra. Tom si avventò subito sulla sua pelle bianca, trattenendola fra i denti e succhiandola con avidità, spingendosi ora lentamente ora più decisamente contro di lui, dentro di lui, fin quasi a stordirlo, accarezzandolo fra le gambe al ritmo stesso delle proprie spinte, mentre Brian si adeguava, seguendolo in quell’ondeggiare convulso, andandogli incontro quando lui si avvicinava ed allontanandosi quando lui si faceva da parte, cercando di dare regolarità ai loro movimenti e rinunciando al proposito quando le spinte di Tom cominciarono a farsi più svelte e concitate. Lo osservò serrare gli occhi e rovesciare il capo contro la sua spalla, mentre lo afferrava per i fianchi e lo penetrava un’ultima volta, quasi con violenza, prima di venire.
Lo seguì pochi secondi dopo, perché Tom non si fermò, ed anzi, continuò a spingere e ad accarezzarlo finché anche lui non raggiunse l’orgasmo. E poi si abbandonò completamente contro di lui, allacciandolo alla vita e cercando di recuperare un ritmo più regolare per il proprio respiro, mentre allo stesso tempo cercava di inalare quanto più potesse l’odore della sua pelle, per riempirsene i polmoni.
Non fu un movimento ragionato, ma dopo qualche secondo Brian sollevò un braccio e lo passò lievemente sulla sua nuca, prima si lasciarlo scendere a giocare fra le pesantissime ciocche di capelli che gl’ingombravano la schiena, il petto e le spalle.
- Dillo che ti stai pentendo di aver rifiutato fino ad adesso! – furono le prime parole di Tom. Una battuta offensiva condita però da una risata talmente sincera e divertita da non potere in alcun modo risultare seria.
Brian rispose con una smorfia, tirandogli i capelli.
- Adesso sì che sono pentito. Di averti fatto entrare in casa, però!
- Sempre sulle tue, tu… - mugolò Tom, imbronciato, sollevandosi a cercare un bacio, che lui gli negò.
- Dovresti darti una mossa. – suggerì, senza però smettere di trattenere un paio di dread fra le dita, - O non troverai nessuna stanza da nessuna parte.
Tom spalancò gli occhi, scattando a sedere e guardandolo dall’alto con manifesta sorpresa.
- Intendi buttarmi fuori di casa?!
Brian si strinse nelle spalle.
- Ma perché?!
Brian si limitò a ridere.
- Sei ingiusto! Tutto solo in questo appartamento enorme… e mi butti fuori!
- Come fai a sapere che è enorme? Ti sei fermato appena dopo l’ingresso…
- In effetti è vero. – rifletté lui, serio, - Portami a fare un giro!
- Così puoi colonizzare anche il resto della casa? – sorrise ironico, inclinando il capo.
Tom rispose con un sorriso malizioso dei suoi, di quelli che facevano proprio venire voglia di sollevarsi a mordergli le labbra.
- Non arriverò a tanto. – sogghignò furbo, - Comunque, per la prossima volta: si comincia dall’alto. Cappellino, cuffietta, fascia-
- Chi ti dice che ci sarà una prossima volta? – inquisì, inarcando divertito le sopracciglia.
Tom si strinse nelle spalle.
- Nessuno. – ammise, - Lo spero e basta.
Brian sorrise e se lo scostò di dosso, avanzando deciso verso il bagno.
- Trovati qualcosa da mangiare. – gli disse, sparendo in corridoio, - Io torno fra poco.
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