Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: BrianxMatt, accenni lievissimi di DomxMatt.
Rating: PG-13.
AVVISI: Boy's Love.
- I trent'anni sono un traguardo importante nella vita di un uomo. Brian Molko ne è perfettamente consapevole, ed è per questo che per il compleanno di Matthew vorrebbe organizzare qualcosa di molto speciale...
Commento dell'autrice: Buon compleanno, Matt ;O;!!! *si riprende* In realtà, questi trent’anni il nostro amato frontman li ha fatti *calcola* tipo una settimana fa *piange* Ma sono riuscita a concluderla solo oggi >.< Scusami, Matty, non volevo, è stata colpa del porno Kaulitzest çOç!
Comunque. Non fosse stato per il forum di MuseLive.com, questa roba non avrebbe visto mai la luce. Nel senso che, nel topic degli auguri a Matt, a un certo punto uno ha postato l’immagine di una tortina verde con alieno & navicella spaziale XD ed io non ho proprio potuto fare a meno di cogliere la palla al balzo e… creare questo, ecco XD
Che poi, non ho senso: una fic per fare gli auguri a Matthew, e il protagonista è Brian. Ma si può? Ho ragione quando dico che in realtà il mio gruppo preferito sono i Placebo, è solo che non l’ha ancora capito nessuno – me stessa compresa.
Ovviamente – precisazioni inutili – il Goldsmith College è la scuola d’arti drammatiche che ha frequentato Brian a Londra. (Peraltro, lolliamo insieme: il sito cita fra gli allievi famosi chiunque tranne lui, povero tato!). Ed Andy, come al solito, esiste – perché è vera la convivenza con uno spacciatore nei nel primo anno londinese di diciottenne!Matt – ma non si chiama veramente Andy. È solo che nella prima fic in cui l’ho usato l’ho chiamato in questo modo, ed io, be’, sono una donnina fedele XD
Nient’altro da dire è.é Vedete che il Mollamy non l’abbandono mai? Non preoccupatevi <3 Spero che abbiate gradito la storia! :*
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ALIEN-SHAPED CAKE

Per trovare una spiegazione razionale alla propria coesistenza con Brian Molko nella cucina in finto marmo di quell’anonimo appartamentino londinese, Chris dovette andare indietro con la memoria di molti giorni.
Dovette risalire, precisamente, ad una settimana prima.
Anche quel giorno si trovava con Brian, ma non era solo – con loro c’era anche Dom – e stava in un altro luogo – il proprio ordinatissimo salotto.
- È che vorrei organizzare una bella festa. – aveva mugolato in quell’occasione proprio Brian, arrotolato come gli si confaceva su una poltrona scamosciata bianco panna che, lo sapeva, Kelly avrebbe vendicato con la furia di un mohicano, - I trent’anni sono importanti.
- E tu lo sai bene, - aveva sibilato stizzito Dom, che, probabilmente, avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto ed impegnato in qualsiasi altra faccenda, piuttosto che in quel salotto a parlare col fidanzato del proprio migliore amico del quale era inspiegabilmente e ferocemente geloso, - visto che li hai già passati da un pezzo.
- Ma che dici?! – aveva ribattuto Brian, saltando sulla poltrona come l’avessero punto con uno spillo e piantando con forza i tacchi squadrati degli stivaletti nella morbida imbottitura lanuginosa, - Lo sanno tutti che devo compierli l’anno prossimo!
- Seh. – aveva sospirato il batterista, roteando gli occhi, - È da cinque anni che devi compierli l’anno prossimo.
Brian non aveva raccolto la provocazione ed era tornato a rivolgere l’attenzione solo a Chris, come faceva sempre quando si sentiva incompreso. Chris aveva sospirato e l’aveva accontentato con un sorriso partecipe e curioso. Ormai le dinamiche di quel destrutturato gruppo che erano diventati da quando i Placebo erano entrati nelle loro vite erano così precise ed ovvie che riusciva a trovarle perfino noiose.
Lo sarebbero state, probabilmente, se non fossero state anche piuttosto rassicuranti.
- Insomma, una cosa informale. – aveva continuato Brian, annuendo, - Non voglio mica affittare Buckingham Palace e chiedere alla vecchia di presenziare e farlo cavaliere. Però mi serve il vostro aiuto…
Dom aveva incrociato le braccia sul petto ed aveva sbuffato come un bambino di tre anni, mentre Brian spiegava il proprio piano malefico nell’approvazione di Chris, che continuava – per proprio conto – ad annuire compitamente, prendendo nota.
In seguito a questi eventi, Brian aveva saggiamente pensato che fosse più utile tenere al proprio fianco l’uomo che lo sopportava, rispetto a quello che non lo tollerava.
Perciò, in definitiva, a Dom era toccato tenere fuori Matthew per tutto il pomeriggio adibito alla preparazione del party – con suo sommo gaudio – ed a lui, invece…
…a lui era toccato tenere compagnia a Brian mentre, in quella preparazione, finiva immerso fino al collo.
E non immaginava neanche in che guaio si fosse cacciato.
- Non trovi anche tu che sia bellissima? – stava appunto pigolando il frontman dei Placebo, quando Chris riuscì a distaccarsi dal tunnel dei propri ricordi abbastanza da dargli ascolto.
Le mani giunte sotto il mento ed uno sguardo brillante d’amore sul volto, Brian fissava ammirato un’enorme torta multistrato ricoperta letteralmente da cima a fondo di lucida glassa verde.
Chris dubitava perfino fosse commestibile.
- È… - si sforzò di rispondere, cercando furiosamente le parole per rendere il commento in modo che non suonasse drammaticamente offensivo come… be’, come in effetti era. - …particolare. – concluse quindi, annuendo soddisfatto per la propria prontezza di spirito.
Brian gli lanciò un’occhiata dubbiosa, e Chris deglutì, terrorizzato.
Accidenti.
- Particolare? – chiese ansioso il frontman, voltandosi a guardarlo ed assediandolo fisicamente, facendoglisi vicino e minaccioso in maniera quasi intollerabile, - Cosa intendi per particolare? Stai cercando di dire che è brutta? Che non ti piace? Che non piacerà a Matt?
- N-No… - ansimò Chris, tirandosi indietro. Avrebbe dovuto essere più cauto. Mai mentire ad una donna. - Particolare vuol dire particolare… - arrangiò celermente, - Nel senso, non è comune vedere una torta ricoperta di glassa verde, ecco, è… una scelta coraggiosa!
Brian sembrò soddisfatto dalla spiegazione. Si tirò indietro con un sorriso radioso e tornò ad affaccendarsi intorno alla torta, per procedere all’operazione successiva: distribuire palline di zucchero argentato sui bordi come si fosse trattato di luci direzionali su una pista d’atterraggio.
- Brian… - riprese il bassista, chinandosi ad osservare l’intricato disegno delle palline, - C’è un piano, dietro tutto questo?
Lui lo sferzò con un’altra occhiata poco convinta.
- Stai di nuovo cercando di dire che non ti piace?
- Ma no, assolutamente! – si affrettò a negare, - È ancora una scelta molto coraggiosa, ma… ecco, mi piacerebbe comprenderne i dettagli.
Brian sospirò come non riuscisse proprio a concepire la sua ottusità.
- È ovvio che tu non capisca. – spiegò pazientemente, - Non hai ancora visto la ciliegina.
Chris inarcò le sopracciglia, dubbioso.
- Non so se il color ciliegia starà bene con questa tonalità di verde… e va bene che Dom dice che qualsiasi cosa, vista dalla giusta angolazione, può sembrare fucsia, ma anche in quel caso non so se-
- Parlavo di una ciliegina metaforica. – sospirò ancora Brian, arricciando le labbra in una smorfia di profonda delusione, - Sto aspettando che Stef me la porti.
A questo punto, c’è solo da preoccuparsi, pensò distrattamente Chris, mentre osservava Brian ritoccare la traiettoria delle palline con scrupolosità perfino eccessiva.
Fortunatamente, l’attesa non durò troppo a lungo, perché pochi minuti dopo il particolarissimo campanello che imitava il muggito di una mucca nonché il tintinnio del suo campanaccio – che Matt aveva preteso di installare in un pomeriggio di folle passione per il fai-da-te – annunciò ai due l’arrivo di qualcuno, e quel qualcuno era appunto Stef. Stef che stringeva fra le mani una scatola bianca di medie dimensioni, ed aveva sul viso un’espressione abbattuta, confusa e stanca che Chris non faticò a riconoscere come un riflesso perfetto della propria.
- Brian, non chiedermelo mai più! – furono le prime parole dello svedese quando si fece strada all’interno dell’appartamento, dopo aver salutato Chris con un mugolio di sofferenza repressa, - Sono serio, la prossima volta ti uccido.
Chris lo osservò entrare, sinceramente perplesso, e poi gli si avvicinò per liberarlo dall’ingombro del pacco mentre sfilava la giacca e la posava su una poltrona.
- L’hai trovato? – fu l’unica, cinguettante risposta di Brian, mentre irrompeva in salotto portandosi dietro il profumo dello zucchero e della crema al cioccolato con la quale aveva farcito la torta.
- Trovato? Non direi. – rispose l’uomo, piantandosi di fronte al compagno di band con le mani sui fianchi e le gambe semidivaricate, in una piccata espressione di rimprovero, - Le cose trovate si trovano, appunto, non ti costringono al suicidio mentale per guadagnartele. Diciamo che il modo più preciso di dirlo è “ho minacciato il commesso perché me lo facesse su misura e dal vivo”. Ecco, questo rende.
Brian agitò disinteressato una mano davanti al viso ed informò il proprio bassista che stava utilizzando troppe parole per poter essere davvero ascoltato.
- Perciò dimmi solo dov’è il pacco e facciamola finita.
Stefan sospirò ed indicò la scatola bianca ancora fra le braccia di Chris, prima di lasciarsi andare con evidente disperazione su un divano a caso, coprirsi gli occhi con un braccio e annunciare a gran voce di stare schiacciando un pisolino.
Brian non gli augurò neanche un buon riposo: si diresse – come sempre minacciosissimo – verso Chris e gli strappò il pacco di mano, poggiandolo sul tavolo e scoperchiandolo con velocità inaudita.
- Eccolo!!! – esultò poi, al colmo della felicità, - Oddio, è ancora più bello di quanto non sperassi!!!
Mentre Stef mugugnava un’imprecazione random dal divano, Chris si avvicinò curioso e sbirciò quasi timidamente all’interno dell’involucro, per sincerarsi del contenuto.
Di fronte a lui si stagliava una statuina di zucchero a forma di tipico alieno verde che stazionava immobile in piedi accanto ad un’altra statuina, a forma di navicella spaziale, bianca e rossa.
Il tutto era grande abbastanza per coprire interamente la grandezza dell’ultimo strato della torta che, con tanto amore, Brian aveva preparato per il suo Matt.
- …allora c’era questo, dietro. – constatò incredulo, la gola secca ed un incipiente mal di testa a farsi strada fra i neuroni.
- Sì! – annuì allegro Brian, - Adesso sbrigati, aiutami a portarlo di là, voglio che la torta sia pronta quando cominceranno ad arrivare gli invitati!
- …invitati? – si ritrovò a chiedere soprappensiero, mentre aiutava Brian a trasportare la scatola in cucina con la massima cura, - Che invitati, scusa? A parte Matt e Dom siamo tutti qui…
Brian lo sferzò con l’ennesima occhiataccia disapprovante della giornata. Probabilmente stava pure cominciando a pentirsi di averlo scelto come collaboratore onorario, chissà.
- Non essere ridicolo, Chris. Ho detto che sarebbe stata una festa informale, mica deprimente.
- …e questo significa…?
- Aaah, non preoccuparti! – borbottò, afferrando la navicella e posandola con cura in cima alla torre di pan di spagna glassato, - Pochi amici intimi. Alex, Tom, Steve, cose così.
Chris annuì dubbioso e si dedicò ad aiutare Brian nella complicata operazione di piazzare il piccolo alieno verde accanto alla navicella senza distruggere quanto faticosamente creato fino a quel momento, e fu proprio in quell’istante che la mucca muggì annunciando l’arrivo dei primi ospiti.
- Stef, tesoro, ti dispiace andare tu? – chiese Brian con tono falsamente dispiaciuto, - Qui siamo un po’ occupati…
Stefan, nell’altra stanza, grugnì qualcosa di indefinito ma si alzò comunque, andando ad aprire la porta e facendo gli onori di casa.
Impegnato com’era nel posizionamento dell’UFO zuccherino, Chris non riuscì a farsi una chiara idea di cosa stesse succedendo. Fu forzato a realizzare tutto, però, quando Stef li raggiunse in cucina e dichiarò candidamente che David era arrivato e si stava chiedendo dove fossero tutti.
A quel punto, Chris si ritrovò obbligato a sollevare lo sguardo e fissare Brian con aria smarrita.
- David chi? – chiese incerto.
Brian si strinse nelle spalle e ridacchiò debolmente.
- Oh… David Bowie. – rispose timido, - Non potevo certo lasciarlo fuori, su! – aggiunse poi, come fosse una giustificazione.
Chris spalancò la bocca e fece per chiedere qualcosa. Poi la richiuse e rifletté un altro paio di secondi. Ed infine decise che sì: per quanto la verità potesse fare paura, urgeva chiarirla.
- Brian, chi altri hai invitato con precisione?
Brian si mordicchiò un labbro e fece finta di pensarci su.
- Solo un paio di amici comuni. Micheal Stipe, Robert Smith, Gerard Way, Chester Bennington, Bono Vox…
L’elencò continuò per un altro paio di minuti. Ed alla fine, fu chiaro che, almeno per un particolare, Brian era sempre stato sincero: non aveva invitato la Regina. In compenso, però, era proprio l’unica che mancasse.
Quando i due riemersero dalla cucina – solo nel momento in cui la torta fu, a parere di Brian, del tutto perfetta – il salotto era pieno e Stefan s’era tramutato in una specie di maggiordomo borbottante acredine e risentimento.
- Ti ucciderò. Lo so che ti ucciderò. – andava mugugnando mentre continuava a rispondere al citofono ed aprire la porta ad intervalli regolari di tre secondi.
Perso in mezzo a quel delirio di volti conosciuti, sorridenti ed allegramente chiacchieranti, Chris si sentì, per la prima volta nella propria vita, così irrimediabilmente confuso da dimenticarsi perfino come si chiamasse, quali fossero le proprie origini e cosa stesse facendo in quel posto.
- Allora io andrei… - sussurrò poco convinto a Brian, mentre faceva per raggiungere la propria giacca sull’attaccapanni.
- Ma che stai dicendo?! – strillò lui, afferrandolo per la collottola e tirandoselo dietro, - Matthew sarà qui fra pochi minuti! Dove credi di andare?!
Ah, già… Matthew. I trent’anni. La festa, realizzò finalmente, a fatica, mentre la mucca muggiva per la trecentesima volta.
- Dev’essere lui! – gioì Brian, saltellando sul posto e trascinando in quella strana danza un povero Chris del tutto inerme, - Forza, nascondetevi!
Gli ospiti si guardarono l’un l’altro confusi ed un po’ incerti, ma ubbidirono. In pochi secondi, ogni anfratto del piccolo salotto di casa fu occupato ed utilizzato come tana dalla quale sbucare fuori al momento opportuno.
Quando il risultato fu soddisfacente, ed ogni lembo di tessuto ribelle fu rintuzzato negli angoli alla meno peggio, Brian ridacchiò e si diresse giulivo verso la porta.
- Tesoro, sei tornato! – mugolò felicemente, sollevandosi per baciare Matt in punta di labbra, - Andato bene lo shopping?
Matthew annuì distrattamente ed entrò in casa, guardandosi intorno con aria cupa mentre Brian “dimenticava accidentalmente” la presenza di Dominic e gli chiudeva la porta sul naso, guadagnandosi in cambio un appellativo poco lusinghiero.
- Come mai così triste…? – indagò quindi il moro, avvicinandosi titubante ed aiutando Matthew a liberarsi della leggera giacchetta di cotone che indossava.
- È che per tutto il pomeriggio Dom non ha fatto che ripetermi “compra questo, compra quello, è il tuo compleanno, te lo meriti”… - mugugnò l’inglese, stringendosi nelle spalle e distogliendo lo sguardo, - Solo che io non ce l’ho mica tutta questa voglia di festeggiare. Insomma, trent’anni sono così tanti
Brian fece un passo indietro, scioccato. Dom ristette sulla soglia e spalancò gli occhi, come chiedendosi se fosse proprio vero ciò che aveva appena sentito.
Da ogni singolo divano, poltrona ed anfratto nascosto della stanza, si alzò un riecheggiante quanto spaventoso “oh” di stupore e vaga disapprovazione.
- …che razza…? – biascicò Matt, guardandosi intorno spaesato, - Brian, che era quel rumore?!
Ma Brian non ascoltava. Testa bassa ed occhi ardenti di rabbia, fissava il proprio uomo come se la sua prima intenzione fosse caricarlo con una testata degna del più potente toro da corrida dell’intera Spagna.
- Perciò trent’anni sarebbero tanti, eh…? – bisbigliò crudelmente, stringendo i pugni.
- …Bri, cosa… - accennò Matt, turbato da quel repentino cambio d’umore, - Cosa ho detto di sbagliato…?
Brian sbuffò e si rimise dritto, intrecciando le braccia sul petto.
- Nulla. – rispose, gelido, - Figurati.
Poi si girò, raggiunse l’attaccapanni, recuperò un giubbino a caso – era di Matt, ma non sembrò saggio farglielo notare – afferrò un berretto ed un paio di occhiali da sole e si diresse a passo deciso verso l’uscita.
- Goditi la torta. – sibilò acido, prima di andare via.
Fu in quel momento che David Bowie trovò appropriato affacciare la testolina bionda da dietro un divano, sorridere timidamente e – dopo aver osservato Matthew scattare indietro e strillare neanche avesse voluto ucciderlo – sussurrare un imbarazzato “Be’, sorpresa!”, in seguito al quale i mobili presero vita e si misero a partorire persone come madri evangeliste, lasciando il povero inglese ingolfato nel panico più nero.
- Quell’essere incommentabile del tuo uomo, - trovò opportuno informarlo Dom, mentre tutto intorno fiorivano occhiatacce disapprovanti e sguardi diffidenti, - ti ha organizzato una festa di compleanno a sorpresa. Potevi almeno evitare di rovinargli tutto dandogli del vecchiaccio!
Matthew spalancò gli occhi e cercò confusamente la rassicurante figura di Chris in mezzo alla folla, come se Dom lo stesse attaccando con troppa violenza per potersi difendere e lui avesse bisogno di un cavaliere senza macchia e senza paura che potesse proteggerlo adeguatamente. Chris, in effetti, rispondeva in pieno alla descrizione.
- Io non gli ho detto che è un vecchiaccio! Ma che hai sentito?! – sbottò infatti alla volta del proprio batterista, quando Chris fu abbastanza vicino da potersi nascondere per metà dietro le sue spalle ampie e robuste.
- È come se l’avessi fatto. – scrollò le spalle lui, - Gli hai detto che trent’anni sono già troppi.
- Ma che cazzo, lui li deve ancora fare! Anzi, sono io che mi sento a disagio nei suoi confronti, per essere ben un anno più vecchio di lui! – rispose Matt, sempre più agitato, aggrappandosi alle spalle di Chris ed usandole a mo’ di trampolino per saltellare istericamente sul posto.
A quel punto, perfino Chris – generalmente bonario nei confronti di un frontman che sapeva essere, in fondo, innocentemente e tenacemente ingenuo – non poté fare a meno che unirsi allo sguardo colmo di allucinata incredulità di Dominic, e si mise a fissare Matthew oltre la sua spalla, con aria inquisitoria.
- Ma parli sul serio? – chiese a bassa voce, mentre, tutto attorno, gli invitati riprendevano la classica routine festaiola di chiacchiere e risate.
Matthew regalò anche a lui l’occhiata del cucciolo innocente, ed inclinò il capo – come a dare maggior valore alla propria incolpevole idiozia.
- Che intendete dire? – aggiunse, come se già il quadretto non fosse abbastanza deprimente.
- Intendiamo dire che il tuo uomo i trenta li ha passati da un bel pezzo! – sbraitò Dom, agitando un pugno bellicoso nella sua direzione, - E non posso credere di stare dicendo qualcosa in sua difesa, ma tu decisamente non te lo meriti, eccheccazzo! – concluse infuriato, prima di voltarsi indietro e cominciare a sbottare rabbia e insofferenza verso la cucina, trotterellando isterico come uno scoiattolo ingiustamente deprivato delle ghiande che con tanta fatica aveva raccolto per tutta l’estate.
- …Chris…? – chiamò debolmente Matthew, osservando il biondo allontanarsi e cominciando a temere seriamente per la propria vita.
Il bassista gli sorrise condiscendente e gli batté un’amichevole pacca sulla spalla.
- Nessuno te ne fa una colpa. – mentì, perché Matthew sapeva che tutti, dannazione, gliene stavano facendo una colpa, - È normale che tu non l’abbia capito, Brian non dimostra la sua età e, se può, mente pure in merito. – scrollò le spalle, simulando un’indifferenza che avrebbe dovuto tranquillizzarlo ed invece lo mandò ancor più in paranoia, - Però, insomma, Brian ha trentacinque anni. Ne fa trentasei a dicembre.
…e lui gli aveva detto che trent’anni erano già troppi.
Trent’anni! Troppi!!!
E viene fuori che lui ne ha trentacinque!!!

In apparente stato di morte cerebrale, Matthew fissò Chris, le lacrime agli occhi e il labbro tremulo.
- Dimmi che non è vero. – biascicò indecentemente, scrollando incredulo il capo.
Impietosito, Chris si strinse nelle spalle, e probabilmente provò anche a ritrattare tutto e far finta di niente, ma era un uomo troppo onesto per riuscirci in maniera convincente, perciò Matt lo fermò con un breve cenno del capo e fissò attentamente le punte delle proprie scarpe per un enorme periodo di tempo, come a cercare nei ghirigori dorati che impreziosivano la punta nera la risposta a tutti i drammi della sua esistenza.
Frattanto, Dom s’era affacciato dalla cucina reggendo la torta fra le braccia con aria frettolosa.
- Visto che c’è, vediamo se è commestibile. – annunciò compitamente il batterista, planando agilmente in mezzo al fittissimo dialogo che Bono e Chester stavano intrattenendo di fronte al tavolo e poggiando l’enorme vassoio rotondo proprio fra di loro.
- Coraggio, Bells. – cercò di consolarlo Chris, stringendolo compassionevole attorno alle spalle, - Tornerà, chiarirete e domattina sarà tutto a posto. Andiamo a mangiare, almeno potrai fargli i complimenti per com’è bravo a cucinare i dolci! – propose incoraggiante. Poi si fermò e rifletté brevemente, arricciando le labbra in una smorfia poco convinta. – Be’, forse. – concluse saggiamente, annuendo come a darsi ragione da sé.
Matthew seguì l’amico fin davanti al tavolo e lì rimase per qualche secondo ad osservare contrito la splendida torta che gli si parava di fronte. Verde dalla punta alla base, cosparsa di palline di zucchero lucenti come perle e sormontata da una splendida scultura in zucchero raffigurante un piccolo alieno verde nell’atto di scendere dalla propria astronave per esplorare quel meraviglioso pianeta di pan di spagna e cacao.
Allungò una mano, come a voler verificare quella meraviglia fosse vera. Ma poi si ritrasse, e sorrise furbo.
Aveva avuto un’idea migliore.
*
Brian lo conosceva benissimo. Nel corso degli ultimi due anni passati insieme – e di insieme si poteva parlare, nonostante i tour, i viaggi e i continui impegni di lavoro, perché la verità, molto semplicemente, era lui e Brian fossero stati del tutto inseparabili nelle occasioni in cui stavano insieme, e continuamente tendenti l’uno verso l’altro anche quando stavano separati – Brian aveva imparato a memoria ogni sua passione, ogni suo divertimento, ogni sua opinione. Tutto ciò che lo faceva ridere e arrabbiare e disperarsi. Tutto ciò che gli piaceva e tutto ciò che odiava. Perfino le parole esatte per farlo star meglio quando stava male, e quelle per riportarlo a terra quando cominciava un’improbabile quanto fuori luogo scalata per la conquista del Paradiso.
“Perché – l’hai detto tu, no, Matt? – per entrare in Paradiso devi pagare un prezzo che non sei disposto a concedere.”
E nello specifico, ogni santa volta, voleva dire “Torna giù, piccolo, che sei bravo, bravo davvero, ma non sei ancora diventato un dio, né mai lo sarai, perché cose del genere proprio non esistono”.
Brian, con lui, non era stato prudente. Non s’era comportato come la maggior parte delle persone giunte all’apice di una brillante carriera ed alla metà di una triste vita. Non aveva trattenuto niente per sé, non era stato avaro d’emozioni – né nel darle né nel pretenderle – e non aveva evitato alcun momento spendibile insieme.
Al punto che sì: anche Matthew lo conosceva alla perfezione.
L’enorme edificio principale del Goldsmith College, immerso nella notte ambrata di luci di Londra, rendeva perfettamente onore alla propria essenza di vecchio maniero ottocentesco. Letteralmente ricoperto d’edera e fronteggiato da uno sterminato prato verdissimo ed umido di brina, era perfino inquietante. Al punto che Matt esitò nell’addentrarsi alle sue spalle alla ricerca della nicchia fra gli alberi del cortile interno che sapeva essere il luogo preferito di Brian.
Lo individuò subito: la giacchetta multicolore che aveva comprato secoli prima da Harrod’s, e che lui aveva distrattamente preso con sé prima di uscire, spiccava curiosamente nel verde scurissimo degli alberi nella notte. Era così piccolo – accucciato su una panchina, lo sguardo fisso nel vuoto ed il mento affondato fra le ginocchia – che non sarebbe stato strano prenderlo per un bambino che avesse perduto la mamma e non sapesse dove andare.
La verità di Brian era che non importava quanti anni avesse, perché era rimasto piccolo dentro. Non immaturo né egoista e capriccioso alla maniera sciocca dei bambini, ma insicuro e fragile come se la parte più pura di lui si fosse dibattuta negli anni per preservarsi integra comunque e nonostante tutto, e alla fine ce l’avesse pure fatta.
- Per quello che può valere, - sussurrò con un sorriso tenero, sedendosi al suo fianco e poggiando fra i loro corpi un piatto con l’ultimo piano della torta e la statuetta che le si accompagnava, - non sapevo che avessi più di trent’anni.
Brian si lasciò andare ad un ghigno amarissimo, senza guardarlo ma sciogliendo leggermente le gambe.
- Lascia perdere. – gli disse atono, - Non è davvero importante.
Matthew sorrise, accomodandosi meglio contro lo schienale della panchina ed indicando distrattamente la torta fra loro.
- È stato un pensiero carino. – commentò, - Grazie.
Brian rise a bassa voce e scosse il capo, rimettendo i piedi a terra.
- Ti ho detto che non importa. – lo rassicurò, rassegnandosi finalmente a guardarlo, - Non c’è bisogno che tu mi faccia i complimenti per farti perdonare. Non ce l’ho con te.
Matthew sorrise ancora e si sporse verso di lui, arrivando fino ad un centimetro dal suo viso e fissandolo intensamente negli occhi.
- …è vero. – constatò, tirandosi indietro, un po’ stupito. – Non sei arrabbiato.
Brian scosse il capo e si appoggiò a propria volta allo schienale.
- Sono solo uno stupido. – rispose in un soffio.
Matthew ridacchiò e gli fece passare un braccio attorno alle spalle, attirandolo a sé.
- Sì, lo sei. – annuì, - Ma ti amo anche per questo.
- Questo non mi lusinga granché. – borbottò Brian, fingendo un broncio infantile, - Mi piacevi di più in versione penitente.
Matt rise ancora, stringendolo con calore.
- Sai cosa ho pensato la prima volta che ti ho visto? – gli chiese poi, sfiorandogli la guancia con un bacio, - Non quando ci siamo conosciuti. Molto prima. Proprio la primissima volta.
Brian si adagiò contro la sua spalla e sospirò brevemente, prima di negare con un lento cenno del capo.
Matthew sorrise.
- Era il mio primo anno a Londra. Non avevamo i soldi per comprare un appartamento tutti insieme, dico, io, Chris e Dom, perciò abbiamo affittato delle stanze in giro. Ed io stavo con un tizio, Andy, faceva lo spacciatore ma era uno sfigato. – scrollò le spalle, - Uno si aspetta sempre che quelli che lavorano in quel ramo siano ricchi sfondati, ma Andy era tristissimo, stavamo praticamente in un bilocale che era uno sputo ed avevamo un televisorino minuscolo in cucina che-
- Matthew! – ridacchiò Brian, spostando la torta altrove per potersi sistemare meglio sul sui corpo, - Questo discorso va a parare da qualche parte?
- Ci sto arrivando. – rise lui, stringendolo a sé, - Insomma, una mattina facevo colazione e guardavo MTV. Ed è passato il video di Teenage Angst.
- Mio Dio! – rise forte Brian, allungando una mano a cercare le dita di Matt per stringerle e giocarci un po’, - Se è davvero la prima impressione, quella che conta…!
- Be’, - lo interruppe Matthew, affondando nell’incavo del suo collo, - per me è stato così.
- …ed è stata disastrosa? – inquisì lui, cercando i suoi occhi.
Matt scosse il capo.
- Ho pensato che tu fossi una creatura da un altro pianeta. – raccontò con aria sognante, - Sembravi troppo perfetto per venire dalla terra. E poi, sinceramente, non ero neanche sicuro al cento per cento di sapere cosa in effetti tu fossi. – ridacchiò sommessamente, - Perciò, siccome il fatto che tu potessi essere un maschio mi turbava tanto quanto quello tu potessi essere una donna, mi limitai a pensare che dovevi essere proprio un alieno.
- …un alieno.
- Sì. – rise lui, - Negli angeli non ho mai creduto.
- …okay. – sospirò lui, arrendendosi, - Quindi?
Matthew scrollò le spalle.
- Niente. – sbuffò, - Cioè, è una cosa stupida, e dopo una settimana l’avevo già dimenticata. Però, quando poi ci siamo conosciuti, me lo sono ricordato.
Brian sollevò gli occhi nei suoi e se ne lasciò catturare.
- E? – lo incitò impaziente.
- Ed era vero. – annuì Matt senza esitazioni, - Sei troppo perfetto per venire dalla terra. Confessalo, sotto questa maschera c’è un faccino verde e bitorzoluto! – lo prese in giro, tirandogli una guancia.
- …ma piantala! – sbottò Brian, offeso, trincerandosi dietro un broncio di circostanza e nascondendosi dietro l’intreccio della proprie braccia sul petto, dandogli le spalle, - Sei una merda.
Matthew ridacchiò e tornò a nascondersi contro la sua pelle, respirandogli addosso.
- C’è una vocina dentro di me che non fa che ripeterlo. – sussurrò sul suo collo, dandogli i brividi, - Se ti amo tanto, forse è anche un po’ per questo.
- …perché sono un alieno? – mugugnò lui, più per evitare l’imbarazzo che per reale curiosità.
Matthew strizzò gli occhi e si sporse a baciarlo sulle labbra.
- …d’accordo. – borbottò Brian, quando si furono separati, - Ma almeno l’hai assaggiata? – mugolò, indicando la torta dimenticata sul bordo della panchina.
Matt scosse il capo.
- Speravo di mangiarla insieme.
Brian sorrise ed annuì.
- Ma l’alieno lo mangio io! – precisò, afferrando l’omino verde e mettendone velocemente la testa in bocca.
Matthew fece una smorfia delusa e gli si chinò ancora addosso, addentando i piedi dell’omino e staccandoli in un morso.
- Facciamo a metà, no? – chiese poi, facendo ballare i piedini verdi fra le labbra.
Brian sospirò pazientemente, scuotendo il capo, simulando un’esasperazione che era quanto di più lontano dal suo stato d’animo esistesse in tutto il mondo.
- Facciamo a metà.
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