Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: BrianxMatt.
Rating: PG13.
AVVISI: Boy's Love.
- Da quando ha conosciuto Matthew Bellamy nel backstage del Live8, Brian Molko è un uomo estremamente turbato. Ma nonostante i dubbi, le insicurezze e le paure, sa che è giusto il momento di "crescere e combinare qualcosa".
Commento dell'autrice: Ok, sono le quattro e venti del mattino e ho appena finito di scrivere quella che, al momento, è la più lunga oneshot su Brian e Matt che abbia mai organizzato °_° Ci tengo a specificare che non è nata per essere così infinita, e potrete bene intuirlo dalla trama, che è veramente – ma VERAMENTE XD – piccina.
Prima di tutto, questa storia è il negativo di My Unclean. Le è totalmente opposta, in tutto e per tutto. Dove lì il protagonista assoluto era Matt, e la figura di Brian veniva fuori filtrata attraverso i suoi occhi, qui è il contrario. Dove lì l’amore era visto solo ed esclusivamente come una dannazione, qui è un sentimento quasi salvifico (anche troppo, per i miei gusti XD). Dove lì osservavamo due personaggi terribilmente emo XD sì, ma anche inesorabilmente adulti, qui abbiamo a che fare con dei mocciosi (sì °_°) che si fingono adulti che si fingono mocciosi °_° Un discreto disastro, eggià X3
Ma queste sono speculazioni pseudo-filosofiche a posteriori.
In realtà questa fic è nata – come un po’ tutto, ultimamente XD – grazie al gentile supporto di Ana, che sicuramente neanche se lo aspetta XD Stavamo messaggiando da una mezz’oretta pensando a che fic potessero nascondere i pucciosissimi testi dei Cute Is What We Aim For, quando sono stata folgorata dall’idea: cambiare Lyrical Lies in Lyrics And Lies. Ed era praticamente già una mollamy °_° Alla quale poi si sono aggiunti i concetti della crescita, gentilmente suggeriti dalla splendida Lover’s Spit dei Broken Social Scene (scoperta e amata grazie a Queer As Folk US).
Poi in fase di scrittura ha vissuto momenti drammatici °_° Cose che io mi stupisco di essere stata comunque in grado di concluderla, nonostante tutto. Del tipo che dopo aver risistemato tutto e scritto due pagine importantissime, che neanche a dirlo erano venute benissimo (ma temo sia sempre così, in situazioni del genere XD), sbaglio a salvare e perdo tutto °_° Panico.
Comunque XD
La storia va ad iscriversi perfettamente non solo fra le 100Songs (fra le quali è la settima che scrivo), ma anche fra le fic ispirate dal Beta Set delle Melodies Of Life della True Colors community (stessa a cui apparteneva anche My Unclean).
Per concludere, un immenso ringraziamento alla Juccha e alla Nai, che mi hanno fatto notare in momenti e in modi e per motivi diversi che Matt stava venendo su TROPPO puccioso, senza un motivo, e che quindi, se desideravo mantenerlo tale (come poi ho fatto X3 sia mai che io vi privi del piacere di vedere Matty-tan agire come un bambino idiota) dovevo quantomeno dargli un perché.
Sperando almeno sia convincente °_°
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LYRICS AND LIES
Song #84. Show me love
Melody #6. If you knew what I’m left imagining in my mind


“And your body on my mattress is proof
And your makeup on my pillow is proof
But do you think I am telling you the truth?
It's just a lyrical lie
Made up in my mind”
“Lyrical Lies” – Cute Is What We Aim For


La luce del lampione, da fuori, si intrufola nella stanza, piroettando fra le pieghe della lunga tenda bianca prima di andarsi a posare delicata e vagamente giallastra sul soffitto e sulla parete di fronte alla finestra. Osservo la curiosa danza di luci ed ombre senza riuscire a staccare gli occhi dallo spettacolo, come fosse la prima volta che lo vedo.
In realtà non è così.
In realtà ormai conosco a memoria ogni riflesso di quella luce, ogni sfumatura di quell’ombra e ogni imperfezione di quel soffitto.
Ogni sera alle sette il lampione sul marciapiede di fronte si accende e proietta la sua anima al neon in questa stanza.
Ogni sera alle sette Matthew ridacchia, ed io so che è perché sta pensando “Incredibile, abbiamo passato un altro pomeriggio intero a non fare niente”, anche se ormai non lo dice più.
Ogni sera alle sette io mi volto e osservo i lineamenti rilassati e morbidi del suo viso, e mi chiedo per quanto ancora durerà questa pace paradisiaca e soffice che ci avvolge da ormai due mesi.
Ci siamo conosciuti nel backstage del Live8.
È stato meno traumatico di quanto non avessi potuto immaginare.
E sì, l’avevo immaginato tante volte.
Più che altro perché penso sia normale. L’avevo odiato per anni a distanza, senza mai averlo nemmeno visto, e tutte le motivazioni per le quali quell’odio era nato mi sembravano più che valide. Oltre al fondamentale – ovvero Alex che strillava “I litigi vendono! Guarda gli Oasis, sono ricchi sfondati!!!” – i Muse mi offrivano tanti altri spunti di risentimento. Hanno più o meno i nostri stessi fan, fanno la musica che ogni tanto vorrei fare io – anche se solo quando sono ubriaco o troppo deluso da un maledetto testo che non esce fuori come dovrebbe – sono dannatamente famosi e probabilmente perfino più di noi e Matt ha dei vestitini che quando penso al suo guardaroba mi sale un’invidia stratosferica.
Senza contare che sa suonare la chitarra.
E il piano.
Per non parlare di come canta.
Bene. Di più, brillantemente.
Come ho la vaga impressione di non aver mai fatto io.
Comunque, mi sembrava di avere dei motivi più che validi per odiarlo, per ritornare alla questione principale.
E quindi, quando odi qualcuno per tanto tempo, e senti di avere ragione per farlo, e non l’hai mai visto – ma non dev’essere una situazione tanto tipica, mh? – guardi al momento in cui lo incontrerai come uno dei Momenti Topici della tua vita. Di quelli che poi ricorderai, e quanto a lungo non importa, perché è già importante che qualcosa lasci una traccia seppur minima, piuttosto che non ne lasci nessuna.
Ecco, io ricordo perfettamente il momento in cui ho incontrato Matt.
E temo che lo ricorderò per sempre.
Uno di quei Momenti Topici Che Più Topici Non Si Può.
Stavo riflettendo sul testo dell’ultima canzone che avevano fatto. Non l’avevo trovato particolarmente brillante o particolare – o sensato, a dirla tutta – e quindi mi stavo rotolando nella mia melma di rabbia e invidia compiaciuta, quando la loro esibizione s’è conclusa e lui è apparso dietro ai pannelli del maxischermo, alla guida di Dom e Chris.
Sudato e felice come un bambino dopo una corsa dietro ai piccioni.
Gli mancava soltanto la macchia di gelato sulla maglietta – ma presumo che, visto il costo esorbitante della suddetta maglia, fosse meglio così.
Sì è avvicinato.
Mi ha sorriso.
Mi ha dato l’impressione che l’adrenalina del live gli avesse fatto dimenticare totalmente tutta la merda che ci eravamo sputati addosso nei lunghi mesi che avevano preceduto quell’incontro.
E mi ha detto “Buona fortuna!”
Così.
Semplicemente.
Spiazzandomi.
E ci tengo a specificare che non è che io fossi l’unico pazzo. C’erano almeno un’altra cinquantina di persone assieme a noi in quel posto, e tutti, compresi i suoi due compagni di gruppo, l’hanno guardato come fosse totalmente fuori di testa. Il suo manager ha perfino fatto una smorfia di disgusto, come volesse dirgli “Ah! Ti stai mescolando col nemico! Ricorda di lavarti per bene, quando torni a casa!”.
Non so cosa mi sia preso, allora. Probabilmente l’aura di calma e pace che si emanava da lui come dalla statuetta di un Buddha mi contagiò.
Perché sorrisi anch’io, tesi la mano e lo ringraziai.
La sera stessa saltellavamo allegramente da un pub all’altro come fossimo stati vecchissimi compagni di bevute da poco rincontratisi. Lui era un fiume in piena, mi raccontava storie allucinanti, cose che immagino non sappia nemmeno sua madre, certi momenti che per poco non imbarazzavano perfino me, come “la volta in cui ho nascosto la testa sotto la sabbia da bambino e quasi morivo soffocato!” o “quell’altra in cui un bambino mi arrotolò una ciocca di capelli attorno a un lecca lecca umido di saliva – avevo i capelli lunghi allora – avresti dovuto esserci, quasi diventai calvo!”, e cose simili.
Era l’entusiasmo fatto persona.
Non si vergognava di niente.
Una forza della natura.
Born to be wild.
O per raccontare a ripetizione idiozie sul suo conto, dipende da come la volete vedere.
Io ascoltavo rapito e mi nutrivo delle sue parole come fossero state caramelle. Riuscivo quasi a sentirne la morbida dolcezza sulla punta della lingua.
Quando mi accompagnò a casa disse “Parlare con te è uno spasso!” – sì, parlava come un bambino, davvero, lo fa tutt’ora e lo fa apposta, lo so io e lo sa lui – e disse anche “Dobbiamo vederci ancora!”.
E io pensai fosse una frase di circostanza.
Dobbiamo vederci ancora! Che piacevole serata! Ti chiamo io!
In effetti era una frase di circostanza. Solo che lui l’aveva detta seriamente.
E così, la sera dopo, eccoci di nuovo in giro, come due mine vaganti, fra un Hard Rock Café e l’altro, fra una fuga da fan assatanati e l’altra, fra un paio di maniaci in vena di threesome e un altro.
Così per un mese.
E mentre la mia testa si riempiva di “Brian, amo quel cappottino!” e “Ho un’idea per una canzone idiota! Piena di parolacce! Un giorno la incido!”, il mio cuore, lentamente ma inesorabilmente, si adattava alla sua presenza e prendeva a cercare di farmi capire che non era più un semplice ospite ma un inquilino regolare, aumentando il ritmo dei battiti ogni volta che lo vedeva apparire da dietro una porta, con quell’adorabile sorriso stupido sul volto e le dita sempre sporche d’inchiostro colorato.
Innamorato!
Io!
Dio-mio!
Di nuovo!
L’ultima volta che è successo è stato un discreto disastro, ed io e Stef siamo riusciti a uscirne grazie a non so quale miracolo e al gentile aiuto di Alex, che, puntandoci un coltello alla gola – davvero – ci ha annunciato che se ci fossimo azzardati a mandare all’aria il gruppo per “una cazzata simile”, per noi sarebbe stata la fine.
Fai meglio a credere alle minacce di una donna, soprattutto quando ti punta un coltello alla gola.
Ma con Matthew è diverso.
Sarebbe ugualmente un discreto disastro, ma se smettessimo di frequentarci non ci sarebbe nessuno che cercherebbe di convincerci a riprendere, perché in primo luogo a nessuno interesserebbe e in secondo luogo per l’industria musicale era molto meglio quando ci odiavamo, rispetto ad ora.
Ecco il motivo per cui porto avanti questa pagliacciata degli amiconi, giorno dopo giorno, da due mesi a questa parte.
Mentre vorrei tanto saltargli addosso e fargli la qualsiasi.
Per carità.
- Sarà meglio che cominci ad andare… - annuncia lui, e nella sua voce c’è una nota di rammarico così carina che avrei voglia di scompigliargli amorevolmente i capelli o chissà che altro, - È già tardi.
Occhiata alla sveglia, sono le sette e mezza.
Fra dieci secondi Tom lo chiamerà e lo sgriderà.
Tre, due, uno…
- Tom? Che c’è?
Rido, e lui mi tira addosso un cuscino per zittirmi.
- Sì, dammi un’oretta.
Tom sbraita qualcosa.
- Tre quarti d’ora?
Lo sento abbaiare ancora.
- Ok, mezz’ora. A dopo.
Interrompe la conversazione e si mette a rotolare sul letto come un’anima in pena, abbracciando il cuscino che nel frattempo gli ho ritirato addosso.
- Non voglio andarmeneee… - si lamenta, disperato.
Incrocio le braccia dietro la testa e sospiro.
- Credo che comincerò a sentirmi offeso: per l’intero mondo sei il ritratto della maturità, ma quando sei con me ti trasformi come per magia in un bambino di tre anni.
- Non credo sia esattamente qualcosa per la quale tu debba sentirti offeso, Bri. – dice lui ridacchiando e strizzando gli occhi come un micio, e io non posso credere, non posso credere che non sappia esattamente quanto questo suo atteggiamento infantile mi faccia morire.
- Se non vuoi andare via, non farlo. – suggerisco pacatamente, sperando che lui non si accorga che ciò che sto dicendo in realtà è “resta, spogliati e prendimi ora”.
- Sai che non posso.
Sospiro.
- Che risposta banale…
Lui ridacchia, e si attorciglia nel copriletto, rotolando fino a me.
- Scusa, che posso farci? È la verità…
- Se fosse la verità, invece di stare qui a rigirarti come su una graticola, saresti già in piedi e pronto all’azione.
- Ma lo so, è che la riunione di oggi è su non mi ricordo quale argomento noiosissimo…
- …tipo la scelta del prossimo singolo…?
- …eh, tipo.
Non posso fare a meno di sorridere.
- Be’, sai com’è, Bells, si chiama promozione. Se non la fai, nessuno compra i tuoi dischi.
Lui sbuffa, incrociando le braccia sul petto.
- Sì, ma il mio lavoro non è fare pubblicità, è fare musica. Non avrei un manager, altrimenti!
Povero Tom, penso sospirando, e dal momento che lui non accenna più a muoversi faccio per sollevarmi dal letto, sperando che segua il mio esempio e si decida ad alzarsi.
È un’abitudine che ho preso da quando Tom mi ha telefonato e, cercando di non mostrare irritazione, mi ha spiegato che Matthew è come un bambino un po’ idiota, bisogna farlo spostare agitandogli davanti agli occhi un lecca lecca e cose simili. Altrimenti non si muove.
Generalmente funziona. Alzandomi riesco a rimandarlo a lavoro, con buona pace del mio desiderio insoddisfatto e per la gioia del suo povero manager.
Ma stasera, evidentemente, il bimbo è più ostinato del solito.
Allunga un braccio e mi tira per una manica, così velocemente e con impeto bambino così perfettamente studiato che perdo l’equilibrio e scivolo di nuovo fra i cuscini, pericolosamente vicino al suo viso.
- Non andarteneee! – piagnucola, guardandomi con un paio d’occhi così immensi che quasi vedo solo loro.
Serro le labbra e deglutisco, cercando di sfoltire la massa enorme di pensieri che mi riempie il cervello.
Assalilo! Assalilo!, questo no.
Oddio, sei un amore, no, neanche.
Lasciami andare, su… ecco, potrebbe andar bene.
- La-
- Davvero, non ho voglia di andare a lavorare… - mi interrompe lui, stringendomisi contro e nascondendo il viso contro la mia maglietta, - Coprimi. Solo per oggi. Giuro che non dirò a Tom che sono stato da te.
Ecco.
Ecco!
Qualsiasi protesta potessi avere in mente, che senso avrebbe parlare adesso? Nessuno.
Non ha nessun senso dirgli vai quando tutto ciò che riesco a pensare è resta.
Gli accarezzo lentamente i capelli, e lui sembra approvare l’idea.
Fa praticamente le fusa.
E la cosa più irritante è che so esattamente cosa gli passa per la testa.
Sta pensando proprio purr purr.
Non è che sia stupido, per carità.
È solo che, anche quando non lo fa apposta, è così infantile, così gioioso, così semplice che mi commuove. Non so davvero com’è che Tom riesca a mantenere il pugno duro con lui, e lo ammiro tantissimo per questo. Io non ci riuscirei mai. Quando mi guarda mi sciolgo, quando mi parla non capisco più niente, mi basta un movimento impercettibile per imbambolarmi a fissarlo come ipnotizzato, e ogni volta che penso a lui mi sembra di stare pensando a tutte le meraviglie dell’universo, e mi stupisco di come la natura possa aver creato qualcosa di così universalmente amabile, priva di lati negativi, priva di spigoli, tutta curve e dolci morbidezze.
Matthew è uno zuccherino. Le stelle filanti. I regali di San Valentino. Le dichiarazioni d’amore. Le lettere profumate. I messaggi di auguri. I libri di fiabe per bambini. Le canzoni romantiche.
Matt è un’emanazione della bellezza, Matt è il fratello della dolcezza, l’anima pura della passione, il lato più carino dell’ossessione.
Innamorato.
Io.
Di nuovo.
E di lui.
Mio-Dio.
*

“You know it’ time
That we grow old and do some shit”
“Lover’s Spit” – Broken Social Scene


Quando mi risveglio, capisco in un lampo che è passata da un pezzo l’ora di cena. Principalmente perché il mio stomaco gorgoglia che è una meraviglia e quasi mi sembra di sentirlo parlare.
Il cellulare di Matthew trema istericamente da qualche parte sul comodino. Sento il ronzio fastidioso acuito dal contatto col legno.
Se volessi un altro motivo per amare questo ragazzo, sarebbe la premura che ha nel predisporre ogni cosa attorno a lui per far sì che nulla possa disturbare il suo sonno. È adorabile, davvero.
E infatti lui dorme ancora, placidamente accucciato al mio fianco, con le labbra semidischiuse e le sopracciglia distese e rilassate. Ogni respiro sospinge il suo petto contro il mio fianco, e il momento in cui se ne allontana crea un vuoto dolce e colmo di aspettativa.
Ah, l’amore.
Come mi rende melenso.
Mi strofino gli occhi e lo scuoto un po’. Lui si sveglia mugugnando, e si aggrappa a me come avesse paura di cadere.
- Bri…? – mormora smarrito, la voce ancora impastata di sonno.
Non posso neanche ripetermi che non dovrei farmi abbindolare così da questo suo modo di fare, che subito sono lì a stringergli la mano e chinarmi su di lui come a volerlo proteggere.
- Sono qua. – dico io, e non esagero se dico che un altro po’ di dolcezza mi farà scoppiare in lacrime.
E puntualmente lui sorride.
Puntualmente stringe le dita attorno alla maglia.
Puntualmente bisbiglia “Sì, ti sento…”.
E io puntualmente piango.
Di solito sono bravo a piangere in silenzio. Nessuno se ne accorge, nessuno si lamenta, nessuno chiede perché.
Non lo dico perché fa figo la sofferenza silenziosa, lo dico perché ne vado orgoglioso, ci sono voluti anni di pratica e molta perseveranza. Piano piano impari a soffocare i singhiozzi e le lacrime scendono giù discrete, quasi timide, timorose. Le labbra restano chiuse. Si arrossano solo gli occhi.
E poi arriva un tipino qualunque.
Matthew Bellamy.
Cosa sarà mai, poi?
E ti scombussola l’esistenza.
Ti fa dimenticare che sai piangere in silenzio.
Ti fa gemere, ti costringe a sobbalzare, a lamentarti, a strizzare le palpebre e tirare su col naso.
Un disastro.
- Brian…!
Un vero e proprio disastro.
- Bri, che c’è?
- Niente! – ma la mia voce mente.
- Non è vero! – dice lui, mettendosi seduto e guardandomi dall’alto, improvvisamente sveglio e attento, - Cos’hai?
- Niente. – ripeto, cercando di risultare più convincente.
Ma non ho speranze.
Piangere rende ogni menzogna inutile.
A pensarci bene, il pianto è l’espressione più sincera del mondo. Quand’è così spontaneo, quand’è così dirompente, quand’è così doloroso, nessuno può fraintendere cosa c’è dietro.
Se Matt fosse solo un po’ meno sciocchino, capirebbe anche lui che questo pianto è una fottutissima dichiarazione d’amore.
E invece mi si china addosso, con l’aria di un bambino che si prende cura di un cucciolo, e mi accarezza una guancia con due dita. Spazza via le lacrime e gioca un po’ con la pelle appiccicosa e lucida, e quasi mi sembra che sorrida.
- Passata? – chiede, e io mi accorgo che ho smesso di singhiozzare.
- Non avevo niente neanche prima.
Lui ridacchia e borbotta, “sei così ostinato”.
Anche tu lo sei.
Sei ostinatamente innocente.
E non posso neanche incolparti per questo.
- Dovresti dirmi quello che ti passa per la testa.
Adesso è a me che viene da ridere.
- Fidati, non c’è niente di interessante nella mia testa.
- Scherzi? – dice lui, spalancando la bocca, - Sei ancora l’uomo che ha scritto “Pure Morning” o gli alieni ti hanno rapito e sostituito con un sosia?
- “Pure Morning” non significa niente di niente, lo sai questo, vero?
- Sì, ma questo non toglie che sia interessante. – sorride, sereno, - Tu sei molto interessante da ascoltare, anche quando dici idiozie.
- Adesso non ti allargare, eh. Io non dico idiozie.
Ride ancora, tornando a stendersi tranquillo fra le coperte.
Adesso va meglio, eh, Matt? Adesso siamo ritornati nel nostro solito mondo fumoso e vago, nessuno ha detto niente di importante e tu sei al sicuro.
Noi siamo al sicuro.
Quello che hai creato è salvo.
Ci tieni tanto, è vero? Per te è fondamentale che questa relazione resti stabile, che resti pura, che sia incorruttibile. Tu le hai dato il via. Tu ti sei messo in gioco per tirarla su. Sei stato tu a fare la prima mossa. Sei suo padre, il suo custode, la tieni dritta in piedi anche quando sarebbe molto più facile lasciarla cadere.
Mi fa rabbia.
Mi infastidisce da morire.
Non posso più lasciare che accada.
Che ti piaccia o no, Matt, prenderò a calci tutti i tuoi dannati paletti, finché non mi crollerà il tetto addosso.
- Sono innamorato di te.
Solleva il capo e mi guarda come se avessi appena tentato di ucciderlo.
- Cosa?
So che ha capito.
So che vorrebbe solo che rispondessi “niente”.
Mi limito a rigirarmi, per guardarlo meglio negli occhi, e ripeto il concetto.
Lui abbozza un sorriso imbarazzato.
- Stai scherzando, vero?
Scuoto appena il capo, e non riesco a dire nulla.
In realtà vorrei parlare. Vorrei rassicurarlo. Dirgli qualcosa come “non ti preoccupare, non sei tu il pazzo, sono io. E se non te ne sei accorto è stato solo perché sono stato discreto e non mi sono mai esposto. E non preoccuparti se vuoi che tutto resti com’è adesso, non hai che da dirlo. Io non ti obbligherò a fare niente. Solo che volevo tu lo sapessi, ecco tutto”.
Se non parlo, è perché rifiuto l’idea di mentire ancora.
Non preoccuparti? Preoccupati, Matt, perché mi scoppia il cuore e tutto quello che riesco a pensare è che vorrei farti provare esattamente la stessa cosa.
Non sei pazzo? Lo sei. Lo siamo entrambi. Tu perché hai creduto di poter fermare l’acqua ed io perché le ho dato modo di scorrere fin dall’inizio.
Ed io potrò anche essere stato discreto, ma tu sei stato ottuso. E questo non posso perdonartelo.
Ma ti prego, non dirmi che vuoi restare mio amico. Picchiami, insultami, buttami fuori e minacciami di morte in caso osassi farmi vedere di nuovo alla tua porta, ma non dirmi che vuoi che tutto resti com’è adesso. Perché così com’è adesso la nostra relazione è un reticolo di bugie idiote tenute insieme per miracolo dalla tua testardaggine e dalla mia codardia, e se fra di noi dev’esserci qualcosa io pretendo che non sia questo.
- Ti amo.
Nasconde il volto tra le mani, e il lenzuolo che ancora stringe tra le dita lo copre per metà. Non riesco a vedere la sua espressione.
Ma sento il sospiro stentato che gli sfugge dalle labbra, e riconosco il segnale del suo dolore.
Che come sempre mi strazia.
Ma non mi ferma.
- Rimangiatelo. – mormora sconsolato.
- Non posso e non voglio.
Si libera dal lenzuolo e scatta a sedere con un movimento isterico che mi fa temere voglia scappare. Ma resta immobile, e mi guarda dall’alto. Lentamente, mi sollevo a sedere a mia volta.
- Ritiralo. Ti prego.
Scuoto ancora il capo.
Cosa posso fare, a parte aspettare che il bambino che ha deciso di essere quando sta con me sparisca per mostrare come il vero Matt reagisce a cose simili?
- Cos’è che dovrei dire adesso…?
Non respingermi.
Scrollo le spalle.
- Qualunque cosa. Cosa pensi. Cosa provi. Cosa vuoi.
Dio, ti prego, non respingermi.
- Penso che tu abbia fatto l’errore più grande della tua vita. Mi sento male. E vorrei che tu te ne andassi.

…sono ancora vivo?

- Penso di non aver fatto abbastanza per nasconderti quello che provavo. Ho paura da morire. E vorrei che tu mi abbracciassi.

Sono ancora vivo?
Sono sveglio?

- …cosa…?
- È tutto finito.
- Matt-
- Non c’è speranza.
- …Matt. Ho bisogno di sapere cosa intendevi poco fa.
Sorride appena e si stringe nelle spalle.
- Brian, quando sono con te, io sono una persona diversa. E vivo in un mondo diverso.
- Mi stai dicendo che mi hai mentito?
- No! – si affretta a rispondere, - Mai! Non è questo. Non so se posso spiegarmi, e non so neanche se capiresti… quando sono qui con te io sono libero. Totalmente. Libero di mangiare dolciumi fino a morire di mal di stomaco, libero di sparare idiozie a caso su qualsiasi argomento mi passi per la testa, libero di fare i capricci e saltare le riunioni, se voglio. Tu mi rendi libero. Crei per me il mondo in cui posso esserlo senza pensieri.
- Sono la tua valvola di sfogo?
- …be’… se proprio vuoi chiamarla così…
- Allora questa storia si deve chiudere, Matthew.
Spalanca gli occhi, e se non fossi determinato a mantenere almeno una parvenza di dignità lo farei anche io.
Non posso credere di averlo detto.
- Tu non sei la mia valvola di sfogo, Matt. Sei la persona che amo. Muoio di continuo, ogni volta che ti vedo, ogni volta che mi parli, ogni volta che mi guardi. Io ti rendo libero? Tu mi metti in gabbia, Matt. Mi tieni prigioniero e neanche te ne rendi conto.
Serra le labbra, e so che sta trattenendo le lacrime. Le vedo brillare nella luce gialla del lampione, le vedo ingrossarsi e scivolare lente sulle sue guance, lungo il collo e sulla maglietta, e allargarsi in piccole macchie di bagnato sul tessuto leggero.
È come averle addosso, sono come lacrime mie.
Fa male, vero?
Fa malissimo.

- Sapevo che non avresti capito. – mormora a stento, torturando il lenzuolo fra le dita. – Sapevo che non avrei dovuto parlare.
Sospiro pesantemente, perché credo non ci sia nient’altro da dire e temo stia usando questa scusa per farmi apparire come un insensibile, chissà, magari per alleggerirsi del peso del senso di colpa.
E invece lui mi si avvicina.
Si appoggia con la fronte sulla mia spalla.
Abbandonato, inerme, stanco.
- Se riesci a liberarmi, è perché ti amo, Brian.

Sono ancora vivo?
È aria, questa?
Sono vivo?

- È questo che intendo, quando dico di non aver fatto abbastanza per nasconderti i miei sentimenti. Forse, se fossi stato più cauto, tu-
- Ti avrei amato lo stesso. – lo rassicuro, scivolando col mento nella massa confusa dei suoi capelli, - Fidati. Non… non avevo idea che provassi una cosa simile.
Ridacchia, scuotendosi lievemente contro la mia spalla.
- Mi è sempre sembrato molto chiaro. Perfino Tom l’aveva capito…
Tom ti vede quando io non posso.
Tom vede quello che a me tu non mostri.
Sei stato infinitamente cauto, amore.
Sei stato molto più cauto di me.
Gli circondo le spalle con le braccia, e mi sembra sgonfio, minuscolo.
So che è solo un’impressione. So di essere ancora più piccolo di lui, se possibile.
Ma è tenero, tenero da morire.
Così fragile, sotto le mie dita. Così morbido.

Sono ancora vivo.
Sono terribilmente vivo.

Forse, dopotutto, era semplicemente arrivato il momento di farlo. Di buttare tutto fuori. Di crescere.
Abbiamo un’età. Abbiamo trent’anni. Tu stai per compierli, io li ho già fatti qualche anno fa.
Possiamo fingerci bimbi quanto vuoi, Matt, ma non possiamo esserlo davvero.
Spero che tu adesso l’abbia capito.
- Posso restare a dormire qui, stanotte?
Annuisco, e le punte dei suoi capelli mi stuzzicano piacevolmente il naso. Non riesco a non pensare a come sarebbe svegliarmi provando la stessa sensazione.
- Certo che puoi.
- Ma andrai piano, vero, Brian? Poco per volta. Voglio dire, non- non sono pronto per- ecco…
Mi chino su di lui, sfiorandogli le labbra con un bacio.
- Non andrò oltre questo, per stasera. Promesso.
Mi basta guardare il suo sorriso, per capire che va meglio.
Per capire che ce l’ho fatta.
Che, non so ancora come, né tantomeno perché, ho risolto il problema.
E sono ancora vivo.
Terribilmente vivo.
back to poly
  1. **….Senza parole!
    Sono adorabili tutti e due.
    Brian perchè è Brian e Matt perchè è così coccoloso che sembra un cucciolo.
    Adoroooo quando sono così, più lontani dalla realtà, ma molto più vicini a quello che vorremmo!
    perchè diciamocelo….La Mollamy è paragonabile a babbo natale in fatto di verità XD
    Baravissima!Mi hai davvero catturata! Darei un braccio per scrivere come te! **

    Lilla
    02/10/2010 14:51

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