Genere: Introspettivo.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: R
AVVISI: RPS.
- "È la spinta di un’anima verso un luogo lontano, raggiunto seguendo l’odore del vento o una stella nel cielo. L’antico messaggio arriva, richiamando gli spiriti affini a prendere il volo e ritrovarsi insieme."
In un piovoso giorno di gennaio, Brian si ritrova di fronte a tutta una serie di realtà inconfutabili: piove; si trova a Como apparentemente senza un perché; e se cerca un po' più in fondo il suo perché è Matthew Bellamy. Può esserci qualcosa di peggio? Decisamente sì.
Commento dell'autrice: Parentesi demente per darvi un’idea.
Ingredienti per una fanfiction emo senza né capo né coda (per una quantità indefinita di fangirl).
Prendete una Linda (facilmente reperibile su questo sito come IrishBreeze)
Appaiatela a una liz (facilmente reperibile un po’ ovunque, e specialmente su questo sito come lisachan)
Aggiungete un tocco di Nai (anche lei reperibile su questo sito sotto forma di nainai in polvere) <- ?
Amalgamate il tutto.
Condite con una spruzzata di Broken Promise, dall’ultimo album dei Placebo.
Decorate con qualche sbuffo dell’intro della quinta puntata della prima stagione di Heroes. Senza prenderlo alla lettera, però, perché altrimenti non c’entra niente e il piatto non viene bene.
E il gioco è fatto <3
Ora diamo un senso a quanto detto fino ad adesso X’D Allora, era una notte buia e tempestosa e stavo chattando con la Linda a proposito di quanto immaginavamo fosse depresso Brian al momento, visto che avevamo visto delle foto scattate da lui e non portavano esattamente a pensare che stesse bene XD Così discorrendo, da un momento all’altro abbiamo cominciato ad immaginare una roba totalmente demente O.O con Brian che andava a casa di George Clooney, dimenticando che dal momento che era il periodo del festival di Venezia lui non sarebbe stato dentro XD E finiva a vagare per Como fino a quando Matty non lo trovava e decideva pietosamente di portarselo a casa come un cucciolo abbandonato.
Chiaramente di quest’idea iniziale sono rimasti come elementi solo Brian, Matthew e Como XD Questo perché mentre tutto ciò veniva elaborato io entravo in fissa con Broken Promise. Broken Promise è una canzone che ho odiato fino a circa una settimana fa. Mi annoiava, mi irritava e non riuscivo ad ascoltarla. Poi mi sono resa conto che lei e In The Cold Light Of Morning sono le uniche due canzoni che non mi piacciano nell’ultimo album dei Placebo, e ho deciso di dar loro un’altra chance. In The Cold Light Of Morning la odio ancora (e non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto che è palesemente il male), ma Broken Promise… mi ha smosso qualcosa dentro. Non saprei neanche dire cosa, so che mi ha emozionata e mi ha colpita per la cattiveria enorme che sprigionano musica e testo. Tra l’altro ho apprezzato molto anche il modo in cui si coniugano le voci di Brian e Micheal Stipe. Come ho detto successivamente alla Nai, è una canzone che mi dà molto l’idea di essere un litigio da letto. In cui uno dei due dice qualcosa, magari anche in maniera pacata, e l’altro reagisce male, e poi sempre peggio. E mentre la seconda voce cresce, in un’aggiunta continua di rabbia su rabbia, la prima voce si fa sempre più fievole e meno convinta.
Insomma O.O
Quindi ero piena di vibrazioni negative è_é
A questo s’è aggiunta la quinta puntata di Heroes. Nell’introduzione, Mohinder parla del Zugunruhe. Ho fatto qualche ricerca, ed ho scoperto che è un termine tedesco utilizzato in etologia per spiegare il comportamento degli uccelli migratori. Com’è esposto in Heroes, però, mi piace decisamente di più. E sebbene nella serie abbia un’accezione aggregativa del tutto positiva, a me ha ricordato qualcosa di molto simile alla forza di gravità che spinge i corpi a sbattersi contro a vicenda indipendentemente dal dolore che si causano.
Ci ho visto loro due.
La pioggia e il lago di Como e Nai che mi diceva “scrivi!” hanno fatto il resto XD
Posso comprendere che il finale possa lasciare insoddisfatti. Mi ha convinto a lasciarlo così una discussione avuta al telefono con l’onnipresente Nai, la quale mi ha giustamente fatto notare che non esistono “discorsi” né “chiarimenti” dopo i quali ci si possa sentire veramente a posto. Credo questo avvenga perché, in fondo, le persone possono riuscire a capirsi solo fino a un determinato punto. Anche i più “vicini”, superato quel punto si perdono. È per questo, credo, che non si può parlare di una comprensione totale dell’altro, da parte di nessuno.
Brian e Matt, in questa storia, si capiscono e si conoscono molto bene. Questo significa che sono chiari l’uno con l’altro? A me non pare.
Coooomunque >_< Queste sono elucubrazioni spicciole delle tre meno venti del mattino (ebbene sì). Scusate lo sproloquio, e spero che la storiella vi sia piaciuta almeno un po’ :*
PS: Ah, a proposito. La frase che dice Matt sul fatto che le persone preferiscono guardare al passato perché è più facile… l’ha detta davvero O.O *si commuove di fronte agli spazzi d’intelligenza del suo amato*
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ZUGUNRUHE
“È la spinta di un’anima verso un luogo lontano, raggiunto seguendo l’odore del vento o una stella nel cielo. L’antico messaggio arriva, richiamando gli spiriti affini a prendere il volo e ritrovarsi insieme.”
Melody#15. I’m a self-destructive fool
Song#82. Right kind of wrong

We'll rise above this
We'll cry about this
As we live and learn

C’erano delle realtà inconfutabili di cui era certo e che, per quanto scomode, non riusciva a ignorare.
Numero uno, stava piovendo. A dirotto. Vista la stagione, la cosa non lo stupiva. Vista la sua scelta di trovarsi a due passi dal lago di Como, la cosa si limitava ad irritarlo enormemente.
Numero due, era appunto a Como e non aveva neanche un valido motivo che giustificasse la sua presenza lì. Le altre volte era sempre riuscito a raccattare una ragione convincente – stiamo registrando da queste parti, il tour passa qui vicino, sono in vacanza – ma il venti gennaio di quell’anno, con Steve e Stef ad aspettarlo in studio in Inghilterra per cercare di capire cosa fare del materiale raccolto durante il tour appena concluso, non portava con sé nessun motivo contingente per spiegare il fatto che in quel momento si trovasse lì.
Certo, questo aveva senso se si ignorava il terzo fatto incontestabile. E cioè che il vero ed unico motivo contingente per il quale in quel momento si trovava lì era Matthew.
E che, a di là delle registrazioni, dei tour e delle vacanze, lo era sempre stato.
Avanzò ancora un po’ lungo il sentiero e cercò di rimettere ordine nei propri pensieri, accorgendosi che dubitava perfino che un tempo ce ne fosse stato.
Doveva trovare qualcosa da dirgli quando l’avesse visto – perché l’avrebbe visto, e quella era la quarta realtà incontestabile – in fondo, però, probabilmente restare in silenzio sarebbe stata la soluzione migliore.
Aveva abituato Matthew a fiumi di parole. L’aveva abituato a stordirsi della sua voce per evitare di pensare o tappare i buchi di silenzio con la propria. L’aveva abituato a sistemare tutti i loro sbagli con un “ci penseremo poi”, sussurrato abbastanza piano da sembrare un invito ad altro e dolce abbastanza da far finta di essere una rassicurazione.
Chissà perché, aveva sempre pensato che un giorno nella sua posizione ci sarebbe stato Matthew. Lo vedeva… più debole, più succube della loro relazione confusa. Più succube nei suoi confronti.
Ma probabilmente era solo un’illusione dovuta alla loro differenza d’età.
Aveva immaginato centinaia di volte Matthew apparire sotto la pioggia davanti alla porta di casa sua, a Londra, e implorarlo di lasciarlo entrare.
Sotto la pioggia adesso c’era lui.
E casa di Matthew era troppo vicina perché la sua presenza in sé non somigliasse già troppo a una preghiera d’asilo.
*
Per quanto riguardava le relazioni sentimentali – almeno, le numerose che nel corso degli anni aveva intrattenuto con lui – Matthew era paranoico. Partiva dal presupposto che, se non riceveva un grazie in cambio di un aiuto, allora quell’aiuto era stato del tutto inutile e non aveva risolto niente.
Si ostinava scioccamente a ignorare che l’assoluta assenza di grazie da parte di Brian era dovuta al suo essere fondamentalmente egoista quasi quanto lui fosse paranoico.
Era un difetto che Brian aveva cercato di limare col tempo, e perciò “grazie” fu la prima parola che sussurrò quando lo vide apparire con un ombrello all’inizio del viale, e sempre “grazie” fu ciò che disse ad alta voce, di modo che lui potesse sentirlo, quando lui gli fu vicino e lo riparò dalla pioggia battente.
- Che razza di saluto. – borbottò lui, sorridendo debolmente.
- Non sei mai contento. – commentò Brian, fissando ostinatamente il lago a qualche metro da loro.
Matthew gli si avvicinò ancora un po’, guardandolo da capo a piedi per poi decidere che era il caso di sfilare sia il suo cappotto che il proprio ed operare uno scambio per ragioni umanitarie.
- Congelerai. – osservò il cantante dei Placebo, seguendo con gli occhi il movimento del proprio cappotto che finiva sulle spalle dell’inglese, - Comunque grazie.
- È buffo – disse Matt con una risatina stupida, - che tu abbia imparato a dirlo quando non serve più.
Brian sorrise, tornando a guardarlo negli occhi.
- Sicuro non serva?
Sorrise anche Matthew, indicando con un cenno del capo casa propria, in cima alla collina dalla quale partiva il viale.
- Andiamo già? – chiese Brian con una punta di preoccupazione.
- Non vuoi davvero rimanere sotto questo… questo monsone!
- Infatti rimanere sotto un monsone è l’ultimo dei miei pensieri… ma dal momento che questo non lo è…
Matt sbuffò, mettendo una mano sul fianco.
- Dannazione, sai quanto odi essere corretto! Quando sto scherzando, per di più…
Rise, infilando le mani nelle tasche del cappotto asciutto che ora lo avvolgeva e incontrando con le dita il portachiavi di Matt. Ci giocò un po’, facendolo tintinnare.
- Scherzavo anche io. – lo rassicurò. – Andiamo a casa.
*
Un’altra delle manie assurde di Matthew consisteva nel fare proprie caratteristiche del tutto femminili, che inseriva all’interno della propria vita come fossero la normalità, e che contribuivano a dargli quell’aria da pazzo un po’ sfigato che gli amici per affetto e gli estranei per educazione chiamavano “eccentricità”.
Perciò, quando una storia d’amore finiva, Matthew Bellamy cambiava taglio di capelli.
E, se era proprio di cattivo umore, cambiava disposizione al mobilio in casa.
- Ti ostini a spostare le cose… - commentò distrattamente Brian, accomodandosi su una sedia e poggiando i gomiti sul tavolo della cucina, - Un giorno ti chiederò “dov’è il latte?” e tu mi risponderai di provare a cercarlo in bagno, me lo sento.
- C’è davvero un motivo per cui mi stai illudendo che un giorno potresti tornare a chiedermi dov’è il latte, o la tua è solo una cattiveria a caso, tanto per gradire? – chiese Matt con un sorriso, sollevandosi sulle punte per raggiungere il ripiano del mobile a muro nel quale teneva il barattolo del caffè.
Brian sorrise a propria volta.
Quasi si sentiva orgoglioso di sé stesso, quasi si sentiva orgoglioso per entrambi, quando pensava a tutto il dolore al quale erano sopravvissuti e che sembrava averli forgiati come fuoco su ferro. Adesso erano impermeabili. Non c’era più niente che potesse uscire dalle loro labbra che fosse in grado di ferirli davvero. Questo faceva di loro l’accoppiata perfetta.
In fondo, però, non c’era granché di cui essere orgogliosi, dal momento che il motivo per il quale non riuscivano più a ferirsi era che ormai si aspettavano solo il peggio l’uno dall’altro.
- Ingombrerei tutta questa bella casa con le mie cianfrusaglie. Non sarebbe bene.
Matt tornò a guardarlo con una strana luce negli occhi, sulle labbra lo stesso sorriso sereno di sempre.
- Questa casa è stata ingombra molte volte. – disse, stringendo la moka per chiuderla e asciugandola con un panno prima di metterla sul fuoco, - Tu sei sempre stato il più ordinato, comunque.
- Così mi lusinghi. – commentò con falsa modestia, alzandosi in piedi e raggiungendolo davanti al piano cottura, - Stai cercando di sedurmi?
Matthew si chinò appena per baciarlo sulle labbra.
- Come se avessi bisogno di provarci. – lo prese in giro, separandosi da lui e tornando a badare al caffè.
La straordinaria disinvoltura con la quale puntualmente riallacciavano il contatto fisico, ancora prima che sentimentale, anche dopo mesi interi di assenza l’uno nella vita dell’altro, non mancava mai di stupirlo. Ad un qualsiasi occhio esterno sarebbe sembrato assurdo. Erano in grado di lasciarsi urlando e piangendo come disperati, giurando e spergiurando di non mettere mai più piede nei rispettivi appartamenti, ed erano altrettanto in grado di rivedersi anche dopo un anno e saltarsi addosso alla prima occasione favorevole senza stare troppo a pensarci.
Avevano smesso ormai da tempo di cercare di stabilire dei tempi regolari. O anche solo di stabilire se stessero o non stessero insieme in un determinato periodo.
La loro era una relazione ciclica. Andava e tornava a ritmi sempre diversi. C’erano volte in cui bruciavano tutto in poche settimane e ce n’erano altre in cui si trascinavano pigramente per mesi e mesi, avvolti in una nuvola di dolce pigrizia oziosa, come stessero troppo comodi per provare a mettere in dubbio i cuscini sui quali stavano seduti.
Una volta era durata quasi due anni.
Brian immaginava si fossero entrambi illusi che quella fosse “la volta buona”.
Ma quando anche quella era passata, riportandoli alla solita routine di tradimenti, separazioni e riconciliazioni improvvisate, dovevano aver capito entrambi che, per quanto gli scontri continui li avessero ormai modellati al punto da renderli perfetti l’uno per l’altro, non sarebbero mai riusciti a bastarsi a vicenda.
*
A broken promise
I was not honest
Now I watch as tables turn
And you're singing

La prima volta s’erano promessi molte cose. Al di là delle sciocche proposte di matrimonio che, un po’ per scherzo e un po’ per romanticismo, piovevano continuamente da Matthew, ricordava si fossero promessi praticamente tutto. Fedeltà, sincerità, devozione totale, supporto reciproco, una vita senza il benché minimo problema, divertimento, sesso e così via.
Ci avevano creduto entrambi. Perché erano innamorati e perché non si conoscevano ancora abbastanza bene.
Era durata un mese appena. Poi avevano cominciato a litigare e, per ripicca, avevano smesso di scopare.
Il primo a tradire era stato Brian. E non per reale bisogno fisiologico, per quanto ammettesse di aver davvero avuto voglia.
Matthew l’aveva presa per una sfida e l’aveva imitato.
E quello era stato il loro finale.
Almeno, il primo.
La seconda volta era stata anche peggiore della prima. Avevano promesso di tutto, ci avevano creduto perché non poteva andare male di nuovo, e invece era andata male comunque. Brian aveva cercato di trattenersi. Matthew no. Ed era finita un’altra volta.
A quel punto era stato abbastanza chiaro per entrambi che non si trattava di una questione di sfortuna o di circostanze avverse. Ciononostante, quando si erano ritrovati a condividere lo stesso spazio vitale per la terza volta in tre anni, ci avevano creduto ancora.
Per… testardaggine, probabilmente.
Quella terza volta era durata più a lungo. E in quel periodo Matthew gli aveva fatto una promessa molto semplice. “Non ti farò mai più del male”. Abbracciandolo stretto, baciandolo quasi ferocemente sul letto ancora disfatto, lui aveva pensato “No, Matthew, non mi farai più del male. E neanche io ne farò a te”.
Poi, ovviamente, era finita comunque. Per l’ennesimo tradimento. Tradirsi a vicenda era ormai il loro metodo codificato per dirsi “basta così”. Non si tradivano più perché avevano voglia d’altro, o perché non scopavano, o per chissà quale altro motivo. Il tradimento era il segnale. L’ingresso nel proprio corpo di un’altra persona, o di loro stessi all’interno di qualcun altro, significava spazzare via a forza la presenza del loro legame.
In fila al check-in per tornare in Inghilterra, Brian aveva guardato Matthew, che l’aveva accompagnato fino all’aeroporto e ora aspettava che partisse. Nei suoi occhi azzurri e freddi, ancora macchiati di rancore, non aveva in effetti visto nemmeno un’ombra di dolore.
- È l’unica promessa che siamo riusciti a mantenere. – disse ad alta voce, sorseggiando il caffè bollente.
Matthew lo squadrò senza capire.
- Brian… - sospirò, - Può capitare che io riesca a seguire il filo dei tuoi pensieri anche quando non parli. Ma generalmente no.
Brian sorrise, poggiando la tazzina sul tavolo.
- Tu stai bene, no? – gli chiese a bruciapelo, fissandolo negli occhi e osservandoli brillare per un secondo, mentre Matthew prendeva atto.
- Ah. – disse l’inglese, terminando il proprio caffé e riponendo la tazzina nel lavabo, -Quella promessa.
Rimasero in silenzio, l’uno in attesa della mossa successiva dell’altro.
…a Brian sarebbe piaciuto riuscire a sopportare meglio quei momenti. Ma ogni volta che lui e Matt cadevano in un buco di silenzio, aveva come l’impressione che non ne sarebbero più usciti.
- Come diavolo facevi a sapere dov’ero? – chiese, con una punta d’ansia nella voce.
- Ero fuori, nel porticato. – rispose prontamente Matt.
- Sotto il monsone?
- Non è un vero monsone…
- E che stavi facendo nel porticato?
- Ho letto, fino a un certo punto. Ti ho guardato, da quel punto in poi.
- Oh! – sbuffò Brian, incrociando le braccia sul petto, - Mi hai lasciato sotto la pioggia volontariamente!
Matt ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano.
- Eri particolarmente affascinante.
- Ah, be’. – commentò, roteando gli occhi, - Vorrà dire che giustificherò la bronchite che sicuramente beccherò dicendo “mi hanno lasciato alla mercé di una tempesta per ragioni estetiche”.
- Come sei drammatico… - mugugnò il cantante dei Muse, - Vedrai che starai benissimo. Un paio di giorni di riposo al caldo sotto le coperte e-
- Mi stai invitando a restare?
Matthew s’interruppe, sinceramente stupito da ciò che aveva detto.
L’avrebbe consolato, forse, sapere che Brian era stupito tanto quanto lui.
Parlare chiaramente in genere non rientrava nelle procedure con le quali “tornavano insieme”.
- Sai, Brian, - disse dopo un po’, fissando il pavimento, - quella non è l’unica promessa che abbiamo mantenuto.
- Ah, no? – chiese lui con un sorriso tagliente.
- No. – rispose Matt, tornando a guardarlo deciso negli occhi, - Io ho promesso che ti avrei amato per sempre.
Brian ingoiò a vuoto, stringendo le dita attorno alla tazzina con un movimento quasi convulso.
- Allora… - disse, quando fu in grado di recuperare un briciolo di fiato in fondo alla gola, - è questa l’unica promessa che abbiamo mantenuto.
Perché io ho appena scoperto che, invece, tu sei ancora in grado di farmi male.
*
I'll wait my turn
To tear inside you
Watch you burn
I'll wait my turn

- Ti fermi a cena?
Lo guardò, cercando di capire se facesse sul serio o meno.
- Che domanda scema. – rispose infine, vagamente irritato.
Era ovvio che si sarebbe fermato a cena. Era ovvio che si sarebbe fermato per la notte. Era ovvio che si sarebbe fermato a colazione, e che si sarebbe fermato per una passeggiata e una merenda sul lago se avesse smesso di diluviare l’indomani mattina, e che poi sarebbe rimasto per pranzo, per un caffè, per il tè e i pasticcini alle cinque, per l’aperitivo e di nuovo per cena, ed era ovvio che questa cosa si sarebbe ripetuta almeno per una settimana.
Una settimana era il periodo minimo.
In genere, durante quella settimana capivano se era il caso di cominciare a dire in giro “stiamo di nuovo insieme” o se era meglio chiuderla lì e rimandare il tutto alla volta successiva in cui si sarebbero visti.
- Chiedo perdono. – riprese Matt con un sorriso, - La domanda giusta era se ti andava una pizza o preferivi che ti preparassi qualcos’altro.
Sbuffò, scrollando le spalle.
Come non sapesse perfettamente che per quella notte avrebbero fatto tutto meno che mangiare.
- Seriamente: - gli chiese, - quanto ci tieni a rendere la tua cucina un inferno, sapendo che qualsiasi cosa preparerai finirà inesorabilmente nel cesto dell’immondizia?
- Ma sai che niente è mai finito davvero nel cesto dell’immondizia? – ritorse lui, con tono divertito. – A parte il fatto che dopo il sesso ti viene improvvisamente fame e mi costringi a strisciare fino in cucina, nonostante generalmente io non senta più le gambe, per recuperarti qualcosa… le cose avanzate poi le abbiamo sempre mangiate tipo il giorno dopo a pranzo e così via…
Lo guardò, sollevando le sopracciglia.
- Dici sul serio? – chiese curioso, - Non me ne sono mai accorto…
- Perché non ti ho mai dato modo di capire cos’è che avevo preparato. – rispose Matt, ridacchiando. – Comunque, giusto per fare qualcosa di diverso, oggi potremmo mangiare a un orario decente e scopare a un orario decente. Sarebbe una rivoluzione!
Brian si sollevò dalla sedia, raggiungendolo dove si trovava, in piedi davanti al frigorifero aperto, e insinuandosi nello spazio fra lui e l’elettrodomestico, chiudendosi lo sportello alle spalle.
- Non capisco per quale motivo dovremmo cambiare anche solo una virgola della solita vecchia routine. – commentò dubbioso, sollevando una mano a sfiorargli il petto attraverso la camicia, mentre Matthew si chinava a baciargli la fronte.
- Le persone preferiscono guardare al passato, perché è più facile… - motivò lui, scivolando con le labbra giù fino allo zigomo e, lungo la guancia, fino al mento, - Ma noi siamo diversi dalle altre persone.
- Aha. – annuì Brian, sbuffandogli addosso, - E cos’è che ci renderebbe tanto diversi?
- Il fatto che siamo completamente pazzi. – rispose Matt, circondandogli la vita con le braccia e attirandolo a sé, mentre lui risaliva con le mani lungo il petto per fermarsi sul collo. – Qualunque persona assennata si sarebbe fermata alla sesta volta. O anche prima.
- Credi d’essere l’unico pazzo al mondo? – ridacchiò Brian, leccandolo lentamente lungo il profilo della mascella e sentendolo rabbrividire sotto la lingua.
- Non l’unico. – concluse Matthew, chinandosi su di lui e guardandolo negli occhi prima di baciarlo, - Il più fortunato.
Pensò distratto che probabilmente Matthew stava esagerando con le romanticherie. Che tutte quelle parole dolci sarebbero tornate a galla quando inevitabilmente quell’ennesimo tentativo fosse sfumato in un nulla di fatto, e che gli dispiaceva che Matthew si stesse comportando così, fornendogli tutti gli spunti per attaccarlo quando ne avesse avuto l’occasione, mentre lui si sarebbe trovato con niente in mano, dal momento che dal canto proprio si stava tenendo così sulle sue da irritarsi da solo.
Matthew scivolò con le mani lungo la sua schiena, soffermandosi appena sulle natiche, per poi afferrarlo sotto le cosce e issarlo contro il frigorifero. Brian allargò le gambe e gli si aggrappò ai fianchi, stringendo la presa sul suo collo.
Interruppe il bacio che ancora si stavano scambiando, guardandolo.
- Così non vale, Bellamy. – mormorò, quasi affranto.
- È meglio se non dici niente. – cercò di fermarlo Matthew.
Ma lui sorrise. Lo baciò a fior di labbra. Strofinò la guancia contro la sua, come un cucciolo in cerca di coccole, e raggiunse il suo orecchio.
- Ti amo anche io. – disse.
Sì.
In quel modo andava meglio.
Vulnerabili entrambi.
Per l’ennesima volta.
Matthew sospirò e lo schiacciò contro il frigorifero, attaccandosi al suo collo e sfiorandolo con le labbra quasi con reverenza.
- Grazie. – gli mormorò contro la pelle.
“Figurati”, pensò Brian, mentre rilasciava indietro il capo e chiudeva gli occhi.

Promise is a promise…
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