Genere: Generale
Rating: NC-17 (riferito a tutta la raccolta nella sua complessità)
AVVISI: Angst, Boy's love, Chanslash, Girl's love, Incest, Lime, Violence.
- Una raccolta di racconti originali che hanno a che fare con la mia vita e con quella delle persone che conosco.
Commento dell'autrice: Questa è una cosa a cui tengo parecchio. E' come se fosse una sorta di diario romanzato. Tutto quanto è rigorosamente vero.
Rating: NC-17 (riferito a tutta la raccolta nella sua complessità)
AVVISI: Angst, Boy's love, Chanslash, Girl's love, Incest, Lime, Violence.
- Una raccolta di racconti originali che hanno a che fare con la mia vita e con quella delle persone che conosco.
Commento dell'autrice: Questa è una cosa a cui tengo parecchio. E' come se fosse una sorta di diario romanzato. Tutto quanto è rigorosamente vero.
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- Basta! Non mene frega niente a me di queste cazzate! Pokèmon, digimon, beyblade, quello che cazzo sono! Quando tu parli con me devi parlare di cose intelligenti, hai capito?!
Attirata dal tuono di quella voce, avevo drizzato le orecchie quasi impaurita. Ben presto avevo focalizzato il punto dal quale l’inveire acceso veniva, e… semplicemente li avevo visti. Erano lì, sul marciapiede, davanti ad una macchina che certo non si poteva dire a buon mercato.
Un uomo alto, affascinante, in giacca e cravatta e con la sua bella ventiquattrore attaccata stretta alla mano. Un uomo che probabilmente suscitava rispetto, nei suoi colleghi. Magari lo prendevano anche a modello, chissà.
Poco distante da lui, un bambino. Poteva avere al massimo otto anni. Un bimbo normale, un po’ paffuto, con la sua tuta da ginnastica infantile ed il suo zainetto, immancabile testimone dell’amore verso il suo cartone animato preferito.
Vedevo quell’uomo adulto e quel bambino paffuto. Li vedevo l’uno di fronte all’altro su quel marciapiede.
E forse ho fatto male, ma io, quale bambino, l’ho dovuto guardare negli occhi. E l’ho fatto esattamente dopo l’urlo del padre.
Ebbene, quegli occhi erano vuoti. Dentro non c’era niente. Fissavano attoniti un padre che cosa pretendeva da loro? Che si mettessero a scorrere veloci le colonne di un quotidiano finanziario mentre lui parlava di politica?
Quando tu parli con me devi parlare di cose intelligenti, hai capito?!
Quella era una dichiarazione, impossibile da fraintendere, neanche con tutto l’affetto e la buonafede del mondo.
Le cose di cui parli non mi interessano minimamente. Proprio non me ne frega nulla.
Lui continuava a fissare quel padre, che invece di cercare di riacquistare la calma se la prendeva inutilmente con la portiera dell’auto che la rabbia gli impediva di aprire. Lo guardava, e malgrado potesse, malgrado avesse tutte le ragioni, non piangeva. Non una lacrima.
Una signora anziana, poco distante da me, aveva assistito anche lei alla scena. I suoi occhi, con quell’espressione preoccupata così in contrasto con la mia, molto più simile a quella attonita del bambino, sembravano dire “Povero bimbo, chissà come starà soffrendo… chissà cosa starà pensando…”. Chissà.
Il bambino guardava, ed i suoi occhi apparentemente inespressivi in realtà dicevano molto più di quanto ad un semplice sguardo non sembrasse.
Il papà ha detto che quello che dico io non è interessante. Lui è il papà, di certo ha ragione, quindi sono io che sono stupido, proprio come dice lui. Sono io che devo cambiare.
Il bimbo guardava, le labbra contratte dalla tensione. Il padre riusciva ad aprire la portiera e cominciava ad inveire contro il sedile che non si alzava.
Chissà di cosa avrebbero parlato a pranzo.
Attirata dal tuono di quella voce, avevo drizzato le orecchie quasi impaurita. Ben presto avevo focalizzato il punto dal quale l’inveire acceso veniva, e… semplicemente li avevo visti. Erano lì, sul marciapiede, davanti ad una macchina che certo non si poteva dire a buon mercato.
Un uomo alto, affascinante, in giacca e cravatta e con la sua bella ventiquattrore attaccata stretta alla mano. Un uomo che probabilmente suscitava rispetto, nei suoi colleghi. Magari lo prendevano anche a modello, chissà.
Poco distante da lui, un bambino. Poteva avere al massimo otto anni. Un bimbo normale, un po’ paffuto, con la sua tuta da ginnastica infantile ed il suo zainetto, immancabile testimone dell’amore verso il suo cartone animato preferito.
Vedevo quell’uomo adulto e quel bambino paffuto. Li vedevo l’uno di fronte all’altro su quel marciapiede.
E forse ho fatto male, ma io, quale bambino, l’ho dovuto guardare negli occhi. E l’ho fatto esattamente dopo l’urlo del padre.
Ebbene, quegli occhi erano vuoti. Dentro non c’era niente. Fissavano attoniti un padre che cosa pretendeva da loro? Che si mettessero a scorrere veloci le colonne di un quotidiano finanziario mentre lui parlava di politica?
Quando tu parli con me devi parlare di cose intelligenti, hai capito?!
Quella era una dichiarazione, impossibile da fraintendere, neanche con tutto l’affetto e la buonafede del mondo.
Le cose di cui parli non mi interessano minimamente. Proprio non me ne frega nulla.
Lui continuava a fissare quel padre, che invece di cercare di riacquistare la calma se la prendeva inutilmente con la portiera dell’auto che la rabbia gli impediva di aprire. Lo guardava, e malgrado potesse, malgrado avesse tutte le ragioni, non piangeva. Non una lacrima.
Una signora anziana, poco distante da me, aveva assistito anche lei alla scena. I suoi occhi, con quell’espressione preoccupata così in contrasto con la mia, molto più simile a quella attonita del bambino, sembravano dire “Povero bimbo, chissà come starà soffrendo… chissà cosa starà pensando…”. Chissà.
Il bambino guardava, ed i suoi occhi apparentemente inespressivi in realtà dicevano molto più di quanto ad un semplice sguardo non sembrasse.
Il papà ha detto che quello che dico io non è interessante. Lui è il papà, di certo ha ragione, quindi sono io che sono stupido, proprio come dice lui. Sono io che devo cambiare.
Il bimbo guardava, le labbra contratte dalla tensione. Il padre riusciva ad aprire la portiera e cominciava ad inveire contro il sedile che non si alzava.
Chissà di cosa avrebbero parlato a pranzo.